ENERGIA 4/2011
di Stefano Venier * e Stefano Verde **
PETROLIO & GAS
SHALE GAS E GNL
SULLA STRADA DEL
DECOUPLING IN EUROPA
European gas market currently faces a transitory period which may determine the move from traditional
oil-indexed gas price formulas to gas-to-gas competition. The success of a lasting price decoupling in the
next years will depend on: new key investments in unconventional gas and on the development of a global
LNG market with sufficient liquefaction capacity.
Il mercato europeo del gas vive una fase di transizione
in cui la tradizionale indicizzazione del prezzo al petrolio potrebbe essere abbandonata a favore della gasto-gas competition. Sulla strada del successo di un disaccoppiamento duraturo tra greggio e metano giocheranno un ruolo cruciale gli investimenti in gas non
convenzionale e lo sviluppo di un mercato globale del
GNL dotato di una sufficiente capacità di liquefazione.
I
* DG Sviluppo e Mercato,
Hera S.p.a., Bologna
** Hera Trading S.r.l., Bologna
[email protected]
32
l mercato mondiale del
gas sta attraversando
una fase in cui incertezza è la parola d’ordine e
le possibili evoluzioni
del settore potrebbero essere
molteplici, così come i fattori
che influenzeranno le strategie
e le scelte degli operatori nei
prossimi anni. Ai classici – essenziali – fondamentali del
mercato (domanda, offerta,
prezzi), si aggiungono altri fattori di carattere geopolitico
(tensioni nei Paesi produttori),
tecnologico (gas non convenzionale, nuove infrastrutture),
contrattuale (rinegoziazione
degli accordi take-or-pay) o
ancora normativo/regolatorio
(politica climatica europea,
politiche di sostegno alle rinnovabili, futuro dell’energia
nucleare). E l’elenco di varia-
bili che impatteranno sul settore del metano potrebbe sicuramente continuare, rendendo
davvero ardua qualunque previsione in questa fase di transizione.
In questo quadro generale,
analizzato in un recente articolo (Clô 2011) cui rimandiamo il lettore che volesse approfondire i diversi fattori nel loro
complesso, il nostro lavoro si
prefigge l’obiettivo di indagare le questioni più strettamente inerenti la formazione del
prezzo del gas naturale. Dapprima presenteremo i meccanismi di pricing alternativi e
proporremo un’analisi delle
ragioni a favore o contro l’impiego di prezzi del gas indicizzati al petrolio (oil-linked). In
seconda battuta cercheremo di
vagliare se in Europa sussistano già le condizioni per un progressivo decoupling «strutturale» del prezzo del metano da
quello del petrolio e quali siano gli investimenti infrastrutturali necessari a favorire una
simile evoluzione nei prossimi
anni.
1. IL DISACCOPPIAMENTO
DI PREZZO
Dall’ultima «Statistical Review of World Energy» della
BP emerge come l’Unione a 27
abbia importato nel 2010 oltre
i due terzi del proprio fabbisogno annuale di gas naturale. A
ENERGIA 4/2011
fronte di una così forte dipendenza dai Paesi fornitori non
sorprende che anche i prezzi
praticati ai consumatori riflettano le condizioni contrattuali negoziate in passato con i
Paesi produttori. Gli accordi
con cui gli operatori si assicurano volumi di metano dai Paesi extraeuropei sono contratti
di lungo termine (Gas Supply
Agreements, GSA) che prevedono particolari disposizioni in
merito ai volumi e al prezzo da
applicare (Bandini e Orlandini 2008).
Riguardo alle quantità i
GSA definiscono generalmente un volume contrattuale di
gas che l’acquirente può ritirare durante l’anno, ma anche un
quantitativo minimo che deve
essere comunque pagato indipendentemente dal ritiro (takeor-pay) oltre a clausole che garantiscono alle due controparti maggiore o minore flessibilità sui ritiri. Sul versante dei
prezzi, invece, la formula comunemente utilizzata prevede
che il prezzo base del gas, fissato in funzione dei prezzi delle fonti alternative che va a sostituire (net-back pricing), sia
indicizzato nel tempo a quello
medio di un paniere solitamente composto da alcune varietà di greggio e/o dai suoi
prodotti derivati, seppur con
un ritardo temporale (1).
L’indicizzazione è stata
adottata negli anni 1970 quando petrolio e gas erano beni sostituti nei consumi finali di
energia, col primo che dominava largamente il secondo in
termini di quota di mercato. Al
fine di promuovere una maggiore diffusione del metano, le
compagnie iniziarono a proporre ai consumatori prezzi
finali del gas dipendenti da
quello del petrolio ma con l’applicazione di uno sconto rispetto allo stesso (a parità di
potere calorifico).
Da allora, il meccanismo
d’indicizzazione – seppur con
l’applicazione di diverse formule più o meno complesse –
non è più stato abbandonato,
nemmeno a fronte del venir
meno della sostituibilità tra
petrolio e metano, con il primo sempre più riferimento per
i trasporti e il secondo per le
attività industriali, il riscaldamento civile, la generazione
elettrica. La Tab. 1 riporta la
quota di volumi di gas all’ingrosso il cui meccanismo di
prezzo è indicizzato o meno
nei maggiori bacini di consumo mondiali ed è facile verificare come l’Europa e l’area del
Pacifico siano i mercati che
maggiormente ricorrono alle
formule indicizzate per prezzare il proprio gas.
Le ragioni per il mantenimento dell’indicizzazione sono
molteplici: anzitutto, quello del
petrolio è un mercato globale
liquido mentre quello del gas
– sicuramente fino a pochi
anni fa – non aveva esibito una
sufficiente liquidità (con l’eccezione di alcune importanti
realtà come Regno Unito e
Nord America). Ancorarsi al
petrolio è quindi stato utile per
le imprese acquirenti perché
ha permesso di prezzare attraverso mercati globali e concorrenziali anche il prodotto di un
settore storicamente oligopolistico.
Dal canto loro, Paesi produttori e compagnie attive nell’E&P di petrolio e gas hanno
sempre manifestato la preferenza a far dipendere dalla
stessa variabile – le quotazioni del greggio – il prezzo di
entrambi i combustibili, così
da meglio pianificare e indirizzare i propri investimenti su
entrambe le filiere e soddisfare l’esigenza comune di abbattere i costi di transazione.
Sopravvissuto al venire
meno dei fondamentali economici che ne giustificavano
l’adozione e alla reiterata pressione delle istituzioni comunitarie per la creazione di un
mercato del gas che fosse indipendente da quello del petrolio, perché il meccanismo d’indicizzazione nei GSA viene
messo ora in discussione?
Tra il 2008 e il 2009 una serie di fattori congiunturali e
strutturali hanno drasticamente cambiato le caratteristiche
del mercato europeo del metano (ma anche di quello mondiale): la crisi, prima finanziaria e poi economica, ha sensibilmente ridotto la domanda di
gas naturale nel Vecchio Continente, per oltre 30 mld. m3.
Di converso, sul fronte delle ragioni strutturali, quasi contestualmente l’offerta globale di
metano si è arricchita grazie al
sempre maggiore sfruttamento dello shale gas statunitense,
che ha trasformato il mercato
americano da importatore (cui
erano in larga parte destinate
le nuove capacità di liquefazione che si andavano a realizzare in Medio Oriente e Nord
Africa) a potenziale esportatore netto.
Il combinato disposto di
questi due fattori ha portato il
bacino europeo a trovarsi in
un’insolita situazione di ecces-
Tab. 1 - GAS COMMERCIALIZZATO ALL’INGROSSO IN BASE A DIFFERENTI
MECCANISMI DI PREZZO, 2009
Nord America
Ex URSS
Europa
Medio Oriente
Asia-Pacifico
Asia
America Latina
Africa
Indicizzazione
al petrolio (%)
Solo prezzi
gas (%)
0,0
0,0
67,0
5,8
53,2
31,5
15,3
6,4
98,8
20,9
28,1
0,3
5,7
3,1
14,0
0,0
Regolato/
amministrato (%)
0,0
66,0
0,0
83,4
0,0
64,0
55,9
88,3
Totale
(mld. m3)
800
625
555
341
330
218
129
98
Fonte: elaborazione su dati Nexant Global Gas e International Gas Union (2011).
33
ENERGIA 4/2011
so di offerta di gas («mercato
lungo»), potendo contare non
solo sui volumi contrattualizzati nei tradizionali GSA di
lungo termine, ma anche sui
carichi di gas naturale liquefatto (GNL) originariamente destinati alla East Coast statunitense e dirottati verso i rigassificatori comunitari, che dopo
l’avvento dello shale gas rappresentavano l’unica possibilità di assorbimento alternativa
ai mercati asiatici.
L’abbondanza di gas nel
continente europeo ha scaricato i suoi effetti sulle quotazioni presso i principali hubs comunitari, presso i quali il prezzo di mercato del metano
emerge dalla normale interazione fra domanda e offerta
(Weijermars 2011). Durante il
2009 e il 2010, il prezzo agli
hubs si è ridotto rispetto ai valori del gas indicizzato anche
fino alla metà (Fig. 1). Questo
fenomeno di allontanamento
delle quotazioni di mercato del
metano dai valori impliciti nei
GSA (ancorati al petrolio) viene indicato come disaccoppiamento (decoupling).
Tale fenomeno ha creato
nuove opportunità di trading e
di profitto, di cui hanno beneficiato gli operatori che si sono
potuti approvvigionare sugli
hubs a prezzi a pronti più com-
petitivi di quelli dei GSA. Al
contrario, le quantità importate a prezzi indicizzati per rispettare le rigide clausole takeor-pay hanno addossato importanti perdite sulle spalle dei
sottoscrittori di contratti di
lungo termine.
Dinanzi alle inaspettate
condizioni del settore, i più
importanti operatori europei
hanno cercato e stanno tuttora cercando di rivedere i loro
GSA con le controparti extraUE, sulla base delle clausole di
rinegoziazione e dei test di revisione previsti negli accordi di
lungo termine (Frisch 2010),
prevedendo maggiore flessibilità nei loro contratti e maggiori volumi a prezzi slegati dall’indicizzazione dominante al
petrolio e correlati invece anche alle quotazioni negli hubs
continentali più liquidi (l’inglese National Balancing Point,
l’olandese Title Transfer Facility, il belga Zeebrugge e il tedesco NetConnect).
2. A FAVORE E CONTRO
IL DISACCOPPIAMENTO
Il dibattito sulla preferibilità di un sistema con prezzi indicizzati o di un meccanismo
che invece esuli dalle dinamiche del settore petrolifero non
Fig. 1 - PREZZO MEDIO ANNUO DEL GAS IMPORTATO IN GERMANIA (INDICIZZATO) E DEL GAS
QUOTATO ALL’HUB BRITANNICO (NBP) E STATUNITENSE (HENRY HUB) (euro/m3)
0,30
0,30
0,25
Spot NBP
Indicizzato import Germania (BAFA)
Spot Henry Hub
0,25
0,20
0,20
0,15
0,15
0,10
0,10
0,05
0,05
1999
2001
2003
2005
2007
Fonte: elaborazione su dati BAFA, BP, EIA-DOE, Thomson Reuters.
34
2009
2011
ha finora trovato, nemmeno
teoricamente, una conclusione
univoca, per via dei numerosi
fattori da tenere in considerazione e degli effetti che una simile trasformazione potrebbe
avere sullo sviluppo del settore.
La più immediata critica, di
carattere prettamente economico, che può essere mossa al
sistema d’indicizzazione al petrolio è quella relativa alla distorsione dei segnali di prezzo. Far dipendere il prezzo del
gas da quello dei prodotti petroliferi non fornisce infatti
agli operatori del settore metanifero, e a cascata anche ai
consumatori, i giusti segnali di
prezzo per orientare le proprie
scelte. Inoltre, si fanno dipendere i prezzi di una commodity che ad oggi è scambiata ancora su scala regionale da quelli
di un’altra che invece ha una
connotazione più globale. Appare evidente come in questo
modo i segnali di prezzo non
possano riflettere né i fondamentali del mercato né la situazione precipua del bacino di
consumo europeo (IEA 2011).
Su questo primo punto, i
difensori dell’indicizzazione al
petrolio oppongono che al sacrificio dei segnali di prezzo
corrisponde un vantaggio derivante dalla riduzione nella
volatilità del prezzo del metano oil-indexed, grazie all’applicazione di formule calcolate
sulla media dei prezzi del petrolio e dei prodotti petroliferi
con un prefissato ritardo temporale di 6-9 mesi. La minore
volatilità delle quotazioni del
gas oil-linked e l’allocazione del
rischio prezzo e volume tra
produttori e consumatori, in
ultima analisi, renderebbero
possibili gli investimenti nella
filiera altrimenti non realizzabili (Stern 2007). Infatti, nel
caso di un prezzo gas sganciato dal greggio e più volatile,
anche gli effetti ciclici del prezzo sarebbero amplificati e im-
ENERGIA 4/2011
patterebbero sulle scelte d’investimento degli operatori e
sulla loro tempistica. A periodi dominati da un significativo eccesso di offerta seguirebbero periodi di eccesso di domanda, come caratteristico di
tutti quei settori in cui l’ingresso di nuova capacità/infrastrutture – per ribilanciare il rapporto domanda-offerta – può
avvenire solo nel medio termine. Con un problema di non
poco conto da aggiungersi nelle fasi di «mercato corto»: garantire la sicurezza degli approvvigionamenti.
I sostenitori dell’oil-indexed
gas riconoscono poi a tale metodo la capacità di contrastare
pratiche lesive della concorrenza da parte dell’oligopolio
di Paesi esportatori (Finon
2008). Questo punto, tuttavia,
sembrerebbe abbastanza debole. Anzitutto perché altre
sono le modalità con cui il Vecchio Continente può combattere la propria dipendenza da
un ristretto numero di produttori, ad esempio diversificando i propri approvvigionamenti attraverso il GNL, così da
rendere più difficile un coordinamento tra i produttori delle loro decisioni, finalizzato a
ridurre gli investimenti per ricreare in futuro condizioni di
«mercato del venditore». Inoltre, il meccanismo d’indicizzazione non fa altro che fissare
il metodo ed i tempi di aggiornamento del prezzo del metano, ma non necessariamente i
suoi livelli assoluti (Stern e Rogers 2011).
In una prospettiva di carattere più geopolitico e finanziario, i fautori del disaccoppiamento sottolineano come l’Europa abbia bisogno dei suoi
fornitori di gas in misura non
dissimile da quanto questi ultimi necessitino del loro principale mercato di sbocco per
la vendita dei prodotti energetici che incidono largamente
sui loro bilanci pubblici. Alme-
no nel breve termine, infatti,
essi non potranno dirottare la
maggior parte della propria
produzione di metano verso
altri bacini di consumo – a
meno di rinunciare al completo ammortamento delle infrastrutture di trasporto alla cui
realizzazione hanno altresì
contribuito – dovendo quindi
riconoscere un certo potere
monopsonistico anche al mercato europeo.
Infine, a favore dell’indicizzazione, si è già ricordato
come sul lato della domanda
sia ormai scarsa la sostituibilità tra i due combustibili,
mentre sul versante dell’offerta esista un’integrazione intersettoriale tra attività di esplorazione ed estrazione di petrolio e gas, tale da giustificare
l’interesse dei produttori a
mantenere i meccanismi di
prezzo vigenti. Gli stessi preferiscono inoltre mantenere il
gas indicizzato al greggio poiché il consumo di petrolio su
scala globale è un buon indicatore dello stato dell’economia mondiale e inoltre la domanda di petrolio nel mediolungo termine è minacciata in
misura minore rispetto a quella di gas, che dovrà affrontare
la sfida delle fonti rinnovabili
e delle fossili a emissioni zero.
In questo modo anche i flussi
nelle casse dei Paesi produttori rimarrebbero maggiormente correlati allo stato dell’economia nel suo complesso.
3. È TEMPO
PER IL DECOUPLING
NEL BACINO EUROPEO?
Dopo avere brevemente presentato il tema del disaccoppiamento e le ragioni teoriche
a favore e contro l’emancipazione del prezzo gas dal greggio, il prossimo passo sarà
quello di vagliare se un decoupling durevole in Europa possa affermarsi già adesso o piut-
tosto nei prossimi anni e solo
a condizione che alcune criticità vengano superate.
La prima condizione fondamentale affinché il disaccoppiamento possa radicarsi in
Europa in maniera stabile è
che il mercato si trovi in una
situazione di eccesso di offerta
(al limite anche solo potenziale) tale da non tenere gli importatori europei sotto lo scacco dei loro maggiori fornitori.
Si stima che la domanda di
gas nel bacino europeo nel
2012 ammonterà a circa 500
mld. m3, potendo contare su
una produzione dei Paesi UE
di circa 160 mld. m3 e su almeno 94 mld. m3 di produzione norvegese – ipotizzando
cautelativamente che i volumi
del terminale di liquefazione
norvegese Snohvit (6 mld. m3)
vengano destinati ai Paesi
asiatici che ad oggi offrono un
premio più elevato ai volumi di
GNL (Fig. 2). Ne deriva che,
come già osservato, circa la
metà del fabbisogno di gas (250
mld. m3) dovrà essere soddisfatta ricorrendo alle importazioni da Paesi non europei.
Il Vecchio Continente potrà
inoltre contare su una capacità massima di rigassificazione
pari a circa 180 mld. m3/anno.
Tale capacità giocherà un ruo-
35
ENERGIA 4/2011
Fig. 2 - NETBACKS RICONOSCIUTI AI CARICHI DI GNL DAL QATAR, PER PAESE DI
DESTINAZIONE (euro/m 3)
0,45
0,45
0,35
Spagna
Belgio
Francia
Giappone
0,35
0,25
0,25
0,15
0,15
0,05
0,05
Dic 2009
Giu 2010
Dic 2010
Giu 2011
Fonte: elaborazione su dati Waterborne.
lo importante in termini di
concorrenza potenziale per
mostrare ai principali partner
commerciali l’esistenza di
un’alternativa al loro gas.
Ciononostante, se anche
immaginassimo un pieno
sfruttamento dei rigassificatori, l’Europa non sarebbe comunque in grado di sostituire
i propri volumi di importazione a mezzo gasdotto, senza dimenticare poi che buona parte dei volumi di GNL vengono
importati nel Vecchio Continente sulla base di contratti di
lungo termine dalle formule indicizzate analoghe a quelle del
gas via pipelines, stipulati proprio in sede di avvio dell’investimento in rigassificazione per
assicurarsi la materia prima da
processare nel proprio impianto. Si consideri, infatti, che la
quota del mercato spot del
GNL conta ancora per il 20%
del gas liquefatto scambiato nel
2010 su scala mondiale (International Gas Union 2011).
È inevitabile che i fornitori
extra-europei mantengano, nel
complesso, il proprio ruolo pivotale nel soddisfacimento dei
fabbisogni continentali di gas
naturale. Tuttavia, la costituzione di un cartello tra i Paesi
fornitori, capace quindi di
sfruttare appieno tale pivotalità, appare per il momento improbabile (e forse impossibile),
36
poiché un cartello tra i fornitori europei di gas, come
l’OPEC nel caso del petrolio,
avrebbe ad oggi ben poche leve
su cui agire. La maggior parte
dei volumi esportati in Europa, infatti, prevede l’applicazione di formule di prezzo simili con rigidi vincoli volumetrici (Clô 2008).
Parallelamente, è altresì remota l’ipotesi in cui i Paesi fornitori dell’Europa si avventurino in una competizione di
prezzo così forte da spingerli
ad abbandonare il metodo
d’indicizzazione. Piuttosto, sapendo di competere per una
domanda europea che nei
prossimi anni sarà piuttosto
stagnante (per la difficile situazione economica e la sempre
maggiore penetrazione delle
energie rinnovabili), i diversi
fornitori saranno disponibili a
qualche concessione ai consumatori europei, nel tentativo di
difendere le proprie quote di
mercato, ma al contempo evitando di riconoscere condizioni di flessibilità per volumi tali
da fare da volano ad un impiego sempre più massiccio delle
quotazioni spot.
A meno dell’affermarsi di
una nuova struttura del mercato globale del gas, i tempi
appaiono quindi non essere
ancora maturi affinché in Europa vengano progressivamente abbandonate le strutture
contrattuali oggi vigenti. Allargando l’orizzonte temporale al
medio termine, tuttavia, si stagliano all’orizzonte almeno
due fattori che potranno incidere in modo significativo sulla struttura del settore: il gas
non convenzionale e un mercato globale del gas.
Fino ad oggi gli effetti del
gas non convenzionale (tight
gas, shale gas e coal-bed methane) si sono fatti sentire principalmente sul mercato statunitense, tuttavia il potenziale di
questa evoluzione ha una portata enorme. L’Energy Information Administration (EIA) ha
recentemente pubblicato un
primo rapporto sulle prospettive del gas non convenziona-
Fig. 3 - STATI UNITI: ANDAMENTO DEI CONSUMI E DELLE IMPORTAZIONI ANNUALI (mld. m3)
700
120
680
100
660
80
640
60
620
40
600
Consumi (scala dx)
Imp. nette (scala sn)
20
0
2002
2004
Fonte: elaborazione su dati EIA-DOE.
580
2006
2008
2010
560
ENERGIA 4/2011
le da cui si evince che le riserve ad oggi provate di metano
nei 32 Paesi analizzati ammonterebbero a meno di un quinto delle riserve stimate di gas
non convenzionale nelle stesse aree geografiche (EIA 2011).
Negli ultimi anni la rivoluzione dello shale gas statunitense ha ridotto drasticamente le importazioni nette degli
Stati Uniti: dai 105 mld. m3 del
2007 ai 64 del periodo luglio
2010-giugno 2011. Per meglio
comprenderne l’impatto, si
consideri che nello stesso arco
temporale i consumi totali di
metano statunitensi sono invece aumentati di circa 40 mld.
m3 (Fig. 3), più che soddisfatti
da un incremento della produzione domestica di 80 mld. m3.
Tale incremento produttivo
ha così avuto un effetto dirompente sul mercato nordamericano del metano e ne ha depresso in modo permanente il
prezzo presso l’Henry Hub
(Fig. 1). Del resto, il mercato
americano si era finora inserito nelle rotte commerciali
mondiali di GNL come importatore e quindi non è dotato –
almeno per ora – di infrastrutture di liquefazione per destinare l’eccesso di gas verso i
maggiori bacini importatori
(Asia ed Europa), ad eccezione
di un terminale in Alaska che
serve il mercato giapponese.
I progetti per nuovi terminali di liquefazione negli Stati
Uniti si trovano a diversi stadi
del processo autorizzativo e
potranno affacciarsi sul mercato solo a partire dal 2015. Per
il terminale di Sabine Pass da
11 mld. m3/anno la prevista
entrata in esercizio al 2015
appare più probabile ora che
oltre la metà della capacità è
stata già assegnata con un contratto ventennale il cui prezzo
è ancorato al prezzo dell’Henry Hub. A Lake Charles e Freeport (finora terminali di rigassificazione) si progetta invece
di convertire gli impianti per
una capacità di liquefazione
rispettivamente fino a 18 e a 5
mld. m3/anno.
Nel frattempo, tra gennaio
2007 e giugno 2011 le importazioni statunitensi di gas liquefatto si sono ridotte di 11
mld. m3/anno, lasciati a disposizione degli altri bacini di consumo mondiali. Ai tassi di riduzione delle importazioni di
GNL degli ultimi 12 mesi, è
possibile stimare che già nel
2012 gli Stati Uniti avranno lasciato agli altri mercati ulteriori 5 mld. m3 rispetto ai volumi
importati nel 2010.
Dal più recente rapporto del
Group International des Importateurs du Gas Naturel Liquéfié (GIIGNL 2011) si evince che
nel 2010 sono stati scambiati
su scala globale oltre 650 mld.
m3 di GNL. Se anche il Giappone – alle prese con la ricostruzione e la conversione
energetica post-Fukushima –
nei prossimi anni sfruttasse al
massimo l’intera capacità nominale di rigassificazione di
cui dispone (circa 255 mld. m3/
anno) residuerebbero comunque per gli altri bacini di consumo circa 400 mld. m3/anno
di GNL.
Il crescente interesse di Paesi asiatici come la Cina a dotarsi di terminali di rigassificazione, per soddisfare la prevedibile maggiore sete di gas
dei prossimi anni privilegiando la diversificazione dei propri approvvigionamenti, apre
poi ulteriori interrogativi sull’adeguatezza della capacità di
liquefazione installata e in costruzione e sulla possibilità di
creare un vero mercato globale del metano grazie al GNL.
Già nel 2010 il tasso di impiego degli impianti di liquefazione è cresciuto fino all’81% (con
una capacità nominale di 361
mld. m3/anno) mentre la capacità di rigassificazione (di circa 800 mld. m3/anno) è stata
decisamente sottoutilizzata,
per un tasso medio del 37% su
scala globale e con punte del
42% e del 50% rispettivamente
nel bacino asiatico ed europeo.
Aveva ragione Jonathan
Stern a lamentare la mancanza di nuovi progetti di liquefazione già all’epoca dei record
di prezzo delle materie prime
e prima della crisi e della stretta finanziaria che ne è scaturita (Stern 2008). Lo stallo dei
nuovi investimenti nel settore
fa sì che si preveda l’entrata in
esercizio di capacità per appena una decina di miliardi di
metri cubi entro il 2014 (in Nigeria e Australia), mentre gli altri progetti per nuova liquefazione potrebbero vedere la luce
solo a partire da tale data. Il
lato della liquefazione sarà
dunque il vero collo di bottiglia del mercato del GNL nei
prossimi anni (senza dimenticare poi eventuali bottlenecks
insiti nell’adeguatezza di una
sufficiente flotta di navi cisterna per il trasporto del GNL).
4. ALCUNE CONCLUSIONI
Un decoupling tra gas e
greggio che possa affermarsi in
Europa in via duratura e stabile non può quindi che dipendere da due fattori decisivi e
interdipendenti: (a) una nuova fase di investimenti infrastrutturali in terminali di liquefazione e rigassificazione; (b)
le conseguenze geopolitiche (e
strategiche) che lo sfruttamento del gas non convenzionale
potrà avere sulla distribuzione
delle riserve mondiali.
I nuovi investimenti nel
mercato del GNL dovrebbero
servire da apripista per l’affermarsi di un sempre più ampio
mercato (spot, ma non solo)
del gas e quindi per consentire una convergenza dei prezzi
spot dei maggiori bacini di
consumo grazie alle operazioni di arbitraggio sempre più in
uso. Questa possibilità, in condizioni di eccesso di offerta,
37
ENERGIA 4/2011
porterebbe l’Europa ad un nuovo disaccoppiamento come
quello che ha seguito la crisi del
2009. Il decoupling congiunturale non potrà che rimettere
sotto pressione gli operatori
con importanti quote di gas oilindexed nel proprio portafoglio
e, a cascata, aumentare la pressione degli stessi sui fornitori
per un abbandono delle classiche formule contrattuali.
Con un prevedibile limitato
successo, proprio come oggi,
nell’attesa che l’eccesso di offerta venga ciclicamente riassorbito.
Il gas non convenzionale
potrebbe essere proprio il fattore capace di scardinare in
maniera stabile il settore e promuovere il disaccoppiamento
dei prezzi. Certo, non potrà
esserlo nel breve termine, dal
momento che in Europa il suo
sfruttamento è ancora agli albori e rischia di essere frenato
dalle normative ambientali
nazionali (come in Francia) o
comunitarie ancora prima di
vedere la luce. Anche sul tema
dello shale gas, per il quale esiste un forte trade-off tra sostenibilità ambientale, sicurezza
energetica e costo dei futuri
approvvigionamenti di gas,
l’Europa avrebbe bisogno di
una politica energetica condivisa che però non dimentichi
la necessità di permettere al
tessuto produttivo comunitario di competere a pari armi
con la competizione globale.
Inoltre, il costo di produzione del gas non convenzionale
non è più economicamente
vantaggioso, almeno negli Stati Uniti, rispetto al prezzo di
mercato che la recessione e
l’esplosione dello shale gas
hanno depresso sui 0,10 cent
di euro/m3 (Macrì 2011). Così
si stima che il ruolo del gas non
convenzionale in Europa sarà
ancora molto residuale fino
almeno al 2020 (Gény 2010).
Nel frattempo, saranno invece investimenti in altre infrastrutture a poter piuttosto allontanare il decoupling dal petrolio, come nel caso in cui la
Russia riuscisse a ridurre il
potere monopsonistico dell’Europa aprendosi nuove rotte commerciali verso i grandi
Paesi consumatori dell’Asia
(Henderson 2011) prima che
l’Europa abbia efficacemente
diversificato i propri approvvigionamenti.
In questa particolare corsa
agli investimenti infrastrutturali il Vecchio Continente appare svantaggiato rispetto ad
un avversario russo-cinese: la
congiuntura macroeconomica
e finanziaria europea non arride allo sviluppo di investimenti caratterizzati da elevati
costi iniziali; le condizioni del
mercato del gas non incentivano poi nemmeno i produttori
a investire i propri capitali nella realizzazione di nuove strutture di liquefazione o nell’incremento della produzione
(anche non convenzionale);
mentre l’incertezza sulle formule di prezzo che saranno
adottate in futuro consigliano
piuttosto di ritardare i nuovi
investimenti, specie se pura-
mente merchant esposti alla
ciclicità del mercato.
Uno stabile disaccoppiamento di prezzo rimarrà quindi in attesa che la corsa alle infrastrutture tra Europa e Russia rafforzi in misura incontrovertibile la posizione della prima o che comunque la maggior
parte dei contratti di importazione di lungo termine raggiungano la loro naturale scadenza
e debbano essere rinegoziati
sulla base delle condizioni di
mercato che prevarranno in
quel momento. A titolo esemplificativo, nel solo caso italiano entro il 2020 verranno a scadere contratti inerenti il 30%
dei volumi oggetto di accordi
di lungo termine, ed entro il
2025 scadranno accordi per un
ulteriore 20% dei volumi ad
oggi assicurati (AEEG 2011).
Nel frattempo, a meno di un
double dip che riporti l’economia globale nel baratro o di
un’ulteriore accelerazione nella fuga dal nucleare, è ragionevole attendersi che i Paesi
esportatori continuino a cercare, in modo discreto, un equilibrio tra il mantenimento della propria quota di mercato e
la difesa delle formule di prezzo tradizionali, con soluzioni
che non scontentino del tutto
nessuna delle parti al tavolo,
rimandando di qualche anno
il momento in cui scoprire tutte le proprie carte quando sarà
più chiaro l’impatto che shale
gas e GNL avranno sul mercato continentale e globale.
Bologna, Novembre 2011
Questo articolo è scritto dagli Autori a titolo personale e le opinioni espresse non rappresentano necessariamente
quelle delle società di appartenenza.
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ENERGIA 4/2011
NOTE
(1) A titolo esemplificativo una formula di indicizzazione
è generalmente così strutturata:
Pt = P0 + α1 (ΣPC1t-k+i – PC10) + α2 (ΣPC2t-k+i – PC20)
dove Pt (prezzo della fornitura di gas al mese t) dipende: dal
termine fisso P0, dal valore medio delle quotazioni giornalie-
re delle commodities C1 e C2 (prodotti derivati del petrolio e
sostituti del gas negli usi finali), espresse in euro, tra il kesimo mese antecedente il mese t e il mese t – 1, dai termini
fissi PC1 e dai coefficienti α che esprimono il peso relativo di
ciascuna commodity e l’appropriato fattore di conversione
energetica.
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shale gas e gnl sulla strada del decoupling in europa