ENERGIA 4/2011 di Stefano Venier * e Stefano Verde ** PETROLIO & GAS SHALE GAS E GNL SULLA STRADA DEL DECOUPLING IN EUROPA European gas market currently faces a transitory period which may determine the move from traditional oil-indexed gas price formulas to gas-to-gas competition. The success of a lasting price decoupling in the next years will depend on: new key investments in unconventional gas and on the development of a global LNG market with sufficient liquefaction capacity. Il mercato europeo del gas vive una fase di transizione in cui la tradizionale indicizzazione del prezzo al petrolio potrebbe essere abbandonata a favore della gasto-gas competition. Sulla strada del successo di un disaccoppiamento duraturo tra greggio e metano giocheranno un ruolo cruciale gli investimenti in gas non convenzionale e lo sviluppo di un mercato globale del GNL dotato di una sufficiente capacità di liquefazione. I * DG Sviluppo e Mercato, Hera S.p.a., Bologna ** Hera Trading S.r.l., Bologna [email protected] 32 l mercato mondiale del gas sta attraversando una fase in cui incertezza è la parola d’ordine e le possibili evoluzioni del settore potrebbero essere molteplici, così come i fattori che influenzeranno le strategie e le scelte degli operatori nei prossimi anni. Ai classici – essenziali – fondamentali del mercato (domanda, offerta, prezzi), si aggiungono altri fattori di carattere geopolitico (tensioni nei Paesi produttori), tecnologico (gas non convenzionale, nuove infrastrutture), contrattuale (rinegoziazione degli accordi take-or-pay) o ancora normativo/regolatorio (politica climatica europea, politiche di sostegno alle rinnovabili, futuro dell’energia nucleare). E l’elenco di varia- bili che impatteranno sul settore del metano potrebbe sicuramente continuare, rendendo davvero ardua qualunque previsione in questa fase di transizione. In questo quadro generale, analizzato in un recente articolo (Clô 2011) cui rimandiamo il lettore che volesse approfondire i diversi fattori nel loro complesso, il nostro lavoro si prefigge l’obiettivo di indagare le questioni più strettamente inerenti la formazione del prezzo del gas naturale. Dapprima presenteremo i meccanismi di pricing alternativi e proporremo un’analisi delle ragioni a favore o contro l’impiego di prezzi del gas indicizzati al petrolio (oil-linked). In seconda battuta cercheremo di vagliare se in Europa sussistano già le condizioni per un progressivo decoupling «strutturale» del prezzo del metano da quello del petrolio e quali siano gli investimenti infrastrutturali necessari a favorire una simile evoluzione nei prossimi anni. 1. IL DISACCOPPIAMENTO DI PREZZO Dall’ultima «Statistical Review of World Energy» della BP emerge come l’Unione a 27 abbia importato nel 2010 oltre i due terzi del proprio fabbisogno annuale di gas naturale. A ENERGIA 4/2011 fronte di una così forte dipendenza dai Paesi fornitori non sorprende che anche i prezzi praticati ai consumatori riflettano le condizioni contrattuali negoziate in passato con i Paesi produttori. Gli accordi con cui gli operatori si assicurano volumi di metano dai Paesi extraeuropei sono contratti di lungo termine (Gas Supply Agreements, GSA) che prevedono particolari disposizioni in merito ai volumi e al prezzo da applicare (Bandini e Orlandini 2008). Riguardo alle quantità i GSA definiscono generalmente un volume contrattuale di gas che l’acquirente può ritirare durante l’anno, ma anche un quantitativo minimo che deve essere comunque pagato indipendentemente dal ritiro (takeor-pay) oltre a clausole che garantiscono alle due controparti maggiore o minore flessibilità sui ritiri. Sul versante dei prezzi, invece, la formula comunemente utilizzata prevede che il prezzo base del gas, fissato in funzione dei prezzi delle fonti alternative che va a sostituire (net-back pricing), sia indicizzato nel tempo a quello medio di un paniere solitamente composto da alcune varietà di greggio e/o dai suoi prodotti derivati, seppur con un ritardo temporale (1). L’indicizzazione è stata adottata negli anni 1970 quando petrolio e gas erano beni sostituti nei consumi finali di energia, col primo che dominava largamente il secondo in termini di quota di mercato. Al fine di promuovere una maggiore diffusione del metano, le compagnie iniziarono a proporre ai consumatori prezzi finali del gas dipendenti da quello del petrolio ma con l’applicazione di uno sconto rispetto allo stesso (a parità di potere calorifico). Da allora, il meccanismo d’indicizzazione – seppur con l’applicazione di diverse formule più o meno complesse – non è più stato abbandonato, nemmeno a fronte del venir meno della sostituibilità tra petrolio e metano, con il primo sempre più riferimento per i trasporti e il secondo per le attività industriali, il riscaldamento civile, la generazione elettrica. La Tab. 1 riporta la quota di volumi di gas all’ingrosso il cui meccanismo di prezzo è indicizzato o meno nei maggiori bacini di consumo mondiali ed è facile verificare come l’Europa e l’area del Pacifico siano i mercati che maggiormente ricorrono alle formule indicizzate per prezzare il proprio gas. Le ragioni per il mantenimento dell’indicizzazione sono molteplici: anzitutto, quello del petrolio è un mercato globale liquido mentre quello del gas – sicuramente fino a pochi anni fa – non aveva esibito una sufficiente liquidità (con l’eccezione di alcune importanti realtà come Regno Unito e Nord America). Ancorarsi al petrolio è quindi stato utile per le imprese acquirenti perché ha permesso di prezzare attraverso mercati globali e concorrenziali anche il prodotto di un settore storicamente oligopolistico. Dal canto loro, Paesi produttori e compagnie attive nell’E&P di petrolio e gas hanno sempre manifestato la preferenza a far dipendere dalla stessa variabile – le quotazioni del greggio – il prezzo di entrambi i combustibili, così da meglio pianificare e indirizzare i propri investimenti su entrambe le filiere e soddisfare l’esigenza comune di abbattere i costi di transazione. Sopravvissuto al venire meno dei fondamentali economici che ne giustificavano l’adozione e alla reiterata pressione delle istituzioni comunitarie per la creazione di un mercato del gas che fosse indipendente da quello del petrolio, perché il meccanismo d’indicizzazione nei GSA viene messo ora in discussione? Tra il 2008 e il 2009 una serie di fattori congiunturali e strutturali hanno drasticamente cambiato le caratteristiche del mercato europeo del metano (ma anche di quello mondiale): la crisi, prima finanziaria e poi economica, ha sensibilmente ridotto la domanda di gas naturale nel Vecchio Continente, per oltre 30 mld. m3. Di converso, sul fronte delle ragioni strutturali, quasi contestualmente l’offerta globale di metano si è arricchita grazie al sempre maggiore sfruttamento dello shale gas statunitense, che ha trasformato il mercato americano da importatore (cui erano in larga parte destinate le nuove capacità di liquefazione che si andavano a realizzare in Medio Oriente e Nord Africa) a potenziale esportatore netto. Il combinato disposto di questi due fattori ha portato il bacino europeo a trovarsi in un’insolita situazione di ecces- Tab. 1 - GAS COMMERCIALIZZATO ALL’INGROSSO IN BASE A DIFFERENTI MECCANISMI DI PREZZO, 2009 Nord America Ex URSS Europa Medio Oriente Asia-Pacifico Asia America Latina Africa Indicizzazione al petrolio (%) Solo prezzi gas (%) 0,0 0,0 67,0 5,8 53,2 31,5 15,3 6,4 98,8 20,9 28,1 0,3 5,7 3,1 14,0 0,0 Regolato/ amministrato (%) 0,0 66,0 0,0 83,4 0,0 64,0 55,9 88,3 Totale (mld. m3) 800 625 555 341 330 218 129 98 Fonte: elaborazione su dati Nexant Global Gas e International Gas Union (2011). 33 ENERGIA 4/2011 so di offerta di gas («mercato lungo»), potendo contare non solo sui volumi contrattualizzati nei tradizionali GSA di lungo termine, ma anche sui carichi di gas naturale liquefatto (GNL) originariamente destinati alla East Coast statunitense e dirottati verso i rigassificatori comunitari, che dopo l’avvento dello shale gas rappresentavano l’unica possibilità di assorbimento alternativa ai mercati asiatici. L’abbondanza di gas nel continente europeo ha scaricato i suoi effetti sulle quotazioni presso i principali hubs comunitari, presso i quali il prezzo di mercato del metano emerge dalla normale interazione fra domanda e offerta (Weijermars 2011). Durante il 2009 e il 2010, il prezzo agli hubs si è ridotto rispetto ai valori del gas indicizzato anche fino alla metà (Fig. 1). Questo fenomeno di allontanamento delle quotazioni di mercato del metano dai valori impliciti nei GSA (ancorati al petrolio) viene indicato come disaccoppiamento (decoupling). Tale fenomeno ha creato nuove opportunità di trading e di profitto, di cui hanno beneficiato gli operatori che si sono potuti approvvigionare sugli hubs a prezzi a pronti più com- petitivi di quelli dei GSA. Al contrario, le quantità importate a prezzi indicizzati per rispettare le rigide clausole takeor-pay hanno addossato importanti perdite sulle spalle dei sottoscrittori di contratti di lungo termine. Dinanzi alle inaspettate condizioni del settore, i più importanti operatori europei hanno cercato e stanno tuttora cercando di rivedere i loro GSA con le controparti extraUE, sulla base delle clausole di rinegoziazione e dei test di revisione previsti negli accordi di lungo termine (Frisch 2010), prevedendo maggiore flessibilità nei loro contratti e maggiori volumi a prezzi slegati dall’indicizzazione dominante al petrolio e correlati invece anche alle quotazioni negli hubs continentali più liquidi (l’inglese National Balancing Point, l’olandese Title Transfer Facility, il belga Zeebrugge e il tedesco NetConnect). 2. A FAVORE E CONTRO IL DISACCOPPIAMENTO Il dibattito sulla preferibilità di un sistema con prezzi indicizzati o di un meccanismo che invece esuli dalle dinamiche del settore petrolifero non Fig. 1 - PREZZO MEDIO ANNUO DEL GAS IMPORTATO IN GERMANIA (INDICIZZATO) E DEL GAS QUOTATO ALL’HUB BRITANNICO (NBP) E STATUNITENSE (HENRY HUB) (euro/m3) 0,30 0,30 0,25 Spot NBP Indicizzato import Germania (BAFA) Spot Henry Hub 0,25 0,20 0,20 0,15 0,15 0,10 0,10 0,05 0,05 1999 2001 2003 2005 2007 Fonte: elaborazione su dati BAFA, BP, EIA-DOE, Thomson Reuters. 34 2009 2011 ha finora trovato, nemmeno teoricamente, una conclusione univoca, per via dei numerosi fattori da tenere in considerazione e degli effetti che una simile trasformazione potrebbe avere sullo sviluppo del settore. La più immediata critica, di carattere prettamente economico, che può essere mossa al sistema d’indicizzazione al petrolio è quella relativa alla distorsione dei segnali di prezzo. Far dipendere il prezzo del gas da quello dei prodotti petroliferi non fornisce infatti agli operatori del settore metanifero, e a cascata anche ai consumatori, i giusti segnali di prezzo per orientare le proprie scelte. Inoltre, si fanno dipendere i prezzi di una commodity che ad oggi è scambiata ancora su scala regionale da quelli di un’altra che invece ha una connotazione più globale. Appare evidente come in questo modo i segnali di prezzo non possano riflettere né i fondamentali del mercato né la situazione precipua del bacino di consumo europeo (IEA 2011). Su questo primo punto, i difensori dell’indicizzazione al petrolio oppongono che al sacrificio dei segnali di prezzo corrisponde un vantaggio derivante dalla riduzione nella volatilità del prezzo del metano oil-indexed, grazie all’applicazione di formule calcolate sulla media dei prezzi del petrolio e dei prodotti petroliferi con un prefissato ritardo temporale di 6-9 mesi. La minore volatilità delle quotazioni del gas oil-linked e l’allocazione del rischio prezzo e volume tra produttori e consumatori, in ultima analisi, renderebbero possibili gli investimenti nella filiera altrimenti non realizzabili (Stern 2007). Infatti, nel caso di un prezzo gas sganciato dal greggio e più volatile, anche gli effetti ciclici del prezzo sarebbero amplificati e im- ENERGIA 4/2011 patterebbero sulle scelte d’investimento degli operatori e sulla loro tempistica. A periodi dominati da un significativo eccesso di offerta seguirebbero periodi di eccesso di domanda, come caratteristico di tutti quei settori in cui l’ingresso di nuova capacità/infrastrutture – per ribilanciare il rapporto domanda-offerta – può avvenire solo nel medio termine. Con un problema di non poco conto da aggiungersi nelle fasi di «mercato corto»: garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. I sostenitori dell’oil-indexed gas riconoscono poi a tale metodo la capacità di contrastare pratiche lesive della concorrenza da parte dell’oligopolio di Paesi esportatori (Finon 2008). Questo punto, tuttavia, sembrerebbe abbastanza debole. Anzitutto perché altre sono le modalità con cui il Vecchio Continente può combattere la propria dipendenza da un ristretto numero di produttori, ad esempio diversificando i propri approvvigionamenti attraverso il GNL, così da rendere più difficile un coordinamento tra i produttori delle loro decisioni, finalizzato a ridurre gli investimenti per ricreare in futuro condizioni di «mercato del venditore». Inoltre, il meccanismo d’indicizzazione non fa altro che fissare il metodo ed i tempi di aggiornamento del prezzo del metano, ma non necessariamente i suoi livelli assoluti (Stern e Rogers 2011). In una prospettiva di carattere più geopolitico e finanziario, i fautori del disaccoppiamento sottolineano come l’Europa abbia bisogno dei suoi fornitori di gas in misura non dissimile da quanto questi ultimi necessitino del loro principale mercato di sbocco per la vendita dei prodotti energetici che incidono largamente sui loro bilanci pubblici. Alme- no nel breve termine, infatti, essi non potranno dirottare la maggior parte della propria produzione di metano verso altri bacini di consumo – a meno di rinunciare al completo ammortamento delle infrastrutture di trasporto alla cui realizzazione hanno altresì contribuito – dovendo quindi riconoscere un certo potere monopsonistico anche al mercato europeo. Infine, a favore dell’indicizzazione, si è già ricordato come sul lato della domanda sia ormai scarsa la sostituibilità tra i due combustibili, mentre sul versante dell’offerta esista un’integrazione intersettoriale tra attività di esplorazione ed estrazione di petrolio e gas, tale da giustificare l’interesse dei produttori a mantenere i meccanismi di prezzo vigenti. Gli stessi preferiscono inoltre mantenere il gas indicizzato al greggio poiché il consumo di petrolio su scala globale è un buon indicatore dello stato dell’economia mondiale e inoltre la domanda di petrolio nel mediolungo termine è minacciata in misura minore rispetto a quella di gas, che dovrà affrontare la sfida delle fonti rinnovabili e delle fossili a emissioni zero. In questo modo anche i flussi nelle casse dei Paesi produttori rimarrebbero maggiormente correlati allo stato dell’economia nel suo complesso. 3. È TEMPO PER IL DECOUPLING NEL BACINO EUROPEO? Dopo avere brevemente presentato il tema del disaccoppiamento e le ragioni teoriche a favore e contro l’emancipazione del prezzo gas dal greggio, il prossimo passo sarà quello di vagliare se un decoupling durevole in Europa possa affermarsi già adesso o piut- tosto nei prossimi anni e solo a condizione che alcune criticità vengano superate. La prima condizione fondamentale affinché il disaccoppiamento possa radicarsi in Europa in maniera stabile è che il mercato si trovi in una situazione di eccesso di offerta (al limite anche solo potenziale) tale da non tenere gli importatori europei sotto lo scacco dei loro maggiori fornitori. Si stima che la domanda di gas nel bacino europeo nel 2012 ammonterà a circa 500 mld. m3, potendo contare su una produzione dei Paesi UE di circa 160 mld. m3 e su almeno 94 mld. m3 di produzione norvegese – ipotizzando cautelativamente che i volumi del terminale di liquefazione norvegese Snohvit (6 mld. m3) vengano destinati ai Paesi asiatici che ad oggi offrono un premio più elevato ai volumi di GNL (Fig. 2). Ne deriva che, come già osservato, circa la metà del fabbisogno di gas (250 mld. m3) dovrà essere soddisfatta ricorrendo alle importazioni da Paesi non europei. Il Vecchio Continente potrà inoltre contare su una capacità massima di rigassificazione pari a circa 180 mld. m3/anno. Tale capacità giocherà un ruo- 35 ENERGIA 4/2011 Fig. 2 - NETBACKS RICONOSCIUTI AI CARICHI DI GNL DAL QATAR, PER PAESE DI DESTINAZIONE (euro/m 3) 0,45 0,45 0,35 Spagna Belgio Francia Giappone 0,35 0,25 0,25 0,15 0,15 0,05 0,05 Dic 2009 Giu 2010 Dic 2010 Giu 2011 Fonte: elaborazione su dati Waterborne. lo importante in termini di concorrenza potenziale per mostrare ai principali partner commerciali l’esistenza di un’alternativa al loro gas. Ciononostante, se anche immaginassimo un pieno sfruttamento dei rigassificatori, l’Europa non sarebbe comunque in grado di sostituire i propri volumi di importazione a mezzo gasdotto, senza dimenticare poi che buona parte dei volumi di GNL vengono importati nel Vecchio Continente sulla base di contratti di lungo termine dalle formule indicizzate analoghe a quelle del gas via pipelines, stipulati proprio in sede di avvio dell’investimento in rigassificazione per assicurarsi la materia prima da processare nel proprio impianto. Si consideri, infatti, che la quota del mercato spot del GNL conta ancora per il 20% del gas liquefatto scambiato nel 2010 su scala mondiale (International Gas Union 2011). È inevitabile che i fornitori extra-europei mantengano, nel complesso, il proprio ruolo pivotale nel soddisfacimento dei fabbisogni continentali di gas naturale. Tuttavia, la costituzione di un cartello tra i Paesi fornitori, capace quindi di sfruttare appieno tale pivotalità, appare per il momento improbabile (e forse impossibile), 36 poiché un cartello tra i fornitori europei di gas, come l’OPEC nel caso del petrolio, avrebbe ad oggi ben poche leve su cui agire. La maggior parte dei volumi esportati in Europa, infatti, prevede l’applicazione di formule di prezzo simili con rigidi vincoli volumetrici (Clô 2008). Parallelamente, è altresì remota l’ipotesi in cui i Paesi fornitori dell’Europa si avventurino in una competizione di prezzo così forte da spingerli ad abbandonare il metodo d’indicizzazione. Piuttosto, sapendo di competere per una domanda europea che nei prossimi anni sarà piuttosto stagnante (per la difficile situazione economica e la sempre maggiore penetrazione delle energie rinnovabili), i diversi fornitori saranno disponibili a qualche concessione ai consumatori europei, nel tentativo di difendere le proprie quote di mercato, ma al contempo evitando di riconoscere condizioni di flessibilità per volumi tali da fare da volano ad un impiego sempre più massiccio delle quotazioni spot. A meno dell’affermarsi di una nuova struttura del mercato globale del gas, i tempi appaiono quindi non essere ancora maturi affinché in Europa vengano progressivamente abbandonate le strutture contrattuali oggi vigenti. Allargando l’orizzonte temporale al medio termine, tuttavia, si stagliano all’orizzonte almeno due fattori che potranno incidere in modo significativo sulla struttura del settore: il gas non convenzionale e un mercato globale del gas. Fino ad oggi gli effetti del gas non convenzionale (tight gas, shale gas e coal-bed methane) si sono fatti sentire principalmente sul mercato statunitense, tuttavia il potenziale di questa evoluzione ha una portata enorme. L’Energy Information Administration (EIA) ha recentemente pubblicato un primo rapporto sulle prospettive del gas non convenziona- Fig. 3 - STATI UNITI: ANDAMENTO DEI CONSUMI E DELLE IMPORTAZIONI ANNUALI (mld. m3) 700 120 680 100 660 80 640 60 620 40 600 Consumi (scala dx) Imp. nette (scala sn) 20 0 2002 2004 Fonte: elaborazione su dati EIA-DOE. 580 2006 2008 2010 560 ENERGIA 4/2011 le da cui si evince che le riserve ad oggi provate di metano nei 32 Paesi analizzati ammonterebbero a meno di un quinto delle riserve stimate di gas non convenzionale nelle stesse aree geografiche (EIA 2011). Negli ultimi anni la rivoluzione dello shale gas statunitense ha ridotto drasticamente le importazioni nette degli Stati Uniti: dai 105 mld. m3 del 2007 ai 64 del periodo luglio 2010-giugno 2011. Per meglio comprenderne l’impatto, si consideri che nello stesso arco temporale i consumi totali di metano statunitensi sono invece aumentati di circa 40 mld. m3 (Fig. 3), più che soddisfatti da un incremento della produzione domestica di 80 mld. m3. Tale incremento produttivo ha così avuto un effetto dirompente sul mercato nordamericano del metano e ne ha depresso in modo permanente il prezzo presso l’Henry Hub (Fig. 1). Del resto, il mercato americano si era finora inserito nelle rotte commerciali mondiali di GNL come importatore e quindi non è dotato – almeno per ora – di infrastrutture di liquefazione per destinare l’eccesso di gas verso i maggiori bacini importatori (Asia ed Europa), ad eccezione di un terminale in Alaska che serve il mercato giapponese. I progetti per nuovi terminali di liquefazione negli Stati Uniti si trovano a diversi stadi del processo autorizzativo e potranno affacciarsi sul mercato solo a partire dal 2015. Per il terminale di Sabine Pass da 11 mld. m3/anno la prevista entrata in esercizio al 2015 appare più probabile ora che oltre la metà della capacità è stata già assegnata con un contratto ventennale il cui prezzo è ancorato al prezzo dell’Henry Hub. A Lake Charles e Freeport (finora terminali di rigassificazione) si progetta invece di convertire gli impianti per una capacità di liquefazione rispettivamente fino a 18 e a 5 mld. m3/anno. Nel frattempo, tra gennaio 2007 e giugno 2011 le importazioni statunitensi di gas liquefatto si sono ridotte di 11 mld. m3/anno, lasciati a disposizione degli altri bacini di consumo mondiali. Ai tassi di riduzione delle importazioni di GNL degli ultimi 12 mesi, è possibile stimare che già nel 2012 gli Stati Uniti avranno lasciato agli altri mercati ulteriori 5 mld. m3 rispetto ai volumi importati nel 2010. Dal più recente rapporto del Group International des Importateurs du Gas Naturel Liquéfié (GIIGNL 2011) si evince che nel 2010 sono stati scambiati su scala globale oltre 650 mld. m3 di GNL. Se anche il Giappone – alle prese con la ricostruzione e la conversione energetica post-Fukushima – nei prossimi anni sfruttasse al massimo l’intera capacità nominale di rigassificazione di cui dispone (circa 255 mld. m3/ anno) residuerebbero comunque per gli altri bacini di consumo circa 400 mld. m3/anno di GNL. Il crescente interesse di Paesi asiatici come la Cina a dotarsi di terminali di rigassificazione, per soddisfare la prevedibile maggiore sete di gas dei prossimi anni privilegiando la diversificazione dei propri approvvigionamenti, apre poi ulteriori interrogativi sull’adeguatezza della capacità di liquefazione installata e in costruzione e sulla possibilità di creare un vero mercato globale del metano grazie al GNL. Già nel 2010 il tasso di impiego degli impianti di liquefazione è cresciuto fino all’81% (con una capacità nominale di 361 mld. m3/anno) mentre la capacità di rigassificazione (di circa 800 mld. m3/anno) è stata decisamente sottoutilizzata, per un tasso medio del 37% su scala globale e con punte del 42% e del 50% rispettivamente nel bacino asiatico ed europeo. Aveva ragione Jonathan Stern a lamentare la mancanza di nuovi progetti di liquefazione già all’epoca dei record di prezzo delle materie prime e prima della crisi e della stretta finanziaria che ne è scaturita (Stern 2008). Lo stallo dei nuovi investimenti nel settore fa sì che si preveda l’entrata in esercizio di capacità per appena una decina di miliardi di metri cubi entro il 2014 (in Nigeria e Australia), mentre gli altri progetti per nuova liquefazione potrebbero vedere la luce solo a partire da tale data. Il lato della liquefazione sarà dunque il vero collo di bottiglia del mercato del GNL nei prossimi anni (senza dimenticare poi eventuali bottlenecks insiti nell’adeguatezza di una sufficiente flotta di navi cisterna per il trasporto del GNL). 4. ALCUNE CONCLUSIONI Un decoupling tra gas e greggio che possa affermarsi in Europa in via duratura e stabile non può quindi che dipendere da due fattori decisivi e interdipendenti: (a) una nuova fase di investimenti infrastrutturali in terminali di liquefazione e rigassificazione; (b) le conseguenze geopolitiche (e strategiche) che lo sfruttamento del gas non convenzionale potrà avere sulla distribuzione delle riserve mondiali. I nuovi investimenti nel mercato del GNL dovrebbero servire da apripista per l’affermarsi di un sempre più ampio mercato (spot, ma non solo) del gas e quindi per consentire una convergenza dei prezzi spot dei maggiori bacini di consumo grazie alle operazioni di arbitraggio sempre più in uso. Questa possibilità, in condizioni di eccesso di offerta, 37 ENERGIA 4/2011 porterebbe l’Europa ad un nuovo disaccoppiamento come quello che ha seguito la crisi del 2009. Il decoupling congiunturale non potrà che rimettere sotto pressione gli operatori con importanti quote di gas oilindexed nel proprio portafoglio e, a cascata, aumentare la pressione degli stessi sui fornitori per un abbandono delle classiche formule contrattuali. Con un prevedibile limitato successo, proprio come oggi, nell’attesa che l’eccesso di offerta venga ciclicamente riassorbito. Il gas non convenzionale potrebbe essere proprio il fattore capace di scardinare in maniera stabile il settore e promuovere il disaccoppiamento dei prezzi. Certo, non potrà esserlo nel breve termine, dal momento che in Europa il suo sfruttamento è ancora agli albori e rischia di essere frenato dalle normative ambientali nazionali (come in Francia) o comunitarie ancora prima di vedere la luce. Anche sul tema dello shale gas, per il quale esiste un forte trade-off tra sostenibilità ambientale, sicurezza energetica e costo dei futuri approvvigionamenti di gas, l’Europa avrebbe bisogno di una politica energetica condivisa che però non dimentichi la necessità di permettere al tessuto produttivo comunitario di competere a pari armi con la competizione globale. Inoltre, il costo di produzione del gas non convenzionale non è più economicamente vantaggioso, almeno negli Stati Uniti, rispetto al prezzo di mercato che la recessione e l’esplosione dello shale gas hanno depresso sui 0,10 cent di euro/m3 (Macrì 2011). Così si stima che il ruolo del gas non convenzionale in Europa sarà ancora molto residuale fino almeno al 2020 (Gény 2010). Nel frattempo, saranno invece investimenti in altre infrastrutture a poter piuttosto allontanare il decoupling dal petrolio, come nel caso in cui la Russia riuscisse a ridurre il potere monopsonistico dell’Europa aprendosi nuove rotte commerciali verso i grandi Paesi consumatori dell’Asia (Henderson 2011) prima che l’Europa abbia efficacemente diversificato i propri approvvigionamenti. In questa particolare corsa agli investimenti infrastrutturali il Vecchio Continente appare svantaggiato rispetto ad un avversario russo-cinese: la congiuntura macroeconomica e finanziaria europea non arride allo sviluppo di investimenti caratterizzati da elevati costi iniziali; le condizioni del mercato del gas non incentivano poi nemmeno i produttori a investire i propri capitali nella realizzazione di nuove strutture di liquefazione o nell’incremento della produzione (anche non convenzionale); mentre l’incertezza sulle formule di prezzo che saranno adottate in futuro consigliano piuttosto di ritardare i nuovi investimenti, specie se pura- mente merchant esposti alla ciclicità del mercato. Uno stabile disaccoppiamento di prezzo rimarrà quindi in attesa che la corsa alle infrastrutture tra Europa e Russia rafforzi in misura incontrovertibile la posizione della prima o che comunque la maggior parte dei contratti di importazione di lungo termine raggiungano la loro naturale scadenza e debbano essere rinegoziati sulla base delle condizioni di mercato che prevarranno in quel momento. A titolo esemplificativo, nel solo caso italiano entro il 2020 verranno a scadere contratti inerenti il 30% dei volumi oggetto di accordi di lungo termine, ed entro il 2025 scadranno accordi per un ulteriore 20% dei volumi ad oggi assicurati (AEEG 2011). Nel frattempo, a meno di un double dip che riporti l’economia globale nel baratro o di un’ulteriore accelerazione nella fuga dal nucleare, è ragionevole attendersi che i Paesi esportatori continuino a cercare, in modo discreto, un equilibrio tra il mantenimento della propria quota di mercato e la difesa delle formule di prezzo tradizionali, con soluzioni che non scontentino del tutto nessuna delle parti al tavolo, rimandando di qualche anno il momento in cui scoprire tutte le proprie carte quando sarà più chiaro l’impatto che shale gas e GNL avranno sul mercato continentale e globale. Bologna, Novembre 2011 Questo articolo è scritto dagli Autori a titolo personale e le opinioni espresse non rappresentano necessariamente quelle delle società di appartenenza. 38 ENERGIA 4/2011 NOTE (1) A titolo esemplificativo una formula di indicizzazione è generalmente così strutturata: Pt = P0 + α1 (ΣPC1t-k+i – PC10) + α2 (ΣPC2t-k+i – PC20) dove Pt (prezzo della fornitura di gas al mese t) dipende: dal termine fisso P0, dal valore medio delle quotazioni giornalie- re delle commodities C1 e C2 (prodotti derivati del petrolio e sostituti del gas negli usi finali), espresse in euro, tra il kesimo mese antecedente il mese t e il mese t – 1, dai termini fissi PC1 e dai coefficienti α che esprimono il peso relativo di ciascuna commodity e l’appropriato fattore di conversione energetica. BIBLIOGRAFIA Autorità per l’Energia Elettrica e per il Gas (2011), http:// www.autorita.energia.it/it/dati/gm11.htm BANDINI A., ORLANDINI A. 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