La legislazione sulle Cfc (1) Dal diritto comparato alla situazione italiana (2) La situazione in Italia L’Ocse nel Rapporto (1998) “Harmful tax competition: an emerging global issue”, ha invitato gli Stati membri a promulgare una legislazione volta a contrastare il fenomeno delle Controlled foreign companies. L’Italia non era dotata, all’epoca, di una normativa sul tema paragonabile a quella attualmente vigente. E questo sebbene sia necessario evidenziare che il rapporto Ocse del 19961 ricomprendeva nel novero della “Cfc legislation” adottata dai Paesi Ocse (cfr. Chapter II – Cfc legislation in OECD countries): - l’articolo 76 comma 7 bis Tuir (oggi articolo 110 comma 10 Tuir2) che, prima delle modifiche apportate dalla legge 342/20003, disponeva l’indeducibilità dei componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con società controllate o controllanti residenti in “paradisi fiscali” di cui alla black list del decreto ministeriale 24 aprile 19924 (lista che, più opportunamente, l’Ocse ha definito composta da una vera e propria black list di ventisei Stati, e due grey list tra loro distinte in quanto ad operatività della norma). - la previsione dell’articolo 20 bis Tuir (oggi articolo 166 Tuir5) che parifica il trasferimento all’estero della sede imprenditoriale al realizzo dei componenti aziendali, salvo che questi ultimi non confluiscano in una stabile organizzazione sita nel medesimo Stato. Di conseguenza, a parere dell’Ocse, una normativa relativa alle “Cfc” (perlomeno in senso lato) era già presente nel nostro ordinamento prima della riforma operata dalla legge n. 342 del 21 novembre 2000. La relazione governativa a quest’ultima legge, che ha introdotto in Italia una norma dedicata alla imputazione del reddito relativo alle società controllate estere (l’originario articolo 127 bis Tuir), ha evidenziato che tale innovazione “costituisce accoglimento di una esplicita raccomandazione 1 “Studies in taxation of foreign source income – Controlled Foreign Companies Legislation”. Articolo 110 comma 10 Tuir: “Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti”. 3 La circolare 207/2000 ha precisato che prima della riforma le disposizioni di cui all’articolo 76, comma 7 bis del Tuir “si applicavano solo alle operazioni intercorse tra imprese residenti e società situate in Paesi extra-comunitari con regime fiscale privilegiato, le quali direttamente o indirettamente controllavano l'impresa, ne erano controllate, o erano controllate dalla stessa società controllante l'impresa ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile. La presente stesura dello stesso comma amplia la portata delle misure antielusive a tutti i rapporti commerciali posti in essere con imprese (non solo società) situate in Paesi e territori a regime fiscale privilegiato, prescindendo totalmente dall'esistenza di qualsiasi legame di controllo”. 4 Oggi la black list inerente l’articolo 110 comma 10 Tuir è contenuta nel D.M. 23/1/2002, che a partire dal 18/1/2002 ha sostituito il previgente D.M. 24/4/1992. 5 Articolo 166 Tuir, recante Trasferimento all’estero della residenza o della sede: “Il trasferimento all'estero della residenza o della sede dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, salvo che non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero (…)”. 2 1 dell’Ocse come forma di reazione alle pratiche di cosiddetta harmful tax competition” – riferendosi quindi al citato Rapporto del 1998. Esso, in effetti, ha in primo luogo identificato con un’ampia serie di parametri quali legislazioni fiscali possano essere considerate “tax havens and harmful preferential tax regimes”, ponendo tra gli indicatori, oltre a “no or low effective tax rates”, anche “lack of transparency”, “lack of effective exchange of information”, “negotiable tax rate or tax base”, “existence of secrecy provisions”, e così procedendo. Le raccomandazioni contenute nel Rapporto Tanto premesso il Rapporto ha formulato numerose raccomandazioni agli Stati membri in merito alle possibili tecniche legislative volte a scongiurare i danni provocati dai “paradisi fiscali”. In particolare segnalano le seguenti : • gli Stati che non hanno adottato una legislazione Cfc, o regole similari come misura di contrasto contro la competizione fiscale dannosa dei “paradisi fiscali” sono invitati a farlo; • gli Stati che non hanno adottato una legislazione volta a monitorare le transazioni e le operazioni effettuate all’estero dai propri contribuenti sono invitati a farlo e a condividere le informazioni con altri Stati; • gli Stati in cui vige l’istituto del ruling, cioè un procedimento amministrativo che regoli in anticipo la posizione fiscale di un contribuente relativamente ai suoi comportamenti futuri, sono invitati a rendere pubbliche le condizioni necessarie per ottenere, vedere negato o revocato il provvedimento amministrativo; • gli Stati dovrebbero riformare la propria legislazione sull’accesso alle informazioni bancarie, nel senso di rimuovere eventuali ostacoli eventualmente esistenti per le autorità fiscali; • gli Stati dovrebbero utilizzare in misura maggiore, e con modalità più efficienti, lo scambio di informazioni di cui siano in possesso relative ai paradisi fiscali; • gli Stati che sono legati a “tax havens” con trattati in materia fiscale dovrebbero rinunciare alla loro applicazione, e/o evitare la loro stipulazione. Con riferimento alla prima raccomandazione è quindi stato introdotto l’articolo 127-bis del Tuir, oggi articolo 1676. 6 Rispetto al previgente articolo 127 bis, l’articolo 167 presenta alcune lievi modifiche al comma 5, volte a chiarire l’alternatività delle due esimenti necessarie per la disapplicazione. L’articolo 167 (commi 1-5) dispone che: “1. Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati ai predetti regimi fiscali privilegiati. 2. Le disposizioni del comma 1 si applicano alle persone fisiche residenti e ai soggetti di cui agli articoli 5 e 87, comma 1, lettere a), b) e c). 3. Ai fini della determinazione del limite del controllo di cui al comma 1, si applica l' articolo 2359 del codice civile, in materia di società controllate e società collegate. 4. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreti del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti. 5. Le disposizioni del comma 1 non si applicano se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che: a) la società o altro ente non residente svolga un'effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nello Stato o nel territorio nel quale ha sede; b) dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati di cui al comma 4. Per i fini di cui al presente comma, il contribuente deve interpellare preventivamente l'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 212 del 27 luglio 2000, recante lo statuto dei diritti del contribuente.(….) 2 Esso dispone l’imputazione al soggetto controllante residente del reddito conseguito da una impresa, una società o altro ente residente o localizzato in Stati o territori a fiscalità privilegiata, in proporzione alla partecipazione detenuta. L’imputazione potrà essere evitata soltanto dimostrando preventivamente all’Amministrazione finanziaria, tramite la procedura di interpello di cui all’articolo 11 della legge 212/2000, che il soggetto controllato svolge, come sua principale attività, una effettiva attività commerciale o industriale nel Paese in cui ha sede (ed è quindi da considerarsi operativo e non costituito con mere finalità elusive), o che i redditi di tale soggetto non sono sottoposti ai regimi fiscali privilegiati identificati dalla normativa. Le precisazioni contenute nella norma La norma opera poi due rilevanti precisazioni: • il controllo, corrispondente alla definizione offerta dall’articolo 2359 del codice civile può essere esercitato anche tramite società fiduciarie o per interposta persona. Il termine “persona”, come evidenziato dalla circolare 207/2000, deve essere inteso in un’accezione ampia “in senso conforme all'interpretazione estensiva dello stesso adottata dalla normativa internazionale nel settore fiscale ed in particolare nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni. A tale proposito il Modello Ocse di Convenzione, nel definire la "persona", all'articolo 3 precisa che questa espressione comprende le persone fisiche, le società e qualunque altro ente … composto di persone. Inoltre a tale proposito il Commentario precisa che il termine persona è usato in senso molto lato e <<comprende ogni ente che, sebbene non sia esso stesso un insieme di persone, è trattato come un corpo sociale a fini fiscali>>”. • rilevano, ai fini dell’ imputazione del reddito, anche le stabili organizzazioni assoggettate a un regime fiscale privilegiato (stabili organizzazioni relative a una società controllata estera non localizzata in un “paradiso fiscale”). Questa previsione sembra ricalcare l’analoga estensione operata dalla legislazione francese. L’identificazione dei regimi fiscali privilegiati è stata demandata al decreto ministeriale 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001. La ratio su cui si basa la scelta degli Stati o territori operata dal decreto ministeriale è quella evidenziata al comma 4 dell’articolo 167 del Tuir, ovvero: 1) livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia; 2) assenza di un adeguato scambio di informazioni; 3) altri criteri equivalenti. In particolare, la circolare ministeriale 207/2000 ha precisato che “una <<tassazione sensibilmente inferiore>> è riscontrabile non solo con riferimento al livello delle aliquote delle imposte di un determinato Paese o del territorio, ma anche alle caratteristiche strutturali dei tributi, la cui applicazione comporti, di fatto, una tassazione inferiore in capo al contribuente. (…) Potranno essere considerati a fiscalità privilegiata, ad esempio, Stati e territori le cui aliquote d'imposta siano eccessivamente basse ed altri in cui le aliquote siano paragonabili a quelle italiane ma, in ipotesi, adottino regole generali di formazione della base imponibile notevolmente difformi, con la conseguenza che la tassazione risulta di fatto sensibilmente inferiore”. La legislazione Cfc del nostro ordinamento si è infine arricchita, con la riforma Ires, di quanto disposto dall’articolo 168 Tuir, che ricomprende nella disciplina dell’imputazione reddituale (seppur con criteri peculiari) anche i redditi conseguiti da soggetti esteri residenti nei predetti paradisi fiscali e partecipati al 20 per cento (o al 10 per cento, se quotati in Borsa) da soggetti residenti in Italia. 3 Un ulteriore elemento che distingue l’articolo 168 dall’articolo 167, oltre alle differenti modalità di determinazione del reddito da imputare, è costituito dalla irrilevanza delle stabili organizzazioni (relative a imprese estere collegate) assoggettate a regimi fiscali privilegiati. Alla luce della rubrica dell’articolo 168, recante “Disposizioni in materia di imprese estere collegate”, ci si potrebbe chiedere se sia corretto ricomprendere l’articolo nella disciplina sanzionatoria relativa alle “Cfc”, ovvero “società controllate estere” (controlled foreign companies). Il requisito del control In realtà il requisito del “control” è inteso, nella legislazione degli Stati Ocse, in senso più ampio di quello prospettato dal nostro articolo 2359 del codice civile, quest’ultimo corrispondente invece al concetto di “substantial influence”. Nella legislazione francese, ad esempio, il grado di partecipazione necessario perché operi la disciplina Cfc è del dieci per cento; in alcuni ordinamenti di common law si parla di “de facto control”, che non corrisponde cioè alla titolarità della maggioranza delle quote, ma viene ritenuto sussistente già a partire dal 40 per cento. La promulgazione del nuovo articolo 168 ha così posto in linea la nostra legislazione con gli ordinamenti degli altri Paesi industrializzati cosiddetti “a fiscalità avanzata”, rafforzando gli strumenti di tutela nei confronti dei paradisi fiscali. Antonio Karabatsos 4