UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Facoltà di Ingegneria Dipartimento di Ingegneria Meccanica Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Aerospaziale Tesi di laurea ANALISI FLUIDODINAMICA NUMERICA DI COPPIE GENOARANDA DI UN’IMBARCAZIONE A VELA CLASSE METEOR Relatore: Prof. Ing. Marco ANTONELLO Correlatore: Prof. Ing. Andrea LAZZARETTO Laureando: Fabio BIESSO Anno accademico 2007-2008 I Indice SOMMARIO 1 Cap. 1 - INTRODUZIONE 3 Cap. 2 - FONDAMENTI 7 2.1 La barca a vela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2.2.1 Il Meteor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 2.2 Le vele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 2.2.1 Le caratteristiche progettuali . . . . . . . . . . . . . 9 2.2.2 La sovrapposizione. . . . . . . . . . . . . . . . . 11 2.2.3 La vela di prua. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 2.2.4 La randa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 2.3 Il vento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 2.4 Le andature . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 2.5 Cinematica e dinamica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 2.5.1 Cinematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 2.5.2 Dinamica.. . . . . . . Cap. 3 – MODELLI . . . . . . . . . . . . 20 23 3.1 Il modello geometrico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 3.1.1 Le coppie genoa-randa. . . . . . . . . . . . . . . . 23 3.1.2 Lo scafo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 3.1.3 La galleria del vento. . . . . . . . . . . . . . . . . 31 3.1.4 L’assemblaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3.1.5 La creazione della pre-mesh di superficie. . . . . . . . . . 34 3.2 Il modello fluidodinamico. . . . . . . . . . . . . . . . . 39 3.2.1 La costruzione della griglia . . . . . . . . . . . . . . 39 II 3.2.2 Definizione del modello fisico . . . . . . . . . . . . . 46 3.2.3 Definizione delle condizioni al contorno. . . . . . . . . . 50 Cap. 4 – ANALISI E RISULTATI 55 4.1 Analisi delle geometrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 4.1.1 Le coppie genoa-randa. . . . . . . . . . . . . . . . 55 4.2 Analisi di sensibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 4.3 Risultati delle simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 4.3.1 Prima serie di prove: l’influenza dell’entità del grasso . . . . . 65 4.3.1.1 Prova 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 4.3.1.2 Prova 2. . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 4.3.1.3 Prova 3. . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 4.3.1.4 Prova 4. . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 4.3.1.5 Commenti ai risultati . . . . . . . . . . . . . 83 4.3.2 Seconda serie di prove: l’influenza della posizione del grasso. . . 88 4.3.2.1 Prova 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 4.3.2.2 Prova 2. . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 4.3.2.3 Prova 3. . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 4.3.2.4 Prova 4. . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 4.3.2.5 Commenti ai risultati . . . . . . . . . . . . . 102 CONCLUSIONI 105 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 107 App. A – PIANI UFFICIALI CLASSE METEOR 109 A.1 Tavola 01 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 A.2 Tavola 02 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 A.3 Tavola 03 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 A.4 Tavola 04 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 III A.5 Tavola 05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 App. B – THINKDESIGN® E LA MODELLAZIONE PER SUPERFICI 115 B.1 Thinkdesign® B.2 Teoria di riferimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 App. C – RAPIDFORM® E LE SINGOLARITÀ NELLE MESH ® 121 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 C.1 Rapidform C.2 Singolarità nelle mesh. . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 App. D – STAR-CCM+® E I MODELLI DI TURBOLENZA 125 D.1 STAR-CCM+® . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 D.2 I modelli di turbolenza. . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 D.2.1 Scelta del modello di turbolenza . . . . . . . . . . . . 125 D.2.2 Proprietà dei flussi turbolenti . . . . . . . . . . . . . 126 D.2.3 Equazioni di Reynolds . . . . . . . . . . . . . . . 129 D.2.4 Modelli algebrici degli sforzi turbolenti. . . . . . . . . . 131 D.2.5 Modelli a due equazioni. . . . . . . . . . . . . . . 133 D.2.6 Modello k-İ. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 D.2.7 Modelli vicino a parete . . . . . . . . . . . . . . . 137 D.2.8 Funzioni di parete. . . . . . . . . . . . . . . . . 138 D.2.9 Funzioni di parete. . . . . . . . . . . . . . . . . 141 GLOSSARIO DEI TERMINI VELICI E NAUTICI 143 RINGRAZIAMENTI 149 IV 1 SOMMARIO L’obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare e confrontare tra di loro alcune coppie genoa-randa appartenenti ad un’imbarcazione a vela classe Meteor. Il lavoro preliminare è consistito in una ricerca bibliografica su testi o riviste specializzate, al fine di reperire la descrizione delle metodologie o la loro applicazione a casi che rientrassero nell’ambito di questa tesi. Successivamente, partendo da delle nuvole di punti ordinati forniti dalla veleria BluePhoenix[1], si sono modellate le vele. Si è inoltre creato anche uno scafo semplificato del Meteor e la galleria del vento virtuale in cui inserire il tutto. Il sistema è stato parametrizzato in modo da poter variare gli angoli di scotta per quanto riguarda le vele e gli angoli di scarroccio e sbandamento per quanto riguarda lo scafo. Si è resa infine necessaria la correzione della pre-mesh di superficie per evitare errori nel programma CFD. L’analisi vera e propria è stata preceduta da un’analisi geometrica e da una di sensibilità. La prima per evidenziare le differenze tra le varie coppie e quindi per scegliere dei criteri di confronto nelle simulazioni, la seconda per decidere quale fosse il numero adeguato di celle da utilizzare nella griglia di calcolo in ragione di tempo e risorse a disposizione. Nella prima serie di simulazioni si sono messe a confronto tre coppie genoa-randa in cui la freccia massima varia in entità ma la cui posizione rispetto all’inferitura non cambia. Nella seconda serie si sono confrontate due coppie invece in cui l’entità della freccia massima non varia mentre cambia la sua posizione. Per tutte le simulazioni sono stati fissati di volta in volta angoli di scotta, di scarroccio e di sbandamento mentre è stato fatto variare in angolo e intensità il vento apparente, somma vettoriale di un vento reale di gradiente e di una velocità ipotizzata della barca. [1] www.bluephoenix.it 2 3 Capitolo 1 INTRODUZIONE Fig. 1.1 – Due Classe Meteor in andatura di bolina. La comprensione del flusso dell’aria attorno alle vele di una barca a vela è di fondamentale importanza per l’analisi delle sue prestazioni, dev’essere quindi prestata molta attenzione a questo problema in modo da acquisire una completa conoscenza dei fenomeni coinvolti. Il progetto di una vela è molto complesso, ci sono una serie di fattori che vanno ad influenzarne le prestazioni ed è difficile stimare ognuno di essi. Al giorno d’oggi le vele sono costruite per essere rigide in certe condizioni di vento; tuttavia ciò non è sempre assolutamente vero. Inoltre, la velocità del vento non è costante; c’è un gradiente di velocità in direzione verticale e a riprova di questo fatto il grasso e lo svergolamento delle vele varia con l’altezza e ciò rende l’analisi ancor più difficile. La distanza tra le vele e il loro angolo rispetto al vento vengono decisi dallo skipper in accordo con le condizioni del vento e del mare. L’influenza dell’armo è importante e difficile da stimare quantitativamente. Inoltre 4 la barca ha un’inclinazione che varia e che è spesso diversa da quella ottimale. Tutti questi fattori danno origine ad uno schema di flusso diverso in ogni singolo caso e le prestazioni della vela variano di conseguenza. Dunque per ottenere vele che siano in grado di fornire alte prestazioni è necessario che ci sia un continuo e permanente scambio di informazioni tra progettisti e velisti. I programmi per la previsione della velocità (VPP) vengono usati per predire le prestazioni di una barca a vela considerando l’equilibrio tra forze e momenti aerodinamici e idrodinamici. Le forze e i momenti usati dai programmi VPP possono essere determinati in vari modi: usando la CFD, sfruttando modelli teorici o svolgendo esperimenti soprattutto in gallerie del vento. Alcuni programmi VPP usano metodi aviscosi per la simulazione del flusso attorno alle vele. Tale approccio è computazionalmente efficiente e piuttosto semplice da implementare. Tuttavia il suo campo di applicabilità è limitato perché esso è valido fino a che non si verifica la separazione; sfortunatamente la separazione del flusso è un fenomeno molto più comune di quanto non si pensasse in passato, e uno dei fattori che la provocano è la presenza dell’albero sul bordo d’attacco della randa (rif. [1]). Nonostante i recenti progressi la comprensione fisica del flusso attorno alle vele non è ancora ben capito. Ad oggi diversi studi sono stati dedicati allo studio dei flussi attorno a vele 2D ed a profili aerodinamici, con e senza la presenza dell’albero (rif. [1], [2], [3] e [4]). Si è prestata una speciale attenzione a profili sottili molto curvi per il fatto che è probabile la comparsa della separazione del flusso per una vasta gamma di numeri di Reynolds. Studi successivi si sono focalizzati sui casi più complessi di configurazioni fioccoalbero-randa (rif. [5]) o spinnaker-albero-randa (rif. [6]). Chopin e al. (rif. [7]) studiarono il caso di un catamarano e delle sue vele usando un codice CFD viscoso basato sulle equazioni di Navier-Stokes mediate su Reynolds (RANS). Clauss e Heisen (rif. [8]) usarono la fotogrammetria per ottenere la forma finale delle vele di DYNA, uno yacht a vela con a bordo un complesso sistema di dinamometri, e poi eseguirono l’analisi CFD del flusso. I dati sperimentali disponibili sono scarsi ed è davvero difficile trovare pubblicazioni che forniscano dati ottenuti da modelli in scala 1:1 in condizioni reali. Ciò è dovuto principalmente a due fattori: (a) la difficoltà di misurare la forma deformata di una vela e il vento 5 che causa la deformazione e (b) il carattere fortemente transitorio dei fenomeni coinvolti, che rende difficoltosa la misurazione dell’esatta istantanea della combinazione data da forma della vela e vento. Effettuare esperimenti con vele e armo in scala naturale è fuori questione a causa delle dimensioni che dovrebbe avere in tal caso la galleria del vento; d’altra parte , esperimenti con modelli in scala non sarebbero attendibili per un’estrapolazione in scala naturale a causa della difficoltà di simulare l’elasticità delle vele e dell’armo. Dato che si ha una scarsa conoscenza sperimentale è difficile stabilire una valida metodologia per la simulazione di vele sottoposte ai carichi del vento; per questo è difficile regolare bene le vele e l’armo di una barca in modo da migliorare le sue prestazioni con metodi economici e veloci quali le simulazioni numeriche. La via d’uscita da questo punto morto è eseguire simulazioni con membrane rigide dalla forma di vele, con sezioni di forma impostata, generalmente profili. Tale modus operandi permette di ottenere una buona approssimazione della forma di una vela reale deformata semplificando nel contempo il setup numerico e la conseguente simulazione. In tal modo si è in grado di ottenere una buona conoscenza dei fenomeni coinvolti nel flusso attorno alle vele ed è quindi semplificata di molto la possibilità di migliorare le prestazioni globali. Dunque nel caso siano disponibili serie di dati sperimentali facenti riferimento a vele con differenti curvature e forme sottoposte a diverse condizioni di vento essi possono essere utilizzati per calibrare lo strumento della CFD e fare così in modo che essa possa fornire risultati attendibili anche in mancanza di una conferma sperimentale. Nel caso frequente in cui tale conferma manchi del tutto e non esistano dati che possano essere riprodotti in modo da rendere i risultati della CFD immuni da errori sistematici si può utilizzare lo strumento della simulazione numerica per confrontare tra di loro vele i cui parametri caratteristici vengono fatti variare (rif. [9]). Sono sempre più presenti infatti nelle velerie software che rendono possibile la creazione di più geometrie semplicemente variando i parametri caratteristici della vela ma è spesso assente uno strumento che consenta il loro confronto a priori in termini di prestazioni anche solo qualitativamente. Ecco quindi che l’utilizzo della CFD assume una certa importanza dato che consente di accorgersi in anticipo se un certo tipo di vela potrà fornire o meno dei vantaggi in determinate condizioni di vento. Si possono così evitare sprechi di tempo e denaro dati dalla produzione e dalla prova 6 sul campo di una vela poco efficiente. Nella presente tesi si procede proprio ad un’analisi comparativa di più configurazioni genoa-randa in cui vengono fatte variare l’entità e la posizione della curvatura comunemente denominata grasso. L’imbarcazione a cui appartengono tali vele è un Classe Meteor ma la procedura seguita è generalizzabile a qualsiasi tipo di imbarcazione. 7 Capitolo 2 FONDAMENTI 2.1 LA BARCA A VELA Prima di analizzare in dettaglio il comportamento di una barca a vela dal punto di vi- sta fisico, si dà una breve descrizione della sua struttura elencando le parti principali che la compongono. Visto l’impiego di differenti tipologie di vele per le diverse andature che si affrontano in navigazione, vista la continua introduzione di innovazioni tecniche riguardanti sia lo scafo che le sovrastrutture, si dovrebbero mostrare molte configurazioni differenti di barche per includerle tutte. Sì è scelto così di riportare l’esempio di un monoscafo armato a Sloop Marconi (figura 2.1) attrezzato di vela prodiera e poppiera, un esempio di barca moderna che include tutte le parti interessate nello studio fluidodinamico. Fig. 2.1 – Sloop Marconi. 8 2.1.1 Il Meteor Il Meteor è un piccolo monotipo a chiglia disegnato nel 1968 dall’architetto olandese Van De Stadt per veleggiare su laghi e mari italiani. Da allora, la barca è stata prodotta in alcune migliaia di esemplari, e ciò ha reso il Meteor una delle più popolari barche a vela in Italia. Classica nelle sue linee d’acqua e con una buona efficienza idrodinamica, il Meteor ha un’attrezzatura semplice ma completa e soprattutto è una barca sicura e robusta, maneggevole e facile da condurre. Relativamente economica da gestire, è carrellabile e comoda da trasportare. Grazie alla completezza della sua attrezzatura e all'estrema diffusione in tutti i porti Italiani, il Meteor è molto adatto alle regate, in particolare ai match race. SCHEDA TECNICA Caratteristiche Progetto: E. G. Van de Stadt (1968) Lunghezza fuori tutto: 6.00 m Lunghezza al galleggiamento. 5.20 m Baglio massimo: 2.13 m Pescaggio standard: 0.98 m Dislocamento: 770 Kg Bulbo in ghisa: 280 Kg Velatura di stazza Randa: 9.55 m² Genoa: 12.00 m² Fiocco: 8.35 m² Tormentina: 4.05 m² Spinnaker: 26.00 m² Fig. 2.2 – Meteor. 9 Fin dal 1984 inoltre la Classe Meteor è una Classe Monotipo riconosciuta dalla Federazione Italiana Vela. Essa quindi possiede un regolamento di stazza (rif. [10] e piani ufficiali in Appendice A) e promuove oltre a regate locali, il campionato Nazionale, la cui XXXV edizione, svoltasi a Chioggia (Venezia) nel Maggio del 2008, ha visto la partecipazione di ben 57 equipaggi. Fig. 2.3 – Guidone della Classe Meteor. 2.2 LE VELE 2.2.1 Le caratteristiche progettuali La forma del profilo di una vela è definito dai seguenti parametri: • La corda, ovvero la linea che unisce ingresso e uscita di un profilo. In inglese Chord Line. • Il grasso, cioè la massima distanza del profilo dalla corda che lo sottende. La sua misura è detta profondità o freccia, la sua posizione s’identifica in percentuale sulla corda a partire dalla caduta di prua. In inglese Camber. • La posizione della freccia massima (espressa in % rispetto alla corda). In inglese Position o Draft. • Lo svergolamento (espresso in gradi), ovvero l’angolo formato dalla corda del profilo considerato rispetto alla corda del profilo alla base. In inglese Twist. La loro combinazione definisce la forma planare della vela che sarà caratterizzata da: • Un rapporto d’aspetto, ovvero il rapporto tra il quadrato dell’apertura della vela e la sua superficie. In inglese Aspect Ratio. 10 • Un rapporto di rastremazione, cioè il rapporto tra la corda del profilo più esterno e la corda del profilo alla base. In inglese Taper. • Un angolo di freccia, ovvero l’angolo tra una linea perpendicolare al flusso e una linea (chiamata quarto di corda) passante per i punti situati al 25% della corda lungo l’apertura della vela. In inglese Sweep. Ognuna di queste caratteristiche ha una certa influenza sul flusso che si sviluppa attorno alla vela e, inoltre, dato che la vela è flessibile, la modifica della forma dei profili diventa fondamentale per il miglioramento delle prestazioni della barca. Fig. 2.4 – Profilo di una vela e suoi parametri caratteristici. Fig. 2.5 – Sviluppo planare di una randa triangolare. La nomenclatura vale anche per vele di prua. Si noti che in questo caso l’angolo di freccia è negativo. 11 2.2.2 La sovrapposizione Si dice che c’è sovrapposizione in un piano velico quando una parte della superficie della vela di prua si trova a poppa dell’albero. Più grande è questa superficie, più importanti sono i fenomeni che vengono a crearsi. Esiste una teoria che, benché diffusa, è sbagliata in quanto essa afferma che l’utilizzo del fiocco accresce l’efficienza della randa. In base a osservazioni sperimentali effettuate da Chéret nel 1968 (rif. [11]) infatti si è visto che in bolina, quando i due profili sono ravvicinati, nel corridoio che si forma tra essi non si ha un’accelerazione, bensì un rallentamento significativo rispetto al flusso a monte di questo. L’unico luogo dove esista un’accelerazione è verso l’uscita del corridoio. Dunque contrariamente a quanto accade nel tubo di Venturi, nel quale il flusso è costretto a passare, l’aria che colpisce la vela non è canalizzata verso la strozzatura formata dalle due vele, non è un passaggio obbligato. Al minimo intoppo le molecole sfuggono e si riversano all’esterno del corridoio. L’ostacolo è creato dalla viscosità dell’aria che viene rallentata sulle pareti per il principio di continuità. Tale rallentamento si fa sentire fino a una certa distanza dalle pareti e ostruisce più o meno fortemente il passaggio tra le due vele. Viene a crearsi una sorta di “ingorgo” per cui alcune molecole che, in condizioni normali, avrebbero dovuto attraversare il corridoio, sono deviate verso l’esterno, dove lo scorrimento è più agevole. La maggior parte di esse è attirata verso la zona nella quale il flusso è più veloce, verso la depressione sull’estradosso della vela di prua. Ne consegue un aumento della quantità di massa che attraversa questa zona, cioè un’accelerazione del flusso con conseguente aumento dell’aspirazione. Ecco quindi che con una maggior depressione sottovento (accelerazione del flusso d’estradosso) e una maggior sovra-pressione sopravvento (rallentamento del flusso d’intradosso), le prestazioni della vela di prua migliorano per la presenza della randa. Sulla randa accade l’inverso. Sottovento ad essa, il flusso d’estradosso, indebolito, perde una parte della sua accelerazione; sopravvento, invece, accelera per l’arrivo di nuove 12 molecole, che, senza la presenza del fiocco, sarebbero passate sottovento. La sovrapressione si affievolisce. Dunque con una minore depressione sottovento e una minore sovra-pressione sopravvento, la randa è penalizzata dalla presenza della vela di prua. Il concetto fondamentale però è che due vele accoppiate producono una forza maggiore di quanta ne produrrebbero se fossero da sole. In altre parole, la vela di prua guadagna più di quanto la randa perda. Si vedano ora in dettaglio le funzioni di queste due vele. 2.2.3 La vela di prua Nella coppia formata dalle due vele di uno sloop, la vela di prua si trova in una situazione privilegiata nelle andature strette al vento: • Riceve il vento per prima. • Il suo bordo d’attacco è pulito (non c’è l’albero a creare perturbazione). • La sua forza velica è potenziata dalla presenza della randa. • La sua forza è orientata meglio perché è più lascata. • Infine, gode spesso di un effetto di parete alla base e, nel caso di un armamento frazionato, in penna. La vela di prua dunque deve captare il vento, deviarlo per trarne forza, cercando di rimandare alla randa un flusso favorevole. Essa deve inserirsi correttamente nel flusso e dovrebbe essere così per tutti i profili da cui è costituita. Sarebbe bene che ciascuno di essi fosse orientato secondo la massima efficienza; che il bordo d’attacco penetrasse senza angolazioni nel flusso, con le linee di corrente a circondare l’inferitura; che non ci fosse separazione dal lato del bordo d’uscita e la condizione di Kutta fosse rispettata. Per quanto riguarda il volume esso dovrebbe essere tale da permettere alla vela di prua di sviluppare la sua forza. La dimensione di questa curvatura condiziona il suo calettamento. Per una stessa tangente d’attacco, un profilo ad arco sottile deve essere calettato molto più aperto di un profilo grasso. L’angolo d’incidenza, modesto per il primo, deve es- 13 sere rilevante per il secondo. Inoltre, a parità di grasso, una vela con volume verso prua deve essere più centrata di una vela con volume arretrato. Per seguire il gradiente del vento, che di solito ridonda dal basso in alto, il bordo d’attacco è più o meno svergolato. Di qui la necessità di svergolare completamente la vela o di darle più grasso soprattutto verso prua, dal basso all’alto. La scelta del volume e della sua distribuzione dipende ovviamente dal coordinamento con la randa. Se si dà molto volume, e cioè molta potenza verso prua, la randa andrà assottigliata e viceversa. Allo stesso modo, lo svergolamento del fiocco, permette di aprire meglio la randa. Il problema è aver ben chiare le necessità della barca come potenza, rotta ed equilibrio. 2.2.4 La randa La randa è essenziale per una barca a vela, le sue principali funzioni sono le seguenti: • La propulsione della barca a vela, sia direttamente, attraverso la sua forza velica, sia indirettamente, influenzando la vela di prua. • L’equilibrio laterale. • L’equilibrio di rotta. • L’azione sull’armamento come sollecitazioni e controllo. Mentre la vela di prua spesso è calibrata per una certa andatura, o per un dato vento, la randa non cambia. Il suo volume risponde a delle necessità e a dei vincoli. Per quanto riguarda le necessità si ha: • Potenza attraverso il volume. • Disegno e angolo d’incidenza • Equilibri. • Tolleranza. 14 Con uno sloop, ciascuno di questi aspetti assume maggiore o minore importanza in base al programma di navigazione e al sistema d’interferenze che viene a crearsi in funzione: • Della forza del vento. • Dell’andatura seguita. • Della distanza tra i profili. • Della loro dimensione reciproca (come lunghezza e curvatura). • Del tipo di armamento (in testa o frazionato e con che rapporto). • Della sovrapposizione. • Dell’altezza del punto che si sta considerando. • Delle caratteristiche del vento apparente (forza, gradiente, regolarità). In bolina la potenza della vela è legata allo spessore dei profili che la compongono. Raramente si riesce a sfruttare tutto il volume a causa della presenza della vela di prua e infatti questa è l’andatura nella quale la forma della randa è maggiormente condizionata dalla vela di prua. La randa deve esserne la continuazione logica senza che tale configurazione nuoccia all’equilibrio dell’insieme. Volendo privilegiare le prestazioni del genoa, si è portati ad appiattire la randa e capita dunque di dover fare assumere a tale vela delle forme molto diverse da quella di una superficie portante ideale. Orizzontalmente l’influenza della vela di prua sulla randa dipende: • Dalla sua superficie. • Dalla curvatura e dall’angolo d’incidenza dei suoi profili ai diversi livelli. • Dalla sua vicinanza, particolarmente dalla sovrapposizione. • Dalla forza del vento. In generale, in bolina, più questa influenza si fa sentire, più la randa deve essere appiattita. Verticalmente si è già detto nel paragrafo precedente di quanto la vela di prua sia avvantaggiata dalla randa. È utile rimarcare che in presenza di questa il flusso sopravvento al 15 fiocco varia poco ma in cambio si nota una ridondanza sul suo bordo d’attacco, dove il flusso prosegue accelerando sottovento. Tale miglioramento si accentua dal basso all’alto della vela di prua e per non perdere questa ridondanza si hanno due soluzioni che consistono sia nello svergolare sia nel dare grasso al fiocco. Se si svergola la vela di prua si può svergolare anche la randa. Questo doppio svergolamento qualche volta si rivela utile: permette di seguire un gradiente di vento molto variabile, grazie a delle balumine meno tese, di seguire un vento irregolare (fluttuazioni in forza e direzione dovute ai movimenti dell’imbarcazione nel mare), di scaricare subito sotto raffica. Inversamente, si può decidere di avere il massimo di potenza nella vela di prua, favorendo la rotta con la balumina della randa tesa, vicina all’asse longitudinale della barca. La vela di prua ha volume in penna ed è debolmente svergolata. La forte deflessione che imprime al flusso permette di centrare la randa senza che su questa avvenga la separazione (situazione frequente sugli armamenti in testa d’albero). 2.3 IL VENTO L’intensità del vento, quindi la sua velocità, varia in relazione all’altezza rispetto alla superficie della terra ed alla ruvidezza superficiale di questa. Come avviene per un fluido reale che scorre a contatto con una superficie scabrosa, anche per gli strati di vento vicini alla superficie terrestre si viene a formare uno strato limite con un gradiente di velocità. Oltre ad esserci una variazione in intensità del vento per effetto della perturbazione superficiale, vi è una variazione in direzione a causa della rotazione terrestre che secondo la legge di Coriolis, induce una rotazione verso destra delle masse fluide nell’emisfero boreale e verso sinistra in quello australe. Nell’analisi aerodinamica della vela occorre tener conto delle caratteristiche del vento che determinano le condizioni del campo di moto fluido. Un semplice modello a vento costante introduce un’approssimazione nel modello poiché per quanto detto la velocità del vento varia in dipendenza dalla quota a causa dell’attrito dell’aria con l’acqua del mare e 16 tra strati d’aria. Tale variazione suggerisce un andamento parabolico della velocità del vento in funzione della quota. Esiste un modello di vento proposto da Marchaj (rif. [12]), cui fa riferimento la figura 2.6, che ben si adatta alle andature di bolina. Esso nasce da una serie di prove sperimentali effettuate su imbarcazioni quali il Gimcrack e suggerisce che l’intensità del vento apparente vari con la quota secondo una legge approssimativamente parabolica e che la direzione del vento apparente non sia costante ma cambi anch’essa con la quota, con una variazione media che raggiunge i 3°-3.5° dal boma alla penna per un’imbarcazione con un albero alto circa una decina di metri. Un esame più accurato della situazione ha portato a formulare diverse leggi logaritmiche che esprimono l’intensità del vento reale in funzione della quota e del valore noto di velocità a 10 m s.l.m. (sul livello del mare). Quest’ultimo dato è fornito dalle stazioni sinottiche ed è quello che esprime la “forza” del vento e lo stato del mare della universalmente conosciuta scala Beaufort. In questo lavoro è stato scelto un profilo del vento reale espresso dall’equazione di Kerwin della quale si parlerà in dettaglio nel paragrafo § 3.2.3. Fig. 2.6 – Modello di vento apparente proposto da C. A. Marchaj. 17 2.4 LE ANDATURE Per definire una condizione di navigazione di una barca a vela rispetto alla direzione del vento reale, si usa il concetto di andatura: angolo formato dalla direzione di navigazione dell’imbarcazione e la direzione del vento reale. Ad ogni andatura, corrisponde una diversa configurazione delle vele per ottimizzare la propulsione del vento, ed un conseguente comportamento della barca. In figura 2.7 vengono mostrate tutte le andature che si possono affrontare in navigazione, a seconda della rotta da seguire e della direzione del vento reale. Guardando la figura 2.7 si osserva che a 0° di rotta la barca si trova nelle condizioni di bordeggio, in cui non può veleggiare poiché le vele sono investite dal vento con un’inclinazione che non permette loro di generare portanza. La vela fileggia e la barca priva di propulsione si ferma, questa condizione viene sfruttata per issare, ammainare o manovrare la randa durante la navigazione. Veleggiare ai margini di questa zona, significa che la barca sta navigando in bolina, e corrisponde, rispetto alla direzione del vento reale, ad un angolo tra i 45°/60°, sia con mure a dritta che con mure a sinistra ( mure a sinistra indica che il vento giunge dal bordo di sinistra della barca, mure a dritta dal bordo di destra). Questi valori possono variare in funzione del tipo di barca; quelle più "performanti" si avvicinano alla misura minima. Quando si naviga intorno ai valori minimi si parla di bolina stretta. Poggiando (cioè allargando l’andatura, allontanando la prua dalla direzione del vento) tra i 60° e gli 80° si naviga in bolina larga. Le andature tra poppa e gran lasco sono pienamente in resistenza (ossia la vela lavora oltre lo stallo) e vengono chiamate portanti, mentre le andature tra lasco e bolina sono in portanza (nel senso che la vela lavora prima del punto di stallo) e sono chiamate montanti. Tra lasco e gran lasco si avrà quindi una zona di transizione in cui cambia il modo di lavorare della vela. 18 Fig. 2.7 – Andature nella navigazione a vela. 2.5 CINEMATICA E DINAMICA 2.5.1 Cinematica La fonte di energia sfruttata da una barca a vela per muoversi è la quantità di moto del vento rispetto al mare, assorbita mediante il sistema velico. Poiché la barca si muove con una certa velocità, assunta costante, il flusso d’aria deviato dalla vela che genera la spinta è quello riferito rispetto al sistema di riferimento relativo. Essendoci un moto relativo tra il vento e la barca che si muove nell’acqua, si va a definire un triangolo delle velocità che descrive il comportamento cinematico di una barca a vela, qualsiasi sia la sua andatura. In nautica si definisce vento reale la velocità assoluta del vento rispetto al mare c, il vento velocità che è l’opposto della velocità della barca u e il vento apparente che rappresenta la velocità del vento relativa al riferimento solidale alla barca w, questo è il vento che agisce sulle vele. Il vento apparente dipende dal vento reale e dalla velocità della barca che a sua volta dipende dalla resistenza dello scafo e dall’andatura. La relazione vettoriale che descrive il triangolo delle velocità è la seguente: 19 c=u+w (2.1) Nella navigazione di bolina, il vento apparente è sempre più forte del vento reale (in modulo maggiore), mentre man mano che la rotta aumenta l’intensità del vento reale diviene via via maggiore del vento apparente. L’assetto dell’imbarcazione è determinato attraverso i seguenti angoli: • α angolo di incidenza, formato dalla corda del profilo di vela all’altezza della base con la direzione del vento apparente. • β: angolo di scotta, formato dalla corda del profilo di vela all’altezza della base con l’asse longitudinale della barca o prua. • θ: angolo di rotta, formato dalla direzione del vento reale con la rotta, tale angolo va a definire un’andatura. • γ: angolo di scarroccio, formato dalla prua con la direzione della rotta. Le vele sono regolate sul vento apparente mediante la variazione dell’angolo di scotta andando ad imporre un angolo di incidenza ideale che massimizzi l’effetto propulsivo, questo non può prescindere dal considerare la velocità della barca. In figura 2.8 è rappresentato il triangolo delle velocità con gli angoli caratteristici che definiscono una condizione di navigazione. Fig. 2.8 – Triangolo delle velocità. 20 2.5.2 Dinamica Le forze agenti su una barca a vela di interesse ai fini propulsivi sono di origine aerodinamica, dovute all’interazione del vento con le vele, e idrodinamica, dovute all’interazione dello scafo col mare. Questi due sistemi di forze interagiscono tra loro in maniera continua e dinamica, modificando nel tempo l’atto di moto dell’imbarcazione. Di seguito si analizzano i sistemi di forze agenti su un’imbarcazione nella navigazione di bolina ipotizzando la costanza dell’atto di moto, evitando quindi fenomeni transitori. In condizioni di regime, quindi di moto uniforme, i sistemi di forze idrodinamico e aerodinamico si equilibrano mutuamente secondo una perfetta simmetria come mostrato in figura 2.9. Fig. 2.9 – Schematizzazione dell’equilibrio aero-idrodinamico in un’andatura di bolina. Su un piano orizzontale dunque le forze agenti in condizioni di equilibrio sono: • Forza aerodinamica Fa derivata da interazione vele e vento, scomponibile in portanza P e resistenza R quando si vogliono analizzare le prestazioni fluidodi- 21 namiche della vela oppure in forza di scarroccio o di sbandamento Fs e forza propulsiva Fp quando si vogliono esaminare le prestazioni della vela in funzione della velocità dell’imbarcazione. • Forza idrodinamica Fi derivata da interazione tra scafo e acqua, scomponibile in portanza perpendicolare al flusso indisturbato Pi e resistenza idrodinamica Ri ad esso parallela. Essendo la pinna di una barca a vela un corpo simmetrico, la sola maniera di produrre portanza, quindi la forza laterale Pi, è quella di disporsi con un certo angolo di incidenza rispetto al flusso. La portanza prodotta è proporzionale a tale angolo che in questo caso è l’angolo di scarroccio. Come si osserva dalla figura, essendo uguali ed opposte le forze Fi ed Fa lo sono anche le loro componenti, in particolare la forza propulsiva Fp nella direzione del moto è uguale ed opposta alla resistenza dello scafo Ri misurata lungo la direzione del flusso indisturbato, che coincide con la rotta seguita. Ad angolo retto da queste due forze agiscono invece le due componenti indipendenti Pi ed Fs che, a loro volta, sono uguali ed opposte: esse agiscono ad angolo retto rispetto alla direzione del moto e non danno quindi contributo alla velocità, ma solo allo sbandamento. La simmetria della vela, che richiede l’uguaglianza delle forze prodotte in aria e in acqua richiede che lo scarroccio esista per tutte le andature ad esclusione della poppa piena. Prendendo in considerazione il piano verticale si ha che la forza aerodinamica Fa agisce in qualche punto sulla vela detto centro velico o centro di spinta cv, quella idrodinamica Pi in qualche luogo della carena detto centro di deriva cd. Questa coppia di forze uguali e opposte genera un momento nello spazio, scomponibile secondo una terna di riferimento: intorno ad un asse verticale (imbardata o accostata), intorno ad un asse orizzontale longitudinale (rollio) e intorno ad un asse orizzontale trasversale (beccheggio). L’angolo di scarroccio γ si crea per equilibrio all’accostata mentre lo sbandamento Ȝ avviene nel senso del rollio (figura 2.10). Lo stato d’equilibrio dinamico che si viene a creare in questa configurazione dipende dal momento raddrizzante che va a contrastare il momento sbandante. Mentre il momento sbandante è dato dalla coppia generata da Fa, il momento raddrizzante è dovuto al disassamento della spinta di Archimede rispetto al peso, quindi un fenomeno di 22 tipo idrostatico che segue le leggi del galleggiamento, ed è funzione dell’angolo di sbandamento per ogni forma di scafo. Quando l’equilibrio viene a mancare per un improvviso mutare delle condizioni di navigazione, come ad esempio una raffica di vento, l’imbarcazione può scuffiare. Il controllo sull’equilibrio delle due coppie può essere fatto in due modi: • Aumentando il braccio della coppia raddrizzante, ad esempio spostando il peso dell’equipaggio fuoribordo e sopravvento. • Diminuendo il braccio della coppia sbandante, ad esempio diminuendo la superficie di vela esposta al vento e/o diminuendo la superficie di deriva investita dal flusso d’acqua. Fig. 2.10 – Forze sbandanti. 23 Capitolo 3 MODELLI 3.1 IL MODELLO GEOMETRICO Nel presente lavoro è necessario prevedere le prestazioni fluidodinamiche di coppie genoa-randa appartenenti ad un’imbarcazione classe Meteor. Devono dunque essere modellate le vele, lo scafo e il tutto deve poi essere inserito in una galleria del vento virtuale. Per la modellazione si è scelto di utilizzare il software Thinkdesign® (vedi Appendice B e rif. [13]) che, essendo un modellatore per superfici, consente di costruire al meglio le vele. Si è poi reso necessario anche l’utilizzo di un secondo software, Rapidform® (vedi Appendice C e rif. [14]) per correggere le imperfezioni presenti nelle geometrie la cui presenza non avrebbe consentito l’esecuzione delle simulazioni. 3.1.1 Le coppie genoa-randa Per la costruzione del genoa e della randa si è partiti da nuvole di punti gentilmente fornite dalla veleria BluePhoenix, che le ottiene tramite un software in cui basta impostare le misure caratteristiche della vela desiderata. Nei files tali punti sono espressi in terne di coordinate e a loro volta serie di 16 terne vanno a definire 21 profili unendo i quali si ottengono le superfici delle vele. Il lavoro preliminare alla modellazione è dunque consistito nello smembrare tali nuvole di punti in modo da creare 21 files per vela con estensione PT, ognuno rappresentante un profilo (figura 3.1). Fig. 3.1 – File PT rappresentante il profilo 1 del genoa della coppia 1. 24 Una volta fatto questo i files sono stati importati in Thinkdesign e i punti di cui sono costituiti sono stati interpolati con curve Spline (figura 3.2). Fig. 3.2 – Creazione dei profili del genoa tramite interpolazione dei punti. A questo punto si è passati alla costruzione della superficie velica; per fare ciò si è utilizzata una superficie NURBS (rif. [15]) di tipo Loft sottesa dai profili (figura 3.3). Fig. 3.3 – Creazione della superficie Loft. Il piano di lavoro è stato dunque fatto passare per i vertici della vela e la sua origine fatta coincidere con il punto di mura. 25 Per la costruzione delle rande è stata eseguita la medesima procedura. Il risultato ottenuto è rappresentato quindi in figura 3.4. Fig. 3.4 – Modello geometrico di un genoa e di una randa. È stato dunque opportuno introdurre nei modelli una parametrizzazione in modo da poter cambiare a piacimento l’angolo di scotta della randa e l’angolo di calettamento sullo strallo del genoa. Per quanto riguarda il genoa si è prima di tutto creato lo strallo sottostando alle misure fornite dal regolamento di classe (vedi rif. [10] e Appendice A) e gli si è quindi allineata l’inferitura (figura 3.5). Figura 3.5 – Posizionamento del genoa. 26 Si è dunque creato il sistema di riferimenti per la parametrizzazione. Esso è costituito da un piano passante per le estremità del genoa, un punto e tre linee di riferimento (figura 3.6). Fig. 3.6 – Sistema di riferimenti del genoa. La prima delle tre linee unisce punto di mura e punto di drizza e serve come riferimento per il piano che è costruito in modo da poter ruotare attorno ad essa. La seconda è ancorata al lato destro del piano e serve per ancorarvi a sua volta il punto di riferimento. Esso è posizionato a una distanza dal vertice alto destro del piano tale per cui la terza linea di riferimento si disponga parallelamente all’asse della barca poggiando sul punto stesso e sul centro del piano. Tutto ciò serve per avere un’asse che funga da riferimento solidale alla barca. Per rendere parametrico tutto il sistema di riferimenti si è utilizzata la funzione Spreadsheet di Thinkdesign, con tale strumento infatti ogni quota guida può essere fatta va- 27 riare semplicemente cambiando il suo valore. Nel caso del genoa la quota che deve essere fatta variare è l’angolo di calettamento (figura 3.7). Fig. 3.7 – Utilizzo dello Spreadsheet per la variazione dell’angolo di calettamento del genoa. Con il suo aggiornamento si modifica anche l’angolo di scotta, misurato mettendo una quota che si appoggia alla linea di riferimento passante per l’inferitura e una seconda linea passante per la base. Come ultimo accorgimento si è operato uno spostamento del piano di lavoro funzionale al successivo assemblaggio con la randa. Tale piano è stato prima di tutto fatto coincidere col piano di riferimento, dopodichè il suo asse x è stato allineato all’asse della barca creato in precedenza. Infine esso è stato spostato lungo x di una distanza che è pari alla lunghezza che intercorre tra punto di mura e prolungamento della parte posteriore della base dell’albero (figura 3.8). Inoltre è da tener presente che l’asse y è stato fatto puntare verso l’alto e l’asse z si dispone di conseguenza secondo la terna levogira. È importante sottolineare che tale disposizione degli assi è stata rispettata per ogni modello ed è fondamentale per una buona riuscita dell’assemblaggio. 28 Fig. 3.8 – Posizionamento del piano di lavoro. Per quanto riguarda la randa si è agito nello stesso modo. Per prima cosa si è costruita una linea di riferimento verticale tangente il punto di mura e avente una lunghezza tale per cui la sua estremità inferiore fosse idealmente sulla linea orizzontale passante per il punto di mura del genoa. È stato dunque creato un piano di riferimento passante per le estremità della randa in grado di ruotare attorno alla linea di riferimento, e sul suo lato destro è stata ancorata una seconda linea. Anche in questo caso tale linea serve da appoggio per una terza linea di riferimento che va a rappresentare l’asse solidale alla barca (figura 3.9). Fig. 3.9 – Sistema di riferimenti della randa. 29 Come per il genoa quindi il piano di lavoro è stato fatto coincidere col piano di riferimento e il suo asse x è stato allineato all’asse della barca. La parametrizzazione ha riguardato in questo caso l’angolo di scotta della randa (figura 3.10). Fig. 3.10 – Utilizzo dello Spreadsheet per la variazione dell’angolo di rotazione della randa. È stato in seguito necessario spostare il riferimento di entrambe le vele lungo y, cioè in verticale verso il basso di 911 mm, in modo da favorire l’assemblaggio col riferimento della galleria che ha l’origine sul fondo di essa . 3.1.2 Lo Scafo Per la costruzione dello scafo è stato seguito un approccio il più possibile semplificativo dato che l’obiettivo del lavoro non è quello di analizzare le sue caratteristiche fluidodinamiche. Esso ha l’unica funzione di rendere il più realistiche possibile le simulazioni. Il genoa infatti su un Meteor, ma anche su molti altri tipi di barche, è spesso a contatto o poco distante dalla coperta e questa influenza le prestazioni della vela dato che si ha un effetto di parete più o meno marcato. 30 Prima di tutto si sono ricavate le misure fondamentali dello scafo quali lunghezza, larghezza massima e profondità. Dopodiché prendendo come riferimento le tavole di stazza (vedi Appendice A) si è cercato di ricalcare al meglio e nel modo più semplice la sua forma. Si è creato dunque lo scheletro dell’imbarcazione tramite punti e linee (figura 3.11). Fig. 3.11 – Vista laterale e dall’alto dello scheletro dello scafo. A questo punto si sono create le superfici Loft usando come limiti proprio tali linee di costruzione (figure 3.12 e 3.13). Fig. 3.12 – Vista dello scafo da prua. 31 Fig. 3.13 – Vista dello scafo da poppa. Anche in questo caso il piano di lavoro è stato posizionato in modo da potersi assemblare successivamente con quelli di genoa, randa e galleria. 3.1.3 La Galleria del Vento Per generare il volume fluido è necessario inserire scafo e vele in una galleria del vento virtuale. Come nel lavoro di Ciortan e Guedes Soares (rif. [16]) le dimensioni che si è deciso di darle sono tali da consentire un sufficiente sviluppo del flusso ed evitare così effetti di parete. Esse inoltre sono in relazione a una grandezza caratteristica pari a 7500 mm. Essa rappresenta all’incirca l’altezza del piano velico formato da genoa e randa. L’estensione del dominio è dunque il seguente: • Altezza: 4.5 × 7500 = 33750 mm = 33.75 m • Lunghezza: 18.5 × 7500 = 138750 mm = 138.75 m • Larghezza: 10 × 7500 = 75000 m = 75 m La costruzione è stata fatta utilizzando uno dei solidi primitivi forniti dal programma, in questo caso un parallelepipedo. Si è costruito quindi il sistema di riferimenti per la parametrizzazione e l’assemblaggio con le vele e lo scafo. Per prima cosa sono stati creati tre punti a formare una L collocata a 37.5 m dalle pareti laterali (5 volte la dimensione caratteristica) e a 58.125 m dalla parete anteriore (7.75 32 volte la dimensione caratteristica). Due di questi punti servono per sottendere una linea di riferimento verticale, che assume la funzione dell’asse di scarroccio. Si è dunque creato un piano passante per i tre punti in grado di ruotare attorno ad essa e sul quale è stata ancorata una seconda linea di riferimento. A metà di tale linea è stato collocato un punto di riferimento al quale è stata attaccata a sua volta una terza linea la cui seconda estremità è stata agganciata al centro del piano. Tale terza linea è l’asse di rotazione di un secondo piano di riferimento (figura 3.14). Fig. 3.14 – Riferimenti della galleria e utilizzo dello Spreadsheet per la variazione degli angoli di scarroccio e sbandamento. 33 I due piani quindi servono a conferire al modello due gradi di libertà corrispondenti a sbandamento e scarroccio e possono essere regolati tramite parametro nello Spreadsheet. Il piano di lavoro è stato fatto allora coincidere con il piano di riferimento che definisce lo sbandamento, è stato ruotato in modo da renderlo verticale e il suo asse x ancora una volta orientato lungo l’asse di sbandamento che in questo caso è anche l’asse della barca. 3.1.4 L’assemblaggio Per assemblare vele, scafo e galleria si è proceduto nel modo seguente: • Regolazione dell’angolo di calettamento del genoa. • Regolazione dell’angolo di scotta della randa. • Regolazione degli angoli di sbandamento e scarroccio nella galleria. • Inserimento dello scafo nella galleria. • Inserimento di genoa e randa nella galleria. • Allineamento terna ambiente (cioè gli assi del piano di lavoro vengono resi paralleli alle pareti della galleria annullando sbandamento e scarroccio). Tutti questi passaggi sono stati resi estremamente veloci ed automatici proprio dalla parametrizzazione che consente dunque la creazione di qualsiasi modello semplicemente digitando nello Spreadsheet i parametri desiderati. Una volta assemblato il tutto si è reso necessario “tagliare” la parte sommersa dello scafo. Ciò in Thinkdesign è possibile tramite il comando Trim with limits che consente di prendere come limite una o più superfici oltre le quali le superfici indesiderate vengono tagliate (figura 3.15). Ovviamente è stata eliminata anche quella parte dello specchio d’acqua che interseca, attraversandolo, lo scafo. 34 Fig. 3.15 – Trim delle superfici immerse dello scafo. In questo caso Limits è la superficie del mare, Surfaces sono le superfici lambite da esso e Regions to Keep sono le parti delle superfici che sono sopra il livello del mare A questo punto il modello potrebbe essere importato nel software di simulazione ma la mesh di superficie che gli viene associata è grossolana e genera errori che ne rendono pressoché impossibile l’utilizzo. È per questo che si è dovuto utilizzare un secondo software di modellazione, Rapidform, che consente di focalizzarsi sulla creazione di una premesh di superficie priva di errori. 3.1.5 La creazione della pre-mesh di superficie Per prima cosa si sono creati i files in formato IGS di scafo, vele e galleria. Di quest’ultima però sono state esportate solamente le linee che ne definiscono le dimensioni fondamentali. Inoltre è stata creata una piccola superficie da collocarsi sul fondo della galleria funzionale al successivo infittimento della mesh in prossimità dello scafo. In Rapidform si sono importati lo scafo e le vele e si è ritassellato il tutto con la seguente sequenza di comandi del Menu Surface (figura 3.16): Surface ĺ Tool ĺ Convert to Shell ĺ Custom Tesselation 35 Fig. 3.16 – Ritassellazione dello scafo. È stata poi creata una curva di contorno che definisce l’intersezione dello scafo con la superficie del mare. Per fare ciò, nel Menu Curve, si è operato così: Curve ĺ Create ĺ Fit Boundary ĺ Tasto destro del mouse ĺ Done ĺ Max Accuracy (spostando il cursore si ottiene un fitting più o meno accurato) A questo punto si è inserita la superficie di infittimento e si è usato il comando Trim del Menu Surface (seguito da Divide e dalla selezione del contorno) per dividerla secondo la curva di contorno appena creata (figura 3.17). Fig. 3.17 – Creazione della superficie di infittimento. 36 Si è quindi potuto tassellare la superficie ottenuta con la sequenza di comandi vista in precedenza. Si è allora inserita la galleria del vento che nel nostro caso è costituita dalla faccia anteriore e da un punto che ne definisce la lunghezza (figura 3.18). Fig. 3.18 – Galleria e vettore di estrusione. Sfruttando tale punto e il corrispondente vertice della faccia anteriore si è creato un vettore che è poi servito per creare la galleria tramite un’estrusione. La sequenza dei comandi in questo caso è stata la seguente: Ref. Geometry ĺ Create ĺ Vector ĺ Pick Points ĺ Tasto destro del mouse ĺ Vertex ĺ Selezione dei vertici ĺ Tasto destro del mouse ĺ Done e poi Surface ĺ Create ĺ Extrude ĺ Selezione della faccia anteriore della galleria ĺ Tasto destro del mouse ĺ Done ĺ Selezione del vettore A questo punto, come si era fatto in precedenza per lo scafo, si è ripresa la superficie di infittimento e se ne è ricavato il contorno. Si è quindi diviso il fondo della galleria secondo tale contorno e si è poi tassellato il tutto. Con ciò si è conclusa la prima fase della costruzione, cioè la creazione delle shell. Nella seconda fase esse vanno unite per creare il file STL da importare nel programma di simulazione. 37 Per fare in modo che galleria, superficie di infittimento e scafo formassero un’unica entità si sono dovuti creare dei cordoni di raccordo tra di esse in modo che i tasselli passassero gradualmente da una dimensione maggiore ad una minore. Alle shell infatti sono state date le seguenti tassellazioni: • Genoa, Randa: 20 mm • Scafo: 40 mm • Superficie di infittimento: 100 mm • Galleria: 800 mm Dove i valori mostrati rappresentano la distanza massima tra i punti all’interno della tassellazione stessa. Si è dunque passati al Menu Polygon e si sono dapprima creati dei buchi lungo i contorni di contatto tra le tre shell rappresentate da scafo, superficie di infittimento e galleria: Tool ĺ Shrink Shell ĺ Selezione della Superficie di infittimento ĺ Tasto destro del mouse ĺ All ĺ Depth (Il numero digitato definisce l’ampiezza del buco, nel nostro caso 2) Tali buchi definiscono le zone in cui vanno create le giunzioni (figura 3.19). Fig. 3.19 – Buchi in cui verranno create le giunzioni. 38 Prima però di unire le shell le loro normali devono essere orientate tutte nello stesso verso e per fare ciò si è proceduto così: Edit ĺ Reverse Normal ĺ Shell ĺ Selezione della shell Si noti che la correzione delle normali deve essere effettuata anche per le vele. Per creare i cordoni di raccordo si è usato il comando Fill Holes (Tool del Menu Pol- ygon) e si è selezionata la superficie di infittimento. Affinché il programma non procedesse totalmente in automatico con il rischio di generare errori nella mesh si è resa necessaria la creazione manuale di alcuni tratti di unione (figura 3.20). Sempre tramite lo stesso comando si è quindi agito nel modo seguente: Tasto destro del mouse ĺ Bridges ĺ Selezione dei tratti di superficie da unire tenendo premuto il tasto sinistro del mouse. Fig. 3.20 – Creazione dei tratti d’unione nella zona adiacente allo scafo. A questo punto tutti i buchi sono stati chiusi e si è proceduto infine all’unione delle shell nel Menu Scan: Build ĺ Combine Shells ĺ Tasto destro del mouse ĺ All Da ultimo è importante sottolineare che con Rapidform è possibile verificare se la geometria creata sia priva di errori. Nel Menu Polygon selezionando 39 Clean ĺ Find Abnormal Faces Sono individuabili all’interno della mesh singolarità come: • non-manifold faces: facce molteplici • redundant faces: numero di facce eccedenti • crossing faces: facce che si intersecano • unstable faces: facce instabili. Nel nostro caso non dovrebbe presentarsi nessuno di tali problemi (figura 3.21). Nel caso contrario la presenza di uno di questi ci indicherebbe che qualche errore è stato commesso nella fase di costruzione o che qualche parametro scelto per la tassellazione è incompatibile con la geometria. Fig. 3.21 – Singolarità all’interno della mesh. 3.2 IL MODELLO FLUIDODINAMICO Una volta completata la modellazione geometrica dell’assieme formato da scafo, vele e galleria è necessario importarla nel programma di simulazione, nel nostro caso STARCCM+® (vedi Appendice D e rif. [17]). Come formato di interscambio si è scelto l’STL. 3.2.1 La costruzione della griglia La geometria si presenta già meshata in quanto sono state mantenute le coordinate dei punti che compongono la geometria e la particolare triangolazione. Una griglia di que- 40 sto tipo non è utile all’interno del programma CFD quindi è necessario costruirne una di nuova. Il punto di partenza rimane la griglia preesistente, da essa viene generata la nuova griglia di superficie in base ai parametri impostati. Dopodiché si compone la griglia di volume per lo studio dell’intero campo fluido. Il modello di griglia scelto per queste simulazioni presenta queste caratteristiche: • Prism Layer Mesher • Polyhedral Mesher • Surface Remesher Il modello di meshatura prevede celle poliedriche all’interno del volume di riferimento e celle prismatiche estruse da quelle di superficie per lo studio dello strato a parete. Questa scelta è stata condotta dal fatto che le celle poliedriche offrono una migliore convergenza dei risultati rispetto all’utilizzo di celle tetraedriche, a pari numero di celle. Il modello di meshatura poliedrica utilizza una forma arbitraria di celle poliedriche per costruire la griglia di volume formando celle che hanno tipicamente una media di 14 facce ognuna. Il miglioramento dei risultati e della convergenza dei calcoli dipende dal fatto che il numero di condizioni al contorno per ogni singola cella è maggiore rispetto ad una singola cella tetraedrica, che invece ha 4 facce. Il Prism Layer Mesher genera delle celle prismatiche ortogonali sullo strato a parete nella griglia di volume. Le celle prismatiche sono richieste per simulare accuratamente la turbolenza e il trasferimento di calore. Lo spessore, il numero di strati e la distribuzione della griglia a prismi sullo strato a parete vengono determinate inizialmente in base al modello di turbolenza utilizzato; tipicamente, per modelli basati sulla funzione a parete, vengono usati da uno a tre strati, mentre per numeri di Reynolds bassi e schemi two-layer, vengono usati tra i 15 e i 25 strati. Per generare lo strato di prismi a parete, il programma non fa altro che estrudere le facce delle celle dalla griglia di volume verso la superficie di partenza della griglia. 41 Il modello di meshatura inoltre permette di poter riferire le dimensioni delle celle nelle superfici ad una dimensione di riferimento in modo relativo. Questo vuol dire che variando unicamente questo riferimento si può scalare la griglia in tutta la geometria. Appena importata la geometria si presenta come un’unica superficie non divisa quindi bisogna procedere alla sua suddivisione e classificazione per individuare l’entrata, l’uscita e il cielo della galleria, la superficie del mare, lo scafo, il genoa e la randa. Per far ciò è bastato utilizzare una procedura presente nel programma che realizza un frazionamento rispetto all’angolo delle superfici in esame. In questo modo si riescono a dividere regioni di geometria in determinati boundary che presentano angoli fra le loro normali al di sopra di un valore soglia che si imposta manualmente. Perciò non è possibile dividere parti di geometria unite da superfici curve che non hanno spigoli. Rimane quindi importante la procedura di modellazione in base al tipo di caratteristiche che si vogliono ottenere. In questo caso particolare si deve tener presente nel momento della modellazione un sistema di separazione attraverso l’angolo, pianificando e costruendo in maniera opportuna quelle superfici che dovranno poi essere divise. Nel nostro caso si è impostato un angolo di 45° e si sono ottenuti 12 boundary. Per quanto riguarda lo scafo esso è risultato suddiviso in quattro parti a causa della presenza di celle non in curvatura nelle superfici e si è quindi dovuto riunirle con il comando Combine. Lo stesso comando è stato usato per unire in tre boundary distinti rispettivamente il fondo e il cielo della galleria, le due facce sopravvento alla barca e le due facce sottovento. La geometria è stata dunque suddivisa nelle seguenti aree di facile individuazione in figura 3.22. • Scafo • Genoa • Randa • Inlet • Outlet • Galleria 42 Fig. 3.22 – Suddivisione della geometria. Tale suddivisione permette di definire caratteristiche e infittimenti della griglia diversi per i differenti boundary. La zona in prossimità delle vele e le vele stesse dovranno presentare un alto numero di celle in modo da definire in maniera adeguata le condizioni fluide. Invece sezioni come le pareti, l’entrata e l’uscita della galleria possono avere un numero di celle molto minore. Inoltre la suddivisione in superfici è necessaria perché in questo modo si mantengono le linee di contorno di ogni superficie e quindi anche gli stessi angoli degli spigoli. Tali spigoli devono essere mantenuti tali e per far ciò si sono dovute creare delle feature curve che delimitano gli spigoli senza dividere le superfici. Con il comando: Regions ĺ Region 1 ĺ Feature Curves ĺ New Feature Curve ĺ Mark Edges Appare una finestra di dialogo con la quale si definiscono le caratteristiche degli spigoli. Nel nostro caso si sono delineati gli spigoli di 31° (figura 3.23). 43 Fig. 3.23 – Creazione degli spigoli. Non facendo questa operazione gli spigoli verrebbero smussati in fase di meshatura. Per quanto riguarda i boundary rappresentanti le vele si è resa necessaria la loro trasformazione in interfaces di tipo baffle, cioè elementi privi di spessore ma con le proprietà di una barriera fisica. Esse in genere vengono utilizzate per dividere regioni diverse di fluido ma in questo caso la regione fluida è una sola e quindi si prestano a rappresentare elementi come le vele che nella realtà hanno spessori davvero minimi, dell’ordine del centesimo di millimetro. Per migliorare l’infittimento della griglia nella zona in prossimità delle vele si è introdotto un volume di infittimento di forma cilindrica di altezza 9 m e raggio 6 m illustrato in figura 3.24. L’introduzione di questo infittimento ha permesso di rendere molto più rada la griglia in zone in cui il fluido non subisce grandi cambiamenti, come intorno all’entrata e all’uscita. Fig. 3.24 – Cilindro di infittimento. 44 Le caratteristiche usate nelle varie griglie sono riassunte in tabella 3.1. Tab. 3.1: Caratteristiche dimensionali delle celle della griglia poliedrica. Base Size Number of Prism Layers Prism Layer Stretching Prism Layer Thickness Surface Size Volume Source 33.75 m Number of Prism Layers 2 Prism Layer Stretching 1.5 Absolute Size Surface Curvature Surface Growth Rate Surface Proximity Value Value Prova 1 Prova 2 Prova 3 Prova 4 0.027 m 0.018 m 0.0135 m 0.011 m #Pts/circle 36.0 Surface Growth Rate 1.3 #Points in a gap Search Floor Relative Minimum Size Percentage of Base Relative Target Size Percentage of Base Density Tet/Poly Density Growth Factor Tet/Poly Source BlendTet/Poly Source Blending ing Relative Size Percentage of Base 2.0 0.0 m 15.0 18.0 1.0 1.0 1.0 1.0 Per quanto riguarda lo spessore dello strato limite si sono indicati quattro valori diversi, ciò perché sono state effettuate quattro prove con condizioni al contorno diverse (vedi § 4.2.1) e per ognuna c’è stata la ricerca di un valore che consentisse un’adeguata qualità della mesh sulle superfici delle vele. È inoltre importante sottolineare che la creazione dello strato limite è stata disabilitata per l’inlet, l’outlet e la galleria, mentre per lo scafo si è provveduto a fornire valori dedicati sia per lo strato limite sia per la ritassellazione di superficie. Anche per le interfacce rappresentanti le vele si sono scelti dei valori dedicati per la ritassellazione e si è abilitata la creazione dello strato limite su di esse. Nello specifico i criteri per la dimensione delle celle sono stati riassunti in tabella 2.3 per lo scafo e in tabella 3.3 per le vele. Tab. 2.3: Caratteristiche dimensionali delle celle dello scafo. Number of Prism Layers Prism Layer Thickness Surface Size Number of Prism Layers Relative Size Value Relative Minimum Size Percentage of Base Relative Target Size Percentage of Base 1 0.1 0.3 0.3 45 Tab. 3.3: Caratteristiche dimensionali delle celle delle interfacce. Surface Size Relative Minimum Size Relative Target Size Percentage of Base Percentage of Base 0.12 0.12 Un problema a cui si è dovuto porre rimedio è stato l’intersecarsi in alcuni punti degli strati limite appartenenti a boundary molto vicini tra loro, come per esempio il genoa e lo scafo a prua, e ciò può portare alla divergenza del metodo di calcolo. La soluzione è stata la modifica dei valori di Gap Fill Percentage nel modello del Prism Layer Mesher. Tale opzione agisce sugli strati limite modificandone lo spessore secondo una percentuale della distanza normale presente tra i due boundary in prossimità tra di loro. La scelta di questo valore non è stata univoca ed è stata riassunta in tabella 4.3. Tab. 4.3: Valori selezionati per il Gap Fill Percentage. Prova 1 Prova 2 Prova 3 Prova 4 5.0 5.0 6.0 7.0 In figura 3.25 e 3.26 si può vedere il risultato del lavoro di meshatura. Fig. 3.25 – Griglia poliedrica. 46 Fig. 3.26 – Infittimento della griglia poliedrica (a sinistra) e particolare della mesh su scafo e vele (a destra). 3.2.2 Definizione del modello fisico Per un’analisi che rispecchi il meglio possibile le condizioni reali si deve scegliere il modello fisico più opportuno. Questo riguarda sia quale modello di spazio e tempo da considerare, sia le equazioni di riferimento all’interno delle analisi. Un’opportuna scelta del modello permette anche di ottenere risultati in tempi accettabili in base alla geometria che si considera. Prima di tutto si sceglie il modello di spazio la cui funzione principale è quella di fornire dei metodi per la valutazione e il collegamento delle metriche della griglia, come il centroide ed il volume della cella, il centroide e l’area della faccia, gli indici della faccia e della cella, l’angolo di inclinazione. In base alla geometria si è scelto un modello tridimensionale. Oltre allo spazio bisogna definire il moto della geometria. Infatti si possono studiare geometrie che cambiano posizione o forma nel tempo oppure geometrie immobili semplicemente investite da un flusso. I modelli di moto forniscono dei metodi per la valutazione e il collegamento di informazioni relative al moto della struttura di riferimento e della gri- 47 glia. Nel nostro caso, non essendoci organi in movimento relativo rispetto alla barca, si è scelto un modello stazionario e quindi tutta la geometria viene considerata ferma rispetto al flusso. Un regime di flusso turbolento, come nel caso in esame, è per sua natura non stazionario nel tempo quindi andrebbe considerata anche la scala dei tempi all’interno delle analisi ma così non è stato perché si può considerare stazionario il flusso medio. Un altro parametro sono le caratteristiche del fluido all’interno del campo di moto. Molte simulazioni che si compiono nei programmi fluidodinamici coinvolgono la modellazione di una sostanza come l’aria, l’acqua o l’alluminio, oppure di diverse sostanze in una miscela di gas per la combustione o una miscela di aria ed acqua per lo sloshing. La definizione di queste sostanze viene gestita dal Material model. Il programma prevede al suo interno una serie di sostanze base delle quali sono definite tutte le proprietà termodinamiche e di trasporto che permettono un’interfaccia con i modelli fisici. Nel caso si volessero considerare fluidi differenti si devono inserire manualmente i valori delle grandezze termodinamiche. Ci sono tre tipi generali di modelli di materiali utilizzabili nel programma: single-component, multi-component e multi-phase mixture. Ognuno di questi modelli di materiale gestisce un tipo specifico di materiale: sostanza pura, miscela di più componenti o miscela di più fasi. Scelto il tipo si deve scegliere anche la fase di riferimento: solido, liquido, gassoso. Nel nostro caso ovviamente si è scelta aria allo stato gassoso, alla temperatura di 15°C. La temperatura permette di avere il valore della densità in base alla pressione. Manca da definire l’equazione di stato di riferimento per le simulazioni. In base alla velocità del flusso o della vicinanza ai cambiamenti di stato della sostanza si può scegliere se valutare la densità come costante, secondo una variazione polinomiale o che segua le leggi del gas ideale. Nel nostro caso si hanno numeri di Mach molto bassi, minori di 0.3, e in assenza di scambi termici, quindi in prima approssimazione si può valutare costante la densità nel campo fluido. Con lo stesso ragionamento effettuato per la scelta del modello per la densità si è scelto l’algoritmo del Segregated Flow, dato che alla velocità considerata il fluido può essere considerato incomprimibile. 48 L’ultima variabile nella definizione del modello fisico delle simulazioni riguarda il tipo di turbolenza del regime fluido. Come indicato in Appendice D (si veda anche il rif. [18]) la turbolenza, che dipende principalmente dal numero di Reynolds, può essere trattata dal programma in differenti modi. La scelta di una tipologia rispetto ad un’altra comporta una diversa valutazione del flusso e l’utilizzo di differenti equazioni. Per una completa trattazione del problema fuidodinamico che possa rispecchiare il meglio possibile le condizioni reali di deflusso è necessario scegliere il modello di turbolenza più opportuno. Il programma suddivide il regime viscoso di un flusso in cinque tipologie: non viscoso, viscoso, laminare, transitorio e turbolento. I flussi non viscosi, inviscid flows, sono un’idealizzazione risultante dall’omissione degli effetti viscosi nella simulazione delle equazioni del moto. In questo modello non vengono considerate le equazioni di Navier-Stokes ma vengono risolte le equazioni di Eulero. Generalmente si ha un risparmio significativo delle risorse del calcolatore in quanto non vengono risolti gli strati del contorno e altri effetti viscosi a parete. Questa approssimazione può essere fatta solo in determinate condizioni, come nell’aerodinamica del comprimibile con elevati numeri di Reynolds. I flussi viscosi, viscous flows, possono essere classificati come laminari o turbolenti. I flussi laminari e turbolenti sono presenti in natura e sono entrambi descritti dalle equazioni di Navier-Stokes che includono gli effetti della viscosità, la conduttività termica e la diffusione della massa. Il termine laminare, laminar, si riferisce ad un flusso ordinato, libero dal punto di vista macroscopico, con fluttuazioni non ripetitive. I flussi laminari avvengono in natura quando il numero di Reynolds si mantiene basso, di solito Re < 2000 , in modo tale che la transizione alla turbolenza non avvenga. Le simulazioni con flusso laminare, quindi, sono appropriate solo nel caso in cui il numero di Reynolds sia sufficientemente basso. Un flusso transitorio, transitional flow, è un flusso che non ha più le condizioni di flusso laminare a causa dell’amplificazione di disturbi infinitesimali fra gli strati fluidi, ma non è ancora del tutto turbolento. Di solito si ha un regime con queste caratteristiche quando 2000 < Re < 20000 . La presenza di instabilità fisiche che si verificano nelle simulazioni laminari non viene valutata correttamente come invece avviene nel caso di 49 un’indicazione accurata della transizione. Inoltre, quando si usano modelli di turbolenza in regimi con bassi numeri di Reynolds, l’inizio di un moto turbolento negli strati viscosi non è determinato con buona accuratezza dallo stesso modello di turbolenza. In pratica il programma non ha mezzi proprio per predire la transizione. In ogni caso un modello per il flusso transitorio è realizzabile se l’utente mimetizza gli effetti di transizione sopprimendo la turbolenza in certe regioni predefinite. Un flusso che presenta alti numeri di Reynolds, Re > 20000 , ha delle fluttuazioni ad alta frequenza sia nello spazio che nel tempo della velocità locale del flusso a causa di uno stato di instabilità nel continuo. In questo caso siamo di fronte ad un moto turbolento completamente sviluppato, turbulent flow. In particolare nel nostro caso si è scelto il modello Realizable k − ε Two-Layer con Two-Layer All y + Wall Treatment. Tale modello è sostanzialmente migliore del modello k − ε Standard ed è in grado di fornire risultati quanto meno più accurati. Esso è implementato con un approccio Two-Layer che consente l’utilizzo di mesh raffinate sul sottostrato viscoso. Per ogni simulazione si è cercato quindi di fare in modo che i valori di y + sulle superfici delle vele fossero compresi tra 20 e 130 (figure 3.27 e 3.28). Fig. 3.27 – Valori di y+ sul lato sopravvento. 50 Fig. 3.28 – Valori di y+ sul lato sottovento. In conclusione le scelte effettuate per la determinazione del modello fisico di riferimento, modello che in ogni caso introduce semplificazioni del regime di moto, sono nell’ordine: • Geometria Tridimensionale • Flusso Medio Stazionario • Fluido Incomprimibile • Algoritmo Segregated • Regime Viscoso Turbolento o Realizable k − ε Two-Layer o Two-Layer All y + Wall Treatment 3.2.3 Definizione delle condizioni al contorno Dopo la costruzione della griglia e la definizione del modello fisico di riferimento si è passati alla definizione delle condizioni al contorno della geometria. Questa procedura permette di definire le proprietà fisiche di ogni superficie che individua il contorno del dominio fluido. La geometria, costruita in principio e importata nel programma di fluidodinamica, è composta da superfici chiuse (fatta eccezione per le vele che sono state però 51 trasformate in interfacce), quindi il volume racchiuso da esse viene considerato come campo fluido. Ogni superficie che delimita questo campo deve essere definita. Prima di questa operazione è opportuno indicare le condizioni di partenza e di riferimento. Dato che le condizioni reali di utilizzo della barca si riferiscono a pressione atmosferica si è impostato 101325 Pa come pressione di riferimento. Tutte le entità fisiche presenti nella realtà devono essere definite come pareti, Wall, ma c’è bisogno di fare una distinzione. Le vele e lo scafo infatti sono state definite pareti con la proprietà No-Slip. In questo modo sono trattate come pareti vere studiando lo strato limite a parete. Le superfici superiore ed inferiore della galleria, invece, sono state definite come pareti con la proprietà Slip, quindi non è studiato lo strato limite. Questo perché si ipotizza che a ridosso di tali superfici la traiettoria dell’aria sia tangente ad esse senza attraversarle. Le pareti della galleria sopravvento alla barca sono state definite come Velocity Inlet impostando la velocità con una Field Function. Tale funzione permette di inserire profili di velocità che diversi da quello costante impostato di default. Nel nostro caso la velocità è quella del vento apparente, cioè il vento a cui è effettivamente sottoposta la barca e, come visto in precedenza, esso è la combinazione di vento reale e velocità della barca. Il vento reale che si è deciso di considerare è dato dall’equazione logaritmica elaborata da Kerwin nel 1978: c (z ) = 0.1086 ⋅ c10 m ⋅ ln (1000 ⋅ z ) (3.1) Dove z è la quota espressa in metri e c10 m è la velocità in metri al secondo del vento reale a 10 m s.l.m. Questa formulazione si rivela estremamente utile poiché consente di determinare l’intensità del vento a partire da qualsiasi condizione presente su un eventuale campo di regata. Dato che per costruire le polari delle vele è necessario far variare l’angolo col vento apparente, nelle componenti di velocità si è considerata una variazione dell’angolo che il vento reale forma con la direzione di moto della barca, che nel nostro caso coincide con 52 l’asse y della galleria del vento. Le equazioni proiettate sugli assi appartenenti al piano orizzontale della galleria sono dunque le seguenti: V x = (0.1086 ⋅ c10 m ⋅ ln (1000 ⋅ (Centroide( z ) + 0.001))) ⋅ sin θ (3.2) V y = (0.1086 ⋅ c10 m ⋅ ln (1000 ⋅ (Centroide( z ) + 0.001))) ⋅ cos θ + Vb (3.3) Dove Centroide(z) è la componente z espressa in metri del centroide associato a ogni cella della griglia, ș è l’angolo in radianti tra vento reale e direzione di avanzamento della barca e Vb è la velocità della barca espressa in metri al secondo. Per quanto riguarda quest’ultima è importante sottolineare che essa è stata ipotizzata di volta in volta in base all’intensità del vento in un’ipotetica bolina. Essa dunque non deve essere in alcun modo associata alla forza propulsiva derivante dalle simulazioni poiché il suo unico scopo è quello di fornire in ingresso un vento apparente (si vedano a tal proposito i rif. [19] e [20]). Si noti inoltre che nelle formule al valore del centroide viene sommata la quantità 0.001. Se ciò non venisse fatto, qualora il centroide avesse valore nullo, il logaritmo naturale risulterebbe impossibile da calcolare. Fig. 3.29 – Impostazione del campo di moto. 53 Per quanto riguarda le pareti sottovento alla barca le si è definite come Pressure Outlet con 0 Pa il valore della pressione relativa, quindi pressione atmosferica. Si è inoltre impostata in Extrapolated la Backflow Direction Specification poiché il flusso in uscita non è normale al boundary bensì possiede un certo angolo dato dalle componenti del vento apparente lungo gli assi x e y. Si può quindi riassumere il tutto in tabella 5.3. Tab. 5.3: Condizioni al contorno di ogni singolo boundary. Boundary Scafo Genoa Randa Inlet Outlet Galleria Proprietà Wall Wall Wall Velocity Inlet Pressure Outlet Wall Note No-Slip No-Slip No-Slip Valore Field Function 0 Pa Slip 54 55 Capitolo 4 ANALISI E RISULTATI 4.1 ANALISI DELLE GEOMETRIE Prima di andare ad analizzare le proprietà fluidodinamiche delle coppie di vele è sta- to necessario classificarle in base alle caratteristiche geometriche. Si è dunque ricavato per ogni vela il rapporto d’aspetto, il rapporto di rastremazione, lo svergolamento, la posizione e l’entità del grasso. 4.1.1 Le coppie genoa-randa Si è in possesso di sei coppie genoa-randa e quindi in totale di 12 vele. Per ognuna di esse si è costruita in Thinkdesign una geometria ausiliaria in modo da calcolare prima di tutto rapporti d’aspetto e di rastremazione e rilevare poi le caratteristiche lungo l’apertura. Per fare ciò si sono presi sei profili campione e per ognuno di essi è stato fatto passare un piano sul quale si sono poi quotati i parametri principali quali corda, angolo di svergolamento, entità e posizione del grasso (figure 4.1 e 4.2). Fig. 4.1 – Geometria ausiliaria per il calcolo dei parametri caratteristici su genoa e randa. 56 Fig. 4.2 – Particolare della quotatura di un profilo della randa. I risultati dell’analisi sono stati quindi riassunti nelle tabelle 4.1 e 4.2 e nei grafici di figura 4.3, 4.4, 4.5, 4.6, 4.7, 4.8, 4.9 e 4.10. Tab. 4.1: Caratteristiche geometriche dei genoa. Genoa 1 2 3 4 5 6 Area reale Ar [m^2] 13.79 13.82 13.92 13.96 13.70 13.71 Area proiettata Ap [m^2] 13.07 13.07 13.04 13.03 13.10 13.10 Apertura b [mm] 7565.48 7565.64 7566.71 7566.96 7564.68 7564.78 Corda alla base cr [mm] 3556.60 3554.48 3545.60 3542.69 3563.80 3562.21 Corda in penna ct [mm] 0.90 0.89 0.88 0.88 0.91 0.91 Rapporto d’aspetto AR 4.378 4.379 4.391 4.393 4.369 4.370 Rapporto di rastrematura 0.00025 0.00025 0.00025 0.00025 0.00025 0.00025 57 Tab. 4.2: Caratteristiche geometriche delle rande. Randa 1 2 3 4 5 6 Area reale Ar [m^2] 11.05 11.07 11.17 11.20 10.89 10.91 Area proiettata As [m^2] 10.51 10.51 10.50 10.50 10.51 10.51 Apertura b [mm] 6614.97 6614.95 6614.99 6614.98 6614.91 6614.89 Corda alla base cr [mm] 2435.74 2435.71 2435.66 2435.63 2435.86 2435.84 Corda in penna ct [mm] 157.84 157.43 156.50 156.04 160.10 159.77 Rapporto d’aspetto AR 4.165 4.165 4.166 4.166 4.163 4.163 Rapporto di rastrematura 0.065 0.065 0.064 0.064 0.066 0.066 12.00 Svergolamento (deg) 10.00 8.00 6.00 4.00 2.00 0.00 0.00 10.00 20.00 30.00 40.00 50.00 60.00 70.00 80.00 Posizione/b (%) Fig. 4.3 – Variazione dello svergolamento al variare della posizione del profilo lungo l’apertura dei genoa. 90.00 58 12.00 Svergolamento (deg) 10.00 8.00 6.00 4.00 2.00 0.00 0.00 10.00 20.00 30.00 40.00 50.00 60.00 70.00 80.00 Posizione/b (%) Fig. 4.4 – Variazione dello svergolamento al variare della posizione del profilo lungo l’apertura delle rande. 20.00 f max/corda (%) 18.00 16.00 Genoa 1 14.00 Genoa 2 Genoa 3 12.00 Genoa 4 10.00 Genoa 5 8.00 Genoa 6 6.00 4.00 0.00 10.00 20.00 30.00 40.00 50.00 60.00 70.00 80.00 90.00 Posizione/b (%) Fig. 4.5 – Variazione della freccia massima (grasso) al variare della posizione del profilo lungo l’apertura dei genoa passando dalla base alla penna. 59 18.00 f max/corda (%) 16.00 Randa 1 14.00 Randa 2 12.00 Randa 3 10.00 Randa 4 Randa 5 8.00 Randa 6 6.00 4.00 0.00 10.00 20.00 30.00 40.00 50.00 60.00 70.00 80.00 Posizione/b (%) Fig. 4.6 – Variazione della freccia massima (grasso) al variare della posizione del profilo lungo l’apertura delle rande passando dalla base alla penna. 43.00 Pos f max/corda (%) 42.00 41.00 Genoa 1 40.00 Genoa 2 Genoa 3 39.00 Genoa 4 38.00 Genoa 5 37.00 Genoa 6 36.00 35.00 0.00 10.00 20.00 30.00 40.00 50.00 60.00 70.00 80.00 90.00 Posizione/b (%) Fig. 4.7 – Variazione della posizione della freccia massima (grasso) al variare della posizione del profilo lungo l’apertura dei genoa passando dalla base alla penna. 60 43.00 Pos f max/corda (%) 42.00 41.00 Randa 1 40.00 Randa 2 Randa 3 39.00 Randa 4 38.00 Randa 5 37.00 Randa 6 36.00 35.00 0.00 10.00 20.00 30.00 40.00 50.00 60.00 70.00 80.00 Posizione/b (%) Fig. 4.8 – Variazione della posizione della freccia massima (grasso) al variare della posizione del profilo lungo l’apertura delle rande passando dalla base alla penna 20.00 f max/corda (%) 18.00 16.00 Genoa 1 14.00 Genoa 2 Genoa 3 12.00 Genoa 4 10.00 Genoa 5 8.00 Genoa 6 6.00 4.00 35.00 36.00 37.00 38.00 39.00 40.00 41.00 42.00 43.00 Pos f max/corda (%) Fig. 4.9 – Variazione della freccia massima (grasso) al variare della sua posizione lungo la corda del profilo. 61 18.00 f max/corda (%) 16.00 Randa 1 14.00 Randa 2 12.00 Randa 3 10.00 Randa 4 Randa 5 8.00 Randa 6 6.00 4.00 35.00 36.00 37.00 38.00 39.00 40.00 41.00 42.00 43.00 Pos f max/corda (%) Fig. 4.10 – Variazione della freccia massima (grasso) al variare della sua posizione lungo la corda del profilo. Nelle tabelle 4.1 e 4.2 il rapporto d’aspetto e il rapporto di rastremazione sono così definiti: Rapporto d' aspetto = RA = b2 Ap (4.1) ct cr (4.2) Rapporto di rastremazione = Come si può vedere sia i genoa che le rande possiedono rapporti d’aspetto e di rastremazione che differiscono tra di loro per valori ben al di sotto dell’1%. Inoltre essi hanno lo stesso svergolamento crescente in altezza. Le differenze sono invece evidenti per quanto riguarda due caratteristiche fondamentali, ovvero: • Freccia massima (Grasso). • Posizione della freccia massima. Dunque si possono fare le seguenti classificazioni: 62 • Le coppie 1-2, 3-4, 5-6 hanno a due a due la stessa entità di grasso lungo l’apertura, crescente in direzione della penna. Nelle coppie 5-6 esso è poco accentuato, nelle coppie 3-4 è molto accentuato e infine nelle coppie 1-2 è mediamente accentuato. • Le coppie 1-3-5 e 2-4-6 hanno a tre a tre il grasso posizionato alla stessa distanza dall’inferitura, sempre più avanzato passando dalla base alla penna. Per le tre coppie 1-3-5 esso è complessivamente più arretrato rispetto alle 24-6. In sostanza si hanno due categorie di coppie genoa-randa che differiscono tra di loro per la posizione del grasso e all’interno di esse le coppie a loro volta si differenziano le une dalle altre per l’entità del grasso stesso. 4.2 ANALISI DI SENSIBILITÀ L’analisi di una geometria all’interno di un programma fluidodinamico si effettua co- struendo una griglia sulla quale fare i calcoli. Le dimensioni della griglia, in particolare le dimensioni delle celle e il numero totale che la compongono, non può essere deciso a priori, ma devono essere scelte all’interno di una procedura. Infatti appare ovvio come aumentando il numero delle celle aumenti la raffinatezza del risultato, in quanto migliora la discretizzazione della geometria, però esiste un limite oltre il quale non conviene spingersi. Il tempo di calcolo in questo caso sarebbe estremamente elevato senza peraltro ricavarne alcun profitto in termini di precisione. Per ottenere le dimensioni ideali della griglia, più precisamente il numero di celle, si deve effettuare una procedura in cui si infittisce sempre più la griglia fino ad ottenere variazioni marginali di alcuni parametri presi come riferimento. Quando la differenza fra i risultati di due griglie successive è inferiore al 5%, l’ultima griglia può essere considerata soddisfacente, e il numero delle celle può essere preso come obiettivo per le altre. Tale procedura viene chiamata analisi di sensibilità e deve essere effettuata seguendo alcuni criteri. Essa infatti deve essere resa il meno possibile dipendente dal valore di y + a 63 parete. Per far ciò si è impostato fisso il valore delle dimensioni dello strato limite e si sono fatte variare solo le dimensioni delle celle nel volume. Si sono quindi eseguite due simulazioni in cui si sono prese come riferimento la forza propulsiva (Fy)e la forza laterale (Fx) prodotte dalle vele attendendo che giungessero a convergenza, abbinate con la convergenza dei residui al di sotto di 10 −3 . I risultati ottenuti si possono visualizzare in tabella 4.3. Tab. 4.3: Analisi di sensibilità. Simulazione Numero celle Fy Genoa [N] Fy Randa [N] Fx Genoa [N] Fx Randa [N] 1 2 303967 34.06 5.95 86.45 57.54 601738 33.92 5.88 86.00 57.09 Differenza percentuale 2-1 +97.96 -0.41 -1.18 -0.52 -0.78 Si può vedere come un aumento di quasi il 100% delle celle produca effetti molto scarsi sul calcolo delle forze, con una massima differenza percentuale tra le due simulazioni dell’1.18%. Per questo motivo e in ragione del grande numero di simulazioni da effettuare si è scelto dunque di usare griglie che avessero un numero di celle di poco superiore alle 300000 unità. 4.3 RISULTATI DELLE SIMULAZIONI Il lavoro di simulazione è stato incentrato sul confronto delle varie geometrie di vela in possesso. Si è quindi partiti dalle classificazioni fatte con l’analisi geometrica e si sono impostate due serie di prove, le prime per vedere quale sia l’influenza sulle prestazioni dell’entità del grasso e le seconde per testare invece quale sia l’influenza della posizione del grasso stesso. Si sono dunque calcolate per ogni simulazione forza propulsiva e forza laterale generate da genoa e randa e le si è sommate in modo da ottenere i valori di forza propulsiva e laterale totali di coppia. Per avere un quadro più completo tali forze sono state poi proietta- 64 te, tramite una matrice di rotazione, in direzione parallela e perpendicolare alla direzione del vento apparente in modo da ottenere portanza e resistenza. FL ½ ª sin α ® ¾=« ¯ FD ¿ ¬− cos α cos α º FY ½ ® ¾ sin α »¼ ¯ FX ¿ (4.3) Dove FL e FD sono le forze di portanza e resistenza, FY e FX sono, rispettivamente, forza propulsiva e forza laterale e Į è l’angolo di rotta apparente, vale a dire l’angolo formato dal vento apparente con la direzione di moto della barca. Esso è stato calcolato di volta in volta nel modo seguente: § VX © VY α = arctan¨¨ · ¸¸ ¹ (4.4) Dove VX e VY sono rispettivamente le componenti lungo x ed y del flusso indisturbato preso a 33.75 m dal suolo della galleria. Le forze sono state anche espresse in termini di coefficienti adimensionali totali di coppia che sono stati così calcolati: CY = AG CYG + AR CYR ATOT (4.5) CX = AG C XG + AR C XR ATOT (4.6) CL = AG C LG + AR C LR ATOT (4.7) CD = AG C DG + AR C DR ATOT (4.8) Dove AG e AR sono rispettivamente l’area reale del genoa e della randa che come si vede sono moltiplicate al corrispettivo coefficiente. Tale media dei coefficienti ponderata sulla quantità d’area della rispettiva vela farà apparire, come si vedrà in seguito, i diagrammi dei coefficienti diversi dai grafici in cui compaiono le forze. Ciò avviene perché, 65 come risulta dall’analisi geometrica, le aree delle vele appartenenti alle varie coppie, non sono perfettamente identiche. Oltre al calcolo delle forze si è anche calcolata l’efficienza delle varie coppie. Ciò è stato fatto in due modi: Efficienza = FY FX (4.9) Efficienza = FL FD (4.10) Per quanto riguarda i criteri utilizzati per fermare le simulazioni si è deciso di usarne due, ovvero: • Tolleranza sui residui inferiore a 10-3. • Convergenza asintotica dei risultati per valori inferiori a 0.01 nelle ultime 10 iterazioni. Tali criteri consentono di effettuare delle simulazioni poco onerose in termini di tempo senza che venga pregiudicata la precisione dei risultati. 4.3.1 Prima serie di prove: l’influenza dell’entità del grasso Per la prima serie di prove si è scelto di confrontare coppie genoa-randa con uguale posizionamento del grasso ma con entità diverse di quest’ultimo. Per questioni di tempo e risorse si è dovuto scegliere tra il mettere a confronto le coppie 1, 3 e 5 o le coppie 2, 4 e 6. Si è quindi deciso di prendere in considerazione la prima terna, il cui grasso è distribuito su posizioni più arretrate rispetto a quello delle coppie 2, 4 e 6. Per ogni simulazione, a seconda dell’entità del vento, si sono fissati gli angoli di scotta di genoa e randa ed anche gli angoli di scarroccio e sbandamento per quanto riguarda lo scafo. I valori fissati derivano dall’esperienza sul campo e dalle conoscenze del prof. Lazzaretto e del Sig. Arch. Zane della veleria BluePhoenix. L’ipotesi sugli angoli di scar- 66 roccio e sbandamento è sicuramente un’ipotesi forte perchè essi non dipendono unicamente dalla velocità del vento ma sono il risultato dell’equilibrio aero-idrodinamico della barca. È anche vero però che effettuare le simulazioni con una barca non scarrocciata e non sbandata è un’idealizzazione troppo forte perché in bolina una tale situazione non si verifica mai. Dunque per questo motivo si è pensato che ipotizzare degli angoli fosse la scelta migliore e in grado di far eseguire delle simulazioni in condizioni più vicine alla realtà anche se non propriamente realistiche. Infatti, affinché sbandamento e scarroccio siano quelli a cui è effettivamente sottoposta la barca, sarebbe necessaria un’analisi anche della sua parte immersa ma ciò è possibile solo se in possesso di determinati parametri progettuali dello scafo. Sono state dunque effettuate quattro prove in cui di volta in volta il vento reale a 10 m s.l.m. è stato fatto aumentare a partire da un’intensità di 2 m/s e, una volta fissato tale parametro, si è fatto aumentare gradualmente di 2° il suo angolo con la direzione del moto a partire da 40°. In questo modo la combinazione del vento reale con la velocità ipotizzata della barca dà luogo ad un vento apparente che ruota verso angoli sempre maggiori. Si vedano i parametri fissati in tabella 4.4. Tab. 4.4: Parametri utilizzati nelle quattro prove. Prova 1 2 3 4 Intensità del vento reale a 10 m s.l.m. [m/s] 2 4 6 8 Velocità ipotizzata della barca [m/s] 2.75 3.5 4.25 4.5 Angolo di calettamento del genoa [deg] 15 15 15 15 Angolo di scotta della randa [deg] Angolo di scarroccio [deg] Angolo di sbandamento [deg] 0 0 1.6 7 3 2.5 2 3 5 5 10 14 È inoltre importante puntualizzare che per quanto riguarda la prima prova il passo adottato per la variazione dell’angolo del vento reale è stato di 2°, mentre per la seconda, la terza e la quarta è stato di 1°. Per la quarta prova tuttavia è stato necessario adottare il mezzo grado nelle ultime simulazioni a causa della non convergenza dei risultati se si fosse mantenuto lo stesso passo. Dunque per le coppie 1 e 2 l’ultima simulazione è stata effettuata con un vento reale a 46.5° rispetto alla direzione del moto e per la coppia 5 a 47.5°. 67 4.3.1.1 Prova 1 Si vedano di seguito i risultati ottenuti con le tre coppie nelle condizioni stabilite per la prova 1. 75.00 70.00 65.00 Fy [N] 60.00 Coppia 1 Coppia 3 55.00 Coppia 5 50.00 45.00 40.00 35.00 130.00 140.00 150.00 160.00 170.00 180.00 190.00 Fx [N] Fig. 4.11 – Confronto delle polari forza laterale (Fx)/forza propulsiva (Fy) per la prova 1. 0.45 0.40 0.35 Cy Coppia 1 Coppia 3 Coppia 5 0.30 0.25 0.20 0.70 0.75 0.80 0.85 0.90 0.95 1.00 1.05 1.10 1.15 1.20 Cx Fig. 4.12 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di forza laterale (Cx) e forza propulsiva (Cy) per la prova 1. 68 195.00 190.00 185.00 180.00 Fl [N] 175.00 170.00 Coppia 1 165.00 Coppia 3 160.00 Coppia 5 155.00 150.00 145.00 140.00 135.00 20.00 25.00 30.00 35.00 40.00 45.00 50.00 55.00 Fd [N] Fig. 4.13 – Confronto delle polari resistenza (Fd)/portanza (Fl) per la prova 1. 1.20 1.15 1.10 1.05 Coppia 1 1.00 Cl Coppia 3 0.95 Coppia 5 0.90 0.85 0.80 0.75 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30 0.35 0.40 Cd Fig. 4.14 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di resistenza (Cd) e portanza (Cl) per la prova 1. 69 0.39 Efficienza (Fy/Fx) 0.37 0.35 Coppia 1 0.33 Coppia 3 0.31 Coppia 5 0.29 0.27 0.25 24.00 26.00 28.00 30.00 32.00 34.00 36.00 38.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.15 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra forza propulsiva e forza laterale per la prova 1. 6.50 Efficienza (Fl/Fd) 6.00 5.50 Coppia 1 5.00 Coppia 3 4.50 Coppia 5 4.00 3.50 3.00 24.00 26.00 28.00 30.00 32.00 34.00 36.00 38.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.16 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra portanza e resistenza per la prova 1. 70 Per la prova 1 quindi, riferendosi ai diagrammi in cui compaiono forza propulsiva e forza laterale, che sono sicuramente i più significativi dal punto di vista velico, si può fare il seguente resoconto. Tab. 4.5: Valori massimi e medi di forza laterale, forza propulsiva ed efficienza a parità di angolo col vento apparente. Tra parentesi gli angoli a cui vengono raggiunti i valori massimi. Sul fondo le differenze percentuali tra le coppie. Fx Max [N] (Į [deg]) Fy Max [N] (Į [deg]) 176.30 (35.00) 183.64 (33.71) 168.13 (35.00) 67.23 (36.30) 69.96 (36.30) 64.55 (36.30) Eff. Max (Fy/Fx) (Į [deg]) 0.3837 (37.60) 0.3862 (37.60) 0.3863 (37.60) Diff.% 3-1 +4.16 +4.06 Diff.% 3-5 +9.23 Diff.% 1-5 +4.86 Coppia 1 3 5 Fx Media [N] Fy Media [N] Eff. Media 166.09 57.50 0.3440 173.20 59.24 0.3397 157.59 55.49 0.3499 +0.65 +4.28 +3.03 -1.25 +8.38 -0.03 +9.91 +6.76 -2.92 +4.15 -0.67 +5.39 +3.62 -1.69 Tab. 4.6: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo, forza laterale e forza propulsiva. Fx [N] Fy [N] Į [deg] 3>1>5 3>1>5 24.81÷37.60 144.06÷150.81 5>1 5>1 150.81÷168.13 5>1>3 5>1>3 168.13÷176.30 1>3 1>3 1>5 40.05÷40.61 5>1 3>1>5 40.61÷64.55 5>1>3 3>1 64.55÷67.23 1>3 Tab. 4.7: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo ed efficienza. Efficienza (Fy/Fx) Į [deg] 5>1>3 24.81÷35.00 5>3>1 36.30÷37.60 0.2780÷0.2865 3>1 0.2865÷0.3815 3>1>5 0.3815÷0.3837 1>3>5 0.3837÷0.3862 3>5 71 4.3.1.2 Prova 2 Si vedano di seguito i risultati ottenuti con le tre coppie nelle condizioni stabilite per la prova 2. 220.00 215.00 210.00 205.00 Fy [N] 200.00 Coppia 1 195.00 Coppia 3 190.00 Coppia 5 185.00 180.00 175.00 170.00 165.00 480.00 490.00 500.00 510.00 520.00 530.00 540.00 550.00 560.00 570.00 580.00 Fx [N] Fig. 4.17 – Confronto delle polari forza laterale (Fx)/forza propulsiva (Fy) per la prova 2. 0.42 0.41 0.40 0.39 Cy 0.38 0.37 Coppia 1 0.36 Coppia 3 0.35 Coppia 5 0.34 0.33 0.32 0.31 0.30 0.88 0.90 0.92 0.94 0.96 0.98 1.00 1.02 1.04 1.06 1.08 1.10 Cx Fig. 4.18 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di forza laterale (Cx) e forza propulsiva (Cy) per la prova 2. 72 600.00 590.00 580.00 Fl [N] 570.00 560.00 Coppia 1 550.00 Coppia 3 540.00 Coppia 5 530.00 520.00 510.00 500.00 85.00 95.00 105.00 115.00 125.00 135.00 145.00 155.00 165.00 Fd [N] Fig. 4.19 – Confronto delle polari resistenza (Fd)/portanza (Fl) per la prova 2. 1.15 1.13 1.11 1.09 Cl 1.07 1.05 Coppia 1 1.03 Coppia 3 1.01 Coppia 5 0.99 0.97 0.95 0.93 0.91 0.15 0.17 0.19 0.21 0.23 0.25 0.27 0.29 0.31 0.33 Cd Fig. 4.20 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di resistenza (Cd) e portanza (Cl) per la prova 2. 73 0.380 0.375 Efficienza (Fy/Fx) 0.370 0.365 0.360 Coppia 1 0.355 Coppia 3 0.350 Coppia 5 0.345 0.340 0.335 0.330 0.325 28.00 29.00 30.00 31.00 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.21 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra forza propulsiva e forza laterale per la prova 2. 6.00 Efficienza (Fl/Fd) 5.50 5.00 Coppia 1 Coppia 3 Coppia 5 4.50 4.00 3.50 28.00 29.00 30.00 31.00 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.22 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra portanza e resistenza per la prova 2. 74 Per la prova 2 si può quindi fare il seguente resoconto. Tab. 4.8: Valori massimi e medi di forza laterale, forza propulsiva ed efficienza a parità di angolo col vento apparente. Tra parentesi gli angoli a cui vengono raggiunti i valori massimi. Sul fondo le differenze percentuali tra le coppie. Fx Max [N] (Į [deg]) Fy Max [N] (Į [deg]) 550.06 (34.86) 575.60 (35.61) 525.40 (34.86) 206.81 (34.86) 215.68 (35.61) 198.23 (34.86) Eff. Max (Fy/Fx) (Į [deg]) 0.3770 (36.37) 0.3787 (36.37) 0.3779 (36.37) Diff.% 3-1 +4.64 +4.29 Diff.% 3-5 +9.55 Diff.% 1-5 +4.69 Coppia 1 3 5 Fx Media [N] Fy Media [N] Eff. Media 539.74 195.73 0.3624 564.49 203.41 0.3601 513.43 187.85 0.3656 +0.45 +4.59 +3.92 -0.63 +8.80 +0.21 +9.94 +8.28 -1.50 +4.33 -0.24 +5.12 +4.19 -0.88 Tab. 4.9: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo, forza laterale e forza propulsiva. Fx [N] Fy [N] Į [deg] 3>1>5 3>1>5 28.92÷36.37 514.06÷525.40 5>1 5>1 538.50÷575.60 1>3 1>3 3>1>5 172.77÷198.23 5>1>3 3>1 198.23÷206.81 1>3 Tab. 4.10: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo ed efficienza. Efficienza (Fy/Fx) Į [deg] 5>1>3 28.92÷34.86 3>5>1 35.61÷36.37 0.3361÷0.3424 3>1 0.3424÷0.3763 3>1>5 0.3763÷0.3770 1>3>5 0.3770÷0.3775 3>5 0.3775÷0.3779 5>3 75 4.3.1.3 Prova 3 Si vedano di seguito i risultati ottenuti con le tre coppie nelle condizioni stabilite per la prova 3. 445.00 435.00 425.00 Fy [N] 415.00 405.00 Coppia 1 395.00 Coppia 3 385.00 Coppia 5 375.00 365.00 355.00 990.00 1010.00 1030.00 1050.00 1070.00 1090.00 1110.00 1130.00 1150.00 Fx [N] Fig. 4.23 – Confronto delle polari forza laterale (Fx)/forza propulsiva (Fy) per la prova 3. 0.40 0.39 0.38 Cy 0.37 Coppia 1 Coppia 3 0.36 Coppia 5 0.35 0.34 0.33 0.32 0.89 0.91 0.93 0.95 0.97 0.99 1.01 1.03 1.05 Cx Fig. 4.24 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di forza laterale (Cx) e forza propulsiva (Cy) per la prova 3. 76 1205.00 1185.00 1165.00 Fl [N] 1145.00 Coppia 1 1125.00 Coppia 3 1105.00 Coppia 5 1085.00 1065.00 1045.00 1025.00 190.00 210.00 230.00 250.00 270.00 290.00 310.00 330.00 350.00 Fd [N] Fig. 4.25 – Confronto delle polari resistenza (Fd)/portanza (Fl) per la prova 3. 1.08 1.06 1.04 Cl 1.02 Coppia 1 Coppia 3 1.00 Coppia 5 0.98 0.96 0.94 0.92 0.17 0.19 0.21 0.23 0.25 0.27 0.29 0.31 0.33 Cd Fig. 4.26 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di resistenza (Cd) e portanza (Cl) per la prova 3. 77 0.385 Efficienza (Fy/Fx) 0.380 0.375 Coppia 1 0.370 Coppia 3 0.365 Coppia 5 0.360 0.355 0.350 30.00 31.00 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.27 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra forza propulsiva e forza laterale per la prova 3. 5.50 Efficienza (Fl/Fd) 5.00 4.50 Coppia 1 Coppia 3 Coppia 5 4.00 3.50 3.00 30.00 31.00 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.28 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra portanza e resistenza per la prova 3. 78 Per la prova 3 si può quindi fare il seguente resoconto. Tab. 4.11: Valori massimi e medi di forza laterale, forza propulsiva ed efficienza a parità di angolo col vento apparente. Tra parentesi gli angoli a cui vengono raggiunti i valori massimi. Sul fondo le differenze percentuali tra le coppie. Fx Max [N] (Į [deg]) Fy Max [N] (Į [deg]) 1088.34 (35.29) 1145.59 (34.50) 1038.04 (36.08) 412.78 (35.29) 435.69 (35.29) 395.37 (36.08) Eff. Max (Fy/Fx) (Į [deg]) 0.3794 (36.08) 0.3809 (36.87) 0.3810 (35.29) Diff.% 3-1 +5.26 +5.55 Diff.% 3-5 +10.36 Diff.% 1-5 +4.85 Coppia 1 3 5 Fx Media [N] Fy Media [N] Eff. Media 1078.49 401.34 0.3721 1133.29 420.67 0.3711 1025.17 385.09 0.3756 +0.40 +5.08 +4.82 -0.27 +10.20 -0.03 +10.55 +9.24 -1.20 +4.40 -0.42 +5.20 +4.22 -0.93 Tab. 4.12: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo, forza laterale e forza propulsiva. Fx [N] Fy [N] Į [deg] 3>1>5 3>1>5 30.58÷36.87 1>5 374.91÷387.70 5>1 3>1>5 387.70÷395.37 5>1>3 3>1 395.37÷412.78 1>3 Tab. 4.13: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo ed efficienza. Efficienza (Fy/Fx) Į [deg] 5>1>3 30.58÷33.71 5>3>1 34.50÷36.08 3>5>1 36.87 0.3564÷0.3627 3>1 0.3627÷0.3770 3>1>5 0.3770÷0.3794 1>3>5 0.3794÷0.3809 3>5 79 4.3.1.4 Prova 4 Si vedano di seguito i risultati ottenuti con le tre coppie nelle condizioni stabilite per la prova 4. 680.00 660.00 Fy [N] 640.00 Coppia 1 620.00 Coppia 3 600.00 Coppia 5 580.00 560.00 540.00 1340.00 1380.00 1420.00 1460.00 1500.00 1540.00 1580.00 Fx [N] Fig. 4.29 – Confronto delle polari forza laterale (Fx)/forza propulsiva (Fy) per la prova 4. 0.39 0.38 0.37 Cy 0.36 Coppia 1 0.35 Coppia 3 0.34 Coppia 5 0.33 0.32 0.31 0.30 0.74 0.76 0.78 0.80 0.82 0.84 0.86 0.88 0.90 Cx Fig. 4.30 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di forza laterale (Cx) e forza propulsiva (Cy) per la prova 4. 80 1680.00 1640.00 Fl [N] 1600.00 Coppia 1 1560.00 Coppia 3 1520.00 Coppia 5 1480.00 1440.00 1400.00 240.00 280.00 320.00 360.00 400.00 440.00 Fd [N] Fig. 4.31 – Confronto delle polari resistenza (Fd)/portanza (Fl) per la prova 4. 0.95 0.93 0.91 Cl 0.89 Coppia 1 0.87 Coppia 3 Coppia 5 0.85 0.83 0.81 0.79 0.13 0.14 0.15 0.16 0.17 0.18 0.19 0.20 0.21 0.22 0.23 0.24 0.25 0.26 Cd Fig. 4.32 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di resistenza (Cd) e portanza (Cl) per la prova 4. 81 0.435 0.430 Efficienza (Fy/Fx) 0.425 0.420 Coppia 1 0.415 Coppia 3 Coppia 5 0.410 0.405 0.400 0.395 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 38.00 39.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.33 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra forza propulsiva e forza laterale per la prova 4. 6.00 Efficienza (Fl/Fd) 5.50 5.00 Coppia 1 Coppia 3 Coppia 5 4.50 4.00 3.50 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 38.00 39.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.34 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra portanza e resistenza per la prova 4. 82 Per la prova 4 si può quindi fare il seguente resoconto. Tab. 4.14: Valori massimi e medi di forza laterale, forza propulsiva ed efficienza a parità di angolo col vento apparente. Tra parentesi gli angoli a cui vengono raggiunti i valori massimi. Sul fondo le differenze percentuali tra le coppie. Si fa notare che le medie comprendono i valori ottenuti per gli angoli compresi nel range 32.18°÷37.13°. Fx Max [N] (Į [deg]) Fy Max [N] (Į [deg]) 1518.65 (37.13) 1573.60 (36.30) 1460.82 (37.96) 649.65 (37.13) 671.94 (36.30) 630.01 (37.96) Eff. Max (Fy/Fx) (Į [deg]) 0.4278 (37.13) 0.4270 (36.30) 0.4324 (37.13) Diff.% 3-1 +3.62 +3.43 Diff.% 3-5 +7.72 Diff.% 1-5 +3.96 Coppia 1 3 5 Fx Media [N] Fy Media [N] Eff. Media 1484.14 624.09 0.4203 1536.53 639.71 0.4161 1410.36 601.34 0.4262 -0.19 +3.53 +2.50 -1.00 +6.66 -1.25 +8.95 +6.38 -2.37 +3.12 -1.06 +5.23 +3.78 -1.38 Tab. 4.15: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo, forza laterale e forza propulsiva. Fx [N] Fy [N] Į [deg] 3>1>5 3>1>5 32.18÷37.13 1423.86÷1460.82 5>1 5>1 1476.33÷1518.65 1>3 1>3 1>5 578.51÷590.03 5>1 3>1>5 590.03÷630.01 5>1>3 3>1 630.01÷649.65 1>3 Tab. 4.16: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo ed efficienza. Efficienza (Fy/Fx) Į [deg] 5>1>3 32.18÷37.13 0.4063÷0.4139 3>1 0.4139÷0.4270 3>1>5 0.4270÷0.4278 1>5 83 4.3.1.5 Commenti ai risultati Per quanto riguarda i diagrammi in cui compaiono forza laterale e forza propulsiva l’andamento è crescente fino ad un massimo oltre il quale le vele perdono potenza. Ciò accade perché più l’angolo col vento apparente aumenta più sul lato sottovento si ha una separazione del flusso che va ad influenzare le forze (figura 4.35). Fig. 4.35 – Velocità del flusso sulle vele della coppia 1 nella prova 4 con angolo prima di 32.18° (sopra) e poi di 37.54° (sotto). Si noti la separazione sul lato sottovento del genoa e lo spostamento in avanti della zona di alte velocità (basse pressioni). La sezione è stata fatta a 3 metri dal suolo della galleria quindi i profili sono quelli più in basso. È importante ricordare inoltre che l’angolo di incidenza subisce una variazione anche in altezza (figura 4.36). 84 Fig. 4.36 – Velocità del flusso sulle vele della coppia 1 nella prova 1 con angolo di vento apparente pari a 31.15°. Le sezioni sono state prese ad altezze diverse e rispettivamente a 3 metri (sopra) e 7 metri (sotto) dal suolo della galleria. I motivi di questa variazione sono due, ovvero il twist del vento apparente dovuto al moto della barca nello strato limite terrestre e l’upwash. Tale upwash, nel caso di un’ala, è un aumento dell’angolo del flusso verso l’alto dovuto alla bassa pressione sull’estradosso. Per quanto riguarda la vela di prua essa è sottoposta all’upwash indotto da sé stessa e dovuto alla rastremazione e all’angolo di freccia e ad un upwash addizionale indotto dalla presenza della randa. Dalle figure 4.35 e 4.36 si può infatti notare che il genoa trae beneficio dall’interferenza con la randa dato che l’angolo col flusso è maggiore di quanto sarebbe se questa non ci fosse. Per quanto riguarda la randa essa opera nello stesso vento apparente svergolato, con un upwash addizionale causato dalla sua rastremazione, ma in qualche mo- 85 do diminuito dalla sua freccia negativa. Essa lavora anche all’interno del downwash della vela di prua, ovvero un flusso con un minor angolo di incidenza e che è probabilmente svergolato dato che la vela di prua lavora in un flusso svergolato. Quindi, come già detto nel § 2.2.2, la randa è penalizzata dal genoa. Si può quindi vedere dai diagrammi di tutte e quattro le prove che, a parità di angolo col vento apparente, è sempre la coppia 3 a prevalere sulle coppie 1 e 5 per quanto riguarda le forze generate. Ciò avviene per il fatto che essa, con il suo maggior grasso, aumenta la differenza di pressione tra lato sottovento e lato sopravvento (figure 4.37, 4.38 e 4.39). Fig. 4.37 – Velocità del flusso sulla coppia 1 nella prova 2 con angolo di vento apparente di 31.88°. Fig. 4.38 – Velocità del flusso sulla coppia 3 nella prova 2 con angolo di vento apparente di 31.88°. 86 Fig. 4.39 – Velocità del flusso sulla coppia 3 nella prova 2 con angolo di vento apparente di 31.88°. I diagrammi polari resistenza/portanza non fanno altro che confermare ciò che ci aspetta da un’ala finita immersa in un flusso, ovvero un andamento parabolico della portanza all’aumentare della resistenza. E inoltre essi confermano la maggior potenza della coppia 3 rispetto alle coppie 1 e 5. Si deve comunque far notare che la maggiore portanza generata da tale coppia è indissolubilmente legata alla produzione di una maggiore resistenza. Essa infatti è costituita in gran parte dalla resistenza indotta che è dovuta ai vortici di estremità e che aumenta esponenzialmente con la portanza (figure 4.40 e 4.41). Fig. 4.40 – Linee di flusso sottovento alla coppia 1 nella prova 3 per un angolo di vento apparente pari a 34.50°. 87 Fig. 4.41 – Vista da sopravvento delle linee di flusso. Si noti la presenza dei vortici d’estremità. Il modo più efficace per minimizzare tale resistenza è aumentare l’apertura alare, dato che essa è inversamente proporzionale al quadrato dell’apertura, ma se ciò non può essere fatto l’unico modo è agire sul carico. La resistenza indotta infatti non dipende solo dalla quantità di portanza ma anche da come essa viene prodotta. La situazione ideale quindi sarebbe avere un carico ellittico ma ottenere ciò è altamente improbabile poiché la forma planare estremamente rastremata delle tipiche vele provoca carichi con molta meno portanza verso la penna rispetto a carichi ellittici, e così essa è meno che ottimale. Per quanto riguarda l’efficienza, a meno delle eccezioni documentate nelle tabelle, è la coppia 5 a presentare i valori maggiori a parità di angolo col vento apparente e soprattutto per gli angoli minori. Essa dunque presenta valori di forza laterale e forza propulsiva minori di quelli delle coppie 1 e 3 ma il rapporto tra di essi è più vantaggioso. Oltre al confronto a parità di angolo, si è fatto un confronto tra le coppie a parità di forza propulsiva, di forza laterale e di efficienza. Dunque si può vedere che, a parità di forza laterale, in determinati range è la coppia 5 a prevalere in quanto a forza propulsiva sulla coppia 1 e questa a sua volta prevale sulla 3. Ciò però avviene grazie ad angoli maggiori col vento apparente. A parità di forza propulsiva è invece la coppia 3 a presentare i valori 88 maggiori di forza laterale ma in ragione del fatto che l’angolo col vento apparente è più piccolo rispetto a quello delle coppie 1 e 5. Infine, fissata l’efficienza, è la coppia 3 a presentare un maggiore angolo col vento apparente. In altre parole se si utilizzano le vele facenti parte della coppia 3, per avere la stessa efficienza della coppia 5, è necessario adottare un angolo maggiore col vento apparente. 4.3.2 Seconda serie di prove: l’influenza della posizione del grasso Per la seconda serie di prove si è analizzata la coppia 2 il cui grasso ha la stessa entità di quello della coppia 1 ma è posizionato più verso l’inferitura. Sono state dunque ripetute le quattro prove della prima serie e di volta in volta si sono confrontati i risultati con quelli ottenuti con la coppia 1. 4.3.2.1 Prova 1 Si vedano di seguito i risultati ottenuti con la coppia 2 confrontati con quelli ottenuti con la coppia 1 nelle condizioni stabilite per la prova 1. 70.00 65.00 Fy [N] 60.00 55.00 Coppia 1 Coppia 2 50.00 45.00 40.00 35.00 140.00 145.00 150.00 155.00 160.00 165.00 170.00 175.00 180.00 Fx [N] Fig. 4.42 – Confronto delle polari forza laterale (Fx)/forza propulsiva (Fy) per la prova 1. 89 0.45 0.40 0.35 Cy Coppia 1 Coppia 2 0.30 0.25 0.20 0.75 0.80 0.85 0.90 0.95 1.00 1.05 1.10 1.15 Cx Fig. 4.43 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di forza laterale (Cx) e forza propulsiva (Cy) per la prova 1. 185.00 180.00 175.00 Fl [N] 170.00 165.00 Coppia 1 160.00 Coppia 2 155.00 150.00 145.00 140.00 20.00 25.00 30.00 35.00 40.00 45.00 50.00 55.00 Fd [N] Fig. 4.44 – Confronto delle polari resistenza (Fd)/portanza (Fl) per la prova 1. 90 1.20 1.15 1.10 1.05 Coppia 1 0.95 Coppia 2 Cl 1.00 0.90 0.85 0.80 0.75 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30 0.35 0.40 Cd Fig. 4.45 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di resistenza (Cd) e portanza (Cl) per la prova 1. 0.41 Efficienza (Fy/Fx) 0.39 0.37 0.35 Coppia 1 Coppia 2 0.33 0.31 0.29 0.27 24.00 26.00 28.00 30.00 32.00 34.00 36.00 38.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.46 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra forza propulsiva e forza laterale per la prova 1. 91 6.50 Efficienza (Fl/Fd) 6.00 5.50 5.00 Coppia 1 Coppia 2 4.50 4.00 3.50 3.00 24.00 26.00 28.00 30.00 32.00 34.00 36.00 38.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.47 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra portanza e resistenza per la prova 1. Per la prova 1 si può quindi fare il seguente resoconto. Tab. 4.17: Valori massimi e medi di forza laterale, forza propulsiva ed efficienza a parità di angolo col vento apparente. Coppia 1 2 Diff.% 2-1 Fx Max [N] (Į [deg]) Fy Max [N] (Į [deg]) 176.30 (35.00) 175.61 (35.00) -0.39 67.23 (36.30) 68.17 (36.30) +1.40 Eff. Max (Fy/Fx) (Į [deg]) 0.3837 (37.60) 0.3920 (37.60) +2.16 Fx Media [N] Fy Media [N] Eff. Media 166.09 57.50 0.3440 164.59 57.60 0.3474 -0.90 +0.17 +0.99 Tab. 4.18: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo, forza laterale e forza propulsiva. Fx [N] Fy [N] Į [deg] 1>2 1>2 144.06÷175.61 1>2 1>2 1>2 2>1 2>1 40.05÷60.47 60.47÷67.54 24.81÷31.15 31.15÷37.60 2>1 2>1 1>2 Tab. 4.19: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo ed efficienza. Efficienza (Fy/Fx) Į [deg] 2>1 0.2780÷0.3837 24.81÷37.60 1>2 92 4.3.2.2 Prova 2 Si vedano di seguito i risultati ottenuti con la coppia 2 confrontati con quelli ottenuti con la coppia 1 nelle condizioni stabilite per la prova 2. 215.00 210.00 205.00 Fy [N] 200.00 195.00 Coppia 1 190.00 Coppia 2 185.00 180.00 175.00 170.00 505.00 510.00 515.00 520.00 525.00 530.00 535.00 540.00 545.00 550.00 555.00 Fx [N] Fig. 4.48 – Confronto delle polari forza laterale (Fx)/forza propulsiva (Fy) per la prova 2. 0.42 0.41 0.40 0.39 Cy 0.38 0.37 Coppia 1 0.36 Coppia 2 0.35 0.34 0.33 0.32 0.31 0.91 0.93 0.95 0.97 0.99 1.01 1.03 1.05 1.07 1.09 Cx Fig. 4.49 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di forza laterale (Cx) e forza propulsiva (Cy) per la prova 2. 93 580.00 575.00 570.00 565.00 Fl [N] 560.00 555.00 Coppia 1 550.00 Coppia 2 545.00 540.00 535.00 530.00 525.00 90.00 100.00 110.00 120.00 130.00 140.00 150.00 160.00 Fd [N] Fig. 4.50 – Confronto delle polari resistenza (Fd)/portanza (Fl) per la prova 2. 1.13 1.11 1.09 1.07 Coppia 1 1.03 Coppia 2 Cl 1.05 1.01 0.99 0.97 0.95 0.16 0.18 0.20 0.22 0.24 0.26 0.28 0.30 0.32 Cd Fig. 4.51 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di resistenza (Cd) e portanza (Cl) per la prova 2. 94 0.390 0.385 Efficienza (Fy/Fx) 0.380 0.375 0.370 0.365 Coppia 1 0.360 Coppia 2 0.355 0.350 0.345 0.340 0.335 28.00 29.00 30.00 31.00 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.52 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra forza propulsiva e forza laterale per la prova 2. 6.00 Efficienza (Fl/Fd) 5.50 5.00 Coppia 1 Coppia 2 4.50 4.00 3.50 28.00 29.00 30.00 31.00 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.53 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra portanza e resistenza per la prova 2. Per la prova 2 si può quindi fare il seguente resoconto. 95 Tab. 4.20: Valori massimi e medi di forza laterale, forza propulsiva ed efficienza a parità di angolo col vento apparente. Coppia 1 2 Diff.% 2-1 Fx Max [N] (Į [deg]) Fy Max [N] (Į [deg]) 550.06 (34.86) 554.46 (34.86) +0.80 206.81 (34.86) 212.11 (34.86) +2.56 Eff. Max (Fy/Fx) (Į [deg]) 0.3770 (36.37) 0.3845 (36.37) +1.99 Fx Media [N] Fy Media [N] Eff. Media 539.74 195.73 0.3624 539.94 198.37 0.3670 +0.04 +1.35 +1.27 Tab. 4.21: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo, forza laterale e forza propulsiva. Fx [N] Fy [N] Į [deg] 1>2 514.06÷550.06 1>2 21 2>1 172.77÷205.39 28.92÷36.37 2>1 12 Tab. 4.22: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo ed efficienza. 4.3.2.3 Efficienza (Fy/Fx) Į [deg] 2>1 0.3387÷0.3770 28.92÷36.37 1>2 Prova 3 Si vedano di seguito i risultati ottenuti. 425.00 420.00 415.00 Fy [N] 410.00 405.00 Coppia 1 400.00 Coppia 2 395.00 390.00 385.00 380.00 375.00 1040.00 1050.00 1060.00 1070.00 1080.00 1090.00 1100.00 Fx [N] Fig. 4.54 – Confronto delle polari forza laterale (Fx)/forza propulsiva (Fy) per la prova 3. 96 0.40 0.39 0.38 0.37 Cy Coppia 1 Coppia 2 0.36 0.35 0.34 0.33 0.93 0.94 0.95 0.96 0.97 0.98 0.99 1.00 1.01 1.02 1.03 1.04 1.05 Cx Fig. 4.55 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di forza laterale (Cx) e forza propulsiva (Cy) per la prova 3. 1140.00 1135.00 1130.00 1125.00 Fl [N] 1120.00 Coppia 1 1115.00 Coppia 2 1110.00 1105.00 1100.00 1095.00 1090.00 200.00 220.00 240.00 260.00 280.00 300.00 320.00 340.00 Fd [N] Fig. 4.56 – Confronto delle polari resistenza (Fd)/portanza (Fl) per la prova 3. 97 1.08 1.06 Cl 1.04 Coppia 1 1.02 Coppia 2 1.00 0.98 0.96 0.18 0.20 0.22 0.24 0.26 0.28 0.30 0.32 Cd Fig. 4.57 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di resistenza (Cd) e portanza (Cl) per la prova 3. 0.390 Efficienza (Fy/Fx) 0.385 0.380 0.375 Coppia 1 Coppia 2 0.370 0.365 0.360 0.355 30.00 31.00 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.58 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra forza propulsiva e forza laterale per la prova 3. 98 5.50 Efficienza (Fl/Fd) 5.00 4.50 Coppia 1 Coppia 2 4.00 3.50 3.00 30.00 31.00 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.59 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra portanza e resistenza per la prova 3. Per la prova 3 si può quindi fare il seguente resoconto. Tab. 4.23: Valori massimi e medi di forza laterale, forza propulsiva ed efficienza a parità di angolo col vento apparente. Coppia 1 2 Diff.% 2-1 Fx Max [N] (Į [deg]) Fy Max [N] (Į [deg]) 1088.34 (35.29) 1095.52 (35.29) 412.78 (35.29) 423.26 (35.29) Eff. Max (Fy/Fx) (Į [deg]) 0.3794 (36.08) 0.3864 (35.29) +0.66 +2.54 +1.85 Fx Media [N] Fy Media [N] Eff. Media 1078.49 401.34 0.3721 1082.09 409.18 0.3780 +0.33 +1.95 +1.59 Tab. 4.24: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo, forza laterale e forza propulsiva. Fx [N] Fy [N] Į [deg] 1>2 1051.81÷1076.29 1076.29÷1088.34 1>2 2>1 2>1 2>1 377.94÷412.78 30.58÷36.87 2>1 1>2 1>2 Tab. 4.25: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta efficienza e angolo. Efficienza (Fy/Fx) Į [deg] 2>1 0.3606÷0.3794 30.58÷36.87 1>2 99 4.3.2.4 Prova 4 Si vedano di seguito i risultati ottenuti con la coppia 2 confrontati con quelli ottenuti con la coppia 1 nelle condizioni stabilite per la prova 4. 660.00 650.00 640.00 Fy [N] 630.00 620.00 Coppia 1 610.00 Coppia 2 600.00 590.00 580.00 570.00 1400.00 1420.00 1440.00 1460.00 1480.00 1500.00 1520.00 Fx [N] Fig. 4.60 – Confronto delle polari forza laterale (Fx)/forza propulsiva (Fy) per la prova 4. 0.39 0.38 0.37 Cy 0.36 Coppia 1 0.35 Coppia 2 0.34 0.33 0.32 0.31 0.76 0.78 0.80 0.82 0.84 0.86 0.88 0.90 Cx Fig. 4.61 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di forza laterale (Cx) e forza propulsiva (Cy) per la prova 4. 100 1620.00 1600.00 Fl [N] 1580.00 1560.00 Coppia 1 Coppia 2 1540.00 1520.00 1500.00 1480.00 255.00 275.00 295.00 315.00 335.00 355.00 375.00 395.00 415.00 Fd [N] Fig. 4.62 – Confronto delle polari resistenza (Fd)/portanza (Fl) per la prova 4. 0.96 0.94 0.92 0.90 Cl Coppia 1 Coppia 2 0.88 0.86 0.84 0.82 0.14 0.15 0.16 0.17 0.18 0.19 0.20 0.21 0.22 0.23 0.24 0.25 Cd Fig. 4.63 – Confronto delle polari con i coefficienti adimensionali di resistenza (Cd) e portanza (Cl) per la prova 4. 101 0.440 Efficienza (Fy/Fx) 0.435 0.430 0.425 Coppia 1 Coppia 2 0.420 0.415 0.410 0.405 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 38.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.64 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra forza propulsiva e forza laterale per la prova 4. 6.00 Efficienza (Fl/Fd) 5.50 5.00 Coppia 1 Coppia 2 4.50 4.00 3.50 32.00 33.00 34.00 35.00 36.00 37.00 38.00 Angolo vento apparente [deg] Fig. 4.65 – Confronto delle efficienze calcolate come rapporto tra portanza e resistenza per la prova 4. 102 Per la prova 4 si può quindi fare il seguente resoconto. Tab. 4.26: Valori massimi e medi di forza laterale, forza propulsiva ed efficienza a parità di angolo col vento apparente. Coppia 1 2 Diff.% 2-1 Fx Max [N] (Į [deg]) Fy Max [N] (Į [deg]) 1518.65 (37.13) 1507.84 (37.54) -0.71 649.65 (37.13) 654.46 (37.13) +0.74 Eff. Max (Fy/Fx) (Į [deg]) 0.4278 (37.13) 0.4351 (36.30) +1.71 Fx Media [N] Fy Media [N] Eff. Media 1488.42 627.14 0.4212 1472.63 629.51 0.4273 -1.06 +0.38 +1.45 Tab. 4.27: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo, forza laterale e forza propulsiva. Fx [N] Fy [N] Į [deg] 1>2 1423.86÷1507.84 1>2 21 2>1 578.51÷590.03 32.18÷37.13 2>1 12 Tab. 4.28: Confronto tra le coppie mantenendo fissi di volta in volta angolo ed efficienza. 4.3.2.5 Efficienza (Fy/Fx) Į [deg] 2>1 0.4105÷0.4278 32.18÷37.54 1>2 Commenti ai risultati Gli andamenti dei diagrammi riguardanti la coppia 2 sono in linea con quelli visti nella prima serie di prove per cui valgono le stesse considerazioni. Per quanto riguarda il confronto con la coppia 1 si possono notare due aspetti interessanti. Prima di tutto, l’analisi a parità di angolo col vento apparente nei diagrammi polari di forza laterale e forza propulsiva mette in luce come la coppia 2 produca una minor forza laterale unita ad una maggior produzione di forza propulsiva rispetto alla coppia 1. Questo fatto spiega perché vele con profili in cui il grasso è più avanzato siano spesso preferiti a vele in cui il grasso è arretrato. Infatti dato che lo scopo della vela è sviluppare una forza che faccia avanzare la barca, sarebbe molto efficace è avere più vela possibile in grado di operare con la maggiore differenza di pressione su di essa. Il modo per ottenere questa cosa è accelerare velocemente l’aria sul bordo d’ingresso curvo della vela in modo da generare 103 bassa pressione sul lato sottovento vicino all’inferitura e mantenerla poi su una significativa porzione di vela. Ciò si ottiene conferendo un’alta curvatura alla parte anteriore della vela. Una volta che il flusso è accelerato la curvatura può diminuire e il flusso continuerà velocemente sul lato sottovento. La parte posteriore della vela necessita di essere più piatta in modo da consentire al flusso di decelerare ed evitare così lo stallo. Questi dettagli sono i fattori di base che definiscono il profilo costituito da ingresso arrotondato con grasso avanzato (posizione della massima curvatura) e balumina piatta la cui validità è stata provata nelle tipiche applicazioni veliche. E’ evidente inoltre che la forma di una vela con più curvatura verso indietro mantiene l’aria accelerata più a lungo, e ciò potrebbe produrre una maggior quantità di forza totale dovuta ad una regione più grande di pressioni negative. Il problema è che i vettori della pressione negativa nella porzione arretrata della vela sono angolati più verso indietro rispetto a quelli nella parte anteriore della vela, così la quantità di forza propulsiva prodotta è minore, mentre la forza laterale che contribuisce a sbandamento e scarroccio aumenta. E’ altresì evidente che una forma la cui curvatura è arretrata ha un recupero di pressione più corto e più ripido che porterà ad avere prima stallo e separazione (vedi figura 4.66). Fig. 4.66 – Influenza della posizione del grasso sulla produzione di portanza. 104 Il secondo aspetto interessante è l’efficienza. Si può notare che la coppia 2 prevale sulla 1 a parità di angolo ed inoltre, a parità di efficienza, la coppia 1 presenta angoli maggiori di vento apparente. Quindi la coppia 1 per avere la stessa efficienza della 2 deve avere un flusso più angolato. L’analisi a parità di forza laterale conferma quanto detto in precedenza sull’efficacia del grasso avanzato, infatti la coppia 2 esplica una maggior forza propulsiva rispetto alla 1 anche se per angoli col vento apparente leggermente più grandi. Infine un’ulteriore conferma si ha dall’analisi a parità di forza propulsiva, dalla quale emerge che è la coppia 1 a prevalere sulla 2 in quanto a forza laterale e per angoli leggermente maggiori. Fig. 4.67 – Coefficienti di pressione sui lati sopravvento (sopra) e sottovento (sotto) della coppia 2 nella prova 3 con un angolo di vento apparente pari a 34.50°. 105 CONCLUSIONI Nel presente lavoro sono state analizzate e confrontate tra di loro alcune coppie genoa-randa appartenenti ad un’imbarcazione a vela classe Meteor. In prima battuta si è fatta una ricerca bibliografica su testi o riviste specializzate, al fine di reperire la descrizione delle metodologie o la loro applicazione a casi che rientrassero nell’ambito di questo lavoro. Successivamente, partendo da delle nuvole di punti ordinati forniti dalla veleria BluePhoenix, si sono modellate le vele. Si è inoltre creato anche uno scafo semplificato del Meteor e la galleria del vento virtuale in cui inserire il tutto. Il sistema è stato parametrizzato in modo da poter variare gli angoli di scotta per quanto riguarda le vele e gli angoli di scarroccio e sbandamento per quanto riguarda lo scafo. Si è resa infine necessaria la correzione della pre-mesh di superficie per evitare errori nel programma CFD. L’analisi vera e propria è stata preceduta da un’analisi geometrica e da una di sensibilità. La prima per evidenziare le differenze tra le varie coppie e quindi per scegliere dei criteri di confronto nelle simulazioni, la seconda per decidere quale fosse il numero adeguato di celle da utilizzare nella griglia di calcolo in ragione di tempo e risorse a disposizione e che è alla fine è stato fissato sulle 300000 unità. Nella prima serie di simulazioni dunque si sono messe a confronto tre coppie genoaranda in cui la freccia massima varia in entità ma la cui posizione rispetto all’inferitura non cambia. Nella seconda serie invece si sono confrontate due coppie in cui l’entità della freccia massima non varia mentre cambia la sua posizione. Per tutte le simulazioni sono stati fissati di volta in volta angoli di scotta, di scarroccio e di sbandamento mentre è stato fatto variare in angolo e intensità il vento apparente, somma vettoriale di un vento reale di gradiente e di una velocità ipotizzata della barca. Per quanto riguarda la prima serie di prove l’analisi ha messo in evidenza che la coppia di vele con la maggiore entità di grasso è quella che sviluppa le forze maggiori e ciò in ragione del fatto che essa crea una maggiore differenza di pressione tra il lato sottovento e il lato sopravvento. Per quanto riguarda l’efficienza invece è la coppia le cui vele sono più 106 piatte che prevale sulle altre. Quindi sta al velista decidere se preferire una coppia potente ma poco efficiente oppure una che ha un miglior rapporto tra forza propulsiva e forza laterale ma che sviluppa poca potenza. Per quanto riguarda la seconda serie di simulazioni si è visto che la coppia in cui il grasso è più spostato in avanti è in grado di generare, a parità di angolo col vento apparente, una maggiore forza propulsiva, una minor forza laterale e una maggiore efficienza rispetto alla coppia il cui grasso è più arretrato. Quindi in determinate condizioni sono da preferirsi profili costituiti da ingresso arrotondato con grasso avanzato e balumina piatta. Dunque sebbene siano state fatte molte ipotesi nello studio affrontato le conclusioni tratte sono verificate nella realtà. Possibili sviluppi futuri potrebbero essere l’introduzione dell’albero nel modello ed eventualmente una modellazione più dettagliata dello scafo anche se non troppo visto che molti dettagli spesso sono deleteri nelle simulazioni fluidodinamiche. Inoltre date la potenzialità fornite dalla parametrizzazione e in possesso dei parametri caratteristici dello scafo si potrebbe ricavare la polare delle velocità che potrebbe poi essere confrontata con dati sperimentali ottenuti strumentando un Meteor. 107 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] MILGRAM J.H., “Effects of masts on aerodynamics of sail section”, Marine Technology, 15, 1978, pp. 35-42. [2] MILGRAM J.H., “Section Data for Thin Highly Cambered Airfoils in Incompressible Flow”, NASA CR-1767, 1971. [3] WILKINSON S., “Static pressure distributions over 2D masts/sails geometries”, Marine Technology, 26, 1989, pp. 333-337. [4] WILKINSON S., “Boundary-layer explorations over a two-dimensional mast/sail geometry”, Marine Technology, 27, 1990, pp. 250-256. [5] YOO J., KIM T.H., “Computational and experimental study on performance of sails of a yacht”, Ocean Engineering, 33, 2006, pp. 1322-1342. [6] HANSEN H., JACKSON P., HOCHKIRCH K., “Comparison of wind tunnel and full-scale aerodynamic sale force measurements”, Proc. High Performance Yacht Design Conference, Auckland (New Zealand), 4-6 December, 2002. [7] CHOPIN V. G., NEYHOUSSER R., JAMME S., DULLIAND G., CHAISSANG P., “Sailing yacht rig Improvements through viscous computational fluid dynamics”, Proc. 17th Chesapeake Sailing Yacht Symposium, Annapolis (Maryland, USA), 2005. [8] CLAUSS C., HEISEN W., “CFD Analysis on the flying shape of modern yacht sails”, Proc. IMAM 2005, 12th International congress of the International Maritime Association of the Mediterranean, Lisbon (Portugal), 26-30 September 2005. [9] MIYATA H., LEE Y.W., “Application of CFD simulation to the design of sails”, Journal of Marine Science and Technology, 4, Tokyo (Japan), 1999, pp. 163-172. [10] Regolamento di Stazza Classe Meteor, Assometeor, gennaio 2004. [11] CHÉRET B., Le vele. Comprendere, Regolare, Ottimizzare, Mursia, Milano (Italy), 2003. [12] MARCHAJ C.A., Aero-hydrodynamics of sailing, Adlard Coles Ltd., London (UK), 1979. [13] Thinkdesign 2007.1, Help Online and Tutorial, THINK3. 108 [14] RapidForm 2006, Help Online, INUS Technology. [15] COMELLI D., Lucidi del corso, Strumenti e Metodi della Modellazione di Stile, Università degli Studi di Padova, DAUR Laboratorio di Disegno e Metodi dell’Ingegneria Industriale, Padova (Italia), 2007. [16] CIORTAN C., GUEDES SOARES C., “Computational study of sail performance in upwind condition”, Ocean Engineering, 34, Lisbon (Portugal), 2007, pp. 2198-2206. [17] STAR-CCM+ Version 3.02.003, User guide, CD-adapco. [18] ANTONELLO M., Dispensa del corso, Laboratorio di Fluidodinamica Applicata, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Padova (Italy), 2006. [19] PAGIN T., “Analisi e simulazione fluidodinamica delle prestazioni della randa di una barca a vela”, Tesi di Laurea, Università di Padova, Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Padova (Italy), 2006-2007. [20] BORDIN A., “Analisi fluidodinamica della randa di una barca a vela e validazione di un modello di simulazione prestazionale”, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Padova (Italy), 2006-2007. 109 Appendice A PIANI UFFICIALI CLASSE METEOR A.1 TAVOLA 01 110 A.2 TAVOLA 02 111 A.3 TAVOLA 03 112 A.4 TAVOLA 04 113 A.5 TAVOLA 05 114 115 Appendice B THINKDESIGN® E LA MODELLAZIONE PER SUPERFICI B.1 THINKDESIGN® Il programma Thinkdesign® è un modellatore CAD per superfici e offre una soluzione completa e perfettamente integrata che copre tutto il processo di progettazione del prodotto. Possono essere create in forma matematica curve e superfici delle quali è possibile analizzare la continuità, la tangenza o la curvatura. In questo modo è molto utile per la modellazione estetica e la progettazione di stile. Il Global Shape Modeling, di Thinkdesign, oggi denominata GSM, fornisce ai designer la possibilità di utilizzare sia la modellazione di superfici che di solidi per raggiungere i loro obiettivi progettuali. In modelli già costruiti è possibile invece ridefinire le curve e le superfici in forma matematica e modificare globalmente la geometria mantenendone l'associatività, nell'ambito della storia del modello. B.2 TEORIA DI RIFERIMENTO All’inizio della seconda metà del secolo scorso si diffuse la necessità di descrivere in forma digitale una curva o una superficie, che non fossero semplicemente linee rette, archi o coniche. Nacque così il concetto di punto di controllo e la costruzione di curve controllate da n punti. Più è alto il numero di punti più la curva è flessibile, per modificare la curva modifico i punti. Questo tipo di curva è detto di Bézier in onore del creatore. Con questo tipo di modellazione è possibile definire la base matematica delle curve determinando un polinomio caratteristico in cui il grado del polinomio corrisponde al numero di punti meno uno. La curva non passa per i punti, ma è controllata dagli stessi. I due metodi più comuni per rappresentare curve e superfici nella modellazione geometrica erano mediante equazioni implicite oppure con funzioni parametriche. Nel primo caso l'equazione descrive la relazione implicita tra le coordinate x e y del punto che descrive la curva nel piano. 116 f ( x, y ) = 0 (B.1) Data una curva l'equazione è unica a meno di una costante moltiplicativa. Nelle funzioni parametriche invece ogni coordinata del punto di una curva è rappresentata separatamente mediante funzioni esplicite di un parametro indipendente. La funzione è quindi una funzione vettoriale nella variabile indipendente u. C (u ) = [x(u ), y (u )] (B.2) Una superficie implicita è esprimibile, similmente alle curve implicite, nella forma (B.3) f ( x, y , z ) = 0 mentre una superficie definita in forma parametrica è esprimibile come S (u, v) = [x(u, v), y (u , v), z (u, v)] (B.4) Numericamente si riscontrano problemi negli arrotondamenti e nei troncamenti. Soluzione a questo tipo di problemi è stata appunto la creazione di curve di Bézier, definite come n C (u ) = ¦ Bi , n (u ) Pi 0 ≤ u ≤1 (B.5) i =0 in cui le blending function, Bi ,n , sono polinomi di Bernstein di grado n Bi , n = n! u i (1 − n) n −1 i!(n − i )! 0≤i≤n (B.6) I coefficienti della curva Pi assumono il significato geometrico di punti nello spazio prendendo il nome, appunto, di punti di controllo. Un esempio di curve di Bézier di grado 3 è illustrata in figura B.1, mentre la definizione matematica è la seguente 117 C (u ) = (1 − u ) 3 P0 + 3u (1 − u ) 2 P1 + 3u 2 (1 − u ) P2 + u 3 P3 (B.7) Fig. B.1 – Curva di Bézier di grado 3 definita da 4 punti di controllo (a sinistra) e valore delle blending function (a destra). Le principali caratteristiche di queste curve sono: • Sono invarianti per trasformazioni affini. • Il primo e l'ultimo punto della curva coincidono con il primo e l'ultimo punto, rispettivamente, del poligono di controllo. • La tangente della curva in P0 è parallela al segmento congiungente P0 e P1 , come pure la tangente in P3 è parallela al segmento congiungente P2 e P3 ; tale proprietà si generalizza alle derivate di ordine superiore nei punti estremi della curva: in generale, la derivata r-esima agli estremi dipende dalla posizione del vertice di controllo di estremità più gli altri r vertici contigui. • Inizialmente la curva piega nella medesima direzione di P0 P1 P2 e termina con la medesima direzione di P1 P2 P3 . • La curva è completamente contenuta nel poligono convesso definito dai vertici di controllo, convex hull property. • Una curva di Bezier non interseca una retta, comunque tracciata, più volte di quante non siano le intersezioni tra la medesima retta e il poligono di controllo 118 associato alla curva, variation diminishing property. Questo significa che la curva segue attentamente il poligono di controllo. • La variazione della posizione di un punto di controllo ha un effetto globale sulla forma della curva. • L'autointersezione di un poligono di controllo può implicare o no la realizzazione di un’autointersezione nella curva. Le curve di Bézier sono uno dei primi approcci alla modellazione matematica, però forniscono delle limitazioni. Infatti forniscono una trattazione troppo globale: modificando un punto si modifica tutta la curva impedendo di fatto modifiche locali. Inoltre presentano problemi come • Per soddisfare un numero elevato di vincoli richiedono un grado elevato, infatti per ottenere una curva di Bézier passante per n punti dati occorre un grado (n1). • Numericamente le formulazioni a grado elevato presentano instabilità numerica ed inefficienze. • Per descrivere forme complesse è necessario un grado elevato. • Una singola curva di Bézier risulta difficile da utilizzare interattivamente, poiché il controllo mediante i suoi punti di controllo è sempre globale e non locale. Da questo tipo di considerazioni nacquero in seguito le curve B-Spline che utilizzavano n polinomi parametrici uniti fra loro invece di uno unico. Si inseriscono così due nuovi parametri: il numero di arco e la continuità fra due archi adiacenti. Nonostante questa nuova definizione di curve rimasero altri problemi come il fatto che curve semplici come le coniche dovevano essere approssimate. La spiegazione matematica di questo problema è che una conica non può essere descritta da un polinomio. Quindi si decise di estendere le B-Spline a polinomi razionali, da qui si definirono le NURBS, Non Uniform Rational B-Splines. 119 Oltre ad avere le principali proprietà delle Bézier questo tipo di curve presenta altre importanti caratteristiche: • Sono invarianti per trasformazioni affini. • Il primo e l'ultimo punto della curva coincidono con il primo e l'ultimo punto, rispettivamente, del poligono di controllo. • La curva è completamente contenuta nel poligono convesso definito dai vertici di controllo locali e ne segue la forma, strong convex hull property. • Una curva NURBS non interseca una retta, o piano, comunque tracciata, più volte di quante non sono le intersezioni tra la medesima retta e il poligono di controllo associato alla curva variation diminishing property. • Approssimazione locale: se muoviamo un punto di controllo, il suo peso viene cambiato, influenzando solo la porzione di curva intorno al punto di controllo stesso. • La curva NURBS è infinitamente differenziabile all'interno di un arco ed è p+k volte differenziabile in corrispondenza del nodo con molteplicità k. • La forma di Bézier è un caso particolare delle forme NURBS. In particolare una curva NURBS senza nodi interni riduce la funzione di miscelamento ad una funzione di miscelamento di Bernstein. 120 121 Appendice C RAPIDFORM® E LE SINGOLARITÀ NELLE MESH C.1 RAPIDFORM® Rapidform® è un programma che permette una completa gestione delle nuvole di punti e la creazione e la gestione di entità geometriche parametriche. Per questi motivi si è rilevato molto utile nel lavoro di controllo e costruzione delle griglie, ultimo passo di elaborazione prima dell’implementazione nel programma di fluidodinamica. I principali ambienti di lavoro, Workbench, di RapidForm sono: • Scan • Polygon • Color • Curve • Surface • Inspect • Feature • Exchange • 3D Imaging Il programma permette inoltre: • Un allineamento più preciso delle viste • Controlli dimensionali • Filtraggio dei punti • Decimazione • Triangolazione • Eliminazione parti poco significative • Fusione delle viste 122 • Lisciaggio locale (paint smoothing) e globale (shell smoothing) • Riempimento dei buchi della griglia (fill holes) • Estrazione di curve e superfici di interesse • Sovrapposizione di modelli digitali ottenuti con metodi di acquisizione diversi • Elaborazioni specifiche per ogni componente acquisito Inoltre al suo interno sono presenti dei tool di elaborazione che permettono di trovare piani medi, piani di simmetria, fitting di curve, deformazione della shell. I file di Rapidform sono salvati nel formato MDL, specifico del programma, ma possono essere esportati anche in altri formati in dipendenza del lavoro successivo da eseguire: ad esempio PTS per nuvole di punti, IGS per curve e superfici, STL per l’intera griglia. C.2 SINGOLARITÀ NELLE MESH Nelle mesh non trattate sono spesso presenti delle singolarità. Tali imperfezioni per quanto piccole influenzano enormemente la stabilità e la qualità delle elaborazioni quindi si devono eseguire delle verifiche di consistenza della mesh per individuare ed eliminare le principali forme di errore. Nelle figure seguenti sono descritti gli errori delle facce della mesh. Non Manifold Faces: un triangolo condivide un lato più di una volta 123 Redundant Faces: un vertice è condiviso da triangoli non connessi coerentemente Crossing Faces: un triangolo, correttamente connesso, interseca triangoli limitrofi Oppure ci possono essere facce instabili, quando i triangoli connessi presentano distorsioni della topologia. Esistono inoltre i punti singolari che sono così elencabili: • Vertices with no face: vertici che non hanno facce, vanno eliminati perché possono presentare problemi in quanto punti non controllabili nelle successive elaborazioni • Coincident vertices: vertici che sono coincidenti e quindi possono generare triangoli sovrapposti o ambiguità nell’elaborazione • Faces on boundary: facce con due limiti al bordo • Small clusters: facce isolate dal resto della mesh • Zero area faces: area di estensione inferiore al valore impostato 124 125 Appendice D STAR-CCM+® E I MODELLI DI TURBOLENZA D.1 STAR-CCM+® STAR-CCM+® è un programma commerciale per la fluidodinamica computazionale, CFD, di largo utilizzo in molti settori dell'industria e del mondo accademico, basato sul metodo ai volumi finiti. Si presenta completamente integrato, dal pre al post processing passando per la meshatura. Permette l’analisi di moltissimi problemi legati alla fluidodinamica in tutti campi del settore ingegneristico. Oltre a fenomeni di turbolenza dei fluidi può analizzare combustione, miscelamento, e cambiamenti di stato. Negli ultimi anni lo studio fluidodinamico viene associato ad uno studio strutturale delle geometrie per una più completa analisi dei componenti. D.2 I MODELLI DI TURBOLENZA D.2.1 Scelta del modello di turbolenza Siamo alla presenza di un flusso in regime laminare quando in questo le forze di tipo viscoso sono preponderanti rispetto alle forze d’inerzia. In questo caso avviene lo scorrimento di strati infinitesimi gli uni sugli altri senza alcun tipo di rimescolamento di fluido, neanche su scala microscopica. Nel caso in cui invece i fenomeni inerziali, dovuti alla velocità, come i vortici, vincono sui fenomeni viscosi, si parla di un flusso in regime turbolento. Le forze viscose non sono sufficienti a contrastare le forze d’inerzia: il moto delle particelle del fluido avviene in maniera caotica, senza seguire traiettorie ordinate come nel caso laminare. In particolari la presenza dei vortici svolgono un'azione di mescolamento degli strati fluidi tra loro, rompendone l'originario parallelismo, mantenuto invece in un flusso a regime laminare. I fenomeni dipendono dalla velocità e dalle caratteristiche del fluido, infatti indice della classificazione del tipo di flusso è il numero di Reynolds. Il numero di Reynolds è un parametro di importanza fondamentale per l’analisi del dominio fluido in quanto rappre- 126 senta la misura del rapporto tra le forze di inerzia e le forze viscose presenti nel fluido stesso. Infatti oltre un certo valore del numero di Reynolds l’entità delle forze di inerzia supera quella delle forze viscose e il moto laminare diventa instabile. Cominciano ad apparire fluttuazioni rapide della velocità e delle pressioni ed il flusso passa da lamellare a tridimensionale non stazionario. Raggiunto un certo valore del numero di Reynolds, superata la zona di transizione, il moto diventa turbolento. Il contrario accade invece per bassi valori di tale parametro, tali per cui le forze viscose tendono a smorzare le perturbazioni indotte nel flusso. Tipicamente si parla di flussi laminari per valori del numero di Reynolds inferiori a 2000, mentre di flussi turbolenti per valori maggiori 10000. La grande maggioranza dei flussi che si incontrano nelle applicazioni pratiche sono turbolenti, quindi per ottenere informazioni quantitative sui campi di velocità e pressione risulta di fondamentale importanza sviluppare modelli matematici che simulino adeguatamente la fisica della turbolenza. D.2.2 Proprietà dei flussi turbolenti Un flusso turbolento è un moto irregolare dipendente dal tempo che risulta essere sempre rotazionale e tridimensionale, pertanto caratterizzato da un campo di moto istantaneo che fluttua rapidamente nelle tre direzioni. Le sue variabili hanno, infatti, due importanti caratteristiche: possiedono un ampio intervallo di scale significative e sono descrivibili con le leggi della probabilità. Un moto irregolare è un moto aperiodico che non può essere descritto completamente con uno sviluppo in serie di funzioni analitiche, ed è molto sensibile alle condizioni iniziali ed al contorno; piccole variazioni di tali condizioni provocano grandi variazioni delle traiettorie delle particelle fluide. La fisica della turbolenza può essere descritta considerando il moto dei vortici individuati da un’intensa distribuzione locale di vorticità. I vortici turbolenti provocano consistenti scambi di quantità di moto, o sforzi turbolenti, che possono essere molto più grandi degli sforzi viscosi. Le analisi delle soluzioni delle equazioni di Navier-Stokes mostrano che la turbolenza si sviluppa a partire da un’instabilità dei flussi laminari. 127 È importante anche considerare che i vortici non sono disaccoppiati dal moto medio, ma interagiscono con esso con scambi di quantità di moto e di energia turbolenta. La non linearità dell’equazione di Navier-Stokes descrive le interazioni tra fluttuazioni di differenti lunghezze d’onda e direzione. Queste lunghezze d’onda si estendono da un valore massimo comparabile con l’ampiezza del campo fluido ad un valore minimo determinato dai meccanismi di dissipazione viscosa dell’energia. Il processo fisico principale che sparge il moto su un ampio intervallo di lunghezze d’onda è lo stiramento dei vortici: il flusso medio allunga, stira i vortici e ne aumenta l’energia cinetica. La turbolenza guadagna energia se i vortici sono orientati principalmente in una direzione lungo la quale i gradienti della velocità principale possono stirarli. Il risultato dello scambio della quantità di moto è che una parte dell’effetto viscoso è dovuta alla viscosità molecolare, l’altra alla viscosità turbolenta, il che implica maggiori perdite perché aumentano gli sforzi di taglio. In altri termini, quando il moto medio cede energia cinetica ai vortici, quindi al moto fluttuante, questa diminuzione di energia cinetica del flusso medio può esser vista come un aumento di viscosità. Il fenomeno dello stiramento dei vortici incrementa la tridimensionalità della turbolenza e concentra la maggior parte della vorticità nei vortici più piccoli. Quando si ha un ampio intervallo di scale significative molti vortici ruotano e traslano, caratterizzati da diverse velocità e dimensioni. Se il flusso è laminare possono comunque formarsi dei vortici, ma il numero di scale di vortici è molto inferiore, possono essere anche solo due o tre, mentre in un flusso turbolento viene coinvolto un ampio range di scale, possono essercene anche mille. Il moto principale interagisce soprattutto con le lunghezze d’onda che non sono troppo piccole rispetto alle sue dimensioni. Le scale più grandi del moto turbolento pertanto hanno il maggior contenuto di energia e sono le principali responsabili dell’aumento di diffusività e della comparsa degli sforzi. In pratica i vortici del flusso principale stirano i vortici più grandi del flusso turbolento, fornendogli energia; questo meccanismo si ripete poi tra i vortici turbolenti di diversa dimensione fino ai vortici turbolenti più piccoli, i quali trasferiscono energia alle molecole del fluido, che a loro volta la dissipano per effetto della viscosità, generando in tal modo un processo di cascata. La velocità con cui l’energia viene dissipata dipende solo dall’interazione all’inizio del processo, tra il moto principale e i più 128 grandi vortici turbolenti. I flussi turbolenti, quindi, sono sempre dissipativi, come tutti i flussi viscosi. Da un punto di vista applicativo l’aspetto più importante della turbolenza è l’aumento della diffusività del flusso. Essa infatti è la maggiore responsabile dei trasferimenti di massa, quantità di moto ed energia. Gli sforzi apparenti che governano questi trasferimenti sono molto spesso parecchi ordini di grandezza maggiori degli sforzi viscosi. In una simulazione numerica di un flusso turbolento con le equazioni di NavierStokes, affinché queste forniscano risultati sufficientemente accurati, è indispensabile risolvere quasi tutte le scale turbolente. Il numero delle celle da utilizzare in un’analisi di questo tipo è proporzionale a Re 2.25 . Un’altra importante caratteristica dei flussi turbolenti è lo spostamento all’interno del campo di moto dei vortici più grandi, questi vortici hanno durata così lunga che, prima di essere dissipati, possono percorrere distanze pari a trenta volte una dimensione caratteristica del campo fluido. Lo stato di un flusso turbolento in un dato punto del campo dipende quindi dalla storia del campo di moto, e non può, dunque, esser descritto unicamente dai valori locali del tensore di deformazione, come avviene nei flussi laminari. Da un punto di vista matematico questi ultimi hanno sempre soluzione numerica, che converge in tempi accettabili, gli altri in generale non danno nessuna soluzione dall’equazione di NavierStokes, pertanto, usando solo questa, non si arriva alla convergenza dei risultati. Come precedentemente esposto, la turbolenza è caratterizzata da fluttuazioni irregolari delle grandezze del flusso, come la quantità di moto e l’energia, motivo per cui le equazioni della dinamica vengono ricavate utilizzando un approccio di tipo statistico. La procedura consiste nell’esprimere tutte le variabili del flusso come somma di un contributo medio e di un contributo fluttuante, o turbolento. Applicando questa decomposizione alle equazioni di Navier-Stokes, ed eseguendo l’operazione di media su ognuno dei suoi termini, si ottengono le equazioni di Reynolds, che governano il moto medio di qualunque flusso turbolento. Tuttavia in questo modo si ottiene un numero di equazioni inferiore a quello delle incognite, pertanto si rende necessaria la chiusura delle equazioni di Reynolds mediante l’introduzione di modelli di turbolenza. 129 D.2.3 Equazioni di Reynolds Le equazioni di Navier-Stokes sono la formalizzazione matematica di tre principi fi- sici ai quali i fluidi sono costretti a sottostare • il principio di conservazione della massa, equazione di continuità • il secondo principio della dinamica, bilancio della quantità di moto • il primo principio della termodinamica, bilancio dell’energia Considerando un flusso viscoso turbolento incomprimibile, dove tutte le grandezze sono costanti, le equazioni in forma vettoriale che governano il moto fluido sono quella della quantità di moto e di continuità ∂v 1 + (v ⋅ ∇ )v = − ∇p + ν∇ 2 v ρ ∂t (D.1) ∇⋅v = 0 (D.2) Prendendo in considerazione la seguente relazione matematica valida per qualunque vettore u ∇ ⋅ (uu ) = ∇u ⋅ u + (∇ ⋅ u )u (D.3) L’equazione di continuità, applicata al vettore velocità di un arbitrio flusso incomprimibile, diventa ∇ ⋅ (vv ) = ∇v ⋅ v = (v ⋅ ∇ )v (D.4) la quale fornisce la seguente equazione della quantità di moto ∂v 1 + ∇ ⋅ (vv ) = − ∇p + ν∇ 2 v ρ ∂t (D.5) 130 La velocità e la pressione istantanee possono essere decomposte come somma di una grandezza media e di una grandezza fluttuante v(x, t ) = v(v, t ) + v ′(x, t ) (D.6) p(v, t ) = p (x, t ) + p ′(x, t ) (D.7) Applicando un’operazione di media ad entrambi i membri dell’equazione (D.5) si ottiene ∂v 1 + ∇ vv + v ′v ′ = − ∇ p + ν∇ 2 v ρ ∂t ( ) (D.8) Il terzo termine del primo membro rappresenta la media della derivata convettiva della quantità di moto turbolenta dovuta alle turbolenze e il suo effetto può essere rappresentato con degli opportuni sforzi turbolenti. Riutilizzando la formula (D.4) quest’ultima operazione può essere riscritta come segue ∂v 1 + (v ⋅ ∇ ) ⋅ v = − ∇ p + ν∇ 2 v − ∇ v ′v ′ ∂t ρ ( ) (D.9) In essa è presente il tensore degli sforzi di Reynolds τ = v ′v ′ (D.10) esso indica pertanto il tensore delle correlazioni delle velocità fluttuanti, è simmetrico ed ha sei componenti indipendenti. Sostituendo questa relazione nell’equazione (D.9) e applicando la media all’equazione di continuità si ottengono le equazioni di Reynolds per un arbitrario flusso turbolento incomprimibile: dove ∂v 1 1 + (v ⋅ ∇ ) ⋅ v = − p + ν∇ 2 v − ∇ ⋅ τ ρ ρ ∂t (D.11) ∇⋅v = 0 (D.12) 131 T § τ 11 τ 12 τ 13 · 3 3 ¸ ∂ ∂ ∂ ½¨ 3 ∂τ 1i ∂τ ½ ∂τ 2 i ∇ ⋅τ = ® + ¦ 3i ¾ +¦ ¾¨τ 21 τ 22 τ 23 ¸ = ®¦ i =1 ∂x i ¿ ¯ i =1 ∂x i i =1 ∂x i ¯ ∂x1 ∂x 2 ∂x 3 ¿¨τ ¸ © 13 τ 23 τ 33 ¹ (D.13) L’equazione di continuità del flusso medio è identica a quella del flusso istantaneo e si ottiene sostituendo la velocità istantanea con quella media. Sottraendo poi all’equazione (D.2) l’equazione (D.12) si ottiene: ∇ ⋅ v − ∇ ⋅ v = ∇ ⋅ (v − v ) = ∇ ⋅ v ′ = 0 (D.14) da cui si vede che il campo delle velocità fluttuanti ha le stesse caratteristiche cinematiche del campo delle velocità istantanee. Invece l’equazione della quantità di moto media, diversamente dall’equazione della quantità di moto istantanea, ha al suo interno il tensore degli sforzi di Reynolds. In conclusione si è ottenuto un sistema di quattro equazioni scalari alle derivate parziali, nelle dieci incognite costituite dalle tre velocità medie, dalla pressione media e dalle sei velocità fluttuanti indipendenti del tensore degli sforzi di Reynolds. L’utilità dei modelli di turbolenza sta proprio nel fatto che essi collegano gli sforzi di Reynolds alle velocità medie, e hanno come principale obiettivo quello di chiudere l’equazione (D.11), quindi forniscono solo i valori medi delle grandezze che descrivono il flusso turbolento. D.2.4 Modelli algebrici degli sforzi turbolenti Nell’affrontare il problema della chiusura delle equazioni si tiene conto del processo di cascata, precedentemente descritto, con cui, a partire dai vortici turbolenti più grandi, l’energia viene infine trasferita al moto molecolare che la trasforma in calore, quindi è evidente che il moto turbolento aumenti la dissipazione del flusso medio. Queste osservazioni portano ad ipotizzare un’analogia tra gli sforzi di Reynolds e quelli viscosi e su cui si basa il modello di Boussinesq 132 τ= 2 ρkI − 2µ t s 3 (D.15) 1 v′ ⋅ v′ 2 (D.16) dove k= rappresenta l’energia cinetica turbolenta per unità di massa, µ t è la viscosità turbolenta, e s indica il tensore della velocità di deformazione del flusso medio. Si nota come l’espressione di τ del modello di Boussinesq permetta di passare da sei incognite a due, ovvero k e µ t . E’ importante anche sottolineare che il modello di Boussinesq degli sforzi turbolenti è analogo al modello di Stokes degli sforzi viscosi. Poiché si è osservato che i flussi turbolenti più grandi sono quelli che più interagiscono con il flusso medio, se si indicano rispettivamente con v * e con t * un’opportuna scala delle velocità e un’opportuna scala dei tempi dei vortici, si può assumere che µ t = ρν t = ρC* v *2 t * (D.17) Se inoltre si tiene conto del fatto che i vortici più grandi del flusso turbolento contengono la maggior parte della sua energia cinetica, la precedente relazione diventa µ t = ρC µ kt * (D.18) Dove la costante adimensionale C µ và determinata sperimentalmente. Sostituendo quest’ultima relazione nel modello (D.15) si ottiene il modello della viscosità turbolenta τ= 2 ρkI − 2 ρC µ kt * s 3 (D.19) da cui si vede la necessità di modellare almeno due grandezze turbolente una delle quali è l’energia cinetica turbolenta. 133 Il modello di Boussinesq è utilizzato nell’80% delle simulazioni numeriche dei flussi turbolenti; le due più importanti alternative a questo modello sono i modelli algebrici non lineari degli sforzi di Reynolds e i modelli basati sulla soluzione dell’equazione differenziale di trasporto degli sforzi di Reynolds. D.2.5 Modelli a due equazioni Negli ultimi due decenni i modelli a due equazioni hanno riscontrato grande successo nella ricerca. Questo tipo di modelli sono caratterizzati dal fatto che forniscono la soluzione di due equazioni differenziali indipendenti, quindi non solo l’energia cinetica turbolenta, come avviene nei modelli ad una equazione, ma anche la scala della lunghezza turbolenta. Quindi si può dire che i modelli a due equazioni siano completi, cioè che possano essere utilizzati per prevedere le proprietà di un dato flusso turbolento senza conoscere anticipatamente la struttura turbolenta. Per questo motivo essi sono considerati i più semplici modelli di turbolenza. Il punto di partenza per tutti i modelli a due equazioni è l’approssimazione di Boussinesq e l’equazione dell’energia cinetica turbolenta. Infatti l’equazione del trasporto dell’energia cinetica turbolenta è l’equazione fondamentale dei metodi basati sui modelli algebrici degli sforzi di Reynolds. Essa descrive l’andamento della stessa energia all’interno del flusso medio. Quindi prima di procedere alla descrizione dei modelli, si rende necessario definire l’energia cinetica media e la velocità di deformazione del flusso. L’energia cinetica media per unità di massa K di un flusso turbolento è data dalla somma dell’energia del moto medio k e dell’energia cinetica turbolenta k K= 1 1 v ⋅ v = v ⋅ v + 2 v ⋅ v ′ + v ′v ′ = k + k 2 2 ( ) (D.20) La velocità di deformazione istantanea di un fluido è definita come s= 1 T ∇v + (∇v ) 2 ( ) (D.21) 134 che, mettendo in evidenza la sua parte media e fluttuante, diventa s= 1 1 T T ∇v + (∇v ) + ∇v ′ + (∇v ′) = s + s ′ 2 2 ( ) ( ) (D.22) L’equazione dell’energia cinetica del moto medio è ottenuta moltiplicando l’equazione di Reynolds per la velocità media e dividendo per due ∂k 1 1 + (v ⋅ ∇ )k = − ∇ ⋅ pv − τ ⋅ v + ν∇ 2 k + τ : s − 2ν s : s ∂t ρ ρ ( ) (D.23) I sette termini questa equazione rappresentano 1. la variazione locale dell’energia cinetica del moto medio, 2. la variazione spaziale dell’energia cinetica del moto medio, 3. il trasporto del flusso medio dovuto alla pressione media, 4. il trasporto del flusso medio dovuto agli sforzi di Reynolds, 5. il trasporto dell’energia cinetica media dovuta agli sforzi viscosi, 6. il lavoro interno fatto dagli sforzi di Reynolds, 7. il lavoro interno fatto dagli sforzi viscosi. Sottraendo all’equazione di Navier-Stokes (D.1) l’equazione di Reynolds (D.11), moltiplicando scalarmente per la velocità fluttuante ed eseguendo la media, si ricava l’equazione dell’energia cinetica turbolenta ∂k 1 1 1 · § + (v ⋅ ∇ )k = − ∇ ⋅ ¨ p ′v ′ + ρ (v ′ ⋅ v ′)v ′ ¸ + ν∇ 2 k − τ : s − ε ρ © ρ ∂t 2 ¹ (D.24) ε = 2ν s ′ : s′ (D.25) dove I sette termini dell’equazione rappresentano 135 1. la variazione locale dell’energia cinetica turbolenta, 2. la variazione spaziale dell’energia cinetica turbolenta, 3. il trasporto del flusso turbolento dovuto alla pressione fluttuante, 4. il trasporto del flusso turbolento dovuto agli sforzi di Reynolds, 5. il trasporto dell’energia cinetica turbolenta dovuta agli sforzi viscosi, 6. il lavoro interno fatto dagli sforzi di Reynolds, 7. il lavoro interno fatto dagli sforzi viscosi. Si noti che il lavoro fatto dagli sforzi di Reynolds è presente, seppur cambiato di segno, in entrambe le equazioni dell’energia cinetica: nei flussi turbolenti il suo valore è positivo nell’equazione (D.24), mentre è negativo nella (D.23). Ciò è conseguenza del meccanismo di trasferimento dell’energia cinetica dal moto medio a quello turbolento che provoca una produzione di energia cinetica turbolenta a scapito di quella del moto medio. Il lavoro degli sforzi viscosi sul flusso turbolento è invece sempre negativo per la conversione di energia cinetica turbolenta in aumento di temperatura del fluido. D.2.6 Modello k-İ Il modello k-İ è il più noto e il più utilizzato, soprattutto in campo industriale, per le simulazioni di flussi turbolenti per la sua robustezza, la sua efficienza e perchè in molti casi fornisce previsioni sufficientemente realistiche. Esso è caratterizzato da due equazioni differenziali da modellare: una per l’energia cinetica turbolenta k e l’altra per la velocità di dissipazione turbolenta İ. Questo modello nacque quando Chou, nel 1945, propose la modellazione esatta dell’equazione di İ. Secondo la sua formulazione la viscosità turbolenta, la scala della lunghezza turbolenta l e la dissipazione erano legate dalle relazioni: µ t ≈ ρk 2 / ε , l ≈ k 3 2 / ε L’equazione dell’energia cinetica turbolenta può essere riscritta nella forma (D.26) 136 ∂k + (v ⋅ ∇ )k = P − ε + D + ν∇ 2 k ∂t (D.27) · §1 1 P = 2C µ kt * s : s , ε = 2ν s ′ : s ′, D = −∇¨¨ p ′v ′ + (v ′ ⋅ v ′)v ′ ¸¸ 2 ¹ ©ρ (D.28) in cui Queste tre grandezze rappresentano rispettivamente la produzione di energia cinetica turbolenta, la velocità di dissipazione di energia cinetica turbolenta e la diffusione turbolenta di k. La scala dei tempi per il modello k-İ è t* = k (D.29) ε inserendo questa relazione nell’espressione degli sforzi di Reynolds ed in quella della produzione, si ottiene k2 2 τ = ρkI − 2 ρC µ s 3 ε P = 2C µ k2 ε s:s (D.30) (D.31) L’ultima quantità che resta da modellare è la diffusione turbolenta. Si ipotizza un’analogia tra i meccanismi di diffusione turbolenta e quella molecolare, e si considera pertanto l’espressione del modello del trasporto dovuto agli sforzi di Reynolds 1 ρ p ′v ′ + 1 (v ′ ⋅ v ′)v ′ = − ν t ∇k 2 σk (D.32) Sostituendo le espressioni (D.31) e (D.32) nell’equazione (D.27) si ottiene la forma finale dell’equazione dell’energia cinetica turbolenta 137 ª§ ν · º ∂k k2 + (v ⋅ ∇ )k = 2C µ s : s − ε + ∇ ⋅ «¨¨ t + ν ¸¸∇k » ε ∂t ¹ ¼ ¬© σ k (D.33) Mentre l’equazione del trasporto dell’energia cinetica turbolenta k deriva da una formulazione esatta, l’equazione di trasporto della velocità di dissipazione İ deriva da considerazioni di carattere empirico. La forma finale dell’equazione standard della velocità di dissipazione è ª§ ν · º ∂ε ε2 + (v ⋅ ∇ )ε = C ε 1 + ∇ ⋅ «¨¨ t + ν ¸¸∇ε » ∂t k ¹ ¼ ¬© σ ε (D.34) I valori delle costanti che compaiono nelle espressioni (D.30), (D.33), (D.34) si determinano da valori medi derivanti dalla regressione di dati sperimentali di numerose tipologie di flussi turbolenti, e sono C µ = 0.09, σ k = 1.00, σ ε = 1.30, C ε 1 = 1.44, C ε 2 = 1.92 D.2.7 (D.35) Modelli vicino a parete I flussi turbolenti sono influenzati significativamente dalla presenza delle pareti, in prossimità delle quali, infatti, rallentano bruscamente dando origine a forti gradienti del campo di velocità. In questo modo il flusso passa dal regime turbolento a quello laminare rendendo inutilizzabili i modelli di turbolenza. Per risolvere il problema della simulazione del campo di moto in prossimità delle pareti si possono adottare due metodi: uno consiste nell’utilizzare le funzioni di parete (modello a due strati), l’altro nell’estendere fino a parete la validità delle equazioni del modello k-İ standard. 138 Fig. D.1 – Modello a parete. Per entrambi i casi è necessario definire le seguenti grandezze adimensionali y+ = vτ ν y, k + = k ν τ2 ,ε + = τ xy εν + , τ = xy ν τ4 ρν τ2 (D.36) definite a partire dalla velocità di attrito ν τ in funzione dello sforzo di parete τ w ντ = D.2.8 τw ρ (D.37) Funzioni di parete Nelle funzioni di parete si procede individuando due zone: una più vicina alla parete, dove il flusso è laminare, l’altra nello strato più lontano dalle pareti, dove il flusso è invece turbolento. Lo strato più vicino alla parete è il sottostrato viscoso, dove il flusso è simulato come se fosse laminare, mentre quello più esterno è la regione pienamente turbolenta, dove il flusso è simulato turbolento. Esiste anche una zona di raccordo, detta regione di mescolamento, che viene trascurata. 139 A partire da queste considerazioni il campo di moto più vicino alla parete è simulato risolvendo le equazioni dello strato limite, dette funzioni di parete, la parte turbolenta risolvendo invece le equazioni dei modelli di turbolenza ad un’opportuna distanza dalle pareti. Se si definisce la velocità adimensionale come ν x+ = νx ντ (D.38) dove con x si indica la direzione parallela alle pareti, le funzioni di parete per il sottostrato laminare risultano ν x+ = y + (D.39) k + = A k y +2 (D.40) ε + = 2A k (D.41) ( A k dipende dalle caratteristiche del campo di moto). La distribuzione della velocità adimensionale parallela alla parete, nella regione logaritmica, è ν x+ = 1 κ ( ) ln y + + C = 1 κ ( ) ln y + + 1 κ ln (E ) = 1 κ ( ln Ey + ) (D.42) dove κ = 0.41 ed E = 9 . Se si suppone che nello strato limite turbolento i gradienti di pressione lungo le pareti siano piccoli, si ha un equilibrio locale dell’energia cinetica turbolenta. In questa ipotesi si possono trascurare i contributi diffusivi turbolenti e viscosi, rispetto alla produzione e alla dissipazione che quindi si bilanciano. Dall’equazione del trasporto di k (D.27) risulta P − ε = 0 4C µ k2 ε = ε s* = 1 2 Cµ (D.43) 140 nella quale si è posto s * = ks ε . Ricordando che nello strato turbolento lo sforzo alla parete coincide con quello turbolento, si ottiene τ w = 2 ρC µ ks* k + = 1 Cµ (D.44) che rappresenta l’andamento dell’energia cinetica turbolenta. La sostituzione del profilo della velocità logaritmico (D.42) e del profilo di energia cinetica turbolenta (D.44) nell’ultima delle (D.43), conduce, dopo alcuni semplici passaggi a ε+ = 1 ky + (D.45) Il confine tra lo strato laminare e lo strato turbolento è individuato dalla distanza, anch’essa adimensionale, y m+ , in corrispondenza della quale il profilo laminare della velocità incontra quello turbolento. Il suo valore dipende dai valori scelti per le costanti della relazione (D.42). Indicando con y p+ la distanza adimensionale di una generica cella che si poggia alle pareti, le funzioni di parete utilizzate per il calcolo sono • laminari se y p+ ≤ y m+ • turbolenti se y p+ ≥ y m+ Le funzioni di parete vengono applicate solo in corrispondenza delle celle che si appoggiano alle pareti solide, mentre nelle celle adiacenti a quelle di parete il flusso è descritto dalle equazioni dei modelli di turbolenza. Di conseguenza bisogna fare attenzione al fatto che, se y p+ è troppo basso, si può inciampare in previsioni sbagliate perchè si utilizzerebbero modelli di turbolenza in una zona del campo di moto dove il flusso non è pienamente turbolento. Quindi al diminuire del valore di y p+ il metodo perde accuratezza. Il limi- 141 te inferiore da prendere come riferimento, e sotto il quale non bisognerebbe scendere, è y p+ = 20 . D.2.9 Estensione dei modelli a parete L’estensione dei modelli a parete ha il grande pregio di migliorare le previsioni nel sottostrato e nella zona di raccordo, in presenza di forti gradienti di pressione e nelle regioni di transizione. Nell’estensione del modello k-İ a parete il principale problema è costituito dall’equazione del trasporto di İ, che non è valida in prossimità delle pareti dove il termine C ε 2 ε 2 k tenderebbe all’infinito. L’equazione di k (D.33) nel modello k-İ grazie al termine di diffusività viscosa v∇ 2 k , è in grado di soddisfare alla condizione di parete k = 0; tuttavia, come si vede dall’equazione (D.30) degli sforzi di Reynolds, il suo comportamento per k = 0 non è corretto. L'espressione della viscosità turbolenta deve quindi essere modificata introducendo una opportuna funzione f µ che si avvicini a parete come 1 y + ; pertanto l’equazione (D.30) diventa τ= 2 k2 ρkI − 2 ρf µ C µ s 3 ε (D.46) L’equazione del trasporto di İ (D.34) può essere riscritta come ª§ ν · º ε ε ∂ε + (v ⋅ ∇ )ε = C ε 1 P − C ε 2 f 2 * + ∇ ⋅ «¨¨ t + ν ¸¸∇ε » k ∂t t ¹ ¼ ¬© σ ε eliminando così l’effetto della singolarità del termine C ε 2 ε 2 k . (D.47) 142 143 GLOSSARIO DEI TERMINI VELICI E NAUTICI Abbattere: far ruotare la nave intorno al suo asse verticale in modo che essa sia investita dal vento dal lato diverso dal precedente e in modo che nell’evoluzione ponga la poppa nella direzione del vento stesso; impropriamente si dice anche: virare in poppa. Abbattuta: operazione che consiste nel poggiare fino a cambiare le mure. Se l’operazione avviene involontariamente è detta strambata. Albero: asta che si innalza verticalmente dalla barca per sostenere la velatura. Ammainare: abbassare, far scendere o calare. Riferito principalmente alle vele. Andatura La direzione del vento e l’asse longitudinale della barca determinano un angolo che in funzione della sua ampiezza prende i nomi di bolina, bolina larga, traverso, lasco, giardinetto, poppa. Armo: designa il tipo di alberatura e di vele delle quali è dotata una nave. Quando riferito a una piccola imbarcazione, ne indica invece l’equipaggio (armo di lancia) e talvolta anche il capo di questo, ovvero il timoniere. Balumina: il bordo del lato della vela dal quale esce il vento. Base: lato inferiore della vela. Beccheggio: movimento oscillatorio provocato dal moto ondoso sull’asse longitudinale della barca. Bolina: cima di manovra usata per distendere il lato sopravvento di una vela quadra. Siccome le boline erano particolarmente messe in forza quando la nave procedeva con un moto che si avvicinava alla direzione del vento, il loro nome è divenuto indicativo dell’andatura corrispondente: andare di bolina, in bolina, etc. Boma: asta longitudinale attaccata all’albero sulla quale viene inferita la vela detta randa. Bordeggiare: nell’andatura di bolina modo di procedere a zig zag con una serie di virate di prua per risalire il vento. Bordo. il lato di dritta (destra) e di sinistra della barca. Un tratto di mare percorso sempre sullo stesso lato. Per il velista tirare due bordi è l’equivalente del fare due passi. 144 Bulbo: zavorra (peso) a forma di supposta fissata all’estremità di quella lama (detta pinna) situata nella parte immersa dell’imbarcazione. Il bulbo serve a bilanciare la spinta che il vento esercita sulle vele, senza il quale la barca a vela si troverebbe a facili scuffie (capovolgimenti). Caduta: lato verticale o inclinato di una vela. In una vela triangolare: caduta prodiera – inferitura; caduta poppiera – balumina. Carena: la parte immersa dell’imbarcazione. E’ detta anche opera viva. Cazzare: tirare (termine da non usare in barca) per esempio una scotta per manovrare la vela. L’opposto è lascare. Chiglia: grossa trave che costituisce l’asse strutturale di ogni nave. Posta in basso, al centro della carena, è spesso confusa con questa. Crocette: aste che distanziando le sartie dall’albero e che riducono gli sforzi su questo. Deriva: scostamento di una nave dalla sua rotta quando viene investita da una corrente che non è parallela od opposta al suo moto. Dritta: termine con cui in marina si indica la destra. Drizza: ognuna delle scotte che passando all’interno arrivano in testa d’albero e permettono di issare le vele. Fiocco: vela triangolare alzata a prua. Genoa: vela simile al fiocco ma di maggiore superficie. Gennaker: prende il nome dal genoa e dallo spinnaker essendo una vela di dimensioni e funzioni intermedie. Inferire: collegare un lato della vela allo strallo per il fiocco e il genoa all’albero e al boma per la randa. Issare: alzare. Lascare: opposto di cazzare. Lasco: si dice del vento che investe la nave a poppavia del traverso. Gran lasco indica una direzione di provenienza ancor più prossima alla poppa. Mure: fianco della barca colpito dal vento. La barca con mure a dritta (destra) ha la precedenza su una barca con mure a sinistra. 145 Nodo: il miglio marino equivale a 1,852 Km. In genere in mare la velocità è espressa in nodi. Un nodo = un miglio. Opera morta: tutta la parte visibile non immersa dell’imbarcazione. Opera viva: la parte immersa dell’imbarcazione. Orzare: timonare la barca in modo da portare la prua verso la direzione del vento. L’opposto è poggiare. Penna: angolo della vela che viene portata in testa d’albero tramite una drizza. Poppa: la parte posteriore dell’imbarcazione. Portare: detto delle vele che generano portanza, cioè hanno un effetto propulsivo, con una componente utile all’avanzamento. È la condizione che si presenta quando le vele sono correttamente bordate relativamente alla rotta e alla direzione del vento. Prua: la parte anteriore dell’imbarcazione. Poggiare: allontanare la prua dalla direzione del vento. L’opposto è orzare. Randa: la vela triangolare principale tra il boma e l’albero. Ralinga: fune disposta a rinforzo di ogni lato di una vela; in quelle auriche e nei fiocchi può designare particolarmente il lato lungo cui sono inferite, cioè fissate. Rollio: oscillazione trasversale della nave impressa dal moto ondoso. Sartie: disposte a dritta e a sinistra dell’albero collegano quest’ultimo alle fiancate. Sbandare: verbo che indica l’azione della nave che si inclina lateralmente per effetto del vento sulle vele. Scarroccio: deviazione laterale dalla rotta per effetto del vento o del moto ondoso. Scotta: cavo tessile che fissato alle vele ne permette la manovra. Scuffia: capovolgimento laterale di una barca. Sloop: veliero di dimensioni medio piccole, con un solo albero, randa Marconi e una vela di prua. Sopravvento: lato della barca colpito dal vento. Essere sopravvento, rispetto ad un’altra barca in una andatura di bolina significa avere un vantaggio in quanto la barca B che è sottovento difficilmente potrà superare A perché B si troverà senza vento dietro le vele di A. Sottovento: il contrario di sopravvento. 146 Spinnaker: spesso abbreviato in SPI, è quella grande vela (spesso colorata) che viene issata a prua nelle andature con vento a favore. Stazza: per le navi è il volume interno delle stesse espresso in tonnellate. Nelle regate, quale l’America’s Cup ad esempio, la barca viene stazzata secondo le regole della Stazza Internazionale e viene espressa in metri. Stecca: ciascuno dei listelli di legno o di materiale plastico che viene infilato in una tasca lungo la balumina della randa, a distanze pressoché uguali tra loro. Nel sistema tradizionale sono disposte ortogonalmente alla balumina e di lunghezza tale da irrigidirla facendo in modo che la parte convessa di questa non fileggi a causa delle turbolenze create dal vento all’uscita dalla vela. Nelle rande interamente steccate sono disposte parallelamente al boma, lungo tutta la distanza tra l’albero e la balumina. Strallo: manovra dormiente che sostiene l’albero verso prua. Lo strallo principale è fissato generalmente in testa all’albero e all’estrema prora e su di esso vengono inferite le vele di prua. Sullo strallo teso tra la testa di due alberi può essere inferita una vela di strallo; su quello teso tra un punto intermedio dell’albero e un punto in coperta a pruavia di questo (spesso chiamato stralletto) può essere inferita una trinchetta. Stringere: termine che indica l’andatura del veliero nei confronti della direzione del vento, in particolare per quelle andature in cui l’angolo formato è inferiore a 9°. Strambare: manovra fatta con il vento in poppa, consiste nel far passare il boma e quindi anche la randa dal lato sinistro a quello destro e viceversa. Terzaroli: fasce orizzontali di una vela che vengono sottratte all’azione del vento abbassando la mura e la bugna di questa ed eventualmente serrandole mediante i matafioni al fine di diminuire la superficie velica. Ogni fascia è detta mano di terzaroli. Vang: un paranco nelle barche più piccole, o un pistone in quelle più grandi, che fissato tra il piede dell’albero e il boma abbassa quest’ultimo. Vento: oltre al nome e alla direzione di provenienza è importante l’intensità del vento che determina la scelta delle vele. Più grandi e leggere con vento leggero, più piccole ma di tessuto più pesante e resistente con venti tesi. L’insieme di vele che vengono adoperate nelle varie situazioni si chiama “gioco di vele”. L’intensità e quindi la velocità del vento è classificata secondo una scala detta Beaufort. 147 Verricello: posizionati generalmente intorno al pozzetto, di dimensioni diverse a seconda delle trazioni che devono sostenere sono detti anche winch e consistono in un cilindro che ruota su se stesso solo in senso orario. Per esempio sul winch viene girata per tre o quattro volte la scotta. Virare: nelle rotte fatte a zig zag per risalire il vento è il cambio di direzione della prua. Winch: verricello ad asse verticale, generalmente ad azionamento manuale, utilizzato per tesare le scotte e dotato di un sistema di ingranaggi di demoltiplicazione. In alcuni casi la loro sommità è dotata di un sistema a frizione in cui la scotta rimane presa senza poter scorrere all’indietro (selftailing). 148 149 RINGRAZIAMENTI Al termine di questo lavoro di tesi, desidero ringraziare vivamente il Prof. Andrea Lazzaretto senza le cui indicazioni non avrei potuto impostare il lavoro di simulazione. Ringrazio inoltre il Sig. Arch. Alberto Zane, titolare della veleria BluePhoenix, il cui prezioso aiuto è stato di fondamentale importanza per lo svolgimento della tesi. Ringrazio naturalmente la mia famiglia, per la comprensione, il supporto morale e il sostegno concreto, senza la quale non avrei potuto affrontare il percorso di studi. Infine ringrazio con affetto, senza elencarli tutti, gli amici e tutte le persone che hanno condiviso con me questi intensi anni di studio.