La bella morte
Staccare la spina o no?
L’eutanasia nel mondo
greco e romano
Simona Micheletti
Laboratorio didattico di Antichistica, novembre 2008
La vita, se ti manca il
coraggio di morire, è una
schiavitù (Seneca)
Motivazione
L’attualità dell’argomento giustifica la riflessione
sulla libertà di morire nel mondo antico.
I casi di Terri Schiavo (2005), Piergiorgio Welby
(2006), Adolfo Baravaglio (2006), Giovanni
Nuvoli (2007) e quello attuale e molto discusso
di Eluana Englaro stimolano il dibattito da parte
dei giovani studenti sul diritto a morire e sulla
competenza dello Stato a decidere in merito
(laicità)
Spesso dimentichiamo quanto i nostri antenati fossero
diversi da noi, sotto molti aspetti. A dimostrarlo è
proprio questa tematica.
Sul suicidio e l’eutanasia lo sguardo degli antichi era molto
diverso dal nostro. A determinare il cambiamento è in
primo luogo il passaggio dal paganesimo al
cristianesimo, in secondo luogo una motivazione di
natura tecnica: allora non vi erano né farmaci né
macchine sofisticate capaci di prolungare artificialmente
la vita vegetativa.

Destinatari: III liceo Classico o V Liceo
Scientifico

Metodologia: lavoro interdisciplinare con
Italiano, Storia, Filosofia, Latino, Irc

Verifiche: saggio breve (analisi di documenti,
articoli di quotidiani, riviste, immagini)
Obiettivi
1) Conoscenza
--conoscenza del pensiero degli antichi sul tema
-conoscenza dei testi proposti
-conoscenza delle problematiche relative al suicidio
2) Competenza
-potenziamento delle capacità di traduzione
-acquisizione delle capacità di decodificare un testo
-capacità di operare collegamenti sottolineando e spiegando le
differenze tra testi della stessa cultura e di culture diverse
-maggiore informazione sul problema nelle dimensioni attuali
Contenuti
Doppio livello della “bella morte”
nel mondo antico:


SUICIDIO: suicidi di massa (morte di popolazioni
soccombenti) – suicidi di filosofi (Epicuro, Zenone,
Cleante, il cinico Peregrino Proteo) – suicidio femminile
come sacrificio volontario (Ifigenia, Polissena, Macaria,
Alcesti)
oppure
EUTANASIA: eutanasia politico- sociale/eutanasia
esistenziale
Suicidio
Interroghiamo i testi
la concezione del
suicidio dipende dalla
percezione dell’aldilà
Scarsa preoccupazione nell’aldilà:
non si nutrivano speranze



“Innocente fui procreato dai miei genitori, ed ora scendo infelice
nell’Ade. Non ero nulla e fui procreato, e tornerò ad essere nulla
come prima. Nulla e poi nulla è la stirpe degli uomini”
(iscrizione funeraria greca Antologia Palatina n.339)
“Chi sa se la vita terrena non sia propriamente una morte, e la
morte una vita?”( Euripide, frammento)
Democrito considerava il timore dell’aldilà, “questa
immagine mitica inventata” una delle tante miserie della
vita (Stobeo, ed. Meineke, vol.III )
La frequenza dei suicidi dimostra
la scarsa diffusione della concezione
pitagorica e orfica
della metempsicosi
… di Pitagora
“E narrano che una volta
Pitagora passava mentre un
cane era bastonato. Ne ebbe
compassione e disse queste
parole”<Smetti, non
bastonarlo, perché è l’anima
di un uomo mio amico, l’ho
riconosciuta udendola
gemere>”
Senofane, fr. 7 Diels-Kranz
“Dicono sia stato il primo a
rivelare che l’anima, secondo
un ciclo di necessità, si leghi
ora ad un essere vivente, ora
ad un altro, ed il primo pure
ad introdurre in Grecia
misure e pesi”
Diogene Laerzio, Vita dei
filosofi, V, III
Il suicidio non era
considerato,
nell’opinione popolare,
una colpa contro gli dei
perché non dagli dei
si riceveva la vita
Il suicidio non era un atto di codardia, ma di coraggio.
 Non tutti i suicidi erano nobili: il giudizio sociale
dipendeva dal mezzo. L’impiccagione, ad esempio, era
disonorevole. Il dissanguamento era invece una morte
degna, come quella per inedia, con il veleno e con il
laqueum, il laccio che, nascosto nelle vesti consentiva di
strangolarsi evitando l’infamia di morire uccisi. L’arma
più nobile era la spada simbolo virile per eccellenza. E
se per caso un uomo esitava ad impugnarla, a
ricordargli il suo dovere era la moglie.
Vedi episodio di Arria, moglie di Cecina Peto (Plinio il
Giovane)

Qualche testimonianza
Plinio il giovane
Epistolario III, 16
Praeclarum quidem illud eiusdem, ferrum stringere,
perfodere pectus, extrhere pugionem, porrigere marito,
addere vocem immortalem ac paene divinam:
<Non dolet Pete>.
Sed tamen ista facienti dicentique gloria et aeternitas ante
oculos erant; quo maius est, sine praemio aeternitatis,
sine praemio gloriae, abdere lacrimas, operire luctum,
amissoque filio matrem adhuc agere.

Epicuro: l’uomo può uscire dalla scena anche senza
gravi motivi “è un male vivere nella necessità, ma non c’è
nessuna necessità di vivere nella necessità”
(Sentenze vaticane 9)
Epicuro insegnava che in caso di dolori intollerabili si
dovesse lasciare la vita come un teatro: egli stesso a 62
anni, malato, si immerse in una vasca di acqua bollente
e sorseggiando vino puro morì. Le sue ultime parole
furono di gioia per la filosofia e di preghiera agli amici
perché ricordassero la sua dottrina.
Secondo la filosofia stoica, specialmente quella della terza
fase, il saggio ha il diritto di anticipare la sua liberazione
perché la morte è spesso l’unica porta aperta verso la
libertà
In Seneca: compare un duplice pensiero 1) la difesa del
principio stoico di potersi togliere la vita in casi estremi
2) l’obbligo di continuare a vivere quando lo esige
l’amore per i propri cari (Lettere a Lucilio)
Leopardi, Dialogo di Plotino e Porfirio abbraccia le posizioni
di Seneca: Plotino sostiene che per riguardo ai propri
cari non è giusto togliersi la vita, Porfirio invece difende
la scelta del suicidio che ci affranca dai mali
dell’esistenza
“Porfirio:a me pare che la noia stessa nel ritrovarsi privo di
ogni speranza di stato o di fortuna migliore sia causa a
ingenerare il desiderio di finire la vita[…]
Plotino: colui che si uccide non ha cura né pensiero alcuno
degli altri, non cerca se non l’utilità propria, si gitta, per
così dire, dietro alle spalle il suo prossimo e tutto il genere
umano”
Leopardi, Operette morali, Dialogo di Plotino e Porfirio
Epitteto, che secondo lo stile socratico non scrisse niente, ma il cui
insegnamento venne raccolto dal discepolo Arriano di
Nicomedia, teorizza
“ non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli
uomini formulano sui fatti. Per esempio la morte non è nulla di
terribile ( perché altrimenti sarebbe sembrato tale anche a Socrate) ma
il giudizio che la vuole terribile, ecco, questo è terribile. Di conseguenza
quando subiamo un impedimento, siamo turbati o afflitti, non
dobbiamo accusare nessun altro tranne noi, ossia i nostri giudizi.
Incolpare gli altri dei propri mali è tipico di chi non ha una
educazione filosofica; chi l’ha intrapresa incolpa se stesso; chi l’ha
completata non incolpa né gli altri né se stesso” (Manuale, 5)
“Uomini aspettate il segnale. Quando Dio lo vorrà, troverete rifugio
presso di lui. Ma per ora rimanete nel posto che vi ha assegnato”.
(Diatribe, I, 16-17)
Tacito descrive la morte di Agricola (De vita
Iulii Agricolae 43), di Seneca, di Trasea Peto, di
Lucano, di Petronio (Annales )
 Fannio, sotto Traiano, scrisse De exito illustrium
virorum
 Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili II,7
Il senato svolge un’inchiesta su chi vuole morire e
offre il veleno a chi per fondati motivi ha deciso
di suicidarsi.

“Nella città di Marsiglia si custodisce pubblicamente un
veleno preparato con la cicuta, che viene offerto a chi
davanti a Seicento dichiara il motivo per il quale intende
darsi la morte. Prima si svolge un’inchiesta, condotta con
spirito di tolleranza, che non consente di uscire dalla vita
alla leggera e offre a chi vuole andarsene per fondati
motivi una rapida via di morte. Così quelli che hanno
sperimentato una fortuna o troppo avversa o troppo
favorevole ( l’una e l’altra possono spingere al suicidio, la
prima nel timore che continui, la seconda nel timore che
ci abbandoni) hanno la possibilità di terminare la loro
vita con una fine riconosciuta giusta”.

Questa pratica non doveva essere un unicum se
Valerio Massimo aggiunge:
“quam consuetudinem Massiliensium non in Gallia
ortam sed ex Graecia translatam inde existimo, quod
illam etiam in insula Cea servari animadverti che
questa consuetudine dei Marsigliesi non abbia avuto
origine in Gallia, ma vi sia stata trasferita dalla
Grecia, ritengo in base a quel che personalmente rilevai
nell’isola di Ceo”
Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili II,7
Seneca De providentia
cap.VI,7 apologia del suicidio
“Ante omnia cavi ne quis vos teneret invitos; patet exitus:
si pugnare non vultis, licet fugere. Ideo ex omnibus rebus
quas esse vobis necessarias volui nihil feci facilius quam
mori. Prono animam loco posui. Trahitur? Adtendite
modo et videbitis quam brevis ad libertatem et quam
expedita ducat via. Non tam longas in exitu vobis quam
intrantibus moras posui; alioqui magnum in vos regnum
fortuna tenuisset, si homo tam tarde moreretur quam
nascitur”
“ Prima di tutto ho provveduto a che alcuno non vi trattenesse
contro voglia; la strada è aperta: se non volete combattere, è lecito
fuggire. Pertanto, tra tutte le cose che ho voluto che fossero per voi
inevitabili, nulla ho reso più facile che morire. Ho posto l’anima
su un piano inclinato. La vita si trascina? Fate soltanto un poco
di attenzione e vedrete quanto breve e quanto agevole sia la via
che conduce alla libertà. Non ho stabilito attese tanto lunghe
nella vostra uscita dalla vita, quanto quelle che occorrono per il
vostro ingresso; altrimenti la fortuna avrebbe avuto un grande
potere su di voi, se l’uomo morisse tanto lentamente quanto
lentamente viene alla luce”


Seneca Lettere a Lucilio 70, dedicata al tema della
morte volontaria, contiene una critica serrata a
quegli autori che hanno condannato il suicidio
Seneca Lettere a Lucilio 104 3-4, per amore della
moglie Paolina, il filosofo continua a voler
vivere, seppur nella sofferenza, rinunciando al
suicidio

Seneca, Lettere a Lucilio, 78,1-2, il filosofo da
giovane, molto malato, colto dall’impulso di
porre fine alla vita, fu trattenuto dal pensiero del
vecchio padre che non avrebbe retto al dolore.
Tacito, Annales XV, 60-64
La morte di Seneca: nell’anno 65 d.C. Seneca fu
condannato a morte da Nerone che ormai odiava il suo
vecchio precettore sospettato di aver aderito alla
congiura dei Pisoni. Seneca preferì togliersi la vita.
La moglie tentò di condividere la sua sorte:
“[…]Paolina rispose che anche lei aveva deciso di morire e chiese la
mano del carnefice[… ]Con un solo colpo si tagliano le vene delle
braccia. Seneca, poiché il suo corpo invecchiato e indebolito per la
scarsa nutrizione non consentiva il rapido fluire del sangue, si fece
aprire le vene anche delle gambe e dei ginocchi. Straziato da crudeli
dolori, per non fiaccare il coraggio della moglie con le proprie
sofferenze e per non abbandonarsi egli stesso a qualche debolezza
vedendo i tormenti di lei, la persuase a ritirarsi in una altra
stanza.
E poiché anche negli ultimi istanti non gli venne meno
l’eloquenza, chiamò gli scrivani e dettò molte pagine[…]
Seneca frattanto, prolungandosi lentamente l’agonia, pregò
Anneo Stazio, suo vecchio amico e medico valente, di versargli
il veleno predisposto da tempo, quello con il quale si facevano
perire gli Ateniesi condannati in un pubblico giudizio. Gli fu
portato e lo bevve invano, perché le membra erano ormai fredde
e il corpo refrattario alla forza del veleno. Alla fine si fece
immergere in una vasca di acqua calda e spruzzando i servi
più vicini disse che offriva quella libagione a Giove Liberatore.
Portato poi in un bagno a vapore e soffocato dal caldo, fu
cremato senza un funerale solenne.”
Tacito: ambitiosa mors,
ironia sui suicidi degli oppositori
all’impero


Annales VI,XXIX,1 Lo spavento del carnefice rendeva
frequente questo tipo di morte[… ]i condannati a pena capitale
non avevano diritto alla sepoltura e i loro beni venivano confiscati,
invece coloro che decidevano della loro sorte venivano seppelliti e i
loro testamenti considerati validi.
C’era la volontà di sottrarsi ad una morte sordida e
disonorevole per mano del carnefice e allo scempio del
cadavere; in età repubblicana per i personaggi di ceto
elevato si ricorreva alla pena dell’esilio in caso di gravi
colpe


Il diritto imperiale separò le pene squalificanti per gli
humiliores da quelle più leggere dei potentiores
Imitazione della morte di Socrate narrata nel Critone e
nel Fedone di Platone:
1) veleno
2) conforto delle lacrime dei presenti
3) esortazione ad essere forte d’animo
4) richiami alla saggezza
5) gravi ragionamenti di argomenti filosofici
6) osservazione asettica del venir meno delle forze vitali
La morte di Seneca presenta delle novità rispetto alla
morte di Socrate:
1) cosciente sacrificio della moglie Paolina in armonia con
le concezioni stoiche che volevano il matrimonio come
comunione di vita tra marito e moglie e che
giudicavano la donna libera di prendere decisioni
autonome
2) accanimento masochistico nel controllo della
sofferenza che rimanda a certo estremismo di sette
filosofiche (ad es., Cremuzio Cordo si chiuse in casa e
si lasciò morire di fame)
Una voce diversa
Il pensiero cristiano
Agostino, De civitate dei I, 17-27,
condanna l’omicidio e il suicidio
“Il suicida è omicida e tanto più colpevole quanto più è incolpevole
nei confronti della motivazione per cui ha pensato di uccidersi”
(17)
Secondo il filosofo bisogna non commettere suicidioomicidio per vergogna, in quanto la castità è
nell’interiorità (confronto tra Lucrezia e le donne
cristiane che hanno subito violenza durante il sacco di
Roma)
Agostino ricorda la legge biblica “Non Uccidere” vuol dire
né il tuo prossimo né te stesso “Chi uccide se stesso uccide
un uomo”
“ Se si esamina la ragione, non si dovrà considerare neanche
grandezza d’animo se qualcuno si uccide perché non è capace di
sopportare le varie difficoltà o i peccati altrui. Piuttosto si giudica
come carattere debole quello che non può tollerare la difficile
soggezione della propria sensibilità o la stolta opinione del volgo”
Chi si uccide per non cadere in mano nemica? Secondo Agostino
Cristo consiglia a chi è perseguitato di fuggire di città in città e
non di uccidersi. Catone l’Uticense ha dato prova di essere uomo
debole piuttosto che forte perché consigliò al figlio di affidarsi
alla clemenza di Cesare. Quindi egli si è ucciso non perché
considerasse disonorevole vivere dopo la vittoria di Cesare ma
perché si vergognò di essere perdonato da lui.
Agostino sostiene che si può accettare il suicidio-omicidio se è un
atto di obbedienza, di ossequio alla pietà e non di delinquenza
(episodio di Sansone, di Abramo, di un soldato che uccide)
Una contraddizione?
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I martiri cristiani scelgono la morte per testimoniare la
loro fede: agli occhi dei credenti sono veri e propri eroi
e il loro sacrificio è paragonato alla passione di Cristo.
Acta martyrum: resoconti, basati sui verbali autentici, dei
processi e della morte dei martiri cristiani
Passio Perpetuae et Felicitatis che narra il processo, la
prigionia e l’esecuzione di due donne di Cartagine sotto
Settimio Severo
Eutanasia
Che cosa pensavano gli antichi?
INTERROGHIAMO I TESTI
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Il termine ‘eutanasia’ compare per la prima volta in una
lettera di Cicerone (Ad Atticum XVI,7,3)
Presente anche in Svetonio nella Vita di Augusto e nelle
Storie di Polibio (frammento libro 32 )
Fu introdotto nelle lingue moderne dal filosofo inglese
Bacone in uno scritto (Progresso della conoscenza) del 1605:
“Il compito del medico non è solo quello di guarire, ma anche di
calmare i dolori legati alla malattia e di procurare al malato,
quando non c’è più speranza, una morte dolce e tranquilla”
E’ assente nel filosofo l’idea di ‘dare la morte’; il
medico doveva rendere la morte naturale non dolorosa
Solo nel sec.XIX compare la possibilità dell’intervento
diretto del medico ( ‘uccisione per pietà’ o ‘omicidio del
consenziente’)
EUTANASIA SOCIALE
Nel mondo antico era diffuso questo tipo di eutanasia. La
società sopprimeva o abbandonava alla propria sorte
persone che potessero risultare un peso per essa:
esposizione dei nati specie se deformi o uso della rupe
Tarpea.
La soppressione di persone portatrici di handicap
(eugenia), al fine di purificare la razza, trovava una
giustificazione nel fatto che la vita dei singoli aveva un
senso solo se utile alla vita della comunità cittadina
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Dodici Tavole (IV, 1): “Subito eliminato un bambino
mostruoso”
Seneca, De Ira (I,15,2): “Soffochiamo i parti portentosi ed
immergiamo nell’acqua anche i figli, se sono venuti alla luce storpi
e mostruosi; e non è ira ma ragione discernere da ciò che è sano ciò
che è inutile”
Plutarco, Vita di Licurgo: Il legislatore spartano avrebbe
disposto l’esposizione obbligatoria dei neonati deformi
Aristotele (Politica III, 4) raccomanda di non allevare gli
storpi e i nati male
A Roma il riconoscimento e l’accettazione dei
neonati in seno alla famiglia, con l’attribuzione
del nome, avvenivano di solito solo una
settimana dopo la nascita, quando, cioè, era
possibile avere qualche dato in più per capire di
che tempra fosse il bambino.
Il bambino rifiutato veniva esposto davanti alla
colonna detta “ del latte”, presso
il tempio della Pietà
EUTANASIA
esistenziale
La dolce morte nel senso moderno
Ippocrate è contrario alla eutanasia perché il
medico deve aiutare a vivere e non a morire:
“Adopererò le mie cure per l’utilità dei malati secondo le
mie forze e il mio giudizio, e in nessun caso per arrecare
loro danno o torto. Neppure se richiesto darò a qualcuno
un veleno mortale né lo prescriverò; ugualmente non darò
mai a una donna un medicamento abortivo”
(Corpo ippocratico)
Platone (De re publ. III,410 a) “Le arti mediche cureranno quelli
che siano naturalmente sani di corpo e d’anima, quanto a quelli
che non lo siano, i medici lasceranno morire chi è fisicamente
malato”
Platone ( De re publ. III, 404 d): secondo il filosofo le
persone malaticce non dovrebbero vivere affatto, e in
ogni caso non devono generare figli; Asclepio ha
insegnato l’arte della medicina per quelli cui si può
portare aiuto in una malattia momentanea, ma non lo
ha fatto per conservare dei corpi internamente invasi
dal morbo a una lunga e penosa vita, con opportuni
salassi e beveraggi; un uomo siffatto non dovrebbe
ricevere cure mediche, dal momento che non è più utile
né a se stesso né allo stato.
Svetonio, nella Vita di Augusto 99,2, descrive gli ultimi
momenti di vita dell’imperatore, trascorsi in compagnia
di amici, e con la preoccupazione di essere accettabile
nell’aspetto anche nel momento estremo. Augusto
chiede uno specchio e vuole che gli si acconcino i
capelli e le guance cascanti, per poi spirare tra le braccia
amorevoli della moglie Livia. Augusto muore come
sempre aveva desiderato e si era augurato, muore
dolcemente e senza soffrire. La sua è stata una eutanasia,
dice Svetonio: vecchio e malato, l’imperatore chiude la
commedia della vita con dignità e serenità.
In questo testo è interessante la menzione della dignità della morte.
E’ assente qualsiasi riferimento alla induzione alla morte.
SENECA, LETTERE MORALI A LUCILIO 77,5-9:
un esempio di suicidio assistito?
I concetti che, tra l’altro, emergono da questa lettera:
- La vita non è la cosa più importante
- Importante è morire con dignità
- La morte come rimedio al disgusto per la vita
- Necessità di persone che aiutino a morire e che non siano
perseguibili se è certo che colui che muore lo vuole veramente,
secondo la convinzione che vale la libertà di scelta e di decisione
individuale.
Già per Orazio(Ep II,3,467) “invitum qui servat idem facit occidenti”
(chi salva uno che non vuole fa lo stesso di chi lo ammazza).
Seneca Lettera a Lucilio 77, 5-9
“Tullio Marcellino, giovane tranquillo e precocemente invecchiato,
colpito da una malattia non inguaribile, ma lunga e fastidiosa e
che richiedeva mille cure, cominciò a pensare alla morte. Riunì
intorno a sé parecchi amici. Quelli più pavidi gli davano quei
consigli che[…] Marcellino non aveva bisogno di consiglio, ma di
aiuto: gli schiavi non volevano obbedire. Anzitutto il nostro amico
( un seguace della filosofia stoica) li rassicurò e li convinse
che correvano pericolo solo se era incerto se il padrone avesse voluto
morire: altrimenti era riprovevole tanto uccidere il padrone quanto
impedire che si uccidesse. Marcellino non ebbe bisogno di una
spada per uccidersi o di aprirsi le vene: digiunò per tre
giorni, poi si fece mettere una tenda nella camera da letto
e si fece portare una vasca da bagno nella quale rimase
disteso a lungo. Dopo ripetute abluzioni di acqua calda
venne meno a poco a poco […]”
Uno sguardo al mito
Virgilio nel IV libro dell’Eneide descrive con grande pathos la
fine della regina Didone, suicida per amore. Didone, decisa
ormai a morire, si getta sulla spada di Enea, il sangue sgorga
abbondante, i sensi vengono meno, ma la morte stenta a
sopraggiungere. Allora, Giunone, impietosita dal lungo
patire e dal difficilis obitus, manda dall’Olimpo Iride, “perché
liberasse la vita che lottava e sciogliesse le giovani membra”.
Iride obbediente taglia il capello di Didone e tutto il calore
vitale fugge e si disperde nel vento.
Didone, dunque, che aveva cercato la morte, compie il suo
proposito con l’aiuto di altri.
Si rispetta la sua dignità interiore: morire dignitosamente
quando non è possibile dignitosamente vivere.
Virgilio Eneide
IV, vv. 693-705
“Tum Iuno omnipotens, longum miserata dolorem/difficilisque
obitus, Irim demisit Olympo,/quae luctantem animam nexosque
resolveret artus./ nam, quia nec fato, merita nec morte petibat,/
sed misera ante diem subitoque accensa furore,/nondum illi
flavom Proserpina vertice crinem/ abstulerat Stygioque caput
damnaverat Orco./ Ergo Iris croceis per caelum roscida pinnis/
mille trahens varios adverso sole colores/devolat et supra caput
adstitit: Hunc ego Diti/ sacrum iussa fero teque isto corpore
solvo./ Sic ait et dextra crinem secat:omnis et una/ dilapsus
calor atque in ventos vita recessit”
Un caso di suicidio raccontato
da un cristiano
Il suicidio è peccato e dunque viene descritto a tinte
fosche, anche se accompagnato in questo caso dalla
conversione. Nel cap. XLIX De mortibus persecutorum
Lattanzio racconta la morte di Massimino Daia,
persecutore dei cristiani che, sconfitto ad Adrianopoli
nel 313 da Licinio, terrorizzato chiede perdono a Dio e
muore suicida a Tarso:
“Poiché era bloccato da terra e dal mare e non aveva nessuna
speranza di trovare rifugio, per l’angoscia e il terrore si rifugiò
nella morte come rimedio dei mali che Dio gli aveva gettato
addosso. Ma prima si riempì di cibo e ingurgitò il vino, come
quelli che credono di farlo per l’ultima volta, e poi bevve il veleno.
Perché lo stomaco era pieno non fece subito effetto, ma
provocò un languore maligno simile a quello della peste,
così che, prolungandosi la vita, soffrì più a lungo i
tormenti. Ma poi il veleno cominciò ad agire: la sua
violenza gli bruciava i visceri, per il dolore insopportabile
impazzì, al punto che per quattro giorni, sconvolto,
divorò come un affamato la terra che raccoglieva con le
mani. Quindi dopo molte e insostenibili sofferenze,
picchiò la testa contro le pareti e gli occhi schizzarono
fuori dalle orbite.
Diventato cieco cominciò a vedere Dio”
Un cenno all’attualità
La Chiesa cattolica nel documento firmato dal cardinale
Ratzinger (maggio 1980), prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede afferma il carattere sacro
della vita dal suo concepimento alla morte naturale con
la conseguente condanna dell’omicidio, del suicidio e
della eutanasia
Nel 2007 Benedetto XVI a Vienna ribadisce che l’aborto
non è un diritto naturale e che non è accettabile un
attivo aiuto a morire
Un caso emblematico
Il giornalista Indro Montanelli poco prima di
morire scrisse una serie di articoli nei quali non
contestava alla Chiesa il diritto di restare fedele
alla sua dottrina che condanna l’eutanasia. Non
gli sembrava giusto, però, che imponesse il suo
punto di vista ai non credenti, agli agnostici, ai
laici, ai seguaci di altre religioni.
Le sue parole...

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Se cristiano vuol dire rifiutare l’eutanasia non sono cristiano.
Sono piuttosto pagano. I grandi saggi dell’antichità dicevano:
‘punge, medice’, svenami
E’ il dolore morale che mi spaventa di più, la perdita della
dignità dell’uomo, il venir meno della volontà, dell’intelligenza
Quando un invalido non ha più forza di sopportare le sofferenze
fisiche e morali, senza speranza di sollievo se non quello
procurato dagli analgesici, ha il diritto di esigere dal medico il
mezzo per abbreviare questa Via Crucis


Quella di Montanelli non vuol essere
“l’affermazione a un diritto al suicidio perché il suicidio
non ha né diritti né doveri. Di fronte ad esso ci sono solo
due sentimenti: di pietà e di rispetto”
“Non mi si portino gli argomenti sulla ‘sacralità della
vita’… nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre
della propria vita, non vedo perché gli si debba contestare
il diritto a scegliere la propria morte”
Per finire…
Il codice penale:
Eutanasia assimilabile all’omicidio volontario
(art. 575)
Se si riesca a dimostrare il consenso del malato le
pene sono previste dall’art. 579 (omicidio del
consenziente) e vanno da sei a quindici anni.
Anche il suicidio assistito è reato (580)
Per finire … Il caso Englaro/ Sentenza della Corte
Suprema di Cassazione Roma 11/11 2008
La corte è pervenuta alla seguente conclusione:
“ all’individuo che, prima di cadere nello stato di totale e assoluta
incoscienza, tipico dello stato vegetativo permanente, abbia
manifestato in forma espressa o anche attraverso i propri
convincimenti, il proprio stile di vita e i valori di riferimento,
l’inaccettabilità per sé dell’idea di un corpo destinato, grazie a
terapie mediche, a sopravvivere alla mente, l’ordinamento dà la
possibilità di far sentire la propria voce in merito alla
disattivazione di quel trattamento attraverso il rappresentante
legale”… con la precisazione che il tutore, “dovendo agire
nell’esclusivo interesse dell’incapace e non al posto dell’incapace né
per l’incapace, ma con l’incapace, quindi ricostruendo la presunta
volontà del paziente incosciente[…]
“ove il malato giaccia da moltissimi anni (oltre quindici), in
stato vegetativo permanente, con conseguente radicale
incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto
artificialmente in vita mediante sondino nasogastrico che
provveda alla sua nutrizione e idratazione, su richiesta
del tutore che lo rappresenta, il giudice può autorizzare la
disattivazione di tale presidio sanitario in presenza dei
seguenti presupposti[…]” :
1) la condizione di stato vegetativo sia irreversibile 2) tale
istanza sia espressiva in base ad elementi derivati dalla
sua personalità, dai suoi convincimenti prima di cadere
in stato di incoscienza.
“[…] pur essendo in grado di respirare spontaneamente e
pur conservando funzioni cardiovascolari […] è
radicalmente incapace di vivere esperienze cognitive ed
emotive e quindi di avere alcun controllo con l’ambiente
esterno[…]”
Bibliografia
Oltre i testi di cultura latina e greca di cui sono
state date indicazioni nel percorso ho
consultato:
A. Postiglione (a cura di) Della bella morte, Bur,
2008
J. Burckhardt, Storia della civiltà greca, vol. I, Sansoni
1988
E. Cantarella, I supplizi capitali in Grecia e a Roma,
Rizzoli, 1991
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