La bella morte Staccare la spina o no? L’eutanasia nel mondo greco e romano Simona Micheletti Laboratorio didattico di Antichistica, novembre 2008 La vita, se ti manca il coraggio di morire, è una schiavitù (Seneca) Motivazione L’attualità dell’argomento giustifica la riflessione sulla libertà di morire nel mondo antico. I casi di Terri Schiavo (2005), Piergiorgio Welby (2006), Adolfo Baravaglio (2006), Giovanni Nuvoli (2007) e quello attuale e molto discusso di Eluana Englaro stimolano il dibattito da parte dei giovani studenti sul diritto a morire e sulla competenza dello Stato a decidere in merito (laicità) Spesso dimentichiamo quanto i nostri antenati fossero diversi da noi, sotto molti aspetti. A dimostrarlo è proprio questa tematica. Sul suicidio e l’eutanasia lo sguardo degli antichi era molto diverso dal nostro. A determinare il cambiamento è in primo luogo il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, in secondo luogo una motivazione di natura tecnica: allora non vi erano né farmaci né macchine sofisticate capaci di prolungare artificialmente la vita vegetativa. Destinatari: III liceo Classico o V Liceo Scientifico Metodologia: lavoro interdisciplinare con Italiano, Storia, Filosofia, Latino, Irc Verifiche: saggio breve (analisi di documenti, articoli di quotidiani, riviste, immagini) Obiettivi 1) Conoscenza --conoscenza del pensiero degli antichi sul tema -conoscenza dei testi proposti -conoscenza delle problematiche relative al suicidio 2) Competenza -potenziamento delle capacità di traduzione -acquisizione delle capacità di decodificare un testo -capacità di operare collegamenti sottolineando e spiegando le differenze tra testi della stessa cultura e di culture diverse -maggiore informazione sul problema nelle dimensioni attuali Contenuti Doppio livello della “bella morte” nel mondo antico: SUICIDIO: suicidi di massa (morte di popolazioni soccombenti) – suicidi di filosofi (Epicuro, Zenone, Cleante, il cinico Peregrino Proteo) – suicidio femminile come sacrificio volontario (Ifigenia, Polissena, Macaria, Alcesti) oppure EUTANASIA: eutanasia politico- sociale/eutanasia esistenziale Suicidio Interroghiamo i testi la concezione del suicidio dipende dalla percezione dell’aldilà Scarsa preoccupazione nell’aldilà: non si nutrivano speranze “Innocente fui procreato dai miei genitori, ed ora scendo infelice nell’Ade. Non ero nulla e fui procreato, e tornerò ad essere nulla come prima. Nulla e poi nulla è la stirpe degli uomini” (iscrizione funeraria greca Antologia Palatina n.339) “Chi sa se la vita terrena non sia propriamente una morte, e la morte una vita?”( Euripide, frammento) Democrito considerava il timore dell’aldilà, “questa immagine mitica inventata” una delle tante miserie della vita (Stobeo, ed. Meineke, vol.III ) La frequenza dei suicidi dimostra la scarsa diffusione della concezione pitagorica e orfica della metempsicosi … di Pitagora “E narrano che una volta Pitagora passava mentre un cane era bastonato. Ne ebbe compassione e disse queste parole”<Smetti, non bastonarlo, perché è l’anima di un uomo mio amico, l’ho riconosciuta udendola gemere>” Senofane, fr. 7 Diels-Kranz “Dicono sia stato il primo a rivelare che l’anima, secondo un ciclo di necessità, si leghi ora ad un essere vivente, ora ad un altro, ed il primo pure ad introdurre in Grecia misure e pesi” Diogene Laerzio, Vita dei filosofi, V, III Il suicidio non era considerato, nell’opinione popolare, una colpa contro gli dei perché non dagli dei si riceveva la vita Il suicidio non era un atto di codardia, ma di coraggio. Non tutti i suicidi erano nobili: il giudizio sociale dipendeva dal mezzo. L’impiccagione, ad esempio, era disonorevole. Il dissanguamento era invece una morte degna, come quella per inedia, con il veleno e con il laqueum, il laccio che, nascosto nelle vesti consentiva di strangolarsi evitando l’infamia di morire uccisi. L’arma più nobile era la spada simbolo virile per eccellenza. E se per caso un uomo esitava ad impugnarla, a ricordargli il suo dovere era la moglie. Vedi episodio di Arria, moglie di Cecina Peto (Plinio il Giovane) Qualche testimonianza Plinio il giovane Epistolario III, 16 Praeclarum quidem illud eiusdem, ferrum stringere, perfodere pectus, extrhere pugionem, porrigere marito, addere vocem immortalem ac paene divinam: <Non dolet Pete>. Sed tamen ista facienti dicentique gloria et aeternitas ante oculos erant; quo maius est, sine praemio aeternitatis, sine praemio gloriae, abdere lacrimas, operire luctum, amissoque filio matrem adhuc agere. Epicuro: l’uomo può uscire dalla scena anche senza gravi motivi “è un male vivere nella necessità, ma non c’è nessuna necessità di vivere nella necessità” (Sentenze vaticane 9) Epicuro insegnava che in caso di dolori intollerabili si dovesse lasciare la vita come un teatro: egli stesso a 62 anni, malato, si immerse in una vasca di acqua bollente e sorseggiando vino puro morì. Le sue ultime parole furono di gioia per la filosofia e di preghiera agli amici perché ricordassero la sua dottrina. Secondo la filosofia stoica, specialmente quella della terza fase, il saggio ha il diritto di anticipare la sua liberazione perché la morte è spesso l’unica porta aperta verso la libertà In Seneca: compare un duplice pensiero 1) la difesa del principio stoico di potersi togliere la vita in casi estremi 2) l’obbligo di continuare a vivere quando lo esige l’amore per i propri cari (Lettere a Lucilio) Leopardi, Dialogo di Plotino e Porfirio abbraccia le posizioni di Seneca: Plotino sostiene che per riguardo ai propri cari non è giusto togliersi la vita, Porfirio invece difende la scelta del suicidio che ci affranca dai mali dell’esistenza “Porfirio:a me pare che la noia stessa nel ritrovarsi privo di ogni speranza di stato o di fortuna migliore sia causa a ingenerare il desiderio di finire la vita[…] Plotino: colui che si uccide non ha cura né pensiero alcuno degli altri, non cerca se non l’utilità propria, si gitta, per così dire, dietro alle spalle il suo prossimo e tutto il genere umano” Leopardi, Operette morali, Dialogo di Plotino e Porfirio Epitteto, che secondo lo stile socratico non scrisse niente, ma il cui insegnamento venne raccolto dal discepolo Arriano di Nicomedia, teorizza “ non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti. Per esempio la morte non è nulla di terribile ( perché altrimenti sarebbe sembrato tale anche a Socrate) ma il giudizio che la vuole terribile, ecco, questo è terribile. Di conseguenza quando subiamo un impedimento, siamo turbati o afflitti, non dobbiamo accusare nessun altro tranne noi, ossia i nostri giudizi. Incolpare gli altri dei propri mali è tipico di chi non ha una educazione filosofica; chi l’ha intrapresa incolpa se stesso; chi l’ha completata non incolpa né gli altri né se stesso” (Manuale, 5) “Uomini aspettate il segnale. Quando Dio lo vorrà, troverete rifugio presso di lui. Ma per ora rimanete nel posto che vi ha assegnato”. (Diatribe, I, 16-17) Tacito descrive la morte di Agricola (De vita Iulii Agricolae 43), di Seneca, di Trasea Peto, di Lucano, di Petronio (Annales ) Fannio, sotto Traiano, scrisse De exito illustrium virorum Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili II,7 Il senato svolge un’inchiesta su chi vuole morire e offre il veleno a chi per fondati motivi ha deciso di suicidarsi. “Nella città di Marsiglia si custodisce pubblicamente un veleno preparato con la cicuta, che viene offerto a chi davanti a Seicento dichiara il motivo per il quale intende darsi la morte. Prima si svolge un’inchiesta, condotta con spirito di tolleranza, che non consente di uscire dalla vita alla leggera e offre a chi vuole andarsene per fondati motivi una rapida via di morte. Così quelli che hanno sperimentato una fortuna o troppo avversa o troppo favorevole ( l’una e l’altra possono spingere al suicidio, la prima nel timore che continui, la seconda nel timore che ci abbandoni) hanno la possibilità di terminare la loro vita con una fine riconosciuta giusta”. Questa pratica non doveva essere un unicum se Valerio Massimo aggiunge: “quam consuetudinem Massiliensium non in Gallia ortam sed ex Graecia translatam inde existimo, quod illam etiam in insula Cea servari animadverti che questa consuetudine dei Marsigliesi non abbia avuto origine in Gallia, ma vi sia stata trasferita dalla Grecia, ritengo in base a quel che personalmente rilevai nell’isola di Ceo” Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili II,7 Seneca De providentia cap.VI,7 apologia del suicidio “Ante omnia cavi ne quis vos teneret invitos; patet exitus: si pugnare non vultis, licet fugere. Ideo ex omnibus rebus quas esse vobis necessarias volui nihil feci facilius quam mori. Prono animam loco posui. Trahitur? Adtendite modo et videbitis quam brevis ad libertatem et quam expedita ducat via. Non tam longas in exitu vobis quam intrantibus moras posui; alioqui magnum in vos regnum fortuna tenuisset, si homo tam tarde moreretur quam nascitur” “ Prima di tutto ho provveduto a che alcuno non vi trattenesse contro voglia; la strada è aperta: se non volete combattere, è lecito fuggire. Pertanto, tra tutte le cose che ho voluto che fossero per voi inevitabili, nulla ho reso più facile che morire. Ho posto l’anima su un piano inclinato. La vita si trascina? Fate soltanto un poco di attenzione e vedrete quanto breve e quanto agevole sia la via che conduce alla libertà. Non ho stabilito attese tanto lunghe nella vostra uscita dalla vita, quanto quelle che occorrono per il vostro ingresso; altrimenti la fortuna avrebbe avuto un grande potere su di voi, se l’uomo morisse tanto lentamente quanto lentamente viene alla luce” Seneca Lettere a Lucilio 70, dedicata al tema della morte volontaria, contiene una critica serrata a quegli autori che hanno condannato il suicidio Seneca Lettere a Lucilio 104 3-4, per amore della moglie Paolina, il filosofo continua a voler vivere, seppur nella sofferenza, rinunciando al suicidio Seneca, Lettere a Lucilio, 78,1-2, il filosofo da giovane, molto malato, colto dall’impulso di porre fine alla vita, fu trattenuto dal pensiero del vecchio padre che non avrebbe retto al dolore. Tacito, Annales XV, 60-64 La morte di Seneca: nell’anno 65 d.C. Seneca fu condannato a morte da Nerone che ormai odiava il suo vecchio precettore sospettato di aver aderito alla congiura dei Pisoni. Seneca preferì togliersi la vita. La moglie tentò di condividere la sua sorte: “[…]Paolina rispose che anche lei aveva deciso di morire e chiese la mano del carnefice[… ]Con un solo colpo si tagliano le vene delle braccia. Seneca, poiché il suo corpo invecchiato e indebolito per la scarsa nutrizione non consentiva il rapido fluire del sangue, si fece aprire le vene anche delle gambe e dei ginocchi. Straziato da crudeli dolori, per non fiaccare il coraggio della moglie con le proprie sofferenze e per non abbandonarsi egli stesso a qualche debolezza vedendo i tormenti di lei, la persuase a ritirarsi in una altra stanza. E poiché anche negli ultimi istanti non gli venne meno l’eloquenza, chiamò gli scrivani e dettò molte pagine[…] Seneca frattanto, prolungandosi lentamente l’agonia, pregò Anneo Stazio, suo vecchio amico e medico valente, di versargli il veleno predisposto da tempo, quello con il quale si facevano perire gli Ateniesi condannati in un pubblico giudizio. Gli fu portato e lo bevve invano, perché le membra erano ormai fredde e il corpo refrattario alla forza del veleno. Alla fine si fece immergere in una vasca di acqua calda e spruzzando i servi più vicini disse che offriva quella libagione a Giove Liberatore. Portato poi in un bagno a vapore e soffocato dal caldo, fu cremato senza un funerale solenne.” Tacito: ambitiosa mors, ironia sui suicidi degli oppositori all’impero Annales VI,XXIX,1 Lo spavento del carnefice rendeva frequente questo tipo di morte[… ]i condannati a pena capitale non avevano diritto alla sepoltura e i loro beni venivano confiscati, invece coloro che decidevano della loro sorte venivano seppelliti e i loro testamenti considerati validi. C’era la volontà di sottrarsi ad una morte sordida e disonorevole per mano del carnefice e allo scempio del cadavere; in età repubblicana per i personaggi di ceto elevato si ricorreva alla pena dell’esilio in caso di gravi colpe Il diritto imperiale separò le pene squalificanti per gli humiliores da quelle più leggere dei potentiores Imitazione della morte di Socrate narrata nel Critone e nel Fedone di Platone: 1) veleno 2) conforto delle lacrime dei presenti 3) esortazione ad essere forte d’animo 4) richiami alla saggezza 5) gravi ragionamenti di argomenti filosofici 6) osservazione asettica del venir meno delle forze vitali La morte di Seneca presenta delle novità rispetto alla morte di Socrate: 1) cosciente sacrificio della moglie Paolina in armonia con le concezioni stoiche che volevano il matrimonio come comunione di vita tra marito e moglie e che giudicavano la donna libera di prendere decisioni autonome 2) accanimento masochistico nel controllo della sofferenza che rimanda a certo estremismo di sette filosofiche (ad es., Cremuzio Cordo si chiuse in casa e si lasciò morire di fame) Una voce diversa Il pensiero cristiano Agostino, De civitate dei I, 17-27, condanna l’omicidio e il suicidio “Il suicida è omicida e tanto più colpevole quanto più è incolpevole nei confronti della motivazione per cui ha pensato di uccidersi” (17) Secondo il filosofo bisogna non commettere suicidioomicidio per vergogna, in quanto la castità è nell’interiorità (confronto tra Lucrezia e le donne cristiane che hanno subito violenza durante il sacco di Roma) Agostino ricorda la legge biblica “Non Uccidere” vuol dire né il tuo prossimo né te stesso “Chi uccide se stesso uccide un uomo” “ Se si esamina la ragione, non si dovrà considerare neanche grandezza d’animo se qualcuno si uccide perché non è capace di sopportare le varie difficoltà o i peccati altrui. Piuttosto si giudica come carattere debole quello che non può tollerare la difficile soggezione della propria sensibilità o la stolta opinione del volgo” Chi si uccide per non cadere in mano nemica? Secondo Agostino Cristo consiglia a chi è perseguitato di fuggire di città in città e non di uccidersi. Catone l’Uticense ha dato prova di essere uomo debole piuttosto che forte perché consigliò al figlio di affidarsi alla clemenza di Cesare. Quindi egli si è ucciso non perché considerasse disonorevole vivere dopo la vittoria di Cesare ma perché si vergognò di essere perdonato da lui. Agostino sostiene che si può accettare il suicidio-omicidio se è un atto di obbedienza, di ossequio alla pietà e non di delinquenza (episodio di Sansone, di Abramo, di un soldato che uccide) Una contraddizione? I martiri cristiani scelgono la morte per testimoniare la loro fede: agli occhi dei credenti sono veri e propri eroi e il loro sacrificio è paragonato alla passione di Cristo. Acta martyrum: resoconti, basati sui verbali autentici, dei processi e della morte dei martiri cristiani Passio Perpetuae et Felicitatis che narra il processo, la prigionia e l’esecuzione di due donne di Cartagine sotto Settimio Severo Eutanasia Che cosa pensavano gli antichi? INTERROGHIAMO I TESTI Il termine ‘eutanasia’ compare per la prima volta in una lettera di Cicerone (Ad Atticum XVI,7,3) Presente anche in Svetonio nella Vita di Augusto e nelle Storie di Polibio (frammento libro 32 ) Fu introdotto nelle lingue moderne dal filosofo inglese Bacone in uno scritto (Progresso della conoscenza) del 1605: “Il compito del medico non è solo quello di guarire, ma anche di calmare i dolori legati alla malattia e di procurare al malato, quando non c’è più speranza, una morte dolce e tranquilla” E’ assente nel filosofo l’idea di ‘dare la morte’; il medico doveva rendere la morte naturale non dolorosa Solo nel sec.XIX compare la possibilità dell’intervento diretto del medico ( ‘uccisione per pietà’ o ‘omicidio del consenziente’) EUTANASIA SOCIALE Nel mondo antico era diffuso questo tipo di eutanasia. La società sopprimeva o abbandonava alla propria sorte persone che potessero risultare un peso per essa: esposizione dei nati specie se deformi o uso della rupe Tarpea. La soppressione di persone portatrici di handicap (eugenia), al fine di purificare la razza, trovava una giustificazione nel fatto che la vita dei singoli aveva un senso solo se utile alla vita della comunità cittadina Dodici Tavole (IV, 1): “Subito eliminato un bambino mostruoso” Seneca, De Ira (I,15,2): “Soffochiamo i parti portentosi ed immergiamo nell’acqua anche i figli, se sono venuti alla luce storpi e mostruosi; e non è ira ma ragione discernere da ciò che è sano ciò che è inutile” Plutarco, Vita di Licurgo: Il legislatore spartano avrebbe disposto l’esposizione obbligatoria dei neonati deformi Aristotele (Politica III, 4) raccomanda di non allevare gli storpi e i nati male A Roma il riconoscimento e l’accettazione dei neonati in seno alla famiglia, con l’attribuzione del nome, avvenivano di solito solo una settimana dopo la nascita, quando, cioè, era possibile avere qualche dato in più per capire di che tempra fosse il bambino. Il bambino rifiutato veniva esposto davanti alla colonna detta “ del latte”, presso il tempio della Pietà EUTANASIA esistenziale La dolce morte nel senso moderno Ippocrate è contrario alla eutanasia perché il medico deve aiutare a vivere e non a morire: “Adopererò le mie cure per l’utilità dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e in nessun caso per arrecare loro danno o torto. Neppure se richiesto darò a qualcuno un veleno mortale né lo prescriverò; ugualmente non darò mai a una donna un medicamento abortivo” (Corpo ippocratico) Platone (De re publ. III,410 a) “Le arti mediche cureranno quelli che siano naturalmente sani di corpo e d’anima, quanto a quelli che non lo siano, i medici lasceranno morire chi è fisicamente malato” Platone ( De re publ. III, 404 d): secondo il filosofo le persone malaticce non dovrebbero vivere affatto, e in ogni caso non devono generare figli; Asclepio ha insegnato l’arte della medicina per quelli cui si può portare aiuto in una malattia momentanea, ma non lo ha fatto per conservare dei corpi internamente invasi dal morbo a una lunga e penosa vita, con opportuni salassi e beveraggi; un uomo siffatto non dovrebbe ricevere cure mediche, dal momento che non è più utile né a se stesso né allo stato. Svetonio, nella Vita di Augusto 99,2, descrive gli ultimi momenti di vita dell’imperatore, trascorsi in compagnia di amici, e con la preoccupazione di essere accettabile nell’aspetto anche nel momento estremo. Augusto chiede uno specchio e vuole che gli si acconcino i capelli e le guance cascanti, per poi spirare tra le braccia amorevoli della moglie Livia. Augusto muore come sempre aveva desiderato e si era augurato, muore dolcemente e senza soffrire. La sua è stata una eutanasia, dice Svetonio: vecchio e malato, l’imperatore chiude la commedia della vita con dignità e serenità. In questo testo è interessante la menzione della dignità della morte. E’ assente qualsiasi riferimento alla induzione alla morte. SENECA, LETTERE MORALI A LUCILIO 77,5-9: un esempio di suicidio assistito? I concetti che, tra l’altro, emergono da questa lettera: - La vita non è la cosa più importante - Importante è morire con dignità - La morte come rimedio al disgusto per la vita - Necessità di persone che aiutino a morire e che non siano perseguibili se è certo che colui che muore lo vuole veramente, secondo la convinzione che vale la libertà di scelta e di decisione individuale. Già per Orazio(Ep II,3,467) “invitum qui servat idem facit occidenti” (chi salva uno che non vuole fa lo stesso di chi lo ammazza). Seneca Lettera a Lucilio 77, 5-9 “Tullio Marcellino, giovane tranquillo e precocemente invecchiato, colpito da una malattia non inguaribile, ma lunga e fastidiosa e che richiedeva mille cure, cominciò a pensare alla morte. Riunì intorno a sé parecchi amici. Quelli più pavidi gli davano quei consigli che[…] Marcellino non aveva bisogno di consiglio, ma di aiuto: gli schiavi non volevano obbedire. Anzitutto il nostro amico ( un seguace della filosofia stoica) li rassicurò e li convinse che correvano pericolo solo se era incerto se il padrone avesse voluto morire: altrimenti era riprovevole tanto uccidere il padrone quanto impedire che si uccidesse. Marcellino non ebbe bisogno di una spada per uccidersi o di aprirsi le vene: digiunò per tre giorni, poi si fece mettere una tenda nella camera da letto e si fece portare una vasca da bagno nella quale rimase disteso a lungo. Dopo ripetute abluzioni di acqua calda venne meno a poco a poco […]” Uno sguardo al mito Virgilio nel IV libro dell’Eneide descrive con grande pathos la fine della regina Didone, suicida per amore. Didone, decisa ormai a morire, si getta sulla spada di Enea, il sangue sgorga abbondante, i sensi vengono meno, ma la morte stenta a sopraggiungere. Allora, Giunone, impietosita dal lungo patire e dal difficilis obitus, manda dall’Olimpo Iride, “perché liberasse la vita che lottava e sciogliesse le giovani membra”. Iride obbediente taglia il capello di Didone e tutto il calore vitale fugge e si disperde nel vento. Didone, dunque, che aveva cercato la morte, compie il suo proposito con l’aiuto di altri. Si rispetta la sua dignità interiore: morire dignitosamente quando non è possibile dignitosamente vivere. Virgilio Eneide IV, vv. 693-705 “Tum Iuno omnipotens, longum miserata dolorem/difficilisque obitus, Irim demisit Olympo,/quae luctantem animam nexosque resolveret artus./ nam, quia nec fato, merita nec morte petibat,/ sed misera ante diem subitoque accensa furore,/nondum illi flavom Proserpina vertice crinem/ abstulerat Stygioque caput damnaverat Orco./ Ergo Iris croceis per caelum roscida pinnis/ mille trahens varios adverso sole colores/devolat et supra caput adstitit: Hunc ego Diti/ sacrum iussa fero teque isto corpore solvo./ Sic ait et dextra crinem secat:omnis et una/ dilapsus calor atque in ventos vita recessit” Un caso di suicidio raccontato da un cristiano Il suicidio è peccato e dunque viene descritto a tinte fosche, anche se accompagnato in questo caso dalla conversione. Nel cap. XLIX De mortibus persecutorum Lattanzio racconta la morte di Massimino Daia, persecutore dei cristiani che, sconfitto ad Adrianopoli nel 313 da Licinio, terrorizzato chiede perdono a Dio e muore suicida a Tarso: “Poiché era bloccato da terra e dal mare e non aveva nessuna speranza di trovare rifugio, per l’angoscia e il terrore si rifugiò nella morte come rimedio dei mali che Dio gli aveva gettato addosso. Ma prima si riempì di cibo e ingurgitò il vino, come quelli che credono di farlo per l’ultima volta, e poi bevve il veleno. Perché lo stomaco era pieno non fece subito effetto, ma provocò un languore maligno simile a quello della peste, così che, prolungandosi la vita, soffrì più a lungo i tormenti. Ma poi il veleno cominciò ad agire: la sua violenza gli bruciava i visceri, per il dolore insopportabile impazzì, al punto che per quattro giorni, sconvolto, divorò come un affamato la terra che raccoglieva con le mani. Quindi dopo molte e insostenibili sofferenze, picchiò la testa contro le pareti e gli occhi schizzarono fuori dalle orbite. Diventato cieco cominciò a vedere Dio” Un cenno all’attualità La Chiesa cattolica nel documento firmato dal cardinale Ratzinger (maggio 1980), prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede afferma il carattere sacro della vita dal suo concepimento alla morte naturale con la conseguente condanna dell’omicidio, del suicidio e della eutanasia Nel 2007 Benedetto XVI a Vienna ribadisce che l’aborto non è un diritto naturale e che non è accettabile un attivo aiuto a morire Un caso emblematico Il giornalista Indro Montanelli poco prima di morire scrisse una serie di articoli nei quali non contestava alla Chiesa il diritto di restare fedele alla sua dottrina che condanna l’eutanasia. Non gli sembrava giusto, però, che imponesse il suo punto di vista ai non credenti, agli agnostici, ai laici, ai seguaci di altre religioni. Le sue parole... Se cristiano vuol dire rifiutare l’eutanasia non sono cristiano. Sono piuttosto pagano. I grandi saggi dell’antichità dicevano: ‘punge, medice’, svenami E’ il dolore morale che mi spaventa di più, la perdita della dignità dell’uomo, il venir meno della volontà, dell’intelligenza Quando un invalido non ha più forza di sopportare le sofferenze fisiche e morali, senza speranza di sollievo se non quello procurato dagli analgesici, ha il diritto di esigere dal medico il mezzo per abbreviare questa Via Crucis Quella di Montanelli non vuol essere “l’affermazione a un diritto al suicidio perché il suicidio non ha né diritti né doveri. Di fronte ad esso ci sono solo due sentimenti: di pietà e di rispetto” “Non mi si portino gli argomenti sulla ‘sacralità della vita’… nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della propria vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte” Per finire… Il codice penale: Eutanasia assimilabile all’omicidio volontario (art. 575) Se si riesca a dimostrare il consenso del malato le pene sono previste dall’art. 579 (omicidio del consenziente) e vanno da sei a quindici anni. Anche il suicidio assistito è reato (580) Per finire … Il caso Englaro/ Sentenza della Corte Suprema di Cassazione Roma 11/11 2008 La corte è pervenuta alla seguente conclusione: “ all’individuo che, prima di cadere nello stato di totale e assoluta incoscienza, tipico dello stato vegetativo permanente, abbia manifestato in forma espressa o anche attraverso i propri convincimenti, il proprio stile di vita e i valori di riferimento, l’inaccettabilità per sé dell’idea di un corpo destinato, grazie a terapie mediche, a sopravvivere alla mente, l’ordinamento dà la possibilità di far sentire la propria voce in merito alla disattivazione di quel trattamento attraverso il rappresentante legale”… con la precisazione che il tutore, “dovendo agire nell’esclusivo interesse dell’incapace e non al posto dell’incapace né per l’incapace, ma con l’incapace, quindi ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente[…] “ove il malato giaccia da moltissimi anni (oltre quindici), in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante sondino nasogastrico che provveda alla sua nutrizione e idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario in presenza dei seguenti presupposti[…]” : 1) la condizione di stato vegetativo sia irreversibile 2) tale istanza sia espressiva in base ad elementi derivati dalla sua personalità, dai suoi convincimenti prima di cadere in stato di incoscienza. “[…] pur essendo in grado di respirare spontaneamente e pur conservando funzioni cardiovascolari […] è radicalmente incapace di vivere esperienze cognitive ed emotive e quindi di avere alcun controllo con l’ambiente esterno[…]” Bibliografia Oltre i testi di cultura latina e greca di cui sono state date indicazioni nel percorso ho consultato: A. Postiglione (a cura di) Della bella morte, Bur, 2008 J. Burckhardt, Storia della civiltà greca, vol. I, Sansoni 1988 E. Cantarella, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Rizzoli, 1991