Quaderni del Dipartimento IDR 2 Stefano De Toni, Paolo Scotton e Enrico Bertolazzi Modello matematico e numerico bidimensionale per lo studio delle valanghe di neve densa Università degli Studi di Trento Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale Direttore: prof. Alberto Bellin www.ing.unitn.it/dica c Stefano De Toni, Paolo Scotton e Enrico Bertolazzi, 2004 Quaderni del Dipartimento IDR 2 In copertina: Simulazione di una prova di slump su piano orizzontale; sullo sfondo Canalone Lavina Granda, Vigolana, Trento, 2004. De Toni, Stefano. Modello matematico e numerico bidimensionale per lo studio delle valanghe di neve densa / Stefano De Toni, Paolo Scotton e Enrico Bertolazzi. - Trento : Università degli studi di Trento. Dipartimento di ingegneria civile e ambientale, c2004. - p. 238; cm 24 (Quaderni del Dipartimento IDR; 2). ISBN 88-8443-056-9 1. Valanghe - Movimenti - Modelli di simulazione I. Scotton, Paolo II. Bertolazzi, Enrico 551.56848011 CDD21 CIP - SBA.TN Indice Elenco dei Simboli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Introduzione 1.1 Classificazione delle valanghe . . . . . . . . 1.2 Interventi di protezione nelle aree a rischio . 1.3 Strumenti di indagine . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Le analisi di tipo statistico . . . . . . 1.3.2 L’analisi della vegetazione . . . . . . 1.3.3 I modelli dinamici . . . . . . . . . . . 1.3.4 Un modello dinamico bidimensionale 1.4 Il quadro delle ipotesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . xix 1 1 4 5 5 5 6 7 10 2 Il modello monodimensionale in coordinate globali 13 2.1 Il modello matematico monodimensionale . . . . . . 13 2.1.1 Le equazioni del moto . . . . . . . . . . . . 13 2.1.2 Il tensore degli sforzi: la reologia . . . . . . 15 2.1.3 Le equazioni del moto mediate sulla verticale 19 2.1.4 L’effetto dell’attrito di parete . . . . . . . . 21 2.2 Il modello numerico monodimensionale . . . . . . . 22 2.2.1 Condizioni di stabilità del modello. . . . . . 25 2.2.2 Il codice di calcolo . . . . . . . . . . . . . . 27 2.3 Verifiche sperimentali del modello monodimensionale 28 2.3.1 Prove di laboratorio su piano orizzontale . . 28 2.3.2 Prove di laboratorio su canaletta inclinata . 35 3 Il modello bidimensionale in coordinate globali 3.1 Il modello matematico bidimensionale . . . . . . . . 3.1.1 Il tensore degli sforzi . . . . . . . . . . . . . i 51 51 52 3.1.2 3.2 3.3 3.4 Le equazioni del moto nel riferimento tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 3.1.3 Le equazioni del moto mediate sulla verticale 65 Il modello numerico bidimensionale . . . . . . . . . 67 3.2.1 Lo schema numerico lagrangiano . . . . . . 67 3.2.2 Condizioni di avvio e di arresto . . . . . . . 71 3.2.3 Le condizioni di stabilità . . . . . . . . . . . 72 3.2.4 Il codice di calcolo . . . . . . . . . . . . . . 73 Verifiche sperimentali del modello bidimensionale . 74 3.3.1 Prove di laboratorio su piano orizzontale . . 74 3.3.2 Prove di laboratorio su piano inclinato . . . 93 Applicazione del modello numerico a casi che simulano situazioni reali. . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 4 Conclusioni. 123 Allegati: Derivazioni matematiche 127 A Il modello monodimensionale 129 A.1 Il modello monodimensionale nel riferimento locale 129 A.2 Il modello monodimensionale nel riferimento assoluto 138 A.2.1 Le equazioni del moto rispetto al riferimento assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 A.2.2 Le condizioni al contorno di tipo cinematico 143 A.2.3 Il tensore degli sforzi . . . . . . . . . . . . . 144 A.2.4 L’operazione di media sulla verticale . . . . 147 A.3 Il modello numerico monodimensionale . . . . . . . 152 A.3.1 Il calcolo della funzione integranda f . . . . 152 A.3.2 Le condizioni di avvio e di arresto . . . . . . 156 A.3.3 Condizioni di stabilità del modello . . . . . 157 A.3.4 Il termine diffusivo nel modello numerico monodimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . 159 B Modello bidimensionale B.1 Il modello bidimensionale nel riferimento assoluto B.1.1 Gli strumenti forniti dall’analisi tensoriale B.1.2 La distribuzione idrostatica delle pressioni B.1.3 I coefficienti di spinta . . . . . . . . . . . . ii . . . . 165 165 165 182 192 B.1.4 La trasformazione del riferimento . . . . . . B.1.5 Le equazioni del moto mediate sulla verticale B.2 Il modello numerico bidimensionale . . . . . . . . . B.2.1 Il calcolo dei termini noti delle equazioni discretizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.2.2 Le condizioni di stabilità . . . . . . . . . . . B.2.3 Il termine diffusivo . . . . . . . . . . . . . . iii 195 198 204 204 220 224 iv Elenco delle figure 1.1 Nube polverosa di una valanga a lastroni (Tratto da http://www.cs.umd.edu/class/spring2001/cmsc838b/ Project/Parija_Spacco/images/avalanche.jpg). 3 1.2 Esempio di Carta di Localizzazione Probabile delle Valanghe (Tratto da http://www.provincia.tn. it/meteo/images/clpv.gif). . . . . . . . . . . . . 6 Deposito valanghivo, in cui sono visibili le palle di neve, prodotte durante il processo di granulazione, che interviene nelle fasi iniziali del moto della valanga. (Tratto da [35]) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 2.1 Sistemi di riferimento assoluto e curvilineo. . . . . . 17 2.2 La griglia di calcolo del modello numerico monodimensionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Confronto tra i dati sperimentali di D’Accordi, relativi alle zeoliti, ed i risultati delle simulazioni con i modelli monodimensionali, scritti nel riferimento assoluto e nel riferimento curvilineo. L’altezza h e la coordinata x sono adimensionalizzate con l’altezza iniziale (17 cm) e la proiezione nella direzione orizzontale della lunghezza della paratoia (11.9 cm). 30 1.3 2.3 v 2.4 2.5 2.6 2.7 Confronto tra i dati sperimentali di D’Accordi, relativi alle zeoliti, ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare dell’angolo d’attrito interno φ (si veda Tabella 2.1). L’altezza h e la coordinata x sono adimensionalizzate con l’altezza iniziale (17 cm) e la proiezione nella direzione orizzontale della lunghezza della paratoia (11.9 cm). . . . . . . . . . . . . . . . 30 Confronto tra i dati sperimentali di D’Accordi ed i risultati delle simulazioni ottenute con il modello monodimensionale, scritto in coordinate assolute, nei casi 1, 2, 3, 4 (si veda Tabella 2.2). L’altezza h e la coordinata x sono adimensionalizzate con l’altezza iniziale (17 cm) e la proiezione nella direzione orizzontale della lunghezza della paratoia (11.9 cm). 34 Confronto tra i dati sperimentali di D’Accordi ed i risultati delle simulazioni ottenute con il modello monodimensionale, scritto in coordinate assolute, nei casi 2, 5, 6 (si veda Tabella 2.2). L’altezza h e la coordinata x sono adimensionalizzate con l’altezza iniziale (17 cm) e la proiezione nella direzione orizzontale della lunghezza della paratoia (11.9 cm). 34 Posizione del fronte e della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare di φ. La coordinata ξ è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale dell’ammasso p Ls , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala Ts = Ls /g. . . . . . . . . . . . . . . . . . . vi 38 2.8 2.9 Posizione del fronte e della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare dei parametri che influiscono sull’attrito esercitato dal fondo e dalle pareti laterali. In grafico sono riportati solo i valori dei parametri, che differiscono rispetto al caso 1 di riferimento, in cui δ = 19.5o e k = 0. La coordinata ξ è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale dell’ammasso p Ls , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala Ts = Ls /g. . . . . . . . . . . . . . . . . . . Posizione del fronte e della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare del volume iniziale. La coordinata ξ è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale dell’ammasso Lsp , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala Ts = Ls /g. . . . . . . . . . . . 2.10 Posizione del fronte e della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare della geometria della massa iniziale e del fondo. Nel grafico vengono riportati, per le diverse curve, solo i valori dei parametri che differiscono dal caso 1 di riferimento, in cui la forma è triangolare, Hs /Ls = 0.84 e il numero di punti per la definizione del pendio è Np = 100. La coordinata ξ è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale dell’ammasso Lsp , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala Ts = Ls /g. . . . . . . . . . . . 2.11 Lunghezza dell’ammasso. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto. La lunghezza l è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale dell’ammasso Lsp , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala Ts = Ls /g. . . . . . vii 39 40 41 42 2.12 Velocità del fronte. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni ottenute con il modello monodimensionale, scritto in coordinate assolute. In grafico vengono riportati, per le diverse curve, solo i valori dei parametri che differiscono da quelli del caso 1 di riferimento, in cui dilat. = 0%, Np = 100, δ = 19.5o . La velocità √ U è adimensionalizzata con il valore p scala Us = g Ls , il tempo t con il valore scala Ts = Ls /g, dove Ls = 14.9 cm. . . . 2.13 Velocità della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni ottenute con il modello monodimensionale, scritto in coordinate assolute. In grafico vengono riportati, per le diverse curve, solo i valori dei parametri che differiscono da quelli del caso 1 di riferimento, in cui φ = 29o , δ = 19.5o . La velocità √ U è adimensionalizzata con g Ls , il tempo t con il valore il valore scala U = p s scala Ts = Ls /g, dove Ls = 14.9 cm. . . . . . . . 2.14 Evoluzione del profilo dell’ammasso granulare. Confronto tra i risultati delle simulazioni numeriche ottenute con i modelli monodimensionali, scritti in coordinate locali ed in coordinate assolute. La coordinata ξ e l’altezza h sono adimensionalizzate con la lunghezza iniziale dell’ammasso Ls , pari a 14.9 cm. . 2.15 Evoluzione del profilo dell’ammasso granulare. Confronto tra i risultati delle simulazioni numeriche nel caso di forma iniziale rettangolare (caso 10) e in un caso di forma iniziale triangolare (caso 1). La coordinata ξ e l’altezza h sono adimensionalizzate con la lunghezza iniziale dell’ammasso Ls , pari a 14.9 cm. . 3.1 3.2 3.3 3.4 43 43 44 44 Sistema di riferimento locale legato al vettore velocità. 55 Convenzione dei segni per il tensore degli sforzi. . . 56 Altezza verticale e spessore normale della neve nel dominio tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 I triangoli di base della mesh di calcolo del modello numerico bidimensionale. . . . . . . . . . . . . . . . 67 viii 3.5 Visione d’insieme del piano d’appoggio e dell’apparato di sollevamento del cono. . . . . . . . . . . . . 75 Visione d’insieme dell’attrezzatura sperimentale dopo l’esecuzione di una prova di slump. . . . . . . . 76 La misura con idrometro del profilo della massa di zeoliti dopo l’esecuzione della prova di slump. . . . 77 3.8 Regolatore di pressione e partitore di flusso. . . . . 78 3.9 Zeoliti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 3.10 La scatola di taglio utilizzata per la misura degli angoli d’attrito. Nell’immagine sono presenti entrambe le semi-scatole. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 3.11 Risultati delle prove sperimentali per la misura dell’angolo d’attrito al fondo δ. In ascissa σ, la tensione normale applicata, in ordinata τ , la tensione tangenziale esercitata a rottura. . . . . . . . . . . . 80 3.12 Risultati delle prove sperimentali di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 50o rispetto al piano basale. Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. . . . . . . . . . . 82 3.13 Risultati delle prove sperimentali di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 40o rispetto al piano basale. Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. . . . . . . . . . . 83 3.14 Prova di slump con il cono avente superficie laterale inclinata di 50o rispetto al piano di base. Visione dall’alto, con sovrapposta una griglia a maglie quadrate con lato di 10.9 cm (pari a metà raggio iniziale). . . 86 3.15 Risultato della simulazione numerica della prova di slump con il cono avente superficie laterale inclinata di 50o rispetto al piano di base, per φ = 28o e δ = 22o . x e y sono adimensionalizzate con il valore del raggio iniziale dell’ammasso, pari a 21.8 cm. . . . . . . . . 86 3.6 3.7 ix 3.16 Risultati delle prove numeriche di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 50o rispetto al piano basale, per φ pari a 28o . Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 87 3.17 Risultati delle prove numeriche di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 50o rispetto al piano basale, per φ pari a 24o . Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 88 3.18 Prova di slump con il cono avente superficie laterale inclinata di 40o rispetto al piano di base. Visione dall’alto, con sovrapposta una griglia a maglie quadrate con lato di 11.54 cm (pari a 0.40 volte il raggio iniziale). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 3.19 Risultato della simulazione numerica della prova di slump con il cono avente superficie laterale inclinata di 40o rispetto al piano di base, per φ = 24o e δ = 18o . x e y sono adimensionalizzate con il valore del raggio iniziale dell’ammasso, pari a 28.85 cm. . . . . . . . 90 3.20 Risultati delle prove numeriche di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 40o rispetto al piano basale, per φ pari a 28o . Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 91 3.21 Risultati delle prove numeriche di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 40o rispetto al piano basale, per φ pari a 24o . Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 92 3.22 Apparato sperimentale per le prove su piano inclinato. Prova 3. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 3.23 Effetti di fingering evidenziati dall’aspetto lobato del deposito. Prova 7. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 x 3.24 Confronto tra i dati sperimentali per le prove 2 e 3, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Vista dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 3.25 Confronto tra i dati sperimentali per le prove 2 e 3, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 3.26 Confronto tra le sezioni longitudinali di mezzeria relative alle prove 2 e 3, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. La scala verticale è amplificata di 10 volte rispetto a quella orizzontale . . . . . . . . . . . . . 98 3.27 Confronto tra i dati sperimentali per le prove 4 e 5, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Vista dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 3.28 Confronto tra i dati sperimentali per le prove 2 e 3, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 3.29 Confronto tra le sezioni longitudinali di mezzeria relative alle prove 4 e 5, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. La scala verticale è amplificata di 10 volte rispetto a quella orizzontale . . . . . . . . . . . . . 100 3.30 Confronto tra i dati sperimentali per le prove 6, 7 e 8, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Vista dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 xi 3.31 Confronto tra i dati sperimentali per le prove 6, 7 e 8, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 3.32 Confronto tra le sezioni longitudinali di mezzeria relative alle prove 6, 7 e 8, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. La scala verticale è amplificata di 5 volte rispetto a quella orizzontale . . . . . . . . . . . . . 102 3.33 Confronto tra i dati sperimentali e le soluzioni numeriche al variare di δ, posto φ = 28o . Visione dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. . . . 104 3.34 Confronto tra i dati sperimentali e le soluzioni numeriche al variare di δ, posto φ = 28o . Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. La scala verticale è amplificata di 5 volte rispetto a quella orizzontale. . . . . . . . . . . . . . 105 3.35 Confronto tra i dati sperimentali e le soluzioni numeriche al variare di φ, posto δ = 20.5o . Visione dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 3.36 Confronto tra i dati sperimentali e le soluzioni numeriche al variare di φ, posto δ = 20.5o . Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. La scala verticale è amplificata di 10 volte rispetto a quella orizzontale. . . . . . . . . . . . . . 108 xii 3.37 Confronto tra le soluzioni numeriche ottenute con diversi schemi di calcolo del coefficiente di spinta corrispondente alla direzione trasversale al moto k2 (si veda Tabella 3.6). I parametri del modello numerico sono quelli del caso 1. Visione dall’alto. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. . . . . . . . . . . . . . . 111 3.38 Confronto tra le soluzioni numeriche ottenute con diversi schemi di calcolo del coefficiente di spinta corrispondente alla direzione trasversale al moto k2 (si veda Tabella 3.6). Sezione longitudinale di mezzeria. I parametri del modello numerico sono quelli del caso 1. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. . . . . . . 112 3.39 Confronto tra le soluzioni numeriche ottenute con diversi schemi di calcolo del coefficiente di spinta corrispondente alla direzione trasversale al moto k2 (si veda Tabella 3.6). Visione dall’alto. I parametri del modello numerico sono quelli del caso 1. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. . . . . . . . . . . . . . . 113 3.40 Confronto tra le soluzioni numeriche ottenute con diversi schemi di calcolo del coefficiente di spinta corrispondente alla direzione trasversale al moto k2 (si veda Tabella 3.6). Sezione longitudinale di mezzeria. I parametri del modello numerico sono quelli del caso 1. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. . . . . . . 114 3.41 Canale inclinato di 45o con sbocco su piano inclinato di 10o . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 3.42 Deformazione della mesh durante il moto all’interno di un canale. Le coordinate x e y sono state adimensionalizzate, rispettivamente, con la lunghezza (50 m) e la semilarghezza (7 m) dell’ammasso nella configurazione iniziale. . . . . . . . . . . . . . . . . 117 xiii 3.43 Simulazione dello sbocco di una valanga su un conoide. Caratteristiche canale: forma trapezoidale con base di larghezza pari a 4 m, sponde inclinate di 45o , pendenza del fondo di 45o . La superficie piana su cui sbocca il canale è inclinata di 10o . Il cambio di pendenza avviene alla sezione x = −9. Nella simulazione numerica si è posto δ = 23o e φ = 28o . Le coordinate x e y sono state adimensionalizzate, rispettivamente, con la lunghezza (50 m) e la semilarghezza (7 m) dell’ammasso, nella configurazione iniziale. . . . . . 3.44 Simulazione dello sbocco di una valanga su un conoide. Caratteristiche canale: forma trapezoidale con base di larghezza pari a 4 m, sponde inclinate di 45o , pendenza del fondo di 45o . La superficie piana su cui sbocca il canale è inclinata di 10o . Il cambio di pendenza avviene alla sezione x = −9. Nella simulazione numerica si è posto δ = 23o e φ = 28o . Le coordinate x e y sono state adimensionalizzate, rispettivamente, con la lunghezza (50 m) e la semilarghezza (7 m) dell’ammasso, nella configurazione iniziale. . . . . . 3.45 Simulazione numerica della prova 2 con φ = 28o , δ = 20.5o , ∆t = 0.0001 sec e con una mesh costituita da 218 triangoli. Le coordinate non sono adimensionalizzate. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.46 Simulazione numerica della prova 2 con φ = 28o , δ = 20.5o , ∆t = 0.0001 sec e con una mesh costituita da 218 triangoli. Le coordinate non sono adimensionalizzate. . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.1 Sistemi di riferimento assoluto e curvilineo. . . . . . A.2 Diagramma di Mohr per il calcolo dello stato tensionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.3 Flussi di massa e di quantità di moto. . . . . . . . . A.4 Le forze di superficie. . . . . . . . . . . . . . . . . . A.5 Le componenti del vettore velocità nelle direzioni x e z. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . xiv 118 119 120 121 131 133 139 141 150 B.1 Sistemi di riferimento assoluto e curvilineo nel dominio tridimensionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.2 Calcolo del coefficiente di amplificazione lungo la coordinata curvilinea η. . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.3 Calcolo del coefficiente di amplificazione nella direzione ξ. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.4 Calcolo della derivata dξ/dx. . . . . . . . . . . . . . B.5 Lo stato di sforzo in corrispondenza del piano Ξζ, rappresentato nel piano di Mohr. . . . . . . . . . . B.6 La griglia a maglie rettangolari utilizzata per l’interpolazione delle funzioni b = b(x, y) e δ = δ(x, y). . . B.7 La mesh ausiliaria per i vertici di contorno, costituita dai triangoli simmetrici rispetto al vertice analizzato dei triangoli a questo adiacenti. . . . . . . . . . . . B.8 La mesh ausiliaria per i nodi di contorno appartenenti ad un solo triangolo di base. . . . . . . . . . . B.9 La mesh ausiliaria per i vertici di contorno, costituita dai triangoli di contorno simmetrici rispetto ai lati del contorno che convergono al nodo di calcolo. . . B.10 Interpretazione geometrica che sottende il calcolo del ∆t che garantisce le condizioni di stabilità. . . . . . B.11 Il calcolo del ∆t che consente di annullare la componente di velocità nella direzione originaria del moto. B.12 Il “covolume” sul quale viene integrato il termine diffusivo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.13 Nel caso di vertici di contorno, il calcolo dei flussi attraverso i lati di contorno. . . . . . . . . . . . . . B.14 Calcolo di dµθ in funzione di dx e dy. . . . . . . . . xv 166 168 172 180 192 205 216 217 218 220 222 225 227 231 xvi Elenco delle tabelle 2.1 2.2 2.3 Valori di alcuni parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche delle prove di laboratorio eseguite con le zeoliti: φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; k è il coefficiente d’attrito delle pareti laterali; ∆t e ∆x sono il passo temporale e spaziale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Valori di alcuni parametri significativi, utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche delle prove eseguite con la ghiaia: φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo, k è il coefficiente d’attrito delle pareti laterali, ∆t e ∆x sono il passo temporale e spaziale. 32 Valori di alcuni parametri significativi, utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche della prova di laboratorio no 29, eseguita da Hutter [4]: Np è il numero di punti utilizzati per definire il pendio; φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo, k è il coefficiente d’attrito delle pareti laterali; F orma definisce la forma e Hs /Ls rappresenta il rapporto tra l’altezza e la lunghezza dell’ammasso nelle condizioni iniziali; Dilatazione è la variazione relativa di volume; Nm è il numero di celle della griglia di calcolo, ∆t è il passo temporale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 xvii 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 Valori dei parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche delle prove di laboratorio, eseguite con il cono avente suparficie laterale inclinata di 50o rispetto al piano basale. φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; ∆t è il passo temporale; N t è il numero di triangoli in cui è suddivisa la griglia di calcolo. . . . . . . . . . . . . 84 Valori dei parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche delle prove di laboratorio, eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 40o rispetto al piano basale. φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; ∆t è il passo temporale; N t è il numero di triangoli in cui è suddivisa la griglia di calcolo. . . . . . . . . . . . . 89 Valori dei parametri che definiscono la geometria del sistema nelle 7 prove valide, realizzate su piano inclinato. α è la pendenza del piano, Xc e Yc rappresentano le coordinate orizzontali del centro della base del cono, R è il raggio del cono e β l’inclinazione delle falde rispetto al piano basale. . . . . . . . . . 95 Valori dei parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche della prova numero 6, eseguita con il cono con falde inclinate di 50o , con una pendenza del fondo di 22o . φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; ∆t è il passo temporale; N t è il numero di triangoli in cui è suddivisa la griglia di calcolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 Valori dei parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche della prova numero 4, eseguita con il cono con falde inclinate di 50o , con una pendenza del fondo di 27o . φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; ∆t è il passo temporale; N t è il numero di triangoli in cui è suddivisa la griglia di calcolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 Schemi di valutazione del coefficiente di spinta trasversale k2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 xviii Elenco dei simboli t tempo [s]; g = (0, g) vettore accelerazione di gravità con le rispettive componenti in direzione x e z [m/s2 ]; φs angolo d’attrito interno statico del materiale granulare [o ]; φd = φ angolo d’attrito interno dinamico del materiale granulare [o ]; δ angolo d’attrito al fondo [o ]; ρ densità del materiale granulare [kg/m3 ]; ν concentrazione della frazione solida [m3 /m3 ]; u vettore velocità [m/s]; P tensore degli sforzi [N/m2 ]; Φf (x, t) = 0 equazione implicita della superficie libera; nf versore normale alla superficie libera; Φb (x, t) = 0 equazione implicita della superficie del fondo; nb versore normale al fondo; |v| modulo del vettore v; δij δ di Kronecker; (a)b la grandezza a (scalare, vettore o tensore) valutata sul fondo; xix (a)f la grandezza a (scalare, vettore o tensore) valutata in superficie libera; â la grandezza a adimensionalizzata; ã la grandezza a nel riferimento locale; ā la variabile a nel riferimento mobile, solidale con la massa in movimento; xx MODELLO MATEMATICO MONODIMENSIONALE ζ pendenza del fondo [o ]; χ curvatura del fondo [1/m]; r raggio di curvatura del fondo [m]; (x, z) coordinate del sistema di riferimento assoluto, cartesiano, ortogonale, con asse z verticale [m]; (ξ, η) coordinate del sistema di riferimento locale, con asse η normale al fondo e asse ξ parallelo al fondo [m]; (ux , uz ) componenti del vettore velocità nel riferimento assoluto [m/s]; (uξ , uη ) componenti del vettore velocità nel riferimento locale [m/s]; h spessore del manto nevoso normalmente al fondo [m]; H spessore del manto nevoso lungo la vericale [m]. MODELLO NUMERICO MONODIMENSIONALE i+ 1 2 semi–intero indicante la cella tra i nodi i e i+1; n Hi+ 1 spessore verticale medio del manto nevoso nella cella i + 2 all’istante tn [m]; ∀i+ 1 volume di neve contenuto nella cella i + 2 1 2 1 2 [m3 ]; i identificativo del nodo i; xni posizione della faccia verticale i all’istante tn ; Ux ni velocità orizzontale, mediata sulla verticale, in corrispondenza della faccia i, all’istante tn [m/s]; Uz ni velocità verticale, mediata sulla verticale, in corrispondenza della faccia i, all’istante tn [m/s]; xxi MODELLO MATEMATICO BIDIMENSIONALE (x, y, z) coordinate del sistema di riferimento assoluto, cartesiano, ortogonale, con asse z verticale [m]; (ξ, η, ζ) coordinate del riferimento locale con base non ortonormale, asse ζ normale al pendio, assi ξ ed η tangenti al fondo e rispettivamente normali a y e x [m]; (Ξ, H, ζ) coordinate del riferimento locale cartesiano ortogonale con ζ normale al fondo, Ξ diretto come la proiezione del vettore velocità sulla superficie del pendio, H normale ai precedenti [m]; ei i-esimo versore “cellar” di una base ortonormale; ei i-esimo versore “roof” di una base ortonormale; gi i-esimo vettore “cellar” di una base non ortonormale; gi i-esimo vettore “roof” di una base non ortonormale; ai i-esima componente “cellar” del vettore a; ai i-esima componente “roof” del vettore a; a(i) i-esima componente fisica del vettore a; aij componente “cellar” (i, j) del tensore A; aij componente “roof” (i, j) del tensore A; a(ij) componente fisica (i, j) del tensore A; aji aj·i componenti miste (i, j) del tensore A; ∇i derivata covariante rispetto alla coordinata i; Γkij coefficiente di Christoffel. xxii MODELLO NUMERICO BIDIMENSIONALE Hin spessore verticale medio del manto nevoso nella cella i all’istante tn [m]; ∀i volume di neve contenuto nella cella i [m3 ]; Ani area di base della cella i all’istante tn [m2 ]; xnj , yjn coordinate del nodo j della griglia di calcolo, all’istante tn [m]; Ux nj , Uy nj componenti orizzontali della velocità mediata sulla verticale, nel nodo j della griglia di calcolo, all’istante tn [m/s]; Uz nj velocità verticale, mediata sulla verticale, in corrispondenza del nodo j, all’istante tn [m/s]; f = (fx , fy ) termini integrandi delle equazioni di conservazione della quantità di moto, nelle direzioni x e y [m2 /s]. xxiii xxiv Capitolo 1 Introduzione Negli ultimi decenni si è assistito nelle aree montane ad un evidente cambiamento nella modalità di insediamento nel territorio. 1.1 Classificazione delle valanghe Il tipo di valanga che può interessare un certo sito dipende da svariati fattori. Le caratteristiche del materiale dipendono dal tipo di neve caduta e dai processi metamorfici a cui è stata sottoposta al suolo. L’evoluzione meteorologica (temperature, precipitazioni, umidità, irragiamento solare, scambi termici, etc.) e le caratteristiche topografiche del pendio (esposizione, altitudine, pendenza, etc.) influiscono in maniera determinante sui cambiamenti che avvengono all’interno del manto nevoso e sulla redistribuzione della neve (azione del vento). I volumi di neve che possono essere messi in movimento dipendono dalle caratteristiche climatiche della regione, ma anche dalla morfologia del pendio ed in particolare dalla pendenza, dalla presenza o meno di ampi versanti aperti, etc. La presenza di vegetazione produce delle discontinuità all’interno del manto, riducendo la possibilità che si producano valanghe di grosse dimensioni, e, nella zona di scorrimento, può esercitare un’azione frenante. Il volume iniziale, le caratteristiche del materiale, la geometria 1 del pendio e la scabrezza del fondo determinano l’evoluzione del moto della massa avviata. Classificazione in base ai meccanismi di distacco In relazione alle caratteristiche iniziali del manto nevoso, si possono distinguere due tipi di valanghe. Le valanghe a debole coesione si producono quando i legami tra le particelle all’interno dell’ammasso sono deboli. In questi casi, in genere, il movimento si origina da un punto in cui l’azione della forza peso prevale sull’attrito interno del materiale. Nei casi di valanghe a debole coesione difficilmente vengono messi in movimento grandi volumi. Se il manto presenta strati fortemente consolidati, possono innescarsi valanghe a lastroni. In questo caso l’avvio della valanga ha una meccanica più complessa. In un punto all’interno del manto per diverse possibili cause scatenanti, viene meno la resistenza al taglio sul fondo o su uno strato debole. Si produce una frattura che si propaga attraverso il lastrone. La valanga si avvia quando un volume di neve sufficientemente grande si trova in condizioni di rottura. Classificazione in base alla modalità di scorrimento In relazione alla modalità di scorrimento le valanghe si distinguono in valanghe di neve polverosa e valanghe di neve densa. Nelle valanghe di neve polverosa si verifica un moto di tipo turbolento, di particelle di piccole dimensioni. La massa avanza a forma di nube con velocità molto elevate (60 m/s) e basse densità (10 kg/m3 ). In questo tipo di valanghe le forze di impatto sono relativamente basse, ma la loro velocità e dimensione (le nubi possono raggiungere altezze di svariate decine di metri), le rendono incontrollabili. Le valanghe di neve densa possono presentare delle velocità dell’ordine di 30 m/s − 40 m/s. La densità della massa in movimento raggiunge valori decisamente più elevati che nel caso precedente (anche 400 − 500 kg/m3 nel caso di neve bagnata). Le forze di im2 Figura 1.1: Nube polverosa di una valanga a lastroni (Tratto da http://www.cs.umd.edu/class/spring2001/cmsc838b/Project/ Parija_Spacco/images/avalanche.jpg). patto e la capacità erosiva, risultano nettamente superiori, rispetto alle valanghe di neve polverosa. Molto spesso le due tipologie di valanghe descritte si presentano contemporaneamente. Quando in una valanga di neve densa si superano velocità dell’ordine dei 10 m/s, le particelle più superficiali passano da un moto di tipo laminare ad un moto turbolento. Si sviluppa cosı̀ una nube polverosa, che nasconde alla vista il nucleo radente, il quale in genere non ha spessori superiori a 5 m. In Figura 1.1 viene rappresentata la nube polverosa di una valanga a lastroni. Oltre che dalla velocità di scorrimento, la possibilità che si formi la nube polverosa dipende anche dal contenuto d’acqua. Durante la fase iniziale di destabilizzazione, la presenza di acqua intersiziale nell’ammasso nevoso induce la formazione di particelle (anche di 3 grosse dimensioni) per fenomeni di capillarità. L’ammasso particellare che ne deriva è ad alta densità e scorre in prossimità del fondo. Solo nel caso di valanghe di neve fradicia si riscontra la presenza di acqua libera nella massa in movimento. Si manifesta in tali casi un comportamento di natura viscosa. 1.2 Interventi di protezione nelle aree a rischio Diverse sono le strategie di difesa degli insediamenti dai fenomeni valanghivi. Si può intervenire con l’obiettivo di impedire il distacco della valanga. Si tratta in questo caso di tecniche di protezione attiva. Si realizzano opere che hanno la funzione di consolidare il manto nevoso nella zona di distacco (barriere da neve, terrazzamenti, rimboschimenti), limitando le deformazioni di natura viscosa. Con barriere frangivento o tettoie acceleratrici si può impedire l’accumulo della neve in zone pericolose dal punto di visto dell’innesco delle valanghe. Gli esplosivi possono essere utilizzati in questo campo per produrre distacchi artificiali, impedendo l’accumulo di volumi di neve eccessivi, che potrebbero dar luogo ad eventi di notevoli dimensioni. Tra le strategie di protezione passiva si comprendono interventi provvisori, quali la chiusura temporanea delle strade o dei comprensori sciistici, oppure, nei casi più estremi, l’evacuazione delle zone a rischio. Si possono poi costruire opere di protezione nella zona di scorrimento e di arresto. Si utilizzano cunei o muri per deviare la valanga, argini e fossati di arresto, opere in terra per dissipare l’energia della massa in movimento, gallerie paravalanghe. Tutte queste sono opere che implicano dei costi anche considerevoli ed il cui comportamento non è chiaro nel caso di eventi eccezionali. Ovviamente il migliore intervento di protezione dal rischio valanghe è evitare di realizzare infrastrutture ed insediamenti nelle zone soggette al fenomeno. 4 1.3 Strumenti di indagine Sia nella realizzazione degli interventi di difesa, sia per una razionale pianificazione dello sviluppo degli insediamenti, è necessario avere una conoscenza approfondita degli eventi che possono realizzarsi nella zona di studio. È importante ottenere delle informazioni il più possibile attendibili, riguardo alla frequenza ed all’intensità degli eventi che interessano la zona considerata. Si deve poter individuare i volumi che possono essere movimentati, le aree di scorrimento e di deposito, la forza di impatto sulle strutture. 1.3.1 Le analisi di tipo statistico La Provincia Autonoma di Trento (Ufficio Neve e Valanghe) si occupa della stesura e dell’aggiornamento delle Carte di Localizzazione Probabile delle Valanghe (C.L.P.V.). Queste sono un importante strumento di analisi di tipo statistico per l’individuazione delle zone di distacco, scorrimento e deposito (si veda Figura 1.2) e per la valutazione dei tempi di ritorno. La raccolta sistematica dei dati è iniziata però da troppo poco tempo. Spesso il numero di dati a disposizione è troppo piccolo per poter fare delle analisi statistiche attendibili. Inoltre gli eventi che possono creare più problemi sono quelli più rari, per i quali possono non esservi del tutto informazioni di tipo quantitativo. 1.3.2 L’analisi della vegetazione La dendrocronologia e, più in generale, l’osservazione delle formazioni vegetali nelle zone interessate dalla valanga possono dare utili informazioni riguardo agli eventi che possono verificarsi. In particolare, la distribuzione spaziale delle piante, la loro età e specie, la presenza e la posizione di piante abbattute e di cicatrici su quelle in piedi, riflettono le caratteristiche peculiari degli eventi che si realizzano nella zona. 5 Figura 1.2: Esempio di Carta di Localizzazione Probabile delle Valanghe (Tratto da http://www.provincia.tn.it/meteo/images/clpv.gif). 1.3.3 I modelli dinamici Un altro strumento di indagine molto importante è rappresentato dai modelli matematici che studiano la dinamica delle valanghe. Data la massa iniziale, le caratteristiche del materiale nevoso e la geometria e la scabrezza del pendio, tali modelli consentono di ricostruire il moto della valanga e di stimare i parametri dinamici della massa in movimento. È possibile valutare le forze di impatto su strutture che ostacolino la discesa dell’ammasso, ricorrendo al concetto di pressione di ristagno. In questo modo però si sottostimano le azioni effettivamente esercitate. Infatti, come osserva Decker [14], durante l’urto non si ha semplicemente la conversione dell’energia cinetica in energia potenziale. Si producono delle onde dinamiche che incrementano notevolmente le pressioni massime sviluppate. Si utilizzano diversi tipi di modello per il nucleo denso radente e per la componente polverosa. La seconda viene trattata come una corrente di densità. Invece per la componente densa sono stati 6 sviluppati modelli di due tipi differenti. I modelli particellari immaginano l’ammasso costituito da un insieme di particelle in movimento soggette agli urti reciproci ed all’interazione con il suolo e con l’aria. Vi sono poi modelli che trattano la neve come un mezzo continuo. Vengono utilizzate in questo caso le equazioni proprie della dinamica dei fluidi. Le difficoltà consistono, soprattutto, nella definizione della legge reologica che descriva correttamente il comportamento del materiale. 1.3.4 Un modello dinamico bidimensionale Il presente lavoro illustra un modello matematico bidimensionale. Sono già stati realizzati in passato vari modelli che simulano il moto delle valanghe in una dimensione. Hutter e Savage [19] hanno proposto ad esempio un modello, scritto rispetto ad un riferimento curvilineo legato alla geometria del pendio. La neve viene trattata come un mezzo continuo, incomprimibile, caratterizzato da una comportamento reologico di tipo Coulombiano. Si suppone che non vi sia acqua tra le particelle e che quindi non vi siano comportamenti viscosi. Non vengono presi in considerazione gli aspetti termodinamici del processo. Durante lo scorrimento della valanga si genera calore per attrito al fondo. I flussi di energia associati possono modificare le caratteristiche del materiale granulare. Di questo non si tiene conto, cosı̀ come non si considerano alcuni fondamentali processi che si realizzano negli istanti iniziali. Tra questi il processo di granulazione che determina la progressiva frantumazione dei lastroni, nel caso di valanghe a lastrone, e la successiva formazione di compatte palle di neve di varia granulometria (si veda Figura 1.3). Nei primissimi istanti, inoltre, si ha un effetto di dilatazione e fluidizzazione, con un rapido incremento della distanza media tra le particelle. Infine vengono trascurate le variazioni di massa lungo il percorso indotte da depositi e erosioni. D’Accordi [35] ha eseguito delle verifiche di laboratorio di un 7 Figura 1.3: Deposito valanghivo, in cui sono visibili le palle di neve, prodotte durante il processo di granulazione, che interviene nelle fasi iniziali del moto della valanga. (Tratto da [35]) modello basato sulla reologia proposta da Hutter e Savage. Quindi ne ha testato il funzionamento su un caso reale. Il modello monodimensionale è adatto a descrivere il moto delle valanghe incanalate. Non è in grado di rappresentare con dettaglio il comportamento delle valanghe di versante e di quelle incanalate quando sboccano sul conoide. Di qui l’esigenza di sviluppare un modello bidimensionale. Lo schema concettuale alla base di questo lavoro è rappresentato ancora dalla teoria di Hutter e Savage, per mezzi granulari secchi. Gli stessi autori hanno elaborato un modello bidimensionale valido sul piano o su superfici che poco si discostano dalla geometria piana [6]. Quando la geometria del pendio diviene più articolata, è problematico lavorare con un riferimento curvilineo legato al fondo, come si è potuto fare nel caso monodimensionale. Le equazioni si 8 complicano e non si riesce a trovare una relazione semplice che leghi coordinate assolute e coordinate relative. Si è pensato perciò di scrivere il modello in coordinate assolute. Questo passaggio ha richiesto delle ulteriori semplificazioni rispetto al modello originario di Hutter e Savage. 9 1.4 Il quadro delle ipotesi Le ipotesi alle quali ci si appoggia nella definizione del modello, sono quelle proposte da Hutter e Savage [5], [6], [19]: hp. 1: si analizza la dinamica delle valanghe di neve densa; hp. 2: la massa nevosa viene trattata come un ammasso granulare secco, privo di acqua negli interstizi; hp. 3: si descrive l’ammasso come un mezzo continuo; questa ipotesi è giustificabile fintantoché la profondità, la lunghezza e la larghezza della massa nevosa sono grandi rispetto alle dimensioni delle particelle; hp. 4: la densità dell’intero ammasso viene supposta costante; hp. 5: si suppone che valga la condizione di “acque basse”, che cioè lo spessore della valanga sia piccolo rispetto alle sue dimensioni caratteristiche in senso longitudinale e trasversale. Savage e Hutter nel 1989 [5] hanno eseguito degli esperimenti, studiando il comportamento in cella di taglio anulare di particelle di vetro e di plastica. Aumentando la velocità di rotazione si ha un effetto dilatante e di fluidizzazione. Il trasferimento della quantità di moto tra le particelle avviene tramite urti di breve durata e di frequenza decrescente con la velocità. Si è osservato che viene mantenuta una legge di proporzionalità diretta tra gli sforzi tangenziali pxy e gli sforzi normali pyy , con un angolo d’attrito che dipende dalla concentrazione della frazione solida ν e dal gradiente di velocità du : dy 2 du 2 ps (ν) tan φs (ν) + f2 (ν)ρp σ pxy dy = , tan φ = 2 pyy du ps (ν) + f1 (ν)ρp σ 2 dy dove ps è il contributo quasi-statico allo sforzo normale pyy , σ e ρp sono il diametro e la densità delle particelle. 10 du è piccolo, tan φ ≈ tan φs (ν). dy f2 (ν) du è molto grande tan φ ≈ = tan φd (ν), cioè l’angolo Quando dy f1 (ν) d’attrito tende ad assumere un valore che non dipende più dai gradienti di velocità, ma che è differente dall’angolo d’attrito statico, in quanto è differente la concentrazione solida: è l’angolo d’attrito dinamico. Nel 1995 Hutter ed altri [4] hanno realizzato una serie di esperimenti in canaletta a sezione rettangolare, con un tratto iniziale a pendenza costante ed una zona di arresto orizzontale. Hanno fatto delle prove con delle particelle di plastica di forma lenticolare, con diametro di 4 mm, spessore di 2.5 mm, densità di 950 kg/m3. Hanno osservato che il moto è di tipo laminare al centro del corpo dell’ammasso in movimento. La massa inoltre tende a muoversi senza forti gradienti di velocità lungo la normale al fondo. Un più violento movimento di saltazione si produce invece sul fronte e sulla coda, dove vi sono minori spessori e di conseguenza un maggiore effetto di dilatanza e fluidizzazione. Già in precedenza (1984) Hungr e Morgenstern [10] avevano realizzato delle prove in canaletta con l’obiettivo di verificare se, in presenza di forti velocità, continua a valere la legge frizionale coulombiana. Infatti ad interazioni di contatto quasi-statiche si sostituiscono interazioni collisionali tra i grani. Incollando al fondo della canaletta delle particelle di granulometria simile a quella del materiale usato per le prove, avevano ottenuto un angolo d’attrito statico al fondo pari all’angolo d’attrito interno del materiale. Si era verificato che, per basse velocità, il profilo verticale di velocità risultava lineare. Nel caso di moti a velocità superiore veniva osservato: Quando - un flusso ancora di natura non turbolenta; - un evidente fenomeno di scivolamento alla base, dove si concentravano le deformazioni; - al di sopra un profilo verticale di velocità pressoché uniforme (plug-flow); 11 - un rapporto tra tensione tangenziale e sforzo normale al fondo costante e quindi ancora una legge frizionale di tipo coulombiano, ma con un angolo d’attrito inferiore rispetto all’angolo d’attrito statico. I risultati ricavati da Hungr e Morgenstern sono analoghi a quelli di Hutter e Savage e corroborano le ipotesi fatte per descrivere la reologia del materiale. hp. 6: Sul fondo si ha scivolamento: - i gradienti di velocità si concentrano al fondo. Al di sopra il profilo di velocità è praticamente uniforme; - lungo la superficie di scorrimento il legame tra sforzi tangenziali e sforzi normali è descritto da una legge d’attrito coulombiana, con un angolo d’attrito al fondo δ minore rispetto all’angolo d’attrito interno φ. hp. 7: Viene aggiunta l’ipotesi che si raggiungano le condizioni di rottura anche all’interno del materiale. Lo stato di sforzo interno viene perciò rappresentato ricorrendo ad un criterio di rottura di tipo Coulombiano, per un materiale privo di coesione e con un angolo d’attrito interno φ. 12 Capitolo 2 Il modello monodimensionale in coordinate globali 2.1 Il modello matematico monodimensionale Con questo modello ci si propone di simulare il comportamento delle valanghe di neve densa (hp. 1, pag. 10). Si suppone che il mezzo possa essere trattato come un ammasso di materiale granulare secco (hp. 2, pag. 10), incomprimibile (hp. 4, pag. 10) e rappresentabile come un mezzo continuo (hp. 3, pag. 10). 2.1.1 Le equazioni del moto Le equazioni del moto vengono scritte rispetto ad un sistema di riferimento cartesiano, piano, ortogonale con asse z verticale ed asse x diretto nel verso del moto. Il vettore velocità viene indicato come segue: u = (ux , uy ) 13 mentre il tensore degli sforzi è dato da: ! pxx pxz P= . pzx pzz L’equazione di continuità, essendo il mezzo incomprimibile, si traduce nell’annullamento della divergenza del vettore velocità: ∂ux ∂uz + = 0. ∂x ∂z (2.2) Le equazioni di conservazione della quantità di moto nelle direzioni x e z sono date da: ∂ux ∂ux 1 ∂pxx ∂pzx ∂ux + ux + uz = + (2.3) ∂t ∂x ∂z ρ ∂x ∂z ∂uz ∂uz 1 ∂pxz ∂pzz ∂uz + ux + uz = + −g. (2.4) ∂t ∂x ∂z ρ ∂x ∂z Dall’equilibrio alla rotazione rispetto al baricentro si ricava la simmetria del tensore degli sforzi: pxz = pzx . (2.5) Avendo definito le equazioni esplicite della superficie libera e del fondo come: z = f (x, t) e z = b(x). si ricavano le condizioni al contorno di tipo cinematico in superficie libera ed al fondo: ∂f ∂f − ux + uz = 0 ∂t ∂x ∂b −ux + uz = 0 ∂x − per z = f . (2.7) per z = b. (2.9) Si rimanda all’Appendice A.2 per il dettaglio dei passaggi. 14 2.1.2 Il tensore degli sforzi: la reologia Per poter mediare lungo la verticale le equazioni del moto, è necessario ricavare una legge funzionale che descriva come variano le componenti del tensore degli sforzi all’interno del materiale. In Appendice A.1 è stata ricavata l’espressione per il tensore degli sforzi al fondo, in un riferimento curvilineo di coordinate η, normale al fondo, e ξ, ad essa ortogonale: P̃ = = ! pηη pξξ pξη pηξ z=b ka/p −sgn((uξ )b ) tan δ −sgn((uξ )b ) tan δ 1 ! (2.10) (pηη )b . dove il coefficiente di spinta ka/p vale (Eq. (A.12)): kp ka = 2 cos2 φ " 1± r 1− cos2 cos2 # φ − 1, δ per ∂uξ < 0 . ∂ξ > 0 sgn((uξ )b ) è il segno della componente tangenziale al fondo del vettore velocità e (pηη )b rappresenta la componente normale al fondo dello sforzo che si sviluppa lungo l’interfaccia tra la neve ed il pendio. A questo risultato si è pervenuti avendo fatto alcune ipotesi. Si è supposto che il materiale granulare si trovi in condizione di rottura e che quindi il cerchio di Mohr che descrive lo stato tensionale al fondo sia tangente all’inviluppo di rottura. È stato assunto per il materiale un comportamento a rottura di tipo coulombiano (hp. 7, pag. 12), con coesione nulla e con un angolo d’attrito interno pari a φ. Si è supposto inoltre che vi sia scivolamento al fondo e che la legge che descrive la relazione tra sforzo tangenziale e sforzo normale lungo la superficie di scorrimento sia di tipo frizionale con un angolo d’attrito pari a δ (hp. 6, pag. 12). Per ricavare un’espressione per pηη |z=b è stata fatta l’analisi dimensionale delle equazioni del moto, ottenute per un mezzo granulare secco (hp. 2, pag. 10), continuo (hp. 3, pag. 10), incomprimibile 15 (hp. 4, pag. 10) e sviluppate rispetto ad un riferimento curvilineo. Nell’equazione scritta in direzione normale al fondo sono stati trascurati i termini di ordine uguale o maggiore di = Hs /Ls , sulla base dell’ipotesi di acque basse (hp. 5, pag. 10). Si è cosı̀ ottenuta la distribuzione idrostatica delle pressioni (Eq. (A.23) e Eq. (A.25)), che, espressa in termini dimensionali, è data da: pηη = −ρ χ (uξ )2b + g cos ζ (h − η) , (2.11) dove χ e ζ sono rispettivamente la curvatura e la pendenza del fondo e h è lo spessore della valanga, misurato normalmente alla superficie del pendio. La componente pηη risulta quindi distribuita linearmente lungo la direzione normale al fondo. Il tensore degli sforzi va scritto rispetto al riferimento assoluto per poi poter mediare sulla verticale le equazioni del moto. Per il dettaglio dei calcoli si veda Appendice A.2.3. Si applica un’opportuna matrice di rotazione R al tensore degli sforzi valutato al fondo P̃. Si suppone poi che la distribuzione delle pressioni pηη sia lineare non lungo la normale al fondo, come in Eq. (2.11), ma lungo la verticale. L’approssimazione è accettabile nel caso in cui (uξ )b , ζ, δ e h possano essere ritenuti costanti lungo il pendio per tratti di lunghezza confrontabile con la proiezione sul fondo dello spessore verticale della massa nevosa H(x, t) = f (x, t) − b(x). Alle stesse condizioni si può porre (vedi Figura 2.1): h(x, t) ∼ = H(x, t) cos ζ(x) = (f (x, t) − b(x)) cos ζ(x) . Il successivo passo è quello di ipotizzare che le componenti del tensore degli sforzi si mantengano proporzionali a pηη sull’intero profilo dell’ammasso. Si ricava pertanto che: P(x, z, t) = ρ A0 (x, t) B(x, t) C(x, t) C(x, t) D(x, t) 16 ! (f (x, t) − z) (2.12) Figura 2.1: Sistemi di riferimento assoluto e curvilineo. dove A0 (x, t) = − χ (uξ )2b + g cos ζ cos ζ . e i coefficienti B, C, e D sono definiti come: 17 (2.13) 1 − ka/p (1 + cos 2 ζ) − sgn (uξ )b · 2 · tan δ sin 2 ζ , B(x, t) = 1 − 1 − ka/p sin 2 ζ − sgn (uξ )b tan δ cos 2 ζ , 2 1 − ka/p (1 − cos 2 ζ) + sgn (uξ )b · D(x, t) = 1 − 2 · tan δ sin 2 ζ , C(x, t) = 18 (2.14) (2.15) (2.16) 2.1.3 Le equazioni del moto mediate sulla verticale Le espressioni delle componenti del tensore degli sforzi, ricavate nel precedente paragrafo, vanno sostituite nelle equazioni del moto. A questo punto è possibile integrare sulla verticale l’equazione di continuità (2.2) e l’equazione di conservazione della quantità di moto nella direzione x (2.3). In Appendice A.2.4 sono riportati tutti i passaggi. Definite le componenti medie del vettore velocità sulla verticale: 1 Ux = H Z 1 Uz = H Z f ux dz , (2.17) uz dz . (2.18) b f b si integra lungo z tra b(x) ed f (x, t) l’equazione di continuità (2.2) e, ricorrendo alle condizioni al contorno cinematiche in superficie libera ed al fondo si perviene all’espressione finale: ∂H ∂(Ux H) + = 0. ∂t ∂x (2.20) Per mediare lungo z le equazioni del moto si richiamano le condizioni al contorno di tipo cinematico e si ricorre all’ipotesi di scivolamento (hp. 6, pag. 12), imponendo l’ulteriore condizione che il profilo di velocità sia costante non solo sulla normale, ma anche lungo la verticale. Le equazioni di conservazione della quantità di moto mediate sulla verticale e scritte in forma non conservativa sono date da: 19 ∂H ∂ (Ux H) + = 0, ∂t ∂x ∂Ux ∂Ux + Ux = ∂t ∂x ∂H H ∂ (A0 B) 0 +C , = − A B tan ζ − 2 ∂x ∂x (2.21) (2.23) ∂Uz ∂Uz + Ux = ∂t ∂x H ∂ (A0 C) ∂H 0 = − A C tan ζ − + D − g (2.24) 2 ∂x ∂x Assumendo che sia (uξ )b ∼ = Uξ , dove Uξ rappresenta il valore medio sulla verticale della componente tangenziale di velocità, le espressioni per A0 (Eq. (2.13)), B (Eq. (2.14)), C (Eq. (2.15)) e D (Eq. (2.16)) diventano: A0 (x, t) = − χ Uξ 2 + g cos ζ cos ζ . 1 − ka/p (1 + cos 2 ζ) + 2 −sgn (Uξ ) tan δ sin 2 ζ , (2.25) B(x, t) = 1 − 1 − ka/p sin 2 ζ − sgn (Uξ ) tan δ cos 2 ζ , 2 1 − ka/p D(x, t) = 1 − (1 − cos 2 ζ) + 2 +sgn (Uξ ) tan δ sin 2 ζ . C(x, t) = 20 (2.26) (2.27) (2.28) 2.1.4 L’effetto dell’attrito di parete Il modello matematico proposto non è in grado di tener conto della resistenza offerta al moto dall’attrito che si sviluppa lungo le pareti laterali di contenimento. Hutter ed altri [4], nella verifica numerica di prove sperimentali realizzate in una canaletta di sezione rettangolare, ricorrono ad una formula sviluppata da Roberts: tan δeff = Hs ĥ 1+k Ws . (2.29) Hs e Ws sono i valori scala per lo spessore e la larghezza dell’ammasso; ĥ è lo spessore adimensionalizzato; k è il coefficiente d’attrito per le pareti laterali; δef f è il coefficiente d’attrito corretto. Hutter riporta, nell’articolo precedentemente citato, il range entro cui tendono a ricadere i valori di k, per diverse combinazioni di materiali granulari e superfici di scorrimento. Si passa da un valore massimo di 0.453 ad un valore minimo di 0.324. Nel medesimo articolo gli autori consigliano di utilizzare un valore medio, pari a 0.4. 21 2.2 Il modello numerico monodimensionale Lo schema numerico utilizzato per discretizzare le equazioni del moto mediate sulla verticale è uno schema di tipo lagrangiano, alle differenze finite. L’ammasso di neve è suddiviso in celle, delimitate da facce verticali, che si spostano in direzione x con la velocità del materiale granulare mediata sulla verticale. La griglia di calcolo, quindi, si sposta con le particelle (vedi Figura 2.2). PSfrag replacements x Figura 2.2: La griglia di calcolo del modello numerico monodimensionale. La generica cella i + 21 è compresa tra le facce verticali poste nelle posizioni xi e xi+1 . All’istante tn la posizione della faccia i 22 1 viene aggiornata, conoscendone la velocità all’istante tn− 2 : n− 12 xni = xin−1 + Ux i ∆t , (2.30) dove xni è la posizione della faccia i all’istante tn , ∆t = tn − tn−1 e n− 12 Ux i 1 è la velocità del nodo i della griglia, all’istante tn− 2 , mediata n− 12 sulla verticale. Ux i n− 12 Ux i = è calcolata, dopo aver valutato Ux ni , come: Ux ni + Ux in−1 . 2 La conservazione della massa viene rispettata, imponendo che il volume di neve ∀i+ 1 contenuto nella generica cella i+ 12 sia costante. 2 L’altezza della neve all’istante tn nella cella i + 21 viene calcolata come: n Hi+ 1 = 2 ∀i+ 1 2 xni+1 − xni . (2.31) Per ottenere Ux si integra l’equazione di conservazione della quantità di moto in direzione orizzontale, ricorrendo al metodo di Collatz (o di Eulero modificato) [36]. È uno schema di risoluzione delle equazioni differenziali ordinarie, esplicito, ad un passo, del secondo ordine. Se ci si pone nell’ottica lagrangiana Ux dipende solo dal tempo: Ux = Ux (x(t), t) = Ux (t) . L’equazione del moto in direzione x assume allora la forma di un’equazione differenziale ordinaria del primo ordine, del tipo: dUx = f (t, Ux ) . dt (2.32) Lo schema di Collatz prevede che, ad ogni passo temporale, la 23 funzione f , definita in Eq. (2.32), sia calcolata due volte: 1 n+1 n n+ 12 ˆ n+ 2 , Ux i Ux i = Ux i + ∆t f t , dove n+ 1 ∆t f (tn , Ux ni ) , Uˆx i 2 = Ux ni + 2 n+1 n ∆t = t −t . essendo (2.33) In Appendice A.3.1 si trovano tutti i passaggi per il calcolo della funzione integranda f . 24 2.2.1 Condizioni di stabilità del modello. Affinché sia garantita la stabilità del modello, l’intervallo temporale di calcolo ∆t viene valutato ad ogni passo, in maniera tale che non vi siano sovrapposizioni tra le celle. Nel modello numerico si fa in modo che, nel generico passo, lo spostamento di ciascuna delle due facce di ogni cella non sia maggiore di un’opportuna frazione α della lunghezza della cella stessa. Lo schema è stato poi ulteriormente raffinato, tenendo conto anche delle celerità di propagazione delle piccole perturbazioni gravitazionali all’interno dell’ammasso nevoso. Il calcolo della celerità di propagazione di tali onde, rispetto ad un osservatore che si muove con la massa (approccio lagrangiano), è riportato in Appendice A.3.4 e fornisce l’espressione (Eq. (A.72)): √ c = −A0 B H . (2.34) È una condizione di stabilità tipo Courant–Friedrichs–Levy: si vuole impedire che le informazioni relative a variazioni del campo di moto, che interessano il generico nodo i, possano percorrere nell’intervallo ∆t, uno spazio maggiore della lunghezza delle celle adiacenti. In particolare si impone che lo spazio percorso da tali perturbazioni nell’intervallo temporale di calcolo, non sia maggiore di una opportuna frazione α della lunghezza della cella. Applicando queste correzione a ∆t, si è osservato un miglioramento delle condizioni di stabilità, specie in alcune situazioni particolari; per esempio nella fase di arresto su tratti orizzontali o suborizzontali e in presenza di bruschi cambi di pendenza e quindi di elevate curvature, in quanto in tali situazioni è maggiore la celerità di propagazione. È stata introdotta un’ulteriore condizione sull’intervallo ∆t, per impedire che, all’interno di un unico passo temporale, si abbia l’inversione del moto. Questa condizione interviene specialmente nella fase di arresto. Impedisce l’insorgere di instabilità dovute alle continue variazioni di segno del vettore velocità. In Appendice A.3.3 si trovano le espressioni utilizzate per correggere il valore dell’intervallo temporale di integrazione ∆t. 25 Nonostante tutti questi controlli sull’intervallo temporale di calcolo, il modello, in alcune situazioni particolari, continua a presentare delle instabilità. Questo è dovuto al fatto che, quando il moto avviene in condizioni supercritiche, se vi è un brusco rallentamento, prodotto da un ostacolo o da un cambio di pendenza, si produce uno shock che si propaga verso monte. Questi fronti di discontinuità sono stati osservati durante le prove eseguite nel laboratorio di idraulica per testare il modello bidimensionale. Tai [42] conferma che uno schema lagrangiano, applicato al modello di Hutter e Savage scritto in forma non conservativa, presenta evidenti instabilità in presenza di fronti d’onda. Per attenuare tali instabilità è stato introdotto un termine diffusivo, descritto in Appendice A.3.4. 26 2.2.2 Il codice di calcolo Il codice di calcolo è stato scritto con il linguaggio C + +. Si è fatto uso della classe HINT, sviluppata dal dott. Enrico Bertolazzi e disponibile nel sito http://www.ing.unitn.it/~bertolaz. Tale classe consente di trattare i semi interi, cioè i numeri che possono essere espressi come la somma di un intero e della costante 1/2. 27 2.3 Verifiche sperimentali del modello monodimensionale L’analisi del modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, viene eseguita confrontandone i risultati con quelli ottenuti da D’Accordi [35] con il modello numerico monodimensionale, scritto in coordinate locali, e con i dati sperimentali relativi a due casi simulati in laboratorio. Il primo caso è stato studiato da D’Accordi presso il Laboratorio di Idraulica dell’Università degli Studi di Trento e riproduce una situazione quasi-statica. I dati sperimentali relativi al secondo caso, in cui il moto del materiale è pienamente sviluppato, sono stati estratti da un articolo scritto da Hutter et alii [4] nel 1995. 2.3.1 Prove di laboratorio su piano orizzontale Il caso studiato da D’Accordi simula un processo di slump su piano orizzontale, in condizioni monodimensionali. All’interno di una canaletta di forma rettangolare larga 30 cm, una paratoia inclinata di 55o rispetto all’orizzontale, trattiene il materiale nella posizione iniziale. Le pareti ed il fondo della canaletta sono realizzati in perspex, un materiale plastico trasparente. Una volta sollevata la paratoia, è stata rilevata la disposizione finale del materiale nella canaletta. Sono stati utilizzati due tipi di materiale: zeoliti e ghiaia. Le zeoliti sono resine anioniche, di forma sferica e granulometria compresa tra 0.1 e 2 mm e con diametro medio di circa 1 mm. La ghiaia ha forme piuttosto irregolari. I grani hanno una superficie scabra e dimensioni comprese tra i 3 ed i 5 mm. Per tali materiali sono stati misurati i valori statici dell’angolo d’attrito interno φ e dell’angolo d’attrito al fondo δ. Le misure sono state eseguite mediante scatola di taglio descritta in §3.3.1. In particolare in [35] si riportano i seguenti valori: zeoliti φ = 28o ± 0.75o ; 28 δ = 18o ± 0.75o ; ghiaia φ = 38o ± 0.75o ; δ = 28o ± 0.75o ; Prova con resina anionica granulare su superficie orizzontale in perspex In Tabella 2.1 sono indicati i valori dei parametri utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche, i cui risultati sono rappresentati in forma sintetica in Figura 2.3 e in Figura 2.4. Caso φ[o ] δ[o ] k 1 28 18 0.4 0.0005 0.01 2 26 18 0.4 0.0005 0.01 3 24 18 0.4 0.0005 0.01 ∆t[s] ∆x[m] Tabella 2.1: Valori di alcuni parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche delle prove di laboratorio eseguite con le zeoliti: φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; k è il coefficiente d’attrito delle pareti laterali; ∆t e ∆x sono il passo temporale e spaziale. In Figura 2.3 si sono messi a confronto i dati sperimentali con i risultati delle simulazioni numeriche eseguite con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento curvilineo e con quello scritto nel riferimento assoluto. I parametri utilizzati sono quelli del Caso 2 descritto in Tabella 2.1. Si osserva la sostanziale coincidenza dei risultati ottenuti con i due diversi modelli numerici. Si può infatti dimostrare che, nel caso di fondo piano orizzontale, i due modelli, sviluppati nel riferimento locale e nel riferimento assoluto, sono perfettamente coincidenti. In Figura 2.4 invece si confrontano i dati sperimentali con i risultati numerici, ottenuti con il modello scritto nel riferimento assoluto. Sono tenuti fissi l’angolo d’attrito al fondo, pari al valore 29 h PSfrag replacements 1.1 1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 Istante iniziale D’Accordi 1D locale 1D assoluto 12 13 14 15 16 x 17 18 19 20 Figura 2.3: Confronto tra i dati sperimentali di D’Accordi, relativi alle zeoliti, ed i risultati delle simulazioni con i modelli monodimensionali, scritti nel riferimento assoluto e nel riferimento curvilineo. L’altezza h e la coordinata x sono adimensionalizzate con l’altezza iniziale (17 cm) e la proiezione nella direzione orizzontale della lunghezza della paratoia (11.9 cm). PSfrag replacements 1D locale 1D assoluto h h x 1.1 1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 Istante iniziale D’Accordi Caso 1: φ = 28o Caso 2: φ = 26o Caso 3: φ = 24o 12 13 14 15 16 x 17 18 19 20 Figura 2.4: Confronto tra i dati sperimentali di D’Accordi, relativi alle zeoliti, ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare dell’angolo d’attrito interno φ (si veda Tabella 2.1). L’altezza h e la coordinata x sono adimensionalizzate con l’altezza iniziale (17 cm) e la proiezione nella direzione orizzontale della lunghezza della paratoia (11.9 cm). 30 statico di 18o , ed il coefficiente d’attrito relativo alle pareti laterali k, assunto uguale a 0.4. Viene variato il valore dell’angolo d’attrito interno φ, tra il valore statico di 28o ed il valore di 24o , che dovrebbe corrispondere alle condizioni dinamiche [10]. Al calare di φ, diminuisce la capacità del materiale di sostenersi: aumenta il valore del coefficiente di spinta attiva ka . Si osserva che le condizioni di migliore adattamento dei risultati numerici ai dati sperimentali si ottengono utilizzando un angolo d’attrito interno “dinamico” compreso tra 24o e 26o . La capacità del modello matematico–numerico di rappresentare il fenomeno appare buona. Questo anche in considerazione degli errori sperimentali (±1 mm nella misura del tirante) e della quasi–staticità del fenomeno, che pone dei dubbi sulla realizzazione completa del processo di fluidizzazione del materiale granulare e sulla modalità di scivolamento sul fondo. Nel caso di slump orizzontale sorge il dubbio se sia lecita l’ipotesi di scivolamento al fondo (hp. 6, pag. 12). Infatti i movimenti non si concentrano al fondo, ma si sviluppano all’interno dell’ammasso. Prova con ghiaia su superficie orizzontale in perspex Nel caso delle prove con la ghiaia è stata più laboriosa la ricerca dei valori di φ, δ e k che danno le condizioni di fitting ottimali. In Tabella 2.2 vengono riportati i valori di tali parametri, utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche, i cui risultati sono rappresentati in Figura 2.5 e in Figura 2.6. In Figura 2.5 si può osservare l’effetto dell’angolo d’attrito interno φ e quello dell’angolo d’attrito al fondo δ. Come si è già detto nel caso delle zeoliti, al diminuire dell’angolo d’attrito interno, la massa si disperde maggiormente nel piano. L’effetto di φ, nelle condizioni quasi-statiche proposte, non è piccolo. Esso compare nelle equazioni del moto (A.31) all’interno del coefficiente di spinta ka/p , in un termine di ordine = Hs /Ls , che nel caso presente è di ordine 1. Confrontando la configurazione finale del caso 1 con quella del caso 3, e quella del caso 2 con quella del caso 4, emerge come, al diminuire dell’angolo d’attrito al fondo, si verifichi una minore 31 Caso φ[o ] δ[o ] k 1 38 28 0.4 0.0005 0.01 2 34 28 0.4 0.0005 0.01 3 38 24 0.4 0.0005 0.01 4 34 24 0.4 0.0005 0.01 5 34 28 1 6 34 28 1.4 0.0005 0.01 ∆t[s] ∆x[m] 0.0005 0.01 Tabella 2.2: Valori di alcuni parametri significativi, utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche delle prove eseguite con la ghiaia: φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo, k è il coefficiente d’attrito delle pareti laterali, ∆t e ∆x sono il passo temporale e spaziale. dispersione dell’ammasso. La cosa non appare ovvia, dato che, all’aumentare della resistenza al fondo, ci si aspetterebbe un maggior effetto di contenimento. Il motivo è ancora da ricercarsi nel fatto che non è piccolo. Nell’equazione del moto, scritta rispetto alle coordinate curvilinee (A.31), δ non è presente solo nel termine che rappresenta l’attrito al fondo. Lo si trova anche nel termine che descrive l’azione motrice legata al gradiente della quota del pelo libero, in cui compare all’interno del coefficiente di spinta. Durante il processo di slump, la massa si trova sempre in condizioni di estensione. Quindi il coefficiente di spinta assume il valore relativo alle condizioni di spinta attiva. Se δ diminuisce a φ costante, il coefficiente di spinta attiva cala. Questo effetto prevale sulla riduzione della resistenza per attrito al fondo. In Figura 2.6 si evidenzia l’effetto legato all’attrito sulle pareti laterali. Aumentando il coefficiente k, aumenta l’azione di contenimento del materiale. Se k cresce, si incrementa il valore dell’angolo d’attrito δ e quindi, per quanto visto in Figura 2.5, il materiale dovrebbe spargersi più liberamente sul piano. Va però osservato che l’entita dell’incremento di δ dipende localmente dall’altezza del32 l’ammasso. All’aumentare dello spessore di materiale, aumenta la superficie di contatto in rapporto al volume e quindi è più intensa l’azione frenante. A conferma che, comunque, l’effetto di k, come quello di δ, non è univoco, si osserva che nel caso 6 (k maggiore) l’unghia del deposito sopravanza la posizione che raggiungerebbe nel caso 5. 33 h PSfrag replacements 1.1 1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 Istante iniziale D’Accordi Caso 1: φ = 38o , δ = 28o Caso 2: φ = 34o , δ = 28o Caso 3: φ = 38o , δ = 24o Caso 3: φ = 34o , δ = 24o 13 14 15 16 17 18 x Figura 2.5: Confronto tra i dati sperimentali di D’Accordi ed i risultati delle simulazioni ottenute con il modello monodimensionale, scritto in coordinate assolute, nei casi 1, 2, 3, 4 (si veda Tabella 2.2). L’altezza h e la coordinata x sono adimensionalizzate con l’altezza iniziale (17 cm) e la proiezione nella direzione orizzontale della lunghezza della paratoia (11.9 cm). Caso Caso Caso Caso 1: 2: 3: 3: φ = 38o , φ = 34o , φ = 38o , φ = 34o , δ δ δ δ = 28o = 28o = 24o = 24o h PSfrag replacements 1.1 1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 Istante iniziale D’Accordi Caso 2: k = 0.4 Caso 5: k = 1 Caso 6: k = 1.4 13 14 15 16 17 18 x Figura 2.6: Confronto tra i dati sperimentali di D’Accordi ed i risultati delle simulazioni ottenute con il modello monodimensionale, scritto in coordinate assolute, nei casi 2, 5, 6 (si veda Tabella 2.2). L’altezza h e la coordinata x sono adimensionalizzate con l’altezza iniziale (17 cm) e la proiezione nella direzione orizzontale della lunghezza della paratoia (11.9 cm). 34 2.3.2 Prove di laboratorio su canaletta inclinata Descrizione delle condizioni sperimentali Hutter et alii [4] hanno realizzato prove dinamiche in una canaletta larga 10 cm comprendente due tratti rettilinei, uno inclinato, a pendenza regolabile, l’altro orizzontale, raccordati con un tratto curvo, con raggio di curvatura costante pari a 24.6 cm. La canaletta è realizzata in plexiglass; le pareti laterali ed il fondo sono stati rivestiti con diversi materiali, per analizzare il comportamento della massa granulare in moto con differenti condizioni di resistenza. Le prove sono state eseguite con biglie di vetro e con particelle in Vestolen, un materiale plastico. I dati sperimentali con i quali si è confrontato il modello numerico sono relativi ad una prova realizzata con le particelle in Vestolen. Queste hanno forma lenticolare, con diametro di 4 mm e spessore di 2.5 mm. La densità è di 950 kg/m3 , mentre la densità di volume nelle condizioni di massimo addensamento è di 540 kg/m3 . L’angolo d’attrito interno statico φs è stato misurato da Hutter come l’angolo a riposo di un deposito a forma di cono su piano orizzontale. L’angolo d’attrito interno dinamico φ è stato ottenuto riducendo di circa 4o l’angolo d’attrito statico, basandosi sui risultati ricavati da Morgenstern e Hungr [10] da prove in cella di taglio anulare. L’angolo d’attrito al fondo δ è stato calcolato come segue. È stato realizzato un cilindro di carta di diametro 7 cm, senza fondo. È stato appoggiato sul piano inclinabile e riempito di materiale. Quindi si è aumentata la pendenza del fondo fino al punto in cui, in seguito ad una debole spinta, il cilindro, riempito di materiale, si manteneva in movimento. Come angolo d’attrito al fondo dinamico è stata assunta la pendenza del piano inclinato. Il modello monodimensionale è stato verificato facendo riferimento all’esperimento 29 eseguito da Hutter et al. [4]. La massa utilizzata è di 500 g. Essa viene trattenuta nella posizione iniziale da una paratoia ortogonale al fondo. La forma iniziale è triangolare, con la superficie libera disposta secondo un piano orizzontale. Il rivestimento della canaletta è in PVC. La pendenza è di 40o . L’angolo d’attrito interno statico del materiale granulare è pari a 33o − 34o , al quale corrisponderebbe un valore dinamico di 35 29o −30o . L’errore stimato da Hutter per tale misura è di ±(2o −4o ). Per l’angolo d’attrito al fondo dinamico viene fornito un valore di 19o ± 2o . Il valore consigliato da Hutter per il coefficiente d’attrito delle pareti laterali è di 0.4. Confronto con il modello numerico Nei seguenti grafici viene eseguito il confronto tra dati sperimentali e risultati numerici per quanto riguarda la posizione e la velocità del fronte e della coda e la lunghezza dell’ammasso. Le simulazioni numeriche sono state eseguite con diversi valori di alcuni parametri significativi, che influiscono sui risultati finali. In Tabella 2.3 sono riportate le caratteristiche dei diversi casi analizzati. La prova numerica di riferimento è il caso 1. Con i valori dei parametri relativi a tali condizioni Hutter ha ottenuto il migliore adattamento dei dati numerici ai risultati sperimentali. La differenza dei risultati numerici di Hutter rispetto ai dati sperimentali in genere è inferiore agli errori sperimentali. Questo non accade nelle nostre simulazioni numeriche. Nella valutazione della posizione del fronte, l’errore massimo stimato da Hutter è relativo agli istanti finali ed è pari a ±13 cm. Per la coda lo scarto quadratico medio dei dati sperimentali risulta inferiore ed assume il valore massimo di ±8 cm nelle fasi intermedie del movimento. Come si evidenzia nei grafici presenti in Figura 2.7, Figura 2.8, Figura 2.9 e Figura 2.10 la posizione finale del fronte è in genere stimata correttamente. Al contrario si ha una sovrastima massima dell’avanzamento del fronte di 70 cm ed una sottostima dell’avanzamento della coda di 30 cm nelle fasi intermedie del moto. La lunghezza della massa granulare è quindi abbondantemente sovrastimata, come si evince anche da Figura 2.11, mentre la posizione media sembra ben rappresentata. Per cercare di dar ragione delle differenze tra le due rappresentazioni numeriche (il modello in coordinate assolute, qui proposto, ed il modello in coordinate locali sviluppato da Hutter [4]), si è applicata al fenomeno la nostra modellazione in coordinate locali. La Figura 2.14 mostra come le differenze tra i due approcci siano 36 F orma Hs Ls 19.5 0 triangolare 100 33 19.5 0 3 100 36 4 φ[o ] δ[o ] Caso Np 1 100 29 2 37 Nm ∆t[s] 0.84 0 49 0.0001 triangolare 0.84 0 49 0.0001 19.5 0 triangolare 0.84 0 49 0.0001 100 29 19.5 0.4 triangolare 0.84 0 49 0.0001 5 100 29 19.5 0 triangolare 0.84 0 49 0.0001 δ 6 100 29 19.5 0 triangolare 0.84 0.15 42 0.0001 7 100 29 19.5 0 triangolare 0.84 0.30 53 0.0001 8 100 29 19.5 0 triangolare 1.5 0 55 0.0001 9 100 29 19.5 0 rettangolare 0.84 0 49 0.0001 10 15 19.5 0 triangolare 0.84 0 49 0.0001 11 100 29 21 triangolare 0.84 0 49 0.0001 29 k 0 Dilatazione N ote variabile Tabella 2.3: Valori di alcuni parametri significativi, utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche della prova di laboratorio no 29, eseguita da Hutter [4]: Np è il numero di punti utilizzati per definire il pendio; φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo, k è il coefficiente d’attrito delle pareti laterali; F orma definisce la forma e Hs /Ls rappresenta il rapporto tra l’altezza e la lunghezza dell’ammasso nelle condizioni iniziali; Dilatazione è la variazione relativa di volume; Nm è il numero di celle della griglia di calcolo, ∆t è il passo temporale. 24 Hutter e Savage Caso 1: φ = 29o 20 Caso 2: φ = 33o Caso 3: φ = 36o 16 ξ 12 8 4 PSfrag replacements 0 −4 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 t Figura 2.7: Posizione del fronte e della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare di φ. La coordinata ξ è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale p dell’ammasso L s , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala T s = Ls /g. 38 24 Hutter e Savage Caso 1 20 Caso 4: k = 0.4 Caso 5: δ variabile Caso 11: δ = 21o 16 ξ 12 8 4 PSfrag replacements 0 −4 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 t Figura 2.8: Posizione del fronte e della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare dei parametri che influiscono sull’attrito esercitato dal fondo e dalle pareti laterali. In grafico sono riportati solo i valori dei parametri, che differiscono rispetto al caso 1 di riferimento, in cui δ = 19.5 o e k = 0. La coordinata ξ è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale p dell’ammasso L s , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala T s = Ls /g. 39 24 Hutter e Savage Caso 1: dilat. = 0% 20 Caso 6: dilat. = 15% Caso 7: dilat. = 30% 16 ξ 12 8 4 PSfrag replacements 0 −4 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 t Figura 2.9: Posizione del fronte e della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare del volume iniziale. La coordinata ξ è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale p dell’ammasso Ls , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala Ts = Ls /g. 40 24 Hutter e Savage Caso 1 20 Caso 8: Hs /Ls = 1.5 Caso 9: rettangolare Caso 10: Np = 15 16 ξ 12 8 4 PSfrag replacements 0 −4 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 t Figura 2.10: Posizione del fronte e della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto, al variare della geometria della massa iniziale e del fondo. Nel grafico vengono riportati, per le diverse curve, solo i valori dei parametri che differiscono dal caso 1 di riferimento, in cui la forma è triangolare, H s /Ls = 0.84 e il numero di punti per la definizione del pendio è N p = 100. La coordinata ξ è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale p dell’ammasso L s , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala T s = Ls /g. 41 15 Hutter e Savage Caso 1: φ = 29o Caso 2: φ = 33o 12 Caso 3: φ = 36o l 9 6 PSfrag replacements 3 0 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 t Figura 2.11: Lunghezza dell’ammasso. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni con il modello monodimensionale, scritto nel riferimento assoluto. La lunghezza l è adimensionalizzata con la lunghezza iniziale p dell’ammasso L s , pari a 14.9 cm, il tempo t con il valore scala Ts = Ls /g. 42 35 U PSfrag replacements 30 Hutter e Savage 25 Caso 1 20 Caso 7: dilat. = 30% 15 Caso 10: Np = 15 10 Caso 11: δ = 21o 5 0 −5 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 t 35 Caso 1 Caso 7: dilat. = 30% Caso 10: Np = 15 Caso 11: δ = 21 o U PSfrag replacements Figura 2.12: Velocità del fronte. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni ottenute con il modello monodimensionale, scritto in coordinate assolute. In grafico vengono riportati, per le diverse curve, solo i valori dei parametri che differiscono da quelli del caso 1 di riferimento, in cui dilat. = 0%, N p = 100,√δ = 19.5o . La velocità U è adimensionalizzata con il valore scala U s = g Ls , il tempo p t con il valore scala Ts = Ls /g, dove Ls = 14.9 cm. 30 Hutter e Savage 25 Caso 1 20 Caso 2: φ = 33o 15 Caso 11: δ = 21o 10 5 0 −5 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 t Figura 2.13: Velocità della coda. Confronto tra i dati sperimentali di Hutter ed i risultati delle simulazioni ottenute con il modello monodimensionale, scritto in coordinate assolute. In grafico vengono riportati, per le diverse curve, solo i valori dei parametri che differiscono da quelli del caso 1 di riferimento, in cui φ = 29 o , δ√= 19.5o . La velocità U è adimensionalizzata p con il valore scala U s = g Ls , il tempo t con il valore scala Ts = Ls /g, dove Ls = 14.9 cm. 43 0.15 1D assoluto t=0s 1D locale arresto 0.1 h t=0.5s t=1s 0.05 PSfrag replacements 0 4 8 12 16 20 24 28 ξ Figura 2.14: Evoluzione del profilo dell’ammasso granulare. Confronto tra i risultati delle simulazioni numeriche ottenute con i modelli monodimensionali, scritti in coordinate locali ed in coordinate assolute. La coordinata ξ e l’altezza h sono adimensionalizzate con la lunghezza iniziale dell’ammasso Ls , pari a 14.9 cm. 0.15 Caso 1 t=0s Caso 10 arresto t=0.4s h 0.1 PSfrag replacements t=0.8s 1D assoluto 1D locale 0.05 0 4 8 12 16 20 24 28 ξ Figura 2.15: Evoluzione del profilo dell’ammasso granulare. Confronto tra i risultati delle simulazioni numeriche nel caso di forma iniziale rettangolare (caso 10) e in un caso di forma iniziale triangolare (caso 1). La coordinata ξ e l’altezza h sono adimensionalizzate con la lunghezza iniziale dell’ammasso Ls , pari a 14.9 cm. 44 quasi trascurabili. D’altra parte, nell’articolo di Hutter et alii [4], si fa riferimento a gravi difficoltà nella simulazione della fase di avvio, che ha spinto gli autori a definire le condizioni iniziali per la simulazione numerica a pochi istanti dall’avviamento della massa granulare, a moto già sviluppato. Si può presumere che la discrepanza tra risultati numerici e sperimentali sia legata alle ipotesi semplificative del modello. In particolare sembra si debba porre l’attenzione sull’ipotesi di “acque basse” (hp. 5, pag. 10). Nella configurazione iniziale il rapporto tra spessore e lunghezza è tuttaltro che piccolo. Hs /Ls è pari a 0.84. Considerando le equazioni scritte nel riferimento curvilineo, si osserva che tutti i termini che sono stati trascurati nell’equazione del moto in direzione longitudinale (si veda Eq. (A.14)) sono in questo caso particolare nulli, poiché la curvatura è pari a 0. I problemi riguardano l’equazione scritta in direzione normale al fondo (Eq. (A.15)). Non sono trascurabili i termini inerziali, dato che si hanno delle componenti di velocità normali al fondo, che producono il rapido appiattimento dell’ammasso. Non si può neppure tralasciare la variazione lungo ξ della resistenza esercitata dal fondo. Questi contributi modificano il profilo di pressione rispetto alle condizioni idrostatiche, specie sul fronte, e quindi intervengono in maniera indiretta nella determinazione delle velocità delle particelle. In Figura 2.12 si osserva come sia soprattutto nei primi decimi di secondo che il modello numerico fallisce nella stima dell’evoluzione temporale delle velocità del fronte. L’accelerazione reale è minore di quella calcolata. Per quanto riguarda la coda, sia la fase di accelerazione che quella di decelerazione sono ritardate rispetto al dati sperimentali. Nei risultati numerici la massa si ferma sempre in ritardo rispetto al caso sperimentale. Come suggerisce Hutter, questo potrebbe essere dovuto al fatto che durante l’arresto, riducendosi le velocità delle particelle, si riduce la porosità, con conseguente brusco incremento dell’angolo d’attrito al fondo, dal valore dinamico al valore statico. Nelle simulazioni numeriche la coda tende ad avanzare molto rispetto ai dati sperimentali. Il deposito finale risulta molto più compattato. Anche Hutter ha osservato questa anomalia, motivan45 dola col fatto che lo schema di interpretazione del processo fisico non è adatto a descrivere quanto accade sulla coda negli istanti finali. Quando il fronte si è ormai fermato, la massa granulare che soppraggiunge, anziché comprimere il deposito formatosi, tende a sormontarlo. È comunque confortante il fatto che la posizione finale del fronte è valutata con sufficiente accuratezza. Infatti nella simulazione di eventi reali è la distanza di arresto il principale parametro che si intende stimare. Inoltre nei casi di valanghe reali la forma iniziale del volume di neve che si mette in movimento è più allungata. La condizione di “acque basse” è in genere rispettata. Ci si può aspettare dei risultati numerici più aderenti al caso reale. Attraverso delle riprese fotografche Hutter ha potuto osservare anche l’evoluzione della forma dell’ammasso durante il moto. Il punto di massimo spessore dell’ammasso si mantiene in posizione arretrata fino al momento in cui raggiunge il tratto piano. Quindi, per effetto della compressione indotta dall’arresto del fronte, si ha un rapido avanzamento, che si esaurisce in poche decimi di secondo. Infine il colmo tende a riportarsi più lentamente verso la coda. Il modello numerico riproduce bene questo fenomeno, come si evidenzia in Figura 2.14. Le immagini fotografiche evidenziano l’aumento di volume dell’ammasso particellare, che accompagna l’iniziale processo di fluidizzazione. Hutter ha osservato che durante il movimento dell’ammasso granulare si produce al suo interno uno strato basale, in cui si concentrano le deformazioni al taglio e che presenta una dilatazione verticale. Se la pendenza del fondo è grande rispetto all’angolo a riposo del materiale e l’ammasso ha il tempo di accelerare, tale strato può assumere nel tempo uno spessore consistente, determinando globalmente una riduzione di densità della massa in movimento. La dilatazione volumetrica stimata da Hutter varia dal 3% al 30%. Molto dipende dalle caratteristiche meccaniche delle particelle e dallo spessore. Tanto maggiore è l’elasticità delle particelle, tanto più il processo di fluidizzazione è marcato. All’aumentare dello spessore aumenta il peso esercitato sulle particelle disposte sul fondo dagli strati sovrastanti. Viene cosı̀ limitata la libertà di movimento delle particelle. 46 Sono state fatte delle prove numeriche incrementando il volume iniziale del 15% e del 30% (caso 6 e caso 7). I risultati sono mostrati in Figura 2.9. Si ha una migliore rappresentazione della posizione del fronte ed un maggiore arretramento della coda nell’istante finale. I risultati comunque differiscono di poco da quelli ottenuti senza dilatazione. Inoltre non si tiene conto del fatto che, una volta arrestata, la massa tende a recuperare il volume iniziale. Dai risultati numerici sembrerebbe emergere quindi una scarsa influenza del processo di fluidizzazione iniziale sull’evoluzione del moto dell’ammasso. Con delle simulazioni numeriche si è cercato di capire quanto contano sul movimento della massa particellare i diversi parametri del modello. Rispetto al caso 1 di riferimento, nei casi 2 e 3 si modifica il coefficiente di attrito interno φ. Il valore del caso 2 corrisponde all’angolo d’attrito a riposo. In Figura 2.7 si vede che, durante lo scorrimento, la massa si mantiene più compatta. Invece il deposito finale risulta più allungato. Infatti il coefficiente di spinta attiva è inferiore, mentre il coefficiente di spinta passiva è maggiore. Comunque, anche aumentando considerevolmente il valore di φ (caso 3), la configurazione finale dell’ammasso si modifica poco. Finché viene rispettata la condizione di “acque basse” il termine in ka/p (l’unico in cui compare φ) è piccolo. Sono più pronunciati gli effetti che si ottengono intervenendo sull’angolo d’attrito al fondo (si veda Figura 2.8). Nel caso 4 si introduce l’attrito sulle pareti laterali, portando il coefficiente k da 0 a 0.4. L’attrito laterale frena l’ammasso. La posizione del fronte e della coda sono arretrati di circa una decina di centimetri rispetto al caso di riferimento, nel deposito finale. Nel caso 5, δ viene fatto variare con la velocità, secondo l’equazione di Buggisch e Stadler, riproposta da Hutter in [4]: !! 0.94 uˆξ tan δ = 1.25 tan δ0 1 − 0.2 exp − p , (2.35) ĥ dove uˆξ e ĥ sono la velocità e l’altezza adimensionali, δ0 è l’angolo d’attrito al fondo dinamico, che si sviluppa quando la velocità 47 tende a 0. Tale espressione consente di considerare l’incremento dell’angolo d’attrito che si manifesta ad elevate velocità. È stato utilizzato un valore di δ0 tale per cui il valore asintotico di δ, per uˆξ → ∞, fosse pari a 29o . Nelle prime fasi del moto, specie nella coda dove le velocità sono inferiori, la massa sperimenta una resistenza per attrito inferiore, per cui avanza più rapidamente. Tuttavia al crescere della velocità l’angolo d’attrito tende ad assumere il valore asintotico e la posizione finale del fronte e della coda sono praticamente coincidenti con quelle del caso 1 di riferimento. Nel caso 11, δ è posto pari a 21o pari al valore medio stimato più lo scarto quadratico medio. Si osserva che l’accelerazione è più lenta nel fronte e ritardata nella coda. Si ha poi un rallentamento repentino nella fase d’arresto (si veda Figura 2.12 e Figura 2.13). La distanza di arresto è di 30 cm inferiore rispetto al valore sperimentale. La geometria iniziale della massa non influisce in maniera significativa sulla configurazione finale del deposito (si veda Figura 2.10). Nel caso 8 si aumenta il rapporto tra spessore e lunghezza iniziali della massa fino al valore 1.5, conservando il volume e la forma triangolare. La coda mantiene la sua posizione avanzata rispetto al caso 1 fin quasi all’istante finale. Il fronte presenta una maggiore accelerazione iniziale, per la maggiore spinta legata ai gradienti dello spessore della massa, ma la posizione finale è avanzata di meno di 10 cm. Nel caso 9 invece si mantiene il rapporto Hs /Ls pari a 0.84 mentre la disposizione iniziale dell’ammasso è rettangolare. Come si evidenzia in Figura 2.15, è molto differente l’evoluzione temporale della forma dell’ammasso. Soprattutto si nota come la coda tenda a retrocedere nei primi istanti del moto. In questo caso, infatti, si presentano elevati gradienti del tirante anche sulla coda della massa granulare. Tuttavia la posizione delle estremità del deposito coincide con quella del caso di forma triangolare. Il dettaglio con cui viene definita la geometria del fondo influisce pesantemente sul moto della massa granulare. Nel caso 10 si è ridotto il numero di punti che definiscono il fondo. Quando le celle della griglia di calcolo raggiungono il tratto di raccordo, 48 sperimentano una curvatura minore. Risulta perciò inferiore anche la pressione normale al fondo e quindi la resistenza per attrito. Sia il fronte che la coda presentano perciò una posizione finale più avanzata. 49 50 Capitolo 3 Il modello bidimensionale in coordinate globali 3.1 Il modello matematico bidimensionale Per ottenere le equazioni di conservazione della quantità di moto del modello bidimensionale, mediate sulla verticale, si segue una procedura simile a quella vista per il modello monodimensionale. Viene definito un sistema di riferimento cartesiano ortogonale, con asse z verticale e assi x e y sul piano orizzontale. Si cercano delle leggi funzionali che descrivano la dipendenza delle componenti del tensore degli sforzi dalle coordinate spaziali del riferimento assoluto. Vengono scritte le equazioni del modello tridimensionale rispetto al riferimento assoluto, sostituendovi le espressioni ricavate per le componenti del tensore degli sforzi. Si esegue l’operazione di media sulla verticale. La simbologia utilizzata in quanto segue, relativamente all’analisi tensoriale, è derivata dal testo “A Brief on Tensor Analysis” di J.G.Simmonds [24]. 51 3.1.1 Il tensore degli sforzi Il tensore degli sforzi viene inizialmente ricavato rispetto ad un sistema di riferimento curvilineo, legato alla superficie del fondo. Una volta definite le basi “roof” e “cellar” del riferimento curvilineo, è possibile scrivere l’equazione del moto in direzione normale al fondo. Applicando l’ipotesi di acque basse (hp. 5, pag. 10) si ottiene la distribuzione idrostatica delle pressioni. Ricorrendo quindi ad una reologia di tipo coulombiano (hp. 7, pag. 12) e supponendo che si abbia scivolamento al fondo (hp. 6, pag. 12), si ricavano tutte le componenti del tensore degli sforzi rispetto al riferimento curvilineo. Per passare alle componenti nel riferimento assoluto si utilizzano le formule di trasformazione fornite dall’analisi tensoriale. La distribuzione idrostatica delle pressioni La distribuzione idrostatica delle pressioni in direzione normale al fondo viene ottenuta scrivendo le equazioni del moto in un sistema di riferimento curvilineo, non ortonormale. Viene definito un asse ζ normale al fondo e si suppone che le linee coordinate ξ ed η si sviluppino lungo la superficie del pendio ortogonalmente all’asse y e all’asse x del riferimento assoluto (vedi Figura B.1). Le equazioni vengono sviluppate sfruttando gli strumenti messi a disposizione dall’analisi tensoriale. L’equazione del moto scritta in direzione ζ si semplifica considerevolmente nell’ipotesi di “acque basse” (hp. 5, pag. 10). Essa viene adimensionalizzata introducendo dei valori scala per le grandezze caratteristiche del fenomeno: Ls per le dimesioni dell’ammasso nelle direzioni x, y, ξ, e η, Hs per lo spessore del manto nevoso, Ps per i termini di pressione, Ts per i tempi, Us per le velocità lungo il pendio e Uζs per la velocità in direzione normale. Si suppone che il massimo dislivello sul quale si sviluppa la massa di neve sia confrontabile con Ls , (la cosa è ragionevole pensando alle pendenze tipiche del fenomeno studiato). Si definisce il rapporto: = Hs Ls 52 e si suppone che sia piccolo. Si assume che sia: Hs Ls ≈ Us Uζs Ts ≈ e che quindi Uζs ≈ Us . Infine si fa l’ipotesi che i termini di pressione e le forze inerziali abbiano lo stesso peso della gravità: Ps ≈ ρ g H s e Us2 ≈ g Ls Se si integra, imponendo che il profilo di velocità sia uniforme in direzione normale al fondo (hp. 6, pag. 12), si ottiene che il valore della pressione al fondo è: pζζ b ρh = −p 1 + b2,x + b2,y g+ 2 b,xx U (ξ) + 2 1 + b,x b,xy p U (ξ) U (η) + +p 2 1 + b,x 1 + b2,y ! b,yy 2 U (η) , + 1 + b2,y (3.1) dove U (ξ) e U (η) rappresentano i valori medi delle componenti fisiche del vettore velocità lungo la normale. Il profilo delle pressioni lungo la normale risulta lineare: p ζζ = p ζζ b ζ 1− h . (3.2) Per i passaggi completi si rimanda a Appendice B.1.2. y La reologia Per definire le altre componenti del tensore degli sforzi, viene fatta l’ipotesi che vi sia scivolamento rispetto al fondo e che lo sforzo 53 tangenziale con cui il terreno frena la neve sia descrivibile con un legge frizionale (hp. 6, pag. 12). Si suppone inoltre che la neve si trovi in condizioni di rottura. Il criterio di rottura utilizzato è quello di Mohr-Coulomb (hp. 7, pag. 12). Trattando con le equazioni nel riferimento tridimensionale, si sono rese necessarie delle ulteriori ipotesi, per riuscire a ricostruire il tensore degli sforzi al fondo. Infatti con le tre equazioni di equilibrio e l’equazione che fornisce il criterio di rottura non si riescono a calcolare le sei componenti incognite del tensore degli sforzi. Il problema è indeterminato ed occorrono due ulteriori condizioni. Si assume che all’interfaccia tra neve e terreno, il cerchio di Mohr tangente all’inviluppo di rottura sia quello che descrive lo stato di sforzo nel piano contenente la normale al fondo ed il vettore velocità. In quest’ottica risulta opportuno definire il tensore degli sforzi rispetto ad un nuovo riferimento. Si è scelto un sistema di riferimento cartesiano, ortogonale, di coordinate Ξ, H e ζ. Quando la neve è in movimento l’asse ζ è preso normale alla superficie del pendio, Ξ diretto come il vettore velocità al fondo, H ortogonale ai precedenti e quindi, in generale, non tangente al fondo (vedi Figura 3.1). Nell’ipotesi di scivolamento (hp. 6, pag. 12), se si definisce δ l’angolo d’attrito lungo la superficie di slittamento, risulta: pζΞ = − tan δ pζζ , dove il segno − è conseguenza del fatto di considerare positivi gli sforzi normali di trazione sulla neve (si veda Figura 3.2). Supponendo che si abbia rottura all’interno dell’ammasso, pΞΞ risulta pari a: pΞΞ = ka/p pζζ , (3.3) dove kp ka 2 = cos2 φ " 1± # ∂uξ < 0 cos2 φ 1− − 1, per . 2 cos δ ∂ξ > 0 r I dettagli del calcolo vengono sviluppati in Appendice B.1.3. 54 (3.4) Figura 3.1: Sistema di riferimento locale legato al vettore velocità. Nel riferimento scelto, il cerchio di Mohr tangente all’inviluppo di rottura è quello che descrive lo stato di sforzo nel piano Ξζ. Ne consegue che la direzione H è una direzione principale. Come conseguenza si ha che: pΞH = pHΞ = 0 e pζH = pHζ = 0 Inoltre pHH sarà certamente compresa tra la tensione principale massima σ1 e la tensione principale minima σ3 del cerchio tangente all’inviluppo di rottura. La seconda ipotesi è quella che consente di definire la tensione principale intermedia. Nella teoria di Hutter H sia negativo, si assume σ2 pari alla et al. [6], nel caso in cui ∂U ∂H H è positivo si pone tensione principale massima σ1 . Quando ∂U ∂H σ2 = σ3 . In Appendice B.1.3 vengono riportati i calcoli: 55 Figura 3.2: Convenzione dei segni per il tensore degli sforzi. k k2 = 1 k3 per = 1 ± sin φ cos2 φ ∂UΞ ∂Ξ > 0, si ha: ! r cos2 φ 1− 1− cos2 δ in condizioni di spinta attiva, cioè per in condizioni di spinta passiva, cioè per k k2 = 1 k3 per (3.5) ∂UH < 0 . ∂H > 0 = 1 ± sin φ cos2 φ ∂UΞ ∂Ξ < 0, si ha: ! r cos2 φ 1+ 1− cos2 δ (3.6) ∂UH < 0 . ∂H > 0 Ci possono essere anche altre modalità di descrizione della tensione principale intermedia. Per esempio si può assumere k2 pari al coefficiente di spinta attiva o passiva in base al gradiente trasversale della componente trasversale del vettore velocità. Oppure si può porre k2 = k3 o ancora σ2 pari alla tensione corrispondente al centro del cerchio di Mohr. In §3.3.2 le simulazioni numeriche eseguite 56 con queste diverse opzioni vengono confrontate con i risultati delle prove sperimentali. Ricapitolando, il tensore degli sforzi al fondo, nel riferimento di assi Ξ, H e ζ, può essere scritto come: pΞΞ pHΞ pζΞ p p p P̃ = ΞH HH ζH = pΞζ pHζ pζζ ka/p = 0 − tan δ 0 k2 0 − tan δ 0 pζζ . 1 (3.7) La trasformazione del riferimento Il passo successivo è quello di passare dal riferimento locale di coordinate (Ξ, H, ζ) al riferimento assoluto di coordinate (x, y, z). Per farlo si ricorre agli strumenti offerti dall’analisi tensoriale [24]. Il tensore E che descrive la trasformazione del riferimento può essere ricostruito note le componenti dei versori che definiscono la terna di coordinate (Ξ, H, ζ) rispetto al riferimento assoluto. Il versore eζ è normale al fondo ed è quindi dato da: eζ = ∇Φb |∇Φb | Per definire i versori della base relativi alle direzioni Ξ e H vengono utilizzate due diverse espressioni a seconda che la massa sia ferma o in movimento. - Nel caso in cui l’ammasso sia in moto il versore che definisce la direzione Ξ viene preso parallelo alla direzione della velocità 57 al fondo: u eΞ = . |u| z=b(x,y) Sulla base dell’ipotesi di plug-flow (hp. 6, pag. 12) si può lavorare con la velocità media, anziché con la velocità al fondo. Il versore eH sarà ortogonale ai due precedenti: eH = −eΞ ∧ eζ . - Nel caso in cui l’ammasso nevoso sia fermo, come direzione Ξ si assume la direzione parallela al fondo, lungo la quale si presume si sviluppi la resistenza offerta dal terreno al movimento della neve. Si suppone che tale direzione sia quella definita dalla proiezione sul pendio della linea di massima pendenza della superficie della massa nevosa. Questa può essere ottenuta proiettando sul fondo la componente orizzontale del vettore ∇f . Il versore normale al fondo è sempre dato da (B.46) ed eH sarà normale ai precedenti. Nella realtà la neve si comporta come un materiale granulare, che può avere delle tensioni interne iniziali, le quali, nella fase di avvio, possono deviare il moto dalla direzione Ξ appena definita. Lo stato tensionale iniziale è però difficile da definire. Può essere generato da diversi fattori, come movimenti di scivolamento e reptazione o precedenti movimenti valanghivi, conformazione del terreno e conseguenti meccanismi di concentrazione degli sforzi, azione del vento, configurazione stratigrafica. La semplificazione fatta sembra quindi giustificabile. Si conta inoltre sul fatto che tale ambiguità iniziale nella determinazione di eΞ possa influenzare solo le primissime fasi del movimento, senza modificare significativamente il comportamento globale della valanga. 58 3.1.2 Le equazioni del moto nel riferimento tridimensionale Vengono ora sviluppate le equazioni che descrivono le condizioni al contorno cinematiche al fondo e sulla superficie libera e le equazioni del moto, nel riferimento tridimensionale cartesiano ortogonale x, y, z. Nel paragrafo precedente §3.1.1, si è ricavato il tensore degli sforzi in corrispondenza del fondo. Attraverso opportune ipotesi si possono ricavare le espressioni che descrivono la variazione delle componenti di tale tensore all’interno dell’ammasso. Tali espressioni vengono sostituite nelle equazioni di conservazione della quantità di moto. Vettorialmente l’equazione di continuità è data da: ρ,t + ∇ · (ρ u) = ρ,t + ∇ρ · u + ρ ∇ · u = 0 . (3.8) L’ipotesi di incomprimibilità del mezzo granulare afferma che la densità ρ non varia nello spazio e non varia nel tempo t. Rimane come funzione incognita solo la velocità u. L’equazione si semplifica: ∇·u = 0. (3.9) L’equazione di conservazione della quantità di moto, in forma vettoriale, è data da: ρ du = ρ (u,t + u · ∇u) = f + ∇ · P , dt (3.10) essendo f la forza esterna di volume, P il tensore degli sforzi. Si vogliono sviluppare tali equazioni nel riferimento assoluto, cartesiano, ortogonale, con asse z verticale e assi x e y giacenti sul piano orizzontale. I vettori della base di tale riferimento sono dei versori, reciprocamente ortogonali. Ciò implica che non vi sia distinzione tra base “roof” e base “cellar” e tra componenti “roof” e componenti “cellar”: si ricorrerà alla notazione “cellar”. Inoltre le derivate covarianti coincidono con le derivate parziali [24]. 59 Scritte rispetto al riferimento globale, le equazioni differenziali del fenomeno si presentano nella forma: ux,x + uy,y + uz,z = 0 , (3.11) ux,t +ux ux,x + uy ux,y + uz ux,z = fx 1 + (pxx,x + pyx,y + pzx,z ) , ρ ρ +ux uy,x + uy uy,y + uz uy,z = = uy,t (3.12) fy 1 + (pxy,x + pyy,y + pzy,z ) , ρ ρ +ux uz ,x + uy uz,y + uz uz ,z = (3.13) = uz,t = fz 1 + (pxz ,x + pyz ,x + pzz ,z ) . ρ ρ (3.14) La forza di volume esterna è rappresentata dalla forza di gravità: f = (0, 0, −ρ g) , dove g l’accelerazione di gravità. Se Φb (x, y, z) = z − b (x, y) = 0 è l’equazione implicita della superficie del fondo nel riferimento scelto, la condizione cinematica al fondo richiede che sia: ∂Φb ∂Φb ∂Φb ux |z=b + uy |z=b + uz |z=b = 0 ∂x ∂y ∂z ⇒ ⇒ (3.15) −b,x ux |z=b − b,y uy |z=b + uz |z=b = 0 , cioè la componente normale al fondo del vettore velocità deve essere nulla. Analogalmente, sia Φf (x, y, z, t) = z−f (x, y, t) = 0 l’equazione implicita della superficie libera, la condizione cinematica richiede che ogni particella della superficie libera ne continui a far parte, 60 cioè: dΦf =0 ⇒ dt ∂Φf ∂Φf ∂Φf ⇒ + ux |z=f + uy |z=f + ∂t ∂x ∂y ⇒ ∂Φf uz |z=f = 0 ⇒ ∂z f,t − f,x ux |z=f − f,y uy |z=f + uz |z=f = 0 ⇒ H,t − f,x ux |z=f − f,y uy |z=f + uz |z=f = 0 , (3.16) + ⇒ visto che f (x, y, z, t) = H (x, y, z, t) + b (x, y, z), e quindi f,t = H,t . Per poter integrare le equazioni del moto in direzione verticale è necessario trovare delle espressioni che descrivano l’andamento delle componenti del tensore degli sforzi P lungo z. Il valore della componente del tensore degli sforzi pζζ al fondo è dato da: pζζ b =− ˆ ρ H cos zζ 1 + b2,x + b2,y g+ 1 1+ b2,x + b2,y 2 2 · b,xx Ux0 + b,xy Ux0 Uy0 + b,yy Uy0 · ! (3.17) , dove: Ux0 = Ux 1 + b2,y − Uy b,x b,y + Uz b,x , Uy0 = −Ux b,x b,y + Uy 1 + b2,x + Uz b,y . (3.18) Tale equazione viene ottenuta dall’equazione (B.36), sapendo che l’altezza verticale dell’ammasso granulare H è pari a: H∼ = h ˆ cos zζ q = h 1 + b2,x + b2,y , (3.19) ˆ è l’angolo formato dall’asse ζ con l’asse z (vedi Figura 3.3). dove zζ L’equazione (3.19) non è esatta, poiché la superficie libera non è parallela al fondo. L’approssimazione è però lecita se si può sup61 Figura 3.3: Altezza verticale e spessore normale della neve nel dominio tridimensionale porre che lo spessore h del manto sia costante su aree di dimensioni confrontabili con la proiezione dell’altezza verticale H lungo il pendio. L’equazione (3.7) fornisce tutte le componenti del tensore degli sforzi al fondo nel riferimento di assi Ξ, H e ζ in funzione della componente pζζ : P̃ z=b = K̃ pζζ |z=b ka/p 0 − tan δ = 0 k2 0 pζζ |z=b , − tan δ 0 1 62 dove con K̃ si è indicata la matrice dei coefficienti di spinta. Le espressioni per calcolare ka/p e k2 sono date in (3.4), (3.5) e (3.6). In §3.1.1 a pag. 57 e seguenti, sono state ricavate le relazioni lineari che reggono la trasformazione delle componenti del tensore degli sforzi dal sistema di coordinate (Ξ, H, ζ) al sistema di coordinate (x, y, z): P|z=b = E P̃ ET z=b (3.20) = E K̃ ET pζζ |z=b = K pζζ |z=b , dove K è la matrice dei coefficienti di spinta nel riferimento assoluto. In §3.1.1 a pag. 53 e seguenti, è stato anche dimostrato che la componente pζζ , nell’ipotesi di “acque basse” (hp. 5, pag. 10), risulta distribuita linearmente lungo la normale al fondo. Ora si fa l’ipotesi che pζζ sia distribuita linearmente non lungo la normale al fondo, ma lungo la verticale. Come si può dedurre dall’equazione (3.17) tale ipotesi è corretta fintantoché la curvatura, la pendenza del fondo, lo spessore del manto nevoso ed il campo di velocità possono essere ritenuti costanti su aree di dimensioni confrontabili con la proiezione sul fondo dell’altezza verticale del manto nel punto considerato. Naturalmente all’aumentare della pendenza l’estensione di tali aree cresce e l’approssimazione diviene sempre più grossolana. Va inoltre ricordato che la distribuzione idrostatica delle pressioni è stata ricavata nell’ipotesi di acque basse (hp. 5, pag. 10): vale cioè finché la variabilità delle grandezze che caratterizzano il campo di moto si concentra lungo la direzione normale al fondo, mentre è limitata nelle direzioni trasversali. Si aggiunge inoltre l’ipotesi che non solo la componente pζζ , ma tutte le componenti del tensore degli sforzi sono distribuite linearmente lungo la verticale. Si assume cioè che i fattori di proporzionalità che legano le componenti del tensore degli sforzi al fondo a pζζ si mantengano costanti lungo z. Sull’intera altezza del manto nevoso lo stato di sforzo rimane tangente all’inviluppo di rottura, nelle medesime condizioni che si realizzano sul fondo. 63 Si può concludere quindi che il tensore degli sforzi all’interno del materiale granulare vale: P (x, y, z, t) = ρ A (x, y, t) K (x, y, t) (f (x, y, t) − z) , (3.21) dove si è definito il coefficiente A come: A (x, y, t) = − 1 1+ b2,x + b2,y g+ 1 1+ b2,x + b2,y · 2 2 · b,xx Ux0 + b,xy Ux0 Uy0 + b,yy Uy0 dove Ux0 e Uy0 sono date da (3.18). 64 ! (3.22) , 3.1.3 Le equazioni del moto mediate sulla verticale Si definiscono le componenti del vettore velocità mediate sulla verticale: 1 Ux = H Z 1 Uz = H Z f ux dz , b 1 Uy = H f Z f uy dz , b (3.23) uz dz . b L’equazione di continuità (3.11) viene integrata lungo z richiamando le condizioni al contorno di tipo cinematico in superficie (3.16) e al fondo (3.15). Si ottiene: H,t + (H Ux ),x + (H Uy ),y = 0 . (3.24) L’operazione di media sulle equazioni di conservazione della quantità di moto nelle direzioni x e y viene eseguita nelle ipotesi di dipendenza lineare del tensore degli sforzi da z e di profilo uniforme delle velocità lungo la verticale, ed imponendo le condizioni al contorno di tipo cinematico in superficie libera ed al fondo. In realtà l’ipotesi di plug-flow (hp. 6, pag. 12) vale in direzione normale al fondo. Se la pendenza non è elevata ed il campo di moto non presenta una forte variabilità spaziale, si può assumere che anche lungo la verticale il vettore velocità sia costante. 65 Si perviene cosı̀ alle espressioni: dUx = Ux,t + Ux Ux,x + Uy Ux,y = dt = ((kxx,x + kyx,y ) A + kxx A,x + kyx A,y ) H + 2 + (kxx H,x + kyx H,y ) A + + (kxx b,x + kyx b,y − kzx ) A , (3.25) dUy = Uy,t + Ux Uy,x + Uy Uy ,y = dt = ((kxy,x + kyy ,y ) A + kxy A,x + kyy A,y ) H + 2 + (kxy H,x + kyy H,y ) A + + (kxy b,x + kyy b,y − kzy ) A , (3.26) dove le derivate parziali rispetto alle variabili spaziali x e y della funzione f sono state scomposte in termini di H e di b. Dalla condizione di parallelismo della velocità media al fondo si ricava l’espressione per il calcolo della componente verticale Uz del vettore velocità: Uz = b,x Ux + b,y Uy . (3.27) In Appendice B.1.5 si riportano i calcoli particolareggiati. 66 3.2 3.2.1 Il modello numerico bidimensionale Lo schema numerico lagrangiano Lo schema numerico utilizzato per implementare il modello matematico bidimensionale segue le stesse linee sviluppate per il modello monodimensionale. In particolare si è utilizzato uno schema di discretizzazione di tipo lagrangiano. Il corpo della valanga viene suddiviso in celle di forma prismatica, a base triangolare e con asse verticale (Figura 3.4). Figura 3.4: I triangoli di base della mesh di calcolo del modello numerico bidimensionale. Per ogni cella i (con i = 1, 2, . . . , nt, dove nt è il numero di celle) viene definito il volume ∀i , sulla base del valore iniziale dell’altezza media del manto all’interno della cella stessa. Tale volume 67 si conserva, mentre i vertici della cella si muovono (Figura 3.4), modificando la forma e l’area Ai del triangolo di base. La posizione del generico vertice j (con j = 1, 2, . . . , nv, dove nv è il numero di vertici della mesh), viene aggiornata all’istante tn , avendo calcolato 1 la velocità dello stesso all’istante tn− 2 . Siano (xj , yj ) le coordinate del vertice j, si ha che: n− 12 xnj = xjn−1 + Ux j yjn = yjn−1 + n− 1 Uy j 2 tn − tn−1 , tn − tn−1 , (3.28) n− 1 n− 1 dove Ux j 2 , Uy j 2 è il vettore velocità, mediato sulla verticale, 1 calcolato all’istante tn− 2 come media dei valori ricavati all’istante tn e tn−1 : n− 12 Ux j n− 21 Uy j = Ux jn−1 + Ux nj , 2 (3.29) Uy jn−1 + Uy nj = . 2 Nota la posizione dei vertici all’istante tn , è possibile calcolare l’area di base Ai della cella i, con la formula: 1 (1) (2) (2) (1) (2) (3) (3) (2) xi y i − x i y i + xi y i − x i y i Ani = 2 (3.30) (1) (3) (3) (1) + xi y i − x i y i n , t=t (j) (j) rappresentano le coordinate del j-esimo vertice deldove xi , yi la cella i con j = 1, 2, 3. Poichè il volume dell’elemento di neve deve conservarsi, si può ricavare il valore dell’altezza verticale media Hi del prisma triangolare, con l’espressione: Hin = ∀i . Ani (3.31) Note le componenti Ux e Uy del vettore velocità media all’istante tn , la componente verticale nel generico nodo j è data da 68 (Eq. (3.27)): Uz nj = b,xj Ux nj + b,y j Uy nj . (3.32) Per il calcolo delle componenti orizzontali del vettore velocità media, si utilizza lo schema di Collatz, che è già stato descritto nel capitolo relativo al modello numerico monodimensionale in §2.2. Ponendosi nell’ottica lagrangiana si ha che: Ux = Ux (x(t), t) = Ux (t) , Uy = Uy (x(t), t) = Uy (t) , per cui le equazioni del moto nella direzione x (3.25) e y (3.26) possono essere scritte nella forma di due equazioni ordinarie del primo ordine: dUx = fx (t, Ux , Uy ) , dt dUy = fy (t, Ux , Uy ) . dt Questo sistema di equazioni può essere risolto alle differenze finite, utilizzando lo schema di Collatz: Ux n+1 j Uy n+1 j = Ux nj = Uy nj n+ 12 n+ 1 n+ 1 , Uˆx j 2 , Uˆy j 2 , n+ 21 n+ 1 n+ 1 , Uˆx j 2 , Uˆy j 2 , + ∆t fx t + ∆t fy t n+ 1 ∆t fx tn , Ux nj , Uy nj , Uˆx j 2 = Ux nj + 2 1 n+ ∆t Uˆy j 2 = Uy nj + fy tn , Ux nj , Uy nj , 2 n+1 n ∆t = t −t . dove (3.33) essendo fx e fy sono fornite dai secondi membri delle equazioni (3.25) e 69 (3.26): fx = ((kxx,x + kyx,y ) A + kxx A,x + kyx A,y ) H + 2 + (kxx H,x + kyx H,y ) A + + (kxx b,x + kyx b,y − kzx ) A , H fy = ((kxy,x + kyy ,y ) A + kxy A,x + kyy A,y ) + 2 + (kxy H,x + kyy H,y ) A + (3.35) + (kxy b,x + kyy b,y − kzy ) A . Per il calcolo dei vari termini delle funzioni fx e fy si rimanda a Appendice B.2.1. 70 3.2.2 Condizioni di avvio e di arresto Le condizioni in cui si ha l’avvio o l’arresto del materiale vengono studiate quando la massa è considerata ferma, cioè quando |Uxy | < EP SI , dove, come viene precisato in Appendice B.2.1 a pag. 209, Uxy è la componente orizzontale del vettore velocità, mentre EP SI è una costante positiva, posta pari a 1 · 10−3 , attraverso la quale si identifica la velocità nulla. L’uso del parametro EP SI si rende necessario a causa della precisione finita della macchina che non permette alla velocità di assumere il valore nullo. Quando il materiale è in condizioni stazionarie, il versore eΞ , dato dall’equazione (B.49) definisce la direzione in cui eventualmente potrebbe avviarsi la massa, come visto in §3.1.1. Sia f (Ux , Uy , t) il vettore che definisce la variazione di velocità orizzontale nell’unità di tempo, di componenti (fx , fy ), definite dalle equazioni (3.34) e (3.35). Se la sua proiezione nella direzione Ξ è minore di 0, il nodo che si sta analizzando è destinato a rimanere fermo. Viceversa inizierà a muoversi quando la proiezione di f lungo Ξ risulterà positiva. Infatti se f · eΞ < 0, la forza resistente massima che si può sviluppare al fondo per attrito è maggiore della forza motrice. In tali condizioni, quindi, nello schema numerico, si pone f = (0, 0). 71 3.2.3 Le condizioni di stabilità La filosofia per l’analisi della stabilità è la stessa seguita nel modello numerico monodimensionale (§2.2.1). Si vuole impedire che all’interno di un passo temporale la mesh possa degenerare, causa l’inversione di orientamento dei nodi dei triangoli di base. Durante un intervallo temporale ∆t, in nessuna cella deve poter accadere che un vertice passi oltre il lato opposto. Come si è fatto nel caso monodimensionale (§2.2.1), si aggiunge poi una condizione legata alla celerità di propagazione delle onde gravitazionali di piccola ampiezza. Si vuole che lo schema numerico riesca a seguire l’evoluzione fisica del fenomeno. Questo si traduce nella condizione che nell’intervallo ∆t le informazioni trasferite dalle caratteristiche non raggiungano triangoli non adiacenti al vertice di calcolo. Un problema, che si è presentato nello schema numerico monodimensionale (§A.3.2), è stato quello di far passare i nodi per la velocità nulla, quando all’interno di un passo temporale si presenta un’inversione della direzione della velocità. Questo accorgimento è necessario onde evitare, durante le ultime fasi del moto della valanga, quelle continue oscillazioni di segno della velocità che ritardano l’arresto definitivo della massa, modificando la configurazione finale del deposito. Anche nello schema bidimensionale si sono evidenziate instabilità indotte da brusche inversioni di direzione della velocità. In tal caso però non ha senso imporre il passaggio per la velocità nulla dato che le variazioni di velocità non avranno in generale la stessa direzione del vettore di velocità. In Appendice B.2.2 viene descritto come sono state tradotte nel caso bidimensionale le tre condizioni sul passo temporale ∆t. Nonostante i vincoli imposti sull’intervallo temporale di calcolo ∆t, lo schema numerico ha mostrato il permanere di condizioni di instabilità. Si è reso necessario l’inserimento di un termine diffusivo nelle equazioni del moto relative alle direzioni x e y. Si riporta una descrizione particolareggiata di tale termine in Appendice B.2.3. 72 3.2.4 Il codice di calcolo Il programma che implementa questo schema numerico è stato realizzato in C + +. Si è fatto uso della libreria P2MESH [30] [31] [32] [33]: una raccolta di “C++ class templates” che facilita l’utilizzo di mesh bidimensionali, non strutturate, a maglie triangolari e quadrilatere. La mesh iniziale è stata definita con l’ausilio del programma triangle [37], che genera mesh bidimensionali, a maglie triangolari, a partire da un set di nodi predefiniti, utilizzando l’algoritmo di Delaunay. triangle consente inoltre di realizzare delle triangolazioni di Delaunay vincolate, fissando dei segmenti che devono comparire nella mesh finale. In questo modo è possibile generare mesh a partire da contorni concavi o mesh con buchi. Tramite l’algoritmo di rifinitura di Ruppert triangle è in grado di generare mesh con dei vincoli sugli angoli e sulle aree dei triangoli. 73 3.3 Verifiche sperimentali del modello bidimensionale La verifica del modello numerico bidimensionale, è stata eseguita confrontando tra loro i dati ottenuti da prove sperimentali di slump su piano orizzontale ed inclinato con i risultati delle simulazioni numeriche del medesimo fenomeno. 3.3.1 Prove di laboratorio su piano orizzontale Apparato sperimentale L’apparato sperimentale (si vedano Figura 1 e Figura 2), consta di un piano d’appoggio in forex, fissato ad un telaio a pendenza regolabile; due coni di diverse caratteristiche geometriche; un apparato per il sollevamento dei coni; il materiale granulare, costituito da zeoliti sintetiche; una struttura per la misura delle altezze dell’ammasso lungo sezioni longitudinali e trasversali al piano di prova. La superficie sulla quale sono state eseguite le prove di slump su piano orizzontale è costituita da un piano in forex (PVC espanso), largo 150 cm e lungo 159 cm. Il piano in forex è montato su un telaio di 300 cm di lunghezza, che può essere fatto ruotare attorno ad una cerniera fissata ad un’estremità, per mezzo di un pistone oleodinamico. I lati corti del piano in forex sono chiusi da due sponde in legno. Sui lati lunghi sono montate due sponde trasparenti in perspex, alte 9.5 cm, alle quali sono state applicate delle scale millimetrate adesive. L’acquisizione dei dati di altezza dell’ammasso viene eseguita con un idrometro a punta, provvisto di nonio, che consente di ottenere misure precise al decimo di millimetro (si veda Figura 3.7). L’idrometro può scorrere lungo un’asta millimetrata, disposta trasversalmente al piano e appoggiata, alle sue estremità, sulle sponde in perspex. Spostando le estremità dell’asta lungo le sponde in perspex vengono individuate le varie sezioni di misura. Per il contenimento del materiale, si sono utilizzate due diverse 74 Figura 3.5: Visione d’insieme del piano d’appoggio e dell’apparato di sollevamento del cono. forme tronco coniche, a base circolare. I due coni sono stati ottenuti da due lamiere in acciaio dello spessore di 3 mm, opportunamente calandrate e saldate. Entrambi i coni sono alti 20 cm e presentano un’apertura superiore di 10 cm di diametro, che ne consente il riempimento con il materiale granulare. Nel cono più piccolo la base inferiore ha un diametro pari a 43.6 cm, a cui corrisponde un’inclinazione della superficie laterale rispetto alla base di 50o . Il cono più grande ha un diametro inferiore di 57.7 cm ed un’inclinazione della superficie laterale rispetto alla base di 40o . Il sollevamento rapido del cono in cui viene collocato il materiale granulare è attuato tramite un pistone ad aria compressa. Questo è montato su di un supporto, svincolato dalla struttura che sostiene il piano d’appoggio, per evitare la trasmissione delle vibrazioni prodotte dal sollevamento impulsivo del cono. L’altezza 75 Figura 3.6: Visione d’insieme dell’attrezzatura sperimentale dopo l’esecuzione di una prova di slump. dell’asta verticale di sostegno può essere variata tra i 163 cm ed i 258 cm. In testa all’ asta è incernierato un braccio inclinabile, che consente di adattare l’apparato di sollevamento del cono alla pendenza del piano di prova. In tale braccio è innestato un elemento a T scorrevole, che permette di variare la distanza dell’asse del cono dalla sponda in legno più vicina al supporto, tra 53 cm e 78 cm. È possibile ottenere un’ulteriore regolazione in altezza dell’apparato di sollevamento, facendo scorrere in testa all’elemento a T il comas su cui è montato il pistone ad aria compressa. La pressione di alimentazione dell’aria compressa al pistone è fissata tramite un regolatore di pressione. Agendo sulla leva di comando di un partitore di flusso, è possibile ottenere l’abbassamento ed il sollevamento del cono (si veda Figura 3.8). Una valvola di scarico rapida è stata applicata alla camera superiore del cilin76 Figura 3.7: La misura con idrometro del profilo della massa di zeoliti dopo l’esecuzione della prova di slump. dro del pistone ad aria compressa, per aumentare la velocità di sollevamento del cono. Il cono viene fissato al pistone ad aria compressa mediante un telaio, provvisto di quattro viti per la regolazione della giacitura del piano basale. Materiali Le prove di slump sono state eseguite con un materiale granulare, derivato da zeoliti sintetiche: delle resine anioniche, con particelle di forma pressocché sferica, granulometria compresa tra 0.1 mm e 2 mm e diametro medio di 1 mm (si veda Figura 3.9). Il materiale è lo stesso utilizzato da D’Accordi [35] nelle prove quasi–statiche svolte per la verifica del modello monodimensionale (si veda §2.3.1). Per l’angolo d’attrito interno statico φ si è pertanto utilizzato il valore di 28o stimato da D’Accordi. La misura dell’angolo d’attrito al fondo δ tra le zeoliti e la base 77 Figura 3.8: Regolatore di pressione e partitore di flusso. in forex è stata eseguita con la medesima scatola di taglio usata da D’Accordi [35] (si veda Figura 3.10). Questa è costituita da due semi–scatole sovrapposte, di forma quadrata con lato del vano interno pari a 24 cm, realizzate in perspex. Per determinare l’angolo δ si utilizza solo la semi–scatola superiore, alta 5 cm. Essa viene appoggiata al piano di prova e riempita di materiale granulare. Questo viene sottoposto ad uno sforzo normale, attraverso dei pesi innestati su di una piastra di carico. Alla scatola viene quindi applicata una forza di taglio, mediante un sistema di trasmissione, che comprende un cavo di collegamento, al quale sono applicati i pesi, ed una carrucola deviatrice del carico. La prova viene eseguita incrementando la forza di taglio fino a far scorrere il provino sul fondo scabro. Sono state fatte delle prove con 4 diversi carichi normali applicati. Nel grafico in Figura 3.11, che presenta in ascissa i valori degli sforzi normali ed in ordinata quelli delle tensioni tangenziali, sono riportati i dati sperimentali e la relativa retta di regressione lineare. 78 Figura 3.9: Zeoliti. La pendenza della retta di regressione lineare è pari alla tangente dell’angolo d’attrito al fondo δ, per il quale si ricava un valore di 22.0o . Lo scarto quadratico medio stimato è di 0.8o . Il fatto che l’intercetta della retta di regressione lineare con l’asse verticale sia praticamente nulla, indica che non dovrebbero esserci effetti coesivi prodotti dalla presenza residua di acqua tra i grani. Durante le prove si sono evidenziati diversi fattori di disturbo, responsabili della considerevole dispersione dei dati sperimentali. Gli attriti interni al cavo di acciaio non consentono la trasmissione immediata della forza di taglio alla semi–scatola superiore. Inoltre si è osservata la tendenza della piastra di carico ad incastrarsi alle pareti della scatola di taglio. Parte del carico normale viene quindi trasmesso alla scatola di taglio con conseguente incremento degli attriti tra questa ed il fondo. In alcuni casi tale effetto è stato attenuato dalla presenza di particelle di zeolite interposte tra il bordo della scatola ed il piano d’appoggio. 79 Figura 3.10: La scatola di taglio utilizzata per la misura degli angoli d’attrito. Nell’immagine sono presenti entrambe le semi-scatole. 2 Retta di regressione lineare Dati sperimentali τ [kPa] 1.5 1 0.5 PSfrag replacements 0 0 1.25 2.5 3.75 5 σ[kPa] Figura 3.11: Risultati delle prove sperimentali per la misura dell’angolo d’attrito al fondo δ. In ascissa σ, la tensione normale applicata, in ordinata τ , la tensione tangenziale esercitata a rottura. 80 Modalità di esecuzione delle prove di slump. Il cono utilizzato per la prova di slump viene montato sul telaio e quindi fissato al pistone. Agendo sulle viti di regolazione del telaio si allinea la superficie di base del cono al piano d’appoggio. Si mette quindi in pressione il pistone, facendo aderire il bordo inferiore del cono al piano di prova. Dopo aver riempito il cono di zeoliti, agendo sulla leva di comando del partitore di flusso, si provoca il sollevamento rapido del pistone. Nelle prove eseguite, a causa della simmetria radiale dei depositi risultanti, ci si è limitati a rilevare i dati di altezza su 2 sezioni diametrali, una longitudinale e l’altra trasversale al piano di scivolamento. Sovrapponendo e mediando i profili radiali cosı̀ ottenuti, si sono ricavati i grafici presentati in Figura 3.13 e Figura 3.12, nei quali sono riportati anche gli intervalli di confidenza stimati. I massimi scostamenti rispetto alla misura media sono inferiori ai 2 mm e crescono allontanandosi dal centro dell’ammasso. Risulta più consistente (3 cm) lo scarto quadratico medio del raggio del deposito finale, a causa della difficoltà di individuazione del bordo dell’ammasso. 81 PSfrag replacements 1.0 Stato iniziale Dati sperimentali 0.8 Scarti massimi h/R 0.6 0.4 0.2 0.0 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 r/R Figura 3.12: Risultati delle prove sperimentali di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 50 o rispetto al piano basale. Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 82 PSfrag replacements 1.0 Stato iniziale Dati sperimentali Scarti massimi 0.8 h/R 0.6 0.4 0.2 0.0 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 r/R Figura 3.13: Risultati delle prove sperimentali di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 40 o rispetto al piano basale. Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 83 Confronto dei dati sperimentali con i risultati delle simulazioni numeriche eseguite con il modello bidimensionale È possibile evidenziare alcuni aspetti del comportamento del modello bidimensionale, confrontando i dati sperimentali con i risultati delle prove numeriche, eseguite con diversi valori dell’angolo d’attrito al fondo δ e dell’angolo d’attrito interno φ. Per le prove realizzate con il cono avente la superficie laterale inclinata di 50o rispetto al piano basale, i valori dei parametri utilizzati nelle simulazioni numeriche sono riportati in Tabella 3.1. Caso φ[o ] δ[o ] ∆t[s] 1 28 22 0.0001 464 2 28 18 0.0001 464 3 24 22 0.0001 464 4 24 18 0.0001 464 Nt Tabella 3.1: Valori dei parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche delle prove di laboratorio, eseguite con il cono avente suparficie laterale inclinata di 50 o rispetto al piano basale. φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; ∆t è il passo temporale; N t è il numero di triangoli in cui è suddivisa la griglia di calcolo. La Figura 3.14 presenta una visione dall’alto del deposito finale, relativo alla terza prova di slump eseguita con il cono avente superficie laterale inclinata di 50o rispetto al piano di base. In Figura 3.15 si riporta il risultato della simulazione numerica prodotta con i valori dei parametri relativi al caso 1 (φ = 28o e δ = 22o ). Valgono le stesse considerazioni fatte per il modello monodimensionale riguardo all’angolo d’attrito interno φ e all’angolo d’attrito al fondo δ (si veda §2.3.1). In particolare l’effetto di φ non è piccolo quando = Hs /Ls è di ordine di grandezza unitario. Al crescere di φ cresce la capacità del materiale di autosorreggersi, come emerge dal confronto tra Figura 3.16 e Figura 3.17. Incrementando δ, invece, si riscontra un maggiore effetto di 84 spargimento del materiale sul piano, dovuto all’aumento del coefficiente di spinta attiva. I risultati numerici presentano un adattamento ottimale ai dati sperimentali nel caso in cui φ sia posto pari a 28o e δ a 22o , cioè con i valori statici degli angoli di attrito. 85 Figura 3.14: Prova di slump con il cono avente superficie laterale inclinata di 50o rispetto al piano di base. Visione dall’alto, con sovrapposta una griglia a maglie quadrate con lato di 10.9 cm (pari a metà raggio iniziale). 2.50 2.5×10 0.09 1.5×100 0.08 1.0×100 0.07 5.0×10−1 0.06 y/R 2.0×100 0.0 1.3×10−16 0.05 −5.0×10−1 0.04 −1.0×100 0.03 −1.5×100 0.02 PSfrag replacements−2.0×100 0.01 −2.5×10 −2.50 −2.5×10 −2.5 0 −1.0×100 0.0 5.0×10−1 x/R 2.0×100 2.5 Figura 3.15: Risultato della simulazione numerica della prova di slump con il cono avente superficie laterale inclinata di 50 o rispetto al piano di base, per φ = 28o e δ = 22o . x e y sono adimensionalizzate con il valore del raggio iniziale dell’ammasso, pari a 21.8 cm. 86 PSfrag replacements 1.0 0.8 Stato iniziale Dati sperimentali Caso 1: δ = 22o Caso 2: δ = 18o h/R 0.6 0.4 0.2 0.0 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 r/R Figura 3.16: Risultati delle prove numeriche di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 50 o rispetto al piano basale, per φ pari a 28o . Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 87 PSfrag replacements 1.0 0.8 Stato iniziale Dati sperimentali Caso 3: δ = 22o Caso 4: δ = 18o h/R 0.6 0.4 0.2 0.0 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 r/R Figura 3.17: Risultati delle prove numeriche di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 50 o rispetto al piano basale, per φ pari a 24o . Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 88 In Tabella 3.2 si trovano i valori dei parametri utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche per le prove eseguite con il cono avente la superficie laterale inclinata di 40o . In Figura 3.20 e Figura 3.21 vengono evidenziati gli effetti dell’angolo d’attrito interno e dell’angolo d’attrito al fondo sul comportamento del modello numerico. Valgono le stesse osservazioni presentate per il caso del cono più piccolo. Caso φ[o ] δ[o ] ∆t[s] 1 28 22 0.0001 814 2 28 18 0.0001 814 3 24 22 0.0001 814 4 24 18 0.0001 814 Nt Tabella 3.2: Valori dei parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche delle prove di laboratorio, eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 40 o rispetto al piano basale. φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; ∆t è il passo temporale; N t è il numero di triangoli in cui è suddivisa la griglia di calcolo. In Figura 3.18 e Figura 3.19 vengono messi a confronto il deposito sperimentale e quello numerico, ottenuto per φ = 24o e δ = 18o (Caso 4). Per questa prova di slump i risultati numerici più aderenti alla situazione reale sono quelli relativi al caso 4, in cui φ è pari a 24o mentre δ è pari a 18o . Tali valori sono di 4o inferiori rispetto ai parametri ricavati con le prove eseguite con la scatola di taglio e corrisponderebbero pertanto, secondo Hungr e Morgenstern [10], ai valori dinamici. 89 Figura 3.18: Prova di slump con il cono avente superficie laterale inclinata di 40o rispetto al piano di base. Visione dall’alto, con sovrapposta una griglia a maglie quadrate con lato di 11.54 cm (pari a 0.40 volte il raggio iniziale). 2.00 2.0×10 0.11 1.6×100 0.1 1.2×100 0.09 8.0×10−1 0.08 4.0×10−1 y/R 0.07 0.0 −4.8×10−17 0.06 −4.0×10−1 0.05 0.04 −8.0×10−1 0.03 −1.2×100 0.02 −1.6×100 0.01 PSfrag replacements 0 −2.0×10 −2.0 −2.0×10 −2.0 0 −8.0×10−1 0.0 4.0×10−1 x/R 1.6×100 2.0 Figura 3.19: Risultato della simulazione numerica della prova di slump con il cono avente superficie laterale inclinata di 40 o rispetto al piano di base, per φ = 24o e δ = 18o . x e y sono adimensionalizzate con il valore del raggio iniziale dell’ammasso, pari a 28.85 cm. 90 PSfrag replacements 1.0 0.8 Stato iniziale Dati sperimentali Caso 1: δ = 22o Caso 2: δ = 18o h/R 0.6 0.4 0.2 0.0 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 r/R Figura 3.20: Risultati delle prove numeriche di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 40 o rispetto al piano basale, per φ pari a 28o . Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 91 PSfrag replacements 1.0 0.8 Stato iniziale Dati sperimentali Caso 3: δ = 22o Caso 4: δ = 18o h/R 0.6 0.4 0.2 0.0 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 r/R Figura 3.21: Risultati delle prove numeriche di slump eseguite con il cono avente superficie laterale inclinata di 40 o rispetto al piano basale, per φ pari a 24o . Il raggio r e l’altezza h sono adimensionalizzati con il valore iniziale del raggio dell’ammasso R, pari a 28.85 cm. 92 3.3.2 Prove di laboratorio su piano inclinato Apparato sperimentale L’apparato sperimentale è molto simile a quello usato per le prove su piano orizzontale (si veda §3.3.1 e §3.3.1). Stesso materiale granulare, stesse forme tronco–coniche, stessa struttura per il sollevamento dei coni, stesso apparato per il rilievo del deposito. Cambia solo la geometria del fondo (si veda Figura 3). Si è fatto uso di due piani in forex, di dimensioni 150 cmx159 cm, incernierati lungo il lato corto. Due aste telescopiche di lunghezza regolabile vengono utilizzate per fissare la pendenza del piano inclinato di scorrimento. Il piano che funge da superficie di arresto è fissato al telaio a pendenza regolabile. Per il raccordo delle pendenze di monte e di valle si è optato per del nastro adesivo liscio. Sono state fatte delle prove anche con malta di cemento a presa rapida, riscontrando un maggior disturbo sul moto dell’ammasso. Sui lati esterni dei due piani sono state montate delle sponde di contenimento in forex, dotate, sui lati lunghi, di scale millimetrate, per definire la posizione longitudinale delle sezioni trasversali di rilievo del deposito. Modalità di esecuzione delle prove. Fissata la pendenza della superficie di avvio si mette in pressione il pistone facendo aderire la base del cono alla superficie in forex. Con del nastro adesivo viene sigillato il bordo inferiore del cono, onde evitare la fuoriuscita delle zeoliti. In seguito al sollevamento rapido del pistone il materiale scorre lungo il piano inclinato fino a raggiungere il piano d’arresto. Il rilievo del deposito è stato realizzato per sezioni trasversali con passo di 10 cm in direzione trasversale e di 5 cm e 10 cm, rispettivamente sul piano orizzontale e su quello inclinato, in direzione longitudinale. 93 Figura 3.22: Apparato sperimentale per le prove su piano inclinato. Prova 3. I dati sperimentali. In Tabella 3.3 sono descritti i dati geometrici caratteristici delle prove realizzate su piano inclinato. Dalla Figura 3.24 alla Figura 3.32 sono riportate le viste in pianta ed i profili. Le prove sperimentali su piano inclinato sono state realizzate con entrambi i coni e per pendenze di 22o e 27o . Sui pendii percorsi da valanghe si trovano facilmente pendenze superiori, ma per questioni di ingombro dell’apparato sperimentale non si è potuto portare l’inclinazione del piano di monte a valori più elevati. Si osserva poi che la pendenza minima coincide col valore dell’angolo d’attrito al fondo in condizioni statiche δ = 22o . In tali condizioni la forza motrice è di poco superiore alla resistenza del fondo. La coda del deposito si prolunga sul piano inclinato con spessori molto piccoli (Si vedano Figura 3.30, Figura 3.31, Figura 3.32). In queste condizioni è stato difficile definire la posizione del bordo dell’ammasso. Inoltre a causa della bassa inerzia della massa in movimento, si sono manifestati sul fronte dell’ammasso in 94 Prova α[o ] Xc [mm] Yc [mm] R[mm] β[o ] 2 27 -781 701 288.5 40 3 27 -777 700 288.5 40 4 27 -856 715 218 50 5 27 -848 715 218 50 6 22 -882 715 218 50 7 22 -887 720 218 50 8 22 -896 710 218 50 Tabella 3.3: Valori dei parametri che definiscono la geometria del sistema nelle 7 prove valide, realizzate su piano inclinato. α è la pendenza del piano, Xc e Yc rappresentano le coordinate orizzontali del centro della base del cono, R è il raggio del cono e β l’inclinazione delle falde rispetto al piano basale. movimento degli effetti di fingering, evidenziati dalla forma lobata del deposito finale. (Si veda Figura 4). Come si può evincere da Tabella 3.3 e dai grafici riportati, è stato difficile riprodurre esattamente la posizione iniziale del cono nelle diverse prove. Nonostante questi effetti di disturbo le prove risultano ripetibili. I massimi errori sono nella valutazione della posizione del fronte e della coda per le prove 6, 7 e 8, cioè per le prove fatte con la pendenza pari all’angolo d’attrito al fondo, e non sono superiori ai 5 cm. 95 Figura 3.23: Effetti di fingering evidenziati dall’aspetto lobato del deposito. Prova 7. 96 PSfrag replacements 2 Prova 2 Prova 3 y/R 1 0 −1 −2 −4 −3 −2 −1 0 1 2 x/R Figura 3.24: Confronto tra i dati sperimentali per le prove 2 e 3, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Vista dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. 3 Prova 2 Prova 3 h/R 2 1 PSfrag replacements x/R y/R 0 −4 −3 −2 −1 0 1 2 x/R Figura 3.25: Confronto tra i dati sperimentali per le prove 2 e 3, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. 97 0.30 Prova 2 Prova 3 0.25 h/R 0.20 0.15 0.10 0.05 0.00 PSfrag replacements −0.5 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 x/R Figura 3.26: Confronto tra le sezioni longitudinali di mezzeria relative alle prove 2 e 3, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. La scala verticale è amplificata di 10 volte rispetto a quella orizzontale 98 3 Prova 4 Prova 5 2 y/R 1 0 −1 −2 −3 PSfrag replacements −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 x/R Figura 3.27: Confronto tra i dati sperimentali per le prove 4 e 5, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Vista dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. 3 Prova 4 Prova 5 h/R 2 1 PSfrag replacements x/R y/R 0 −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 x/R Figura 3.28: Confronto tra i dati sperimentali per le prove 2 e 3, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. 99 0.30 Prova 4 Prova 5 0.25 h/R 0.20 0.15 0.10 0.05 0.00 PSfrag replacements −0.5 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 x/R Figura 3.29: Confronto tra le sezioni longitudinali di mezzeria relative alle prove 4 e 5, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. La scala verticale è amplificata di 10 volte rispetto a quella orizzontale 100 3 Prova 6 Prova 7 Prova 8 2 y/R 1 0 −1 −2 −3 PSfrag replacements −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 x/R Figura 3.30: Confronto tra i dati sperimentali per le prove 6, 7 e 8, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Vista dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. 3 Prova 6 Prova 7 Prova 8 h/R 2 1 PSfrag replacements x/R y/R 0 −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 x/R Figura 3.31: Confronto tra i dati sperimentali per le prove 6, 7 e 8, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. 101 1.0 Prova 6 Prova 7 Prova 8 0.8 h/R 0.6 0.4 0.2 0.0 PSfrag replacements −2.5 −2.0 −1.5 −1.0 −0.5 0.0 0.5 1.0 1.5 x/R Figura 3.32: Confronto tra le sezioni longitudinali di mezzeria relative alle prove 6, 7 e 8, caratterizzate dai parametri definiti in Tabella 3.3. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. La scala verticale è amplificata di 5 volte rispetto a quella orizzontale 102 Confronto con i risultati delle simulazioni numeriche. Di seguito vengono riportati alcuni diagrammi di confronto tra i dati sperimentali delle prove 6, 4 e 2 ed alcune simulazioni numeriche eseguite con il modello numerico bidimensionale. La prova 6 è quella più delicata visto che la pendenza è prossima al valore dell’angolo d’attrito al fondo. In Tabella 3.4 si trovano i valori dei parametri inseriti nel modello. Caso φ[o ] δ[o ] 1 28 20.5 0.001 317 2 28 22 0.001 317 3 28 18 0.001 226 ∆t[s] Nt Tabella 3.4: Valori dei parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche della prova numero 6, eseguita con il cono con falde inclinate di 50o , con una pendenza del fondo di 22o . φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; ∆t è il passo temporale; N t è il numero di triangoli in cui è suddivisa la griglia di calcolo. In Figura 3.33 e in Figura 3.34 si osserva come varia la forma del deposito finale al variare dell’angolo d’attrito al fondo δ, posto φ = 28o . È difficile dire quale è la simulazione che fornisce i risulati migliori. Per δ = 20.5o si ottiene una miglior rappresentazione della forma della coda. La simulazione ottenuta ponendo δ = 22o riproduce meglio il fronte. Il caso 3 rappresenta bene la configurazione allungata che aveva la coda nel deposito finale subito dopo l’esecuzione della prova. La forma del deposito si è poi assestata molto lentamente portandosi verso la configurazione finale, che è stata poi quella rilevata. 103 PSfrag replacements 3 Prova 6 Caso 2 Caso 3 2 y/R 1 0 −1 −2 −3 −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 x/R Figura 3.33: Confronto tra i dati sperimentali e le soluzioni numeriche al variare di δ, posto φ = 28o . Visione dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. 104 1.4 1.2 Prova 6 Caso 1 Caso 2 Caso 3 1.0 h/R 0.8 0.6 0.4 0.2 PSfrag replacements 0.0 −3 −2 −1 0 1 2 x/R Figura 3.34: Confronto tra i dati sperimentali e le soluzioni numeriche al variare di δ, posto φ = 28o . Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. La scala verticale è amplificata di 5 volte rispetto a quella orizzontale. 105 Con riferimento alla prova 4 si analizza l’effetto dell’angolo d’attrito interno φ sul comportamento del modello numerico, posto δ = 20.5o . Caso φ[o ] δ[o ] 1 28 20.5 0.0001 218 2 24 20.5 0.0001 218 ∆t[s] Nt Tabella 3.5: Valori dei parametri significativi utilizzati nelle diverse simulazioni numeriche della prova numero 4, eseguita con il cono con falde inclinate di 50o , con una pendenza del fondo di 27o . φ e δ sono gli angoli d’attrito interno ed al fondo; ∆t è il passo temporale; N t è il numero di triangoli in cui è suddivisa la griglia di calcolo. Osservando Figura 3.35 e Figura 3.36 si nota come riducendo l’angolo φ dal valore statico di 28o al valore dinamico di 24o il deposito risulti più avanzato, più alto e più largo. Le differenze comunque sono minime e confrontabili con gli errori sperimentali. Viene data conferma cosı̀ a quanto già osservato nel modello bidimensionale e cioè che l’angolo d’attrito interno φ influisce minimamente sul comportamento del modello numerico, nei casi in cui i termini inerziali diventano dominanti nell’equazione del moto. Le simulazioni numeriche descrivono con una buona accuratezza la posizione del punto di massimo, del fronte e della coda. È invece maggiore l’errore commesso nella stima dell’allargamento dell’ammasso e quindi dell’altezza massima dello stesso. Vengono riprodotti con una certa fedeltà i cambiamenti di concavità nel profilo del deposito. 106 PSfrag replacements 3 Prova 4 Caso 1 Caso 2 2 y/R 1 0 −1 −2 −3 −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 x/R Figura 3.35: Confronto tra i dati sperimentali e le soluzioni numeriche al variare di φ, posto δ = 20.5o . Visione dall’alto. Le coordinate orizzontali x ed y sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. 107 0.30 Prova 4 Caso 1 Caso 2 0.25 h/R 0.20 0.15 0.10 0.05 PSfrag replacements 0.00 −0.5 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 x/R Figura 3.36: Confronto tra i dati sperimentali e le soluzioni numeriche al variare di φ, posto δ = 20.5o . Sezione longitudinale di mezzeria. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 218 mm. La scala verticale è amplificata di 10 volte rispetto a quella orizzontale. 108 Tutte le simulazioni numeriche finora presentate sono state eseguite rappresentando la tensione principale in direzione trasversale al moto secondo lo schema proposto da Hutter [6] e cioè assumendo k2 pari a k1 (coefficiente di spinta massimo) o k3 (coefficiente di spinta minimo) a seconda che i gradienti trasversali della componente trasversale di velocità siano positivi o negativi. Sono state fatte delle prove, utilizzando diversi schemi per la descrizione del coefficiente di spinta trasversale, elencati in Tabella 3.6 e confrontando poi i risultati delle simulazioni numeriche con i dati sperimentali relativi alla prova 2. I valori di φ e δ sono fissati rispettivamente a 28o e 20.5o . ∆t = 0.0001 sec e N t = 218. Schema a Descrizione k2 è assunto sempre pari al valore corrispondente al centro del cerchio di Mohr. b secondo l’approccio di Hutter [6] k2 , è posto pari a k1 o k3 , corrispondenti alla tensioni principali massima e minima, in base al segno del gradiente trasversale della velocità trasversale. c si assume k2 sempre pari a k1 , corrispondente alla tensione principale massima. d si pone k2 pari al coefficiente di spinta attivo o passivo calcolato nella direzione del moto, in base base al segno del gradiente trasversale della velocità trasversale. Tabella 3.6: Schemi di valutazione del coefficiente di spinta trasversale k2 . 109 Come si osserva in Figura 3.37 assumendo k2 sempre pari al valore corrispondente al centro del cerchio di Mohr, la massa tende ad espandersi maggiormente in direzione trasversale. Questo è dovuto al fatto che in direzione trasversale si è sempre in condizione di spinta attiva durante la fase di arresto, per cui secondo l’approccio di Hutter si avrebbe k2 pari al coefficiente di spinta minimo. Anche il profilo longitudinale dell’ammasso è meglio riprodotto con lo schema a piuttosto che con lo schema b (Figura 3.38). In Figura 3.39 si osserva come lo schema c sia quello che meglio descrive lo spargimento trasversale della massa, utilizzando come valore di k2 sempre quello corrispondente alla tensione principale massima. Lo schema d che prevede di utilizzare i valori dei coefficienti di spinta attiva e passiva relativi alla direzione del moto in base al segno del gradiente trasversale della velocità trasversale, non da luogo a dei miglioramenti significativi nella stima della geometria del deposito. Non sono state trovate delle giustificazioni teoriche all’utilizzo di uno schema piuttosto di un altro. Si pone quindi un problema di taratura. Indicazioni più significative potrebbero venire dall’applicazione del modello numerico a casi caratterizzati da brusche variazioni di direzione. 110 PSfrag replacements 2 Prova 2 Schema a Schema b y/R 1 0 −1 −2 −3 −2 −1 0 1 2 x/R Figura 3.37: Confronto tra le soluzioni numeriche ottenute con diversi schemi di calcolo del coefficiente di spinta corrispondente alla direzione trasversale al moto k2 (si veda Tabella 3.6). I parametri del modello numerico sono quelli del caso 1. Visione dall’alto. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. 111 0.35 Prova 2 Schema a Schema b 0.30 0.25 h/R 0.20 0.15 0.10 0.05 PSfrag replacements 0.00 −0.5 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 x/R Figura 3.38: Confronto tra le soluzioni numeriche ottenute con diversi schemi di calcolo del coefficiente di spinta corrispondente alla direzione trasversale al moto k2 (si veda Tabella 3.6). Sezione longitudinale di mezzeria. I parametri del modello numerico sono quelli del caso 1. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. 112 PSfrag replacements 2 Prova 2 Schema a Schema c Schema d y/R 1 0 −1 −2 −3 −2 −1 0 1 2 x/R Figura 3.39: Confronto tra le soluzioni numeriche ottenute con diversi schemi di calcolo del coefficiente di spinta corrispondente alla direzione trasversale al moto k2 (si veda Tabella 3.6). Visione dall’alto. I parametri del modello numerico sono quelli del caso 1. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. 113 0.35 Prova 2 Schema a Schema c Schema d 0.30 0.25 h/R 0.20 0.15 0.10 0.05 PSfrag replacements 0.00 −0.5 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 x/R Figura 3.40: Confronto tra le soluzioni numeriche ottenute con diversi schemi di calcolo del coefficiente di spinta corrispondente alla direzione trasversale al moto k2 (si veda Tabella 3.6). Sezione longitudinale di mezzeria. I parametri del modello numerico sono quelli del caso 1. Le coordinate x ed h sono adimensionalizzate con il raggio R del cono pari a 288.5 mm. 114 3.4 Applicazione del modello numerico a casi che simulano situazioni reali. Applicato a casi più complessi, caratterizzati da una maggiore articolazione della topografia, il modello numerico ha dimostrato una scarsa flessibilità. Si è cercato di simulare ad esempio il moto di una massa di neve di 50 m di lunghezza e 5 m di spessore, in un canale, inclinato di 45o sull’orizzontale, di forma trapezia, larga alla base 4 m e con sponde inclinate di 45o (si veda Figura 3.41). Utilizzando un angolo di attrito interno φ pari a 28o ed un angolo d’attrito al fondo δ di 23o e facendo partire la massa da ferma, la simulazione si interrompe dopo pochi istanti, a causa della forte deformazione subita dalla mesh. I gradienti di velocità che si instaurano tra il centro del canale e le sponde, a causa dell’attrito da queste esercitato, producono lo stiramento delle celle (si veda Figura 3.42), che può portare alla degenerazione della mesh. Si è osservato come, assegnando alla massa una velocità iniziale non nulla, l’effetto tenda ad attenuarsi. Facendo terminare il canale di cui sopra su di un piano inclinato di 10o sull’orizzontale, con un allargamento a 45o , come illustrato in Figura 3.41, si è riprodotto il caso di sbocco su conoide di una valanga. Le celle che si trovano ai bordi della massa nevosa sperimentano, in corrispondenza dell’allargamento, delle curvature negative. Se la velocità è elevata si possono ottenere delle pressioni normali al fondo negative, cioè di trazione. Nella realtà in tali condizioni si produrrebbe un salto di fondo, che non può essere descritto dal modello, poiché deve essere rispettata la condizione di aderenza della neve al suolo. Il risultato della simulazione del processo di sbocco, rappresentato in Figura 3.43 e Figura 3.44, è stato ottenuto allargando le maglie della griglia su cui è definita la superficie del pendio. Anche in applicazioni che riproducono l’arresto per effetto di brusche riduzioni di pendenza si manifestano forti instabilità. Come esempio si può considerare il caso della prova 2 considerato in §3.3.2 a pag. 109. In Figura 3.45(b) e Figura 3.46(b) viene rappresentata l’evoluzione della mesh che descrive l’ammasso. Si osserva 115 una forte contrazione delle celle nella direzione del moto, quando l’ammasso raggiunge il tratto orizzontale. Si produce uno “shock”, che tende a propagarsi verso monte. Lo schema numerico utilizzato è scritto in forma non conservativa e non è in grado di riprodurre brusche discontinuità delle funzioni incognite. Per attenuare le instabilità è stato necessario ridefinire la geometria con un minor dettaglio, in modo da avere valori di curvatura minori in corrispondenza del cambio di pendenza. Inoltre si è dovuto ridurre il numero di triangoli che definiscono la mesh. Evidentemente in questo modo si perde in accuratezza nella riproduzione del fenomeno. 116 y Figura 3.41: Canale inclinato di 45 o con sbocco su piano inclinato di 10o . PSfrag replacements 1.5 1 0.5 0 −0.5 −1 −1.5 5.4 4.8 4.2 3.6 3 2.4 1.8 1.2 0.6 −10.2 −9.8 −9.4 −9 −8.8 x Figura 3.42: Deformazione della mesh durante il moto all’interno di un canale. Le coordinate x e y sono state adimensionalizzate, rispettivamente, con la lunghezza (50 m) e la semilarghezza (7 m) dell’ammasso nella configurazione iniziale. 117 y PSfrag replacements 6 4 2 0 −2 −4 −6 −12 7 6.3 5.6 4.9 4.2 3.5 2.8 2.1 1.4 0.7 −10 −8 −6 −5 x y (a) t = 0s PSfrag replacements 6 4 2 0 −2 −4 −6 −12 5.4 4.8 4.2 3.6 3 2.4 1.8 1.2 0.6 −10 −8 −6 −5 x (b) t = 5s Figura 3.43: Simulazione dello sbocco di una valanga su un conoide. Caratteristiche canale: forma trapezoidale con base di larghezza pari a 4 m, sponde inclinate di 45o , pendenza del fondo di 45o . La superficie piana su cui sbocca il canale è inclinata di 10 o . Il cambio di pendenza avviene alla sezione x = −9. Nella simulazione numerica si è posto δ = 23 o e φ = 28o . Le coordinate x e y sono state adimensionalizzate, rispettivamente, con la lunghezza (50 m) e la semilarghezza (7 m) dell’ammasso, nella configurazione iniziale. 118 y PSfrag replacements 6 4 2 0 −2 −4 −6 −12 3.3 3 2.7 2.4 2.1 1.8 1.5 1.2 0.9 0.6 0.3 −10 −8 −6 −5 x y (a) t = 8s PSfrag replacements 6 4 2 0 −2 −4 −6 −12 1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 −10 −8 −6 −5 x (b) t = 17s Figura 3.44: Simulazione dello sbocco di una valanga su un conoide. Caratteristiche canale: forma trapezoidale con base di larghezza pari a 4 m, sponde inclinate di 45o , pendenza del fondo di 45o . La superficie piana su cui sbocca il canale è inclinata di 10 o . Il cambio di pendenza avviene alla sezione x = −9. Nella simulazione numerica si è posto δ = 23 o e φ = 28o . Le coordinate x e y sono state adimensionalizzate, rispettivamente, con la lunghezza (50 m) e la semilarghezza (7 m) dell’ammasso, nella configurazione iniziale. 119 y 0.8 PSfrag replacements 0.22 0.2 0.18 0.16 0.14 0.12 0.1 0.08 0.06 0.04 0.02 0 −0.7 −1.5 −1 0 1 1.5 x (a) t = 0s y 0.8 PSfrag replacements 0.033 0.03 0.027 0.024 0.021 0.018 0.015 0.012 0.009 0.006 0.003 0 −0.7 −1.5 −1 0 1 1.5 x (b) t = 0.8s Figura 3.45: Simulazione numerica della prova 2 con φ = 28 o , δ = 20.5o , ∆t = 0.0001 sec e con una mesh costituita da 218 triangoli. Le coordinate non sono adimensionalizzate. 120 0.8 0.054 0.048 0.042 y 0.036 0.03 0 0.024 0.018 0.012 0.006 PSfrag replacements −0.7 −1.5 −1 0 1 1.5 x (a) t = 1.6s y 0.8 PSfrag replacements 0.07 0.063 0.056 0.049 0.042 0.035 0.028 0.021 0.014 0.007 0 −0.7 −1.5 −1 0 1 1.5 x (b) t = 2.35s Figura 3.46: Simulazione numerica della prova 2 con φ = 28 o , δ = 20.5o , ∆t = 0.0001 sec e con una mesh costituita da 218 triangoli. Le coordinate non sono adimensionalizzate. 121 122 Capitolo 4 Conclusioni. In questo lavoro è stato illustrato un modello matematico e numerico bidimensionale, per lo studio delle valanghe di neve densa ed asciutta. Avendo rappresentato la neve come un mezzo continuo ed incomprimibile, si è fatto ricorso alle equazioni del moto proprie della fluidodinamica. Nella definizione della reologia del materiale ci si è basati sulla teoria di Hutter e Savage, in cui si descrive il comportamento a rottura del materiale secondo il criterio di Coulomb e le interazioni tra neve e suolo con una legge di tipo frizionale. Richiamandosi all’ipotesi di “acque basse” è stata ricavata la distribuzione delle pressioni in direzione normale al fondo. Le equazioni del moto, scritte in un riferimento cartesiano ortogonale, sono state mediate lungo la verticale, avendo ipotizzato che, lungo tale direzione, continui a valere la condizione di idrostaticità delle pressioni e il profilo di velocità sia uniforme. Il modello matematico è stato implementato con uno schema numerico Lagrangiano, che discretizza la massa granulare per mezzo di una mesh a maglie triangolari. Dall’analisi delle simulazioni numeriche di fenomeni riprodotti sperimentalmente, si traggono le seguenti considerazioni: 1. le prove di laboratorio realizzate su piano orizzontale, in condizioni di simmetria piana e radiale, corroborano le scelte fatte per la rappresentazione della reologia dei materiali granulari; 123 2. si ottengono delle ulteriori conferme in tal senso anche dal’applicazione del modello monodimensionale ai casi dinamici riprodotti sperimentalmente da Hutter et al. [4] ; 3. i parametri che influenzano maggiormente i risultati numerici in condizioni dinamiche sono: - la forma e i rapporti tra spessore, larghezza e lunghezza dell’ammasso, nelle condizioni iniziali. L’azione di tali parametri si esplica soprattutto nelle fasi di avvio e di scorrimento, meno in quella di arresto; - δ, che influisce sulla forma, sulle velocità di scorrimento e sulla distanza di arresto; - la risoluzione con cui è definito il pendio, in quanto da essa dipendono i valori di curvatura e quindi le pressioni normali e le azioni frenanti che si sviluppano al fondo. Lo schema numerico ha evidenziato dei limiti: 1. il rispetto della condizione di contiguità tra le celle, che costituiscono la griglia di calcolo, preclude al modello la possibilità di rappresentare processi in cui intervengono variazioni di massa, quali erosioni, depositi o separazione della valanga in più corpi, in seguito all’interporsi di ostacoli lungo il percorso; 2. dovendo essere garantita la condizione di aderenza al suolo, il modello non è in grado di trattare i salti di fondo; 3. il modello presenta dei problemi di instabilità, dovuti alla degenerazione della mesh, specie in situazioni in cui forti velocità si combinano a geometrie del fondo rapidamente variabili; 4. trattando la neve come un mezzo incomprimibile, non viene riprodotto l’iniziale processo di fluidizzazione, che comporta un incremento del volume dell’ammasso e un’alterazione del comportamento reologico del materiale. In base a tali considerazioni, si possono identificare diverse possibili direzioni di sviluppo del modello: 124 1. attraverso la realizzazione di prove di laboratorio, si può testare la validità delle ipotesi reologiche introdotte nel modello bidimensionale; a questo proposito può essere significativo applicare il modello numerico nella riproduzione di prove di arresto, deviazione, allargamento e restringimento; 2. i problemi di degenerazione della mesh possono essere affrontati percorrendo due diverse strade: - l’utilizzo di algoritmi per la rigenerazione della mesh; - il ricorso a schemi di integrazione di tipo “meshless”; 3. le distorsioni, introdotte dall’ipotesi di idrostaticità delle pressioni in direzione verticale, possono essere attenuate scrivendo le equazioni del modello in un riferimento cartesiano ortogonale di coordinate x, y, e z, in cui il piano xy approssimi al meglio la superficie del pendio (nel modo di Hutter et al.[6]), specie nella zona di arresto; 4. l’utilizzo di metodi “meshless” dovrebbe poter estendere le capacità del modello nella rappresentazione di fenomeni nei quali intervengono variazioni di massa. 125 126 Allegati: Derivazioni matematiche 127 128 Appendice A Il modello monodimensionale A.1 Il modello monodimensionale nel riferimento locale Le ipotesi di partenza sono che l’ammasso nevoso sia un ammasso granulare secco (hp. 2, pag. 10), che possa essere trattato come un continuo (hp. 3, pag. 10) e che la densità sia costante (hp. 4, pag. 10). L’equazione di conservazione della massa e della quantità di moto, scritte in forma vettoriale, sono: ∇·u = 0, (A.1) ρ (A.2) du = −∇ · P + ρ g , dt Indicando con ρ la densità, u il vettore velocità, t il tempo, P il tensore degli sforzi, g il vettore accelerazione di gravità. In superficie libera vi sono due condizioni al contorno: la condizione cinematica: ∂Φf + u · ∇Φf = 0 ∂t per η = h , 129 (A.3) dove Φf = 0 è l’equazione implicita della superficie libera; la condizione di sforzo nullo: P · nf = 0 per η = h , (A.4) dove nf è la normale alla superficie libera. Al fondo allo stesso modo vale la condizione cinematica: u · nb = 0 per η = 0 , (A.5) ove nb è la normale al fondo. Per quanto riguarda gli sforzi trasmessi dal fondo alla massa nevosa, si suppone possano essere descritti con una legge di tipo Coulombiano (hp. 7, pag. 12) con angolo d’attrito al fondo pari a δ: ub t=− |s| tan δ , |ub | dove (A.6) |s| = nb · P nb e t = P · nb − |s| nb , per η = 0, essendo t e s la componente tangenziale e normale al pendio dello sforzo che il fondo trasmette alla neve. Le equazioni vengono sviluppate nel caso di moto piano rispetto al sistema di riferimento curvilineo di Figura A.1, in cui l’asse ξ segue il profilo del fondo, le linee coordinate η sono normali al fondo, le linee coordinate ξ sono ortogonali alle precedenti. Si indica con ζ la pendenza del fondo, r = r(ξ) è il raggio di curvatura e χ la curvatura, pensati positivi nel caso di pendii concavi verso l’alto. Se l’equazione esplicita della superficie del fondo rispetto al riferimento assoluto ha la forma z = b(x), risulta che: tan ζ = −b,x χ= e (A.7) b,xx 1 = . r (1 + b2,x )3/2 (A.8) 130 Figura A.1: Sistemi di riferimento assoluto e curvilineo. h è lo spessore dell’ammasso misurato normalmente al fondo. h = h(ξ, t), ma, per garantire l’univocità nella dipendenza di h da ξ deve essere h < r. Le equazioni scritte nel riferimento locale assumono la forma: 131 ∂uξ ∂ + ((1 − χη) uη ) = 0 , ∂ξ ∂η (A.9) ∂uξ uξ ∂uξ ∂uξ χ + + uη − uξ uη = g sin ζ + ∂t 1 − χη ∂ξ ∂η 1 − χη ∂pξξ ∂pξη 2χ 1 1 + − pξη , (A.10) − ρ 1 − χη ∂ξ ∂η 1 − χη ∂uη uξ ∂uη ∂uη χ + + uη + uξ 2 = −g cos ζ + ∂t 1 − χη ∂ξ ∂η 1 − χη ∂pξη ∂pηη 1 χ 1 + + (pξξ − pηη ) .(A.11) − ρ 1 − χη ∂ξ ∂η 1 − χη Per descrivere lo stato di sforzo si fa ricorso al criterio di rottura di Mohr-Coulomb per un materiale senza coesione (hp. 7, pag. 12). Al fondo vi sarà scivolamento, con un angolo d’attrito pari a δ (hp. 6, pag. 12) e quindi pξη uξ tan δ . =− |uξ | η=0 Il cerchio di Mohr, che descrive lo stato di sforzo nel diagramma di Mohr, dovrà poi essere tangente all’inviluppo di rottura Figura A.2 τ = σ tan φ . Si ricava quindi che pξξ = ka/p pηη dove ka e kp sono i coefficienti di spinta attiva e passiva e valgono kp ka 2 = cos2 φ " 1± # ∂uξ < 0 cos2 φ . (A.12) 1− − 1, per 2 cos δ ∂ξ > 0 r 132 Figura A.2: Diagramma di Mohr per il calcolo dello stato tensionale. Il calcolo dei coefficienti di spinta lo si può trovare con maggior dettaglio in Appendice B.1.3, visto che anche nel caso tridimensionale, si suppone che la rottura interessi uno specifico piano. Per individuare i termini che possono essere trascurati, vengono introdotte tre lunghezze scala: la scala longitudinale Ls , la scala delle profondità Hs e una scala per il raggio di curvatura del fondo Rs . Si definiscono quindi le velocità scala Uξs e Uηs , il tempo scala Ts e la pressione scala Ps . La definizione delle variabili adimensionalizzate viene di conseguenza: ξ̂ = ξ Ls η̂ = η Hs t̂ = t Ts pˆξξ = χ̂ = χ Rs pξξ Ps pξη Ps pˆξη = Si definiscono poi i rapporti = Hs Ls e λ= Ls . Rs 133 uˆξ = uξ Uξs pˆηη = uˆη = pηη . Ps uη Uηs A questo punto vengono proposte le seguenti ipotesi: Uηs Hs = Uξs , ≈ Uξs Ls Ts ≈ 2 Uξs ≈1 g Ls Ls , Uξs ⇒ Uξs ≈ p g Ls , Ps ≈ ρ g H s . Per brevità le equazioni adimensionalizzate vengono riscritte omettendo il cappello per indicare le grandezze adimensionali: ∂ ∂uξ + ((1 − λχη) uη ) = 0 , ∂ξ ∂η (A.13) ∂uξ ∂ ∂ ((1 − λχη) uξ ) + uξ + uη ((1 − λχη) uξ ) = ∂t ∂ξ ∂η = (1 − λχη) sin ζ − + (1 − λχη) ∂pξξ + ∂ξ ∂pξη − 2 λχ pξη , ∂η ∂uη 1 ∂uη ∂uη + uξ + uη ∂t 1 − λχη ∂ξ ∂η = − cos ζ − − ∂pξη + 1 − λχη ∂ξ λχ ∂pηη − (pξξ − pηη ) . ∂η 1 − λχη (A.14) + λχ uξ 2 = 1 − λχη (A.15) Al fondo la condizione cinematica in termini adimensionali assume la forma: uη = 0 per η = 0 , (A.16) mentre la condizione dinamica viene descritta dalle due relazioni: 134 pξη = − |uξ | tan δ pηη uξ pξξ = −ka/p pηη per η = 0 , (A.17) per η = 0 . (A.18) In superficie libera la condizione cinematica è data da: uη = 1 ∂h ∂h + uξ ∂t 1 − λχh ∂ξ per η = h . (A.19) Dalla condizione di sforzo tangenziale, supponendo che le condizioni di rottura vengano raggiunte anche all’interno dell’intero ammasso, si ottiene che: pξξ = pξη = pηη = 0 per η = h . (A.20) Dopo aver definito la velocità media sulla verticale: 1 Uξ = h Z h uξ dη ; (A.21) 0 è possibile integrare lungo z l’equazione di continuità e le equazioni del moto. Se si suppone che sia piccolo (hp. 5, pag. 10) si possono trascurare tutti i termini di ordine superiore ad nell’equazione di conservazione della quantità di moto, scritta nella direzione normale al fondo: λχ uξ 2 = − cos ζ + ∂pηη . ∂η (A.23) A questo punto, integrando tra η e h, si ottiene l’equazione che descrive la distribuzione idrostatica delle pressioni. pηη = − λχ Uξ 2 + cos ζ (h − η) . 135 (A.25) Dall’equazione di continuità si ricava: (1 − λχh) ∂h ∂Uξ h + = 0. ∂t ∂ξ (A.26) L’equazione di conservazione della quantità di moto nella direzione ξ diventa: λχ h λχ h ∂Uξ ∂Uξ + 1+ = (1 − Uξ 2 ∂t 2 ∂ξ λχ h = 1− sin ζ + 2 h ∂ (A.27) ka/p cos ζ + λχUξ 2 + − 2 ∂ξ − cos ζ + λχ Uξ 2 · ∂h λχ h sgn(Uξ ) tan δ + ka/p . · 1+ 2 ∂ξ Le precedenti due equazioni sono state ottenute utilizzando l’equazione (A.25) e supponendo che gli stati di sforzo abbiano una distribuzione lineare lungo la normale al fondo. Sono stati però conservati i termini in . Inoltre, sulla base dell’ipotesi di plug-flow (hp. 6, pag. 12), si è posto: Z h 0 Z U ξ h2 ∼ η uξ dη = , 2 h 0 (A.28) uξ 2 dη ∼ = h Uξ 2 . 1 1 Se si suppone che sia tan δ = O 2 e λ = O 2 , si possono trascurare i termini di ordine nell’equazione di continuità ed i termini di ordine superiore ad nell’equazione di conservazione della quantità di moto ottenendo: 136 ∂h ∂Uξ h + = 0, ∂t ∂ξ (A.29) ∂Uξ ∂Uξ ∂h + Uξ = sin ζ − ka/p cos ζ + ∂t ∂ξ ∂ξ − cos ζ + λ χUξ 2 sgn(Uξ ) tan δ . (A.31) Resta da capire se le valutazioni riguardo all’ordine di grandezza di tan δ e λ sono realistici. Se si considera un ammasso di neve di altezza 10m, lunghezza 100m, risulta = 0.1. Con δ ∼ = 17o sarebbe tan2 δ ∼ = 0.09 ∼ = . Dovrebbe essere inoltre Rs ∼ = 300m. Le approssimazioni sono giustificabili solo per piccole curvature del fondo. In tale ottica non ha senso rappresentare il pendio con un eccessivo dettaglio, dato che il modello dovrebbe descrivere situazioni ad elevata curvatura, in cui alcuni dei termini trascurati potrebbero diventare significativi. 137 A.2 Il modello monodimensionale nel riferimento assoluto Viene di seguito sviluppato il modello matematico monodimensionale in un riferimento cartesiano ortogonale. Si ricavano le equazioni del moto e le condizioni al contorno in un riferimento assoluto piano, con asse x orizzontale e asse z verticale. Si procede poi con la definizione della reologia del materiale. Infine le equazioni del moto vengono mediate lungo la verticale. A.2.1 Le equazioni del moto rispetto al riferimento assoluto Le equazioni del moto vengono ricavate con riferimento ad un volume di controllo di lati ∆x e ∆z. Dal bilancio di massa si ottiene (Figura A.3): ∂ux ∆x A23 + −ux A14 + ux + ∂x ∂uz −uz A12 + uz + ∆z A34 = 0 , ∂z dove Aij è l’area della superficie del volume di controllo, compresa tra i nodi i e j: A12 = A34 = 1 · ∆x; e A23 = A14 = 1 · ∆z . Semplificando e dividendo per ∆x ∆z si ricava l’equazione di continuità: ∂ux ∂uz + = 0. ∂x ∂z 138 Figura A.3: Flussi di massa e di quantità di moto. Il bilancio della quantità di moto viene scritto con riferimento allo stesso volume di controllo. In forma vettoriale: dQ X = Fext , dt dove si è indicato con Q il vettore quantità di moto e con Fext la generica forza esterna. Per scrivere il contributo dato dai termini inerziali, si fa riferimento allo schema in Figura A.3. Nella direzione x si ottiene: ρ ∂u dux x ∀=ρ ∀ − ux ux A14 − ux uz A12 + dt ∂t ∂ux ∂ux ∆x ux + ∆x A23 + + ux + ∂x ∂x ∂uz ∆x A34 , +ux uz + ∂z 139 dove si è indicato con ∀ = ∆x · ∆z · 1 il volume di controllo e con ρ la densità. Si semplifica e, supponendo ∆x e ∆z infinitesimi, si trascurano i termini di ordine superiore. Richiamando l’equazione di continuità (2.2) ed infine raccogliendo (∆x ∆z) si ottiene: dux ρ (∆x ∆z) = ρ (∆x ∆z) dt ∂ux ∂ux ∂ux + ux + uz ∂t ∂x ∂z . In maniera del tutto identica si procede con i termini inerziali dell’equazione di bilancio della quantità di moto nella direzione z, ottenendo: ∂uz ∂uz ∂uz duz = ρ (∆x ∆z) + ux + uz . ρ (∆x ∆z) dt ∂t ∂x ∂z Le forze esterne sono rappresentate dalla forza peso: ρ g ∀ = ρ (0 , −g) ∀ , dove g è il modulo del vettore accelerazione di gravità. Vi sono poi le forze trasmesse dalla neve circostante attraverso le superfici del volume di controllo. Facendo riferimento alla Figura A.4, si ottengono, rispettivamente nella direzione x e z, i contributi: ∂pxx ∆x A23 + F sx = −pxx A14 + pxx + ∂x ∂pzx −pzx A12 + pzx + ∆z A34 ∂z ∂pzz F sz = −pzz A12 + pzz + ∆z A34 + ∂z ∂pxz −pxz A14 + pxz + ∆x A23 . ∂x 140 Figura A.4: Le forze di superficie. Semplificando e raccogliendo (∆x ∆z) si ottiene: ∂pxx ∂pzx + , F sx = (∆x ∆z) ∂x ∂z ∂pxz ∂pzz F sz = (∆x ∆z) + . ∂x ∂z Sommando i diversi contributi e dividendo per (ρ ∆x ∆z), si ricavano le equazioni di conservazione della quantità di moto: ∂pxx ∂pzx + ∂x ∂z ∂uz ∂uz ∂uz 1 ∂pxz ∂pzz + ux + uz = + −g. ∂t ∂x ∂z ρ ∂x ∂z ∂ux ∂ux 1 ∂ux + ux + uz = ∂t ∂x ∂z ρ Se si scrive l’equilibrio alla rotazione rispetto al baricentro si 141 osserva che la forza di gravità, le forze inerziali e le componenti delle forze superficiali normali alle facce del volume di controllo non danno luogo a momenti, dato che hanno braccio nullo. Si ricava perciò che: ∂pxz ∆x ∆x − pxz + ∆x A23 + −pxz A14 2 ∂x 2 ∂pzx ∆z ∆z + pzx + ∆z A34 = 0, +pzx A12 2 ∂z 2 da cui, trascurando i termini di ordine superiore, si ottiene che: pxz = pzx . 142 A.2.2 Le condizioni al contorno di tipo cinematico Di seguito vengono ricavate le condizioni al contorno di tipo cinematico e dinamico sulla superficie libera ed al fondo. Le equazioni esplicite che definiscono la superficie libera ed il fondo sono: z = f (x, t) e z = b(x). In forma implicita possono essere espresse come: Φf (x, z, t) = z − f (x, t) e Φb (x, z) = z − b(x). La condizione cinematica sulla superficie libera è data da: dΦf ∂Φf ∂Φf ∂Φf = + ux + uz =0 dt ∂t ∂x ∂z ∂f ∂f − − ux + uz = 0 ∂t ∂x ⇒ per z = f . Al fondo: ∂Φb ∂Φb ∂Φb dΦb = + ux + uz =0 dt ∂t ∂x ∂z ∂b −ux + uz = 0 ∂x 143 ⇒ per z = b . A.2.3 Il tensore degli sforzi L’espressione per il tensore degli sforzi al fondo, scritto nel riferimento locale di coordinate ξ , η, è stata ricavata in Appendice A.1: ! pξξ pξη P̃ = pηξ pηη z=b (A.32) ! ka/p −sgn((uξ )b ) tan δ = (pηη )b . −sgn((uξ )b ) tan δ 1 dove il coefficiente di spinta ka/p vale (Eq. (A.12)): " # r kp cos2 φ 2 1± 1− − 1, per = ka cos2 φ cos2 δ ∂uξ < 0 . ∂ξ > 0 sgn((uξ )b ) è il segno della componente tangenziale al fondo del vettore velocità e (pηη )b rappresenta la componente normale al fondo dello sforzo che si sviluppa lungo l’interfaccia tra la neve ed il pendio. Sempre in Appendice A.1 si è dimostrato che nell’ipotesi d’acque basse vale la distribuzione idrostatica delle pressioni: pηη = −ρ χ (uξ )2b + g cos ζ (h − η) , dove χ e ζ sono rispettivamente la curvatura e la pendenza del fondo e h è lo spessore della valanga, misurato normalmente alla superficie del pendio. In particolare sul fondo pηη vale: pηη b = −ρ χ (uξ )2b + g cos ζ h . (A.33) Si possono ottenere le componenti del tensore degli sforzi al fondo nel riferimento assoluto, ricorrendo alla matrice di rotazione R, che contiene nelle righe le componenti nel riferimento locale dei versori del riferimento assoluto: ex = cos ζ eξ + sin ζ eη per cui ey = − sin ζ eξ + cos ζ eη cos ζ sin ζ R= . − sin ζ cos ζ 144 (A.34) Il tensore degli sforzi nel riferimento assoluto risulta quindi pari a: pxx pxz T pzx pzz = R P̃ R = B C = −ρ χ (uξ )2b + g cos ζ h , C D P= (A.35) dove si può ricavare (uξ )b in funzione della componente orizzontale di velocità tramite l’espressione: (uξ )b = (ux )b / cos ζ . (A.36) I coefficienti B, C, e D sono definiti come: 1 − ka/p (1 + cos 2 ζ) + 2 −sgn (uξ )b tan δ sin 2 ζ , B(x, t) = 1 − C(x, t) = 1 − ka/p sin 2 ζ + 2 −sgn (uξ )b tan δ cos 2 ζ , 1 − ka/p (1 − cos 2 ζ) + 2 +sgn (uξ )b tan δ sin 2 ζ , D(x, t) = 1 − A questo punto si suppone che la distribuzione delle pressioni pηη sia lineare non lungo la normale al fondo, come in Eq. (2.11), ma lungo la verticale e si è posto h(x, t) ∼ = H(x, t) cos ζ(x) = (f (x, t) − b(x)) cos ζ(x) . Ipotizzando infine che le componenti del tensore degli sforzi si mantengano proporzionali a pηη sull’intero profilo dell’ammasso si ricava che: ! B(x, t) C(x, t) P(x, z, t) = ρ A0 (x, t) (f (x, t) − z) (A.37) C(x, t) D(x, t) 145 dove A0 (x, t) = − χ (uξ )2b + g cos ζ cos ζ . Le derivate rispetto a x sono date dalle seguenti espressioni: 1 ∂pxx ∂ (A0 B) ∂H 0 , = (f − z) + A B − tan ζ + ρ ∂x ∂x ∂x ∂A0 C ∂H 1 ∂pxz 0 = (f − z) + A C − tan ζ + . ρ ∂x ∂x ∂x 146 A.2.4 L’operazione di media sulla verticale Si definiscono le componenti medie del vettore velocità sulla verticale: Z f 1 Ux = ux dz , (A.38) H b Z f 1 uz dz . (A.39) Uz = H b Integrando lungo z tra b(x) ed f (x, t) l’equazione di continuità (2.2) si ottiene: Z f ∂ux ∂uz dz = 0 ⇒ + ∂x ∂z b Z f ∂f ∂ ∂b ux dz − (ux )f + (ux )b + (uz )f − (uz )b = 0 , ∂x ∂x ∂x b Se si invoca la condizione cinematica al fondo (2.8) e in superficie libera (2.6), che, essendo f (x, t) = H(x, t) + b(x), diventa: − ∂f ∂H − (ux )f + (uz )f = 0 , ∂t ∂x si ricava: ∂H ∂(Ux H) + = 0. ∂t ∂x (A.40) Prima di eseguire l’operazione di media sui termini inerziali dell’equazione del moto nella direzione x, è opportuno scriverli in forma conservativa, ricorrendo all’equazione di continuità (2.2): dux ∂ux ∂ux ∂uz = + ux + uz = dt ∂t ∂x ∂z ∂ux ∂uz ∂ux ∂(ux 2 ) ∂(ux uz ) = + + − + = ∂t ∂x ∂z ∂x ∂z = ∂ux ∂(ux 2 ) ∂(ux uz ) + + . ∂t ∂x ∂z 147 Mediando si ottiene: Z f b f ∂ux ∂(ux 2 ) ∂(ux uz ) dz = + + ∂t ∂x ∂z b Z f ∂f ∂ ux dz − (ux )f + = ∂t ∂t b Z f ∂b ∂f ∂ 2 + + ux 2 b + ux dz − ux 2 f ∂x ∂x ∂x b dux dz = dt Z + (ux uz )f − (ux uz )b = = ∂ (H Ux ) ∂ (αxx H Ux 2 ) + + ∂t ∂x ∂f ∂f − (ux )f + (uz )f + + (ux )f − ∂t ∂x ∂b + (ux )b + (ux )b − (uz )b , ∂x dove si è definito αxx tale per cui: Z f ux 2 dz = αxx H Ux 2 . (A.41) b Ricorrendo alle condizioni cinematiche in superficie libera (2.6) ed al fondo (2.8), si ottiene: Z f b dux ∂ (H Ux ) ∂ (αxx H Ux 2 ) dz = + . dt ∂t ∂x 148 Vengono trattati ora i termini delle forze esterne : 1 ρ Z f ∂pzx ∂pxx dz + dz = ∂x ∂x b b Z f Z ∂H ∂ (A0 B) f 0 dz + = (f − z) dz + A B − tan ζ ∂x ∂x b b + (pzx )f − (pzx )b = H 2 ∂ (A0 B) ∂H 0 = − A H B tan ζ − +C . 2 ∂x ∂x Z f Le equazioni di continuità e del moto in direzione x, mediate lungo la verticale, assumono quindi la seguente forma: ∂H ∂ (Ux H) + = 0, (A.42) ∂t ∂x ∂ (H Ux ) ∂ (αxx H Ux 2 ) + = ∂t ∂x ∂H H ∂ (A0 B) 0 +C (A.43) =H − A B tan ζ − 2 ∂x ∂x Si richiama a questo punto l’ipotesi di scivolamento (hp. 6, pag. 12), che dice che il profilo di velocità lungo la normale al fondo sia uniforme. Questo implica che, per non violare la condizione al contorno di tipo cinematico al fondo, la velocità media debba essere tangente al pendio. Da semplici considerazioni geometriche (si veda Figura A.5), è possibile ricavare la componente lungo z del vettore velocità, mediato sulla verticale: Uz = −Ux tan ζ . Nel caso in cui la pendenza non sia molto elevata ed il campo di moto non subisca brusche variazioni nella direzione ξ, si può ipotizzare che anche lungo la verticale il profilo di velocità sia costante. Il coefficiente αxx , definito da Eq. (A.41), risulta allora unitario. 149 Figura A.5: Le componenti del vettore velocità nelle direzioni x e z. Applicando la proprietà distributiva dell’operatore di derivazione rispetto al prodotto, si scompongono le derivate dei termini inerziali delle equazioni del moto. Si può quindi semplificare grazie all’equazione di continuità mediata (2.20). Dopo aver diviso per H ambo i membri di ciascuna delle due equazioni di bilancio delle forze, si ottiene: 150 ∂H ∂ (Ux H) + = 0, ∂t ∂x ∂Ux ∂Ux H ∂ (A0 B) + Ux = + ∂t ∂x 2 ∂x ∂H 0 +C , −A B tan ζ − ∂x ∂Uz ∂Uz H ∂ (A0 C) + Ux = + ∂t ∂x 2 ∂x ∂H 0 −A C tan ζ − +D −g. ∂x (A.44) (A.45) (A.46) Sulla base dell’ipotesi che il profilo verticale di velocità sia uniforme, si assume che (uξ )b ∼ = Uξ . Le espressioni per A0 (Eq. (2.13)), B (Eq. (2.14)), C (Eq. (2.15)) e D (Eq. (2.16)) vengono perciò riscritte nella forma: A0 (x, t) = − χ Uξ 2 + g cos ζ cos ζ . 1 − ka/p (1 + cos 2 ζ) + 2 −sgn (Uξ ) tan δ sin 2 ζ , B(x, t) = 1 − 1 − ka/p sin 2 ζ − sgn (Uξ ) tan δ cos 2 ζ , 2 1 − ka/p D(x, t) = 1 − (1 − cos 2 ζ) + 2 +sgn (Uξ ) tan δ sin 2 ζ . C(x, t) = 151 (A.47) A.3 A.3.1 Il modello numerico monodimensionale Il calcolo della funzione integranda f f è data dall’espressione (si veda Eq. (2.23)): H ∂ (A0 B) − A0 f= 2 ∂x B ∂H tan ζ − ∂x +C dove (Eq. (2.25)-Eq. (2.28)): A0 (x, t) = − χ Uξ 2 + g cos ζ cos ζ ; 1 − ka/p (1 + cos 2 ζ) + 2 −sgn (Uξ ) tan δ sin 2 ζ ; B(x, t) = 1 − C(x, t) = (A.48) 1 − ka/p sin 2 ζ − sgn (Uξ ) tan δ cos 2 ζ . 2 Per determinare la pendenza ζ e la curvatura χ, è necessario calcolare le derivate del primo e del secondo ordine di z = b(x). Infatti: tan ζ = − χ= ∂b ∂x ∂2b ∂x2 1+ ∂b 2 ∂x e (A.49) 3/2 . (A.50) Per il calcolo di tali derivate si è fatto ricorso ai polinomi interpolanti di Neville [36]. Data una funzione y = y(x) nota in n punti di supporto (xj , yj ), con j = 1, 2, . . . n, l’i-esimo polinomio interpolante di ordine k (con i compreso tra 1 e n−k) viene definito 152 dalla formula iterativa: pi i+1 ... i+k (x) = pi i+1 ... i+k−1 (x) (xk − x) + (xk − xi ) (x − xi ) . + pi+1 i+2 ... i+k (x) (xk − xi ) (A.51) Si osserva che: pi i+1 ... i+k (x) = pi+1 i+2 ... i+k (x) per x = xk pi i+1 ... i+k (x) = pi i+1 ... i+k−1 (x) per x = xi . I polinomi di ordine 0, dai quali si sviluppa questa formula iterativa, sono: pi = y i per i = 1, 2, . . . , n. (A.52) Questo schema numerico è finalizzato a restituire il valore del polinomio interpolante per il generico valore di x, piuttosto che a fornire un’espressione finita per il polinomio interpolante stesso. Tuttavia consente di ottenere delle espressioni iterative, agevoli da implementare in un codice di calcolo, anche per le derivate dei polinomi interpolanti. In particolare le derivate prime possono essere calcolate attraverso l’espressione iterativa: dpi i+1 ... i+k (x) dpi i+1 ... i+k−1 (x) (xk − x) = + dx dx (xk − xi ) + + dpi+1 i+2 ... i+k (x) (x − xi ) + dx (xk − xi ) (A.53) pi+1 i+2 ... i+k (x) − pi i+1 ... i+k−1 (x) , (xk − xi ) dove per i polinomi di ordine 0 si ricava naturalmente che: dpi =0 dx per i = 1, 2, . . . , n . (A.54) La derivata seconda del polinomio interpolante è invece data 153 da: d2 d2 pi i+1 ... i+k−1 (x) (xk − x) (pi i+1 ... i+k (x)) = + dx2 dx2 (xk − xi ) d2 pi+1 i+2 ... i+k (x) (x − xi ) + dx2 (xk − xi ) (A.55) dpi+1 i+2 ... i+k (x) 2 + + xk − x i dx dpi i+1 ... i+k−1 (x) − , dx + dove per i polinomi di ordine 0 e 1 si ha: d2 pi =0 dx2 d2 pi i+1 =0 dx2 per i = 1, 2, . . . , n e (A.56) per i = 1, 2, . . . , n-1 . Da semplici considerazioni geometriche (vedi Figura A.5): Uξ = Ux / cos ζ. in Eq. (2.23), viene calcolata come derivata La derivata ∂H ∂x seconda del polinomio di secondo grado che interpola i volumi delle celle della griglia. Il coefficiente di spinta in corrispondenza dei nodi della griglia ka/p i viene determinato attraverso la media pesata sui volumi dei valori che esso assume nelle celle adiacenti. Poiché il coefficiente di spinta varia in maniera discreta, il fatto di operare una media introduce un effetto diffusivo che, si è verificato, esercita un’azione stabilizzante sullo schema numerico. Nella cella i + 21 , ka/p è dato da: ! ! r 2 cos2 φ − 1 − 1 ka/p i+ 1 = 1 ∓ 1 − . 2 2 2 1 cos φ cos δ i+ 2 Se (Ux )i − (Ux )i+1 > EP SI, viene assunto il valore del coefficiente di spinta passiva; 154 se (Ux )i − (Ux )i+1 < EP SI, viene assunto il valore del coefficiente di spinta attiva; dove EP SI è una costante positiva, in genere assunta pari a 1 · 10−3 . L’utilizzo di tale costante è necessario per poter discriminare le condizioni di arresto, visto che per problemi di precisione della macchina, la velocità non arriva mai ad assumere esattamente il valore 0. È stata fatta la scelta di utilizzare sempre il valore ka quando (Ux )i − (Ux )i+1 < EP SI, cioè quando la massa è considerata ferma, anche per valori negativi del gradiente di velocità. Questo equivale a supporre che, quando la massa della valanga è ferma, si abbia al suo interno un rilassamento degli sforzi. Questa assunzione si è resa necessaria per eliminare delle instabilità, che si manifestano nella fase di arresto, a causa del continuo alternarsi di segno della derivata, prodotto da variazioni di velocità minori di EP SI. Il termine sgn (Uξ ) dell’equazione (2.23) definisce la direzione in cui si sviluppa l’attrito sul fondo. Esso dipende dalle condizioni di moto del materiale granulare. Per una descrizione delle modalità secondo cui è stato calcolato nel modello numerico si veda §A.3.2. Per completare il calcolo di f è necessario valutare ∂A0 ∂B ∂A0 B = B + A0 , ∂x ∂x ∂x dove, visto che: χ ∂ζ =− . ∂x cos ζ 155 ∂A0 B : ∂x si ottiene: ∂A0 ∂ (χ Uξ 2 ) = −χ 2 g sin ζ + χ Uξ 2 tan ζ − cos ζ , (A.57) ∂x ∂x ∂B = − 1 − ka/p sin 2ζ + 2 sgn (Uξ ) tan δ cos 2ζ · ∂x χ 1 + cos 2ζ ∂ka/p · + + cos ζ 2 ∂x ∂ (sgn (Uξ ) tan δ) = ∂x = − 1 − ka/p sin 2ζ + 2 sgn (Uξ ) tan δ cos 2ζ · − sin 2ζ · ∂ (tan δ) χ − sin 2ζ sgn (Uξ ) cos ζ ∂x (A.58) ∂ka/p ∂ (sgn(Uξ ) ) Le derivate ∂x , vengono poste pari a 0. Infatti ka/p ∂x e sgn (Uξ ) sono delle funzioni a gradino. Di conseguenza hanno derivata nulla ovunque, tranne nel punto in cui si situa il gradino. In tale punto la derivata tende all’infinito e quindi le equazioni perdono di significato. A.3.2 Le condizioni di avvio e di arresto Il valore assegnato alla funzione sgn (Uξ ) dipende dallo stadio del moto della massa nevosa. In particolare viene calcolata in maniera differente nelle fasi di avvio, scorrimento e arresto del materiale granulare. • Se |Ux | > EP SI, cioè se la massa è definita in movimento (si veda pag. 155), la forza d’attrito risulterà diretta in verso opposto rispetto al moto. Cioè: Ux > 0 Ux < 0 ⇒ ⇒ sgn (Uξ ) = 1 ; sgn (Uξ ) = −1 . • Se |Ux | < EP SI, cioè se la massa è definita in condizioni di non movimento, si confrontano i valori della forza motrice Fm 156 e della forza resistente Fr , per unità di massa. Le espressioni di queste grandezze sono ricavate dall’equazione del moto, scritta nel riferimento locale (A.31) in termini dimensionali: ∂h Fm = g sin ζ − ka/p cos ζ ; (A.59) ∂ξ Fr = tan δ g cos ζ + χUξ 2 . (A.60) - Se |Fm | > Fr allora la massa è ferma, ma si trova in condizione di mettersi in moto. In tal caso il segno sarà legato alla direzione della forza motrice. In particolare: Fm > 0 Fm < 0 ⇒ ⇒ sgn (Uξ ) = 1 ; sgn (Uξ ) = −1 . - Se |Fm | < Fr allora la forza motrice è minore della massima resistenza che può essere mobilitata in condizioni statiche per effetto dell’attrito. In tal caso la massa si mantiene in condizioni di non movimento. La funzione f , definita in Eq. (2.32), viene posta pari a 0. A.3.3 Condizioni di stabilità del modello La condizione imposta affinchè non si abbia la degenerazione della cella i + 12 può essere espressa tramite l’espressione: (∆t)i+ 1 = 2 α ∆x . max (|Uxi | , |Uxi+1 |) (A.61) L’intervallo temporale di calcolo viene assunto pari al minimo valore tra il ∆t di base e tra i ∆t forniti per le singole celle dall’espressione (A.61). Il valore di α massimo è 0.5. Per valori superiori gli estremi delle celle potrebbero invertirsi e si otterrebbero dei volumi negativi. Sulla base di prove numeriche si è ottenuto che il valore ottimale di α, che da luogo alle migliori condizioni di stabilità, è pari a 0.25. È stato testato un diverso approccio, che prevede di considerare la velocità relativa dei due nodi che definiscono la cella. ∆t viene scelto in maniera tale che lo spostamento reciproco tra le due facce 157 della cella non sia superiore alla frazione α dell’ampiezza della cella. Per la cella i + 12 si avrebbe cioè: (∆t)i+ 1 = 2 α ∆x . |Uxi+1 − Uxi | (A.62) Nelle simulazioni numeriche eseguite con questo tipo di controllo su ∆t, si osserva che la correzione dell’intervallo temporale di calcolo viene eseguita meno di frequente e le celle presentano rapide variazioni di dimensione. Come conseguenza di questo si sono manifestati degli andamenti a fisarmonica nel profilo delle altezze del manto nevoso, con conseguenti instabilità numeriche. Si è perciò preferito a questo metodo quello descritto in precedenza. Il criterio tipo Courant per la cella i + 21 si traduce in un limite sull’intervallo temporale ∆t dato da: (∆t)i+ 1 = 2 α ∆x . max (|ci | , |ci+1 |) dove ci è stato calcolato come: s Hi+ 1 + Hi− 1 2 2 ci = −A0i Bi . 2 (A.64) (A.65) Il valore ottimale di α è, in questo caso, 0.5. Ad ogni passo temporale si è utilizzato come ∆t di calcolo il minimo valore tra quello ottenuto con l’equazione (A.61) e quello calcolato per ogni nodo con l’espressione (A.64). Per impedire che, in corrispondenza del nodo i, all’interno di un intero intervallo temporale, vi sia l’inversione del moto, si impone che se: |Uxi | > EP SI e (Uxi + f (t, Uxi ) ∆t) · Uxi < 0 , si ricorre ad un intervallo temporale corretto: (∆t)corr = − Uxi , f (t, Uxi ) (A.66) 158 A.3.4 Il termine diffusivo nel modello numerico monodimensionale Il modello tende a manifestare delle instabilità, che si presentano nella forma di un andamento oscillante delle funzioni incognite. Questo si verifica soprattutto nella fase di arresto e specie in alcune situazioni limite, come ad esempio in presenza di forti curvature. Tale comportamento a volte può compromettere il corretto funzionamento del programma. In particolare il materiale granulare per effetto di tali oscillazioni non giunge mai ad un completo arresto. È stato perciò inserito un termine diffusivo nell’equazione del moto. Esso tende ad attenuare le oscillazioni, ma rappresenta anche un errore aggiunto, che riduce l’ordine dello schema di integrazione. Si sono testate diverse forme per il termine diffusivo da aggiungere alla funzione f definita nella Eq. (2.32). L’espressione che ha prodotto i migliori risultati è la seguente: Z 1 β ∇ · (c ∇Ux ) d∀ , (A.67) ∀ ∀ dove il “volume” ∀ è rappresentato da un elemento di lunghezza xi+ 1 − xi− 1 attorno al nodo xi ; il gradiente di Ux è semplice2 2 x mente ∂U ; c è la celerità di propagazione delle perturbazioni gra∂x vitazionali di piccola ampiezza, rispetto ad un osservatore solidale con la massa in movimento; β è una costante, dimensionalmente una lunghezza. L’integrale viene cosı̀ sviluppato: Z Z x 1 i+ 2 ∂ 1 ∂Ux 1 ∇ · (c ∇Ux ) d∀ = c dx = ∀ ∀ xi+ 1 − xi− 1 x 1 ∂x ∂x 2 2 i− 2 x 1 i+ 2 c ∂Ux 2 = = xi+1 − xi−1 ∂x x 1 i− 2 2 = xi+1 − xi−1 ci+ 1 2 Uxi+1 − Uxi Uxi − Uxi−1 − ci− 1 2 xi+1 − xi xi − xi−1 . Assumendo la lunghezza β pari a 0.5 (xi+1 − xi−1 ), il termine 159 diffusivo aggiunto risulta: 1 Uxi+1 − Uxi Uxi − Uxi−1 ci+ 1 − ci− 1 . 2 2 2 xi+1 − xi xi − xi−1 deve essere determinata l’espressione per la celerità c. Per riportarsi nell’ambito di un approccio lagrangiano, si scrive il sistema, costituito dall’equazione di continuità (2.20) e dall’equazione del moto nella direzione x (2.23), rispetto ad un osservatore solidale con la massa in movimento. Vengono definite due nuove variabili: Z t x̄ = x̄(x, t) = x − Ux dt , 0 t̄ = t̄(t) = t , Se si assume che localmente Ux possa essere considerato costante, x ∼ cioè che si possa porre ∂U 0, si avrà: ∂x = ∂ x̄ = 1, ∂x ∂ t̄ = 0, ∂x ∂ x̄ = −Ux , ∂t ∂ t̄ = 1, ∂t Data una generica funzione g (x, t) = g (x(x̄, t̄), t(t̄)), le derivate rispetto alle variabili del riferimento fisso possono essere espresse in funzione delle derivate rispetto alle variabili del riferimento mobile: ∂g ∂ x̄ ∂g ∂g = + ∂x ∂ x̄ ∂x ∂ t̄ ∂g ∂g ∂ x̄ ∂g = + ∂t ∂ x̄ ∂t ∂ t̄ ∂g ∂ t̄ = , ∂x ∂ x̄ ∂ t̄ ∂g ∂g = −Ux + . ∂t ∂ x̄ ∂ t̄ Sulla base di tali espressioni, si possono scrivere le equazioni del moto rispetto al riferimento mobile: ∂H ∂Ux +H = 0, ∂ t̄ ∂ x̄ ∂Ux ∂H ∂A0 B − A0 B = − A0 (B tan ζ + C) . ∂ t̄ ∂ x̄ ∂ x̄ 160 (A.68) (A.69) Tale sistema può essere riscritto in forma matriciale: H U + ,t̄ 0 H −A0 B 0 ∂A0 B ∂ x̄ Le celerità matrice di tale −λ −A0 B H = U ,x̄ (A.70) 0 − A0 (B tan ζ + C) , caratteristiche sono date dagli autovalori λ della sistema: H = λ2 + A 0 B H = 0 , −λ da cui si ricavano due valori di λ: √ λ12 = c12 = ± −A0 B H . (A.72) È possibile verificare che A0 B H è negativo e che quindi le due celerità caratteristiche sono reali distinte ed il problema è iperbolico. H è positivo. A0 , la cui espressione è data da (2.25), è negativo. Infatti (χ Uξ 2 + g cos ζ) deve essere positivo, dato che rappresenta lo sforzo trasmesso normalmente al fondo: se fosse negativo si avrebbero delle tensioni di trazione, la neve perderebbe di aderenza e tale situazione non può essere descritta da questo modello. Richiede qualche parola in più la dimostrazione che B è positivo. L’espressione (2.26), che descrive B, può essere sviluppata come: B = sin2 ζ + ka/p cos2 ζ − 2 sgn (Uξ ) tan δ sin ζ cos ζ . (A.74) 161 Se sgn (Uξ ) < 0, allora B è certamente positivo. Se invece sgn (Uξ ) > 0, si può ulteriormente sviluppare l’espressione (A.74), dividendo per cos2 ζ. Si ricava che B è positivo quando tan ζ si trova negli intervalli esterni alle radici dell’equazione: tan2 ζ − 2 tan δ tan ζ + ka/p = 0 q tan ζ = tan δ ± tan2 δ − ka/p . date da Questo accade per ogni valore di ζ nell’insieme dei reali, in quanto tali radici sono complesse coniugate. Infatti: tan2 ζ − ka/p < 0 . Essendo il coefficiente di spinta dato dall’espressione (A.12), bisogna dimostrare che: ! r 2 cos2 φ 2 1∓ 1− = tan δ + 1 − cos2 φ cos2 δ r 2 2 1 cos2 φ − ± <0 = 1 − cos2 δ cos2 φ cos2 φ cos2 δ In condizioni di spinta passiva, la disuguaglianza deve valere con il segno −. È sufficiente dimostrare che: 1 2 < . 2 cos δ cos2 φ (A.76) Ma questo discende immediatamente dal fatto che l’angolo d’attrito interno φ deve essere maggiore dell’angolo d’attrito al fondo δ, affinché il radicando sia positivo. Ciò vuol dire che: 1 1 > , 2 cos φ cos2 δ e quindi a maggior ragione dovrà essere vera la disequazione (A.76). In condizioni di spinta attiva, la disuguaglianza da verificare può essere riscritta nella forma: r cos2 φ cos2 φ < 1 − . 1− cos2 δ 2 cos2 δ 162 Poichè il secondo membro è certamente positivo, essendo cos2 φ < cos2 δ < 2 cos2 δ per quanto detto in precedenza, basterà dimostrare che la disuguaglianza continua a valere quando i due membri della disequazione sono elevati al quadrato. Cioè deve essere: 1− cos2 φ cos2 φ cos4 φ < 1 − + , cos2 δ cos2 δ 4 cos4 δ 4 φ > 0. ma questo è sicuramente vero essendo 4cos cos4 δ Poiché nello schema di integrazione numerica A0 B è valutato nei nodi della griglia di calcolo, mentre H in corrispondenza delle celle, si è scomposta l’espressione che fornisce la celerità di propagazione in due fattori. Il termine diffusivo, aggiunto al secondo membro dell’equazione del moto, scritta in direzione x, ha dunque la forma: q q Uxi+1 − Uxi q Uxi − Uxi−1 1 0 − Hi− 1 . − (A B)i Hi+ 1 2 2 2 xi+1 − xi xi − xi−1 163 164 Appendice B Modello bidimensionale B.1 Il modello bidimensionale nel riferimento assoluto B.1.1 Gli strumenti forniti dall’analisi tensoriale La simbologia utilizzata in quanto segue, relativamente all’analisi tensoriale, è derivata dal testo “A Brief on Tensor Analysis” di J.G.Simmonds [24]. Viene utilizzata la convenzione di Einstein, in base alla quale si applica la sommatoria ove gli indici vengono ripetuti. Le derivate parziali vengono descritte simbolicamente con l’uso della virgola. Le componenti del tensore degli sforzi al fondo vengono calcolate lavorando in un sistema di riferimento curvilineo di coordinate (ξ, η, ζ), legato alla superficie del pendio. Si definisce un asse ζ normale al fondo e si suppone che le linee coordinate ξ ed η si sviluppino lungo la superficie del pendio ortogonalmente all’asse y e all’asse x del riferimento assoluto (vedi Figura B.1). Tale sistema di riferimento non è in generale ortonormale. Siano z = b (x, y) e (B.1) φb (x, y, z) = z − b (x, y) = 0 165 (B.2) Figura B.1: Sistemi di riferimento assoluto e curvilineo nel dominio tridimensionale. le equazioni, esplicita ed implicita, del fondo nel riferimento assoluto. Il versore che definisce la direzione dell’asse ζ è: eζ = (−b,x , −b,y , 1) ∇φb =p . |∇φb | 1 + b2,x + b2,y (B.3) Il versore che definisce localmente la direzione delle linee coordinate ξ dovrà essere di modulo unitario, normale al versore eζ e all’asse y, cioè al versore ey = (0, 1, 0): eξ · eζ = 0 eξ · ey = 0 |eξ | = 1 ⇒ (1, 0, b,x ) . eξ = p 1 + b2,x (B.4) Analogalmente il versore eη dovrà essere di modulo unitario, 166 normale al versore eζ e all’asse x, cioè al versore ex = (1, 0, 0): eη · eζ = 0 eη · ex = 0 |eη | = 1 ⇒ (0, 1, b,y ) . eη = p 1 + b2,y (B.5) Sia x̃ = x ξ̃, η̃, ζ̃ una funzione vettoriale che descrive la posizione di un generico punto nello spazio in termini di coordinate curvilinee. I vettori della base “cellar” del riferimento curvilineo vengono ricavati derivando la funzione x rispetto a ξ, η e ζ [24]. Si può localizzare il generico punto x̃ = x ξ̃, η̃, z̃ muovendosi prima lungo l’asse ξ ( η = 0 ) fino al punto in cui ξ = ξ̃, quindi lungo la linea coordinata η (ξ = ξ̃) fino ad η = η̃, infine sollevandosi normalmente al fondo di ζ̃ (vedi Figura B.1, percorso 1): x̃ = x0 + Z ξ̃ 0 eξ |ξ=τ dτ + η=0 Z η̃ 0 +ζ̃ eζ | ξ=ξ̃ , eη | ξ=ξ̃ fη ξ̃, µ dµ + η=µ (B.6) η=η̃ dove x0 definisce la posizione dell’origine del riferimento curvilineo, mentre fη ξ̃, µ dµ rappresenta lo spostamento lungo la linea coor- dinata η (ξ = ξ̃) corrispondente ad un movimento di lunghezza dµ lungo l’asse curvilineo η (vedi Figura B.2). Se ci si sposta di dµ lungo l’asse η, si passa dalla linea coordinata ξ (η = µ) alla linea coordinata ξ (η = µ + dµ). Le due linee si trovano su due piani che sono ortogonali all’asse y. Ciò vuol dire che la componente di spostamento nella direzione y dovrà essere la stessa lungo le due linee e quindi: eη | ξ=ξ̃ fη ξ̃, µ dµ · ey = eη | ξ=0 dµ · ey ⇒ η=µ η=µ ⇒ p 1 + b2 ,y ξ=ξ̃ η=µ . fη ξ̃, µ = p 1 + b2,y ξ=0 167 η=µ Figura B.2: Calcolo del coefficiente di amplificazione lungo la coordinata curvilinea η. Il vettore gξ della base detta “cellar” delriferimento curvilineo può essere ottenuto derivando x̃ = x ξ̃, η̃, ζ̃ rispetto a ξ: ∂x gξ = = eξ |ξ=ξ̃ + ∂ξ η=0 Z η̃ 0 1 p (0, 0, b,yξ )| ξ=ξ̃ dµ + 1 + b2,y ξ=0 η=µ η=µ ∂eζ +ζ̃ , ∂ξ ξ=ξ̃ η=η̃ 168 dove: b,x b,y b,yξ − b,xξ 1 + b2,y ∂eζ 1 2 b b b − b 1 + b = ,x ,y ,xξ ,yξ 3/2 ,x . (B.7) ∂ξ 1 + b2,x + b2,y − (b,x b,xξ + b,y b,yξ ) Si ottiene infine che: 1 + p 1 + b2,x ξ=ξ̃ η=0 b (b b − b b ) − b ,y ,x ,yξ ,y ,xξ ,xξ + ζ̃ 3/2 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ b,x (b,y b,xξ − b,x b,yξ ) − b,yξ ζ̃ 3/2 gξ = . 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ b,x b,x b,xξ + b,y b,yξ p ζ̃+ − 3/2 2 1 + b,x ξ=ξ̃ ξ=ξ̃ 1 + b2,x + b2,y η=0 η=η̃ Z η̃ 1 p b | dµ + ,yξ ξ=ξ̃ 2 1 + b,y ξ=0 η=µ 0 (B.8) η=µ Il vettore della base “cellar” relativo alla direzione η è invece: p 1 + b2,y ξ=ξ̃ ∂x ∂eζ η=η̃ = eη | ξ=ξ̃ p ζ̃ . gη = + ∂η ∂η ξ=ξ̃ 1 + b2,y ξ=0 η=η̃ η=η̃ η=η̃ La derivata del versore eζ fornisce: b,x b,y b,yξ − b,xξ 1 + b2,y ∂eζ 1 b,x b,y b,xη − b,yη 1 + b2,x = 3/2 . (B.9) ∂η 1 + b2,x + b2,y − (b,x b,xη + b,y b,yη ) 169 per cui: b,y (b,x b,yη − b,y b,xη ) − b,xη ζ̃ 3/2 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ 1 p 1 + b2,y ξ=0 η=η̃ . gη = b (b b − b b ) − b ,x ,y ,xη ,x ,yη ,yη + ζ̃ 3/2 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ b,y | ξ=ξ̃ b,x b,xη + b,y b,yη η=η̃ p − ζ̃ 1 + b2 ξ=0 3/2 2 2 1 + b,x + b,y ,y ξ=ξ̃ η=η̃ (B.10) η=η̃ Infine nella direzione ζ il vettore della base “cellar” è: gζ = 1 ∂x = eζ = p ∂ζ 1 + b2,x + b2,y −b,x −b,y . 1 (B.11) Il vettore gξ ha però la componente nella direzione ζ che presenta un termine integrale. Questo lo rende difficile da maneggiare. Una seconda terna di vettori può essere ricavata definendo di base il vettore posizione x̃ = x ξ̃, η̃, ζ̃ in un altro modo: x̃ = x0 + Z η̃ 0 eη | ξ=0 dµ + η=µ Z ξ̃ 0 eξ |ξ=τ fξ (τ, η̃) dτ + η=η̃ (B.12) +ζ̃ eζ | ξ=ξ̃ . η=η̃ In questo caso, partendo dall’origine del sistema di riferimento curvilineo x0 , ci si sposta prima lungo l’asse curvilineo η fino a raggiungere η̃, quindi lungo la linea coordinata ξ (η = η̃), fino al punto sulla 170 superficie di coordinate ξ̃, η̃, 0 , da dove poi ci si muove normalmente al fondo di un tratto lungo ζ̃ (si veda Figura B.1, percorso 2). La funzione fξ (τ, η̃) è il fattore amplificativo che fornisce lo spostamento lungo la linea coordinata ξ (η = η̃) corrispondente ad uno spostamento unitario lungo l’asse ξ (η = 0) quando ξ = τ . Se ci si muove di dτ , dalla linea coordinata η (ξ = τ ) alla linea η (ξ = τ + dτ ), poiché queste devono giacere su piani ortogonali all’asse x, la componente di spostamento lungo x dovrà essere la stessa (vedi Figura B.3). Cioè: ⇒ eξ |ξ=τ fξ (τ, η̃) dτ η=η̃ · ex = eξ |ξ=τ dτ η=0 · ex ⇒ p 1 + b2,x ξ=τ η=η̃ . fξ (τ, η̃) = p 1 + b2,x ξ=τ η=0 I vettori della base “cellar” possono essere ottenuti, come in precedenza, derivando rispetto a ξ, η e ζ il vettore posizione. Il vettore della base “cellar” relativo alla direzione ξ è cosı̀ dato da: gξ = ∂x = eξ | ξ=ξ̃ ∂ξ η=η̃ p 1 + b2,x ξ=ξ̃ ∂eζ η=η̃ p + ζ̃ . ∂ξ ξ=ξ̃ 1 + b2,x ξ=ξ̃ η=0 η=η̃ La derivata del versore eζ rispetto a ξ è già stata ricavata in prece171 Figura B.3: Calcolo del coefficiente di amplificazione nella direzione ξ. denza (B.7) per cui: p 1 + 1 + b2 ,x ξ=ξ̃ η=0 b,y (b,x b,yξ − b,y b,xξ ) − b,xξ ζ̃ + 3/2 ξ=ξ̃ 1 + b2,x + b2,y η=η̃ . gξ = b,x (b,y b,xξ − b,x b,yξ ) − b,yξ ζ̃ 3/2 2 2 1 + b + b ξ= ξ̃ ,x ,y η=η̃ b,x | ξ=ξ̃ b b + b b η=η̃ ,x ,xξ ,y ,yξ p − ζ̃ 1 + b2 3/2 2 2 1 + b + b ,x ξ=ξ̃ ξ=ξ̃ ,x ,y η=0 η=η̃ 172 (B.13) Analogalmente per gη : ∂x = eη | ξ=0 + gη = ∂η η=η̃ Z ξ̃ 0 1 p (0, 0, b,xη )|ξ=τ dτ + 1 + b2,x ξ=τ η=η̃ η=0 ∂eζ , +ζ̃ ∂η ξ=ξ̃ η=η̃ Utilizzando l’espressione (B.9) per descrivere la derivata di ez rispetto a η, si ricava: b,y (b,x b,yη − b,y b,xη ) − b,xη ζ̃ ξ=ξ̃ 2 + b2 3/2 1 + b ,x ,y η=η̃ 1 p + 1 + b2 ξ=0 ,y η=η̃ b,x (b,y b,xη − b,x b,yη ) − b,yη ζ̃ + gη = 3/2 . (B.14) 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ b,y b,x b,xη + b,y b,yη p − ζ̃+ 3/2 2 1 + b,y ξ=0 ξ=ξ̃ 1 + b2,x + b2,y η=η̃ η=η̃ Z ξ̃ b,xη |ξ=τ η=η̃ p + dτ 2 1 + b ξ=τ 0 ,x η=0 Per gζ si ottiene di nuovo l’espressione (B.11). In questa seconda terna di vettori, il termine integrale compare nell’ espressione per gη . Le due equazioni (B.6) e (B.12) devono essere uguali, in quanto forniscono la posizione del medesimo punto x̃ = x ξ̃, η̃, ζ̃ . Quindi le derivate rispetto a ξ, η e ζ devono restituire gli stessi vettori, cioè le due terne di vettori di base devono essere coincidenti. In Appendice B.1.1 viene riportata la dimostrazione che le diverse espressioni per i vettori di base coincidono. Si possono per173 ciò scegliere le espressioni che non contengono termini integrali. In particolare per gξ l’equazione (B.13), per gη (B.10), per gζ (B.11). Facendo l’ipotesi di acque basse (hp. 5, pag. 10) non tutti i termini delle componenti della base “cellar” sono confrontabili. È necessario fare un’analisi dimensionale per individuare i termini che possono essere trascurati. Indico con Lsξ ed Lsη le dimensioni caratteristiche dell’ammasso nevoso nelle direzioni ξ ed η, con Lsx ed Lsy i corrispondenti valori lungo x e lungo y, con Hs lo spessore verticale massimo della valanga, con Bs il massimo dislivello sul quale si sviluppa la massa di neve. Definisco le grandezze adimensionalizzate: x̂ = x Lsx ξ ξ̂ = Lsξ ŷ = y Lsy ẑ = η η̂ = Lsη z Bs b̂ = b Bs (B.15) ζ ζ̂ = Hs Per le pendenze tipiche del fenomeno in questione, si può assumere che sia Bs ≈ Lsx ≈ Lsy . Dall’equazione (B.28) si ricava: q dξ 2 = 1 + b,x ξ=ξ̃ . dx η=0 che adimensionalizzata fornisce: s 2 dξ̂ Lsξ Bs bˆ, x̂2 = 1+ dx̂ Lsx Lsx ξ=ξ̃ ⇒ η=0 ⇒ Lsξ dx̂ = Lsx dξ̂ 2 Bs 1+ ≈ 1, b̂x̂2 Lsx ξ=ξ̃ s η=0 essendo dx̂/dξ̂ ≈ 1 e b̂x̂ ≈ 1. Allo stesso modo, scrivendo l’equazione (B.29) in forma adimensionale, si ricava che Lsη /Lsy ≈ 1. Quindi Lsx , Lsy , Lsξ , Lsη , Bs sono tutti dello stesso ordine di grandezza, che si assume pari a Ls . 174 Si definisce il rapporto: = Hs . Ls I vettori della base “cellar” scritti in forma adimensionale, assumono la forma: p 1 1 + b2 ,x ξ=ξ̃ η=0 b,y (b,x b,yξ − b,y b,xξ ) − b,xξ + ζ̃ 3/2 ξ=ξ̃ 1 + b2,x + b2,y η=η̃ , (B.16) gξ = b (b b − b b ) − b ,x ,yξ ,yξ ζ̃ ,x ,y ,xξ 3/2 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ b,x | ξ=ξ̃ b,x b,xξ + b,y b,yξ η=η̃ p − ζ̃ 3/2 1 + b2 2 2 1 + b,x + b,y ,x ξ=ξ̃ ξ=ξ̃ η=0 η=η̃ ζ̃ b,y (b,x b,yη − b,y b,xη ) − b,xη 3/2 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ 1 + p 1 + b2,y ξ=0 η=η̃ , (B.17) gη = b (b b − b b ) − b ,x ,y ,xη ,x ,yη ,yη + ζ̃ 3/2 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ b,y | ξ=ξ̃ b,x b,xη + b,y b,yη η=η̃ p 3/2 1 + b2 ξ=0 − ζ̃ 2 2 1 + b,x + b,y ,y ξ=ξ̃ η=η̃ η=η̃ 175 gζ = 1 ∂x = eζ = p ∂ζ 1 + b2,x + b2,y −b,x −b,y , 1 (B.18) dove per brevità si è tralasciato il cappello per indicare le grandezze adimensionalizzate. Oltre alla base “cellar” del sistema di riferimento, si può definire una base denominata “roof”, la quale è legata alla base “cellar” dalle seguenti relazioni: gi · gj = δij . (B.19) δij è il delta di Kronecker e vale: δij = 1 0 i=j . i 6= j Vengono di seguito ricavate le componenti dei vettori della base “roof”, trascurando i termini di ordine . Nella direzione ξ dovrà essere per le (B.19): ⇒ g ξ · gξ = 1 , g ξ · gη = 0 , ⇒ g ξ · gζ = 0 , p 1 + b2,x ξ=ξ̃ η=0 gξ = 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ 176 (B.20) 1 + b2,y , −b,x b,y , b,x ξ=ξ̃ . η=η̃ Il vettore “roof” relativo alla direzione η è dato da: ⇒ g η · gη = 1 , g η · gξ = 0 , ⇒ g η · gζ = 0 , p 1 + b2,y ξ=0 η=η̃ gη = 1 + b2,x + b2,y ξ=ξ̃ η=η̃ (B.21) −b,x b,y ; 1 + b2,x ; b,y ξ=ξ̃ . η=η̃ Infine è facile verificare che: 1 ζ g = gζ = e ζ = p (−b,x ; −b,y ; 1) . 2 2 ξ=ξ̃ 1 + b,x + b,y (B.22) η=η̃ Infatti gζ è normale al fondo e quindi anche ai due vettori della base “cellar” gξ e gη (gζ ·gξ = 0 e gζ ·gξ = 0). Inoltre gζ ·gζ = 1, essendo gζ di modulo unitario. Sono quindi soddisfatte le condizioni (B.19), per la definizione dei vettori della base “roof”. Un generico vettore v può essere descritto attraverso una combinazione lineare dei vettori della base “cellar” o della base “roof” del sistema di riferimento: v = v i gi = v j g j , (B.23) dove v i rappresenta l’i-esima componente “roof” e vj la j-esima componente “cellar” del vettore v. La definizione delle componenti “roof” e “cellar” di un vettore discende immediatamente dalla definizione dei vettori della base “cellar” e dei vettori della base “roof”: v i = v · gi e vj = v · gj . (B.24) Allo stesso modo un generico tensore può essere descritto in termini di componenti “roof” o di componenti “cellar” o ancora di componenti miste con le seguenti definizioni: T = tij gj gi = tij gj gi = ti·j gj gi = t·ji gj gi . 177 (B.25) In tali espressioni si è introdotta l’operazione prodotto diretto tra vettori [24]. Dati due vettori u e v, Il prodotto diretto (u v) restituisce un tensore, detto diade, il quale, applicato ad un terzo vettore w, fornisce: (u v) w = u (v · w) . Un vettore v può essere poi definito in termini di componenti fisiche: v = v (i) gi , |gi | da cui deriva immediatamente la definizione delle componenti fisiche: v (i) = v i |gi | . (B.26) Anche con i tensori è possibile lavorare in termini di componenti fisiche: T = t(ij) gj gi , |gj | |gi | dove si ha che: t(ij) = tij |gi | |gj | . Coincidenza delle due basi cellar definite nel riferimento locale di coordinate (ξ, η, ζ) Si vuole dimostrare che le espressioni ottenute per i vettori della base del riferimento curvilineo derivando le due equazioni (B.6) e (B.12) sono equivalenti. Per quanto riguarda il vettore gξ , le componenti x ed y delle due espressioni (B.13) e (B.8) sono evidentemente identiche. Bisogna spendere qualche parola in più per la componente z. Si deve dimostrare che: 178 b,x | ξ=ξ̃ b,yξ | ξ=ξ̃ Z η̃ b,x η=η̃ η=µ p p dµ = p + . (B.27) 2 2 1 + b,x ξ=ξ̃ 1 + b,y ξ=0 1 + b2,x ξ=ξ̃ 0 η=µ η=0 η=0 Si osserva che, muovendosi lungo il piano coordinato ξ = ξ̃ (cioè variando η e ζ), la x rimane costante. Ciò vuol dire che x è funzione solo di ξ. Un discorso analogo può essere fatto per y che è funzione solo di η. Quindi, data una generica funzione f = f ξ̃, η̃, ζ̃ , essa può essere descritta in funzione delle coordinate assolute come f = f (x̃, ỹ, z̃) = f (ξ (x̃) , η (ỹ) , ζ (x̃, ỹ, z̃)). Per cui posso esprimere le derivate di f rispetto alle coordinate assolute x e y, in termini delle derivate rispetto alle corrispondenti coordinate curvilinee ξ e η: ∂f dξ ∂f = ∂x ∂ξ dx e ∂f ∂f dη = , ∂y ∂η dy Come si può vedere in Figura B.4, se ci si sposta di dx lungo l’asse delle x, il corrispondente spostamento lungo l’asse ξ sarà: dξ = q dx 2 = 1 + b ,x ξ=ξ̃ dx . eξ x |ξ=ξ̃ η=0 (B.28) η=0 Allo stesso modo si può esprimere dη come: dη = q dy 2 = 1 + b ,y ξ=0 dy . eη y | ξ=0 η=η̃ η=η̃ Quindi risulta che: 179 (B.29) Figura B.4: Calcolo della derivata dξ/dx. b,x |ξ=ξ̃ η=0 q = b,ξ 1 + b2,x ξ=ξ̃ , η=0 b,x | ξ=ξ̃ = b,ξ | ξ=ξ̃ η=η̃ η=η̃ q 1 + b2,x ξ=ξ̃ b,yξ | ξ=ξ̃ = b,ηξ | ξ=ξ̃ η=µ η=µ e η=0 q 1 + b2,y ξ=0 . η=µ Ma allora, essendo b,ηξ = b,ξη , il primo membro dell’equazione (B.27) diventa: b,ξ |ξ=ξ̃ + η=0 Z η̃ 0 b,ξη | ξ=ξ̃ dµ = b,ξ | ξ=ξ̃ + b,ξ | ξ=ξ̃ − b,ξ | ξ=ξ̃ = η=µ η=0 = b,ξ | ξ=ξ̃ , η=η̃ 180 η=η̃ η=0 che è proprio l’espressione che si ricava dal secondo membro. Similmente si dimostra che le definizioni (B.10) e (B.14) per il vettore gη sono identiche. 181 B.1.2 La distribuzione idrostatica delle pressioni In quanto segue si dimostra che l’equazione di conservazione della quantità di moto, scritta in direzione ζ, nell’ipotesi di acque basse (hp. 5, pag. 10), si traduce nella distribuzione idrostatica delle pressioni in direzione normale al fondo. Le equazioni di conservazione della quantità di moto, scritte in forma vettoriale, assumono la forma [24]: ρ du = ρ (u,t + u · ∇u) = f + ∇ · P . dt (B.30) Il vettore f rappresenta le forze di volume esterne, P è il tensore degli sforzi, u il vettore velocità, t il tempo, ρ la densità. In forma indiciale, dopo aver diviso per la densità, le equazioni si presentano come: 1 1 ui ,t gi + ul gl · gj ∇j ui gi = f i gi + gj ∇j pil (gl gi ) , ρ ρ cioè nella direzione i: ui ,t + uj ∇j ui gi = 1 i 1 f + ∇j pij , ρ ρ (B.31) essendo: u = u i gi , f = f i gi , P = pil gl gi , ∇ = g j ∇j , dove gj e gj sono l’elemento j-esimo rispettivamente nella base “roof” e nella base “cellar” del riferimento curvilineo; ui , f i e pli rappresentano le componenti “roof” dei vettori u, f e del tensore P. ∇j prende il nome di derivata covariante e, applicata alle componenti “roof” di un vettore u e di un tensore P viene definita 182 come: ∇j ui = ui ,j + Γijk uk ∇k pji = pji ,k + Γjpk ppi + Γipk pjp . Γkij sono i coefficienti di Christoffel, definiti come: Γkij = gi,j · gk . I coefficienti di Christoffel godono della seguente proprietà di simmetria: Γij k = Γjik , infatti: Γij k = gi,j · gk = x,ij · gk = = x,ji · gk = gj ,i · gk = = Γkji . L’equazione di conservazione della quantità di moto nella dire183 zione ζ, sviluppata, si presenta come: uζ ,t + uξ uζ ,ξ + Γζξξ uξ + Γζξη uη + Γζξζ uζ + ζ ζ η ζ ξ ζ η ζ + u u ,η + Γηξ u + Γηη u + Γηζ u + + uζ uζ ,ζ + Γζζξ uξ + Γζζη uη + Γζζζ uζ = = 1 + −gp 1 + b2,x + b2,y 1 ζξ + p ,ξ + Γζξξ pξξ + Γζηξ pηξ + Γζζξ pζξ + ρ +Γξξξ pζξ + Γξηξ pζη + Γξζξ pζζ + (B.32) 1 ζη p ,η + Γζξη pξη + Γζηη pηη + Γζζη pζη + ρ +Γηξη pζξ + Γηηη pζη + Γηζη pζζ + 1 ζζ + p ,ζ + Γζξζ pξζ + Γζηζ pηζ + Γζζζ pζζ + ρ +Γζξζ pζξ + Γζηζ pζη + Γζζζ pζζ . + Attraverso l’analisi dimensionale si possono individuare i termini di tale equazione che possono essere trascurati. Sono già state definite a pag. 174 la scala dello spessore del manto Hs , la scala Ls della lunghezza e della larghezza della valanga ed il parametro = Hs /Ls . Si possono poi definire i valori scala delle velocità Uξs , Uηs , Uζs rispettivamente nelle direzioni ξ, η e ζ. La scala dei tempi viene chiamata Ts e si fa l’ipotesi che sia: Ts ≈ Ls Hs Ls ≈ ≈ . Uξs Uηs Uζs Ne segue che si può far uso di un unico valore scala Us ≈ Uξs ≈ Uηs per le componenti tangenziali del vettore velocità e che Uζs ≈ Us . Tali scale delle velocità si applicano però alle componenti fisiche del vettore u, mentre l’equazione del moto è scritta in termini di 184 componenti “roof”. Le equazioni (B.26) descrivono la relazione che sussiste tra componenti fisiche e componenti “roof”. Dalle equazioni (B.16) e (B.17), se si trascurano i termini di ordine invocando l’ipotesi di acque basse (hp. 5, pag. 10), si ricava che: p 1 + b2,x ξ=ξ̃ η=η̃ |gξ | = p e 2 1 + b,x ξ=ξ̃ η=0 p 1 + b2,y ξ=ξ̃ η=η̃ . |gη | = p 2 1 + b,y ξ=0 η=η̃ Essendo b,x ≈ b,y ≈ Bs /Ls ≈ 1 si ottiene che i moduli di gξ e di gη sono di ordine di grandezza unitario. gζ è un versore e quindi ha modulo 1. Ne consegue che le componenti “roof” del vettore velocità hanno lo stesso ordine di grandezza delle corrispondenti componenti fisiche. Con il medesimo ragionamento si giunge alle stesse conclusioni anche per le componenti del tensore degli sforzi. Se Ps è il valore scala delle pressioni, le componenti “roof” del tensore degli sforzi saranno dello stesso ordine di grandezza. Le coordinate del riferimento curvilineo adimensionalizzate sono già state definite in (B.15). Si possono poi definire il tempo adimensionalizzato: t̂ = t Ts e le componenti del vettore velocità adimensionalizzate: uξ uˆξ = , Us uˆη = uη , Us uζ uˆζ = . Uζs Per quanto riguarda i coefficienti di Christoffel si ha che: 1 , Ls 1 Γjiη = gi,η · gj ≈ . Ls Γjiξ = gi,ξ · gj ≈ 185 Passando alle derivate delle basi “cellar” rispetto a ζ, si osserva che gζ non dipende da ζ, mentre gξ e gη dipendono da ζ attraverso i termini in (si vedano le equazioni (B.16) e (B.17)) e quindi: Γjζζ = 0 , Γjξζ ≈ 1 , Ls Γjηζ ≈ 1 , Ls per cui i valori adimensionalizzati sono dati da: Γˆjiξ = Γjiξ Ls , Γˆjiη = Γjiη Ls , Γˆjiζ = Γjiζ Ls . Viene analizzato, innanzitutto, il primo membro dell’equazione del moto che comprende i termini inerziali. Omettendo per brevità il cappello per indicare le grandezze adimensionalizzate e raccogliendo Us2 /Ls si ottiene: Us2 uζ ,t + uξ uζ ,ξ + uη uζ ,η + uζ uζ ,ζ + Ls +2 Γζξζ uξ uζ + 2 Γζηζ uη uζ + i ζ ζ ξ 2 ξ η ζ η 2 ∼ +Γξξ (u ) + 2 Γξη u u + Γηη (u ) = ∼ = (B.33) i Us2 h ζ +Γξξ (uξ )2 + 2 Γζξη uξ uη + Γζηη (uη )2 . Ls dove si sono trascurati i termini di ordine . Per ricavare i coefficienti di Christoffel calcolo le derivate dei vettori della base “cellar”, trascurando i termini di ordine nelle espressioni (B.16) e (B.17). gξ ,ξ b,x b,xx − 2 1 + b2,x ξ=ξ̃ η=0 0 ∼ = b | 2 ,xx ξ=ξ̃ 1 + b,x ξ=ξ̃ − b,x | ξ=ξ̃ (b,xx b,x )| ξ=ξ̃ η=0 η=0 η=η̃ η=η̃ 2 2 1 + b,x ξ=ξ̃ η=0 186 , dove si è usata la relazione (B.28) per scrivere la derivata rispetto a ξ in termini di derivata rispetto a x. Γζξξ è quindi dato da: b 1 ,xx Γζξξ = gξ ,ξ · gζ = p . 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ 1 + b2,x ξ=ξ̃ η=0 η=η̃ Ricorrendo all’equazione (B.29) per passare dalla derivata rispetto ad η alla derivata rispetto a y e trascurando i termini di ordine , si ottiene gη ,η : 0 b,y b,yy − 2 2 ξ=0 1 + b ,y η=η̃ ∼ . gη ,η = b | 2 ,yy ξ=ξ̃ 1 + b,y ξ=0 − b,y | ξ=ξ̃ (b,yy b,y )| ξ=0 η=η̃ η=η̃ η=η̃ η=η̃ 2 1 + b2,y ξ=0 η=η̃ Γζηη risulta perciò pari a: Γζηη b ,yy = gη ,η · gζ == p 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ η=η̃ Manca infine il termine misto: gη ,ξ = gξ ,η ∼ = 1 . 1 + b2,y ξ=0 η=η̃ 0 0 b,xy | ξ=ξ̃ η=η̃ p p 2 1 + b,y ξ=0 1 + b2,x ξ=ξ̃ η=η̃ η=0 dal quale si ricava che: , Γζηξ = gη ,ξ · gζ 1 b,xy 1 p p . = p 2 2 2 1 + b,x + b,y ξ=ξ̃ 1 + b,y ξ=0 1 + b2,x ξ=ξ̃ η=η̃ η=η̃ 187 η=0 Sostituendo in (B.33) ed esprimendo tutto in termini di componenti fisiche del vettore velocità adimensionalizzate, si ottiene per i termini inerziali l’espressione: " 2 b,xx Us 1 b,yy (ξ) 2 (η) 2 p u + u + Ls 1 + b2,x + b2,y 1 + b2,x 1 + b2,y # b,xy p u(ξ) u(η) . + p 2 2 1 + b,x 1 + b,y Passando ora a considerare il secondo membro dell’equazione del moto (B.32), si suppone che sia: Ps ≈ ρ g H s , che cioè i termini di pressione siano confrontabili con la gravità. Si ottiene allora, raccogliendo l’accelerazione di gravità g: " 1 g −p + pζζ ,ζ + 1 + b2,x + b2,y + pζξ ,ξ + Γζξξ pξξ + Γζηξ pηξ + Γζζξ pζξ + +Γξξξ pζξ + Γξηξ pζη + Γξζξ pζζ + + pζη ,η + Γζξη pξη + Γζηη pηη + Γζζη pζη + +Γηξη pζξ + Γηηη pζη + Γηζη pζζ + + Γζξζ pξζ + Γζηζ pηζ + 0 pζζ + Γζξζ pζξ + # ∼ +Γζ pζη + 0 pζζ = ηζ ∼ =g 1 −p + pζζ ,ζ 1 + b2,x + b2,y ! avendo trascurato i termini di ordine . 188 , A questo punto si fa l’ipotesi che le forze inerziali abbiano lo stesso peso della forza di gravità, che cioé sia Us2 ≈ g Ls . L’equazione di conservazione della quantità di moto in direzione ζ, scritta in termini dimensionali, diventa: ρ pζζ ,ζ = p 1 + b2,x + b2,y g+ + 2 b,xx u(ξ) + 2 1 + b,x b,yy (η) 2 u + 1 + b2,y b,xy p u(ξ) u(η) +p 2 2 1 + b,x 1 + b,y (B.34) ! . L’integrazione lungo ζ della precedente equazione fornisce un’espressione analitica chiusa, se si suppone che le componenti fisiche della velocità siano costanti lungo la normale al fondo (hp. 6, pag. 12). Si richiama, dapprima, la condizione dinamica in superficie libera: P|ζ=h nh = 0 , (B.35) dove nh è la normale alla superficie libera, data da: nh = ∇Φh , |∇Φh | essendo Φh (ξ, η, ζ, t) = ζ − h (ξ, η, t) = 0 l’equazione implicita della superficie libera. Φh è uno scalare, per cui [24]: ∇Φh = gk ∇k Φh = gk Φh,k . Si ottiene pertanto: P ∇Φh = pji Φh,k (gi gj ) gk = pki Φh,k gi = 0 . Nella generica direzione i questo si traduce in: −pξi h,ξ − pηi h,η + pζi = 0 , 189 che, in forma adimensionale, raccogliendo Ps e tralasciando i cappelli per rappresentare le grandezze adimensionali, diventa: Ps − pξi h,ξ + pηi h,η + pζi = 0 . Se si trascurano i termini di ordine , si ottiene: pζξ = pζη = pζζ = 0 . In questo caso l’ipotesi di “acque basse” (hp. 5, pag. 10) si traduce nell’assunzione che la superficie libera sia pressocché parallela al fondo, cioè circa normale a ζ. A questo punto si può integrare l’equazione (B.34) tra ζ = 0 e ζ = h, imponendo che sia pζζ = 0 per ζ = h, come indicato dalla condizione dinamica in superficie, e supponendo che le componenti fisiche di velocità siano costanti lungo ζ (hp. 6, pag. 12). Si ottiene che pζζ vale al fondo: pζζ b ρh = −p 1 + b2,x + b2,y g+ b,xx (ξ) 2 U + 1 + b2,x b,xy p U (ξ) U (η) + + p 2 2 1 + b,x 1 + b,y ! b,yy 2 + U (η) , 1 + b2,y dove U (ξ) e U (η) rappresentano i valori medi delle componenti fisiche del vettore velocità lungo la normale (si veda Eq. (B.26) e Eq. (B.24)): U (ξ) = U ξ |gξ | = U · gξ |gξ | , U (η) = U η |gη | = (U · gη ) |gη | . Utilizzando le definizioni (B.20), (B.21), (B.22) per i vettori della base “roof” e (B.13), (B.10), (B.11) per la base “cellar”, si 190 ottiene: p 1 + b2,x (ξ) 2 =p U 1 + b − U b b + U b , x y ,x ,y z ,x ,y 1 + b2,x + b2,y p 1 + b2,y 2 (η) −U b b + U 1 + b + U b . U =p x ,x ,y y z ,y ,x 1 + b2,x + b2,y U Sostituendo in (3.1) si ottiene: pζζ b ρh =− p 1 + b2,x + b2,y · g+ 1 1+ b2,x + b2,y 2 2 b,xx Ux0 + b,xy Ux0 Uy0 + b,yy Uy0 · ! (B.36) , dove: Ux0 = Ux 1 + b2,y − Uy b,x b,y + Uz b,x , Uy0 = −Ux b,x b,y + Uy 1 + b2,x + Uz b,y . Integrando tra ζ e h lungo la normale al fondo si ricava la distribuzione idrostatica delle pressioni nel caso tridimensionale: ζ ζζ ζζ p = p b 1− . (B.37) h Inoltre è opportuno osservare che: ·ζ pζζ = pζζ = p·ζ ζ = pζ . Questo deriva dal fatto che g ζ = gζ (si veda Eq. (B.22)). 191 B.1.3 I coefficienti di spinta Il tensore degli sforzi nel modello tridimensionale viene scritto rispetto al riferimento di coordinate (Ξ, H, ζ), definito in §3.1.1. Si fa riferimento alla teoria sviluppata da Hutter ed altri nell’articolo “Two dimensional spreading of a granular avalanche down an inclined plane” [6]. Si suppone che il cerchio di Mohr tangente all’inviluppo di rottura sia quello che descrive lo stato di sforzo sul piano Ξζ. Inoltre si pone pΞζ = − tan δ pζζ , essendo δ l’angolo d’attrito al fondo. Nel piano di Mohr, l’inviluppo di rottura, facendo riferimento al criterio di Coulomb per un materiale privo di coesione e dotato di un angolo d’attrito interno φ, è una retta passante per l’origine ed inclinata di φ rispetto all’asse delle σ. Vi sono due cerchi di Mohr che soddisfano la condizione di passaggio per il punto (pζζ , tan δ pζζ ) e la condizione di tangenza all’inviluppo di rottura, come è evidente in Figura B.5: Figura B.5: Lo stato di sforzo in corrispondenza del piano Ξζ, rappresentato nel piano di Mohr. Se si indicano con s e con t rispettivamente la posizione del centro del cerchio sull’asse delle σ ed il raggio del cerchio, le con192 dizioni di tangenza e di passaggio per (pζζ , tan δ pζζ ) sono espresse dalle equazioni: t = s sin φ , (B.38) (pζζ − s)2 + (pζζ tan δ)2 = t2 . (B.39) Risolvendo il sistema dato dalle due equazioni, si ottengono due soluzioni: 1 s= cos2 φ sin φ t= cos2 φ ! cos2 φ 1± 1− pζζ , cos2 δ ! r cos2 φ 1± 1− pζζ . cos2 δ r (B.41) La soluzione con il segno + corrisponde alle condizioni di spinta passiva. Quella col segno − alle condizioni di spinta attiva. Il coefficiente con cui moltiplicare pζζ per ottenere pΞΞ è di conseguenza pari a: pΞΞ 2 s − pζζ = = pζζ pζζ ! r 2 cos2 φ 1∓ 1− − 1. = cos2 φ cos2 δ ka/p = (B.42) Si possono inoltre ricavare i valori dei coefficienti di spinta corrispondenti agli sforzi principali massimo e minimo: s+t 1 + sin φ σ1 = = k1 = pζζ pζζ cos2 φ k3 = s−t 1 − sin φ σ3 = = pζζ pζζ cos2 φ 193 ! cos2 φ 1∓ 1− , cos2 δ ! r cos2 φ 1∓ 1− . cos2 δ r (B.43) (B.44) Anche in queste equazioni il segno − corrisponde alla situazione Ξ di spinta attiva, che si suppone si realizzi quando ∂U > 0. Il segno ∂Ξ ∂UΞ + vale in condizioni di spinta passiva, per ∂Ξ < 0. 194 B.1.4 La trasformazione del riferimento Si osserva che i vettori della base del riferimento cartesiano locale (Ξ, H, ζ) sono reciprocamente ortogonali. Inoltre li si può scegliere di modulo unitario. Ne consegue che non c’è distinzione tra i vettori della base “roof” e quelli della base “cellar” [24]. Siano p˜ij le componenti del tensore degli sforzi nel riferimento locale, definito dai versori ẽi (con i = 1, 2, 3); il tensore degli sforzi può essere scritto come: P̃ = p˜ij (e˜j ẽi ) . Le componenti rispetto al riferimento assoluto, definito dai versori ei (con i = 1, 2, 3), possono essere calcolate come: pkl = el · P̃ ek = p˜ij (el · e˜j ) (ẽi · ek ) = (B.45) T = p˜ij Eki Elj = E P̃ E , kl dove E è la matrice avente nelle colonne le componenti dei versori della base locale rispetto al riferimento assoluto (Eki è la k-esima componente del vettore ẽi rispetto al riferimento assoluto). Essendo Φb (x, y, z) = z −b (x, y) = 0 l’equazione implicita della superficie del fondo nel riferimento assoluto, la direzione ζ risulta definita dal versore: eζ = (−b,x , −b,y , 1) ∇Φb =p . |∇Φb | 1 + b2,x + b2,y (B.46) Per la definizione del versore eΞ e del versore eH si distinguono due casi: - Se l’ammasso è in movimento il versore che definisce la direzione Ξ viene preso parallelo alla direzione della velocità al fondo: u eΞ = . |u| z=b(x,y) 195 Supponendo che il profilo di velocità sia uniforme sulla verticale (hp. 6, pag. 12) si può sostituire la velocità al fondo con la velocità media. Questa deve essere parallela alla superficie del pendio, onde evitare che sia violata la condizione cinematica al fondo. Si può allora esprimere eΞ come: eΞ = U 1 =p (Ux , Uy , Uz ) . 2 |U| Ux + U y 2 + U z 2 (B.47) Il versore eH sarà ortogonale ai due precedenti; in particolare: eH = −eΞ ∧ eζ = = (− (Uz b,y + Uy ) , Uz b,x + Ux , Ux b,y − Uy b,x ) (B.48) p . p Ux 2 + Uy 2 + Uz 2 1 + b2,x + b2,y - Nel caso in cui la neve sia ferma si assume che la direzione Ξ lungo la quale si sviluppa la resistenza per attrito del terreno sia quella definita dalla proiezione sul pendio della linea di massima pendenza della superficie della massa nevosa. Si proietta sulla superficie del fondo la componente orizzontale v1 del vettore ∇f , ottenuta sottraendo a ∇f la sua componente lungo la verticale: v1 = ∇f − (∇f · ez ) ez = · · · = (−f,x ; −f,y ; 0) . Togliendo a v1 la sua componente in direzione normale al pendio, se ne ricava la proiezione lungo il pendio v2 : v2 = v1 − (v1 · eζ ) eζ = · · · = −f,x 1 + b2,y + f,y b,x b,y 1 2 = −f 1 + b ,y ,x + f,x b,x b,y . 2 2 1 + b,xx + b,yy − (f,x b,x + f,y b,y ) A questo punto, dividendo per il modulo, si perviene alla 196 forma definitiva: −f,x 1 + b2,y + f,y b,x b,y v2 1 eΞ = = −f,y 1 + b2,x + f,x b,x b,y , (B.49) |v2 | M − (f,x b,x + f,y b,y ) dove: M= q q 1 + b2,x + b2,y (f,x b,y − f,y b,x )2 + f,x2 + f,y2 . Il versore normale al fondo è sempre dato da (B.46). Invece nella direzione H si ottiene: eH = −eΞ ∧ eζ (−f,y , f,x , f,x b,y − f,y b,x ) . =q (f,x b,y − f,y b,x )2 + f,x2 + f,y2 197 (B.50) B.1.5 Le equazioni del moto mediate sulla verticale Viene ora eseguita l’operazione di media lungo z dell’equazione di continuità (3.11) e delle equazioni di conservazione della quantità di moto nella direzione x (3.12) e nella direzione y (3.11). Si definiscono le componenti del vettore velocità mediate sulla verticale: 1 Ux = H Z 1 Uz = H Z f 1 Uy = H ux dz , b f Z f uy dz , b (B.51) uz dz . b Integrando lungo z l’equazione di continuità (3.11), si ottiene: Z ⇒ + Z f ux dz b Z (ux,x + uy,y + uz,z ) dz = 0 b f uy dz b f ,x ,y ⇒ − (ux )f f,x + (ux )b b,x − (uy )f f,y + (uy )b b,y + (uz )f − (uz )b = 0 . Richiamando le condizioni al contorno di tipo cinematico in superficie libera (3.16) e al fondo (3.15), si giunge all’espressione: H,t + (H Ux ),x + (H Uy ),y = 0 . (B.52) Prima di integrare i termini inerziali dell’equazione di conservazione della quantità di moto nella direzione x (Eq. (3.12)), è 198 opportuno esprimerli in forma conservativa: dux = ux,t +ux ux,x + uy ux,y + uz ux,z = dt = ux,t + (ux ux ),x + (uy ux ),y + (uz ux ),z + −ux (ux,x + uy,y + uz ,z ) = = ux,t + (ux ux ),x + (uy ux ),y + (uz ux ),z . Applicando l’operatore di media: Z f b dux dz = dt = Z + + = Z f b f ux dz b Z Z ux,t + ux 2 ,t ux dz b ,x + (ux uy ),y + + (ux uz ),z dz = f 2 − (ux )f f,t + f ux uy dz b − ux 2 ,x ,y f f,x + ux 2 b b,x + − (ux uy )f f,y + (ux uy )b b,y + (ux uz )f − (ux uz )b = (H Ux ),t + αxx H Ux 2 ,x + (αxy H Ux Uy ),y + + (ux )f −H,t − (ux )f f,x − (uy )f f,y + (uz )f + + (ux )b + (ux )b b,x + (uy )b b,y − (uz )b , dove si sono definiti i coefficienti di Coriolis αxx e αyy tali per cui: Z Z f ux 2 dz = αxx H Ux 2 , b f ux uy dz = αxy H Ux Uy . b 199 Sulla base delle condizioni al contorno di tipo cinematico, al fondo (3.15) e in superficie (3.16), si può semplificare: Z f b dux dz = (H Ux ),t + αxx H Ux 2 ,x + (αxy H Ux Uy ),y . dt Passando ora al secondo membro dell’equazione del moto nella direzione x, è possibile descrivere la generica componente del tensore degli sforzi, sviluppando l’equazione (3.21): pij (x, y, z, t) = ρ A (x, y, t) kij (x, y, t) (f (x, y, t) − z) . Risulterà perciò che: 1 pxx,x = (kxx,x A + kxx A,x ) (f − z) + kxx A f,x ρ e 1 pyx,y = (kyx,y A + kyx A,y ) (f − z) + kyx A f,y , ρ per cui, integrando, risulta: 1 ρ Z f pxx,x dz = (kxx,x A + kxx A,x ) b +kxx Af,x Z f Z f b (f − z) dz + dz = b H2 + kxx A f,x H , 2 Z Z f 1 f pyx,y dz = (kyx,y A + kyx A,y ) (f − z) dz + ρ b b Z f +kyx Af,y dz = = (kxx,x A + kxx A,x ) b = (kyx,y A + kyx A,y ) 1 ρ Z H2 + kyx A f,y H , 2 f b pzx,z dz = (pzx )f − (pzx )b = −kzx A H . 200 La media del secondo membro dell’equazione (3.12) fornisce: Z f Z f Z f 1 pzx,z dz = pyx,y dz + pxx,x dz + ρ b b b = ((kxx,x + kyx,y ) A + kxx A,x + kyx A,y ) H2 + 2 + (kxx f,x + kyx f,y − kzx ) A H . La proiezione dell’equazione del moto in direzione x, mediata sulla verticale, assume la seguente forma: (H Ux ) ,t + αxx H Ux 2 ,x + (αxy H Ux Uy ),y = H 2 (B.53) + = ((kxx,x + kyx,y ) A + kxx A,x + kyx A,y ) 2 + (kxx f,x + kyx f,y − kzx ) A H . La procedura è del tutto identica per l’integrazione delle equazioni del moto nella direzione y (3.13). Dalla media dei termini inerziali scritti in forma conservativa, si ricava che: Z f Z f duy dz = uy,t + (ux uy ),x + uy 2 ,y + dt b b + (uz uy ),z dz = = (H Uy ),t + (αxy H Ux Uy ),x + αyy H Uy 2 ,y + + (uy )f −H,t − (ux )f f,x − (uy )f f,y + (uz )f + + (uy )b + (ux )b b,x + (uy )b b,y − (uz )b = = (H Uy ),t + (αxy H Ux Uy ),x + αyy H Uy 2 ,y , avendo fatto ricorso alle condizioni cinematiche al fondo (3.15) ed in superficie libera (3.16) per semplificare. Si è inoltre introdotto il coefficiente di Coriolis, αyy , definito come: Z f uy 2 dz = αyy H Uy 2 . b 201 L’integrazione dei termini delle forze esterne restituisce la seguente espressione: 1 ρ Z f pxy,x dz + b Z f pyy ,y dz + b Z f pzy,z dz b = ((kxy,x + kyy,y ) A + kxy A,x + kyy A,y ) = H2 + 2 + (kxy f,x + kyy f,y − kzy ) A H . La equazione di conservazione della quantità di moto nella direzione y assume la seguente forma: (H Uy ) ,t + (αxy H Ux Uy ),x + αyy H Uy 2 ,y = = ((kxy,x + kyy,y ) A + kxy A,x + kyy A,y ) H2 + (B.54) 2 + (kxy f,x + kyy f,y − kzy ) A H . Le due equazioni di conservazione della quantità di moto, cosı̀ ricavate, sono ancora scritte in forma conservativa. Sviluppando le derivate dei termini inerziali, ricorrendo all’equazione di continuità (3.24) e, infine, dividendo per H, le si traduce in forma non conservativa. Sulla base dell’ipotesi di scivolamento (hp. 6, pag. 12), si suppone che il profilo di velocità lungo la verticale sia costante. Di conseguenza per i coefficienti di Coriolis vale la seguente relazione: αxx ∼ = αxy ∼ = αyy ∼ = 1. Si perviene quindi alla forma definitiva del sistema risolutivo: H,t + (H Ux ),x + (H Uy ),y = 0 , 202 (B.55) dUx = Ux,t + Ux Ux,x + Uy Ux,y = dt = ((kxx,x + kyx,y ) A + kxx A,x + kyx A,y ) H + 2 + (kxx H,x + kyx H,y ) A + + (kxx b,x + kyx b,y − kzx ) A , (B.56) dUy = Uy,t + Ux Uy,x + Uy Uy ,y = dt = ((kxy,x + kyy ,y ) A + kxy A,x + kyy A,y ) H + 2 + (kxy H,x + kyy H,y ) A + + (kxy b,x + kyy b,y − kzy ) A , (B.57) dove le derivate parziali rispetto alle variabili spaziali x e y della funzione f sono state scomposte in termini di H e di b: f (x, y, t) = b (x, y) + H (x, y, t) per cui f,x = b,x + H,x , f,y = b,y + H,y . Affinché sia rispettata la condizione cinematica al fondo, il vettore velocità media dovrà essere parallelo alla superficie del pendio. Da tale condizione si ricava un’espressione per il calcolo della componente verticale Uz del vettore velocità: Uz = b,x Ux + b,y Uy . (B.58) 203 B.2 Il modello numerico bidimensionale B.2.1 Il calcolo dei termini noti delle equazioni discretizzate Il coefficiente A Il coefficiente A è definito dall’equazione (3.22): A (x, y, t) = − 1 1+ b2,x + b2,y g+ 1 1+ b2,x + b2,y · 2 2 · b,xx Ux0 + b,xy Ux0 Uy0 + b,yy Uy0 ! , dove Ux0 e Uy0 sono date da (3.18): Ux0 = Ux 1 + b2,y − Uy b,x b,y + Uz b,x , Uy0 = −Ux b,x b,y + Uy 1 + b2,x + Uz b,y . Ux , Uy e Uz e le derivate prime e seconde della funzione b nelle direzioni x e y vanno calcolate in corrispondenza del nodo di calcolo j. La quota del fondo b è nota per punti su una griglia a maglie rettangolari di lati, ∆x e ∆y. b in un punto generico (x, y) può essere ottenuto attraverso un’interpolazione bilineare sugli otto nodi più vicini della griglia (si veda Figura B.6). b,x , b,y , b,xx , b,xy , b,yy , vengono calcolati tramite le derivate di tale funzione interpolante. La determinazione della funzione interpolante e delle sue derivate viene eseguita secondo la seguente procedura. Sia (xi , yj ), con xi = x0 + i ∆x e yj = y0 + j ∆y, il nodo della griglia a maglie rettangolari più vicino al punto (x, y); i e j sono dati dalla parte intera rispettivamente di ((x − x0 ) /∆x + 0.5) e di ((y − y0 ) /∆y + 0.5), essendo (x0 , y0 ) il vertice in basso a sinistra della griglia su cui è nota b. 204 Figura B.6: La griglia a maglie rettangolari l’interpolazione delle funzioni b = b(x, y) e δ = δ(x, y). utilizzata per Attraverso un cambiamento di variabili ci si riporta ad una griglia a maglie quadrate di lati di lunghezza unitaria, centrata nel nodo (xi , yj ). Vengono definite le due nuove variabili: x − xi e ∆x y − yj . Y = ∆y X= Se bij è il valore della funzione b noto nel nodo (i, j), la funzione interpolante ha la forma: P (x, y) = 1 1 X X Lij (X, Y ) bij i=−1 j=−1 Lij (X) = Li (X) Lj (Y ) . 205 dove (B.59) Li (X) e Lj (Y ) sono delle funzioni base di secondo grado per le quali vale: Li (Xk ) = δik , Lj (Yk ) = δjk , dove δij è il delta di Kronecker, pari a 0 se i 6= j e pari a 1 se i = j. In particolare: X (X − 1) , 2 L0 (X) = (1 − X) (1 + X) , L−1 (X) = L1 (X) = (B.60) X (X + 1) , 2 Le espressioni delle funzioni Lj (Y ) sono del tutto simili. A questo punto si possono scrivere, con facilità, le derivate prime della funzione interpolante rispetto alle variabili X e Y : 1 1 X X ∂P (X, Y ) ∂Li (X) = Lj (Y ) bij , ∂X ∂X i=−1 j=−1 1 1 X X ∂P (X, Y ) ∂Lj (Y ) = Li (X) bij , ∂Y ∂Y i=−1 j=−1 (B.61) dove le derivate delle funzioni di base sono date da: ∂L−1 (X) 2X − 1 = , ∂X 2 ∂L0 (X) = −2 X , ∂X ∂L1 (X) 2X +1 = . ∂X 2 Si ottengono delle espressioni simili per le derivate delle funzioni base nella direzione Y . 206 Derivando una seconda volta le equazioni (B.61) rispetto a X e a Y , si ottiene: 1 1 X X ∂ 2 Li (X) ∂ 2 P (X, Y ) = Lj (Y ) bij , ∂X 2 ∂X 2 i=−1 j=−1 1 1 X X ∂ 2 P (X, Y ) ∂Li (X) ∂Lj (Y ) = bij , ∂X∂Y ∂X ∂Y i=−1 j=−1 (B.62) 1 1 X X ∂ 2 Lj (Y ) ∂ 2 P (X, Y ) = L (X) bij , i ∂Y 2 ∂Y 2 i=−1 j=−1 dove per le derivate seconde della funzione di base si fa uso delle espressioni: ∂ 2 L−1 (X) = 1, ∂X 2 ∂ 2 L0 (X) = −2 , ∂X 2 ∂ 2 L1 (X) = 1. ∂X 2 (B.63) Non cambia nulla nelle derivate seconde delle funzioni base nella direzione Y. Va osservato però che la trasformazione di variabili comprende anche una variazione di scala. Questo comporta che per ottenere le derivate rispetto alle variabili originarie si dovrà applicare alle espressioni appena descritte degli opportuni fattori: ∂ 1 ∂ = , ∂x ∆x ∂X ∂2 1 ∂2 = , ∂x2 (∆x)2 ∂X 2 ∂ 1 ∂ = , ∂y ∆y ∂y ∂2 1 ∂2 = , ∂y 2 (∆y)2 ∂Y 2 ∂2 1 ∂2 = . ∂x∂y ∆x ∆y ∂X∂Y 207 Nel caso in cui risulti A negativo il programma si arresta. Infatti A è proporzionale allo sforzo pζζ che si sviluppa al fondo. Un valore di A negativo corrisponde ad uno sforzo di trazione. In tali condizioni la neve perde aderenza al suolo e la situazione che si viene a presentare non può essere interpretata tramite il modello proposto. Il problema si può presentare quando si combinano elevate velocità a forti convessità del fondo, a causa dell’elevato valore che assume il termine centrifugo. La soluzione migliore è quella di rappresentare la geometria del pendio con un minore dettaglio, cercando soprattutto di smorzare le brusche variazioni di pendenza. Il tensore dei coefficienti di spinta Nelle equazioni del moto, kij rappresentano le componenti rispetto al riferimento assoluto del tensore dei coefficienti di spinta K. Dall’equazione (3.20) si ricava che: T ki,j = (K)ij = E K̃ E . (B.64) ij K̃ è il tensore dei coefficienti di spinta scritto nel riferimento locale, di assi Ξ, H e ζ: ka/p 0 − tan δ K̃ = 0 k2 0 , − tan δ 0 1 Le componenti di tale tensore vengono calcolate, inizialmente, in corrispondenza dei triangoli di base. δ é valutato nel baricentro dei triangoli le cui coordinate sono date da: x1 + x 2 + x 3 , 3 y1 + y 2 + y 3 , yc = 3 xc = essendo (xj ; yj ) le coordinate del j-esimo vertice del triangolo. δ è noto per punti su una griglia regolare a maglie rettangolari, come la 208 quota del fondo b. Per calcolarlo nel baricentro dei triangoli, che in generale non insiste sui nodi di tale griglia, si fa uso delle funzioni interpolanti bilineari descritte in precedenza (si veda Eq. (B.59)). Si osserva che sarebbe opportuno ricorrere ai due diversi valori dell’angolo d’attrito, quello statico e quello dinamico, minore di circa 4o [10], a seconda che la massa sia ferma o in movimento. Le espressioni per ka/p sono date da (3.4), quelle per k2 da (3.5) in condizioni di spinta attiva e da (3.6) in condizioni di spinta passiva. φ è assunto costante per l’intera massa di neve. La scelta tra le condizioni di spinta attiva e passiva viene fatta sulla base del ∂U valore di ∂Ξ , avendo definito con U il modulo del vettore velocità media. Noti i valori di U sui vertici del triangolo per il quale si sta ∂U viene calcolando il tensore dei coefficienti di spinta, la derivata ∂Ξ calcolata in corrispondenza del triangolo stesso come: ∂U = ∇U · eΞ . ∂Ξ (B.65) Indicando con Uxy la componente orizzontale del vettore velocità, e con EP SI il valore di velocità che discrimina tra le condizioni di movimento e quelle di stazionarietà (si veda §2.2, pag. 155): - se il nodo considerato è in movimento, cioè se: p |Uxy | = Ux 2 + Uy 2 > EP SI , eΞ è dato dall’espressione (B.47); - se invece il nodo è fermo, cioè se: |Uxy | < EP SI , si ricorre alla formula (B.49). eΞ è noto nei vertici. Il valore medio di eΞ nel triangolo di calcolo viene ricavato sommando vettorialmente i vettori che definiscono la direzione Ξ nei vertici del triangolo e dividendo poi per il modulo del vettore somma. 209 Il gradiente ∇U viene calcolato eseguendo l’interpolazione lineare dei valori di U sui vertici dei triangoli. Se (xi , yi ) con i = 1, 2, 3 sono le coordinate dei tre vertici del triangolo analizzato e Ui i valori che la componente tangenziale di velocità possiede in tali punti, si può definire un piano interpolante di equazione U = a x + b y + c. Come approssimazione del gradiente di U può essere assunta l’espressione: ∇U = (U,x ; U,y ) ∼ = (a; b) , con a e b dati da: U1 (y2 − y3 ) + U2 (y3 − y1 ) + U3 (y1 − y2 ) , det U1 (x2 − x3 ) + U2 (x3 − x1 ) + U3 (x1 − x2 ) , b= det a= (B.66) dove: det = x1 (y2 − y3 ) + x2 (y3 − y1 ) + x3 (y1 − y2 ) . Se det è molto piccolo significa che i tre vertici del triangolo sono praticamente allineati e ciò vuol dire che la mesh si è fortemente deformata. I risultati restituiti dal programma sono affetti allora da grossi errori, per cui si è introdotto un controllo su det, che arresta il programma quando il suo valore è troppo piccolo. A questo punto per discriminare tra le condizioni di spinta attiva e le condizioni di spinta passiva bisognerebbe verificare il segno ∂U della derivata ∂Ξ , data dall’equazione (B.65). Anche quando la massa è considerata ferma (|Uxy | < EP SI), possono persistere delle differenze tra i valori di velocità calcolati nei vertici, dell’ordine di grandezza di EP SI. Quindi si possono ∂U ottenere dei valori diversi da 0 per ∂Ξ . In particolare se si indica con LΞs la dimensione caratteristica ∂U della cella nella direzione Ξ, il modello restituisce per ∂Ξ dei valori che hanno un ordine di grandezza di EP SI/LΞs , mentre si dovrebbe ottenere un valore nullo. ∂U rendono il modello Questi errori nella determinazione di ∂Ξ instabile, poiché possono essere di segno diverso e quindi dar luogo 210 a improvvisi passaggi del coefficiente di spinta dal valore ka al valore kp o viceversa. Si è risolto il problema imponendo le condizioni di spinta attiva ∂U SI quando ∂Ξ > − EP , dove per LΞs si è assunto il minimo valore LΞs tra le proiezioni dei lati del triangolo nella direzione Ξ media per il triangolo. Le condizioni di spinta passiva si realizzano invece SI ∂U < − EP . quando ∂Ξ LΞs Cosı̀ facendo, quando tutti e tre i nodi della cella in questione sono fermi, il modello assegna quasi sempre le condizioni di spinta Ξ attiva, dato che, nello stato stazionario, risulta in genere ∂U < ∂Ξ SI − EP . La cosa può essere corretta nella fase di avvio, dato che LΞs comunque la massa tende ad estendersi in tali condizioni. Invece, dopo che la massa si è arrestata, lo stato tensionale residuo è più difficile da prevedere. L’approssimazione è quindi più arbitraria, ma in ogni caso motivabile con l’impossibilità di descrivere l’effettiva configurazione dello stato di sforzo interno. Rimane ora da decidere che valore assegnare a k2 tra quelli forniti dalle equazioni (3.5) nelle condizioni di spinta attiva e dalle equazioni (3.6) nelle condizioni di spinta passiva. la tensione principale intermedia potrebbe assumere tutti i valori compresi tra la tensione principale massima e la tensione principale minima. Il modello di Hutter ed altri [6] assume k2 = k3 , cioè considera pHH pari SI H > − EP . Se invece alla tensione principale minima, quando ∂U ∂H LHs ∂UH EP SI < − LHs si fa ricorso alla tensione principale massima, cioè si ∂H pone k2 = k1 . ∂U H La procedura per il calcolo di ∂U ricalca quella vista per ∂Ξ . ∂H Si determina UH nei vertici attraverso il prodotto scalare di U e eH . L’espressione che fornisce eH è data dall’equazione (B.48) o dall’equazione (B.50) a seconda che il nodo analizzato sia in movimento o fermo. Si calcola quindi il gradiente di UH in corrispondenza del triangolo, passando per la determinazione della giacitura del piano interpolante i valori di UH nei vertici. Infine si pone ∂UH = ∇UH · eH , ∂H dove adesso eH non è quello relativo ai vertici, ma quello del trian211 golo, ottenuto come media delle direzioni H dei vertici che lo definiscono. Per LHs si assume la più piccola tra le proiezioni dei lati del triangolo nella direzione H. I coefficienti di spinta nei vertici vengono valutati facendo la media pesata dei valori che essi assumono nei triangoli adiacenti. Come peso si utilizza l’area dei triangoli. Si arriva cosı̀ a determinare in corrispondenza dei vertici il tensore dei coefficienti di spinta relativo al riferimento locale K̃. La trasformazione, che consente di passare al riferimento assoluto, di assi x, y, z, è definita dal tensore E, il cui generico elemento eij rappresenta la i-esima componente rispetto al riferimento assoluto del j-esimo versore che definisce il riferimento locale. E cioè contiene nelle colonne le componenti rispetto al riferimento assoluto, dei versori di base del riferimento locale eΞ , eH , eζ . Le componenti di eΞ e eH sono date dalle equazioni (B.47) e (B.48) se il nodo è in moto e da (B.49) e (B.50) se il nodo è fermo. Invece eζ è dato in ogni situazione da (B.46). Il passaggio dalle componenti del tensore dei coefficienti nel riferimento locale a quelle nel riferimento assoluto è descritto in termini indiciali dalle equazioni: kij = eik k˜kl ejl , dove gli indici i, j e k assumono i valori Ξ, H e ζ (si veda Eq. (B.64)). Il gradiente del coefficiente A Il coefficiente A è noto nei vertici e si vuole calcolarne il gradiente nei vertici stessi. Si valuta ∇A in corrispondenza dei triangoli, assumendolo pari al gradiente della funzione lineare che interpola i valori di A nei vertici. Fin qui si segue una procedura simile a quella vista per i gradienti di U e UH . A questo punto il valore di ∇A nel generico vertice può essere ottenuto come media, pesata sulle aree, dei valori che esso assume nei triangoli adiacenti. Un altro schema di calcolo testato, prevedeva di assumere, tra i valori dei gradienti di A dei triangoli adiacenti, quello di minimo modulo. L’errore che si commette in questo caso è maggiore. 212 Tuttavia può avere un benefico effetto di tipo diffusivo, in quanto smorza gli elevati gradienti che possono instaurarsi quando la mesh è molto fitta o quando tende fortemente a deformarsi. Il gradiente dell’altezza verticale H In questo caso si vuole ottenere nei vertici il gradiente di una funzione nota in corrispondenza delle celle della mesh. Si cerca la funzione lineare che approssima ai minimi quadrati i valori delle altezze medie delle celle adiacenti, pensati assegnati ai baricentri dei triangoli di base. Si assume poi il gradiente di H coincidente con il gradiente di tale funzione approssimante. La tecnica dei “minimi quadrati” viene applicata con l’utilizzo di pesi, rappresentati, per ogni cella adiacente il vertice di calcolo, dal rapporto tra l’area della cella stessa e la somma delle aree di tutte le celle contigue. Sia H = aj x + bj y + cj l’equazione del piano con il quale si vuole appprossimare l’andamento dell’altezza verticale del manto in prossimità del nodo j; la funzione errore che si vuole minimizzare è: Errj = Errj (aj , bj , cj ) = = ntj X i=1 dove (j) (j) (j) xci , yci (j) (j) (j) aj xci + bj yci + cj − Hi 2 A(j) i , Atot j (j) sono le coordinate del baricentro, Ai è l’area e Hi è l’altezza media della neve dell’i-esimo triangolo contiguo al vertice j; ntj e Atot j sono rispettivamente il numero e la somma delle aree dei triangoli adiacenti al vertice j: Atot j = ntj X (j) Ak . k=1 Per minimizzare il valore della funzione errore Err, si impone l’annullamento delle derivate parziali della funzione Err rispetto ai parametri della funzione approssimante aj , bj e cj . Si ottengono tre equazioni lineari in tali parametri incogniti. 213 Il parametro cj non serve per il calcolo del gradiente di H, dato che si assume: ∂H ∂H ∼ , (∇H)|j = = (aj , bj ) . ∂x ∂y j Si possono combinare opportunamente le tre equazioni in modo da eliminare l’incognita cj , riportandosi cosı̀ ad un sistema lineare di due equazioni in due incognite: 2 aj XXj − Xcj + bj (XYj − Xcj Ycj ) = Hx − H̄ Xcj , (B.67) aj (XYj − Xcj Ycj ) + bj Y Yj − Ycj2 = Hy − H̄ Ycj , dove si è posto: Xcj = ntj X (j) (j) xci i=1 XXj = ntj X Ai , Atot j (j) xci i=1 XYj = ntj X ntj X Y Yj = (j) yci Ai , Atot j H̄ = ntj X (j) i=1 Ai , Atot j Hy = ntj X XXj − (j) (j) Hy − H̄ Ycj + essendo: (j) i=1 − (XYj − Xcj Ycj ) Hx − H̄ Xcj 2 det = XXj − Xcj Ai , Atot j Hi yci − (XYj − Xcj Ycj ) Hy − H̄ Ycj 2 Xcj 2 A(j) i , Atot j (j) (j) Hi La soluzione del sistema è data da: 1 aj = Y Yj − Ycj2 Hx − H̄ Xcj + det 1 bj = det (j) yci i=1 (j) (j) Hi xci ntj X Ai , Atot j i=1 (j) (j) xci (j) (j) yci i=1 2 A(j) i , Atot j i=1 Hx = Ycj = ntj X Ai . Atot j , (B.68) , Y Yj − Ycj2 − (XYj − Xcj Ycj )2 , 214 il determinante della matrice del sistema. Si osserva che se i triangoli adiacenti il vertice di calcolo sono uno o due, il problema risulta indeterminato visto che vi sono infiniti piani passanti per uno o due punti nello spazio. Se le celle attorno al vertice in cui è nota H sono tre, allora si ha un piano interpolante tre punti. Solo se il numero di triangoli è maggiore di tre si ha effettivamente un problema di approssimazione. Per i vertici di contorno sorge il problema di introdurre il vincolo del passaggio dell’altezza della neve per 0 o lungo i lati di contorno connessi al vertice studiato, o in corrispondenza di una retta passante per il vertice stesso. Nel modello numerico vengono proposte due soluzioni. La prima consta nell’introdurre, per ogni vertice di contorno, una mesh ausiliaria, costituita dai triangoli simmetrici, rispetto al vertice stesso, dei triangoli ad esso adiacenti (si veda Figura B.7). A ciascuno di tali triangoli simmetrici viene assegnato un volume pari in modulo, ma di segno opposto, rispetto al volume del triangolo corrispondente nella mesh originaria. Dal punto di vista del calcolo, si tratta semplicemente di calcolare le coordinate dei vertici simmetrici, collegare opportunamente tali vertici in modo da formare i triangoli simmetrici e infine riconoscere le relazione di simmetria dei triangoli cosı̀ generati, in maniera da assegnare i corretti valori di volume. Indicando con (x0 , y0 ) le coordinate del vertice di contorno e con (xp , yp ) quelle di un generico vertice connesso, Il vertice simmetrico avrà coordinate x0p , yp0 date da: x0p = 2 x0 − xp , yp0 = 2 y0 − yp . Nel caso in cui il vertice connesso sia un vertice d’angolo, cioè appartenga ad un solo triangolo, vi sarà un solo triangolo simmetrico. Per quanto detto in precedenza, il problema risulta, in questo caso, indeterminato, in quanto vi sono in tutto solo due triangoli in cui è nota H. In tale situazione si introducono due altri triangoli ausiliari, ottenuti collegando ciascun vertice simmetrico con il vertice di contorno che si trova di fronte ad esso (Figura B.8). 215 Figura B.7: La mesh ausiliaria per i vertici di contorno, costituita dai triangoli simmetrici rispetto al vertice analizzato dei triangoli a questo adiacenti. A tali triangoli viene assegnato un volume nullo. Con questo tipo di approccio si fa in modo che il piano approssimante intersechi necessariamente il piano xy lungo una retta passante per il vertice. La seconda soluzione proposta è di considerare solo i triangoli simmetrici, rispetto ai lati connessi di contorno, dei triangoli a questi adiacenti (Figura B.9), ed assegnare ad essi un volume negativo, in modulo pari a quello del triangolo simmetrico. Facendo in questa maniera si impone che l’altezza della neve si annulli lungo i lati connessi. Comunque il piano approssimante non potrà passare per entrambi tali lati, anche se certamente passerà per il vertice di contorno. Inoltre i gradienti risulteranno forse più precisi, ma certamente anche maggiori in modulo e ciò può creare 216 Figura B.8: La mesh ausiliaria per i nodi di contorno appartenenti ad un solo triangolo di base. dei problemi di instabilità. Siano (x0 , y0 ) e (x1 , y1 ) le coordinate dei punti che definiscono il lato di contorno e (x2 , y2 ) le coordinate del vertice interno del triangolo di contorno, il vertice del triangolo simmetrico avrà 217 Figura B.9: La mesh ausiliaria per i vertici di contorno, costituita dai triangoli di contorno simmetrici rispetto ai lati del contorno che convergono al nodo di calcolo. coordinate: x02 = 1 · (x1 − x0 ) + (y1 − y0 )2 2 · 2 (x1 − x0 ) (y1 − y0 ) (y − y0 ) + y20 +x (x1 − x0 )2 + (2 x0 − x) (y1 − y0 )2 , 1 · = 2 (x1 − x0 ) + (y1 − y0 )2 · 2 (y1 − y0 ) (x1 − x0 ) (x − x0 ) +y (y1 − y0 )2 + (2 y0 − y) (x1 − x0 )2 . 218 (B.69) Le derivate dei coefficienti di spinta I termini nelle derivate dei coefficienti di spinta delle equazioni (3.34) e (3.35) sono stati trascurati. Le motivazioni sono le stesse presentate parlando del modello numerico monodimensionale in §A.3.1 a pag.156. 219 B.2.2 Le condizioni di stabilità La prima condizione di stabità mira a evitare la degenerazione della mesh. Si consideri il generico triangolo rappresentato in Figura B.10. Figura B.10: Interpretazione geometrica che sottende il calcolo del ∆t che garantisce le condizioni di stabilità. Viene analizzato di seguito cosa accade con riferimento al vertice 1. Gli stessi ragionamenti valgono anche per gli altri vertici. Si definisce dn1 la distanza del vertice 1 dal lato opposto: dn1 = l1 sin α2 , dove l1 è la lunghezza del lato compreso tra il vertice 1 ed il vertice 2 e α2 è l’angolo compreso tra il lato 1 ed il lato 2. α2 viene calcolato come l’arco il cui coseno è pari al prodotto scalare tra 220 il versore che definisce la direzione del lato 1 ed il versore diretto come il lato 2. Nello schema di calcolo si fa in modo che, nell’intervallo di tempo ∆t, il nodo 1 non compia, nella direzione normale al lato opposto, uno spazio maggiore di una certa frazione βu della distanza dal lato stesso dn1 , sia che il nodo si avvicini al lato opposto, sia che si allontani. Se si indica con Un1 la componente del vettore velocità orizzontale nella direzione normale al lato 2, deve essere: ∆t ≤ βu dn1 . |Un1 | Viene scelto il massimo ∆t, non superiore al valore inizialmente impostato, che soddisfa tale condizione per tutti i vertici di tutti i triangoli. Si aggiunge poi una seconda condizione legata alla celerità di propagazione delle onde gravitazionali di piccola ampiezza. Si impone che una qualsiasi perturbazione del campo di moto che si manifesta nel vertice 1 non possa compiere, nell’intervallo temporale di calcolo, uno spazio maggiore di una certa frazione βc della distanza dn1 del nodo dal lato opposto. I valori di βu e di βc che danno i risultati migliori in termini di stabilità sono rispettivamente 0.25 e 1. Si possono perciò unire le due condizioni attraverso l’espressione: ∆t ≤ 0.25 dn1 , max (|Un1 | , 0.25 |cmax |) dove cmax è il valore massimo della celerità di propagazione che può √ realizzarsi nella direzione normale al lato 2 ed è pari a cmax = A H k1 , essendo k1 il coefficiente di spinta corrispondente alla tensione principale massima. Per la dimostrazione si rimanda a Appendice B.2.3. Si impone un’ulteriore condizione sull’intervallo temporale di calcolo onde impedire le fittizie inversioni del vettore velocità durante la fase di arresto. In tali condizioni di moto la variazione nell’unità di tempo del vettore velocità, data da f , non sarà orientata esattamente in direzione opposta a Uxy . D’altro canto decise 221 variazioni di direzione possono manifestarsi anche in seguito a brusche deviazioni del moto, non solo in fase di arresto. Si è pertanto deciso di intervenire con una correzione dell’intervallo temporale ∆t di calcolo, solo quando l’angolo α, compreso tra il vettore velocità orizzontale Uxy ed il vettore f (vedi Figura B.11), assume un valore all’interno dell’intervallo tra i 179.95o ed i 180.05o . In questo modo la correzione dell’intervallo temporale ∆t dovrebbe essere applicata solo in condizioni che portano effettivamente all’arresto del materiale. Figura B.11: Il calcolo del ∆t che consente di annullare la componente di velocità nella direzione originaria del moto. L’intervallo ∆t viene ridotto fino al valore che consente di annullare la componente del vettore velocità nella sua direzione originaria: ∆t = − cos α = |Uxy | |f | cos α con Uxy f · . |f | |Uxy | Visto che f non è esattamente opposto a Uxy , si originerà una componente trasversale di velocità. Quindi non è detto che nel nodo 222 analizzato si arrivi ad avere |Uxy | < EP SI (si veda Figura B.11). Vengono però smorzate quelle inversioni di direzione del vettore velocità che disturbano la fase di arresto. 223 B.2.3 Il termine diffusivo Si rimanda al paragrafo §A.3.4 per la presentazione dei motivi che hanno indotto all’introduzione di un termine diffusivo nell’equazione del moto. A quanto detto si può aggiungere solo che, mentre nel modello monodimensionale il termine diffusivo non è quasi mai necessario, nel modello bidimensionale in moltissimi casi non si può evitare di introdurlo al fine di ottenere un modello stabile. Infatti senza termine diffusivo si arriva spesso ad un’eccessiva deformazione della mesh, con triangoli caratterizzati da aree o angoli molto piccoli. Sono state fatte delle prove con diverse forme dei termini diffusivi aggiunti alle funzioni fx e fy , definite in Eq. (3.34) e Eq. (3.35). I risultati migliori sono stati ottenuti con le seguenti espressioni: 1 ∀ 1 ∀ Z Z ∀ β ∇ · (cx ∇Ux ) d∀ , ∀ β ∇ · (cy ∇Uy ) d∀ , (B.70) cx e cy sono i valori delle celerità di propagazione delle onde gravitazionali di piccola ampiezza, rispetto ad un osservatore solidale con l’ammasso in movimento, nelle direzioni x e y. ∀ è il “covolume”, preso attorno al vertice di calcolo, rappresentato dall’area compresa all’interno della poligonale chiusa, che passa per i baricentri dei triangoli adiacenti al vertice e per i punti medi dei lati connessi (si veda Figura B.12). β è una costante, dimensionalmente una lunghezza. Di seguito viene proposta la modalità di calcolo del termine diffusivo aggiunto all’equazione scritta nella direzione x. Non cambia nulla nella direzione y. Applicando il teorema della divergenza si passa da un integrale sul covolume ad un integrale sul perimetro della poligonale ∂∀ che racchiude il covolume: Z I 1 1 β ∇ · (cx ∇Ux ) d∀ = β cx ∇Ux · n dA . ∀ ∀ ∀ ∂∀ 224 Figura B.12: Il “covolume” sul quale viene integrato il termine diffusivo. Nel modello bidimensionale le “aree” di contorno del covolume sono rappresentate dai segmenti che uniscono i baricentri dei triangoli con i punti medi dei lati connessi al nodo su cui si sta eseguendo l’analisi. Se si indica con k il generico elemento di covolume evidenziato in Figura B.12, l’integrale può essere discretizzato con la seguente sommatoria: I 1 β cx ∇Ux · n dA ∼ = ∀ ∂∀ (B.71) n X 1 ∼ βk cxk ((∇Ux )k · nk ) lk , = Acov k=1 225 dove: n è il numero di elementi in cui viene diviso il covolume, pari al doppio del numero di triangoli che condividono il vertice di calcolo; cxk è il valore della celerità di propagazione delle onde di gravità di piccola ampiezza, nella direzione x, per l’elemento di covolume k; poiché cx , è calcolata in corrispondenza dei vertici, cxk viene ottenuto come media dei valori che assume nei vertici del triangolo, all’interno del quale si colloca l’elemento di covolume k; (∇Ux )k è il valore del gradiente della componente di velocità Ux , calcolato nel triangolo a cui appartiene l’elemento di covolume k, secondo la procedura vista anche per ∇U in §3.2.1, parlando del tensore dei coefficienti di spinta; lk e nk rappresentano la lunghezza e la normale uscente del tratto di poligonale di contorno del covolume appartenente all’elemento k; la costante βk viene assunta pari alla lunghezza del lato della mesh su cui insiste l’elemento di covolume k (vedi Figura B.12); Acov è l’area del covolume preso attorno al nodo di calcolo e risulta pari ad 1/3 della somma delle aree dei triangoli adiacenti al nodo; infatti la frazione di covolume compresa all’interno di ciascun triangolo è un terzo dell’area del triangolo stesso. Se il vertice si trova sul contorno, si dovranno aggiungere i contributi di flusso del vettore β cx ∇Ux attraverso i lati di contorno. In particolare, considerando l’elemento di covolume rappresentato in Figura B.13, si aggiunge alla somma (B.71) il termine: (βk )c (cxk )c ((∇Ux )k )c · (nk )c (lk )c , dove: 226 il pedice c dice che ci si trova sul contorno; ((∇Ux )k )c e (cxk )c sono relativi al triangolo di appartenenza dell’elemento di covolume, come accade per gli elementi di covolume interni; (lk )c e (nk )c sono la lunghezza e la normale uscente per il lato di contorno dell’elemento di covolume; (βk )c è assunto pari a due volte la lunghezza del lato dell’elemento di covolume, che unisce il baricentro del triangolo di appartenenza con il punto medio del lato di contorno connesso al vertice analizzato. Figura B.13: Nel caso di vertici di contorno, il calcolo dei flussi attraverso i lati di contorno. Si tratta ora di ricavare delle espressioni per le celerità di propagazione cx e cy . Per farlo si procede in maniera analoga a quella vista nel monodimensionale §A.3.4. Per riportarsi in un’ottica lagrangiana, si scrivono l’equazione di continuità, (3.24), e le equazioni di conservazione della quantità di 227 moto nella direzione x e y, (3.25) e (3.26), rispetto ad un osservatore che si muove con la velocità Uxy nel piano xy. Vengono definite tre nuove variabili: x̄ = x̄(x, t) = x − Z ȳ = ȳ(y, t) = y − Z t̄ = t̄(t) = t , t Ux dt , 0 t Uy dt , 0 per le quali vale: ∂ x̄ = 1, ∂x ∂ x̄ = 0, ∂y ∂ x̄ = −Ux , ∂t ∂ ȳ = 0, ∂x ∂ ȳ = 1, ∂y ∂ ȳ = −Uy , ∂t ∂ t̄ = 0, ∂x ∂ t̄ = 0, ∂y ∂ t̄ = 1, ∂t purché si supponga che localmente Ux e Uy possano essere considerati costanti, cioè che si possano trascurare le derivate delle componenti orizzontali di velocità nelle direzioni x e y. Per una generica funzione g = g (x, y, t) = g (x̄ (x, t) , ȳ (y, t) , t̄ (t)) le derivate parziali rispetto a x, y e t possono essere riscritte in funzione delle derivate parziali rispetto a x̄, ȳ e t̄: ∂g ∂g ∂ x̄ ∂g ∂ ȳ ∂g ∂ t̄ ∂g = + + = , ∂x ∂ x̄ ∂x ∂ ȳ ∂x ∂ t̄ ∂x ∂ x̄ ∂g ∂g ∂ x̄ ∂g ∂ ȳ ∂g ∂ t̄ ∂g = + + = , ∂y ∂ x̄ ∂y ∂ ȳ ∂y ∂ t̄ ∂y ∂ ȳ ∂g ∂g ∂ x̄ ∂g ∂ ȳ ∂g ∂ t̄ ∂g ∂g ∂g = + + = −Ux − Uy + . ∂t ∂ x̄ ∂t ∂ ȳ ∂t ∂ t̄ ∂t ∂ x̄ ∂ ȳ ∂ t̄ Se si sviluppano le derivate parziali delle equazioni del moto mediate sulla verticale, utilizzando le precedenti espressioni, si ottiene 228 il seguente sistema: ∂Ux ∂Uy ∂H +H +H = 0. ∂ t̄ ∂ x̄ ∂ ȳ ∂H ∂H ∂Ux − A kxx − A kyx = ∂ t̄ ∂ x̄ ∂ ȳ ∂A ∂A H ∂kxx ∂kyx A + kxx + + kyx + = ∂ x̄ ∂ ȳ ∂ x̄ ∂ ȳ 2 ∂b ∂b + kyx − kzx A , + kxx ∂ x̄ ∂ ȳ ∂Uy ∂H ∂H − A kxy − A kyy = ∂ t̄ ∂ x̄ ∂ ȳ ∂A H ∂kxy ∂kyy ∂A + + kyy + A + kxy = ∂ x̄ ∂ ȳ ∂ x̄ ∂ ȳ 2 ∂b ∂b + kxy + kyy − kzy A , ∂ x̄ ∂ ȳ Avendo indicato con (T.N.)x e (T.N.)y i termini delle forze esterne delle equazioni del moto nelle direzioni x e y, lo stesso sistema, scritto in forma matriciale si presenta come segue: H 0 H 0 H Ux + −A kxx 0 0 Ux + Uy ,t̄ −A kxy 0 0 Uy ,x̄ (B.72) 0 H 0 0H + −A kyx 0 0 Ux = (T.N.)x , −A kyy 0 0 Uy (T.N.)y ,ȳ Indicando con w in vettore delle funzioni incognite(H, Ux , Uy ), con F il vettore dei termini noti 0; , (T.N.)x , (T.N.)y e con Ax e Ay le matrici dei coefficienti dei termini nelle derivate spaziali, si ottiene: 229 w,t + Ax w,x + Ay w,y = F . Non è possibile diagonalizzare entrambe le matrici contemporaneamente. Tuttavia ci si può ridurre a lavorare con una sola matrice se le derivate spaziali vengono calcolate in una specifica direzione nel piano xy. Se ad esempio si considera la direzione che forma un angolo θ con l’asse delle x, si può definire una coordinata µθ che si sviluppa lungo tale retta. Allora sarà x = x (µθ ) e y = y (µθ ), e quindi le derivate parziali rispetto a x e ad y possono essere riscritte in funzione della derivata rispetto a µθ . In particolare da Figura B.14 si evince che: dµθ = cos θdx + sin θdy , per cui ∂µθ ∂ ∂ ∂ = = cos θ ∂x ∂x ∂µθ ∂µθ e ∂ ∂µθ ∂ ∂ = sin θ . = ∂y ∂y ∂µθ ∂µθ Il sistema scritto nella direzione definita dall’angolo θ assume perciò l’aspetto: w,t + (cos θ Ax + sin θ Ay ) w,µθ = F . La celerità di propagazione delle onde di gravità di piccola ampiezza è data dagli autovalori della matrice A = cos θ Ax + sin θ Ay , che sono dati dall’equazione: det (A − λ I) = 0 −λ H cos θ H sin θ 0 =0 det −A (cos θ kxx + sin θkyx ) −λ −A (cos θ kxy + sin θkyy ) 0 −λ ⇒ −λ λ2 + A H cos2 θ kxx + 2 cos θ sin θ kxy + + sin2 θ kyy = 0 . 230 ⇒ Figura B.14: Calcolo di dµθ in funzione di dx e dy. Risolvendo tale equazione di terzo grado si ricavano le espressioni dei tre autovalori: λ1 = 0 λ2,3 √ q = ± −A H cos2 θ kxx + 2 cos θ sin θ kxy + sin2 θ kyy . L’autovalore nullo corrisponde al vettore velocità, che nel riferimento solidale con la massa in movimento è nulla; gli altri due autovalori definiscono le celerità di propagazione delle perturbazioni gravitazionali di piccola ampiezza, relative al moto medio, nella direzione definita da θ, verso monte e verso valle. Le celerità di propagazione nelle direzioni x e y le si ottiene per θ = 0 e θ = π/2 e sono pari a: p −A H kxx , p cy = −A H kyy , cx = (B.73) Le celerità di propagazione servono anche per l’analisi di stabilità (si veda §3.2.3). In particolare si vuole evitare che, nell’inter231 vallo di tempo ∆t, le informazioni relative a variazioni del campo di moto nel vertice di calcolo possano raggiungere triangoli non immediatamente adiacenti al vertice stesso. Poiché ad ogni direzione corrisponde un diverso valore della celerità di propagazione, il controllo andrebbe eseguito per ogni valore di θ. Si alleggerisce il calcolo eseguendo il controllo per ogni triangolo adiacente, solo nella direzione ortogonale al lato √ opposto al vertice analizzato, e con una celerità pari a cmax = −A H k1 , dove k1 è il valore del coefficiente di spinta relativa allo sforzo principale massimo. cmax è il massimo valore della celerità di propagazione che si può ottenere nel piano xy. Infatti cos2 θ kxx +2 cos θ sin θ kxy +sin2 θ kyy rappresenta il coefficiente di spinta, corrispondente alla componente, nella direzione definita da θ, dello stato di sforzo che si sviluppa sulla superficie normale alla stessa direzione. Tale componente sarà certamente non superiore alla tensione principale massima. Nel generico vertice, i valori di cx , cy e cmax sono stati calcolati utilizzando i valori di A, kxx , kyy e kxy relativi al vertice stesso. H invece è stato ottenuto come media delle altezze dei triangoli contigui, pesata con le aree dei triangoli stessi. 232 Riferimenti bibliografici 1. Mroz, Z., Elastoplastic and Viscoplastic Constitutive Models for Granular Materials, Institute of Fundamental Technological Research, Warsaw, Polonia; 2. Mih, W.C., High Concentration Granular Shear Flow; 3. Hicher, P.Y., Experimental Behaviour of Granular Materials, Laboratoire de Génie Civil de Nantes, Saint-Nazaire, Ecole Centrale de Nantes; 4. 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Dal 2001 è titolare di una borsa di dottorato in “Ingegneria Ambientale” presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Trento, dove svolge attività didattica come esercitatore nell’ambito del corso di Protezione Idraulica del Territorio. La sua attività di ricerca riguarda la modellazione matematica, numerica e fisica di moti di ammassi granulari secchi e l’applicazione di tecniche numeriche meshless di approssimazione e discretizzazione di equazioni differenziali. Paolo Scotton è Ricercatore di “Idraulica” presso l’Università di Trento, dove svolge la sua attività di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale e didattica per il Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio, in qualità di docente di Protezione Idraulica del Territorio. Ha condotto ricerche nel settore dell’idraulica dei torrenti, con riferimento ai metodi di stabilizzazione d’alveo e di sponda con metodi a basso impatto ambientale, nel settore delle colate di detriti, con riferimento alla resistenza al moto e all’impatto dinamico su strutture e nel settore delle valanghe con riferimento alla parametrizzazione di campo, alla modellazione fisica, sperimentale e numerica. Enrico Bertolazzi è Ricercatore di “Analisi Numerica” presso l’Università di Trento, dove svolge la sua attività di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Strutturale e dove svolge la sua attività didattica per il Corso di Laurea in Ingegneria, in qualità di docente di Calcolo Numerico. Ha condotto ricerche nel settore dell’analisi numerica, con riferimento: metodi iterativi per sistemi sparsi di grandi dimensioni; discretizzazione di equazioni reattive; schemi a volumi finiti shock capturing per equazioni di Eulero a regime ipersonico; schemi a Volumi Finiti/Elementi Finiti per problemi in idraulica; sviluppo di tecnologie per il calcolo scientifico: astrazione del concetto di mesh; analisi e studio delle proprietà di alcune classi di schemi a volumi finiti; metodi numerici per sistemi multi-body; dinamica della motocicletta e metodo della manovra ottima. 238