SUSCETTIBILITÀ IDROGEOLOGICA AL FRANAMENTO A cura di P. Gattinoni [email protected] DISPENSA ESTRATTA DALLE LEZIONI DEL CORSO DI FORMAZIONE PERMANENTE: “LA PROSPEZIONE IDROGEOLOGICA PER LA PREVISIONE E LA SISTEMAZIONE DELLE FRANE” Indice 1 PREMESSA .................................................................................................................................... 2 2 STATO DELL’ARTE ......................................................................................................................... 2 3 ANALISI MODELLISTICA PRELIMINARE ......................................................................................... 4 4 3.1 Pendio omogeneo ................................................................................................................. 5 3.2 Filtrazione in serie ................................................................................................................. 7 3.3 Livelli a maggiore/minore permeabilità ................................................................................ 7 3.4 Versante eterogeneo semplificato ...................................................................................... 10 3.5 Strutture idrogeologiche critiche per la stabilità dei versanti ............................................ 12 ESEMPIO DELLA VALLE DEL CRATI ............................................................................................. 14 4.1 Definizione del modello concettuale .................................................................................. 14 4.2 Modellazione parametrica bidimensionale ........................................................................ 17 4.3 Modellazione 3D dell’area test ........................................................................................... 23 4.3.1 Cause predisponenti ..................................................................................................... 27 4.3.2 Cause scatenanti ........................................................................................................... 27 4.4 Analisi della suscettività idrogeologica dell’area test ......................................................... 30 5 CONCLUSIONI ............................................................................................................................. 33 6 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................. 35 www.engeology.eu 1 1 PREMESSA La presente nota propone i risultati di una ricerca1 inerente gli aspetti idrogeologici connessi alla modellistica dei processi franosi. L’obiettivo dello studio è stato, innanzitutto, quello di evidenziare l’influenza sulla stabilità di vari parametri idrogeologici (in particolare, la permeabilità e il coefficiente di eterogeneità) in relazione a diversi eventi scatenanti (piogge, variazioni del livello piezometrico, ecc.); in secondo luogo, si è voluto fornire un metodo che consenta di identificare le aree potenzialmente instabili sulla base di condizioni idrogeologiche riconosciute come critiche. L’approccio proposto è stato applicato, a titolo esemplificativo, a un’area campione (Valle del Crati, CS) per la quale si è giunti a definire una scala di suscettività idrogeologica al dissesto. A questo scopo si è ricostruito il modello concettuale dell’area: sulla base dell’assetto morfologico e litologico-strutturale, in funzione della distribuzione e delle caratteristiche delle sorgenti, si sono ricostruiti i circuiti della circolazione idrica profonda tipici dell’area di studio e si sono individuati i meccanismi di’innesco dei principali movimenti franosi, definendone i fattori predisponenti e scatenanti. Lo studio si è quindi sviluppato attraverso una modellazione parametrica: con un modello numerico si sono simulati i diversi scenari e si sono ricostruite le condizioni di flusso della falda al variare di alcuni parametri geometrici e idrogeologici identificati, sulla base degli studi precedenti, come i più significativi ai fini della stabilità del versante. I risultati dell’analisi parametrica vengono infine utilizzati per definire delle scale di pericolosità relativa in funzione dell’assetto idrogeologico (suscettibilità idrogeologica). 2 STATO DELL’ARTE La pericolosità da frana, intesa come probabilità di accadimento di un evento potenzialmente distruttivo (nel caso specifico una frana) in un dato intervallo di tempo e in una certa area (Varnes et al., 1984), dipende da numerosi fattori concomitanti: morfologici, geologici, idrologici, connessi alla vegetazione e all’uso del suolo (Hutchinson, 1992). In relazione al tipo di approccio utilizzato per la valutazione della pericolosità da frana si può ottenere (Hartlen e Viberg, 1988): una pericolosità relativa (suscettibilità), tramite l’applicazione di metodi euristici (basati su stime qualitative e soggettive) o statistici indiretti (basati sulla frequenza areale delle frane), in genere utilizzati per la previsione spaziale (Hansen, 1984; Carrara et al., 1991; Brabb, 1984; Van Westen, 1996); una pericolosità assoluta, tramite l’impiego di metodi deterministici o statistici diretti basati sul rapporto di causa-effetto (Einstein, 1988; Montgomery e Dietrich, 1984; Pack et al., 1998; Canuti e Casagli, 1996), la cui affidabilità è legata alla qualità dei dati disponibili e quindi generalmente garantita solo a scale territoriali ridotte (es. singolo versante). La valutazione della pericolosità assoluta costituisce spesso un passo conseguente a quella della pericolosità relativa, che assume lo scopo di identificare le aree maggiormente a rischio sulle quali concentrare gli studi successivi. Poiché la presenza di acqua all’interno di un versante ed il relativo regime di moto condizionano in modo spesso determinante le condizioni di stabilità (Iverson, 1992; Kawabe, 1992), è evidente che studi finalizzati alla perimetrazione delle aree a rischio geologico, con particolare riferimento alla pericolosità da frana, oltre a prendere in considerazione i tradizionali fattori predisponenti quali pendenza, litologia, uso del suolo, morfologia, area drenata (Bartolomei et al., 2006), non possono prescindere da una ricostruzione quantitativa 1 Ricerca condotta nell’ambito del Progetto INTERREG III “RISCMASS”. www.engeology.eu 2 dell’assetto idrogeologico dell’area (Cortopassi et al., 2006) e dalla conseguente analisi della suscettibilità idrogeologica al dissesto. Quest’ultimo aspetto viene generalmente considerato in riferimento al concetto di “soglia pluviometrica” (Corominas, 2001), per la cui determinazione esistono fondamentalmente due approcci: quello deterministico, basato sull’applicazione di modelli numerici di infiltrazione e stabilità dei versanti, e quello statistico, basato sull’analisi delle serie storiche di frane e precipitazioni; una combinazione dei due approcci è stata recentemente implementata da Benedetti et al. (2006) per la definizione di soglie pluviometriche d’innesco differenziate in funzione di unità territoriali omogenee (basate su litologia e uso del suolo). A causa della notevole complessità dei fenomeni in gioco gli effetti conseguenti a diversi eventi destabilizzanti variano in riferimento allo schema geologico, strutturale e idrogeologico (Lacerda & Schilling, 1992; Rizzo, 1997). In generale, la sensibilità di una frana agli eventi destabilizzanti, a parità di pioggia, dipende: dalla presenza di eterogeneità e anisotropie (Farkas, 1992; Francani & Gattinoni, 2001), soprattutto in relazione alla presenza di variazioni di permeabilità nella direzione di moto della falda (Gattinoni & Trafiletti, 1999); dalle condizioni idrogeologiche al contorno, per esempio la variazione del livello idrometrico di un lago o di un corso d’acqua al piede del versante (Gillon & Hancox, 1992; Gattinoni el Al., 2000) oppure variazioni del livello di falda in seguito a precipitazioni meteoriche prolungate (Cancelli et al., 1987; Axelsson et al., 1992; Chermouti & Gribici, 1992; Gattinoni, 1999; Francani & Gattinoni, 2000); dalla profondità del piano di rottura (più è profonda e meno è sensibile); dalla pendenza del versante, in quanto più è inclinato e maggiore è la velocità di filtrazione (Sammori & Tsuboyama, 1992). Lo studio delle interazioni tra circolazione idrica, regime delle pressioni neutre e dinamica dei versanti presuppone, dunque, innanzitutto, un’accurata conoscenza dei fenomeni e dei processi che caratterizzano l’assetto idrogeologico del versante, che in un secondo momento, deve essere messo in relazione con la predisposizione al franamento del versante; a questo proposito, la ricerca è stata mirata alla predisposizione di uno strumento che, a partire da una ricostruzione parametrica del modello concettuale del versante, consente di prevedere la suscettibilità al dissesto di una data area in funzione del flusso idrico sotterraneo, dei livelli piezometrici e delle portate delle sorgenti, sia in condizioni stazionarie sia nel transitorio conseguente al verificarsi di eventi meteorici intensi. Tale risultato è stato ottenuto integrando la modellazione del flusso sotterraneo all’interno del versante, eseguita con approccio parametrico al variare di alcuni parametri idrogeologici particolarmente significativi ai fini della stabilità (permeabilità, coefficiente di eterogeneità, ricarica, profondità del substrato, ecc.), con l’analisi delle condizioni di stabilità. In questo modo è stato possibile mettere in relazione la distanza dall’equilibrio limite con alcune grandezze idrogeologiche facilmente misurabili (ad esempio il livello piezometrico e la portata delle sorgenti). Si ritiene che studi idrogeologici come quello proposto costituiscano un presupposto fondamentale per una corretta comprensione e previsione della dinamica dei versanti. Infatti, l’approccio proposto, applicato a scopo esemplificativo a un’area campione particolarmente significativa in relazione alle problematiche sopra citate, costituisce un primo passo nella predisposizione di uno strumento che, anche in tempo reale durante il verificarsi di un’emergenza, sia in grado di prevedere le modalità di risposta del sistema alle sollecitazioni meteoriche, individuando le aree di crisi, grazie alla definizione di soglie d’innesco differenziate per i diversi fenomeni di instabilità e per le diverse caratteristiche geologico-strutturali e idrogeologiche. www.engeology.eu 3 3 ANALISI MODELLISTICA PRELIMINARE Prima di procedere con la modellazione del caso reale, per agevolare l’approccio al problema, ma anche per comprendere appieno l’influenza dei singoli fenomeni, si è preferito partire dall’analisi di un pendio omogeneo in diverse condizioni idrogeologiche; quindi, il modello è stato reso gradualmente più complesso, considerando dapprima un versante costituito da una successione di materiali eterogenei, per giungere, infine, alla modellazione di un pendio più complesso. L’analisi ha previsto la ricostruzione del comportamento idraulico, valutando la propensione al franamento tramite una modellazione accoppiata del moto di filtrazione della falda e delle sollecitazioni meccaniche agenti all’interno del versante. Lo scopo è stato quello di acquisire un discreto numero di situazioni critiche per la stabilità, in modo da raggiungere una buona conoscenza dei meccanismi di frana indotti dalla circolazione idrica, in particolare all’interno di materiali eterogenei. Nell’analisi vengono dunque presi in considerazione versanti con diverse distribuzioni di permeabilità; allo scopo di verificare la risposta del modello in condizioni limite, si analizzeranno situazioni in cui le distribuzioni di permeabilità differiscono in modo notevole per quanto riguarda il rapporto delle conduttività idrauliche dei vari strati costituenti il dominio. In particolare si sono considerati quattro schemi idrogeologici di complessità crescente: 1. versante omogeneo (litotipo B, Tabella 1); 2. filtrazione in serie (incrementi o riduzioni di permeabilità nella direzione di filtrazione della falda, litotipi rispettivamente C-A e A-C di Tabella 1); 3. successione di strati con livelli a maggiore o minore permeabilità (Tabella 1), 4. versante eterogeneo. Per ogni schema si sono considerate diverse condizioni idrogeologiche: condizioni asciutte, acqua in quiete, moto di filtrazione stazionario con diversi gradienti idraulici, moto di filtrazione transitorio (innalzamento o abbassamento del livello piezometrico). Nel seguito si descrivono brevemente i risultati ottenuti nelle diverse fasi di modellazione e le conclusioni che ne sono emerse. Tabella 1 – Schemi idrogeologici Proprietà Litotipo A Peso specifico secco = 17 kN/m = 16 kN/m = 15 kN/m3 Angolo d’attrito = 40° = 35° = 20° Coesione c = 0 kPa c = 5 kPa c = 50 kPa Modulo di compressibilità volumetrica K= 1.78*104 kPa K= 1.72*104 kPa K= 1.58*104 kPa Modulo di taglio G= 1*104 kPa G= 0.8*104 kPa G= 0.35*104 kPa Porosità n = 0.4 n = 0.43 n = 0.43 Porosità efficace ne = 0.32 ne = 0.25 ne = 0.15 Permeabilità www.engeology.eu Litotipo B 3 -4 k = 10 m/s Litotipo C 3 -5 k = 10 m/s k = 10-6 m/s 4 3.1 PENDIO OMOGENEO Nel caso puramente teorico di pendio omogeneo ed indefinito, il reticolo di flusso può essere schematizzato con una rete idrodinamica a maglie quadrate, caratterizzata da linee di flusso parallele alla superficie del versante (Figura 1a). La situazione descritta si presenta spesso nelle zone intermedie dei pendii naturali. Tale schematizzazione, però, risulta decisamente poco realistica qualora si voglia lavorare a scala di versante; il reticolo di filtrazione, in questo caso, è caratterizzato da linee di flusso dirette verso il basso nella parte alta del pendio, mentre in corrispondenza del corso d’acqua si osserva una tendenza alla risalita della falda (Figura 2). L’eventuale anisotropia del mezzo determina una variazione di forma del reticolo di filtrazione, accentuando in alcuni casi particolari la tendenza alla risalita della falda al piede del versante (Figura 3), con effetti potenzialmente negativi sulla stabilità. a) b) b) Figura 1 – Pendio omogeneo soggetto a moto di filtrazione; a) reticolo di flusso per un pendio indefinito; b) schema fisico di riferimento Figura 2 – Reticolo di filtrazione tipico di un fianco vallivo. www.engeology.eu 5 Figura 3 - Reticolo di filtrazione in versanti omogenei anisotropi, al variare del rapporto di anisotropia; in azzurro sono evidenziate le direzioni di filtrazione. www.engeology.eu 6 3.2 FILTRAZIONE IN SERIE In un secondo momento si sono analizzati gli effetti sulla stabilità di un processo di filtrazione in serie, nei due casi (Figura 4): incremento della permeabilità nella direzione di moto della falda, diminuzione della permeabilità nella direzione di moto della falda. Anche in questo caso si è ricostruito il reticolo di filtrazione e se ne sono analizzati gli effetti sulla stabilità: in caso di aumento della permeabilità nella direzione del moto dell’acqua, l’effetto sulla stabilità è del tutto trascurabile; in presenza di una diminuzione della permeabilità nella direzione del moto di filtrazione, invece, le linee di flusso, e dunque la forza di filtrazione, sono dirette verso l’esterno del pendio, determinando, soprattutto in seguito ad un abbassamento del livello idrometrico di valle, un netto peggioramento delle condizioni tenso-deformative del versante. k1 < k2 k1 k2 ROCCIA FRATTURATA ROCCIA FRATTURATA È quindi evidente che una riduzione di permeabilità nella direzione di flusso costituisce una condizione idrogeologica critica ai fini della stabilità. SUBSTRATO ROCCIOSO INTEGRO k1 > k2 k1 k2 SUBSTRATO ROCCIOSO INTEGRO Figura 4 – Schemi di versanti soggetti a filtrazione in serie nei due casi di incremento e riduzione della permeabilità lungo la direzione di flusso. 3.3 LIVELLI A MAGGIORE/MINORE PERMEABILITÀ In presenza di materiali eterogenei il reticolo di flusso subisce evidenti deformazioni in corrispondenza delle variazioni di conducibilità idraulica. Infatti, quando il moto dell’acqua ha direzione perpendicolare alla superficie di separazione tra due strati a differente permeabilità, la portata filtrante è naturalmente la stessa nei due terreni, ma la maggior parte del carico piezometrico viene dissipata in quello avente la minore conducibilità idraulica. Utilizzando l’equazione di continuità, è possibile ricavare la relazione tra gli angoli che le linee di flusso nei due terreni formano con la loro interfaccia: (1) www.engeology.eu 7 k1 tg1 k 2 tg 2 essendo k1 e k2 le permeabilità dei due mezzi ed 1 e 2 gli angoli fra le linee di flusso e le normali all’interfaccia tra i due materiali (fig. 5). Da tale legge si evince che, nel passaggio attraverso uno strato di materiale a differente permeabilità, le linee di flusso vengono deviate; l’entità di tale deviazione dipende fondamentalmente dai seguenti fattori (Figura 5): inclinazione delle linee di flusso a monte (), giacitura dello strato eterogeneo (), spessore dello strato eterogeneo (d), coefficiente di eterogeneità (rapporto tra le conducibilità idrauliche nei due litotipi: k1/k2). I casi critici per la stabilità, caratterizzati da una deviazione delle linee di flusso verso l’alto e l’esterno del pendio, sono i seguenti: k1<k2 e >0°: strato molto permeabile con inclinazione minore rispetto a quella delle linee di flusso, k1>k2 e <0°: strato poco permeabile con inclinazione maggiore rispetto a quella delle linee di flusso (Figura 5). In tal caso, infatti, le linee di flusso deviano localmente verso l’alto e l’esterno del pendio, provocando un incremento delle forze destabilizzanti in corrispondenza dello strato eterogeneo ed un innalzamento del livello piezometrico. Se la soggiacenza della falda è ridotta, un tale innalzamento del livello piezometrico, oltre a determinare un locale incremento delle pressioni neutre, può portare all’affioramento della falda stessa, con conseguente fenomeno di ruscellamento superficiale lungo il versante. 1 1 2 1 l d Figura 5 – Deviazione delle linee di flusso in corrispondenza di uno strato a differente permeabilità; nel caso in figura k1>k2. A livello del tutto generale, il moto di filtrazione dell’acqua genera una forza di filtrazione, il cui effetto destabilizzante può indurre il franamento anche di versante omogeneo (Figura 6a), soprattutto in presenza di materiali anisotropi e in strutture idrogeologiche caratterizzate da una riduzione della permeabilità nella direzione di filtrazione della falda. La presenza di livelli a maggiore permeabilità determina l’instaurarsi di una direzione preferenziale per il deflusso della falda (“effetto dreno”, Figura 6b e Figura 6c), con possibile formazione di sorgenti al piede del versante e un netto peggioramento delle condizioni tenso-deformative. La modellazione è stata eseguita considerando anche la presenza di livelli a minor permeabilità e ha permesso di evidenziare, in tal caso, un accentuarsi della tendenza alla risalita della falda al piede del versante; in questo caso la maggior parte della perdita di carico risulta localizzata all’interno del livello a minore permeabilità, con conseguente locale aumento della cadente piezometrica; tale fenomeno www.engeology.eu 8 è tanto più evidente quanto maggiore è il rapporto di eterogeneità e determina un incremento delle pressioni neutre in corrispondenza del piede del versante, con conseguenze potenzialmente negative sulla sua stabilità (Figura 6d). La situazione è inoltre aggravata dall’andamento della forza di filtrazione, non tanto in termini di entità quanto per la sua direzione; infatti, in corrispondenza dello strato meno permeabile tale forza destabilizzante risulta diretta verso l’alto e l’esterno del pendio. Per valutare la risposta dei diversi schemi idrogeologici alle variazioni delle condizioni al contorno, si sono sintetizzati i risultati ottenuti dalle diverse simulazioni nel grafico di Figura 7, che evidenzia l’andamento del fattore di sicurezza per diversi schemi idrogeologici al variare del gradiente piezometrico; per rendere confrontabili i risultati, i valori sono stati standardizzati rispetto al fattore di sicurezza per pendio omogeneo nelle condizioni piezometriche iniziali (corrispondenti al valore di gradiente minimo). Se ne deduce come la presenza di un livello poco permeabile costituisca una condizione critica per la stabilità; inoltre, si osservi la rapida decrescita del fattore di sicurezza al crescere del gradiente, in particolare nel caso di livello a maggiore permeabilità. 130m 130m Fs=1 35m litotipo B litotipo B 10m 32° 80m =10° Fs=2 75m 120m 70m 32° litotipo A Fs=1.5 120m 38° 38° 65m H=85m litotipo B 60m h =40m H=85m h=40m 55m 50m 30m 30m (a) 35m litotipo B 15m (b) 130m 55m 35m Fs=1.3 32° 120m Fs=1.1 litotipo B Fs=1.5 38° =60° litotipo A H=85m 32° 120m Fs=1.5 38° =60° 130m 55m 15m h=40m H=85m litotipo C litotipo B 30m 30m (c) h=40m litotipo B (d) Figura 6 – Risultati della modellazione al variare della struttura idrogeologica del versante: (a) versante omogeneo, (b) livello molto permeabile a franapoggio meno inclinato del pendio, (c) livello molto permeabile a franapoggio più www.engeology.eu 9 inclinato del pendio, (d) livello meno permeabile. In azzurro è evidenziato il reticolo di filtrazione, in rosso la superficie di rottura più probabile con il relativo fattore di sicurezza. In seguito a variazioni delle condizioni al contorno (applicazione di un carico o repentino abbassamento del livello piezometrico), si sviluppano delle pressioni interstiziali anche molto elevate, che possono dar luogo a rotture di pendio, in particolare all’interno di terreni con permeabilità relativamente bassa (k<10-4 m/s). La situazione può diventare critica in presenza di livelli a bassa permeabilità; infatti, a causa dell’infiltrazione conseguente a fenomeni meteorici intensi oppure in seguito a delle variazioni del livello idrometrico di valle l’acqua proveniente dalla superficie del versante può provocare la saturazione della porzione di versante più permeabile situata a valle, venendo poi rallentata in corrispondenza dello strato meno permeabile (“effetto diga”), con conseguente locale innalzamento delle pressioni neutre lungo la superficie di contatto tra i due litotipi. 1,3 1,2 Fs/Fs0 1,1 1 0,9 0,8 0,7 0,6 0 0,1 0,2 Gradiente idraulico liv + perm liv - perm 0,3 0,4 omogeneo Figura 7 – Andamento del fattore di sicurezza (normalizzato rispetto ad un Fs0 di riferimento, relativo al caso di pendio omogeneo con gradiente min) al variare del gradiente piezometrico per diverse strutture idrogeologiche. 3.4 VERSANTE ETEROGENEO SEMPLIFICATO Accertato che la presenza di una riduzione della permeabilità nella direzione di filtrazione della falda costituisce una condizione critica per la stabilità, si è eseguita la modellazione di un versante eterogeneo più realistico, caratterizzato dalla presenza di roccia fratturata a monte, che alimenta depositi detritici ad elevata permeabilità in contatto con depositi argillosi localizzati al piede del versante (Figura 8, Tabella 2). Al variare della geometria del sistema si è osservata una tendenza alla risalita della falda in corrispondenza del piede del versante tanto più accentuata quanto minore è l’inclinazione del limite di permeabilità, con conseguente allargamento della zona instabile, soprattutto per valori elevati del coefficiente di eterogeneità (Figura 9). Inoltre, a parità del rapporto di eterogeneità, un aumento della conducibilità a monte provoca un peggioramento delle condizioni tenso-deformative del versante maggiore di quanto non accada per una corrispondente diminuzione della permeabilità di valle. Analogamente, un incremento della permeabilità della roccia alterata, nella zona di alimentazione della falda, determina un aumento della portata defluente ed un conseguente incremento degli spostamenti. Infine, al variare del gradiente, la condizione al contorno di valle influisce in maniera più significativa sull’andamento della piezometria all’interno delle argille alterate rispetto ad una corrispondente variazione della condizione al contorno di monte. www.engeology.eu 10 Figura 8 – Schema geometrico del versante eterogeneo semplificato, con le relative condizioni al contorno. Tabella 2 –Proprietà geomeccaniche attribuite ai diversi litotipi dello schema di versante eterogeneo. Dep. detr. Dep. detr. Arg. alt. Substrato roccioso Substrato roccioso Arg. alt. re=10 re=10 Dep. detr. Dep. detr. Arg. alt. Substrato roccioso re=10 Substrato roccioso Arg. alt. re=20 Figura 9 – Risultati della modellazione su versante eterogeneo al variare dell’inclinazione del limite di permeabilità e del rapporto di eterogeneità re. In azzurro sono evidenziate le linee equipotenzilai, in rosso la superficie di rottura più probabile. www.engeology.eu 11 3.5 STRUTTURE IDROGEOLOGICHE CRITICHE PER LA STABILITÀ DEI VERSANTI Le principali caratteristiche della struttura idrogeologica che possono predisporre il franamento di un versante sono così sintetizzabili: lo stato di fratturazione della roccia e la relativa permeabilità nella zona di alimentazione, determinante ai fini della valutazione della ricarica idrica; la permeabilità dei depositi superficiali, soprattutto in caso di repentine variazioni delle condizioni al contorno; la presenza di eterogeneità o anisotropie all’interno del pendio che possono provocare, una deviazione delle linee di flusso, potenzialmente pericolosa per la stabilità. In particolare, i principali elementi di eterogeneità che possono caratterizzare la struttura idrogeologica di un versante sono: variazione di permeabilità nella direzione del moto di filtrazione della falda (filtrazione in serie, ad es. al contatto tra rocce permeabili e argilliti); presenza di livelli o intercalazioni caratterizzate da differente permabilità (brecce di frizione, faglie con cataclasiti o miloniti) e giacitura variabile In definitiva, si riportano alcuni esempi di strutture idrogeologiche critiche per la stabilità sono: presenza di livelli a bassa permeabilità, con conseguente confinamento del flusso sotterraneo (Figura 10); riduzione della permeabilità nella direzione di flusso della falda (Figura 11); presenza di elevate permeabilità nella zona di alimentazione della falda o di reticoli fessurativi fortemente interconnessi, con conseguente aumento della portata affluente alla zona potenzialmente instabile (Figura 12). www.engeology.eu 12 Figura 10 – Figura 11 – Figura 12 www.engeology.eu 13 4 ESEMPIO DELLA VALLE DEL CRATI 4.1 DEFINIZIONE DEL MODELLO CONCETTUALE L’area in esame (Figura 13) ha dimensioni di circa 15x7 kmq ed è ubicata sul versante sinistro della Valle del Crati, ai margini della catena costiera. Nell’area sono presenti numerosi movimenti franosi (Figura 14) di diverse tipologie che colpiscono sovente centri abitati. Si tratta di movimenti sia superficiali (5-6m) che profondi (12-35m), che interessano formazioni argillitiche aventi diverso assetto strutturale, talora in presenza di livelli conglomeratici e falde idriche; l’assetto tettonico dell’area è caratterizzato dalla presenza di una faglia attiva, che mette a contatto le formazioni postorogene con il substrato cristallino e che costituisce una via preferenziale di infiltrazione e scorrimento dell’acqua (Figura 15 e Figura 16). Figura 13 – Ortofoto dell’area di studio, nella quale si individuano facilmente: la catena costiera a Ovest, il Fiume Crati a Est, i principali centri abitati (evidenziati coi cerchi verdi). Il rettangolo bianco delimita il dominio esaminato Figura 14 – Evidenze superficiali di altri processi geomorfologici in atto. www.engeology.eu 14 ## # # # # # # # # # # ## # # # # # # # # # ## # # # # # # # # # # # # # # Sorg_crati.shp Fiumi.shp Faglie.shp Fascia_fratturazione.shp Dtm.shp Figura 15 – Sezione idrogeologica schematica (E-O) dell’area di studio. I processi idrogeologici di maggior interesse ai fini della stabilità dei versanti dell’area di studio sono innanzitutto connessi all’infiltrazione delle piogge dal piano campagna, con saturazione dall’alto e conseguente innesco di scivolamenti superficiali, principalmente localizzati in corrispondenza dei livelli superficiali più alterati (Figura 16). A tale processo idrogeologico si unisce l’alimentazione da monte, governata dal reticolo fessurativo presente all’interno dei calcari cristallini e dalla presenza della faglia con la sua zona di frattura; essa, infatti, determina presumibilmente una tendenza alla risalita della falda, con la formazione di un livello piezometrico all’interno dei depositi detritici più grossolani e concentrazione del deflusso ipodermico lungo i livelli a maggiore permeabilità (Figura 17). Tale schema concettuale spiega la localizzazione dei fenomeni sorgentizi (Figura 18), che risultano per lo più allineati lungo il contatto tettonico principale o lungo le dislocazioni ad andamento EstOvest. Infatti, le sorgenti allineate lungo il contatto tettonico, molte delle quali sono captate, presentano il chimismi tipico delle acque derivanti da bacini carbonatici; nella zona orientale più pianeggiante sono invece presenti alcune sorgenti solfuree, presumibilmente provenienti dai livelli di gessi presenti in profondità. Questo circuito di alimentazione idrica (Figura 18) è responsabile dei fenomeni di instabilità di maggiori dimensioni, con superfici di rottura generalmente coincidenti coi livelli di maggiore permeabilità (a loro volta sovente coincidenti con livelli di debolezza). www.engeology.eu 15 1 Figura 16 – Modello concettuale della circolazione idrica associata ai fenomeni di scivolamento superficiale; in azzurro sono evidenziate le piogge e il conseguente processo di infiltrazione con saturazione dall’alto, mentre in rosso è indicata la probabile superficie di scivolamento. 2b 2a Figura 17 – Modello concettuale della circolazione idrica associata ai fenomeni di scivolamento profondo; in azzurro sono evidenziate le direzioni preferenziali del flusso e le emergenze idriche superficiali connesse, mentre in rosso sono indicate le probabili superfici di rottura: 2a) l’instabilità coinvolge la porzione detritica più superficiale ed è innescata dall’innalzamento del livello piezometrico (evidenziato in azzurro); 2b) l’instabilità coinvolge anche i depositi argillosi sottostanti ed è innescata da un incremento delle pressioni neutre sia in corrispondenza della zona di frattura sia lungo livelli più permeabili presenti all’interno delle argille. www.engeology.eu 16 Figura 18 – Ubicazione delle sorgenti presenti nell’area di studio; per ogni sorgente viene indicata la tipologia (captata o on captata), la temperatura e la conduttività elettrica misurate in occasione della campagna di rilevamento del luglio 2005 . 4.2 MODELLAZIONE PARAMETRICA BIDIMENSIONALE Una volta identificati e quantificati i singoli processi idrogeologici correlabili con le instabilità di versante, è stato possibile procedere allo studio modellistico del caso tipico della Valle del Crati, certamente più complesso, ma comunque sempre riconducibile ai casi semplificati precedentemente illustrati. La ricostruzione del reticolo di flusso della falda è stata condotta, a partire dal modello concettuale precedentemente illustrato, tramite l’implementazione di un modello matematico (Modflow, McDonald M.G., Harbaugh A.W., 1988). Il dominio che si è scelto di modellizzare è quasitridimensionale e ha dimensioni di 500mx1500m. Tale dominio è stato discretizzato in maglie di dimensioni variabili da 2m (nelle zone di maggiore interesse) a 50m (ai margini del modello) e in tre layers aventi caratteristiche idrogeologiche e spessore variabili (Figura 19). Le condizioni al contorno applicate al modello sono le seguenti: www.engeology.eu 17 condizioni di non flusso ai lati, carico costante sia a monte che a valle, ricarica superficiale. A titolo di esempio, nella Figura 20 sono riportati i risultati di una delle numerose simulazioni effettuate, nella quale sono evidenti sia i processi di sottofiltrazione nei depositi di versante sia la formazione di sorgenti in corrispondenza dei livelli più permeabili. Figura 19 – Discretizzazione verticale del dominio; in verde sono indicati i calcari cristallini della catena costiera, in viola gli scisti filladici, in giallo di depositi detritici, in arancione le argille, in rosa i livelli a elevata permeabilità e in rosso la fascia di frattura intorno alla faglia. Nella figura sono riportati i range utilizzati nella modellazione per i valori di permeabilità e di alcune variabile geometriche. Figura 20 – Dettaglio dei risultati della simulazione in condizioni stazionarie in corrispondenza del contatto tettonico. Si osservi la tendenza alla risalita della falda e l’evidenza di fenomeni sorgentizi al piede del versante. La modellazione parametrica è stata condotta al variare dei parametri idrogeologici ritenuti più significativi ai fini della stabilità, in relazione sia alle grandezze tipicamente idrogeologiche, quali permeabilità, coefficiente di eterogeneità, ricarica, sia allo schema geometrico, in termini di spessore e profondità dei limiti idrogeologici (Figura 19 e Tabella 3). I range di valori relativi ai diversi parametri sono stati scelti facendo riferimento ai risultati di alcuni rilievi e prove eseguite in sito in diverse zone del dominio (prove di assorbimento per la permeabilità, sondaggi meccanici per lo spessore dei depositi, misure piezometriche e pluviometriche per le condizioni di alimentazione) e ampliando i campi di variabilità così ottenuti al fine di valutare il comportamento del sistema anche in condizioni limite. www.engeology.eu 18 Per ciascuna simulazione si sono analizzate le condizioni di flusso, con particolare riferimento alla distribuzione delle pressioni neutre in corrispondenza della zona potenzialmente soggetta a instabilità; a questo scopo si fatto riferimento ad uno schema semplificato di scivolamento planare lungo una superficie di debolezza corrispondente ad un livello più permeabile e nicchia di distacco ubicata lungo la fascia cataclastica (Figura 21); per tale cuneo si sono calcolate le spinte agenti a monte (V) e alla base (U), utili ai fini della valutazione del fattore di sicurezza (Fs). Per rendere tra loro confrontabili i risultati della modellazione parametrica, la valutazione del fattore di sicurezza è stato condotta considerando costanti il peso specifico ( = 21 kN/m3) e i parametri di resistenza al taglio (c’ = 145 kPa e ’= 35°); tali valori sono stati ricavati mediando i risultati ottenuti dalle prove di laboratorio eseguite sul materiale proveniente da diversi settori dell’area in esame. I grafici riportati nelle pagine seguenti sono quindi stati costruiti utilizzando i valori delle spinte e del fattore di sicurezza normalizzati rispetto a una simulazione base di riferimento (Tabella 3). Tabella 3 – Parametri idrogeologici utilizzati nella modellazione del caso base di riferimento, rispetto al quale sono poi stati normalizzati i risultati della modellazione parametrica. PARAMETRO Permeabilità catena costiera kC Permeabilità fascia cataclastica kF Permeabilità detriti kD Permeabilità livelli alterati kB Profondità del substrato sC Alimentazione da monte H Ricarica superficiale VALORE BASE 5e-6 m/s 1e-2 m/s 1e-3 m/s 1e-2 m/s 30 m 800 m 2e-8 m/s RANGE 5e-65e-5 m/s 5e-61e-2 m/s 1e-51e-2 m/s 1e-35e-1 m/s 30100 m 750900 m s.l.m. 1e-10 3e-7 m/s V U Figura 21 – Spinta a monte (V) e sottospinta (U) agenti in corrispondenza della superficie di scivolamento principale (indicata in rosso). Poiché la presenza di eterogeneità (in particolare quelle connesse a variazioni di permeabilità nella direzione di flusso) riveste un ruolo determinante sulle condizioni di stabilità del versante, si è condotta un’analisi parametrica in funzione del coefficiente di eterogeneità (re = 22000), definito come il rapporto tra la permeabilità dei detriti (kD = 10-5 10-2m/s) e quella delle rocce della catena costiera (kC = 5*10-6 5*10-5m/s). La modellazione parametrica ha evidenziato che per valori elevati di re le spinte sono governate dalla permeabilità di monte kC, mentre la permeabilità di valle kD influenza solo la spinta a monte V e solo per valori di re inferiori a 10. In particolare, la presenza di rocce molto fratturate nella zona di alimentazione determina un incremento della portata proveniente da monte che, soprattutto nei casi in cui non è presente un efficace drenaggio di tali acque (ad esempio in presenza di livelli argillosi o rocce milonitizzate), può compromettere le condizioni di stabilità del versante. La modellazione parametrica condotta (kC = 5*10-6 5*10-5m/s) ha evidenziato, al crescere della permeabilità delle rocce costituenti la www.engeology.eu 19 catena costiera, una tendenza delle spinte dell’acqua ad aumentare, in maniera rispettivamente logaritmica e lineare per U e V, soprattutto per valori di kC superiori a 10-5m/s (Figura 22). Una riduzione della permeabilità dei depositi detritici di versante determina, invece, una riduzione della portata erogata dalle sorgenti nella fascia pedemontana e, quindi, un incremento delle pressioni dell’acqua. Infatti, i risultati ottenuti dalla modellazione parametrica sulla permeabilità del detrito permettono di evidenziare come l’influenza di tale parametro sulle spinte (Figura 23), e quindi sulla stabilità (Figura 24), diventi determinante per valori bassi di permeabilità (kD < 5*10-5 m/s). 120 6 Vnorm Unorm Lineare (Vnorm) 100 Log. (Unorm) 5 y = 1.8635Ln(x) + 23.589 R2 = 0.9961 4 y = 2E+06x - 12.183 R2 = 0.9975 60 3 40 2 20 1 0 0.00E+00 1.00E-05 2.00E-05 3.00E-05 4.00E-05 Unorm Vnorm 80 0 6.00E-05 5.00E-05 kc [m/s] Figura 22 – Andamento della sottospinta U e della spinta a monte V, normalizzate rispetto ai valori della simulazione di riferimento (indicata col cerchio verde), al variare della permeabilità kC delle rocce costituenti la catena costiera. 3.5 1.25 Vnomr 3 1.2 Unorm 1.15 2 1.1 1.5 1.05 1 0.5 1.00E-05 Unorm Vnorm 2.5 1 1.00E-04 1.00E-03 0.95 1.00E-02 kD [m/s] Figura 23 – Andamento della sottospinta U e della spinta a monte V, normalizzate rispetto ai valori della simulazione base di riferimento (indicata col cerchio verde), al variare della permeabilità kD del detrito di versante. www.engeology.eu 20 1.2 1.15 Fattore di sicurezza 1.1 1.05 1 0.95 0.9 0.85 Fs(kF) Fs(kD) 0.8 Fs(kB) 0.75 1.00E-06 1.00E-05 1.00E-04 1.00E-03 1.00E-02 1.00E-01 Permeabilità kD, kF, kB [m/s] Figura 24 – Andamento del fattore di sicurezza Fs, normalizzato rispetto ai valori della simulazione base di riferimento (indicata col cerchio verde), al variare della permeabilità kD del detrito di versante, kF della fascia cataclastica e kB del livello alterato alla base del detrito. La modellazione parametrica condotta al variare della permeabilità kF della fascia cataclastica ha evidenziato che quest’ultimo parametro influenza in modo limitato la sottospinta U, mentre influenza in modo determinante la spinta a monte V, che risulta particolarmente elevata per valori di kF bassi, assimilabili a quelli della roccia intatta. La presenza di un’ampia fascia di roccia cataclastica, infatti, se da un lato determina un forte decadimento delle qualità geomeccaniche del materiale, dall’altro garantisce un migliore drenaggio delle acque sotterranee, con conseguente incremento del fattore di sicurezza del versante (Figura 24). La presenza di livelli molto permeabili all’interno dei depositi detritici determina un flusso preferenziale delle acque sotterrane all’interno di tali livelli. La modellazione parametrica ha evidenziato, al crescere della permeabilità della fascia di alterazione presenta alla base dei detriti, un miglioramento delle condizioni di drenaggio del versante, con una tendenza alla diminuzione delle spinte dell’acqua (soprattutto della spinta di monte V) e, quindi, un miglioramento delle condizioni di stabilità (Figura 24). L’analisi parametrica ha riguardato anche le possibili cause d’innesco, in particolare in relazione agli eventi meteorici che determinano una ricarica superficiale degli acquiferi (pnetta = 10-10 3*107 m/s). Al fine di evidenziare oltre agli effetti di progressiva saturazione dei depositi superficiali anche quello di innalzamento del livello piezometrico nella zona di alimentazione, si eseguita la simulazione per diversi valori di permeabilità delle rocce costituenti la catena costiera (kC = 4*10-6 7*10-6 m/s). I risultati ottenuti hanno evidenziato, all’aumentare della ricarica, una crescita lineare della sottospinta (Figura 25a) e addirittura parabolica della spinta a monte (Figura 25b), con evidenti effetti sulla stabilità (Figura 25c), soprattutto per valori di ricarica superiori ai 2 mm/giorno. Vista la notevole influenza sulla stabilità esercitata dalle condizioni di alimentazione dell’acquifero, si è condotta l’analisi parametrica in relazione alle variazioni nelle condizioni idrogeologiche al contorno di monte (H = 750900m s.l.m.) e di valle (h = 298310m s.l.m.). I risultati ottenuti hanno evidenziato, in modo analogo a quanto già visto per la ricarica superficiale, all’aumentare del carico alimentante e quindi della portata affluente da monte, una crescita lineare della sottospinta www.engeology.eu 21 e parabolica della spinta a monte, con evidenti effetti sulla stabilità (Figura 26), che decresce in modo parabolico. Dal punto di vista geometrico riveste una certa importanza ai fini della propensione al dissesto del versante la profondità del substrato meno permeabile. L’analisi parametrica (sC = 40100m dal piano campagna) ha evidenziato, all’aumentare della profondità, una crescita logaritmica della sottospinta e addirittura esponenziale della spinta a monte (Figura 27), con evidenti effetti sul fattore di sicurezza (Figura 26), che decresce in modo logaritmico. Sottospinta 1,9 1,7 Unorm 1,5 1,3 1,1 kC = 5e6m/s kC = 6e6m/s kC = 7e6m/s 0,9 0,7 1,00E-10 1,00E-09 1,00E-08 1,00E-07 0,5 1,00E-06 Ricarica [m/s] (a) Spinta da monte 10 Vnorm 8 6 kC = 5e6m/s 4 kC = 6e6m/s 2 1,00E-10 1,00E-09 1,00E-08 1,00E-07 0 1,00E-06 Ricarica [m/s] (b) Fs Fattore di sicurezza 1,00E-10 1,00E-09 1,00E-08 1,500 1,300 1,100 0,900 0,700 0,500 0,300 0,100 -0,100 -0,300 -0,500 1,00E-07 1,00E-06 Ricarica [m/s] kC = 5e6m/s kC = 6e6m/s kC = 7e6m/s (c) Figura 25 – Andamento della sottospinta (a) e della spinta a monte (b), normalizzate rispetto ai valori della simulazione di riferimento (indicata col cerchio verde), nonché del fattore di sicurezza corrispondente (c) al variare della ricarica superficiale. www.engeology.eu 22 110.00 860 Fs(sC) 78.00 y = -73.89x + 873.44 R² = 0.9978 62.00 46.00 Carico piezometrico di [m s.l.m.] monte 840 Profondità del substrato [m] 94.00 820 800 780 y = -70.074x + 123.16 R² = 0.9867 30.00 760 0.200 0.400 0.600 0.800 1.000 1.200 1.400 Fattore di sicurezza Figura 26 – Andamento del fattore di sicurezza normalizzato rispetto ai valori della simulazione di riferimento (indicata col cerchio verde) al variare della condizione di alimentazione H e della profondità del substrato sC. 1.5 3 2.5 1.3 2 1.1 Unorm Vnorm y = 0.5831Ln(x) - 1.2938 R2 = 0.9874 0.9 1.5 y = 0.2544e0.0231x 2 R = 0.9591 0.7 1 0.5 30.00 0.5 40.00 50.00 60.00 70.00 80.00 90.00 100.00 110.00 Profondità substrato [m] Figura 27 – Andamento della sottospinta U e della spinta a monte V, normalizzate rispetto ai valori della simulazione di riferimento (indicata col cerchio verde), al variare della profondità del substrato. 4.3 MODELLAZIONE 3D DELL’AREA TEST Al fine di estendere i risultati della modellazione parametrica all’intera area test, si è eseguita una modellazione tridimensionale. L’area modellizzata è di forma rettangolare, con lato maggiore in direzione N-S di 15 km di lunghezza e lato minore in direzione E-O di 7 km, per una superficie complessiva di 105 km2. Il dominio di studio è stato discretizzato secondo una griglia composta da 350 colonne e 750 righe, con maglie quadrate di dimensione costante pari a 20 m di lato. L’orientazione della griglia è stata scelta in modo tale che le colonne e le righe siano circa orientate secondi le direzioni di flusso principali delle acque sotterranee. Nella progettazione della griglia si è fatto riferimento al modello semplificato dell’acquifero precedentemente descritto, considerando tre strati sovrapposti corrispondenti ai principali corpi acquiferi individuati: lo strato 1 del modello corrisponde all’acquifero superficiale, per uno spessore medio di 20m, presente a monte (nella catena costiera) all’interno della porzione superficiale più fratturata degli ammassi rocciosi e a valle nei depositi superficiali (detriti di frana, alluvioni, ecc.) e nella porzione superficiale alterata delle formazioni pleistoceniche; www.engeology.eu 23 lo strato 2 corrisponde all’acquifero profondo contenuto a monte nelle rocce cristalline prevalentemente carbonatiche e granitiche della catena costiera, mentre a valle comprende le formazioni argilloso-sabbiose del Pliocene e del pleistocene, per uno spessore di circa 150m; lo strato 3 corrisponde al substrato, costituito a monte dagli scisti filladici della catena costiera e a valle dalle rocce prevalentemente marnose del Miocene. I limiti idrogeologici del modello sono rappresentati da cinque tipi di condizioni matematiche (fig. 28): carico idraulico dipendente dalla portata defluente (condizione di Cauchy - GHB) in corrispondenza del limite occidentale del modello (in azzurro in fig. 28), ad eccezione della porzione settentrionale, carico idraulico costante (CH) in corrispondenza del limite orientale del modello (in blu in fig. 28) e della porzione settentrionale del limite occidentale, carico idraulico dipendente dal flusso (condizione di Cauchy - River) in corrispondenza dei corsi d’acqua superficiali (in verde in fig. 28), carico idraulico dipendente dal flusso (condizione di Cauchy - Drain) in corrispondenza delle sorgenti (indicate in fig. 28 con le croci blu), ricarica (condizione di Neumann) ed evapotraspirazione (condizione di Cauchy), che rappresentano rispettivamente la ricarica dell’acquifero derivante dalle piogge e la percentuale d’acqua soggetta ad evapotraspirazione; entrambe le condizioni vengono considerate dal codice di calcolo come delle proprietà dell’acquifero e pertanto vengono assegnate come parametri ad ogni cella. Le proprietà idrogeologiche delle diverse porzioni dell’acquifero sono state stimate in base alle poche prove di permeabilità eseguite in sito, integrate con dati di letteratura (tab. 4, fig. 29). In relazione alla ricarica superficiale si sono considerati valori di pioggia efficace medi per l’area di studio e si sono quindi simulati diversi scenari; in fase di taratura si è considerato un valore di pioggia efficace pari a 1,16E-8 m/s (pari a circa 1mm/g). Figura 28 – Condizioni al contorno imposte al modello. In ciano sono evidenziate le condizioni GHB, in blu le CH, mentre in verde sono le condizioni River; le condizioni Drain sono indicate dalle croci blu. www.engeology.eu 24 Tabella 4 – Classi di valori delle permeabilità i associate alle varie litologie presenti nella zona di studio con i relativi colori di rappresentazione all’interno del modello. K [m/s] 5,00E-05 2,50E-05 1,00E-05 1,00E-05 5,00E-06 7,50E-06 5,00E-07 1,00E-05 1,00E-06 5,00E-06 1,00E-06 1,00E-04 1,00E-05 5,00E-06 1,00E-06 5,00E-07 5,00E-06 1,00E-06 S [%] 0,4 0,3 0,2 0,2 0,1 0,05 0,025 0,2 0,1 0,1 0,05 0,4 0,15 0,07 0,1 0,05 0,05 0,025 LITOLOGIA COLORE Detriti di frana (Olocene) Alluvioni (Olocene) Sabbie e conlgomerati (Pleistocene) Sabbie (Pliocene) superficiali Sabbie (Pliocene) Argille (Pliocene) superficiali Argille (Pliocene) Conglomerati (Pliocene) superficiali Conglomerati (Pliocene) Marne e Gessi (Miocene) superficiali Marne e Gessi (Miocene) Fascia di frattura Calcari cristallini (Cretaceo) superficiali Calcari cristallini (Cretaceo) Gneiss (Cretaceo) superficiali Gneiss (Cretaceo) Scisti filladici (Paleozoico) superficiali Scisti filladici (Paleozoico) Figura 29 – Andamento in pianta delle conducibilità idrauliche utilizzate nel modello: (a) layer 1, (b) layer 2, (c) layer 3. I colori corrispondono a quelli del data-base riportato nella tabella 4. Una volta implementato il modello, si è passati alla fase di taratura, ricostruendo la situazione piezometrica media dell’area (figg. 30 e 31) sulla base dei rilevamenti piezometrici disponibili e delle emergenze idriche superficiali rilevate nella campagna del luglio 2005. I risultati della taratura sono stati controllati, tramite il confronto con i dati piezometrici dell'area di Cerzeto-Cavallerizzo (fig. 32) e con i dati relativi alla portata delle sorgenti. A questo proposito si osservi che le sorgenti presenti nell’area risultano per lo più allineate lungo la linea di affioramento della falda superficiale o in zone caratterizzate da una tendenza alla risalita della falda profonda. Il bilancio di massa eseguito sul modello precedentemente tarato ha consentito di evidenziare condizioni di drenanza dall’acquifero profondo verso quello superficiale (circa 1,5 mc/s), con una portata drenata dalle sorgenti complessivamente pari a circa 7-8 l/s. www.engeology.eu 25 Nella fase di applicazione del modello sono state simulate le differenti condizioni di deflusso conseguenti a varie sollecitazioni meteoriche. L’obiettivo è stato quello di individuare le condizioni idrogeologiche critiche per la stabilità dei versanti. La modellazione è stata eseguita considerando diverse cause predisponenti descritte nel seguito. Figura 30 – Piezometria: (a) dell’acquifero superficiale e (b) dell’acquifero profondo ottenuta tramite la modellazione. Le aree viola indicano le porzioni di terreno superficiale asciutto. Figura 31 – P iezometria: (a) in una sezione settentrionale dell’area, (b) in una sezione meridionale. www.engeology.eu 26 Observed vs. Computed Target Values 516,8.069 500,6.455 484,4.841 468,3.228 Layer 2 452,1.614 436,00 436,00 452,1.614 468,3.228 484,4.841 500,6.455 516,8.069 Observed Value Figura 32 – Grafico del carico piezometrico simulato col modello rispetto a quello misurato in sito, nella zona di Cerzeto-Cavallerizzo. Si osservi che i punti si allineano lungo una retta inclinata di 45°, ad indicare una discreta concordanza dei risultati ottenuti tramite la taratura. 4.3.1 Cause predisponenti La principale causa d’innesco dei movimenti franosi presenti nel dominio di studio è generalmente costituita dalla circolazione idrica profonda, in particolare quella che determina uno elevato deflusso ipodermico verso valle, sia nell’acquifero superficiale (fig. 33), potenzialmente responsabile di dissesti superficiali, sia nell’acquifero profondo (fig. 34), dove i settori caratterizzati da maggiore deflusso ipodermico costituiscono la aree maggiormente suscettibili a movimenti franosi profondi. La simulazione delle condizioni di deflusso è stata condotta in condizioni stazionarie per diversi valori di ricarica superficiale (minima di 0,79E-8m/s; media di 1,16E-8m/s e massima di 2,22E8m/s). Questo a permesso di individuare i settori del dominio di studio maggiormente soggetti a variazioni del livello piezometrico indotte da variazioni climatiche di lungo termine. In un secondo momento si sono variate le condizioni di alimentazione dell’acquifero (soggiacenza media di 70m, minima di 40m e massima di 100m dal piano campagna), conducendo la simulazione in regime stazionario al fine di individuare le aree maggiormente sensibili alle variazioni del gradiente idraulico. 4.3.2 Cause scatenanti In un secondo momento la modellazione è stata condotta in regime transitorio, simulando un evento meteorico della durata di 10 giorni, che determina una ricarica media di 6mm/g, con picco massimo di 10mm/g. I risultati ottenuti evidenziano la tendenza dei suoli superficiali ad una progressiva saturazione (fig. 35), potenzialmente responsabile dei fenomeni di dissesto superficiale. Un’analoga tendenza alla risalita del livello piezometrico si osserva nell’acquifero profondo, anche se con un maggiore ritardo temporale e con effetti decisamente più localizzati. Infine, si sono simulate le condizioni idrogeologiche conseguenti ad un periodo di piogge intense e prolungate nel tempo, che determinano un innalzamento generalizzato del livello piezometrico, seguito da alcuni giorni di piogge intense. A questo scopo si è associata alla variazione nel tempo della ricarica un innalzamento del livello piezometrico nelle zona di alimentazione dell’acquifero profondo. I risultati della modellazione evidenziano un sensibile e progressivo innalzamento del livello piezometrico sia nell’acquifero superficiale sia in quello profondo (fig. 36). www.engeology.eu 27 Figura 33 – Portata defluente (mc/s) nell’acquifero superficiale: (a) in direzione X, vale a dire da Ovest verso Est; (b) in direzione Y, vale a dire da Sud verso Nord, relativa alla porzione settentrionale del dominio. Figura 34 –Portata defluente (mc/s) nell’acquifero profondo in direzione X, vale a dire da Ovest verso Est, relativa alla porzione nord-occidentale (a) e centro-occidentale (b) del dominio. www.engeology.eu 28 Figura 35 – Progressiva saturazione dei suoli superficiali in seguito alla ricarica: (a) al secondo giorno, (b) al sesto giorno, (c) al decimo giorno. Figura 36 – Innalzamento (m) del livello piezometrico nell’acquifero profondo in seguito all’innalzamento del livello nella zona di alimentazione e alla ricarica, relativo alla porzione nord-occidentale (a) e centro-occidentale (b) del dominio. www.engeology.eu 29 4.4 ANALISI DELLA SUSCETTIVITÀ IDROGEOLOGICA DELL’AREA TEST L’analisi parametrica ha evidenziato che esiste uno stretto legame tra le condizioni di stabilità e la struttura idrogeologica del versante; in particolare, i contrasti di permeabilità localizzati al contatto tra i diversi materiali si sono dimostrati determinanti ai fini sia delle modalità di circolazione idrica sia della stabilità. Si è quindi compiuto un primo tentativo per mettere in relazione la distanza dalle condizioni di equilibrio limite nell’area di studio con alcune manifestazioni idrogeologiche facilmente monitorabili. Ad esempio, in corrispondenza dell’affioramento di fasce di frattura o di livelli molto permeabili sono generalmente presenti fenomeni sorgentizi, aventi caratteristiche differenti in funzione dell’assetto idrogeologico del versante: in corrispondenza della fascia cataclastica, laddove la trasmissività assume valori intorno ai 10-3m2/s e il drenaggio non è impedito, si rilevano sorgenti allineate al contatto con portate dell’ordine di 12 l/s per km e valori di conducibilità elettrica tipici delle sorgenti in aree carbonatiche; in corrispondenza di livelli di detritici alterati molto permeabili (spesso presenti all’interno delle conoidi a varie profondità), i fenomeni sorgentizi si localizzano alla quota di affioramento di tali livelli, con portate proporzionali alla loro trasmissività (i valori massimi si attestano intorno ai 5-10 l/s per km) e conducibilità elettrica talora molto elevata (sorgenti solforose). L’analisi parametrica ha evidenziato che le condizioni più critiche ai fini della stabilità si hanno: laddove il drenaggio lungo la fascia cataclasitca risulta ridotto; in presenza di zone di concentrazione del flusso di falda, quali ad esempio livelli molto permeabili che richiamano acqua dall’ammasso circostante. Sulla base di tali evidenze, le aree maggiormente suscettibili all’instabilità possono essere facilmente identificate attraverso: l’esecuzione di un rilevamento geologico-strutturale e geologico-tecnico delle rocce nella zona di alimentazione, che consente di valutarne la permeabilità e quindi di individuare le aree caratterizzate da una maggiore portata affluente; un accurato rilevamento delle sorgenti, che consente di distinguere le aree dove il drenaggio è limitato o addirittura impedito. Particolare rilevanza rivestono, inoltre, le condizioni di alimentazione dell’acquifero. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, la modellazione parametrica permette di definire delle soglie pluviometriche critiche variabili in funzione della permeabilità. Infatti, utilizzando gli abachi ricavati dall’analisi parametrica e fissato un valore di soglia delle spinte (in funzione delle caratteristiche di resistenza del materiale), è possibili ricavare la ricarica critica e, di conseguenza, la pioggia in grado di determinare un livello di rischio sensibile, che può risultare variabile da zona a zona in funzione delle caratteristiche di permeabilità oltre che di resistenza. Analogamente, anche per il livello piezometrico nella zona di alimentazione dell’acquifero è possibile fissare delle soglie critiche in grado di generare condizioni di rischio per la stabilità dei versanti, che possono agevolmente essere monitorate attraverso la predisposizione di piezometri dislocati in punti strategici dal punto di vista della struttura idrogeologica (ad esempio laddove il substrato impermeabile è a maggior profondità). Al fine di sintetizzare i risultati ottenuti attraverso l’analisi parametrica sono stati messi in relazione i valori del fattore di sicurezza con il corrispondente livello piezometrico simulato dal www.engeology.eu 30 modello nelle diverse condizioni idrogeologiche (fig. 37). Per rendere i risultati confrontabili tra loro, si è preferito esprimere il livello piezometrico in termini di innalzamento (convenzionalmente assunto positivo) o abbassamento (negativo) rispetto al livello piezometrico riferito alla simulazione base (Fs=1). Come si può osservare dal grafico di figura 37a, alle variazioni di livello piezometrico sono associate sensibili variazioni del fattore di sicurezza, con una dispersione dei punti attorno alla retta di regressione relativamente limitata. Variazioni del fattore di sicurezza dell’ordine del 5% (Fs/Fs) sono associate a variazioni del livello piezometrico h di circa 1-2m, mentre Fs/Fs del 10% si hanno in seguito a h intorno ai 3m (fig. 37b). L’analisi parametrica in relazione alle variazioni del livello piezometrico è stata infine condotta al variare dei parametri di resistenza del materiale (fig. 38). Le simulazioni hanno evidenziato che gli effetti sulla stabilità sono amplificati per materiali a comportamento più granulare, mentre appaiono smorzati al crescere della componente di resistenza al taglio dovuta alla coesione; in tal caso, però, aumenta anche la dispersione dei dati. 1,5 y = -0,0267x + 1 R² = 0,8122 Fs 1 0,5 0 -15 -10 -5 0 5 10 15 20 25 Dh nel detrito [m] (a) 1,2 Fs 1,1 1 0,9 0,8 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 Dh nel detrito [m] (b) Figura 37 – Variazioni del fattore di sicurezza, rispetto alla simulazione di base (Fs=1), in relazione alla variazione del livello piezometrico (i valori positivi indicano un innalzamento mentre quelli negativi un abbassamento) all’interno del corpo di frana ottenuto dalla simulazione parametrica. www.engeology.eu 31 1,5 y = -0.0187x + 1 R2 = 0.8158 Fs 1 0,5 y = -0.0267x + 1 R2 = 0.8122 y = -0.0369x + 1 R2 = 0.8044 0 -15 -10 -5 0 5 10 15 20 25 Dh nel detrito [m] Figura 38 – Variazioni del fattore di sicurezza, rispetto alla simulazione di base (Fs=1), in relazione alla variazione del livello piezometrico per diversi valori dei parametri di resistenza del materiale: in blu c’ = 145 kPa e ’= 35°, in rosa c’ = 173kPa e ’= 25°, in verde c’ = 110 kPa e ’= 45°. Identificate, sulla base dell’analisi parametrica, delle soglie di pericolosità in relazione a diverse cause predisponesti e scatenanti, attraverso l’implementazione di un modello di flusso tridimensionale dell’area test è stato possibile estendere i risultati sull’intero dominio di studio, definendo delle scale di pericolosità relativa, per aree idrogeologicamente omogenee, in funzione delle diverse tipologie di dissesto: “soil slip” innescati da processi di infiltrazione con saturazione dall’alto; scivolamenti rotazioni più o meno profondi, che evolvono in colate a causa del notevole apporto di acqua da monte. In particolare la modellazione tridimensionale del flusso idrico sotterraneo in condizioni stazionarie ha permesso di costruire delle carte di propensione idrogeologica sia al dissesto superficiale (fig. 39a) e all’innesco di instabilità profonde (fig. 40a). L’implementazione del modello in regime transitorio ha poi consentito di valutare le principali cause scatenanti delle diverse tipologie di dissesto, individuate principalmente nelle variazioni delle condizioni al contorno già descritte. L’analisi condotta in tal senso ha permesso di rilevare come precipitazioni intense e di breve durata possano determinare una notevole variazione nel regime delle pressioni neutre, proprio in corrispondenza delle zone caratterizzate da una maggiore instabilità. In base a tali risultati si sono potute costruire delle carte di sensibilità alle sollecitazioni meteoriche, sia relativamente all’acquifero superficiale (fig. 39b) sia per quanto riguarda l’acquifero profondo (fig. 40b). Nelle figure 39a e 40a è riportata la cartografia della propensione idrogeologica al franamento (sia per i dissesti superficiali sia per i movimenti di versante più profondi) basata sull’entità delle portate infiltrate (fig. 39a) e delle portate affluenti da monte (fig. 40a), mentre le figure 39b e 40b evidenziano le aree maggiormente suscettibili alle variazioni delle condizioni idrogeologiche al contorno: in particolare, infiltrazione (fig. 39b) e alimentazione da monte (fig. 40b). www.engeology.eu 32 5 CONCLUSIONI Poiché, come ben noto, l’acqua costituisce una delle principali cause di franamento, studi finalizzati alla valutazione della pericolosità da frana devono necessariamente tenere conto degli aspetti connessi alla circolazione idrica e ai suoi effetti sulla stabilità. Nonostante questo tipo di analisi sia sempre più diffuso nella valutazione della pericolosità su singoli fenomeni di instabilità, negli studi su ampia scala viene generalmente limitato alla definizione di soglie pluviometriche per l’innesco di movimenti franosi superficiali (“soil slip”), tralasciando gli effetti della circolazione idrica sui movimenti franosi più profondi. Tale semplificazione deriva evidentemente dalla complessità dei processi che governano il fenomeno, nonché dalla difficoltà nel reperimento di dati idrogeologici sufficienti. (a) (b) Figura 39 – (a) Carta della propensione idrogeologica al dissesto superficiale; la scala cromatica indica una suscettività crescente con la tonalità del colore. (b) Carta della sensibilità dei movimenti franosi superficiali agli eventi meteorici; la scala cromatica indica le variazioni nel livello piezometrico (crescenti con la tonalità del colore). www.engeology.eu 33 (a) (b) Figura 40 – (a) Carta della propensione idrogeologica al franamento; la scala cromatica indica una suscettività crescente con la tonalità del colore. (b) Carta della sensibilità dei movimenti franosi profondi agli eventi meteorici; la scala cromatica indica le variazioni nel livello piezometrico (crescenti con la tonalità del colore). Infatti, il legame tra i diversi fattori è estremamente complesso e dipende dalla natura dei materiali, dalla morfologia dei versante e dal suo assetto strutturale e idrogeologico. Tale complessità ha portato all’esigenza di predisporre uno strumento che consentisse la ricostruzione dell'assetto idrogeologico a scala di bacino, sia in condizioni stazionarie che nel transitorio conseguente al verificarsi di eventi pluviometrici intensi. L’obiettivo è stato quello di fornire un metodo che, tenendo conto della circolazione idrica profonda, sia in grado di delimitare le aree potenzialmente soggette a movimenti franosi, ricostruendo le condizioni idrogeologiche critiche. I risultati ottenuti dalla simulazione preliminare e parametrica hanno permesso di individuare le principali tipologie di processi che condizionano la stabilità degli ammassi rocciosi in relazione alla circolazione idrica. Inoltre, la dipendenza delle condizioni di stabilità dalla presenza di acqua risulta enfatizzata dall'assetto idrogeologico dell'ammasso roccioso e, in particolare, dalla presenza di anisotropie ed eterogeneità. La modellazione tridimensionale del flusso idrico sotterraneo nell’area test è stata quindi condotta cercando di identificare attraverso i risultati delle simulazioni nelle diverse condizioni idrogeologiche le aree maggiormente suscettibili all’innesco dei vari cinematismi, valutando gli effetti delle principali cause scatenanti sulle diverse tipologie di dissesto. www.engeology.eu 34 In conclusione, la presente ricerca costituisce un esempio di modellazione parametrica che consente di mettere in relazione la vicinanza alle condizioni di equilibrio limite del versante con alcuni parametri idrogeologici facilmente rilevabili e monitorabili, quali ad esempio le piogge, il livello piezometrico e la portata delle sorgenti. In tal modo è stato possibile identificare delle soglie di pericolosità in relazione a diverse cause predisponenti e scatenanti e, quindi, definire delle scale di rischio relativo per l’area campione. Le cartografie così ottenute costituiscono un layer informativo essenziale sia ai fini della costruzione delle carte della suscettività al franamento sia per le analisi statistiche del rischio. 6 BIBLIOGRAFIA Axelsson K., Yu Y., Johansson L: “Finite element analysis of an excavated slope” – Proc. of the VI International Symposium on Landslides 10-14 february 1992 (Balkema, 1992). Bartolomei A., Brugioni M., Canuti P, Casagli N., Catani F., Ermini L., Kukavicic M., Menduni G., Tosoni V.: “Analisi della suscettibilità da frana a scala di bacino (Bacino del F. Arno, Toscana, Italia)”. Giornale di Geologia Applicata 3(2006), 189-195. Benedetti A.I., Dapporto S., Casagli N., Brugioni M.: “Sviluppo di un modello di previsione di frana per il bacino del fiume Arno”, Giornale di Geologia Applicata 3(2006), 181-188. Brabb E.E.: “Innovative approach to landslide hazard mapping”. Proc. IV Int. Symp. Landslides, Toronto, v.1, 307-324 (1984). 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