ANNO XLII N. 1-2/2007 Poste Italiane sped. in A.P. - Art. 2 comma 20/e legge 662/96 Aut n. DCO/DC-CS/220/2003 valida dal 29 maggio 2003 Direttore responsabile GIUSEPPE CATERINI giornalista Segretario di redazione Ettore Merletti Selezione scritti, grafica e impaginazione Mario Caterini giornalista Comitato di corrispondenza Leonardo Ferraro Giovan Battista Galati Anselmo Papaleo Massimiliano Provenzano Antonio Sirianni • Direzione Redazione Amministrazione COSENZA Via Alberto Serra, 42/d - Tel. 0984-393646/47 • Le competenze delle prestazioni svolte da direttore, redattori, collaboratori e segretario di redazione sono tutte devolute a favore dei rispettivi Collegi. Gli autori sono responsabili dei propri scritti, anche se pubblicati, su richiesta, siglati o con pseudonimo. Manoscritti, fotografie, disegni, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. Titoli e didascalie sono della Direzione o degli autori. È consentita la riproduzione anche parziale degli scritti pubblicati, previa citazione della fonte. La rivista viene inviata gratuitamente ai geometri iscritti ai Collegi aderenti al Comitato Regionale Geometri di Calabria, agli enti pubblici, agli istituti tecnici per geometri e agli ordini professionali, nonché ai ministeri, alle regioni e a tutti gli organi direttivi della categoria. I supplementi, gli inserti e i numeri speciali de "La Stadia" vengono inviati solo ai geometri iscritti dei Collegi aderenti al Comitato Regionale Geometri di Calabria, previo accordo con la direzione responsabile. • Attività avente carattere culturale senza fini di lucro. Pubblicazione esente da I.V.A. ai sensi dell'art. 2 del D.P.R. 26-10-1972 n. 633. Fascicolo non in vendita. • Caratteristiche tecniche Formato cm. 21x29,7 colonna cm. 25x9 carta gr. 75 • Contributo annuo sostenitore € 60, benemerito €100 • Contributo pubblicità a numero Copertina a colori: 2ª € 1.000; 3ª € 800; 4ª € 1.200. 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Ter. - nota 10.11.2006 52 - Agenzia del Territorio: Decreto 6 dicembre 2006 53 - Agenzia del Territorio: Provvedimento 6 dicembre 2006 55 - Classamneto immobili gruppo catastale «E» 55 - Agenzia del Territorio: Provvedimento 2 gennaio 2007 59 - Agenzia del Territorio: Circolare n. 1/2007 61 - Agenzia del Territorio: Provvedimento 9 febbraio 2007 63 - Avviato il controllo dei fabbricati rurali, di Franco Guazzone REGOLE DI COLLABORAZIONE CRITERI GENERALI 1) La rivista persegue lo scopo di allargare l'informazione tecnica nella regione. Si rivolge particolarmente ai geometri, ai tecnici, agli enti, agli uffici, alle organizzazioni e agli operatori del settore. 2) Per il tipo di utenza a cui la rivista si rivolge, i testi dovranno essere scritti in modo chiaro, comprensibile e stringato. Se la direzione ritenesse il testo non idoneo per la forma, può modificarlo dandone comunicazione all'autore. 3) Gli scritti, ovviamente originali, non devono superare le dieci cartelle al computer, comprese le illustrazioni, (piena pagina, corpo 10) e dovranno pervenire entro la fine dei mesi di marzo, giugno e novembre per una eventuale pubblicazione nel numero successivo. Pezzi più lunghi dovranno essere concordati con la Direzione della rivista. Tutti i testi e il materiale iconografico dovranno essere inviati in copia cartacea e floppy-disk al Diretto-re responsabile (via A. Serra n. 42/D - 87100 Cosenza) e non saranno retribuiti né restituiti. 4) Le bozze date agli autori per la correzione dovranno essere restituite entro 3 giorni dalla consegna; in mancanza, la direzione potrà procedere alla pubblicazione, secondo la propria impostazione. 5) A ciascun autore saranno date in omaggio 2 copie del numero della rivista col suo scritto. La restituzione del materiale fotografico avverrà entro 30 giorni dalla pubblicazione, solo se ne verrà fatta dall'autore esplicita richiesta. La segreteria di redazione non risponde di eventuali deterioramenti o smarrimenti. CRITERI REDAZIONALI Titoli e testi a) I titoli devono essere chiari e i più brevi possibili. La direzione, si riserva il diritto di modificarli a secondo le esigenze redazionali. b) I testi devono essere digitati in modo chiaro per un massimo di 10 cartelle, possono essere suddivisi in capitoli, e dovranno essere definitivi: non si apporteranno correzioni non previste dall'originale. c) Le parole singole in lingua straniera presenti nel testo vanno scritte in corsivo. d) Le citazioni di più righe si riportano in corpo minore rientrando di due spazi rispetto ai inargini del testo. e) Le note si collocano a fine testo. In esse i nomi degli autori si scrivono in maiuseoletto, i titoli delle opere e degli articoli in corsivo. Basta riportare il solo luogo di edizione, seguito dalla data e dagli eventuali numeri di pagina, senza l'indicazione dell'editore. In mancanza della data o dell'anno di pubblicazione riportare le sigle s.d. oppure sa. f) Le opere collettive si riportano soltanto con il titolo del volume aggiungendo l'eventuale nome del curatore preceduto dalla dicitura: a cura di non usando la sigla AA.VV. g) I titoli degli Atti dei convegni e delle Enciclopedie nonché degli articoli e dei saggi pubblicati in riviste vanno indicati in corsivo, il nome della rivista va posto tra virgolette riportando anche mese e anno, volume e numero del fascicolo, con eventuale modificazione di Nuova Serie. Tra il titolo dell'articolo e la sede della pubblicazione (anche nel caso di Atti di convegni ed Enciolepedie) porre la dicitura: in. h) Le collane di testi e le opere di consultazione devono essere riportate secondo le abbreviazioni in uso impiegando il corsivo. i) Il riferimento a fondi archivistici va riportato, nella prima citazione o in un apposito elenco delle abbreviazioni, con sigla affiancata dal significato per esteso, es.: ASCs=Archivio di Stato di Cosenza. 1) Nelle recensioni, prima del testo, indicare nell'ordine nome e cognome dell'autore per esteso, titolo completo del volume recensito, luogo di edizione, editore, anno di edizione, numero delle pagine, prezzo. Tabelle e Illustrazioni a) Le tabelle, ridotte al numero essenziale, dovranno essere separate dal testo e correttamente numerate. b) Le illustrazioni (fotografie in bianco e nero e diapositive a colori) non dovranno essere inserite nel testo, ma su fogli a parte e dovranno essere numerate e accompagnate dalle relative didascalie. c) I grafici citati nel testo con il termine «figura», dovranno essere molto chiari e numerati in modo progressivo con le relative didascalie (separate dal testo e recanti il numero di riferimenti) di facile ed immediata comprensione. d) l'inserimento delle illustrazioni, delle tabelle e dei grafici nel testo, sarà curato dalla direzione che si riserva il diritto di adeguarlo alle esigenze di impaginazione. La direzione ____________ La direzione de la Stadia chiede alla cortesia di tutti i lettori l'invio di foto e cartoline illustrate a colori di scorci panoramici, bellezze naturali e beni storici, artistici o architettonici del Sud Italia, da pubblicare, previa selezione, in copertina. La collaborazione qualificata e gratuita a la Stadia, segnatamente degli iscritti all'Albo, al Registro dei praticanti e all'Elenco speciale nonché di tecnici, studiosi e specialisti è richiesta, gradita e sollecitata Un giornale si fa non solo con l'impegno costante di pochi volontari, ma anche con l'apporto valido e serio di molti. 65 67 69 72 79 80 - Agenzia del Territorio: Provvedimento 2 marzo 2007 - Agenzia del Territorio: Provvedimento 20 marzo 2007 - Agenzia del Territorio: Circolare n. 3 del 30 marzo 2007 - Agenzia del Territorio: Circolare n. 4 del 13 aprile 2007 - Agenzia del Territorio: Provvedimento 30 maggio 2007 - Aggiornamento catasto terreni (Pregeo): Servizio trasmissione telematica- Ag. Ter. Comunicato stampa 81 - Agenzia del Territorio: Nota 6.6.2007 COMPETENZE E PROFESSIONE 82 - Le tariffe profesionali dopo il decreto Bersani, di Pietro Romano 84 - Agrotecnici: nessuna competenza in materia catastale 87 - Afflussi anomali ed immissioni illecite nelle fogne nere, di Giuseppe Raso e Angela Raso 92 - Disciplinare di incarico professionale 93 - Consulenze tecniche d’ufficio riguradanti il valore dei beni immobili, di Giuseppe Carraro Moda 95 - La responsabilità civile del geometra, di Beatrice Bassi 104- Falsità delle dichiarazioni del professionista solo se sostanziali, di Diego Foderini 106- La certificazione degli edifici, di Luciano Bassi 108- L’arbitrato rituale ed irrituale, di Lucia Tomasini e Massimiliano Debiasi 111 - Opere distinte, progetti cumulabili e Via, di Paolo Costantino 112- Errore progettuale e contenzioso, di Donato Carlea 114- Affidamento servizi di ingegneria ed architettura - Determ. Aut. Vig. 29 marzo 2007 116- Azione di ingiustificato arricchimento 122- Lavoro irregolare nei cantieri e interdizione alle gare di appalto, di Pietro Gremigni CONDOMINIO 123- Scale e ascensore: giurisprudenza e metodi di calcolo 124- Infiltrazioni in appartamenti: responsabilità e prova del danno, di Ivan Meo 127- Conseguenze penali per «vecchi» ascensori in pericolo, di Francesco Terranova 128- Le sopraelevazioni nel codominio, di Ettore Ditta 133- Evoluzione della figura dell’amministratore di condominio, di Alberto Celeste 140- Nuovi e vecchi adempimenti fiscali del condominio, di Ercole Bellante 141- Il ricorso in materia possessoria, di Rodolfo Cusano 145- Vicini di casa divisi dal codice, di Saverio Fossati 146- L’applicazione delle norme sui rapporti di vicinato, di Ettore Ditta 150- Aree di pertinenza immobiliare, l’indennità espropriativa, di Giovanni Turola EDILIZIA E URBANISTICA 152- I soggetti legittimati alla richiesta del titolo edilizio, di Giuseppe Ciaglia e Alessandra Catronuovo 157- La Dia non decade se il comune richiede altri documenti, di Diego Foderini 159- Il certificato di agibilità, cos’è e a cosa serve 160- Il piano regolatore decide l’edificabilità, di Massimiliano Tasini 162- Condoni e paesaggio, di Roberto Banchini 166- Il lungo tempo trascorso sana i vizi del permesso di costruire, di Diego Foderini FISCO 167 - Valori catastali degli immobili e loro effetti fiscali, di Antonio Piccolo 171- Mano pesante sugli immobili col decreto fiscale, di Franco Guazzone 175- Nuovi poteri degli uffici in materia di accertamento - Ag. Entrate - circ. n. 6/E del 6.2.2007 185- Le aree edificabili ai fini Ici dopo l’intervento delle sezioni unite, di Antonio Nucera 186- Successioni e donazioni, di Norberto Villa NORMATIVA TECNICA 199 - Legge finanziaria 2007 - stralcio 201- Riqualificazione energetica - D.M. 19 febbraio 2007 SICUREZZA SUL LAVORO 210 - Gli scavi nei cantieri edili, di Francesco Esposito e Salvatore Esposito 214- Rideterminate le entità delle sanzioni, di Antonio Tieghi 215- Vigilanza per cantieri mobili o temporanei TECNICA DELLE COSTRUZIONI 216 - Tecniche sperimentali per il controllo dei materiali ed il monitoraggio delle strutture, di G. Porco e G. Zaccaria 223- Riscaldamento, di Giuliano Dall’O’e Annalisa Galante 231- Finestre: geometrie e prestazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di Elena Lucchi 234- Luce dal cielo con il tunnel solare Velux 235- Tempi e costi dei materiali per singole lavorazioni edili, di Vincenzo Gieri COPERTINA 1ª - SALVADOR DALÌ: San Giorgio e il drago - Museo all’aperto “Bilotti” - Cosenza 2-3ª- Tesori di Calabria 4ª - MIMMO ROTELLA: L’arte è pace ... - Museo all’aperto “Bilotti” - Cosenza (in alto a destra) 4ª - G. DE CHIRICO: Ettore e Andromaca - Museo all’aperto “Bilotti” - Cosenza (in basso a sinistra) n. 1-2/2007 Addii la Stadia HA PERSO LA SUA PIÙ PREZIOSA COLLABORATRICE Dal 1971 sempre a titolo gratuito ha curato la revisone dei testi della nostra rivista con grande professionalità e competenza, mai volendo apparire nel colophon. Addio, professoressa Caterini, non Ti dimenticheremo! ADELE CATERINI OLIVIERI Laino Borgo 6 dicembre 1943 Parigi 30 marzo 2007 Amatissima sposa e madre dalla vita adamantina dedita alla famiglia e al lavoro, eletta da un superiore imperscrutabile volere rivelato da due alte profezie, in soli tre mesi senza molte sofferenze, quando assolti tutti i doveri attendeva un'esistenza serena, è stata sottratta ai suoi cari, a nulla valendo per tenerla con loro le favorevoli previsioni e cure di luminare di fama mondiale. Schiva, soave, intimamente cristiana, nume tutelare e domina della sua famiglia, della sua casa e del suo giardino, dove in spirito resta per sempre, con la speranza di riabbracciarla in un'altra vita. Ma tutto si è svolto come previsto. Così avevano detto L’odore forte di legna bruciata che esce dai camini comincia a riempire le strade, i vicoli, i cortili, la piazza; un odore dimenticato che in questo pomeriggio di primavera ancora incerta sembra inopportuno, fuori tempo. Dieci, cento, poi duecento, cinquecento uomini e donne riempiono il vuoto di quella strada, dei vicoli e della piazza. Un silenzio surreale che ferisce le orecchie con il suo rumore assordante; l’attesa ha fatto fermare il tempo, sospeso, immobile; quel tempo può appartenere ad oggi, può appartenere a cento anni indietro o avanti: nulla cambierebbe. Un copione già sperimentato, ripetuto innumerevoli volte, già visto in passato così come dovrà vedersi in futuro. Ma tutto si svolge come previsto. Così avevano detto. L’attesa, interminabile; quei pochi minuti sembrano un secolo. Gli uomini e le donne cominciano a muoversi; il silenzio è rotto solo dallo scalpiccio delle scarpe sul selciato ruvido, grigio, duro, con le pietre perfettamente allineate secondo un disegno incomprensibile, il disegno che può esserci nelle pietre informi, accuratamente listate. Quale può essere il disegno di una pietra? Ogni pietra ne ha uno, ma noi non lo comprendiamo: vediamo le pietre, quelle squadrate e lisce, quelle grezze e ruvide, le vediamo passare davanti a noi, ma non ci curiamo di loro più di tanto. Non guardiamo neanche la nostra pietra, con la presunzione di essere certi della sua perfezione. Solo quando ne vediamo una che si avvia per un cammino a noi sconosciuto, forse, cominciamo a farci e a fare domande. Perché? Perché ora? Perché quella pietra e non un’altra? Perché non la mia? Dove sta andando, da dove viene? Chiediamo aiuto per avere risposte a queste domande e le risposte, quando e se le abbiamo, ci sconvolgono, mettono in dubbio decenni, una vita di certezze, ci costringono a metterci in discussione, ci fanno sorgere mille dubbi. Ma tutto si svolge come previsto. Così avevano detto. Ci si ferma nella piazza, qualcuno inizia a parlare con voce pacata e solenne. Pochi, forse solo alcuni comprendono quel linguaggio; altri, anche se lo comprendono, non lo accettano: non si può accettare solamente perché qualcuno, dall’alto di una autorevolezza che convenzionalmente gli è stata attribuita, pretende che sia capito e condiviso. Belle parole, tono persuasivo; ma dove va quella bella pietra, liscia, ben squadrata, che fino a quel momento è stata la pietra angolare dell’edificio cui apparteneva. Ora bisognerà farne a meno, le altre pietre dovranno fare in modo di assorbire loro il peso di tutta la costruzione, perché l’edificio non può cadere. Silenzio. Si prosegue. La strada comincia a salire. Lo scalpiccio delle scarpe si fa più forte, fastidioso, perché ciascuno sa che fra poco finirà, si spegnerà in un piazzale, alla fine di tutto. Dove tutte le pietre lisce e squadrate o ruvide e grezze arrivano alla fine del loro cammino, o all’inizio di un viaggio del quale ignoriamo la meta. Ma tutto si è svolto come previsto. Così avevano detto. Laino Borgo, 5 aprile 2007 Enzo Bellavia* * Presidente Collegio Geometri di Agrigento 3 Addii n. 1-2/2007 IN MORTE DI GUSTAVO VALENTE Potendo fregiarmi dell’onore di essere considerato Suo vecchio amico, desidero ricordarlo cosi come ho salutato la Sua partecipazione in data 1° agosto 1999 a San Donato di Ninea, introducendo i lavori per la presentazione del libro di Raffaele Bisignani “il dialetto calabrese parlato a San Donato di Ninea”… Ed ancora, un saluto impregnato del miglior sentimento di gratitudine e di riconoscenza alle personalità politiche, civili e militari che con la loro presenza rendono più solenne questa stessa manifestazione. Mi riferisco, in particolare… al prof. Gustavo VALENTE noto cultore dell’arte, vice presidente dell’Accademia Cosentina e membro autorevole della Deputazione di Storia Patria della Calabria… tutti figli della nostra terra, che con la loro azione ,il loro impegno, le loro opere ne hanno onorato, arricchito e disseminato la storia. Non me ne vogliano gli altri se, senza sminuire e nulla togliere ai loro meriti, aprirò una breve parentesi in favore del prof. Gustavo VALENTE , ricordando -tra l’altro- eh ‘Egli è stato il pioniere nello esportare oltre Cortina i caratteri principali della nostra regione e di partecipare al mondo europeo l’ansia del popolo calabrese. Specificamente: - erano gli anni che segnavano l’inizio detta seconda metà di questo secolo; - il prof. Gustavo VALENTE ricopriva la carica di Presidente dell’Ente Provinciale del Turismo; - Cortina, oltre a rappresentare un confine geografico, era per l’Italia e sotto numerosi altri aspetti anche un confine politico; - Bruxelles dava luogo alla sua prima manifestazione fieristica espositiva internazionale. In quel contesto, definito dalla stampa internazionale dell’epoca assai stravagante, tra i tanti meglio addobbati e più lussuosi stands ne rimaneva incuneato uno assai più modesto, ma articolato in guisa da richiamare l’attenzione dei visitatori: era quello voluto e fatto allestire dal prof. Gustavo Valente, per rappresentare i principali caratteri di una Regione poco conosciuta, la nostra Regione: – la Calabria con i suoi monti Pollino, Pellegrino, Mula, Botte Donato, le Serre , l’Aspromonte; – la Calabria col Pino Loricato, i faggeti,le pinete, i castagneti; – la Calabria con i laghi Cecità ed Ampollino, quella Calabria con i 700 km. di coste lambite da tre mari; – la Calabria segnata dall’architettura bizantina, romanica, gotica e barocca; –la Calabria con gli usi ed i costumi di un popolo rozzo nell’apparenza ma squisitamente impregnato di sfumature spirituali che grande ne fanno la sua dignità e con in gola un grido verso le genti dei paesi bassi, scandinavi e dell’Europa tutta: venite, Vi attendiano e Vi accoglieremo col calore che sprigiona la nostra intima sofferenza e la nostra grande speranza! Fu quello uno dei momenti, il momento che segnò l’inizio di una nuova era per la Calabria ed i calabresi. Di ciò -professore VALENTE- noi Ti siano assai grati, grata e riconoscente Te n ‘e’ la Calabria tutta , la Calabria dell’oggi che muore e del domani che va “. Oggi, con profonda tristezza, posso dirTi soltanto ADDIO! Giuseppe Cordasco GIOVANNI LOMONACO CI HA LASCIATO Il 23 ottobre 2006 è venuto a mancare all’affetto dei sui cari il geometra Giovanni Lomonaco. Era nato ad Aieta (CS) nel 1920 e per circa 40’anni è stato iscritto al collegio dei Geometri della Provincia di Cosenza con il n°107. Il geom. Giovanni Lomonaco ha rappresentato per circa ½ secolo un saldo punto di riferimento per i tecnici di Praia a Mare e dei paesi limitrofi, nonché la memoria storica di tutta l’evoluzione topografica dell’alto tirreno cosentino. Un uomo forte e dinamico: un uomo di una generazioni di altri tempi, quando per scarsità di mezzi e di infrastrutture bisognava raggiungere i luoghi delle operazioni di campagna a piedi o alla meglio sul dorso di muli. Ho conosciuto il geometra Lomonaco nel 1982, a 16 anni quando studente dell’istituto tecnico per geometri, mia madre mi portò presso il Suo studio per le ripetizioni delle materie tecnico/scientifiche, infatti, il geom. Lomonaco è stato 4 per la nostra professione quello che oggi si direbbe un divulgatore, la sua passione per l’insegnamento, svolto contemporaneamente all’attività di libero professionista lo ha accompagnato fino ai suoi ultimi giorni. Mai geloso della sua professione ne ha diffuso i fondamenti ed i principi con discrezione, rispetto e signorilità tanto che quasi tutti i geometri che operano nel circondario di Praia a Mare provengono dalla Sua “scuola”. È stato un uomo con doti umane e morali irreprensibili, un genere di uomo che raramente nella vita si ha il privilegio di incontrare. Chi scrive è stato legato al geometra Giovanni Lomonaco da un forte rapporto di parentela, amicizia e affetto profondo, e perciò conserva di lui tantissimi ricordi. Ricordo che appena diplomato, al ritorno da alcuni rilievi, mi accennò alle soddisfazioni della nostra professione “ se decidi di fare il geometra avrai a che fare con gente umile, avvocati, notai, le soddisfazioni saranno tante, a condizione che la tua attività sia svolta con tanta, tanta professionalità” In quel momento non capii il vero significato di quelle parole, ma oggi, a quarant’anni, ogni volta che attraverso la soglia di un qualsiasi uscio, da quello di un professionista a quello di un semplice contadino, me ne rammento. Al sottoscritto e a tutti quelli che lo hanno conosciuto manca tantissimo. Grazie, grazie senza fine per l’insegnamento e l’esempio che ci ha lasciato. Pasquale Giunti n. 1-2/ 2007 Arte e Cultura GUSTAVO VALENTE: IL GRAN PATRIARCA DELLA STORIOGRAFIA CALABRESE di Giulio Palange* ono strani e insondabili certi meccanismi mentali: finché un “personaggio”, con cui hai assidua e lunga frequentazione magari anche per tramite dei suoi scritti, finché, si diceva, costui resta in vita, non solo te ne porti dentro – o ritieni di portartene dentro – un’idea abbastanza motivata e compiuta, ma, anche, sei sicuro di poterne alla bisogna parlare congruamente; poi, non appena sai del suo passaggio a miglior vita e cerchi di fare il punto su di lui senza dover ricorrere all’enfasi celebrativa che è fracasso buono a coprir qualsiasi nota stonata, ti ritrovi solo con ritagli di eventi, frammenti di immagini, brandelli di parole, manco un ordigno d’insospettabile potenziale ti sia silenziosamente esploso dentro, frantumando quella stessa idea fin lì ritenuta corposa e congrua. Tanto più nel caso di “don” Gustavo Valente, “personaggio” di tale e tanto spessore umano e culturale che ogni etichetta o definizione finisce per stargli stretta, per risultar riduttiva: studioso dall’assai sapienza distillata sul campo della ricerca storiografica; autore dalla scrittura mai sciatta, banale, anzi dagli echi intriganti giusto quando ricorre ad un lessico desueto che sa d’alchimia iniziatica atta a dar con pochi tratti l’anima d’un personaggio, il senso d’un evento; gentiluomo sopravvissuto integro alle montanti volgarità, ai cialtroneschi e assordanti schiamazzi, agli arrivistici sgomitamenti e ammiccamenti, ai bivacchi dietro la porta dell’assessore di turno ché il far cultura ormai non può più fare a meno di lui e spesso è – ahinoi! – solo un somaro calzato e vestito… E, allora, quegli stessi ritagli e frammenti e brandelli diventano orme da seguire, per poter, nel caso in oggetto, decrittare di Gustavo Valente la cifra sul tappeto al di là della finestra, a dirla con Henry James. Primi anni ’60. Sede dell’Ente Provinciale per il Turismo di Cosenza alla cui presidenza si ritrova quasi per caso, anzi, per una particolare e mai più ripetutasi congiuntura politica (quella stessa che porta il liberale Barberio alla guida della Camera di Commercio cosentina), il monarchico Gustavo Valente, antico sodàle del ministro della real casa Falcone Lucifero, brillante e ricercato e facondo frequentatore di salotti culturali ed accademie, nonché scrittore-storico ancor fresco di successo per via del suo Vita di Occhialì: al cronista, certo ottuso da vieti luoghi comuni e preconcetti, e che, perciò, s’aspetta di doversi confrontare con un saccente, tronfio, traggirante, nonché nostalgico politicante da sottogoverno, invece un’entusiasta, colto, vulcanico, raffinato cervello pensante – della cui aristocraticità intellettuale vi è imprinting anche nella distinzione dei tratti – al cronista rovescia addosso una lunga teoria di programmi e progetti “in itinere” tutti di alto profilo – e in gran parte poi realizzati – e che, per un verso, trasformano un ente in eterno stato letargico, per non dir comatoso, e tenuto in vita solo da qualche folclorismo bocca-a-bocca o iniettato sottopelle, in una fucina d’intelligente attivismo, e, per altro, fanno giustizia d’ogni volgare interesse di bottega, perché per lui l’importante non è “sbandierare” il vessillo sabaudo o altri d’altro S genere, ma “fare”, “coinvolgere”, “motivare” a dispetto di tutto e di tutti, con il che perseguendo un’idea alta del far politica, un’idea di crescita con altri e per altri, un’idea, insomma, “risorgimentale”, tanto per connotarla con un aggettivo che, in fondo, è luogo comune ma che, comunque, richiama l’atmosfera d’una temperie storica eticamente e prospetticamente distante anni luce dagli affarucci della politichicchia del tempo, una volta svaporati al sole sfolgorante dell’incalzante miracolo economico le utopie, le speranze, le tensioni etiche, le tonificanti dialettiche d’una democrazia da farsi. Anni ’70, salottino di velluto cremisi del sontuoso, al tempo, Albergo Imperiale di Cosenza: nella pausa post prandium d’un convegno, siedono, conversando amabilmente e attizzando facìglie dotte, il professor Umberto Bosco, padre Francesco Russo, don Gustavo Valente ed altri studiosi di “nome” e di Da sinistra: Giuseppe Caterini e Gustavo Valente “peso”; e, ad un certo punto, lo stesso don Gustavo, un po’ schermendosi e un po’ “facendoci”, se ne esce dicendo “… che volete, noi siamo studiosi di periferia …”; al che il professor Bosco, di rimando e con gli occhi sornioni dietro le spesse lenti da miope: “Parli per gli altri, ché lei è sempre al centro anche quando se ne sta rinchiuso nella sua Celico!”. Metà anni ’90, presentazione d’un libro al Centro Studi “Enrichetta Caterini” di Laino Borgo: i primi tre relatori parlano restando seduti; poi arriva il turno conclusivo di don Gustavo Valente il quale, alzandosi, anzi, ergendosi, esordisce con una battuta in cui c’è tutto di lui, lieve causticità, arguta intelligenza, signorile rispetto per gli ascoltatori, educazione dai modi antichi, diplomatico saper parlare a nuora perché suocera intenda…, “Scusate se parlo restando in piedi, ma io la penso in modo esattamente opposto a Passarelli, proverbiale personaggio cosentino, il quale invece sosteneva, e chiedo venia per la volgarità dell’allusione, che col sedere si ragiona meglio”. Infine, un ricordo meno aggrumato ma che, alla fin fine, sottolinea, razionalizzandoli, gli altri fin qui accennati, e ognu- * Scrittore e saggista 5 Arte e Cultura no dei quali evidentemente contiene, al cuore, un tratto di don Gustavo. Inizi del 2000: esperienza fondamentale e irripetibile per chi scrive il quale viene incaricato di coordinare i lavori di curatela della stampa, per un’edizione fuori commercio, dell’opera certo più monumentale e più autorevole e più tutto di don Gustavo, il Dizionario bibliografico, biografico, geografico, storico della Calabria, fin lì stampato solo fino alla lettera “c” da un editore fallito in corso d’opera. Ed è giusto frequentando “dal di dentro” una tal fatica valentiana (per buoni due terzi costituita da appunti trascritti su schede non del tutto sviluppate e, poi, una volta ricostruite e riorganizzate, per le Edizioni GeoMetra confluite in circa tremila pagine suddivise in sei volumi), che l’acutezza dello stesso don Gustavo, la sua infaticabile capacità di lavoro, il taglio sempre elegante della sua scrittura – doti riconosciutegli e tenute in gran conto anche dai “nomi” più autorevoli e, perciò, meno sospetti di strapaesana piaggeria – hanno trovato la loro giusta ascendenza caratteriale in quanto non atteggiamenti più o meno autoimposti e, pertanto, “artefatti” e, quindi, snobistici, ma componenti consustanziali alla personalità d’uno studioso-gentiluomo (e non d’uno studioso gentiluomo, senza trattino di congiunzione, che è tutt’un’altra cosa, anzi, è più cose contemporaneamente però senza possibilità di sintesi). Perché si è avuto il privilegio di verificare dall’interno come egli, nella fattispecie, esemplarmente avesse saputo pescare in lungo e in largo nei pelaghi bibliografici, biografici, geografici e storici della Calabria, e come vi avesse saputo pescare, – tanto per indulgere ulteriormente nella metafora peschereccia – non con l’amo e nemmanco con il palamite, ma con le reti a stràscico, rastrellando tutto ciò che s’era sedimenta- 6 n. 1-2/2007 to sub-acqua a partire dai saecula-saeculorum fino ai giorni nostri, e tirando in secco non solo esemplari di grossa taglia, ma anche parecchio novellame, – quello in genere snobbato dagli Escoffier e dai Brillat-Savarin delle varie materie coinvolte, sempre assisi in cattedra anche quando si tratta di cuocere un uovo al tegamino –, e che, invece, sia nell’insieme che nel dettaglio davano, e danno, un quadro quanto mai composito, affollato, preciso di ciò che noi calabresi teniamo alle spalle e che non è solo, e per dire, la civiltà magnogreca mentre tutto il resto è barbarie, perifericità, sottosviluppo o, al meglio, diaspora nelle capitali culturali. D’altronde, è notorio ad incliti e colti che la dote regina del gran patriarca della storiografia calabrese – un patriarca che, invero, a differenza di quello di Garcìa Màrquez, non ha mai conosciuto autunno – è sempre stata quella, per l’appunto, di sapersi muovere come un pesce nella sua acqua fra archivi e biblioteche – fossero a Vienna, a Roma o a Roccacannuccia –; fra scartafacci e tomi più e meno incartapecoriti nonché muti agli occhi dei più ma non ai suoi; fra riviste e rivistine; fra giornali, giornaletti e giornalicchi; e di saper tradurre un tal gravoso impegno di ricerca in pubblicazioni di rara completezza e rigore, e in cui il filo rosso accomunante è costituito da un sorta di “libido” per il sapere in genere e da una onnivora curiosità; libido e curiosità di cui, peraltro, fanno oggettivamente fede e testimonianza la sua biblioteca disciplinarmente labirintica come quella in cui regnava l’orbo-veggente Borges, e il suo archivio sconfinato che è miniera percorsa dai più svariati e svarianti filoni. E nel suo Dizionario, in particolare e in dettaglio, la passione, l’acutezza, l’eleganza, l’inter-legenza tracimano da ogni voce, da ogni rigo, da ogni parola; specie l’interlegenza, ovvero la straordinaria capacità di don Gustavo di creare rimandi, riferimenti, collegamenti senza con ciò impaniare il lettore in laccioli vari, e sempre alla luce di un far storia più in orizzontale che in verticale, come ricostruzione di contesti e di vicende collettive più che di grandi eventi e di maiuscoli personaggi (esemplare, in merito, l’ultimo, in ordine di tempo, suo “titolo” Uno libro de negotii / botteghe, mercanti, mercanzie nella Cosenza seicentesca – edizione fuori commercio de “la Stadia”, Cosenza 2000 – , interamente costruito su fonti d’archivio e ne vien fuori una Cosenza che non ha nulla di oleografico, la Cosenza non dell’Accademia Cosentina ma della partita doppia, per così dire, la Cosenza non, sempre ad esempio, di Alberto Serra, ma quella di messer Fabrizio Civitelli nella sua potigha nel luogo detto innanzi lo Mezzo tumulo delle marmore ove si commerciano spingole e spingoloni, lana di Zumpano e filanzuoli di Capua, la Cosenza, ancora, del procaccia e del portolano e, pure, di impotenti et falliti et apotheche et husurari et…). E tutto senza mai puntare al colpo ad effetto o indulgere in sottolineature, ma sempre con la dovuta attenzione alla quotidianità come trama dell’evento rimarchevole, e col senso della misura di chi considera la storia una sorta di catalizzatore in virtù del quale ogni personaggio è, certo, “carne viva d’eventi”, come direbbe Foucault, ma, pur nella sua singolarità o eccezionalità, diventa “normale” per il fatto stesso che si verifica o esiste e mai niente di totalmente nuovo accade sotto il sole. A margine, poi, e del tutto en passant, una notazione su un’espressione oggettivamente infinitesimale nel mare di pagine del Dizionario, anzi, tanto infinitesimale da esser relitto galleggiante sul pelo dello stesso mare, e che, però, sul conio umano e culturale dell’autore la dice assai lunga: a proposito di un n. 1-2/2007 personaggio che si è tolto la vita egli, ad esempio, se ne esce scrivendo “… anticipò volontariamente la fine …”. Ecco, in un’espressione del genere, scritta per davvero in punta di penna e solo in apparenza stucchevole, c’è tutto don Gustavo, con la sua, per l’appunto, identificante signorilità, con il suo rispetto sempre e comunque per il vissuto degli altri, con il suo rifiuto d’ogni rozzezza o “tinta” comunque “forte”. E stesse identiche cose possono tranquillamente e pari-pari dirsi per tutte l’altre opere sue, fra cui: la già citata Vita di Occhialì (1960), Le torri costiere della Calabria (1972), Dizionario dei luoghi della Calabria (1972), Calabria, calabresi e turcheschi nei secoli della pirateria dal 1400 al 1800 (1972), La Calabria dell’abate Pacichelli (1977), La Calabria della legislazione borbonica (1977), La Calabria dell’abate SaintNon, Storia della Calabria nell’età moderna (1980), Le leggi francesi per la Calabria (1983), La Sila dalla transizione alla riforma, 1687-1950 (1990), Il Sovrano Militare Ordine di Malta e la Calabria (1996); tanto che si può veramente concludere, – per come, fra l’altro, ha scritto Giuseppe Caterini –, che ognuna di queste opere – e tutte l’altre non citate, per un totale di circa cento, e scusate se son poche! – “… mostra in filigrana Arte e Cultura il profilo inconfondibile dell’autore per quel che effettivamente è e sa, l’autore con lo scibile immagazzinato in decenni più decenni di studi e ricerche e riflessioni, ma anche con i suoi personali gusti, il suo modo di essere e di pensare, con la sua ideologia…”. Sicché, tutto sommato, in vita don Gustavo si è in certo senso costruito il proprio monumento a futura memoria; monumento, sì, di carta, ma destinato a durare assai e assai nel tempo, perché di carta speciale, resistente all’acqua, al fuoco, alle tempeste e, soprattutto, alle mode ed agli assessori; monumento che lo ha fatto, lo fa, e lo farà sempre e comunque contemporaneo a quelli che sono stati, che sono e che saranno, perché se è vero che, come dice Brecht, il presente non è altro che un passato sotto altra forma, tutto quello che egli ha scritto rimarrà per sempre un periplo ineludibile per quanti vorranno non solo conoscere gli snodi sostanziali del nostro passato ma, anche, e soprattutto, razionalizzarli, capirli, magari anche per decifrare il presente nella prospettiva d’un futuro possibile. Caro don Gustavo, uno come te non muore mai! Ti sia lieve la terra! 7 Arte e Cultura n. 1-2/2007 IL TESORO DI SORIANO La Biblioteca Calabrese nell’ intervista di Filippo Curtosi al direttore Nicola Provenzano - Come è nata la Biblioteca Calabrese? Son passati venticinque anni da quando - nel 1980 - ho raccolto tutti i miei libri “calabresi” e li ho donati al Centro Culturale di Soriano, istituito con quelli di Tropea, Squillace e Lamezia dalla Provincia di Catanzaro, dove facevo 1’ assessore. - Alla cultura, immagino. Macché! alle finanze! Io lo avevo chiesto, eccome se lo avevo chiesto, ed ero deciso a non mollare, perchè lo ritenevo più adatto agli studi ed ai miei interessi culturali e poi avevo tante idee e progetti per promuovere la crescita del nostro splendido territorio così ricco di arte e di storia. - E allora? Allora niente! Sai, mi dissero, le finanze stanno andando a rotoli; fra poco non avremo neppure i soldi per pagare gli stipendi dei guardiacaccia - anche nel quinquennio precedente mi avevano incastrato, appioppando a me, che non sono cacciatore, la presidenza del Comitato Caccia ed io non avevo saputo far di meglio che vietare la caccia al lago dell’Angitola ed alla foce del Neto per farne delle oasi naturalistiche - e tu sei 1’ uomo giusto al posto giusto. Prima di tutto 1’ interesse della collettività. E mi incastrarono per la seconda volta! E di brutto. - D‘accordo. E la Biblioteca Calabrese? Indignato per la mia debolezza, al terzo piano del Palazzo di vetro a fronte della Prefettura di Catanzaro, facevo 1’ assessore alle finanze: grintoso ma rassegnato, sempre alle prese con fornitori e creditori, con bilanci e consuntivi, con mandati e reversali, con debiti ed interessi passivi. Questo per i primi quattro anni; al quinto non ne potevo più e presi la decisione: basta con la politica, si torna alla cultura. Non mi ricandidai. Nonostante insistenze, preghiere e pressioni lasciai l‘Amministrazione provinciale e nelle sale rimesse a nuovo al primo piano del bell‘ edificio “Liberty” - rinominato “Palazzetto della cultura”, di piazza Ferrari in Soriano, presi a catalogare ed ordinare tutti i libri donati, e mi dedicai con entusiasmo ed amore - questa volta sì! - a realizzare il sogno di sempre: la Biblioteca Calabrese. - Quindi era da tempo che ci pensava. Da tempo sì. Ero giunto alla tesi di laurea. Presuntuoso come tutti i giovani e gonfio il libretto di trenta e lode, dissi al professore di storia che volevo “discettare” sul Convento di San Domenico in Soriano. Sulle prime mi guardò brutto, poi scorse il libretto, ci ghignò e concluse asciutto: d’ accordo ma te la vedrai da solo. Ci venne una tesi da 110 su 110 e lode questo sì - ma che fatica: su e giù fra le biblioteche della Calabria, di Messina e di Napoli fino alla Nazionale di Roma. E proprio pensando alle faticose ricerche ed ai 8 laboriosi (e costosi) “pellegrinaggi” culturali mi dissi che sarebbe stata una “mano santa” per i laureandi, calabresi e non, trovare “tutto”, o quasi, in una sola biblioteca, proprio qui nel Vibonese. - Biblioteca calabrese, dunque, perchè sorta in Calabria?! Oh no, anche! Ma “Calabrese” nel senso pieno e stretto della parola, “Calabrese” perchè tutti i suoi ventottomila e passa volumi sono di argomento calabrese o sono stati scritti da autori nati in Calabria. Una biblioteca ad un solo tema, rigorosamente esclusivo! - Non sarà stata certo una passeggiata metterne insieme tanti. Lo può ben dire, sarebbe stato facile negli anni triplicare o quintuplicare i volumi della biblioteca sol che avessi allargato le maglie dell’ accoglienza. Le faccio un esempio. Dopo avere ripulito la mia libreria bussai a quelle di parenti ed amici ed ebbi la gioia di qualche affettuoso sì: il più generoso fu di Ciccio Pugliese, “il teologo” lo chiamavano a Tropea dove lo conobbi e lo ebbi collega al mio primo anno di insegnante di storia dell’ arte nel liceo locale. Mi lasciò in eredità tutti i suoi libri, quasi settemila ma solo poco più di seicento sono presenti nella biblioteca, perchè solo seicento sono “calabresi”! - E gli altri cinquemila? Li ho consegnati, per sua volontà e senza rimpianti, al seminario Pio X di Catanzaro. Ovviamente altri generosi donatori ci sono stati ma gli apporti più “rari e preziosi” dei quali si è data e si da puntuale notizia nella apposita rubrica del nostro ROGERIUS, il periodico semestrale giunto ormai al decimo anno di vita e che si è conquistato un posto di tutto rispetto nel panorama della stampa regionale, sono stati acquistati con moneta sonante (proprio tanta! le assicuro!) dagli antiquari non solo italiani ma pure europei e addirittura, americani. - Vuol farci qualche titolo? Mi mette in imbarazzo che in questi anni, con un “pignolesco” monitoraggio di cataloghi a stampa ed on-line, la biblioteca ha acquisito molte edizioni di grande pregio e di assoluta rarità. Meglio dirle del “fiore all’ occhiello”, la collezione delle cinquecentine, motivo di orgoglio per la nostra biblioteca. Sono solo settantacinque, è vero - ed il numero potrebbe far sorridere a confrontarlo con altre raccolte regionali - ma il fatto è che sono tutte rigorosamente “calabresi” o per autore o per argomento, e se prova a scorrere l’elenco le sembrerà di ripercorrere quasi a volo di uccello la storia e la cultura, gli uomini ed i tempi, i fatti e le istituzioni della Calabria del XVI secolo. - Comunque, almeno delle cinquecentine, qualche titolo me lo dia. n. 1-2/2007 Le cito la prima ed unica edizione napoletana del 1556 delle Tragedie del cosentino Coriolano Martirano, così rara ed introvabile già nel ‘700 da indurre il mammolese Giangrisostomo Scarfò a ripubblicarla come sua: un plagio scoperto con clamore e finito ingloriosamente! E poi le quattro edizioni, 1’ ultima del 1549, degli scritti di Pomponio Leto, il bastardo del principe Sanseverino, nato in Calabria “ortus est in Calabris” - con buona pace di quelli che lo vogliono campano, pugliese o lucano - come testimonia il Sabellico, suo coetaneo, che ne traccia la vita a conclusione dell’ Opera Pomponii Laeti, stampata a Strasburgo nel 1515. -Ed un libro “unico” Assolutamente unico? Sono due. Le Constitutiones et Decreta del 1° Sinodo cosentino, del 1593, e Delle diverse istruzioni per uso della sua città e diocesi, del 1594, ambedue del vescovo G.B. Costanzo e stampati a Cosenza dai soci Castellano ed Angrisani! Pensi che non sono presenti sull’Istituto Centrale per il Catalogo Unico, e quindi in nessuna delle biblioteche italiane. - E come ci ha messo le mani? Una storia da raccontare. Erano sul catalogo di un antiquario che - lui sì - aveva messo le mani su di un importante fondo librario napoletano; telefonai col cuore in gola temendo di arrivare fuori tempo massimo ma nessuno aveva capito niente! - E l’ultimo acquisto? L’ ultimo? Il Libro di M. Giovambattista Palatino, cittadino romano, in cui s’insegna a scrivere ogni sorta di lettera: un famoso trattato cinquecentesco di calligrafia del Palatino che, per boria, si dice romano ma era nato nella nostra Rossano. Arte e Cultura - E fra le opere moderne e contemporanee? Se la seguissi, finiremmo col tediare i lettori; tante sono le monografie municipali, i dizionari dialettali, i periodici calabresi, le raccolte folkloriche e poi i repertori fondamentali, i saggi e gli studi non solo storici e letterari ma artistici e scientifici: il “corpus” insomma dei ventinove mila volumi, guide e pascoli sicuri per i ricercatori ed i nostri giovani studenti che quotidianamente sostano nella bella ed ariosa sala di lettura della biblioteca, aperta sulla verdeggiante vallata del Mesima ed a fronte dei morbidi dorsi del Poro lontano. - C’è pure qualche libro dei tanti viaggiatori italiani e stranieri che hanno visitato la Calabria? Altro che qualcuno! Alcune centinaia i tradotti, ma - e glielo dico con soddisfazione - oltre sessanta i libri degli stranieri, viaggiatori in Calabria, in lingua originale. Le cito a mente, il Lear e il Gissing, il Maeterlink, lo Swinburne, il Riedesel. E per dirle 1’ ultimo? Acquistato da un antiquario francese, è di un abate, un tale Elia Perrin, giunto in visita alla certosa di Serra San Bruno Mon journal de voyage en Calabre, 2-15 dicembre 1887, e pubblicato a Besancon nel 1897. Una rarità! - So che la biblioteca oltre a tanti preziosi volumi possiede anche un’ importante raccolta di stampe e disegni calabresi! Importante sì. Conservate con cura estrema, sono disponibili per gli studiosi e gli amatori nel Gabinetto delle stampe e dei disegni calabresi, un migliaio di incisioni dal ‘500 all’ ‘800 e vanno segnalati per la loro importanza 1’ Atlante del terremoto del 1783 dello Schiantarelli stampato a Napoli dal Campo nel 1784 e i vari Atlanti del Regno di Napoli dello Zuccagni Orlandini, del Marzolla e del De Sanctis. - E fra i disegni? Un “unicum” assolutamente prezioso “pescato” di recente: dieci eleganti disegni a penna di Edward Cheney, un aristocra- 9 Arte e Cultura n. 1-2/ 2007 Soriano Calabro (VV) tico viaggiatore inglese del ’800, a riproporre il paesaggio calabrese da Campotenese giù a Monteleone, dal palazzo di Francia, a Palmi, a Scilla, al duomo di Reggio! E c’ è ancora un curioso ritratto a sanguigna “dal vero” del brigante Musolino - somiglia a Pirandello! - fatto dal pittore Scorticati nel penitenziario di Reggio Emilia nel ‘44; sì, poco prima che Togliatti lo graziasse. La biblioteca lo ha acquistato insieme con una lettera autografa del bandito, datata 27 gennaio 1904, spedita dall’ ergastolo di Portolongone e dilaniata dalla censura carceraria, dove Giuseppe chiede allo zio Gaetano Filaste fratello della madre, notizie del fratellino, il piccolo Antonio, a cui raccomanda di imparar bene le “cinque” operazioni. Eh già! perché Giuseppe Musolino scriveva poesie ma era scarso in aritmetica! - Oltre alla lettera del bandito qualche altro manoscritto? Sì, un decreto del 1810, relativo al comune di Cardeto, con la firma autografa di Joachim Napoleon - Gioacchino Murat in onore dell’ illustre cognato! - E ancora? Uno scartafaccio per ultimo, polveroso e tarlato da fare schifo, trovato fortunosamente in una casa vecchia e disabitata, di Vibo, con la godibilissima Camarra Accademica in dialetto tropeano di Gaetano Massara, dove il medico poeta di Tropea mette alla berlina i suoi concittadini, a cominciare dal filosofo 10 Galluppi, preso dalle smanie d’ amore per la bella Cecia, la tropijana, come scrive 1’ Ammira nella scanzonata Ceceide, per finire col presidente ed i vari soci, titolati e non, dell’ antica e gloriosa Accademia degli Affaticati, tutti pazientemente rassegnati a subire le angherie delle mogli. - Mi tolga l’ultima curiosità: questi lavori in corso, il cantiere montato attorno al Palazzetto della cultura? E’ il frutto significativo dell’ attenzione dell’ Assessore regionale ai Beni Culturali nei confronti della Biblioteca Calabrese: il primo piano ormai inadeguato a contenere la crescita costante del patrimonio librario ed il piano terra degradato da far pena - ricordo che ci mise il naso e se ne scappò per il lezzo - lo hanno indotto a stanziare un corposo contributo di un milione e mezzo di euro per il pieno, completo e dignitoso restauro del Palazzetto della cultura, la cui elegante facciata, illuminata di notte, farà da fondale alla piazza Ferrari con il santuario di San Domenico ed il Palazzo Municipale. - E per concludere, qual’ è oggi, il suo rapporto con i libri? Le rispondo come ho risposto tempo addietro ad un suo collega che mi ha posto la stessa domanda. In questo momento della mia vita, ad ottant’ anni suonati, senza di loro non saprei proprio vivere. Arte e Cultura n. 1-2/2007 MARMI ANTICHI PROVENIENTI DA CAVE MEDITERRANEE NEL MUSEO PROVINCIALE DI NICOTERA (VV) Cronotipologia e archeologia di manufatti di Achille Solano* e Maria Stella Maragò* La revisione di un lotto di marmi, raccolti in territorio di Nicotera (VV) e custoditi nel Museo Provinciale della città, aggiunge nuovi dati al quadro emergente di una caratterizzazione exornativa ed architettonica nel sito dell’Emporium durante i primi secoli dell’impero (1). I litoidi, appartenenti a diverse tipologie finora in Calabria poco studiate, costituiscono strumenti di parametro in rapporto all’attività estrattiva locale = cava di granito (marmor nicoterense) (2), considerando i costi e l’uso del prodotto importato ed i paradigmi economici di ricaduta. Il totale dei campioni esaminati è di n° 11 pezzi, lo stato di conservazione buono; i frammenti sono di piccole dimensioni, caratterizzati da superfici ben conservate e margini di frattura con aspetti tecnologici visibili ad esame macroscopico. In generale, si tratta di piccole porzioni appartenute a soggetti di dimensioni più grandi (lastre parietali e pavimentali) con spessore variabile da cm 1,2 a cm 5,2. Emerge chiaramente dall’analisi delle caratteristiche tipologiche e qualitative la complementarietà di una classe di materiali più pregiata rispetto ad un’altra meno nobile e meno costosa (brecce e graniti). Esaurita questa breve premessa, passiamo all’esame autoptico dei frammenti. È il marmo greco più diffuso e importante dopo il marmo Pentelico e Pario assai usato sia per scultura che per lastre di rivestimento parietali che di pavimenti. Proviene dall’isola di Tassos (Grecia). Di marmo Tasio esistono due varietà particolari: una bianca a grana media costituita in modo prevalente da dolomite (estratto presso capo Vathy) e una a grana più grossa, ma con elevata componente calcitica, le cui cave sono ad Aliki. È un marmo abbastanza frequente nelle case pompeiane, si trova sia come lastre di pregio, che in elementi architettonici come nella “Casa del bracciale d’oro” . Verde Antico, marmor thessalicum Marmo Tasio Dolomitico, Marmor Thasium Oggetto: Breve frammento di cornice, sagomata. Provenienza: Nicotera, Casino Mortelleto. Misure: 7,8 x 4; sp. 3,7; N° inv.: cm/61, Principali denominazioni: Marmor Thasium Ambientazione genetica: metamorfica Classificazione petrologica: marmo Luogo di estrazione: Vathy, Aliki, (isola di Thassos - Grecia) Grana: media Oggetto: Frammento irregolare di lastra decorativa parietale. Provenienza: Nicotera, Casino Mortelleto. Misure: 10,4 x 9,5; sp. 1,2; N° inv.: cm/5, Principali denominazioni: marmor thessalicum Ambientazione genetica: metamorfica Classificazione petrologica: marmo Luogo di estrazione: Vathy, Aliki, (isola di Thassos - Grecia) Grana: da fine a media È un marmo di fondo prevalentemente verde chiaro, presenta macchie di un verde più scuro, che a volte può volgere quasi al nero, a cui si mescolano macchie bianche. Veniva cavato in Grecia, nella regione della Tessaglia. Introdotto a Roma fin dall’età adrianea fu uno dei marmi d’importazione più costosi (150 denari per p3). Molto ricercato ed usato in età bizantina. *c. s. Laboratorio di Analisi dei Materiali Antichi, IUAV - Università di Venezia Il presente lavoro va ascritta agli esiti più recenti del rapporto di collaborazione tra il Museo provinciale di Mineralogia e Petrografia di Nicotera e il Laboratorio di Analisi dei Materiali Antichi, Dipartimento di Architettura, IUAV - Università di Venezia. 1. Già Stradone, Geogrph., 1,5,256c. P. Orsi, Medma-Nicotera. Ricerche topografiche, in “Camp. Soc. Magna Grecia”, 1926-27 (Roma 1928), pp. 31-61; F. MOLTRASIO, Profilo storico di Mesima, in Atti Ce.S.D.I.R.”, IV, 1972-73, PP.173-189; G. SCHMIEDT, Porti Antichi, Firenze 1975; IDEM, Ricostruzione geotopografica di Mesima e il suo territorio. Materiali per una carta archeologica, Bari 1981. 2. A. SOLANO, Su una cava romana di granito a Nicotera, in MarmiAntichi, I, Roma 1985 a; IDEM, La cava romana di granito di Nicotera, “Quaderni”, I, 1985 11 Arte e Cultura Greco Scritto Oggetto: Frammento irregolare di lastra pavimentale. Provenienza: Nicotera, Casino Mortelleto. Misure: 14,1 x 8; sp. 2,5; N° inv.: cm/4, Principali denominazioni: greco scritto Ambientazione genetica: metamorfica Classificazione petrologica: marmo Luogo di estrazione: Ippona, l’odierna Annaba, in Algeria Grana: media Marmo bianco caratterizzato da screziature azzurrine e da picchiettature che nella forma possono ricordare dei caratteri alfabetici. Il nome moderno deriva da quest’ultima caratteristica. Le cave erano presso Ippona, l’odierna Annaba, in Algeria. n. 1-2/ 2007 Il porfido è la pietra romana per eccellenza: deve il suo nome al tipico colore purpureo del fondo che è ricoperto da frequentissimi fenocristalli bianchi. L’origine magmatica fa di questa pietra una delle più dure in assoluto e rende quindi molto difficile la sua lavorazione. Proviene da numerose cave ubicate sul versante orientale del Gebel Dokhan (“Monte fumante”), che i Romani chiamarono Mons Porphyrites o Mons Igneous (“Monte di fuoco”). Utilizzata in Egitto dall’epoca tolemaica, questa pietra ornamentale venne introdotta a Roma probabilmente in epoca tardorepubblicana. Il suo impiego raggiunse il massimo sviluppo dagli inizi del II sec. d.C. fino alla metà del V sec. d.C. Il Porfido rosso antico veniva impiegato per la realizzazione delle rotae, rivestimenti pavimentali a forma di disco sui quali l’imperatore si soffermava a pregare, riceveva l’omaggio degli ambasciatori stranieri e, alla sua morte, l’estremo saluto della corte. Nel Medioevo, il significato sacro del Porfido rosso antico venne mantenuto, in quanto esso fu considerato la pietra dei santi e dei martiri, per cui questa pietra venne riservata ai cerimoniali papali. Per tali motivi, questa pietra ornamentale fu oggetto di continuo riutilizzo, esteso fino al XIX secolo (arche e cippi funerari). Gli impieghi e reimpieghi conosciuti di questo litotipo sono numerosi: elementi portanti (colonne), rivestimenti (cornici e lastre parietali; opera sectilia e lastre pavimentali), elementi ornamentali (vasche; sarcofaghi e arche), manufatti (vasellame), statuaria. È la pietra più costosa (250 denari /piede cubo) e pregiata usata dai Romani. Porfido Rosso Antico, Lapis Porphyrites Marmo Proconnesio: marmor proconnesium Oggetto: Frammento di lastra pavimentale. Provenienza: Nicotera, Casino Mortelleto. Misure: 15,7 x 13,9; sp. 2,1; N° inv.: cm/3, Principale denominazione: Lapis porphyrites Ambientazione genetica: ignea effusiva Classificazione petrologica: porfido andesitico-dacitico Luogo di estrazione: Gebel Dokhan (Tebaide, Egitto) Grana: media Il litotipo è caratterizzato da cristalli di dimensioni millimetriche (fenocristalli) principalmente di plagioclasio, con subordinati feldspato potassico e orneblenda, e accessoria biotite, che sono immersi un una matrice (pasta di fondo) microcristallina. Nella matrice sono presenti anche alcuni minerali di origine secondaria, ematite e piemontite, contenenti rispettivamente ferro e manganese, che conferiscono alla roccia il caratteristico colore rosso. 12 Oggetto: Frammento di lastra pavimentale. Provenienza: Candidoni (RC); contrada Romano. Misure: 16,1 x 10,5; sp. 5,7; N° inv.: R/1, Principali denominazioni: marmor proconnesium Ambientazione genetica: metamorfica Classificazione petrologica: marmo Luogo di estrazione: Prokonnesos, oggi isola di Marmara Grana: media È una varietà di marmo tra le più utilizzate nell’impero romano. Presenta un colore bianco, con sfumatura cerulee, uniforme o con venature grigio-bluastre ed ha cristalli grandi. Le cave si trovavano nell’isola del Proconneso, oggi isola di Marmara, dal greco marmaros, (“marmo”) e dipendevano amministrativamente dalla città antica di Cizico, sulla vicina costa anatolica. Le prime esportazioni del marmo dalle cave dell’isola, utilizzate localmente già in epocagreca risalgono alla seconda metà del I secolo d.C.: tra i più antichi esempi di esportazione sono gli ele- Arte e Cultura n. 1-2/2007 menti architettonici del restauro del tempio di Venere a Pompei, dopo il terremoto del 62. Nel corso del II e III secolo l’esportazione si diffuse nelle regioni orientali dell’impero, a Roma e lungo il corso del Danubio. Nel IV secolo fu uno dei marmi meno costosi nell’elenco dell’Editto dei prezzi di Dioclezano, e uno di quelli più largamente diffusi, a motivo principalmente del vantaggio assicurato dalla maggiore facilità di trasporto, essendo le cave sul mare. Fu il principale marmo impiegato agli inizi del IV secolo nella costruzione di Costantinopoli. Le cave erano di proprietà imperiale e le più importanti si trovavano presso le località di Monastyr, Kavala e Saraylar. Producevano in serie elementi architettonici, vasche e sculture decorative, e sarcofagi. Nelle cave stesse i manufatti venivano sbozzati secondo le indicazioni dei committenti, per essere poi completati al loro arrivo. Dal IV secolo si svolsero sul posto tutte le fasi della lavorazione e i manufatti erano esportati ad uno stadio di lavorazione quasi completo. Bigio Antico, Marmor lunense Oggetto: Frammento di lastra pavimentale. Provenienza: Candidoni (RC); contrada Romano. Misure: 25 x 10,1; sp.2,2; N° inv.: R/13, Principali denominazioni: Marmo bianco di Carrara Ambientazione genetica: metamorfica Classificazione petrologica: marmo Luogo di estrazione: Carrara (Alpi Apuane, Italia) Grana: finissima Il Marmo lunense deriva da metamorfismo di basso grado su calcari molto puri. Questo litotipo possiede grana fine e struttura saccaroide. E’ composto pressoché esclusivamente da cristalli bianchi di carbonato di calcio. Proviene da diverse cave comprese nel distretto minerario di Carrara, nelle Alpi Apuane, al passaggio dall’Appennino toscano a quello ligure. Utilizzato probabilmente già prima della colonizzazione romana, venne coltivato in modo regolare dai Romani a partire dalla metà del I sec. a.C. Dopo la caduta dell’impero romano e per tutto l’alto Medioevo, l’estrazione di questa pietra ornamentale conobbe un declino. Essa riprese verso la fine del XIII secolo. La produzione su scala industriale venne avviata nel XVIII secolo e prosegue attualmente. Il Marmo lunense è celebre per gli utilizzi sia nella statuaria che nell’architettura. Per quanto riguarda quest’ultima tipologia di impiego, gli usi del litotipo, documentati nell’epoca romana e in quelle successive, consistono in elementi portanti (architravi, capitelli, colonne, pilastri, basamenti), rivestimenti (cornici e lastre parietali; lastre pavimentali) ed elementi ornamentali (portali, fontane, altari, stele e lapidi funerarie). Alabastro Fiorito Oggetto: Frammento di lastra parietale. Provenienza: Nicotera, Casino Mortelleto. Misure: 15,5 x 11,5; sp.1,8; N° inv.: cm/9, Principali denominazioni: Marmor lunense, Bardiglio di Carrara Ambientazione genetica: metamorfica Classificazione petrologica: marmo Luogo di estrazione: Carrara (Italy) Grana: fine È un marmo saccaroide delle Alpi Apuane e si presenta con tonalità di colore grigio chiaro e azzurrine con venature ondulate irregolarmente disposte. Italia e Grecia possiedono le varietà qualitativamente più pregiate di questo litotipo. Assai usato per lastre pavimentali. Già noto lo sfruttamento nel I sec. a.C. ( Plinius, N.H., XXXVI, 48). Marmo Lunense, Marmor lunense Oggetto: Frammento di crusta parietale. Provenienza: Nicotera, loc.Chesiola, area della villa rustica. Misure: 12,5 x 8,8; sp.5,2; N° inv.: c./9, Principali denominazioni: alabastro fiorito Ambientazione genetica: sedimentaria Classificazione petrologica: solfato di calcio idrato (CaSO4 x 2h2O) Luogo di estrazione: Ierapoli in Frigia (odierna Pamukkale, Turchia) Grana: finissima Tessitura: stratificata La denominazione, derivata dalla tradizione marmoraria romana, dipende dalla disposizione delle “macchie”. E’ caratterizzato dalla prevalenza delle “macchie” rispetto alla “massa”. E’ utilizzato in epoca romana dalla fine dell’eta’ repubblica- 13 Arte e Cultura n. 1-2/2007 na al IV sec. d.C. per manufatti di lusso, lastre e decorazioni preziose, colonne e panneggi di busti con ritratti. Esempi di utilizzazione: un vaso nella Galleria dei Candelabri ed il busto di Faustina Maggiore. Gli impieghi e reimpieghi conosciuti di questo litotipo sono numerosi: elementi portanti (colonne), rivestimenti (stipiti, crustae e lastre parietali; mattonelle e lastre pavimentali), elementi ornamentali, piccola statuaria. Il campione proviene da una cava coltivata dal I al IV sec. d. C. fin quando un violento sisma la sconvolse e distrusse. Presenta una struttura etero – granulare pseudoporfirica a grana media (1 – 1,4 mm). I minerali presenti sono muscovite, sillimanite, allanite e quarzo come minerale essenziale. Impiegato in varie destinazioni architettoniche a Nicotera e come colonne nel Foro di Traiano a Roma e nel teatro romano di Teano presso Caserta. Nero Antico, marmor prassedicum Alabastro gessoso Oggetto: Frammento di crusta parietale. Provenienza: Nicotera, loc. Chesiola. Misure: 10,5 x 9,5; sp.1,3; N° inv.: c/9, Principali denominazioni: marmor prassedicum Ambientazione genetica: metamorfica Classificazione petrologica: marmo Luogo di estrazione: Djebel Aziz (Tunisia) Grana: finissima Conosciuto per l’utilizzo fin dal II sec. a.C., importato dal Djebel Aziz (Tunisia), fu sfruttato massimamente per sarcofagi, opere di statuaria, trapezofori, steli di fontana. Similarità con rocce del Capo Tenaro (Grecia), Bithynia (Turchia), Africa del Nord. Viene chiamato generalmente dagli antichi Marmor Prassedicum dal sarcofago del presunto Vescovo San Prassede. Oggetto: Frammento di colonna Provenienza: Drapia, loc. Caria Misure: ф = 23; 4. 23,2; N° inv.: M / 218, Principali denominazioni: Alabastro gessoso Ambientazione genetica: sedimentaria Classificazione petrologica: solfato di calcio idrato (CaSO4 x 2h2O) Luogo di estrazione: Drapia (Italy, Vibo Valentia) Grana: grossolana In Italia questo tipo di roccia si rinviene quasi esclusivamente nel volterrano, l’alabastro di Volterra è considerato infatti il più pregiato d’Europa per le sue caratteristiche di compattezza, trasparenza, venatura, durezza e vellutazione. Secondo le ipotesi più attendibili, l’alabastro si sarebbe formato in terreni miocenici (il periodo miocenico si fa risalire da 26 a 7 milioni di anni fa, periodo durante il quale si è formata l’ossatura della penisola italiana e in particolare il rilievo appenninico) in seguito ad un processo chimico di solfatazione delle rocce calcaree, dovuto all’emanazione di idrogeno solforato. Le varietà di alabastro sono praticamente infinite, poiché l’aspetto e la consistenza del materiale variano continuamente col variare della composizione chimica del terreno. Le varietà meno ricche di inclusioni sono bianche, più o meno trasparenti come l’alabastro Traslucido. Nei tipi di vario colore al solfato di calcio si uniscono materie eterogenee, principalmente argilla ed ossidi metallici. Il colore dominante è il grigio, dovuto ad inclusioni di argilla; seguono il giallo, il rossastro ed altri dovuti ad ossidi e idrossidi metallici, in special modo ferro. La formazione rocciosa è da individuare nella zona del Monte Poro nei pressi di Drapia (VV), contrada Mamone. Si tratta di una pietra saponosa, biancastra, di origine sedimentaria gessoso – calcarea. Lo studio al microscopio minero – petrografico della sezione sottile del campione, mostra che esso è formato da gesso Granito Nicoterese, marmor nicoterense Oggetto: Frammento di mensola con cornice leggermente aggettante. Provenienza: Nicotera, loc. Chesiola. Misure: 16,5 x 8,8; sp. 5,6; N° inv.: c/117, Principali denominazioni: marmor nicoterense Ambientazione genetica: ignea Classificazione petrologica: granito Luogo di estrazione: Nicotera (Italy, Vibo Valentia) Grana: da media a grossolana 14 n. 1-2/2007 (CaSO4 x 2h2O) nella forma mineralogica della “selenite”, con tessitura data da grani grossolani spesso di forma raggiata. Le seleniti sono rocce sedimentarie di formazione evaporitica, alcuni depositi sono presenti anche in altre parti d’Italia. A giudicare dal campione recuperato, dal luogo d’impiego (Chiesetta di X – XI secolo d.C., Caria), il sito di cava ha avuto una sua attività estrattiva esclusivamente durante il Medioevo. Conclusioni Nonostante la relativa documentazione itineraria, da Capua a Regium ( per Nicotera, Itin. Ant. 105-106 e 110 111), si riferisca esclusivamente ad una “mansio” lungo un tracciato stradale, non si può sottovalutare l’ipotesi di una “statio classaria”, lungo una grande rotta, favorita dall’esistenza di un Emporium, di una concentrazione di edifici residenziali e di rappresentanza (3), di capaci impianti di rifornimento idrico a testimonianza della ricchezza d’acqua del territorio (4). Il ruolo, poi, che lo sfruttamento commerciale del granito ebbe sul mercato lapidario, rende preminente uno scalo obbligato attrezzato se manufatti, provenienti dal distretto minerario nicoterino, si trovano esportati ed impiegati nel Foro di Traiano a Roma, nel teatro romano di Teano e nella piana lamettina (5), significando precise committenze. Sul sito della cava è possibile infatti notare, accanto ad elementi architettonici pronti per la rifinitura (fusti di colonne, bacini, lastre pavimentali, architravi, steli per fontane), enormi blocchi della stessa pietra preparati per il taglio, sagomati e in attesa di completamento. E’ certo che il “marmor nicoterense”, non limitato solo al consumo locale, esprimeva una circolazione del prodotto su vasta scala, integrando, se non asservendo, le produzioni di collina (olivi, grano, viti) in una tenuta economica pressochè stabile riproponendo la ricostruzione di un paesaggio agropastorale già gravitante sull’Emporium. Le notizie, fino ad oggi possedute, restituiscono una versione topografica e frammentaria della zona. La natura dei dati è spesso condizionata dai modi e mezzi della ricerca. Talvolta sfuggono quelle informazioni che, sia pur labili, possono essere determinanti per una lettura non condizionata dei siti. L’ambito cronologico in cui si collocano i nostri reperti è tra il I e il IV sec. d.C. Arte e Cultura Un assetto monumentale ed un incremento del territorio pare possibile solo in età imperiale. A questo periodo rimanda l’uso dei marmi colorati (alcuni dei quali molto costosi), sottolineando motivazioni importanti sia nel pubblico = casino Mortelleto, quanto nel privato = c. Romano, Chiesola, marcando, nel secondo caso, la naturale esigenza dell’uomo di proporre all’attenzione la propria residenza ben distinta per qualità e prestigio. E’ convalidabile, così, l’ipotesi di un centro urbano, da un lato rivolto al mare e dall’altro alla campagna retrostante, con una grande via porticata che, dalla “classiaria”, attraverso l’Emporio, arrivava ad uno scalo marittimo attivo e funzionante. Modesti settori di necropoli sono disposti dalla collina al piano. Questi i dati raccolti, in una congerie di notizie tuttavia da rivedere razionalizzandole topograficamente, anche se, in un processo globale d’interpretazione, evadono dal concetto indiziario. La revisione delle notizie potrebbe essere determinante e sicuro cardine di tutta la storia del territorio. Ma di ciò diremo in un altro articolo. Equivalente è il contributo degli autori. BIBLIOGAFIA DI RIFERIMENTO G. Borghini (a cura di), Marmi antichi. De Luca, Roma, 2001. M. De Nuccio, L. Ungaro (a cura di), I marmi colorati della Roma Imperiale. Catalogo della mostra (Roma 28 settembre-19 gennaio 2003). Marsilio, Venezia, 2002. R. GnoliI, Marmora Romana. Dell’Elefante, Roma, 1988. L. Lazzarini, C. Sangati, I più importanti marmi e pietre colorati usati dagli antichi. In: L. Lazzarini (a cura di), Pietre e marmi antichi. Cedam, Padova, 2004, pp. 73-100. L. Lazzarini, F. Antonelli, L’identificazione del marmo costituente manufatti antichi. In: L. Lazzarini (a cura di), Pietre e marmi antichi. Cedam, Padova, 2004, pp. 66-71. P. Pensabene (a cura di), Marmi antichi II. Cave e tecnica di lavorazione, provenienza e distribuzione. L’Erma di Bretschneider, Roma, 1998. P. Pensabene, M. Bruno (a cura di), Il marmo e il colore: Guida fotografica, i marmi della collezione Podesti. L’Erma di Bretschneider, Roma, 1999. 3) M. CYGIELMAN, Carta archeologica del territorio a nord del fiome Mesima, in “Mesima e il suo territorio”…, citat., pp.121 – 144; E. LATTANZI, Attività della soprintendenza, in Klearchos, 105 – 108, 1985, p. 1394) A. Solano, Nuove testimonianze per la storia e la topografia della “massa nicoterana”, in C.C., 2,111,1993, p. 59 e n. 7 5) F. Antonelli, S. Cancelliere, L. Lazzaroni, A. Solano, “Granito del Foro”and “Granito di Nicotera”: archaeometric problems, in “Procedine of Asmosia VII – 7 th International Conference of the Association for the Study of Marble and other stones in Antiquyty Thassos”, Greece, 15 – 20 sett. 2003 (in corso di stampa) 15 Arte e Cultura n. 1-2/2007 IL SENSO DI UNA BATTAGLIA di Pina Conforti e Mario De Filippis Nell’ambito di un progetto sulla storia dell’Istituto professionale per l’agricoltura e l’ambiente “Francesco Todaro” di Rende, in occasione dei 50 anni dalla sua istituzione, è stata realizzata una monografia sull’agronomo calabrese a cui la scuola è intitolata. Mario De Filippis ha curato la sintesi storica: I luoghi e i tempi di Francesco Todaro La Calabria nel 1864 vive i momenti più cupi della repressione militare contro le bande di briganti. In pochi mesi, nell’estate del 1860, il Meridione assiste alla marcia trionfale di Garibaldi verso Napoli e all’annessione del regno borbonico al nuovo stato sabaudo. Le aspettative dei diseredati, dei contadini senza terra, durano qualche giorno; i grandi proprietari pretendono e ottengono che nulla cambi nell’assetto sociale, in cambio del loro appoggio alla “Rivoluzione”. Il Plebiscito sancisce l’annessione; in molti centri non viene registrato nemmeno un voto contrario al nuovo e sconosciuto re Vittorio Emanuele II. Con i funzionari piemontesi arrivano nuove tasse e la coscrizione militare obbligatoria, che fa fuggire migliaia di giovani verso le montagne.Questa è la Calabria in cui nasce Francesco Todaro, a Cortale, nell’attuale provincia di Catanzaro, il 17 febbraio 1864, da Domenico e Maria Berruca. Cortale è uno dei tanti piccoli comuni che possono vantare una storia plurisecolare, nonostante i terremoti abbiano costretto i suoi abitanti a spostare addirittura il centro abitato, ricostruendolo in un sito più sicuro dopo la totale distruzione del 1783. La Calabria di questi anni è stata indagata e descritta in celebri inchieste, specie per quanto riguarda il mondo contadino, che ne costituiva la massima parte. Basti ricordare le pagine dell’abate Padula. Oppure l’inchiesta Fianchetti. Proprio per Cortale disponiamo di un testimone prezioso, Antonio Cefaly, esponente di spicco di una importante famiglia di patrioti, politici ed artisti, che ha dedicato una memoria a stampa alla denuncia delle condizioni di vita dei contadini del suo territorio: Il contadino coltivatore di questo mandamento è il cittadino più meritevole di considerazione per l’indole, l’operosità e la scarsa sua retribuzione. È analfabeta, ma sotto l’aspetto morale è buono, assai economico, forte lavoratore, resistente ai rigori maggiori delle stagioni e relativamente onesto ed intelligente. Abita tuguri miserrimi, nei quali salvo l’aria fresca e purissima che vi penetra da ogni parte è trasandato ogni precetto igienico. Si ciba di solo pane di granone, ed alla sera mangia in seno alla sua famiglia una minestra di erbe o per lo più di patate, o fagioli con scarsissimo o nessun condimento. E questo sempre, in tutti tempi e in tutti giorni […]. La moglie ed i suoi figlioli, allorché non sono grandi da lavorare, e calcolati in media approssimativa di due, consumano tutti e tre quanto il padre solo1. Questo documento del 1880 ci consente di immaginare quale fosse il panorama sociale, il contesto che il giovanissimo Todaro poteva percepire; il passo citato fa riferimento a una alimentazione poverissima, basata quasi esclusivamente sul pane, sui cereali a cui il futuro agronomo dedicherà tutta la sua attività scientifica. Del resto uno storico come Gaetano Cingari, nella sua Storia della Calabria dall’Unità ad oggi2, dedica molte pagine all’analisi dei problemi del territorio della regione, in quegli anni caratterizzato da due modelli di proprietà: da una parte il latifondo assenteista ed ostile ai miglioramenti qualitativi, dall’altra una piccola proprietà sempre più polverizzata ed impossibilitata ad andare oltre la semplice sussistenza della famiglia. A parte i problemi posti dalle caratteristiche della proprietà i produttori calabresi lamentano i pessimi collegamenti stradali, ferroviari e marittimi della regione, che rendono estremamente difficoltoso commercializzare la produzione. Mancano, inoltre, istituti di credito pensati per il mondo delle campagne e operanti al di fuori delle città; anche su questo problema il deputato Cefaly ha fatto sentire le ragioni della sua terra e affermato che lasciando le banche nelle grandi città se ne sarebbero avvantaggiati i grandi proprietari, i ricchi industriali, gli artigiani, ma che la classe agraria veramente bisognosa, ch’è sparsa nelle campagne e nei comuni rurali, non ne avrebbe tratto nessun profitto3. Oppressa da questa situazione la moltitudine dei contadini, persa ogni speranza in un miglioramento della propria vita, inizia proprio in questi anni l’imponente fenomeno migratorio che porterà via dalla regione, in qualche decennio, milioni di persone tra le più giovani e intraprendenti. Anche Francesco Todaro lascerà la sua Cortale e la Cala- 1 Antonio Cefaly, Memoria sulle condizioni dell’agricoltura e delle classi agricole nel Mandamento di Cortale, Nicastro, 1880. 2 Gaetano Cingari, Storia della Calabria dall’Unità ad oggi, Bari, Laterza, 1985, pp. 86 e ss. 3 Discorso del deputato Cefaly pronunziato alla Camera dei Deputati nella tornata del 1 marzo 1885, Roma, 1885, p. 18. 16 n. 1-2/ 2007 bria, ma in ben altro spirito, mosso dalla necessità di proseguire gli studi a cui ha deciso di dedicarsi, quelli di agraria. In questa determinazione possiamo ipotizzare un’attenzione alla sua terra, una volontà di contribuire in modo fattivo alla costruzione di una società più moderna e dignitosa. Per i suoi studi sceglie l’ateneo di Pisa, dove consegue la laurea in Agraria nel 1886, a ventidue anni. Ha lasciato la regione in una delle fasi più fosche della sua storia politica e istituzionale, con una classe politica tenacemente aggrappata al potere e alla gestione della clientela locale, periodicamente travolta da scandali. I fogli a stampa e i pamphlets polemici documentano ampiamente la pesante ipoteca posta dai ceti dirigenti sullo sviluppo della Calabria, situazione che fa rimpiangere ad alcuni osservatori4 perfino il sonnolento e assenteista governo borbonico. L’attività scientifica Nel mondo scientifico la ricerca brucia in breve tempo le fatiche di una vita dedicata agli esperimenti, all’osservazione quotidiana e paziente e alla registrazione dei risultati. Sebbene i contributi scientifici prodotti da Todaro siano ormai datati, tuttavia ancora oggi vale la pena di ripercorrere le tappe, di seguirne l’attività, documentata in numerosissime pubblicazioni, in un arco di tempo veramente straordinario, che abbraccia oltre mezzo secolo, dal 1893 alla morte, avvenuta a Roma il 10 gennaio 1950, pochi giorni prima del suo ottantaseiesimo compleanno. L’Italia in cui inizia la sua opera di insegnamento e di ricerca è un paese scosso da violenti conflitti sociali, guidati dai circoli socialisti e anarchici, ma anche dalle leghe contadine cattoliche, fondate da sacerdoti particolarmente attenti alla miseria dei lavoratori. In Sicilia interviene l’esercito a soffocare il moto dei Fasci e il secolo sarà chiuso dalle cannonate del generale Bava Beccaris sulla folla disarmata, a Milano. La veste tipografica modesta, i colori tenui, i caratteri un po’ sbiaditi dei primi lavori di Francesco Todaro mostrano tutta la distanza che ci separa da quegli anni; in ordine cronologico, la prima pubblicazione del giovane agronomo calabrese riguarda le cave: Sulla stima delle cave, Viterbo, tip. Monarchi, 1893. Le altre, immediatamente successive, sono già orientate sulla questione che dominerà tutta la sua produzione scientifica, la selezione dei semi di grano: Sulla scelta del seme di grano [1895, Firenze, tip. M. Ricci]. Estratto da “L’Agricoltura Italiana”, anno 21. Ha già iniziato ad insegnare, come continuerà a fare per circa quarant’anni. Per undici anni insegna estimo e agraria nei Regi istituti tecnici, prima di ottenere, nel 1904, la cattedra presso il Regio Istituto superiore agrario dell’università di Bologna. Negli anni di insegnamento nelle scuole tecniche conduce esperimenti presso la Regia Stazione agraria di Modena, esperimenti documentati dalle numerose pubblicazioni: Risultati delle analisi di sementi agrarie fatte nella R. Stazione agraria di Modena dal 1 maggio 1890 al 30 aprile 1895; Sul valore agrario dei semi di frumento; Le analisi di sementi fatte nella R. stazione agraria di Modena dal 1 maggio 1895 al 30 aprile 1898; Sonda pel prelevamento di campioni di semi. La zona di Modena e la pianura padana in genere rappresentano certamente, in quegli anni, un distretto di estremo interesse Arte e Cultura economico, dove l’innovazione tecnica in agricoltura accompagna e in qualche caso precede l’industria. Gli agrari del Nord, per ora, pensano ancora di poter difendere i propri interessi nella cornice istituzionale dello stato liberale, nonostante la durezza della contrapposizione con i braccianti e le nascenti organizzazioni sindacali. Le aziende agrarie e i loro addetti necessitano di istruzione, di iniziative volte a valorizzare le eccellenze produttive. Dal resoconto della giuria della Mostra campionaria di frumenti da semina e di semi di trifoglio ladino tenutasi nel 1903 si apprende dell’attività di Todaro nella cattedra ambulante di agricoltura del Consorzio agrario cooperativo per la provincia di Cremona: in questa parte del paese stanno sorgendo i consorzi agrari, che svolgeranno un ruolo essenziale, nel mondo agricolo, almeno fino agli anni Sessanta del Novecento, per quanto riguarda l’offerta di servizi e di prodotti innovativi. La necessità di istituire cattedre ambulanti era dovuta, poi, all’estrema povertà del sistema scolastico, specie nelle campagne, anche nelle regioni più ricche; come si vedrà più avanti Todaro porterà nel Senato del Regno anche queste sue esperienze professionali, per insistere sulla necessità di potenziare l’istruzione professionale ad ogni livello. Tornando alla bibliografia, altri titoli si riferiscono più strettamente alla sua attività di insegnamento, a cui fa riferimento con affetto negli scritti degli ultimi anni: Note pratiche di estimo rurale ad uso degli agricoltori, 1904; Note di contabilità rurale, 1905; Sunti di alcune lezioni di agraria nella R.Scuola agraria superiore di Bologna, 1905; Adattamento, selezione, incrocio delle piante coltivate. Sunto di lezioni nell’università di Bologna, anno scolastico 1913-1914, 1914. Ma progressivamente diventa sempre più rilevante la produzione scientifica riservata all’aumento e al miglioramento della produzione del grano: Prove di concimazione azotata sul frumento, 1908; Sul miglioramento delle piante erbacee della grande cultura: memoria letta alla Società agraria della provincia di Bologna nell’adunata ordinaria del 3 maggio 1908, 1908; Lavori di selezione del frumento nel bolognese. Memoria letta alla società agraria della provincia di Bologna dal socio Francesco Todaro, 1912; Osservazioni sull’accestimento del grano. Casi di accestimento anomalo, 1912; Razze di frumento appropriate al bolognese, 1912. Un gran numero di pubblicazioni, un lavoro puntiglioso, quotidiano, umile, fondato sulla registrazione dei dati, sull’osservazione, sul confronto dei risultati, in un’epoca in cui la scienza agraria muove i suoi primi passi, liberandosi dalla sudditanza verso altre discipline più antiche e consolidate, nella tradizione accademica. Gli agronomi lottano da un lato per imporre in ambito universitario la piena dignità scientifica del proprio lavoro, dall’altro per incontrare gli imprenditori più avveduti e aperti e convincerli che l’innovazione rappresenta il futuro dei campi. In tal senso Todaro ha un posto di rilievo nella nascita della Società bolognese produttori sementi, di cui attesta la rilevanza dei risultati: I grani da semina della Società bolognese produttori sementi, Bologna, Società tipografica già compositori, 1914; Grani selezionati dalla Società bolognese produttori sementi: memoria letta alla Società agraria della provincia di Bologna, Bologna, tip. Cuppini, 1914. Todaro giunge con un curriculum di tutto rilievo al primo 4 Si vedano i testi polemici e le denunce nel saggio di Mario De Filippis - Carmen Ambriani, “Una provincia fuorilegge”? Momenti dello scontro fra Destra e Sinistra in Calabria Citeriore, Cosenza, Progetto 2000, 1999. 17 Arte e Cultura dopoguerra, quando in tutto il paese e, in particolare, proprio nella regione dove si è ormai stabilito e lavora da anni, sono più evidenti i segnali di crisi dello Stato liberale. Nel contesto di un conflitto sociale sempre più violento il fascismo si propone ai ceti dominanti come forza d’ordine. In pochi anni si costituisce il regime, ben oltre le aspettative di quelli che l’avevano incoraggiato e auspicato. La battaglia del grano Ignazio Silone ci ha lasciato immagini indimenticabili dei contadini e delle campagne della sua infanzia, dei poverissimi cafoni abruzzesi sempre raggirati dal potere, alla mercé dei burocrati cittadini. Nel suo libro più famoso, Fontamara, uno dei pochi libri italiani tradotti in tutto il mondo, ha raccontato con efficacia le aspettative, le speranze dei contadini della sua terra al tempo delle bonifiche, quando l’intero apparato propagandistico del regime venne mobilitato per battere la grancassa sui grandi traguardi dell’agricoltura italiana: Verso la fine di giugno si sparse la voce che i rappresentanti dei cafoni della Marsica stavano per essere convocati a una grande riunione ad Avezzano per ascoltare le decisioni del nuovo Governo di Roma sulla questione del Fucino… così inizia l’ironico racconto della breve speranza dei contadini di Fontamara di vedersi assegnato un podere nel bacino bonificato del Fucino. Portati in città ad applaudire le autorità, si ritroveranno a sera con un pungo di mosche in mano, dato che sulla ripartizione delle terre tutto era stato, ovviamente, già deciso. Quella che sui manuali di storia viene definita la “battaglia del grano” prende forma intorno al 1925, nella fase di consolidamento del regime fascista. La produzione granaria nazionale si rivela sempre più insufficiente rispetto al fabbisogno interno, come era emerso già durante il primo conflitto mondiale. Nello stesso tempo alle ragioni economiche si sommano quelle di prestigio e di controllo sociale, che spingono le scelte del governo in una precisa direzione. Il ministero guidato da Mussolini imprime una svolta agli interventi di bonifica, invocati in ogni parte d’Italia già nei primi anni dopo l’Unità. Nello stesso tempo viene incrementata la piccola proprietà mediante l’assegnazione di lotti di terra, sotto varie forme, a famiglie di coltivatori. Saranno necessari investimenti notevoli, e sarà frenata la crescita di altri settori agricoli maggiormente redditizi, rispetto alla coltura cerealicola. Uno storico dell’economia come Valerio Castronovo esprime sulla battaglia del grano un giudizio articolato, mettendo in luce aspetti positivi e limiti di questa politica: In conclusione la battaglia del grano, affiancata dall’aumento della protezione doganale e dalla bonifica integrale, si risolse più che in un’azione riformatrice, in un rilancio della produzione agraria più povera nell’ambito di un sistema economico che andava sempre più isolandosi dal commercio estero. Ciò non toglie che si debbano fare alcune distinzioni di ordine politico-economico più specifico. La prima è che, mentre nel Nord la politica agraria del fascismo ebbe soprat- n. 1-2/2007 tutto una funzione di controllo sociale nelle campagne […] nel Sud essa puntò, almeno inizialmente, su un ammodernamento dell’organizzazione agricola, da perseguire attraverso interventi finanziari, opere di irrigazione e di sistemazione fondiaria […]. Il fascismo riuscì ad ottenere nelle campagne settentrionali una certa stabilizzazione dei rapporti sociali, ma a scapito di un ulteriore rilancio degli incrementi produttivi, della varietà delle colture e dell’espansione delle industrie di trasformazione […] Nell’Italia meridionale […] il grosso della proprietà fondiaria fece argine all’avvento di nuove forme più progredite di capitalismo agrario […]. È ormai assodato che i maggiori beneficiari della politica agraria fascista furono i grandi proprietari fondiari, i grossi affittuari e, sia pure in misura minore, i mezzadri più agiati5. Il problema dell’autosufficienza alimentare e granaria era avvertito, da molti anni, dalla cultura italiana negli anni Venti e Trenta, e lo stesso Todaro espone le ragioni della sua adesione entusiastica alla battaglia del grano6. Il dato incontestabile che il regime abbia fatto propria una preoccupazione diffusa tra gli economisti e nel sentire comune non inficia il valore scientifico del lavoro svolto, in molti anni, da Todaro e da altri studiosi impegnati nello stesso campo. Del resto si è visto in precedenza che, fin dagli ultimi anni dell’Ottocento, gli esperimenti e le attività dirette da Francesco Todaro erano indirizzate al miglioramento della resa delle coltivazioni dei cereali, attraverso una selezione efficace dei semi. Todaro manca ormai da un trentennio dalla Calabria e, nella sua terra, le cose sembrano non migliorare mai se si considera che, anche in questo caso, la battaglia del grano si rivela indubbiamente più efficace nell’Italia centro-settentrionale, rispetto a un territorio dove, ancora una volta, il latifondo da una parte e la polverizzazione delle piccole proprietà dall’altra, vanificano ogni sforzo di innovare e di migliorare. Il volto della Calabria di questi anni è fissato per sempre, in modo dolente, dalle pagine di autori come Corrado Alvaro, Fortunato Seminara e Leonida Repaci, che ne immortalano gli eterni protagonisti, proprietari arroganti e inetti, contadini laboriosi e rassegnati, in un territorio spesso segnato da catastrofi naturali ricorrenti. Bisognerà attendere la fine della guerra, l’occupazione angloamericana e le occupazioni delle terre, nel Marchesato di Crotone, per giungere faticosamente ad una tardiva riforma agraria, attuata a partire dal 1949. L’istruzione professionale Occorre fare un passo indietro, tornare alla situazione della Calabria al tempo della prima giovinezza di Francesco Todaro, per comprendere l’attenzione costante che lo studioso di Cortale ha sempre dimostrato verso i problemi dell’istruzione delle classi contadine, che in quegli anni rappresentavano la grande maggioranza della popolazione. Dopo l’Unità viene immediatamente estesa alla Calabria la legislazione piemontese, che fa obbligo ai comuni di istituire scuole elementari in ogni borgo che abbia almeno 500 abitanti. Le spese sono a carico dei municipi, e questa scelta fa sì che le amministrazioni più incapaci o dissestate ignorino le prescrizioni della legge Coppino. Anche i maestri sono posti alle 5 Valerio Castronovo, La storia economica, in Storia d’Italia. Dall’Unità ad oggi, Torino, Einaudi, 1975, volume 7, pp. 276 e ss. 6 Ibidem. 18 n. 1-2/2007 dipendenze dell’ente locale, con gravi limiti per la loro indipendenza e dignità. La norma, in complesso, viene ampiamente disattesa, l’analfabetismo continua a permanere altissimo, anche rispetto alle altre regioni italiane. Un deputato provinciale catanzarese, Rhodio, scrive che vi son delle scuole, prima servite ad abitazione di meschine famiglie, ora rimaste affumicate ed esposte per fino al vento ed alla pioggia. Ivi manca tutto. L’arredamento si riduce a pochi banchi di strane e svariate forme, un tavolino, una sedia e sudici e logori cartelloni di lettura, regalati dallo Stato, in cui si stenta a distinguere i caratteri7. Ovviamente era precaria anche la situazione dell’istruzione media e superiore: quattro licei in tutta la regione e tre sole scuole tecniche non governative, i seminari diocesani e le scuole gestite da religiosi rappresentavano spesso l’unica possibilità, un panorama davvero desolante. In tutto il regno l’istruzione tecnica e professionale rimane ancora per molti anni affidata alle iniziative cosiddette filantropiche, animate da un intento paternalistico verso i lavoratori che non poteva certo rispondere in maniera adeguata alle necessità di un paese progredito. Sono gli anni in cui un libro come Cuore di De Amicis rappresenta la società dei poveri dall’animo buono, dignitosi nel loro stato miserando, senza nessuna volontà di contrapposizione rispetto ai ceti benestanti. Immagine oleografica e di scarsa attendibilità, se si pensa alla diffidenza con cui sono guardate dall’autorità perfino le iniziative di un sacerdote come don Giovanni Bosco, tra la popolazione diseredata di Torino. Anche i manuali e i programmi scolastici intendono rafforzare e confermare la divisione delle classi sociali e il loro diverso destino, e proprio la permanenza, a volte per decenni, degli stessi libri di testo segnala agli storici l’avversione della scuola italiana ai cambiamenti sociali. Il ventennio fascista si apre con la riforma complessiva dell’ordinamento scolastico, che prende il nome del suo maggiore artefice, il filosofo Giovanni Gentile. Pensata per sancire ed accrescere la distanza tra le diverse classi sociali, ognuna inquadrata in una precisa e invariabile funzione, ha caratterizzato fino ad oggi il sistema formativo italiano. Una volta di più la scuola gentiliana lascia ai margini l’istruzione professionale, dato che nella gerarchia delle discipline quelle tecniche sono relegate a una funzione minore, svuotate di ogni forza conoscitiva e rappresentativa della realtà. Al problema della dignità e del rigore della formazione tecnica e professionale, ad ogni livello, dedica grande attenzione Francesco Todaro, soprattutto dopo la nomina a senatore, che gli consente di portare nella Camera Alta del Regno le sue riflessioni di vecchio professore. Il sopraggiungere della guerra, nel 1940, interrompe il dibattito che si stava svolgendo intorno al sistema scolastico, Arte e Cultura né miglior fortuna avrà il lavoro svolto dai costituenti tra il 1946 e il 1947, essendo pressato il governo da problemi che in quel momento vengono ritenuti più impellenti. Il senatore Todaro attraversa indenne il dopoguerra, a suo carico non vengono mossi rilievi di alcun genere, viene a mancare nel 1950, in un’Italia davvero molto diversa da quella in cui era venuto al mondo, ottantasei anni prima. Proprio nel 1950, passati i momenti più duri della contrapposizione politica tra i due fronti, vengono programmati e posti in essere alcuni interventi che saranno decisivi per il volto attuale del paese. La riforma agraria per la prima volta, in Calabria, incide sulla struttura della proprietà fondiaria; secondo alcuni osservatori, gli espropri e la successiva distribuzione di poderi ad alcune migliaia di famiglie di braccianti pongono fine, con modalità burocratiche non traumatiche, al feudalesimo da sempre radicato nella regione. Nello stesso periodo gli ingenti finanziamenti assegnati alla Cassa per il Mezzogiorno consentono di affrontare gli endemici ritardi della Calabria sul piano delle infrastrutture, delle opere pubbliche, dei servizi ritenuti essenziali per un paese moderno. Acquedotti, fognature, edifici pubblici, strade, illuminazione dei centri abitati, non sono più un miraggio per i municipi della regione, sempre a corto di fondi per offrire ai propri cittadini condizioni di vita dignitose. Questo è il contesto in cui, nel 1956, matura la decisione di istituire in Calabria un Istituto Professionale per l’Agricoltura. Francesco Todaro ha attraversato da testimone un periodo lunghissimo e ricco di eventi, ha visto l’Italia rurale trasformarsi in un moderno paese industriale. Con la sua opera ha accompagnato il sorgere inevitabile dell’industria agroalimentare, oggi al centro di tante polemiche e sospetti per il modo in cui sfrutta le risorse naturali e impone i suoi prodotti. L’agronomo calabrese ha intuito gli aspetti più positivi dell’innovazione tecnica e di una solida formazione professionale. Le preoccupazioni ecologiche per il destino del pianeta erano ancora lontane. L’agricoltura calabrese, del resto, lontana dai livelli produttivi del Centro e del Nord, è rimasta ai margini dell’economia nazionale. Ancora oggi arretrata soprattutto per la mentalità dei suoi operatori, per l’incapacità di collaborare tra imprenditori e amministratori, nonostante qualche nicchia di eccellenza nei prodotti tipici, non riesce a rappresentare un comparto significativo. Le vicende di questo settore sono esemplificate dal fallimento dei consorzi agrari delle tre vecchie province e dalle difficoltà in cui versano i consorzi di bonifica. In questo quadro gli istituti professionali hanno operato come meglio hanno potuto, offrendo una formazione e un punto di riferimento a fasce di popolazione rimaste per secoli ai margini della società, escluse da ogni partecipazione alla vita pubblica. Appare sempre più chiaro il nesso tra formazione e sviluppo, tra crescita culturale e produttività economica, solo puntando su questa sinergia la Calabria può costruire il suo futuro. 7 Antonio Rodio, in Atti del Consiglio Provinciale, Catanzaro, 1882, p. 4. Sulla situazione della scuola calabrese si veda Gaetano Cingari, Storia della Calabria dall’Unità ad oggi, cit., pp. 46-51. 19 Arte e Cultura n. 1-2/2007 BRIGA E BRIGHE In uno dei primi documenti creativi in dialetto calabrese, una sorta di esproprio popolare nello scenario della Cosenza fra ‘600 e ‘700. La riscrittura fattane da Achille Greco di Giulio Palange* on Briga de li studienti siamo giusto lì, alle primissime espressioni compiute d’un far letteratura in dialetto calabrese. Difatti, se si escludono le belle eccezioni della farsa/commedia Organtino (1635) del castrovillarese Cesare Quintana, e del poemetto celebrativo Lu ricattu de Sciglianu lu 1636 di Flaminio Cimino, e al di là del fatto che, alla fin fine, non si tratta di stilar ordini d’arrivo ma di ben altro, tutto si ha giusto a cominciare dall’ultimo decennio del ’600, ad opera, in particolare, del cosiddetto focolaio di Aprigliano – Domenico Piro (1664-1696), Giuseppe Donato (1669-1741) ed il fratello Ignazio (1672-1741/44), Carlo Cosentino (1671-1758), forse qualche altro, magari tanto defilato da restar nell’ombra, ovvero i gapulieri, come i «soliti noti» passano, per così dire, alla storia, con termine rifacentesi al loro sbeffeggiare e farsi gabbo di chicchessia, ma che ad orecchio richiama anche la cràpula che, peraltro, in versione vitellon-casereccia costituisce il loro abituale sollazzo, almeno a dar credito alla tradizione orale –, magmatico ribollire di estro e inventiva e arguzia e provocazione e oscenità e... e poi niente più è stato come prima; fenomeno, il focolaio, ancora da indagare in profondità e di cui, comunque, Briga de li studienti è facìglia d’insospettabile incandescenza, ancorché nascosta, e, perciò, tutta da scoprire nei suoi insospettati, intriganti baluginii. Certo, tali espressioni letterarie in dialetto calabrese fanno registrare un obiettivo ritardo rispetto a quanto, nel genere, si verifica altrove, ed il gran vuoto fra Organtino ed il focolaio di Aprigliano è così vistoso da risultar sospetto, e non bastano a colmarlo rondini che non fan primavera quali Lu sbarru de le fureste di Antonio Marasco da Motta Santa Lucia, databile attorno agli anni ’90 del ’600, ma questo è tutt’un altro discorso nel quale rientra anche il perché, per dire, proprio Briga, pur a fronte d’un suo conio di gran pregio, sia stata fin qui marginalizzata a «coserella» da strapaese. Ma tant’è: sarebbero sorprese in quantità a rimestare nell’immemore fossa fisiologica in cui una cultura ufficiale sussiegosa, curiale, con la puzza sotto il naso, negata al sorriso e autoreferenziale, ha fatto finire qualsiasi espressione «eccentrica», nella forma o nella sostanza, rispetto ad una norma ritenuta consacrante solo se votata al vagheggiamento lirico, alla speculazione filosofica, all’astrazione retorica, insomma a temi gravosi e non vi dico che palle! Quasi che l’atto creativo sia, di per sé, così partecipe d’una verità assoluta e C assolutizzante da non poter essere sprecato per bagattelle e futilità e argomenti fru-fru. E il tragico è – ahinoi! – che i cieli continuano a restar sostanzialmente tetri («Sentinella, a che ora siamo della notte?», «Signore, la notte è appena finita, ma il giorno non è ancora cominciato!», William, oh yes!), e, per dirne solo una, a battere in lungo e in largo storie e storielle letterarie della Calabria, è più probabile trovarvi menzione di questo o quel pennarùlo di paese e dei suoi grattapancia eruditi che non di un geniaccio a ventiquattro carati quale Alberto Cavaliere, pur autore, fra l’altro, d’una chimica in versi e d’una storia di Roma, anch’essa in versi, che sbancano al tempo loro – nemmeno tanto remoto perché si è ad appena l’altro ieri –, e pur fecondo protagonista nei santuari dell’umorismo italiano fra le due guerre quali “Becco giallo”, “Il travaso delle idee”, “Bertoldo”, “Marc’Aurelio”... e scusate se è poco! L’autore di Briga? Luigi Gallucci, il quale, pur con vistosi abborracciamenti, ne dà una prima edizione a stampa (in Raccolta di poesie calabre, Lugano 1862, che riunisce i versi dialettali dei fratelli Donato e del Piro – con un’attribuzione, da parte del curatore, da prendere con un bel paio di molle –, e che, in ogni caso, ha l’oggettivo merito d’aver salvato dalla fossa fisiologica le rime dei tre gapulieri, e, specie, i versi proibiti del gran vastaso Duonnu Pantu, chiunque si nasconda dietro questo nome de plume), Luigi Gallucci dice Ignazio Donato sulla base della tradizione orale – quella stessa, per intendersi, che, sempre a sentir lui, tramanda che i due Donato son zii del Piro per parte di madre, mentr’invece gli son cugini, per come risulta dalle incontestabili ricerche di Francesco Quattromani1 –, nonché d’un raffronto calligrafico, a memoria, fra un manoscritto del poemetto avuto fra le mani e altra opera, sempre manoscritta, dello stesso Ignazio Donato. Ed anche se, per tutta una serie di inesattezze ed approssimazioni e lucciole per lanterne che colmano la scarsella di studioso del Gallucci e che fanno assai torbide e arrimischiate le acque di questo specifico pelago, quanto egli scrive dovrebbe esser preso cum grano salis, Ignazio Donato è fino al 1973, allor che Silvana Naccarato rinviene in un archivio privato copia manoscritta dell’opera2 (una delle tante, ché Briga, nel tempo, ha buona diffusione per quanto semi-clandestina, e le sue varie copie manoscritte assolvono alla stessa funzione svolta altrove dalle «ventarole», fogli volanti alla maniera degli spagnoli pliegos sueltos), sulla cui prima pagina è * Scrittore e saggista L’articolo è una rielabazione della post-fazione a Brighe di Achille Greco, Mit Editrice, Cosenza 2007. 1 F. Quattromani, Duonnu Pantu ed il suo tempo, Cosenza, 2003. Riferimento bibliografico, questo, che vale anche le successive notizie riguardanti, in dettaglio, uomini e cose di Aprigliano. 2 La Naccarato parla della sua «scoperta» nell’Introduzione alla ristampa della Gerusalemme liberata tradotta dal Cosentino, Chiaravalle C.le, 1979. 20 n. 1-2/ 2007 l’annotazione «Qui comincia la composizione in rime novantatré del q.dm Domenico Piro alia Pantu»; la quale annotazione non è autografa, è certamente del copista o catalogatore, di imprecisata epoca, il quale, in merito all’autore dell’opera ed Cosenza verso la fine del ’600 (Veduta del Camerota, 1595) alla identificazione Domenico Piro-Duonnu Pantu, non si esprime per contezza personale, ma, certo, si rifà ad un sentito dire, o ad una tesi, o ad una tradizione circolante all’epoca... Sennonché, sia al Gallucci che alla Naccarato c’è da opporre una circostanza interna alla stessa opera, grande quanto una casa eppur da loro trascurata o non colta, e di arduo aggiramento allo stato dell’opra: nella iniziale, «classica» impetratio benevolentiae – tutta giocata sul filo di un’autoironia venata, malgré l’auteur, d’amaro rimpianto – lo stesso autore invoca, fra l’altro, la protezione e l’aiuto ispirativi della musa perché egli possa pervenire a risultati di fronte ai quali debbano tremar di paura, vedendo minacciato il loro primato poetico, «...Gnaziu, Peppe, Carru e Pantu...» (cioè, con evidenza palmare, Ignazio e Giuseppe Donato, Carlo Cosentino, Domenico Piro-Duonnu Pantu, insomma i quattro gapulieri tutti una pigna, sì che ne nomini uno e gli altri vengono di concerto). Ora, perché mai un tizio, sia pure in contesto faceto, dovrebbe scrivere d’aspirare a tali vertici poetici da poter dimostrare d’essere più bravo di... se stesso? Per stornare da sé eventuali attenzioni censorie o, al meglio, risentimenti? A parte che, in una realtà quale quella dell’Aprigliano e della Cosenza dell’epoca, una cosa del genere sarebbe come il segreto di Pulcinella, Briga non è opera così sulfurea e, in ogni caso, così compromettente da giustificare un escamotage diversivo di tal fatta! Anche perché, poi, un altro dato interno all’opera spariglia ancor più le carte, rendendo assai problematica tutta la smazzata: ad un certo punto l’autore, per avvalorare, in chiave evidentemente ironica, la bontà d’una certa tesi accusatoria, si rifà all’auctoritas d’alcuni giuristi e canonisti di riconosciuta fama: …Nun cce sta pena duve ud’è peccatu / lu dice Tiruquiellu e Salicetu, / e de ’sta mente Bardu sempre è statu / Quannu prucede l’azione ex metu / Un’ha, ca cc’è lu tiestu ccu’ la grosa / De Farinazzu, Bartulu e Barbosa...; bene: se tutto è o.k. per i più degli autori citati, invece, nel caso di Bartulu – certamente Domenico Bartoli –, i conti non tornano più, almeno a voler attribuire Briga a Domenico Piro, visto che quest’ultimo passa a miglior vita nel 1696, mentre lo stesso Bar- Arte e Cultura toli pubblica l’opera che gli dà chiara fama (Il torto e il diritto del «Non si può», con annotazioni di Nicolò Amenta) nel 1717. Né, per arrivare all’identità dell’autore del poemetto, ci si può avventurare in un raffronto fra Briga e l’altre poesie della Raccolta, fra le quali son quelle dei chiamati in causa Ignazio Donato e Domenico Piro, ché tutte le poesie riunite nella raccolta in questione rivelano uno stesso vocabolario ed uno stesso modo di costruir versi ed immagini e racconti; il che, evidentemente, perché il Gallucci – che il Signore l’abbia in gloria! –, magari in buona fede, per sopperire alle fisiologiche lacune e corruzioni operate nel tempo dalla tradizione orale – unica sua fonte –, ci ha messo mano, andando oltre il segno e uniformando il tutto. Ergo: le attribuzioni del Gallucci e della Naccarato, almeno allo stato delle conoscenze, suonano fesse, come zucca buona fuori e fracida dentro, mentre è da mettere in conto la possibile esistenza d’altro, insospettato poeta. E, a voler cedere all’irrazionale, vien da pensare che una qualche maledizione pesi sul focolaio di Aprigliano, una maledizione che, come tutte le maledizioni degne di chiamarsi maledizioni e non si riducono a strùscio di vento, attraversa i secoli irrisolta, incombente, ineludibile, e ogni volta che vien fuori qualcosa che così, d’acchito, parrebbe allimpidire l’acque, invece l’intorbida vieppiù, col risultato di: non avere, per l’appunto, nessun elemento oggettivo, se non un’incontrollabile tradizione, per poter attribuire con buona sicurezza a Ignazio Donato, al fratello Giuseppe, o a Domenico Piro, questo o quel componimento della Raccolta; non poter dare identità certa a quel gran vastaso di Duonnu Pantu, ché tu dici Domenico Piro e subito qualche particolare o dato ti smentisce, ipotizzi Giuseppe Donato, per come affermano, fra gli altri, autori coevi quali il D’Amato e l’Aceti3, et idem cum patate, in un perverso gioco di specchi ognun dei quali rimanda un’immagine differente4; dover appencolare al chiodo del nulla l’eventuale esistenza di altro poeta ancora le cui poesie siano finite nella Raccolta, fra quelle dei gapulieri. L’unico della cum-fraternitate ad averla, in parte, fatta franca – forse perché non esibito dal Gallucci in quel baraccone delle meraviglie della sua Raccolta…in cui tutto è vero e tutto è falso, “venghino, signori, venghino”! – l’unico è Carlo Cosentino, del quale è sopravvissuta, integra e certa, la traduzione in casalinoapriglianese della Gerusalemme liberata, epperò, quasi a non smentire oltre il lecito e l’osabile la maledizione di cui sopra, è andato smarrito il testo della farsa Colambrosio, pure più volte messa in scena in Aprigliano, Cosenza e altrove, pur citata e apprezzata da chiunque abbia avuto ventura di vederla rappresentata o di leggerla, pur nodale nell’ambito della storia dello scrivere e far teatro in Calabria. Anche se, in definitiva, non è poi la fine del mondo ignorare chi sia l’autore di Briga; certo, sarebbe stato meglio conoscerlo, ma nell’oggettiva impossibilità di risolvere il busillis, ci si può consolare col fatto che il verso della stessa Briga in cui i quattro gapulieri son lì, allineati e coperti, consente almeno di delimitare all’ingrosso l’epoca in cui essa è stata scritta, che non può andare oltre il 1696, anno di morte di Domenico Piro; il quale Piro, al pari dei compagni di scorribande, nel verso in questione ha incarnato da vivente, anche in ragion del fatto che l’autore, magari solo per evitare il rischio di passar per menagramo e non dover sottostare alle forche caudine della gàpula, di certo si è stretta- 3 E. D’Amato, Pantopologia Calabra, Napoli, 1725, p. 49; T. Aceti, Note a G. Barrio, De antiquitate et situ Calabriae, Napoli, 1737. 4 Sull’intrico dell’identità di Duonnu Pantu v. G. Palange, Osceno in giallo, Soveria Mannelli, 1995. 21 Arte e Cultura mente attenuto al dettato popolare i morti coi morti in gloria eterna, i vivi coi vivi alla taverna. Amen o prosit, secondo i casi! Istanza autografa di Carlo Cosentino Ora, immaginate la Cosenza attorno agli anni ’80 del ’600 (Briga de li studienti ne offre il destro e fornisce dettagli precisi per la location; come li offre, altresì, per evocare scenari familiari in cui il pater è così distante e ammantato di sussiegosa severità da esser chiamato «messere», ed uno zio prete costituisce la bussola morale e materiale di tutta la «razza»; comunque, l’epoca dell’azione è certamente quella indicata all’incirca, perché fra i comprimari in scena ci sono anche i due Donato e Piro ai tempi dei loro studi in seminario), una città, appunto Cosenza, punteggiata di chiese e conventi, e, quindi, pullulante di preti, frati, suore – uno ogni dieci abitanti –; una città, ancora, compresa fra, a monte, il Castello, mastio e quartiere pertinente, e, a valle, i due fiumi coi loro miasmi malarici e le contrade «fuori porta» quali il Viarùocciolo e il Passo di Crati; coi suoi luoghi di strùscio, le sue fumose e avvinazzate taverne, il suo quartiere a luci rosse quale la Garrubba (precedente storico di Santa Lucia), ove uno studentello con scarso argent de poche, epperò arrapato alla vista della piacente madre auditrice (...e tannu chi passàu l’Auditurissa / jura ca nun dicisti «avissi chissa»...), può comprare un po’ di carne cruda col pelo a prezzi da saldi di fine stagione, oppure pagando in natura con una pezza di formaggio trafugata ad un compagno (...Vucchìa de la finestra na sbardascia / E cu lu casu d’àutri la ‘ngulìscia...). E in una tal Cosenza collocate il seminario, microuniverso tutto maschile di vizi e virtù, generosità e grettezze, saperi e 22 n. 1-2/ 2007 ignoranze, intelligenze e pedanterie...; con i suoi piccoli e grandi peccati inconfessabili, le sue stimolanti gratificazioni e le sue umilianti punizioni corporali; con la sua vociante, rissosa, bizzosa, berciante umanità studentesca più e meno dedita all’apprendimento ed alle ricreative canaglierie; con i suoi più e meno ricchi ma, salvo rare eccezioni, nessun pezzente la cui famiglia pernotti stabilmente sotto il Ponte dei Pignatari o sotto il Ponte Maggiore, ché non si va in seminario se non si dispone del minimo per mantenersi agli studi, specie se si è del contado, ed i laici, cioè quelli che frequentano il seminario a solo scopo di studio, han da pagar retta salatissima che all’epoca di Briga è di ben venticinque ducati annui, mentre quelli che aspirano a «clericarsi» debbono poter disporre – loro o chi per loro – del cosiddetto «patrimonio sacro»; con le sue vocazioni più e meno sincere ed indotte, ché, al tempo, per tanti e tanti il seminario costituisce l’unica occasione sia per poter studiare, sia, e in specie, per potersi creare un avvenire affatto roseo non foss’altro che per l’esenzione da qualsiasi tipo di tassazione in una realtà in cui, invece, si paga anche per l’aria che si respira, e si dice, non per nulla, viat’a chira casa addui ‘na chìrica ce trasa, e si dice anche chirica rasa fa la casa! E in siffatto seminario nella Cosenza attorno agli anni ’80 del ’600, spargete per aule, corridoi e camerate il seme della fame. Però non una fame generica, qualunque, ché dire fame e stop sarebbe come indugiare nella proverbiale notte in cui tutti i gatti sono bigi: c’è fame e fame e nessuna fame è uguale ad un’altra fame. E ciò nel senso, non solo, che c’è la fame di Tizio, la fame di Caio, la fame di Sempronio..., ognuna con una «sua» memoria, un «suo» essere ed un «suo» divenire, ma, anche, che ogni fame ha una ben precisa categoria d’appartenenza; e c’è, per dire, la fame occasionale che basta metter mani in dispensa per tacitarla, e la fame atavica che un povero cristo se la ritrova incatramata nell’ossa e non se ne scortica manco fra le delizie dei Campi Elisi, sempre ammesso che si avveri la promessa degli ultimi che saranno i primi al banchetto del Signore senza manco bisogno di prenotazioni per trovar posto; c’è, poi, e sempre ad esempio, la fame ordinaria e quella da frangenti eccezionali – si fa per dire, almeno per ciò che riguarda le Calabrie! – tipo carestie, crisi economiche, guerre, etc.; c’è la fame proletaria, quella aristocratica e quella da middle-class che, poi, si differenzia in fame alto-borghese e fame piccolo-borghese... Orbene, la fame da collocare nel seminario di Cosenza attorno agli anni ’80 del ’600, è fame affatto sui generis per complessità, composizione e cultura, in senso lato, e sulla quale non si può piantare alcun vessillo rivendicazionistico o imbastire alcun comizio sul riscatto dal bisogno e sulle ingiustizie sociali (come, invece, e in certa misura, si potrebbe, ad esempio, con Organtino, Lu ricattu de Sciglianu, Lu sbarru de le fureste, opere tutte coeve ad una cultura ufficiale che, intanto, si sollazza acchiappando farfalle), perché, in teoria e per l’appunto, nello stesso seminario tutti avrebbero le possibilità per tacitare lo stomaco e non farlo rugliare per la fame; in teoria, però, ché la pratica è tutt’altra suonata in la maggiore, e c’è l’eccezione che si ritrova alle spalle una famiglia di manica larga, e c’è la regola che ha famiglia con la fissa del risparmio perché non si sa mai quel che riserva il domani e chi prima pensa dopo non piange; non solo, ma c’è, altresì, chi sa come manovrare e pietire e molcere giusto sapendo che c’è sempre uno zio, un fratello, una madre... disponibile a venirgli in pietoso o premiale soccorso (...Jeri fici ’na littera a Jennaru / e ’n’àutra cartelluzza scrissi a n. 1-2/ 2007 ’Ntuoni / chi m’avissi mannatu nu panaru / de carne cotta, e quattru raschi buoni. / Io lle ’mpapuocchiu diciennu ca ‘mparu, / e ca cupiju la notte lezziuni, / e si me vene quarch’àutra gulìa / quannu scrivu ca stùdiu teolugia...), e chi è impotente di fronte alla generalizzata cultura della prevenzione, scambiandola, nella sua immaturità, per avarizia, e capirà solo quando lui stesso terrà famiglia sulle spalle. Difatti, i seminaristi allupati che stanno Firme autografe di Domenico Piro per dar luogo alla briga col compagno Micu Piscitiellu (viziato, furbo, ipocrita, saccente, spocchioso, insomma il classico compagno di studi rompiballe, probabilmente anche raccomandato, inviso a tutta la classe e alla prima occasione gliela fanno pagare. D’altronde... buon sangue non mente: suo zio è quel don Tiberio Piscitelli – ...e cce fazzu venire a ziu Tiberiu... –, che, nel 1684 procuratore della chiesa di S. Maria delle Grazie in Aprigliano, è censurato dal Vicario della Diocesi di Cosenza per aver omesso di riportare sull’apposito registro il reddito annuale della chiesa, e contro cui, giusto dieci anni dopo, don Domenico Piro presenta querela criminale per delle messe non pagate, con conseguente causa dinanzi allo stesso Vicario, di fronte al quale il Piscitelli è chiamato a difendersi per ripetute malversazioni nell’amministrazione delle rendite parrocchiali nonché pei propri «singolarissimi costumi», ed il Piro per essere ritenuto l’autore anonimo di un memoriale diffamatorio contro lo stesso Piscitelli), i seminaristi allupati, si diceva, non inveiscono contro il destino cinico e baro che li ha fatti incamati per destino di specie, ma, esasperati dalle vanterie alimentari di Piscitiellu, se la pigliano con le rispettive famiglie che li tengono a stecchetto e non c’è implorazione o grido di dolore capace d’ammollarne il granitico cuore (... Fratemma quantu penza a la mugliere / Nannu cchiù nvecchia cchiù si fa lincìnu / E mamma è ’na crudile chi te fere...). Ovvero: la loro fame è fame da frustrazione, che, per tanti versi, è fame peggiore di tutte l’altre, per di più esaspe- Arte e Cultura rata, presumibilmente, da un gran sperpero di energie sia perché son puledri scalpitanti che hanno l’argento vivo in corpo ed ora li trovi al Castello a cavalcare a pelo un cavallo, ora al Passo di Crati ad ordire una vendicativa imboscata ad un compagno, ora a giocare al Viarùocciuolo e dove li lasci non li trovi mai, sia perché sono in piena esplosione dei sensi con fatali esercitazioni manuali votate ad Onan e che per alcuni diventano addirittura pratiche zooraste (...chi facisti annu alla cana de Cola / arrietu alla casella de Padula?!...), non così rare e condannabili a contestualizzarle in una realtà complessiva in cui il dato naturale d’una sensualità «costituzionale», combinandosi col dato culturale della pervicace colpevolizzazione dell’eros, storicamente produce traumi collettivi in termini di pulsioni morbose e ossessioni carnali che, comunque, han da trovar sfogo in qualche modo (...Me trascina, e me tira cchiù nu pilu / de cunnu ca nu sciartu de galéra, / la farrìa mille vote a ’na sumera / criditimilu...5, ah Duonnu Pantu, Duonnu Pantu!), specie in assenza, in loco e pro loco, d’una qualche villereccia nave-scuola alla cui benemerita memoria ogni comunità oggi dovrebbe erigere un monumento in piazza per l’insostituibile funzione svolta, memore e grata eresse la cittadinanza tutta, pinzòchere e benpensanti esclusi. E viene automatico pensare che all’incirca la stessa fame dei seminaristi apriglianesi in Cosenza, migrando sotto altri cieli sempre per ragioni di studio, precisamente a Napoli, capitale del regno, faccia da impasto allo stereotipo del «… malauréio de studente calabrese ...» che non ha «… ’na vrénzola de càmmisa ...», «... porta stracce de cauzétte ...», si ciba, al meglio, di «...castagne, alice, e bete ...»6 e, specie, di «... siccamenti ...»7, cioè mele secche, fichi secchi, uva passa, etc., inviatigli dalla famiglia quali provviste con cui sostentarsi, e coi quali siccamenti egli pretende pure di pagare le prestazioni delle plebee etére alle cui porte bussa per tacitare, giust’appunto; l’altro suo famelico appetito (scorrente carsico anche in Briga); stereotipo che, da un lato, dà polpa a tanti personaggi della produzione napoletana colta, popolare e semipopolare, dal don Giovanni della Canzone di Zeza8, di cui esiste anche una versione calabrese certo importata, e che, come tante altre composizioni drammatiche popolari, viene rappresentata su palchi e teatrini improvvisati nella Napoli del ’700, al Pacchesicche nel Dell’arte rappresentativa premeditata e all’improvviso9 del Perrucci – Pacchesicche, evidentemente, perché, nomen omen, ha i glutei rinsecchiti a forza di mangiar poco e male; mentre Ferdinando Galiani, nel suo Vocabolario della parole del dialetto napoletano, che più si scostano dal dialetto napoletano (Porcelli, Napoli 1789), invece dà di questo singolare nome-soprannome una motivazione certo più suggestiva e divertente, ma meno convincente; infatti egli narra che due abati calabresi, i quali studiano a Napoli, un giorno si recano alla stazione di posta per ritirare i pacchi inviati loro dalle famiglie e in cui, ne son sicuri, ci sono certamente i «siccamenti», coi quali intendono sfamarsi dopo un lungo digiuno dovuto al fatto che son rimasti senza il becco d’un quattrino; ma don Nicola, uno dei due, invece dell’agognato pacco trova una lettera del padre che lo rimprovera per la cattiva condotta scolastica e la scarsa applicazione negli studi; ed il 5 Ivi, pp. 140 ss. 6 Tutte espressioni contenute nella commedia, di anonimo, Lo Vommaro, in F.C. Greco, Teatro napoletano del ’700..., Napoli, 1981. 7 A. Barbina, Giangurgolo e la Commedia dell’Arte, I vol., Soveria Mannelli, 1989, p. 46. 8 La canzone di Zeza, in B. Croce, I Teatri di Napoli, Bari, 1965. 9 A. Perrucci, Dell’arte rappresentativa..., Napoli, 1699. 23 Arte e Cultura compagno, che aspetta poco discosto e che per la gran folla non vede quel che accade, si mette ad urlare in dialetto per farsi sentire: «Don Nico’, so’ binuti li pacchi sicchi?»; e don Nicola, di rimando e sfogando tutta la rabbia che si ritrova in corpo: «No, so’ binuti li corna di màmmeta!»; tutti i presenti scoppiano a ridere e i ragazzi incominciano a sfottere «pacche sicche, pacche sicche»; sicché, conclude il Galiani, da allora Pacchesicche è sinonimo di studente squattrinato o di abate calabrese messo male in arnese –; e, dall’altro lato, ma poi non tanto, lo stesso stereotipo autorizza le cosiddette «beffe al calabrese», addirittura ritualizzate nei carnevali napoletani – un po’ come avviene per gli ebrei nelle «giudiate» romane, e per i villani nelle «bosinade» padane» –, in cui si rapprendono pregiudizi etnocentrici e atteggiamenti di presunta superiorità verso il «provinciale» (che, fra l’altro, a Cosenza è lo studente proveniente dal «contado», ad esempio, e per l’appunto, da Aprigliano, e a Napoli è quello proveniente da Cosenza e dalla «provincia» in genere), e mediante le quali si crede d’esorcizzare la diversità, la goffaggine, il bisogno... Comunque, la fame dei seminaristi della Briga è una carica esplosiva per accumulo gassoso a forza di masticare aria ed inghiottire a vuoto, e, dopo un fallita richiesta, a Piscitiellu, di ridistribuzione delle ricchezze in chiave estorsiva (... o duni puru a nue la porzione / o fatta te sarà na mal’azione ...) nelle ore di studio deflagra con conseguenze in qualche modo contenute per l’intervento pompieristico del padre istitutore; epperò gli allupati non son domi, e, avuta ragione dei traccheggiamenti d’alcuni cacasotto, essi danno l’assalto alla casa dello stesso Piscitiellu – che, evidentemente, o è studente laico, o, da aspirante chierico, frequenta da esterno il seminario –, ne sfondano la porta e si danno ad un esproprio «proletario» ante litteram con pantagruelico banchetto seduta stante. Sopraggiunge il Piscitiellu in questione, il quale, di fronte alla ruina fatta da quel nugolo di cavallette, sgòrgia e bercia come un indemoniato, s’avventa alla cieca, ma, cornuto e mazziato, vien prima passato per le «armi» e, poi, lasciato lì, legato come un capocollo; liberato da alcune vicine di casa le quali, ben conoscendo i cattivi soggetti in gioco, gli consigliano prudenza, Piscitiellu non vuol sentir ragioni, pretende giustizia, e scrive un dettagliato memoriale-denunzia al vescovo il quale emette mandato di cattura contro i maggiori responsabili del misfatto, affidandone l’esecuzione ad un braccio secolare costituito da un’accolita di bravacci certo della stessa malapezza dei famigerati «diaconi selvaggi» (tant’è che alla loro vista i seminaristi se la fanno torrenzialmente sotto, sì da poter concimare, a volerlo, parecchie tomolate di terra da coltivare a grano ed è un vero peccato che tanta grazia di Dio vada persa). Cattura dei rei, processo davanti al vicario con esame testimoniale e serrato confronto fra colpevoli e parte lesa prima, poi fra colpevole irriducibile e colpevole traggirante che fa lo scaricabarile, quindi sentenza finale tanto salomonica quanto greve. Il tutto in una atmosfera burlescamente epicizzante, ove, per dire, una scorreggia è talmente enfatizzata da diventar tromba del giudizio capace d’inimmaginabili sfracelli, un villano diverbio diventa tenzone all’ultimo sangue, il far man bassa nella dispensa di Piscitiellu appare come la versione casereccia del «sacco di Roma», in uno scenario sovraffollato e brulicante da Giardino delle delizie di Hyeronymus Bosch. Certo, a ridurla a consommé, Briga sembra poca cosa, anche perché al più di rimessa, e sempre rasentando la forzatura, vi si potrebbero cogliere allusioni polemiche contro certi sistemi 24 n. 1-2/ 2007 educativi allora in uso nei seminari, o contro il modo tutto sommario d’assegnare il torto e la ragione in sede giudiziaria (comunque, senza indulgere in toni moralistici – anzi! – il poemetto è velatamente amaro circa le condizione in cui si ritrova al tempo la Chiesa specie a causa dell’avidità, del malcostume, della grettezza, etc., di chi localmente, e anche altrove, la rappresenta ai vari livelli). Mentr’invece è tutto un altro paio di maniche a leggerla, Briga, ad assaporarla verso dopo verso come certi passiti d’annata ch’è una goduria centellinarli e lasciano in bocca un retrogusto muschiato; e di qui a poco si vedrà di che memorabile annata essa è, e quale il nobile cru d’appartenenza. Piuttosto: opera di pura invenzione? A stare ai soli dati oggettivi è impossibile rispondere, anche perché l’unico campo d’indagine di cui si dispone è il testo che, Cosenza ai tempi dei gapulieri (Pacichelli, 1703) anche in merito, risulta piuttosto scivoloso; mentre a dare un qualche peso alle sensazioni non si può non pensare che qualcosa di realmente accaduto abbia fatto almeno da grumo ispirativo alla lievitazione in chiave grottesca ed all’enfasi comicamente epicizzante. Eh sì: troppa attenzione e troppa precisione e troppa insistenza nei dettagli di luoghi, persone e circostanze! Ad esempio, durante l’assalto alla casa di Piscitiellu, nelle vesti di magàro che con le sue scompiscianti ciurmerie cerca di far aprire il portone della stessa casa, è in scena tal Paulu Cuviellu, che non può essere solo un omonimo di quel don Paolo Covello, sacerdote di Cosenza con interessi immobiliari in Aprigliano, il quale nel 1709 ha un contenzioso coi fratelli Donato circa la proprietà d’un certo fabbricato, arrivando addirittura ad accusarli davanti al Vicario d’averlo «... minacciato e maltrattato con pugni ... nella loro propria casa ...» . Inoltre, già si è detto di don Tiberio Piscitelli; e, poi: mentre nell’impetratio iniziale i gapulieri, chiamati in causa in quanto poeti, appaiono, per come già detto, tutt’e quattro affiancati, invece, nel corso dell’azione e, quindi, chiamati in causa come seminaristi «briganti», comparsano più volte solo i fratelli Donato e Piro (peraltro sempre tutti una pigna sì che ne nomini uno e gli altri vengono appresso: Peppe cu la speranza ca mo s’unta / Ccu na pannùla facia leva a l’anta, / Gnaziu de ferrijare nud’appunta / E Piru jia diciennu «ad usa santa!»...) mentre vi è del tutto assente il Cosentino, e giustamente, ché dei quattro è il solo laico con studi laici. Perché tanta attenzione alla congruità delle circostanze? E perché i «briganti» han tutti tanto di nomi e cognomi che, peral- n. 1-2/ 2007 tro, son quasi tutti cognomi «apriglianesi» veraci (Vigna, Vetere, Palazzo...)? Solo per dar zavorra di credibilità ad un pallone aerostatico librato in cieli burleschi? O, piuttosto, per restare aderente ad una verità dei fatti certo reinventata ed enfatizzata epperò sempre verità? Insomma, è assai probabile che l’autore, nel novero dei seminaristi saccheggiatori – anche questa è sensazione non confortata da alcuna pezza d’appoggio ché nel poemetto, non si hanno, purtroppo, «soggettive» –, abbia preso spunto da un qualche episodio realmente accaduto negli anni ruggenti degli studi a Cosenza – anni, per di più, non molto lontani se è vero che il «fatto» risalirebbe agli anni ’80 del ’600, mentre la scrittura del poemetto non dovrebbe essere posteriore al 1696 – e ci abbia ricamato di sopra fino a farne evento eroicomico alla luce d’una lezione, non solo estetica, che, giusto in quegli anni, secondo alcuni studiosi vede uno dei propri contraltari nei versi postumi guarda caso d’un altro apriglianese, quel Pirro Schettino il quale, a detta d’un Nicola Misasi stranamente bacchettone e convenzionale – ma quello del critico letterario non è il suo mestiere – «... coi suoi versi combatte il gusto depravato e guasto del marinismo ...»10; mentr’invece, lo stesso Schettino, in vita, non ha inteso combattere un resto di niente, ché, da un certo momento in poi votatosi esclusivamente agli studi sacri, brucia, letteralmente, la sua produzione profana, e le sue poesie si salvano dal rogo purificatore sol perché ne hanno copie manoscritte alcuni estimatori che, dopo la di lui morte, le danno alle stampe. Comunque, rimane che Briga de li studienti sia, appunto, frutto maturo d’una temperie all’insegna dell’etonnement (temperie sostanzialmente assente dai cieli calabresi, a parte la notevole eccezione del Cesare Monizio da Taverna11), e che a tal fine rivoluziona, fra l’altro, il canone estetico del rappresentabile, recuperando ad esso anche il brutto, il deforme, il bizzarro nonché il marginale ed il giocoso, usando «... cannocchiale e microscopio, avvicinando il macrocosmo al microcosmo, la luna e la lucciola, atomi viventi di un mondo creato che rinasce allo sguardo della curiositas, nella varietà tematica e lessicale della scrittura ...»12; ed è stato, in certo senso, come scoprire e mettere in pratica il segreto della Fata Morgana, quando sullo stretto di Messina appare, fra cielo e terra, un’aerea, sontuosa, stupefacente città con palazzi e strade e giardini e fontane e colonnati... Anche se certe pulsioni non hanno epoche specifiche d’appartenenza, e, pur senza arrivare all’estremismo «fondamentalista» d’un D’Ors13 secondo cui, per dirla all’ingrosso, tutto ciò che non è classicità è barocco, una certa qual propensione a considerare «artifizio» il segno – tratto o parola o nota o altro che sia – attraversa, ora con più ora con meno evidenza, il tempo e lo spazio, e, a scavare un po’ di più in profondità, le si troverebbe anche qualche sotterranea affinità col «dionisiaco» di nietzscheiana memoria. E che Briga sia frutto della suddetta stagione lo dicono inequivocabilmente e in ordine sparso: il tono generale dell’opera che sa di euforica ebbrezza nello sperimentare le possibilità evocative, descrittive, immaginifiche dell’artifizio, nella consapevolezza d’esserne dòmini e poterlo agevolmente modellare secondo le personali esigenze, bizzarrie, trovate, intuizioni ...; il pedaggio con grande entusiasmo pagato alla «musa baiona», cioè bernesca, utilizzando l’iperbole come trattamento atto ad enfatizzare in Arte e Cultura chiave caricaturale la realtà; il taglio strutturale complessivo fatto d’accumulo di dettagli, immagini, metonimie, similitudini, metafore, modi di dire, etc., spia inequivocabile d’un sentire segnato dall’horror vacui e che col troppo pieno cerca di esorcizzare il troppo vuoto, cioè la morte, e con la bulimia occasionale l’anoressia eterna del sic transit gloria mundi; l’adozione, di per sé, del dialetto, che è scelta – per i tempi assai inusuale e stramba, almeno per un dotto quale l’autore si rivela d’essere oltre ogni ragionevole dubbio – che è scelta, si diceva, non solo espressiva e che è, certo, ricerca di originalità, ma è, anche, opporre, con intento in qualche modo polemico, la concretezza del «parlar basso» alle fumosità concettualizzanti, alle vuotezze auliche ed alle astraenti vaghezze della lingua letteraria; e lo dice, soprattutto, l’uso nobilitante del minimale. Difatti, non v’è dubbio che gli elementi-base di Briga siano, per così dir, frattaglie: in linea di principio, che volete che siano, e a chi volete che interessino, e quale esemplarità o emblematicità volete che possano assumere le scerre fra seminaristi accecati da qualche tocco di stenta salciccia, scerre, Cosenza al tempi dei gapulieri (Fabrizio Castiglion Morelli, frontespizio del De Patricia Cosentina ..., con veduta di Cosenza, 1709) peraltro, affidate ai suoni ed alle cadenze d’un parlare in stretto casalino-apriglianese?! Eppure, queste stesse frattaglie, proprio per come son cucinate, risultano riscattate dall’originario status di interiora e assurte a pietanza da gourmet, degna d’un Escoffier o d’un Brillat-Savarin; come i «cosiddetti» che al vitello pendono fra le gambe, a pochi centimetri dal pestilenziale sfintere, eppure, affettati a medaglioni sottili, indorati e fritti, son quanto di più raffinato uno possa offrire alle proprie papille gustative ed alla propria materia grigia, che in cert’uni sono in collegamento diretto, mentre in cert’altri le stesse papille son collegate direttamente al tubo di scarico. Il tutto con rese ognor da gustare, ché le similitudini son plastiche: ... le facìa cqua cqua racquà lu cularinu / cuomu quannu àuza vullu ’na pignata ...; le metafore mai risultano banali e, comunque, tengono sempre radici nell’universo terragno: Giacché de li pueti si’ lu gallu / mannare te vulìa nu vujulil- 10 In Cosenza, suppl. al n. 11289 del «Secolo», Milano, 1897. 11 C. Monizio, La Talia, Napoli, 1647; Il Vesbo furioso, Napoli, 1647. Vissuto nel XVII secolo. 12 C. Ossola, Introduzione al Seicento, in Antologia della poesia italiana, a cura di C. Segre e C. Ossola, vol. 3, Roma, 2004, p. 20. 13 E. D’Ors, Del Barocco, Milano, 1999. 25 Arte e Cultura lu, / ma tu de puorcu avisti nu cavallu, / iu ’stu Natale m’ammazzai nu grillu ...; alcune spanzumate paiono in tutto degne del Gargantua che si mangia tre pellegrini in insalata: ... Mmeulivanau meu meu cuomu le gatte / cuomu li vierri quannu surchiu’ jotte: / uognunu piglia ed a la vucca ’mbatte / muorsi de casu e stuozzi de ricotte; / chiù de nu varcu la vucca le vatte / cu’ li gangali faciennu gran botte, / faciennu tale strùsciu cu’ la gòrgia / chi te credìe Vurcanu intra la forgia ...; certe descrizioni hanno tale vis comica da risultare esilaranti: ... Ma chillu chi tramminne a ’na furnara! / Chista ppe’ tanta e tanta la pagura / vattìu cu’ li mustazza a ’na quadara / e tutta se ’ncritàu de cunnitura, / e tale botta cu’ lu culu spara / chi cadìu vuocchisutta ’na criatura / e stetted’ammucciata ppe’ nu jurnu / senza acqua e senza pane intr’a nu furnu ...; gli scontri fra gli studenti, giocati sul filo del vistoso contrasto, di per sé comicizzante, fra violenza astiosa dei toni e risibilità delle accuse e delle minacce, hanno la canagliesca improntitudine d’una stagione della vita in cui si è tutti briganti ed avventurieri della peggior fatta, per poi finire, appunto, corvacci in zimarra (anche se, al tempo, e senza generalizzare, non passa poi gran differenza fra gli uni e gli altri): Appena dittu avìa lu duonnu Micu / quannu Gustinu lu ’gnuràu ’mbriacu, / e Colansantu, ch’è ’n uomu de picu / le ’mpugnàu ’mpiettu intra lu studiu ’n acu; / Duardu: – Mo ti scippu lu villìcu – / le disse – ed a ’ssi scritti ti cce cacu! – / – Caca, caca – respunne Piscitiellu – / si ’un te ’nzaccu a la panza ‘stu curtiellu! Ma anche altro connota la Briga, segnandola con alcuni tratti di originalità che la fanno indiscutibilmente unica e, sotto certi aspetti, addirittura spuria per genere d’appartenenza. Il primo tratto è esterno, formale, attinente ai ritmi: la polimetricità. Costruito in ottave dodecasillabe, il poemetto ha, difatti, al suo interno un lacerto in terzine, anch’esse dodecasillabe, che non è pura bizzarria, originalità fine a se stessa, ma – dando corpo al Mumuriale, cioè alla memoria di denunzia che Piscitiellu produce all’arcivescovo –, per un verso segna il passaggio fra un virtuale primo tempo ed un virtuale secondo tempo dell’opera, e, per altro, sottolinea, anche in termini di cambiamento di inquadratura, il nesso fra i due snodi sostanziali dell’azione, il saccheggio ed il processo ai responsabili. Mumuriale che, poi, per le sue gale dotte, i suoi sussiegosi volteggi giurisprudenziali, i suoi pomposi svolazzi dottrinari, il suo latino che non è latinorum ma latino-latino e che è inserito nel corpo del testo così a maniera da dar luogo ad una sorta di mistilinguismo, costituisce la sola parte di Briga ove la presa per i fondelli di tanta boria accademica, di certe infiorettate loquele, e dell’avvocatese, non è in alcun modo mimetizzata, ma è là, papale-papale (... Scigàru nu lenzulu, e n’autru pannu / Tenetur ppe la legge de Corneliu / Titulu quannu quàtrupes fa dannu ...); e non cambia nulla – anzi, conferma quanto l’autore sia «istruito» anche in fatto di meccanismi comici – che la trovata del richiamo ad una auctoritas, puntellato da zeppe in sussiegoso latino giuridico, per dare credibilità ad una tesi strampalata, non sia del tutto originale in quanto largamente presente nella letteratura popolare del Cinque-Seicento, in particolare nelle parodie dei pronostici astrologici e nei «macaronici quesiti», e che Pietro Aretino vi ricorra nei Dubbi amorosi, e dopo di lui la usino, con esiti felicissimi, Teofilo Folengo e Giulio Cesare Croce ed altri ancora; Mumuriale, infine, che se da un lato richiama alla mente le saccenterie e le fumisterie verbali dei tanti «dottori» della comme14 G. Palange, op. cit., pp. 26 s. 26 n. 1-2/2007 dia sia improvvisa che premeditata, dall’altro sembra parente stretto d’altro Mumuriale14 venuto fuori dal focolaio d’Aprigliano, quello di mano certa del gran vastaso Duonnu Pantu, il quale, incarnandosi poeticamente in Duonnu Crapiuolu, o cuomu tutti vuolu Crapiune, e ritrovandosi in prigione perché sorpreso in flagranza carnale con donna sposata, invia all’arcivescovo una memoria difensiva in cui argomenta in punta di diritto... peloso, esplicitando i motivi in forza dei quali deve essere rimesso in libertà non foss’altro che per far «opere di pene» dando «consolazione» alle afflitte zitelle. L’altro dato connotante è, invece, tutt’interno all’opera, scorrendovi per buona parte sotterraneo, finché, via-via ingrossandosi, non riesce più a restar sacrificato nell’angustia oscura dell’alveo ipogeo, e, alla prima fenditura, incontenibile e senza alcun preavviso esce allo scoperto. Ed è la teatralità. Una teatralità, quella in Briga, che va anche al di là del fatto che ogni personaggio è costruito così bene da rivelare una sua identità caratteriale, e da muoversi ed interloquire con tale congruità e tale fisicità da dar l’impressione al lettore d’assistere alle di lui prodezze sulle tavole d’un palcoscenico o, anche, sul battuto d’una piazza in un giorno di fiera; e va pure al di là dell’accortezza che l’autore pone a che in ogni situazione l’aristotelica unità di luogo, tempo e azione non si sfilacci. E consiste, tale teatralità, giusto nell’esser Briga costruita come una successione di «scene», o «uscite», – di piani-sequenza a voltarla in chiave cinematografica – tutte fondate sul nucleo archetipico dello specifico teatrale, il contrasto – a due o più voci nella stessa Briga, comunque sempre fra due controparti, con alcuni interventi «terzi» di semplice ma necessario, raccordo, e inframmezzati dalla descrizione dell’azione da essi-contrasti provocata –; contrasto che, per inciso, in forma sia dialettica che dialogica, è dato connotante di tanta letteratura «bassa» medievale, ed è pure paradigma fondativo delle rappresentazioni carnascialesche dell’epoca, oltre che stereotipo, non solo formale, di tanta parte del far teatro comico dalla fine del ’400 in poi, Commedia dell’Arte compresa. E se, sempre in Briga, la struttura per contrasti successivi è per lo più formalmente contenuta nell’impianto del racconto in versi, poi, al corposo confronto finale, quando gli accadimenti non hanno più possibili sviluppi se non il sigillo dell’ormai prossima «sentenza», la struttura in questione diventa teatro tout court, tanto che l’autore non ingloba più il nome degli interlocutori nel corpo del testo come fin lì ha fatto, ma li indica fuori dallo stesso corpo, proprio come in un copione teatrale. Stranezza, questa, che agghinda il poemetto con un pennacchio non stonato ma manco a tono, conferendogli un quid che se, da un lato, è segno d’una mescidanza fra generi comunque irrisolta anche se voluta, dall’altro annuda il filo rosso che percorre tutta l’opera, ovvero, e per l’appunto, la teatralità. Certo, è scoprire l’acqua calda considerare che nel diennea dell’autore sia presente anche la tradizione apriglianese delle rappresentazioni carnevalesche, che, fisiologicamente, in loco via-via stimola un teatro dialettale di pregio (il Colambrosio, di Carlo Cosentino, il Diego Mazza di Vincenzo Filippelli ...); com’è pure sacrosanta ovvietà dire che Briga si abbevera alla cultura del carnevale, e, magari anche forzando le cose, dare una certa qual valenza simbolica alle controparti in causa (l’eccesso e l’astinenza, l’eccezione e la regola, l’ordine ed il disordine, e, in definitiva, Carnevale e Quaresima), sì da poter poi concludere che i contrasti nel poemetto sono «... l’allegoria deformata d’una gigantesca battaglia tra le forze superiori all’impotente n. 1-2/ 2007 abitante della terra, d’un conflitto che vieta all’uomo di scoprire la sua autonomia come agente della storia e della sua libertà...»15 (Piero Camporesi docet); infine, è pure assai evidente, e naturale, lo sguazzar di Briga nella bassa corporeità a livello di stomaco (la spanciata dei seminaristi allupati è senz’altro all’insegna dell’allàrgati panza mia si no ti strazzi, grido di battaglia delle grandi abbuffate, carnevalesche e non), di apparato digerente (la produzione escrementizia – sia quella verbale, sia quella effettiva, sia, infine, quella potenziale in quanto solo minacciata – è davvero cospicua in Briga!), e di sottopancia (più mimetizzato e ambiguizzato, epperò presente, e come!), in un liberatorio tripudio di fisicità da «abbassamento», ovvero, per dirla con Bachtin, da «... trasferimento di tutto ciò che è alto, spirituale, ideale ed astratto, sul piano materiale e corporeo, sul piano della terra e del corpo nella loro indissolubile unità...»16. Epperò, tutta la tradizione, tutto il carnevale e tutto il bassocorporeo possibili e immaginabili, non aiutano minimamente a sciogliere il nodo del perché l’autore avverta punto o poco la preoccupazione d’ibridare la propria opera, e tenga, sempre solo formalmente, il piede ora in una staffa ora in un’altra. Su come e in che termini Achille Greco sia intervenuto su Briga per farne Brighe, c’è ben poco da dire, e non perché la faccenda meriti d’essere sommariamente liquidata all’insegna del de minimis..., ma, al contrario, perché l’intervento è stato così inter-legente e discreto e rispettoso da non apparir proprio, almeno in prima Cosenza - Mercato in Piazza Grande (L. Cirelli, 1874) battuta e, almeno, agli occhi di chi Briga non l’abbia gran che frequentata, e, a leggere Brighe, gli verrebbe legittimo chiedersi cosa giustifichi la trasformazione del singolare in plurale visto che l’opera si offre compatta e omogenea, senza visibili impronte digitali di mano «postuma» o, comunque, non autorale. Invece intervento c’è stato, ed è stato in chiave razionalizzante, nel senso che Achille Greco ha portato a galla la teatralità, che, per come detto, per buona parte dell’opera si muove in apnea appena sotto il pelo dell’acqua e, per il resto, pinneggia appena sopra lo stesso pelo. O meglio: ha acclarato essa-teatralità laddove è mimetizzata nel raccontar poetando, e l’ha messa perfettamente a fuoco laddove è scoperta e, però, se non razionalizzata come emergenza d’un qualcosa non più contenibile e, comunque agente, magari anche nebulosamente, nell’intelligenza e nel sentir dell’autore, rischierebbe di passare per eccentricità o, nel miglior dei casi, come espediente solo formale, atto ad evitar di frantumare, con interventi didascali- Arte e Cultura ci e/o di raccordo, il ritmo serrato e incalzante dei contrasti; ritmo che, così, non solo rimane inalterato ma, anche, e proprio perché scandisce un’azione «tutta a vista», dilata la dialettica interna degli stessi contrasti, inducendo l’impressione che essi si moltiplichino via-via in modo esponenziale, e che il testo non perda complessiva unitarietà, anzi s’avviti, suggestivamente e funzionalmente, sulla sua stessa struttura, e segua un percorso che se in Briga è lineare, in Brighe è, invece, ellittico. Da qui, pertanto, la piena legittimità che la stessa Briga si sia pluralizzata in Brighe. Insomma, Achille Greco, pesce nella sua acqua in fatto di semiologia scenica – conta dirlo non per fargli inchino da minuetto (non ci tenni e non ci tesi mai, direbbe lui con Petrolini), ma per inquadrare correttamente l’«operazione» –, ha riscritto Briga drammaturgicamente, dandole la quadratura tecnica, e l’ha riscritto riciclando lo stesso materiale del poemetto e lavorando di forbici, ago fino da rammendo, refe a colore e di qualità (forse di marca 3C, che una volta era il massimo); ed è, poi, intervenuto qua e là con qualche... diciamo punto esclamativo in forma di folgorante battuta atta a rimarcar certi snodi dell’azione e certi passaggi concettuali, e con qualche tarsia in forma di litania di proverbi o di modi di dire al fine di restituire all’opera quel po’ di nerbo latamente, allusivamente e genericamente «ideologico» di cui, fra le pieghe dei versi e le rifrangenze dei fonemi, vi è traccia labile ma vi è, come l’eco lontana d’un grido strozzato in gola, nerbo sì e no intuibile nel progressivo accumulo di dettagli, suoni, immagini, figure retoriche... che, tutti, costituiscono il vero e solo intrico d’una drammatizzazione in chiave comica senza lazzi, frizzi e cotillons, e d’un’azione che procede sempre in linea retta, senza trovate mirabolanti e colpi di scena o, all’opposto, ristagni, e che, purtuttavia, coinvolge divertendo, e, per come diverte, stupisce... E, concorda anche Achille Greco col suo Brighe: fa nulla se Briga, almeno d’abord, pur facendo ridere non castigat mores e l’unico castigo – non condanna! – che vi si rinviene è quello inflitto dal monsignor Vicario ai maggiori responsabili del saccheggio dopo averli assolti perché pazzi e, quindi, incapaci di intendere e volere (... pagati a Cacabùggiu lu purtiellu / e vasati lu culu a Piscitiellu ...); castigo invero sui generis, specie per la volgarità e la sguaiataggine dei suoi rimandi simbolici, ché baciare il preterito ad uno è il più umiliante e servile atto di sottomissione, e solo streghe e magàre, durante i loro periodici rendezvous col caprino Maligno, in genere sutt’a nuce ’i Bonavientu ove arrivano volando supr’acqua e supra vientu, gli baciano appassionatamente, e per l’appunto, il fetente pretérito, ed è laido atto di rinnovata obbedienza, ed anche di malsana libidine; come, altresì, non fa nulla, concorda ancora Achille Greco, che Briga e, quindi, anche Brighe, non contengano chissà quali messaggi o chissà quale altra comunicazione da affidare alle regie poste per la consegna; le intenzioni dell’autore sono ben altre, più e meno impegnative allo stesso tempo: rappresentare un gioco pirotecnico che è solo luci, colori, botti..., con la piena consapevolezza che finito il gioco è il buio, la notte, il niente... forse addirittura la morte; e dev’esser quanto mai consolante essere seppelliti «con» una risata piuttosto che «da» una risata. E tutto questo c’è in Briga e c’è in Brighe, che è la stessa cosa di Briga anche se è una cosa diversa; sicché, per quanto taciuto o sorvolato a proposito di Brighe, valga, pari-pari e senza null’altro aggiungere, quanto detto per Briga. 15 P. Camporesi, La maschera di Bertoldo, Torino, 1976, p. 194. 16 M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Torino, 1979, p. 29. 27 Arte e Cultura n. 1-2/2007 BRESTE Antichi materiali da costruzione di Giovan Battista Galati* ei tempi passati, la mancanza di pietra, elemento indispensabile per la costruzione delle abitazioni, dovette condizionare fortemente l’edilizia. Disporre di un’abitazione solida e salubre, nell’antichità, significava abbandonare o sostituire gli antichi “pogghiara” e le vecchie case fatte di legno e fibre vegetali (agutamu, jenestra, canne, ecc.) con manufatti che potessero garantire una certa solidità e un’adeguata protezione dal freddo e dalle avversità atmosferiche. Ciò era assicurato prevalentemente con le costruzioni in pietra, ma c’è da dire che non tutti i territori disponevano di abbondante materia prima, quanto meno nelle immediate vicinanze; per cui furono adoperati i mattoni crudi di terra argillosa (sterro), facilmente reperibile, mista a paglia sminuzzata o altre fibre vegetali, impastati ed essiccati al sole dopo un particolare ma semplice ciclo di lavorazione, che ben presto divennero la materia prima più importante dell’edilizia, per secoli e senza confini geografici. Furono usati ovunque. Di dimensioni pressoché modulari e grossomodo costanti nei diversi bacini dove se ne fece uso, le breste, sono divenute elementi propri dell’architettura in special modo nel mediterraneo. Anche la nostra piccola comunità (San Nicola da Crissa) ha attraversato questi periodi che si sono protratti per secoli, quando, a differenza di oggi, la naturale evoluzione delle cose ed il progresso tecnologico avveniva in tempi così lunghi che abbracciavano intere generazioni. Anche nei nostri territori resistono ancora oggi vecchi manufatti e abitazioni di breste che testimoniano la povertà e la semplicità delle nostre popolazioni. N Lavorazione Anche se le procedure di lavorazione delle breste differivano lievemente tra comunità e comunità, sostanzialmente, si può affermare che il metodo adottato era lo stesso. In particolare nelle nostre zone, veniva adottato un procedimento tanto semplice quanto funzionale: Si scavava la terra cruda e la si depositava in una buca, predisposta, dove veniva lasciata ad asciugare. Successivamente veniva impastata, quasi sempre con i piedi, con della paglia appositamente sminuzzata o anche con radici di gramigna (Pianta delle graminacee, rizomatosa, diffusissima, altamente infestante e sovrana dei campi incolti), o fuffolo (residuo delle spighe di grano) o altre fibre vegetali, avendo cura di eliminare eventuale ciotoli e/o elementi estranei all’impasto. Quindi si faceva lievitare l’impasto e si deponeva in apposite rudimentali stampi di legno che solitamente erano di due dimensioni, per muratura portante e per pareti di divisione. Le breste utilizzate per muri portanti avevano una dimensione di circa cm 40 x 15 x 20 mentre per pareti di divisione erano di cm 40 x 15 x 10 ma anche 30 x 15 x 15. Particolare era l’essiccazione per esposizione al sole, * Geometra, libero professionista 28 infatti le breste venivano realizzate solo nei periodi estivi . Questa circostanza mi fa ricordare un antico racconto popolare: Si racconta che nei tempi passati, quando vi erano stagioni particolarmente torride o anche eccessivamente fredde che si protraevano per lunghi periodi, la popolazione si riuniva in preghiera per far cessare tali situazioni sfavorevoli (si sopravviveva con i prodotti della terra). Accadde che una stagione fu talmente torrida, che non pioveva da parecchi mesi; tale era il bisogno di acqua che la popolazione si raccolse in preghiera, assieme al parroco, nella piazza del paese. Nel prendere la parola il parroco, consapevole della circostanza in cui si trovava, disse loro che la condizione necessaria affinché l’implorazione avesse effetto era che dovevano essere tutti d’accordo, indistintamente, altrimenti la grazia non poteva essere fatta, perché tutti dovevano trarne beneficio. Allora tutti i fedeli presenti nella piazza, che aspettavano la pioggia da parecchi mesio, si unirono in coro manifestando unanime approvazione. Ma quando l’unanimità sembrava raggiunta, dal mezzo della folla, un tizio prese la parola e disse: “Si però aspettati mu vaiu mu mi trasu li breste”. Fatta questa breve digressione, che sottolinea l’importanza che aveva questa attività nei tempi passati, continuiamo nel dire che ai fini della preparazione, era necessario trovare un punto in cui la terra usata come materia prima, fosse abbastanza argillosa e possibilmente priva di sassi. Per la costruzione dei mattoni di breste nella nostra comunità si usava prevalentemente paglia, tagliata minuziosamente, che veniva mischiata alla terra allo scopo di rendere i mattoni più resistenti, ma non mancano costruzioni di breste fatti con gramigna che risultavano molto più resistenti. (Nelle nostre zone inoltre, sono anche presenti le caratteristiche e suggestive costruzioni fatte di scogli di sabbia, materiale facilmente reperibile nelle vaste zone sabbiose poste a nord-est del nostro territorio). n. 1-2/2007 Dopo aver selezionato la terra argillosa e averla ridotta in polvere, veniva mescolata ad abbondante acqua fino a raggiungere un’emulsione di fango abbastanza fluida da mescolarsi agevolmente con la paglia per agevolare la miscelatura. Una volta preparati i mattoni, questi venivano lasciati ad essiccare sotto il sole per circa due settimane, periodo durante il quale venivano rigirati ogni due giorni. Le nostre vecchie case, anche se hanno poco o nulla di monumentale, sono incredibilmente ricchi di storia, leggende, tradizioni e folklore, con queste caratteristiche costruzioni che parlano il linguaggio dell’antica povertà e semplicità. Erano costruite con questi mattoni di fango, come in moltissime altre zone, da noi vengono chiamate “Breste” come pure in Abruzzo; in altri luoghi come la Sardegna vengono chiamati “Ladiri” (dal latino “Later” che significa “mattone”), in Basilicata “Ciciule”. La scelta di questo tipo di mattoni formati da terra e paglia non era sicuramente casuale, infatti oltre che economici, avevano il pregio di essere un ottimo isolante sia acustico che termico. Da apposite ed approfondite ricerche è risultato che le costruzioni realizzate con questo tipo di materiali, con opportuni accorgimenti, hanno caratteristiche ecologiche ben evidenti anche in rapporto alla salubrità degli ambienti, soprattutto per le sue caratteristiche di traspirabilità, di regolazione igrotermica, di scarso accumulo di sostanze elettromagnetiche (ad esempio quando fa molto caldo l’umidità presente nella massa muraria di terra argillosa, evaporando, sottrae calore e quindi rinfresca l’aria). Un modesto patrimonio edilizio, quello rimasto, di grande interesse, che a mio modesto avviso andrebbe recuperato, valorizzato così come valorizzate e recuperate andrebbero le tecniche seguite per preparare i mattoni di fango e paglia utilizzate per costruire la quasi totalità delle case delle nostra comunità ma soprattutto nelle nostre campagne. Queste tecniche e questi materiali sono perfettamente ecocompatibili, molto economici e con limitatissimo impatto ambientale, Arte e Cultura permettono infatti notevoli risparmi energetici, non provocano emissioni dannose, sono incredibilmente ecologici. Sembra strano, ma sta diffondendosi, grazie al lavoro di alcune associazioni e alla riscoperta da parte di alcuni tecnici, il riu- so della tecnologia del costruire in terra. Tecnologia che è l’eredità di un passato neppure troppo lontano. Un materiale così semplice può avere alte prestazioni ambientali e di vivibilità, oltre ad essere esteticamente, con opportuni accorgimenti, molto gradevole. La terra argillosa impastata con acqua forma un materiale plastico, quindi perfettamente lavorabile e modellabile a seconda delle esigenze. E’ dotato di ottime caratteristiche adesive tali da legare, ad essiccamento avvenuto, i materiali utilizzati, di solito, paglia, radici di gramigna, ma anche canne, giunchi e intrecci di rami. Le nostre case, parliamo di quelle più antiche, erano costituite da una muratura di breste di grosso spessore, il più delle volte intonacate, le pareti interne erano costituite da un’intelaiatura di travi di legno con all’interno un intreccio di canne e sterro. I solai erano di legno, con delle grosse travi di castagno, disposte a circa 80 – 100 cm una dall’altra, appoggiate sulla muratura portante. Sovrastante era sistemato un fitto tavolato di rudimentali legni molto resistenti (cosiddetti “scandali”), affiancati l’uno all’altro e appoggiati alle grosse travi, sulle quali vi era una caldana di terra-sabbia e solo sovrastante erano sistemati nella migliore delle ipotesi, i pavimenti. Questi semplici manufatti hanno visto nascere, crescere e morire generazioni intere. A significare la povertà e la semplicità di questi manufatti di sterro, senza alcun valore economico, vi era anche un antico detto popolare: Casiceja mia de taiu, nente avia e nente aiu, comu vinne mi nde vaiu. La Regione Abruzzo, a tutela del patrimonio storico-culturale e ambientale, con legge n. 17 del 22 febbraio 1997, ha promosso il recupero e la valorizzazione delle case di terra cruda. 29 Arte e Cultura n. 1-2/2007 OPERAZIONE ALARICO Il nuovo romanzo di Mario De Filippis (Ed. Rubbettino) di Iole Maletta* La lettura del romanzo dello scrittore e storico Mario De Filippis è intrigante, gli eventi pieni di colpi di scena, come un romanzo giallo, non si vede l’ora di arrivare alla fine per scoprire l’assassino o, come nel caso Alarico, il mistero che avvolge la sua morte e la sua sepoltura. Ciccio Filice, uno scapolone di 40 anni, geometra, impiegato alla Soprintendenza ai Beni Culturali di Cosenza, deve organizzare una mostra, un grande evento per la città, dal titolo “Da Alarico al meticciato culturale. Invasioni/visioni di popoli”. Il protagonista, un po’ per compiacere e farsi notare dalla dottoressa Ginevra de Cardoni, assunta direttamente dal Ministero…assegnata ad un servizio inesistente, con una qualifica così alta da aver fatto infuriare almeno dieci aspiranti a quel livello, che fa girare la testa a 93 dei 93 impiegati della Soprintendenza, un po’ per curiosità, un po’ per dimostrare ai suoi colleghi che possiede anche competenze organizzative, avvia una forsennata e affascinante ricerca sul re dei Goti, sepolto, secondo la leggenda, nel letto del fiume Busento. Da Giordane, lo storico dei Goti, Ciccio Filice apprende la fonte della leggenda sulla sepoltura di Alarico .” …colto da improvvisa morte si allontanò dalla scena del mondo. I Goti piangendo per il grande affetto, deviano dal suo corso il fiume Busento presso la città di Cosenza…accolta una schiera di prigionieri scavano in mezzo all’alveo il luogo della sepoltura, nel centro della fossa seppelliscono Alarico con molte ricchezze e di nuovo riconducendo le acque nel loro alveo, affinché il punto non fosse riconosciuto da qualcuno, uccidono tutti gli scavatori”. Il romanzo, quindi, si legge tutto d’un fiato, perché si spera di leggere la risoluzione del mistero di Alarico che è vecchio di 1500 anni, ma che Ciccio Filice ha reso attuale nel 1998, in mezzo ai pub cosentini, enoteche, ragazze che bevono birra sedute sui gradini che forse sono stati calpestati da Bernardino Telesio, dal primo tipografo ebreo Ottaviano Salomon o dallo stesso Alarico. Man mano che si va avanti nel romanzo si scopre una tale ricchezza di contenuti storici, che si possono attribuire soltanto ai ricercatori storici; ciò non sorprende per chi conosce l’autore e sa che da anni frequenta i luoghi della memoria (archivi, biblioteche, vecchi conventi) alla ricerca del più piccolo indizio sulla nostra bella e dimenticata storia e da sempre, con onestà intellettuale , scrive ciò che ha approfondito, ricercato con cura e non rifatto da altri testi. Si nota, infatti, un attento lavoro dello storico per la ricchezza di citazioni, di fonti autorevoli e di una faticosa ricerca di archivio e di biblioteca. La descrizione chiara, circostanziata ed esaustiva dei frequentatori di archivi ci introduce in questo mondo affascinante della ricerca archivistica formata da una bella e varia umanità : studenti disorientati e smarriti per le tesi di laurea…pensionati in cerca di quarti di nobiltà degli antenati…persone in lite con lontani parenti, per qualche eredità,…l’accompagnatore archivistico, l’addetto alle fotocopie… . Lo spessore culturale di De Filippis ci conduce verso altre storie che si intersecano con quella di Alarico. Da ogni storia, che l’autore conosce profondamente per il gran numero di citazioni, per la precisione con cui racconta gli eventi, potrebbe scaturire un altro romanzo o un altro racconto: Alarico ed il suo mito, o la sua visione, affascinano perché avvolta dal mistero è la sua morte e, poi, il collegamento e i continui richiami agli ebrei e alla storia del Ferramonti, l’incunabolo trovato in un leggendario luogo che avrebbe ospitato la prima tipo*Docente di lettere e saggista 30 grafia cosentina di Ottaviano Salomon da Manfredonia, la rabdomante francese che con qualche strumento particolare cerca nel letto del fiume gli oggetti, evidentemente di metallo, la colonna tedesca lungo il greto del Busento che cerca il tesoro(forse!), la visita di Himmler a Cosenza, la storia di August Von Platen, poeta tedesco, del quale Carducci ha tradotto la famosa poesia La tomba nel Busento, la storia fantasiosa di Nora Almagià, sono avvenimenti altrettanto affascinanti. Ciccio, da geometra illetterato, un agrimensore, come lo apostrofa la statua di Bernardino Telesio, impara a conoscere la storia dell’Accademia Cosentina, del Ferramonti, dell’operazione per l’occupazione dell’Italia da parte degli alleati, conosce tutto sui capolavori dei musei italiani nascosti nella rocca di Sasso Corsaro, sulla storia su tutti i monumenti cosentini, sull’avanzata dei tedeschi in Unione Sovietica, il trafugamento dei pannelli di ambra, il piatto con il sigillo del re Alarico bambino trovato in Svezia e custodito al Museo archeologico di Memel. Annotazione chiara e circostanziata sui personaggi illustri cosentini, Giovanni Pezzullo, Michele Bianchi, Bernardino Telesio. Descrizione accurata anche degli scapoloni, figli di famiglia, che vogliono divertirsi, a cui non piace la monotonia di un rapporto sentimentale, che si lasciano andare a sogni con donne come Ginevra, di un elevato contesto socio-culturale, ma poi, per sposarsi, vogliono storie semplici, forse un pò scialbe, ma sicure. Il protagonista usa anche una autocritica su ciò che fa, su ciò che dice, riconosce i propri limiti e ci scherza con the Ciccio’s boys, dai nomi tipicamente cosentini: Pingitore, Panza, Chiappetta, Spataro. Coinvolgenti sono, in ogni capitolo, le divagazioni, con ricordi del proprio vissuto familiare o riflessioni sulla società cosentina. Al capitolo sul sarcofago c’è una interessante divagazione sul nonno, al capitolo I divertimenti della vita privata si parla delle attività del teatro dell’Acquario. Interessanti ed attinenti al contenuto dei vari capitoli sono le epigrafi che li aprono. Sconvolgenti e destabilizzanti le conclusioni di Demetrios, un romano ebreo al seguito di Alarico, protagonista del testo di Jean d’Ormesson, Il romanzo dell’ebreo errante, secondo cui la tomba di Alarico deve rimanere un mistero, una visione, non dell’invasione perché quella c’è stata, ma della sua morte, del cavallo, del tesoro e di tutti quelli che si sono adoperati per cercarla. Propongo, dice Demetrios in una riunione dei guerrieri visigoti a Cosenza , dopo la morte di Alarico, nel 410 d. c., di fare sparire dalla faccia della terra qualsiasi traccia del re Alarico… se volete che, nei secoli dei secoli, le generazioni che si succederanno serbino ancora la memoria di ciò che fu Alarico, bisogna affidare la morte alla morte, il silenzio al silenzio, l’assenza all’assenza. L’autore ad ogni profano ha chiarito le idee, ha messo tutti i tasselli a posto su Alarico, tuttavia, il quadro che lo storico ha costruito è avvolto nella nebbia, basterebbe una folata di vento ( o una soffiata) per individuare qualche altro testo illuminante, per scoprire dov’è questo benedetto tesoro e il corpo o quel che resta di Alarico. Penso, però, che la tomba di Alarico debba restare un mito per Cosenza, una leggenda sulla quale sognare come ci ha fatto sognare lo scrittore Mario De Filippis, con questa coinvolgente storia. Ritengo che il testo, per lo spessore culturale e per la portata storica, debba essere fatto conoscere alle giovani generazioni, con incontri nelle scuole e dibattiti aperti. Auguriamo all’autore il successo che merita. n. 1-2/2007 Asterischi CONSENSI AL DIZIONARIO DELLA CALABRIA di Gustavo Valente, edito dal Centro Studi Geo-Metra Consiglio Nazionale delle Ricerche Istituto di Scuenze Neurologiche Mangone, 15.2.2007 Al Presidente del Collegio Prov. Geometri dr. Giuseppe Caterini - Cosenza Egregio Signor Presidente, il gruppo che ho l’onore di rappresentare presso Codesto Istituto rivolge la propria attenzione alla Biodemografia ed alla Genetica delle Popolazioni Umane. Tali discipline scientifiche sono da noi utilizzate, da circa vent’anni, per la ricerca sugli isolati genetici presenti in Calabria. Tali isolati sono fonte di frequenze relativamente alte di malattie genetiche considerate, invece, rare in Italia ed in Europa. Nell’ambito di questi interessi scientifici non si può prescindere dal consultare gli elementi storici, sociali ed economici nonché, e soprattutto, demografici dei numerosi comuni presenti in Calabria. La Biblioteca di codesto Istituto possiede la prima edizione de "Dizionario dei luoghi della Calabria" di Gustavo Valente, opera che viene consultata almeno tre quattro volte al mese da chi Le scrive e dai collaboratori. A nome mio, gentile Presidente, e a nome dei colleghi Ricercatori del gruppo che rappresento insieme alla Direzione di codesto Istituto Le chiediamo di volerci fornire la nuova edizione dell’opera citata, promossa dal Collegio Provinciale dei Geometri. Certo della positiva accoglienza, riceva un anticipato ringraziamento insieme ad una cordiale stretta di mano. dr. Antonio Tagarelli INIZIATIVA Periodico della Calabria Cosenza Cosenza, 2.5.2007 Ill.mo sig. Presidente dell’Ordine Prov.le dei Geometri Cosenza Siamo venuti a conoscenza che codesto spett. Collegio si è assunto l’onere della pubblicazione dell’ultima opera del compianto prof. Gustavo Valente dopo che l’editrice maellare, a seguito di fallimento,non aveva ottemperato all’obbligo contrattuale assunto con l’autore. Codesto spett. Collegio ha così compiuto un’azione culturalmente assai meritoria perchè sappiamo l’impegno e la cura che il prof. Valente - nostro ottimo amico e collaboratore finche non si ritirò definitivamente a Celico - aveva posto nella ricerca e nell’elaborazione. Vi saremmo,pertanto,oltremodo grati se poteste farci il prezioso dono di una copia dell’intera opera allo scopo di farne conoscere il contenuto ai nostri lettori di tutta italia e mettere debitamente in risalto la benemerenza da voi acquisita nei confronti della cultura calabrese. Con anticipati ringraziamenti, porgiamo distinti saluti. Il direttore Avv. Ernesto Corigliano MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI ARCHIVIO DI STATO DI COSENZA Cosenza, 2.5.2007 Ill.mo sig. Presidente del Collegio Prov.le dei Geometri dr. Giuseppe Caterini - Cosenza Oggetto: Richiesta pubblicazione “Dizionario bibliografico, biografico, geografico, storico della Calabria”. Al fine di avere l’opera completa della pubblicazione in oggetto specificata e di cui si è in possesso del solo primo volume, avuto in omaggio dalla SA/., attesa la rilevanza storico-scientifica dell’opera e l’attinenza all’attività istituzionale di questo Istituto, nonché l’interesse per l’utenza che frequenta la Sala di Studio, si chiede l’invio dei volumi pubblicati successivamente al primo. Dall’esame del primo volume dell’opera, redatta dal compianto e stimato Prof. Gustavo Valente, si è potuto rilevare la consueta professionalità dell’autore nel trattare temi culturali di grande rilevanza storica. Si coglie l’occasione per esprimere vivo compiacimento per aver meritoriamente pubblicato l’opera di che trattasi, dimostrando una sensibilità ed un interessamento encomiabile nel promuovere una iniziativa culturale di grande valenza per la storiografia calabrese, che si va ad aggiungere alle attività editoriali che la S.V. promuove quale Presidente del Collegio Geometri di Cosenza. In attesa di favorevole riscontro, si ringrazia per la cortese attenzione prestata e si invia un cordiale e sincero saluto. Il direttore dr. Anna Maria Letizia Fazio 31 Asterischi n. 1-2/2007 Avv. Vincenzo Le Pera Cosenza Ill.mo sig. Presidente dell’Ordine Prov.le dei Geometri Cosenza Plaudo di vivo cuore alla pubblicazione, per i tipi dalla Geo-Metra, del “Dizionario bibliografico, biografico, geografico e storico della Calabria” di Gustavo Valente, opera in ogni senso unica e per la statura dell’autore, vanto della nostra regione, e in sè e per sè, in quanto unica e irripetibile. Cosenza, 24 maggio 2007 Avv. Enzo Le Pera Biblioteca Comunale Giuseppe Angelo Nociti Spezzano Albanese Spezzano A. 14.6.2007 Gen.mo dottor Caterini Presidente del Collegio dei Geometri Cosenza Oggetto: richiesta libri in dono. Gentilissimo Presidente, chi le scrive dirige la Biblioteca Comunale “G. A. Nociti” di Spezzano Albanese da dieci anni (la biblioteca in effetti nasce negli anni ottanta), questo è stato il tempo che mi è necessitato per dare una impronta importante e seria ad una Biblioteca Comunale che partiva da un piccolo ma pur prezioso fondo ottocentesco appartenuto ad una illustre famiglia spezzanese, quella di Orazio Giovanni Rinaldi. Oggi la Biblioteca si presenta con un fondo di conservazione ottocentesco appunto, un fondo moderno che raccoglie i classici della letteratura, della storia, della filosofia, dell’arte etc ma ha anche delle piccole e preziose specializzazioni nell’albanistica e nella meridionalistica. Quest’ultimo riferimento ci da l’avvio per parlare della nostra idea di potenziare la sezione di meridionalistica per la quale ci farebbe veramente piacere avere il preziosissimo Dizionario in sei volumi del compianto professor Gustavo Valente e che voi avete curato con grande dovizia di particolari cosi come siete soliti fare con tutte le vostre pubblicazioni alle quali estendiamo la richiesta nei limiti delle vostre disponibilità e qualora riteniate siano utili per una Biblioteca come la nostra. La donazione che andrete a fare sarà per noi particolarmente preziosa, mi consenta di dirle che la nostra Biblioteca riesce ad essere così “importante” soprattutto grazie ad aiuti come il vostro senza i quali saremmo persi! Tanto esigui sono i fondi stanziati siano essi comunali, provinciali o regionali che solo la bontà di amici, professionisti e cultori di libri riesce a sopperire. La nostra Biblioteca, deve sapere, si è costituita sulla base di pochi acquisti, eppure si sono raggiunti i quindicimila volumi, ma quasi esclusivamente su donazioni, vero è che ogni dono ricevuto è stato il corrispettivo di quello che noi avevamo chiesto, ogni richiesta è sempre stata fatta con avvedutezza e al fine di ottenere libri e riviste che per contenuto qualificassero sempre più al momento e nel tempo avvenire le singole sezioni e l’intero patrimonio di questa Biblioteca. Ora restiamo in attesa del vostro prezioso dono, intanto la ringraziamo per quanto vorrà fare per noi e le auguriamo buon lavoro. Il Direttore Giuseppe Nociti LETTERA A “la Stadia” Geom. Valerio Fabbri Cervia (RA) Cervia 14.1.2007 “La Stadia” Rivista di informazione dei Geometri del sud Italia - Cosenza Si è da poco ripetuto un periodico e piacevolissimo appuntamento: ho infatti ricevuto il numero 5-6/2006 della rivista “la Stadia”. Trovo gli argomenti trattati alquanto interessanti e della massima utilità per la nostra insostituibile professione, riviste come questa ci fanno sentire veramente partecipi di una “grande” categoria. Con la presente intendo quindi porre i miei più sentiti ringraziamenti alla direzione, redazione e amministrazione, in particolare un saluto speciale al direttore responsabile, il collega Giuseppe Caterini e a tutti i colleghi che con lui collaborano per realizzare la rivista, Cervia (RA), li’ 10/01/2007 geom. Valerio Fabbri 32 Attività di categoria n. 1-2/2007 sindacato italiano geometri Esecutivo Nazionale DISFUNZIONI UFFICIO TECNICO ERARIALE Cosenza, 10.7.2007 Telegramma-fax 0984/481546 0961/509130 06/47775555 Direttore Ufficio Provinciale Agenzia Territorio - Cosenza e p.c. Direzione Regionale Agenzia Territorio - Catanzaro “ Direzione Centrale Agenzia Territorio - Roma Informato reiterate proteste numerosi nostri iscritti-segnatamente residenti comuni periferici provincia-nuove direttive date V. S. per accettazione atti di aggiornamento previo esame da parte tecnico ufficio con gravi disguidi che comportano più file e più visite at ufficio per presentare un solo atto, chiedo immediato ripristino precedente modalità accettazione. Non provvedendo tempestivamente, mio malgrado sarò costretto intraprendere più incisive azioni at tutela categoria rappresentata. Giuseppe Caterini, Presidente Sindacato Italiano Geometri LA NOTA DI RISCONTRO Agenzia del Territorio Direzione Regionale della Calabria Catanzaro Catanzaro, 11.7.2007 Al Direttore dell’UPT Cosenza e p.c. Al Presidente del Collegio dei Geometri Cosenza e p.c. Direzione Centrale Cartografia, Catasto e Pubblicità Immobiliare Roma Oggetto: Servizio di accettazione atti di aggiornamento PREGEO Il Presidente dei Collegio dei Geometri della Provincia di Cosenza, con nota 095/del 10.7.2007 ha segnalato lo stato di disagio in cui la categoria, in particolare quella residente in Comuni periferici, versa all'atto della presentazione degli atti di aggiornamento catastale (tipi di frazionamento, tipi mappali) a seguito di nuove direttive impartite dalla S.V. Esaminato l'Ordine di Servizio numero 12, emesso dalla S.V. in data 2.7.2007 e riscontrato che lo stesso, disattendendo quanto previsto dalla circolare 53537 del 29.7.2005 della DCCCPI Area Servizi cartografici, di fatto fa gravare sull'utenza eventuali disfunzioni ad essa non addebitabili, si invita la S.V. a rimodulare il citato Ordine di Sevizio, tenendo presente che al di fuori dei casi previsti dalla predetta circolare non possono e non devono esistere motivi di non accettazione degli atti di aggiornamento. È appena il caso di rammentare alla S.V. che oltre alla qualità formale, gli Uffici debbono tenere alla qualità reale e all'effettivo grado di soddisfazione dell'Utenza. Il Direttore Girolamo Silvari 33 Attività di categoria n. 1-2/2007 comitato regionale geometri di calabria CANCELLAZIONE DALL’ALBO “ORA PER ALLORA” Parere pro veritate di Pietro Romano* Facendo seguito alla Vostra richiesta di parere, alla luce degli atti pervenutimi ritengo di poter esprimere le seguenti considerazioni. 1. Descrizione della fattispecie. Il Collegio Provinciale dei Geometri di Crotone ha richiesto un parere in merito alle determinazioni da assumere nei confronti della richiesta avanzata da un iscritto di un provvedimento di cancellazione dall’Albo “ora per allora”, i cui effetti dovrebbero retroagire alla data del 4 aprile 1992, allorquando dal Tribunale di Crotone è stato dichiarato il fallimento dell’interessato. Nella descrizione della fattispecie è necessario rammentare che alla data del fallimento l’interessato era iscritto presso il Collegio Provinciale dei Geometri di Catanzaro, essendo intervenuta l’istituzione del Collegio di Crotone in data successiva, ossia il 10 marzo 1995. Con provvedimento del 4 aprile 2002 il Tribunale di Crotone ha dichiarato chiusa la procedura fallimentare de quo. Richiede, inoltre, il Collegio di Crotone se può esigere dallo stesso iscritto il pagamento delle tasse d’iscrizione all’Albo non versate. 2. Riferimenti normativi e giurisprudenziali. L’art. 4 del Regio Decreto 11.2.1929 n. 274 (Regolamento per la professione di geometra) prescrive che “Per essere iscritto nell’albo dei geometri è necessario:... b) godere dei diritti civili e non aver riportato condanna alla reclusione o alla detenzione per tempo superiore ai cinque anni, salvo che sia intervenuta la riabilitatone a termini del cod. proc. pen.; ....”. Successivamente l’art. 2 della Legge 7.3.1985 n. 75 (Modifiche all’ordinamento professionale dei geometri) ha previsto che “Per essere iscritto nell’albo dei geometri è necessario:... 2) godere il pieno esercizio dei diritti civili;...”. L’art. 10 del Regio Decreto 11.2.1929 n. 274, a sua volta, prevede che “La cancellatone dall’albo, oltre che per motivi disciplinari, giusta l’articolo seguente, è pronunciata dal Comitato, su domanda o in seguito a dimissioni dell’interessato, ovvero d’ufficio o su richiesta del Procuratore del Re, nei casi: a) di perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti civili; ... “. L’art. 50 del Regio Decreto 16.3.1942 n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) aveva istituito presso i tribunali il Pubblico Registro dei falliti, ove erano iscritti i nomi di coloro che sono dichiarati falliti dallo stesso tribunale. Alla iscrizione conseguivano le incapacità stabilite dalla legge. Tra queste incapacità vi è da annoverare quella prevista dall’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.p.r. 20 marzo 1967, n. 223, che prevedeva la decadenza dall’elettorato passivo per coloro che erano stati dichiarati falliti, “ma non oltre cinque anni dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento”. Facendo applicazione della sopra menzionata disciplina normativa, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che “il geometra, che venga dichiarato fallito, deve essere cancellato dal relativo albo professionale, ex art. 10 lett. a) del r.d. 11 febbraio 1929 n. 274, non trovandosi più nelle condizioni di essere iscritto o rimanere iscritto nell’albo stesso (art. 2 della legge 7 marzo 1985 n. 75), per la perdita del “pieno” godimento dei diritti civili conseguente alla dichiarazione di fallimento” 1 A sua volta la dottrina ha raggruppato le incapacità derivanti dall’iscrizione nel registro dei falliti in varie categorie: 1) la perdita dei diritti pubblici soggettivi; 2) l’esclusione dalle funzioni giudiziarie; 3) la restrizioni relative alla capacità di esercitare determinate attività professionali.2 È evidente che nella vigenza dell’art. 50 della L.F. l’iscritto all’Albo, il cui nominativo sia inserito nel Pubblico registro dei falliti, finché perduri il fallimento e per i cinque anni successivi alla chiusura della procedura, avendo perduto il godimento dei diritti civili, doveva essere cancellato. Con decorrenza dal 16 gennaio 2006, l’art. 50 del R.D. 267/42 è stato abrogato dall’art. 47 del D.Lgs. 09.01.2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali); da ciò ne consegue che non esistendo il registro dei falliti, è venuto meno ipso facto anche il sistema delle incapacità personali ivi previste, le quali, in virtù del loro carattere affittivo, nel rispetto del principio di legalità fatto proprio dall’art. 25 della Costituzione non possono valere in assenza di una norma espressa che le prescriva. 3. Disamina della fattispecie. Col D.Lgs. 6-3-1992 n. 249 è stata istituita la Provincia di Crotone, mentre il Collegio Provinciale dei Geometri è stato istituito il 10 marzo 1994, attraverso lo scorporo degli iscritti al Collegio di Catanzaro già residenti nei Comuni ricadenti nella nuova circoscrizione provinciale. * Avvocato e consulente legale del Sindacato Italiano Geometri 34 n. 1-2/2007 Attività di categoria comitato regionale geometri di calabria Pertanto, alla data della pronunzia della sentenza dichiarativa del fallimento, il 16.11.1992, l’interessato era iscritto presso l’Albo dei geometri della provincia di Catanzaro. Il curatore designato dal Tribunale di Crotone, dal canto suo, presa contezza dell’iscrizione del fallito all’Albo dei geometri, non soltanto ha omesso di darne la necessaria comunicazione al Collegio d’appartenenza affinché procedesse alla sua cancellazione, ma, addirittura, ha versato i contributi previdenziali alla C.I.P.A.G.L.P. fino al 1997. Dal canto suo il Collegio Provinciale dei Geometri di Crotone, successivamente alla data di sua costituzione, non è mai stato messo al corrente dello status dell’interessato, né dagli organi del fallimento, né dal fallito e né dal Collegio Provinciale dei Geometri di Catanzaro ove questi era iscritto. È evidente che nella fattispecie concreta, sebbene il disposto di cui all’art. 50 della L.F. e la giurisprudenza su di esso formatasi avrebbero imposto la cancellazione del geometra per il venir meno del godimento dei diritti civili, l’omissione di questa incombenza non può essere ascritta alla mancanza di diligenza del Collegio dei Geometri di Crotone. Giova ricordare, però, che a decorrere dal 16 gennaio 2006 il Pubblico registro dei falliti è stato abolito dall’art. 47 del D.Lgs. 5/2006 e con esso è venuto meno l’intero sistema delle incapacità personali del fallito. 3 In altri termini, lo status di fallito non esplica più i suoi effetti al di fuori della procedura concursuale e sono stati eliminati i caratteri sanzionatoli e afflittivi della dichiarazione di fallimento, ormai non più rispondenti all’attuale sensibilità sociale. Ne consegue che l’interessato, allo stato, non trovandosi più iscritto nel Pubblico registro ormai abolito, è da considerarsi nel pieno del godimento dei diritti civili, per cui, in base alla normativa attualmente vigente, è venuto meno il presupposto che era precedentemente alla base della impossibilità di essere iscritto ad un albo professionale.4 Inoltre, vi è da evidenziare che il Collegio dei Geometri di Crotone non può statuire nel senso richiesto dall’interessato (un provvedimento di cancellatone con decorrenza dal 16.11.1992), poiché sul punto risulterebbe carente di potere, essendo emerso che, alla data della pronunzia della sentenza dichiarativa del fallimento, questi era iscritto all’Albo tenuto dal Collegio dei Geometri di Catanzaro. Per quanto riguarda la seconda parte del quesito, ossia la possibilità di recuperare le tasse d’iscrizione all’Albo non corrisposte, è necessario richiamare, in questa sede, il disposto dell’art. 2948, n. 4), in base al quale “Si prescrivono in cinque anni: ... 4) gli interessi e, ingenerale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi ...;”. Ne consegue da ciò che, in difetto di atti idonei ad interrompere il decorso del termine di prescrizione, allo stato possono essere utilmente riscosse le annualità della tassa d’iscrizione all’Albo relative agli ultimi cinque anni. 4. Conclusioni. Pertanto, rispondendo ai quesiti che mi avete posto ritengo di poter concludere sostenendo che: A. la richiesta di cancellazione dall’Albo “ora per allora” richiesta dall’iscritto non può essere accolta dal Collegio dei Geometri di Crotone in quanto, a seguito dell’abolizione dell’art. 50 del R.D. 267/42, è venuto meno il presupposto che era precedentemente alla base dell’impossibilità di essere iscritto ad un albo professionale; B. sulla stessa richiesta il Collegio dei Geometri di Crotone non potrebbe, in ogni caso, statuire giacché carente di potere, essendo risultato che alla data della pronunzia della sentenza dichiarativa del fallimento questi era iscritto all’Albo tenuto dal Collegio dei Geometri di Catanzaro; C. in mancanza di atti idonei ad interrompere il decorso del termine di prescrizione, possono essere utilmente riscossi soltanto le annualità della tassa d’iscrizione all’Albo non corrisposte e relative agli ultimi cinque anni. Resto a vostra disposizione per ogni chiarimento o integrazione.. Cordiali saluti. Cosenza, 2 aprile 2007 1. Corte di Cassazione Sezioni Unite civili Sentenza 10.03.1992, n. 2856; conforme: Corte di Cassazione Sezioni Unite civili Sentenza 06.08.1990, n. 7937. 2. Francesco Antonio Genovese in: Fallimento, 1997, 12,1162; Maria Costanza in: Fallimento, 2005, 9, 1017 3 Tribunale di Alba, 15.12.2006. 4 Ministero della Giustizia - Parere del 3 luglio 2006 35 Attività di categoria n. 1-2/2007 comitato regionale geometri di calabria ISCRIZIONE ALL’ALBO DEL PERSONALE DIPENDENTE DELL’AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE Parere pro veritate di Pietro Romano* Faccio seguito alla Sua richiesta di parere in ordine alla possibilità per un dipendente dell’Amministrazione Provinciale di Crotone, inquadrato nei ruoli del personale tecnico, di essere iscritto all’Albo dei geometri ed esercitare la libera professione, esponendole quanto segue. Descrizione della fattispecie. Un geometra iscritto all’Albo riveste contestualmente la qualifica di dipendente dell’Amministrazione Provinciale di Crotone inquadrato nei ruoli del personale tecnico. Il geometra non è in possesso dell’autorizzazione all’esercizio della libera professione rilasciata dal Dirigente del Settore. Riferimenti normativi. A) Norme generali. L’art. 7 del Regio Decreto n. 274 dell’11 febbraio 1929 (regolamento per la professione di geometra), prevede che “gli impiegati dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, sia vietato l’esercizio della libera professione, non possono essere iscritti nell’albo. I suddetti impiegati, ai quali sia invece consentito l’esercizio della professione, possono essere iscritti nell’albo; ma sono soggetti alla disciplina del Comitato [adesso Collegio] soltanto per ciò che riguarda il libero esercizio. In nessun caso la iscrizione nell’albo può costituire titolo per quanto concerne la loro carriera.”. L’art. 53 del Decreto Legislativo 30.03.2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), prescrive che “1. Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall’articolo 23 bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall’articolo1, comma 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 273, 267, comma 1, e 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all’articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all’articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina.”. A sua volta l’art. 60 del Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, prevede che “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente.”. B) Norme di settore. Per quanto riguarda il settore dei dipendenti degli enti locali appare meritevole di segnalazione il parere reso dal Dipartimento della Funzione Pubblica, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il 15/12/2005 - n. 220/05 – che testualmente asserisce “… Al di fuori del regime previsto per i dipendenti in regime di tempo parziale non superiore al 50 % di quello a tempo pieno, al personale è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia stata concessa” (comma 60). Dunque ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo pieno si applicano le disposizioni di cui all’articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e le disposizioni di cui ai commi 60 e 61 della legge richiamata.”. Per quanto riguarda il regime delle incompatibilità dei dipendenti a tempo parziale vale la pena di ricordare che nella legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, all’art. 1, commi 56 e seguenti, viene consentito ai dipendenti pubblici, con prestazione di lavoro part-time non superiore al 50% di quella a tempo pieno, di svolgere l’attività libero-professionale e quella di lavoro subordinato o autonomo. Riguardo tale previsioni la Corte Costituzionale, in diverse pronunce relative all’articolo 1, commi 56 e 56-bis della legge n. 662 del 1996 (sentenza n. 189 del 2001), ha avuto modo di affermare che il legislatore ha posto in essere un sistema di cautele idoneo ad evitare situazioni di incompatibilità per i dipendenti in regime di tempo parziale, prescrivendo che le amministrazioni individuino le attività non consentite e ponendo, pertanto, rigorosi limiti all’esercizio di ulteriori attività lavorative. Ai dipendenti pubblici in regime di tempo parziale, non superiore al 50% di quello a tempo pieno, “….iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale non possono essere conferiti incarichi professionali da amministrazioni pub* Avvocato e consulente legale del Sindacato Italiano Geometri 36 n. 1-2/2007 Attività di categoria comitato regionale geometri di calabria bliche; gli stessi dipendenti non possono assumere patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione” (comma 56-bis). Per quanto concerne il settore dei lavori pubblici e per le attività attinenti tale materia, sulla scorta di quanto previsto dall’articolo 90, comma 4, Decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.), valgono le seguenti considerazioni. La disposizione si colloca nell’ambito di applicazione indicato dalla legge stessa, per cui la precedente disposizione deve essere letta in collegamento con quella costituente un principio generale nella materia delle incompatibilità, contenuto appunto nell’articolo 53, comma 2, del Decreto Legislativo 30.03.2001, n. 165, ossia che “le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da leggi o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati.” Il legislatore ha, dunque, disposto che i dipendenti pubblici a tempo pieno non possano assumere incarichi di progettazione o direzione lavori, ex articolo 53 del Decreto Legislativo 30.03.2001, n. 165 per conto di terzi rispetto all’ente di appartenenza, sia che si tratti di privati o di pubbliche amministrazioni, mentre ex art. 90, comma 4, D.L.vo 163/2006, possono assumere incarichi di progettazione esterna i dipendenti a tempo parziale, ai quali è consentito lo svolgimento della libera professione, purché fuori dell’ambito territoriale dell’ufficio di appartenenza. La previsione di cui al comma 4 è, inoltre, completata da quella contenuta nell’art. 91, comma 8, del D. L.vo 163/2006, che vieta l’affidamento di attività di progettazione, direzione lavori, collaudo, indagine e attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato od altre procedure diverse da quelle previste dal medesimo codice. Con tali disposizioni il legislatore ha posto quei limiti ritenuti necessari ad assicurare il buon andamento delle attività di progettazione e la correttezza e trasparenza nella loro gestione. Riferimenti giurisprudenziali. La Suprema Corte di Cassazione - Sezioni Unite civili, nella sentenza n. 5942 del 27.05.1995, conformemente a quanto già statuito nella sentenza del 14.04.1994, n. 3477, ha autorevolmente affermato il principio secondo il quale “I dipendenti delle unita` sanitarie locali - essendo loro applicabile, ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (norme sullo stato giuridico del personale delle unita` sanitarie locali) il d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (T.U. delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), il cui art. 60 stabilisce che l’impiegato non possa esercitare (fra l’altro) alcuna professione - non possono essere iscritti all’albo dei geometri, giusta la previsione dell’art. 7 del regolamento di cui al R.D. 11 febbraio 1929 n. 274”. Più di recente la Suprema Corte di Cassazione - Sezione 3 civile, con la sentenza 30.07.2001, n. 10397 ha riaffermato il medesimo principio in un procedimento avente quale soggetto un dipendente comunale, ritenendo che il divieto già posto dall’art. 60 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 sia “… operante anche per i dipendenti comunali, che rientrano nell’ambito di applicazione del citato D.Lgs. n. 29/93 (art. 1, comma 2, di tale testo normativo).”. Per quanto attiene il settore dei lavori pubblici giova citare anche la sentenza n. 9828, del 13/9/2004, con la quale il T.A.R. Lazio, Sez. III, Roma, ha statuito che il dipendente pubblico a tempo pieno non può assumere incarichi di progettazione o direzione lavori ex art. 17 l. 109/94 (ora art. 90 del D. L.vo 163/2006) a favore di soggetti terzi rispetto all’ente di appartenenza, sia che si tratti di privati o di pubbliche amministrazioni. Ne consegue, pertanto, che dall’esame della giurisprudenza emerge in maniera inequivoca la linea interpretativa secondo la quale il divieto posto dall’art. 60 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, richiamato espressamente anche dall’art. 53 del Decreto Legislativo 30.03.2001, n. 165, all’esercizio della professione da parte dei dipendenti pubblici è assoluto, ferme restando le deroghe espressamente previste da leggi speciali. Conclusioni. Dall’esame della normativa di riferimento e della giurisprudenza in argomento, emerge che il geometra dipendente dell’Amministrazione Provinciale di Crotone, ed inquadrato nei ruoli del personale tecnico, non può essere iscritto all’Albo e non può esercitare la libera professione. A ciò osta il chiarissimo disposto dell’art. 7 del Regio Decreto n. 274 dell’11 febbraio 1929, che vieta l’iscrizione all’Albo degli impiegati pubblici ai quali sia vietato l’esercizio della libera professione “… secondo gli ordinamenti loro applicabili …”. Da ciò consegue, a contrario, che l’iscrivibilità all’Albo dei dipendenti del settore pubblico è subordinata all’esistenza di norme che, derogando alla disciplina ordinaria, consentano loro l’esercizio della libera professione. A sua volta dalla disamina della normativa applicabile ai dipendenti pubblici fa emergere il divieto generale di esercizio della libera professione in base al richiamo operato dall’art. 53, co. 1, del Decreto Legislativo 30.03.2001, n. 165 alla disciplina delle incompatibilità dettata dall’art. 60 del Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957 n. 3 che vieta ai pubblici impiegati l’esercizio delle professioni. Invece, la disamina della disciplina normativa dei dipendenti pubblici in regime di tempo parziale, non superiore al 50% di 37 Attività di categoria n. 1-2/2007 comitato regionale geometri di calabria quello a tempo pieno, consente loro di svolgere attività libero-professionale ed attività di lavoro subordinato o autonomo. In tali ipotesi, pertanto, il cumulo di rapporti è legislativamente consentito e, di conseguenza, deve esserne consentita l’iscrizione all’Albo professionale con il solo limite del conferimento incarichi professionali da amministrazioni pubbliche. Infine, in virtù del combinato disposto emergente dall’art. 53, comma 1, del D.L.vo 30.03.2001, n. 165 ed dall’art. 90, comma 4, D. L.vo 163/2006, i dipendenti pubblici a tempo pieno non possono assumere incarichi di progettazione o direzione lavori, per conto di soggetti terzi rispetto all’ente di appartenenza, sia che si tratti di privati o di pubbliche amministrazioni, mentre possono assumere incarichi di progettazione esterna i soli dipendenti a tempo parziale, ai quali sia stato consentito lo svolgimento della libera professione, purché fuori dell’ambito territoriale dell’ufficio di appartenenza. Pertanto, nel rispondere ai quesiti postimi, ritengo di poter concludere: ove l’iscritto non sia stato assunto dalla Provincia di Crotone con contratto di lavoro a tempo parziale, non superiore al 50% di quello a tempo pieno, il Collegio Provinciale dei Geometri di Crotone, ai sensi dell’art. 7 del R.D. 274/1929 dovrà cancellare il geometra interessato dall’Albo; il relativo procedimento amministrativo dovrà rispettare le norme descritte nella legge 7 agosto 1990 n. 241 (sul punto: Corte di Cassazione Sezione 3 civile - 7.8.2001, n. 10898); a tal fine il Collegio dovrà inviare all’interessato la comunicazione d’inizio del procedimento ai sensi dell’at. 7 legge 241/90, ove debbono essere indicati: a) l’amministrazione competente; b) l’oggetto del procedimento promosso; c) l’ufficio e la persona responsabile del procedimento; d) la data entro la quale deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili; e) l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti; f) il diritto di prendere visione degli atti del procedimento; g) il diritto di presentare memorie scritte e documenti, con l’obbligo di valutarli ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento; il procedimento dovrà concludersi entro il termine di novanta giorni (art. 2, co. 3, legge 241/90) con l’adozione di un provvedimento congruamente motivato ove siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria (art. 3 legge 241/90); residua la possibilità per il geometra interessato di essere iscritto nell’Elenco Speciale dei dipendenti pubblici; infine, ove l’iscritto sia stato assunto con contratto di lavoro a tempo parziale, non superiore al 50% di quello a tempo pieno, a questi è inibito accettare, nell’ambito territoriale dell’ufficio di appartenenza, incarichi professionali per conto di pubbliche amministrazioni, se non conseguente al rapporto d’impiego. Resto a Sua completa disposizione per ogni chiarimento o integrazione. Cordiali saluti. Cosenza, 11 giugno 2007 Belsito (CS) “una fattoria”: una capra con il collare di legno: u kullāru (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina) 38 Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di catanzaro INIZIATIVE E RIUNIONI dicembre 2006 4 15 18 18 21 28 Consiglio Direttivo Incontro con l’Agenzia del territorio - Direzione Regionale della Calabria Partecipazione alla Conferenza Geosplora2006 “Governo del territorio:Innovazione e nuove tecnologie” Consiglio Direttivo Riunione sede Comalca – POR CALABRIA 2000/2006 – Stato attuazione e nuova programmazione Consiglio Direttivo gennaio 2007 17 25 Incontro sul regolamento edilizio Comune di Catanzaro Consiglio Direttivo febbraio 1 Incontro con l’Agenzia del territorio – Ufficio provinciale di Catanzaro 15 Consiglio Direttivo marzo 13 16 16 17 Partecipazione a Conferenza di pianificazione per la formazione e l’approvazione congiunta del Piano Strutturale Comunale e Regolamento Edilizio ed Urbanistico comune di Vallefiorita Consiglio Direttivo Partecipazione ad incontro a Lamezia Terme “Il nuovo prezziario regionale per il settore dei LL.PP. della Calabria” Partecipazione al Seminario di studi promosso dal Comune di Staletti’ sul tema “La riqualificazione ambientale – urbanaterritoriale: partecipazione nella progettazione d’ambito aprile 12 13 18 19 19 23 24 Inizio Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo A – Partecipazione a Convegno organizzato dal Collegio dei Geometri di Crotone su “Strumenti di sostenibilita’ ambientale e sviluppo del territorio” Chiusura Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo A – Inizio Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C – gruppo A Consiglio Direttivo Inizio Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C – gruppo B Inizio Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C – gruppo C maggio 2 11 18 24 24 28 Inizio Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C – gruppo D Consiglio Direttivo Partecipazione a Convegno di studio organizzato dalla Confindustria di Catanzaro su “ Risorse culturali e crescita del territorio” Partecipazione a tavolo di lavoro su “Lamezia Terme citta’ della qualita’” Chiusura Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C – gruppo A Chiusura Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C – gruppo B 39 Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di catanzaro SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE “PREGEO 9” Sala Convegni Centro Commerciale le Fornaci - Catanzaro 21 dicembre 2006 Tre apetti della sala Da sinistra: Fernando Chillà, Nicola Santopolo e Antonio Grembiale ATTIVITÀ DI FORMAZIONE IN MATERIA DI SICUREZZAAI SENSI DEL D. LGS. 195/2003 Sala Convegni Casa delle Culture - Catanzaro 14 febbraio 2007 Un apetto della sala Nicola Santopolo Da sin.: Luigi Rotundo e Emma Ciconte 40 Da sin.: Emma Ciconte, Nicola Santopolo e Antonella Abbagnato Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di catanzaro AGGIORNAMENTO ALBO Iscrizioni Giovanni Sinopoli Gianluca Chiaravalloti Franco Mastroianni Alessandro Rocca Stefania Torcasio Salvatore Sestito Romano Borelli Antonio Corasaniti Sergio Argirò Gennaro Chirico Giovanni Scaccia Sergio Armone Pierantonio Folino Antonio Mastroianni Salvatore Saragò Alfredo Donato Matteo Natale Mastroianni Antonio Tozzo Antonino Raimondo Antonio Casalinuovo Luigi Talarico nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il nato il 22/06/1984 15/01/1977 30/07/1979 04/08/1968 27/07/1978 29/10/1973 16/05/1974 11/09/1984 04/12/1961 12/05/1979 16/04/1982 12/02/1969 22/10/1977 10/01/1981 05/05/1977 26/07/1982 03/12/1976 06/05/1982 26/02/1983 22/10/1983 05/07/1985 a Chiaravalle Centrale a Catanzaro a Lamezia Terme a Catanzaro a Lamezia Terme a Soverato a Lamezia Terme a Catanzaro a Catanzaro a Lamezia Terme a Catanzaro a Catanzaro a Lamezia Terme a Lamezia Terme a Lamezia Terme a Catanzaro a Lamezia Terme a Catanzaro a Catanzaro a Catanzaro a Catanzaro residente in Gagliato residente in Soverato residente in Lamezia Terme residente in Simeri Crichi residente in Lamezia Terme residente in Soverato residente in Lamezia Terme residente in Davoli residente in Catanzaro residente in Lamezia Terme residente in Cropani residente in Catanzaro residente in Gizzeria residente in Gizzeria residente in Lamezia Terme residente in Taverna residente in Lamezia Terme residente in Taverna residente in Davoli Marina residente in Cortale residente in Petronà iscritto al n° 3003 iscritto al n° 3004 iscritto al n° 3005 iscritto al n° 3006 iscritto al n° 3007 iscritto al n° 3008 iscritto al n° 3009 iscritto al n° 3010 iscritto al n° 3011 iscritto al n° 3012 iscritto al n° 3013 iscritto al n° 3014 iscritto al n° 3015 iscritto al n° 3016 iscritto al n° 3017 iscritto al n° 3018 iscritto al n° 3019 iscritto al n° 3020 iscritto al n° 3021 iscritto al n° 3022 iscritto al n° 3023 Cancellazioni per dimissioni Luca Nisticò, N° 2856, decorrenza 18/12/2006; Giuseppe Paone, N° 772, decorrenza 18/12/2006; Giliberto Pegna, N° 2855 decorrenza 18/12/2006; Giuseppe Schipani, N° 741,decorrenza 18/12/2006; Raffaele Maida, N° 1980, decorrenza 18/12/2006; Giuseppe C. Mastoianni, N° 2441, decorrenza 18/12/2006; Antonio Cianflone, N° 1158, decorrenza 28/12/2006; Vincenzo Lavorio, N° 2817, decorrenza 28/12/2006; Gerardo Messina, N° 2953, decorrenza 28/12/2006; Salvatore Pullano, N° 733, decorrenza 28/12/2006; Alfonso Pisano, N° 473, decorrenza 28/12/2006; Pietro M. Abbruzzo, N° 1655, decorrenza 25/1/2007; Carmine Lepera, N° 2857, decorrenza 25/01/2007; Giuseppe Sestito, N° 2597, decorrenza 25/1/2007; Gerardo Marchio, N° 2871, decorrenza 15/2/2007; Ferdinando Nicotera, N°1203, decorrenza 15/2/2007; Alfredo Biamonte, N° 2352, decorrenza 16/3/2007; Francesco Zampa, N° 2643, decorrenza 16/3/2007 Cancellazioni per trasferimento Domenico Pistininzi, nato il 16/03/1969, trasferito a Milano, decorrenza 27/03/2007. Cancellazioni per decesso Fernando Talarico, n. 1088, deceduto il 16/01/2007. Cancellazioni per perdita del “pieno” godimento dei diritti civili Antonio Imberti nato a Simeri Crichi il 27 gennaio 1956. Cancellazioni per omissione recidiva della comunicazione obbligatoria annuale Irpef e Iva alla Cassa Italiana Geometri Vincenzo Capocasale, N° 2602, nato il 24/12/1963, decorrenza 18/12/2006; Daniele Criscuolo, N° 1419, nato il 11/6/1945, decorrenza 18/12/2006; Giuseppe Curcio, N° 2503, nato il 31/1/1961, decorrenza 18/12/2006; Pietro D’Ippolito, N° 1014, nato il 13/10/1940, decorrenza 18/12/2006; Raffaele Ermocida, N° 2248, nato il 3/3/1954, decorrenza 18/12/2006; Roberto Ferlaino, N° 2066, nato il 2/12/1944, decorrenza 18/12/2006; Mario Genovese, N° 694, nato il 4/5/1933, decorrenza 18/12/2006; Maria C. Giampà, N° 2744, nato l’1/1/1973, decorrenza 18/12/2006; Elio Infusino, N°2838, nato il 22/1/1950, decorrenza 18/12/2006; Emilio Mazza, N° 2622, nato il 28/9/1970, decorrenza 18/12/2006; Francesco Natalia, N° 2129, nato l’11/12/1956, decorrenza 18/12/2006; Francesco Nocita, N° 737, nato l’8/1/1938; decorrenza 18/12/2006; Francesco Petullà, N° 1606, nato il 27/5/1945, decorrenza 18/12/2006; Domenico Procopio, N° 1172, nato il 15/12/1943, decorrenza 18/12/2006; Pasquale Pullano, N° 2704, nato il 28/11/1969, decorrenza 18/12/2006; Salvatore Putrino Gallo, N° 1360, nato il 23/6/1948, decorrenza 18/12/2006; Pasquale Rocca, N° 2735, nato il 17/11/1974, decorrenza 18/12/2006; Melchiorre Russo, N° 1349, nato il 04/11/1945, decorrenza 18/12/2006; Pierino R. Romeo, N° 1444, nato l’11/6/1945, decorrenza 18/12/2006; Vincenzo O. Talarico, N° 2413, nato il 26/2/1966, decorrenza 18/12/2006; Antonio Taverna, N° 995, nato l’11/3/1940, decorrenza 18/12/2006; Gennaro Varlese, N° 937, nato l’8/7/1939, decorrenza 18/12/2006. 41 Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di cosenza ATTIVITÀ CULTURALE, FORMATIVA E ISTITUZIONALE DI RILIEVO ANNO 2006 risultante dagli atti del Collegio dei Geometri di Cosenza, della Redazione la Stadia, del Comitato Regionale Geometri di Calabria, della Camera Arbitrale Tecnica di Calabria, del Centro Studi Geo-Metra e del Sindacato Italiano Geometri. 1) Convenzione con l’Università della Calabria per l’attuazione delle attività di tirocinio professionale dei laureati della classe VII ai fini dell’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della professione. 2) Partecipazione e relazione del presidente al convegno di Gallico (Rc) su “Condono edilizio; abusi di necessità e loro sanabilità”, 4 febbraio. 3) Cura, redazione e pubblicazione del XXIV libro strenna “Dizionario bibliografico, biografico, geografico e storico della Calabria (vol. IV)” di Gustavo Valente edizione fuori commercio del Centro Studi GeoMetra distribuito gratuitamente a tutti gli iscritti, marzo. 4) Incontro e relazione col Comitato femminile, 16 maggio. 5) Partecipazione e intervento all’incontro con gli studenti delle classi IV e V dell’Istituto Tecnico per Geometri di Paola, 18 maggio. 6) Partecipazione e intervento presidente al Convegno di Potenza, 20 maggio. 7) Promozione, cura, e introduzione al seminario di aggiornamento professionale “Nuova procedura catastale Pregeo 9 e presentazioni atti in via telematica – sanzioni per accatastamenti e variazioni Docfa”, nonché presentazione dall’On. Salvatore Magarò del progetto di legge regionale n. 123/06 su “Norme per la promozione e lo sviluppo della professione di geometra”, 26 maggio. 8) Programmazione, cura e relazione XI corso di specializzazione per la sicurezza sul lavoro con verifica di apprendimento, con distribuzione dei volumi “La normativa di sicurezza e salute nei cantieri” e “Guida per il coordinatore per l’esecuzione dei lavori” (complessivamente pagg. 1906), nonché distribuzione di dispense delle lezioni ai corsisti, 24 aprile – 15 giugno. 9) Partecipazione e intervento presidente presso l’Università Telematica “G. Marconi” di Roma, per rinnovo convenzione, 21 giugno. 10) Partecipazione e intervento all’Assemblea dei Presidenti, 22 giugno. 11) Programmazione, cura e relazione seminario di aggiornamento professionale: “Codice dei beni culturali: integrazioni e criteri di applicazione – relazione paesaggistica: istruzioni e criteri di applicazione; Verifica attuazione procedure catastali e presentazione atti in via telematica; tributi speciali catastali ex art. 7 comma 21 D.L. 262 del 3.10.2006”, 24 ottobre. 12) Promozione, cura e relazione XXX edizione “Corsi di aggiornamento professionale”, settembre-ottobre. 13) Partecipazione e intervento alle seduta di laurea per geometri, Università della Calabria, 25 luglio e 24 ottobre. 14) Partecipazione e intervento presidente al Convegno di Agrigento del Sindacato Italiano Geometri, 4 dicembre. 15) Intervento per riconoscimento al Centro Studi Geo-Metra dell’iscrizione nel Registro dell’anagrafe unica delle Onlus dell’Agenzia delle Entrate di Catanzaro concessa in data 14 dicembre. 16) Cura, redazione e pubblicazione del XXV e XXVI libro-strenna “Dizionario bibliografico, biografico, geografico e storico della Calabria” (voll. V, e VI) di Gustavo Valente, edizione fuori commercio, del Centro Studi Geo-Metra distribuiti gratuitamente agli iscritti. 17) Cura e pubblicazione del volume –strenna “Morano Calabro agli inizi del IX secolo e la battaglia di Campotenese” di Leonardo Ferraro, edizione fuori commercio del Centro Studi Geo-Metra, distribuito gratuitamente egli iscritti. 18) Programmazione e cura degli esami del corso di laurea in Scienze Geo-topocartografiche, Estimative, Territoriali ed Edilizie istituito dall’Univertità Telematica “G. Marconi” di Roma, 11-12/4, 17-18/6, 28-29/7, 2930/9, 17-18/11. 19) Cura, redazione e pubblicazione di 3 numeri de “la Stadia” e 5 quaderni tecnici (pagg. 784), distribuiti gratuitamente agli iscritti, enti e uffici pubblici. 20) Riunioni istituzionali: n. 4 Consiglio Direttivo Collegio; n. 35 redazione edizioni “la Stadia” e Geo-Metra; n. 6 Esecutivo Comitato Regionale Geometri e n. 2 Esecutivo Nazionale S.I.G. 23ª EDIZIONE CORSO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE Si porta a conoscenza di tutti gli iscritti e degli Istituti, Enti e Uffici interessati che il 10 settembre p.v. nella sala riunione dell'Ordine avranno inizio i corsi e i seminari di aggiornamento professionale di: Topografia catastale; Introduzione all'informatica e all'uso del computer; Edilizia antisismica e metodi di verifica; Estimo; Istituzione giuridiche e urbanistiche; Impiantistica e geotecnica; Ambiente e beni A.A.A.S.. Sentiti i numerosi colleghi interessati, di concerto con gli uffici del Collegio e i responsabili dei corsi, per assicurare una buona presenza compatibile con gli impegni di lavoro, si è ritenuto di dover stabilire tre incontri settimanali nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 16,00 alle ore 19,00. L'impostazione è rivolta alla pratica attuazione tecnica delle materie che interessano direttamente la professione del geometra. Per assicurare una maggiore frequenza le iscrizioni resteranno aperte sino alla data del 31 agosto 2007, compatibilmente con le adesioni pervenute, verranno ammessi anche i geometri non iscritti al collegio, con quota di partecipazione di € 350,00 i geometri iscritti all'albo e nel registro dei praticanti con quota di € 200,00 mentre per gli iscritti nell'Elenco Speciale Enti pubblici e privatizzati con quota di € 270,00. Sempre compatibilmente con le adesioni già ricevute saranno pure ammessi a titolo gratuito, come uditori, gli studenti del IV e V anno degli Istituti Tecnici Statali per Geometri residenti o frequentanti nella provincia. I versamenti delle quote di partecipazione dovranno effettuarsi direttamente alla tesoreria dell'ordine entro il 31 agosto 2007. Sarà accettato anche il pagamento sul c.c. 13353875 intestato al Collegio, avvertendo che l'ordine di ammissione sarà dato in base al ricevimento delle quote di partecipazione. E' opportuno precisare che non raggiungendo un adeguato numero di adesioni l'iniziativa non verrà effettuata. 42 Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di cosenza INCONTRI DI STUDIO SU BIOEDILIZIA ED ENERGIE RINNOVABILI 19 - 20 e 21 OTTOBRE 2007 Istituto Tecnico Industiale Statale “A. Monaco” Cosenza Cosenza, 1.3.2007 Spett.le Collegio dei Geometri Cosenza OGGETTO: Seconda Edizione di Energy Days Calabria: 19/20/21 ottobre 2007 Museo del Presente di Rende (Cosenza). Dopo l'indiscusso successo della prima edizione di "Energy Days" 1° Meeting dell'Energia in Calabria, (6 e 7 giugno 2006) con oltre 4000 visitatori, www.energydavyitalia.it più di 30 espositori, aziende leader del settore, Università, Centri di Ricerca, ESCO, Istituti di credito, gli organizzatori puntano a dar vita ad una seconda edizione con uno spazio espositivo più ampio completamente coperto nella piazza antistante il Museo del Presente con tutti i servizi fieristici (90 aziende/società/Enti espositori) ed una immagine ancora più forte, mirata al coinvoìgimento di tutte le cinque province della Regione Calabria (Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria, Crotone e Vibo). Nelle bellissime sale del Museo del Presente verranno organizzati i Convegni ed altre iniziative per sensibilizzare i giovani ed il territorio sul tema delle energie rinnovabili e del cambiamento climatico. L'evento sarà ancora patrocinato dalla Commissione Europea Direttorato Generale Energia e Trasporti, nell'ambito della Campagna "Energia Sostenibile per l'Europa 2005-2008", dalla Provincia di Cosenza, dall'Agenzia Save dell'Energia Alessco di Cosenza, dall'ITIS "A. Monaco", dall'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Cosenza, dall'Università degli Studi della Calabria, dalla Confindustria di Cosenza, dalla CNA di Cosenza,dal Comune di Cosenza, dal Comune di Rende, dalla Provincia di Crotone,dalla Provincia di Chieti,dalFAgenzia Save dell'Energia AEEC della Provincia di Catanzaro,da altri Enti Locali ed Organismi Scientifici. L'obiettivo è quello di far diventare questo evento un punto di incontro tra domanda ed offerta nello scenario energetico nel Mediterraneo ed in Italia, creando sinergie tra professionisti ed aziende che operano nel settore dell'energia e promuovendo la divulgazione, anche presso le scuole ed i cittadini, dei principi che ispirano la Campagna Sustainable Energy Europe 2005-2008 promossa dalla Commissione Europea, che sarà presente con propri rappresentanti. L' ITIS A. Monaco curerà l'organizzazione della parte scientifica, convegnistica, della formazione, insieme agli altri organizzatori: l'Agenzia dell'Energia Save Alessco (Provincia e Comune di Cosenza, Università della Calabria, Confindustria, CNA), Ordine Ingegneri Cosenza, Collegio dei Geometri di Cosenza, Comune di Rende, Energy Days Italia, Energia Calabria, Provincia di Crotone, Provincia di Chieti, Agenzia dell'Energia AEECC SCARL della Provincia di Catanzaro, R.E.N.A.E.L. rete nazionale delle agenzie locali dell'energia, ed altri Enti ed Organismi Scientifici. Nelle bellissime sale del Museo verranno organizzati i convegni riguardanti: - Bioedilizia e Certificazione Energetica degli Edifici, Solare Termico; Fotovoltaico; Eolico; Cogenerazione/Trigenerazione (micro e macrogenerazione), Biomasse e Biocombustibili; Progetti innovativi; Iniziative atte a sensibilizzare i professionisti, i giovani ed il territorio sui temi dell'energie rinnovabili, e sui problemi del cambiamento climatico. Segreteria Scientifica, Convegni, Formazione: Ing. Nicola De Nardi Tel. 3337015030 - 0984411881- 3288140545 - 3498201125 - 32057087012 - 3382643589 - 3281048378 ; Fax 0984 411145 [email protected] La Fiera si terrà il 19/20/21 Ottobre 2007 (venerdì, sabato e domenica) ore 10:00 - 20:00. Poiché l'iniziativa scientifica è nata senza alcun contributo, ritenendo che essa abbia un alto valore di disseminazione per il territorio, allo scopo di stimolare e far nascere possibilità di conoscenza per i cittadini, d'incontro e di lavoro in tale settore per professionisti, Enti ed Aziende, si chiede il patrocinio ed un eventuale contributo finanziario che servirà a coprire le spese per la produzione di materiale stampato per la diffusione dell'evento e per viaggio, vitto e alloggio di relatori di fama nazionale ed europea. L'evento sarà ospitato in una pagina web dedicata. Scrivere all'indirizzo [email protected] specificando il tema di un eventuale intervento scientifico-tecnico. Il programma dei Seminari e della formazione sarà pubblicato sul sito web www.energydaysitalia.it, e sui siti degli altri organizzatori. Il C/C bancario dellTTIS A. Monaco è: BNL - C.so Mazzini - Cosenza C/C n. 201344 - ABI 01005 - CAB 16200 - CIN H Il dirigente scolastico Ing. Nicola De Nardi Gli uffici del Collegio resteranno chiusi per ferie dal 5 al 25 agosto. Per casi urgenti il Presidente è reperibile ai seguenti numeri telefonici: 0981/82003 - 0984/838481 e-mail [email protected] 43 Attività di categoria n. 1-2/ 2007 collegio di cosenza AGGIORNAMENTO ALBO Iscrizioni Massimo Andreassi nato a Cosenza il 16.12.1975, residente a Castrovillari, al Viale delle Querce n.19, Albo n.2768 Francesco Arena nato a Rogliano il 24.5.1977, residente in Acri alla C.da Greca n.7, Albo n. 2769 Mariangela Bellugi nata a Colleferro il 31.10.1975, residente in Montalto Uffugo alla Via Fratelli Bandiera n. 2, Albo n. 2761 Egidio Branda nato a Belvedere M. il 26.8.1977, residente a Sant’Agata D’Esaro alla C.da Macchie Cristino n.4, Albo n. 2758 Domenico Carnevale nato a Cosenza il 27.5.1979, residente a San Marco Argentano alla C.da Destre di Ghiandaro, Albo n. 2764 Vincenzo Carnevale nato a Belvedere M. il 6.11.1975, residente a Fuscaldo alla C.da Ramundi n. 18, Albo n. 2771 Domenico Chiarelli nato a Gimigliano il 6.3.1967, residente a Trenta alla Via S. Pertini n.29, Albo n. 2773 Ermanno Chimenti nato a Serra Pedace l’11.1.1974, residente a Serra Pedace alla Via Giovanni XXIII n.16, Albo n. 2775 Giuseppe Ciardullo nato a Cosenza il 13.6.1980, residente a Rossano alla Piazza Alcide de Gasperi, Albo n. 2754 Generoso De Leo nato a Praia a Mare il 4.8.1977, residente a Scalea alla Viale della Repubblica n.19, Albo n. 2766 Antonio De Marco nato a Castrovillari il 15.7.1976, residente a Saracena alla Via Giorgio La Pira n.116, Albo n. 2750 Daniele Donato nato a Paola il 10.3.1983, residente a Fuscaldo alla C.da Fravette n.4, Albo n. 2765 Salvatore Falcone nato a Cassano Jonio il 20.6.1979, residente a Cassano Jonio alla Via Duomo n.56, Albo n. 2770 Francesco Granata nato a Cosenza il 9.5.1980, residente a Cerisano alla Via Piani n.24, Albo n. 2749 Ferdinando Luci nato a Cosenza il 2.9.1981, residente a Spezzano Albanese alla Via E. Segrè n.3, Albo n. 2756 Natale Maiarù nato a Arnsberg (EE) l’11.8.1975, residente a Calopezzati al Viale G. Deledda n.18, Albo n. 2757 Giuseppe Marigliano nato a Cosenza il 27.5.1980, residente a Marano M. alla Via Dei Mille n. 9, Albo n. 2753 Marco Massaro nato a Castrovillari il 20.6.1985, residente a Civita alla C.da Valle dei Giudei n.2, Albo n. 2762 Luigi Mauro natoa Cosenza il 7.5.1979, residente a Malito al Corso V. Emanuele n. 18, Albo n. 2767 Alessandra Moschini nata a Belvedere M. il 26.8.1982, residente a Bonifati alla Via Carbone n. 14, Albo n. 2760 Carmelo Oliva nato a Praia a Mare l’11.3.1978, residente ad Aieta alla Piazza Lomonaco n.1, Albo n. 2776 Vincenzo Antonio Palermo nato a Basilea (EE) l’11.10.1968, residente a Santo Stefano di Rogliano lla Via Matteotti, Albo n. 2751 Luigi Provenzano nato a Cosenza il 6.09.1975, residente a Casole Bruzio al Corso Umberto I° n.4, Albo n. 2763 Maurizio Russo nato a Santa Maria del Cedro il 10.1.1972, residente Santa Maria del Cedro alla Via G. Caloprese, Albo n. 2759 Antonio Scaglione nato a Acri il 3.4.1977, residente a Acri alla C.da Montagnola n. 27, Albo n. 2755 William Scuderi nato a Villapiana l’8.11.1978, residente a Villapiana alla Via Nazionale SS.106 – lido, Albo n. 2772 Giuseppe Settino nato a Cosenza il 3.12.1983, residente a Marano Marchesato alla Via Kennedy n.29, Albo n. 2752 Mario Veltri nato a Cosenza l’11.8.1977, residente a Longobardi al Corso Marina n.168, Albo n. 2774 Annotazioni Dottori geometri laureati in Scienze geo-topocartografiche, estimative, territoriali ed edilizie Salvatore Abate (Albo n. 2057); Orestano Baldino (Albo n. 2258); Giovanni De Paola (Albo n. 1301);Giuseppe De Paola (Albo n. 2107); Biagio Forestieri (Albo n. 1839); Salvatore Fusaro (Albo n. 2434); Natale Mango (Albo n. 1914); Natalina Martucci (Albo n. 2592); Antonio Monteforte (Albo n. 1981); Gustavo Nicastro (Albo n. 2615); Giovanni Novello (Albo n. 2414); Domenico Pirillo (Albo n. 2550); Massimiliano Provenzano (Albo n. 2357); Giovanni A. Romio (Albo n. 2220); Alessandro Stanco (Albo n. 2343); Luigi Talarico (Albo n. 2389). Iscrizioni sezione non esercenti la professione (privi di timbro, tesserino, partita iva e immatricolazione Cassa) Guglielmo Calfa nato a Pedivigliano il 13.2.1963, residente in Pedivigliano alla Via Roma, 37, albo n. 2101; Rocco Calienni nato a Cassano Ionio il 26.8.1979, residente in Amendolara alla Valle Lagaria, 214, albo n. 2673; Domenico Camodeca nato a Castroregio il 17.6.1960, residente in Castroregio alla Via Brigna,10, albo n. 2139; Giulio Capano nato a S.Donato Di Ninea il 28.11.1960, residente in S.Donato Di Ninea, alla C.Da Licastro, albo n. 2314; Giuseppe Ciardullo nato a Cosenza il 26.10.1974, residente in Rende alla Via G. Parini, 1, albo n. 2626; Giuseppe Conforti nato a Marano Marchesato il 17.5.1960, residente in Marano Marchesato alla Via F.Petrarca, albo n. 2045; Salvatore Intrieri nato a Lione (Francia) il 04.6.1966, residente in Cosenza alla C.Da Torre Alta Inf.(Pal.Manna), albo n. 2514; Vincenzo Ivan Macella nato a Lecce il 14.1.1947, residente in Rossano al Viale Michelangelo,58, albo n. 1394; Dr. geom. Ettore Merletti nato a Cosenza il 21.4.1934, residente in Rende alla Via Morelli, 21; Francesco Morrone nato a Cosenza il 10.8.1973, residente in Trenta alla Via F. Gullo, 25-Fraz. Morelli, albo n. 2557; Gianpiero Pace nato a Crosia il 09.12.1971, residente in Crosia alla Via Fiume, 9, albo n. 2646; Antonio Roberto Palmieri nato a Corigliano Calabro il 19.5.1964, residente in Cassano Jonio alla Via G.Amendola, 174, albo n. 2201; Roberto Perri nato a Cosenza il 29.5.1961, residente in Dipingano alla Via Marini Serra,22, albo n. 1951; Ninuccio Perrone nato a Fagnano Castello il 3.7.1939, residente in Fagnano Castello alla Via C. Battisti, albo n. 953; Claudio Pirillo nato a Policoro l’11.2.1972, residente in Roseto Capo Spulico alla Via Sibari n. 41, albo n. 2416 Nicola Pirozzolo nato a Acri il 29.9.1947, residente in Corigliano Calabro alla Via Degli Ausoni, 8- C. P. 35, albo n. 1544; Marcello Giuseppe Rugiero nato a Bonifati il 5.3.1954, residente in Bonifati al V.Le Della Repubblica,21, albo n. 2369; Cesare Silipo nato a Longobucco il 20.5.1955, residente in Corigliano Calabroalla Via Gravina Giovannino N. 2, albo n. 2710; Cosimo Sposato nato a Acri il 4.12.1958, residente in Corigliano Calabro alla Via Cardame, 9A, albo n. 2031. Iscrizione elenco speciale dipendenti enti pubblici e privatizzati Dr. geom. Fernando Salerno nato a Fagnano C. il 30.5.1957, residente in Cosenza alla Via Sabotino, 1. Cancellazioni Giovanni Basta, Giuseppe Caselli, Salvatore Cava, Nicola de Ferrariis, Gaetano De Nardi, Edmondo Gravina, Vincenzo Le Voci, Fiore Iaccino, Giuseppe Maranzano, Antonio Miele, Giovanni Moliterno, Rosa Muoio, Pietro Nicastro, Antonio Orlandino, Aldo Raddi, Francesco Rago, Pasquale Parise, Nicola A. Tucci, Domenico Viteritti, Sergio Zicari. 44 Attività di categoria n. 1-2/ 2007 collegio di cosenza AGGIORNAMENTO REGISTRO PRATICANTI Iscrizioni Francesco Arieta nato a Belvedere Marittimo il 23.12.1985, residente a Santa Maria del Cedro alla Via Verbicaro, Reg.Prat. n. 2462 Flavio Castiglione nato a Cosenza l’11.5.1973, residente a Spezzano della Sila alla via Timpone n. 34, Reg. Prat. n. 2467 Danilo Cicirelli nato a Praia A Mare il 7.1.1958, residente a Praia A Mare alla Via G. Cesare n.14, Reg. Prat. n. 2473 Angelo F. Cozzolino nato a Rogliano il 17.8.1987, residente a Acri alla C.da Duglia n. 284, Reg. Prat. n. 2472 Cataldo Curcio nato a Corigliano Calabro, residente a Spezzano della Sila alla Via A. Toscanini n.2, Reg. Prat. n. 2471 Augusto De Caro nato a Werl (EE) il 14.4.1986, residente a Santa Sofia d’Epiro alla C.da Cancello n.33, Reg. Prat. n. 2470 Francesco Fantasia nato a Cariati il 26.12.1986, residente a Rossano alla Via P. Fontanella n.6, Reg. Prat. n. 2461 Angelo Fiore nato a Acri il 12.12.1986, residente a Acri alla C. da Mammana n.56, Reg. Prat. n. 2469 Diego Grandinetti nato a Cosenza il 7.1.1977, residente a Rogliano alla Via Crocicchia n. 50/A, Reg. Prat. n. 2474 Domnenico Grisolia nato a Cetraro il 17.11.1987, residente a Scalea alla Via Giuseppe Pezzetti, Reg. Prat. n. 2468 Giulio Guarascio nato a Cosenza il 27.1.1970, residente a Rende alla Via Don Minzioni n. 97, reg. Prat. n. 2464 Simone Pescatore nato a Cosenza il 4.7.1987, residente a Cosenza alla C.da Villanello Sottano n.5, Reg. Prat. n. 2465 Giuseppe Picerno nato a Belvedere Marittimo il 23.08.1987, residente a Grisolia alla Via San Brancato n.8, Reg. Prat. n. 2475 Thomas Rinaldi nato a Cetraro il 16.6.1988, residente a Belvedere Marittimo alla Via F. Cilea n.8, Reg. Prat. n. 2466 Williams Verta nato a Cetraro il 27.7.1986, residente a San Marco Argentano alla Via S. Pertini n. 47, Reg. Prat. n. 2463 Cancellazioni Salvatore Apa, Angelo Bennardo, Lino Cappuccio, Pierluigi De Marco, Raffaele Di Napoli, Antonio Feraca, Marisa Gencarelli, Dino Giglio, Caterina La Cattiva, Giovanni Luci, Tiziana Madeo, Agostino Marano, Francesco Marino, Tiziana Muzzillo, Marco Perri, Luigi Pesce, Stefano Ritacco, Giovanni Ritondale, Rossella Salerno, Battista Servidio,Domenico Spadafora. ISTRUTTORE - PERITO DEMANIALE IN MATERIA DI USI CIVICI Università della Calabria - Dipartimento Scienze Giuridiche Nei giorni 21 e 22 maggio 2007, presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche si sono tenuti gli esami finali del master universitario di I livello per Istruttori - Periti Demaniali di usi civici. Hanno concluso il master: geomm. Nicola Aloia, Antonio Bonvicino, Vincenzo Gallo, Alfonso Laporini, Mario Domenico Palopoli, Roberto Pingitore, Giovanni Romio, Roberto Vocaturo. COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA TIROCINIO PROFESSIONALE Il biennio di praticantato di cui alla L. 7.3.1985 n. 75 e alle direttive del CNG del 5.4.2002 nel rispetto della suddetta normativa decorrerà dalla data di presentazione della domanda di iscrizione nel Registro dei Praticanti, assunta al protocollo del Collegio (ente pubblico sott'ordinato al Ministero della Giustizia soggetto al controllo della Procura della Repubblica). Pertanto ai fini del rilascio del certificato di compiuta pratica da parte del Collegio stesso in tempo utile per l'ammissione agli Esami di Stato di abilitazione all'esercizio della libera professione, la cui sessione annuale viene fissata con ordinanza ministeriale pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, è opportuno che l'iscrizione al suddetto Registro dei Praticanti venga effettuata entro e non oltre la fine di settembre di ogni anno. Pertanto si ricorda che il consiglio dell'ordine nella seduta del 23 luglio 2001, viste le numerose doglianze pervenute, ha deliberato in conformità alle vigenti disposizioni in materia di effettuare verifiche a campione sull'effettivo e continuativo svolgimento del praticantato, adottando per gli adempimenti i necessari provvedimenti. AGGIORNAMENTO DATI PERSONALI Per i necessari aggiornamenti tutti gli iscritti del Collegio sono obbligati per legge a far pervenire tempestivamente - e comunque entro e non oltre 15 giorni dall'eventuale variazione - alla Segreteria ogni variazione dei dati personali (residenza, domicilio di studio, partita iva, codice fiscale, telefono, indirizzo e-mail ecc.) riportati nell'Albo e/o negli atti del Collegio nonché i settori professionali di specifica competenza, dichiarati con autocertificazione. La mancata comunicazione può comportare l'apertura di procedimento, segnatamente se il Collegio fornisce a richiesta di enti o privati dati non coerenti. ADEMPIMENTI CASSA GEOMETRI Si comunica che il 15 settembre 2007 scade il termine utile per la presentazione del mod. 17/2007 e l’Autocertificazione. Tutti i colleghi potranno consegnare il mod. 17/2007 presso la segreteria del Collegio dal 27 agosto al 15 settembre. L’Autocertificazione va consegnata entro il 30 novembre. 45 Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di cosenza CORSO DI SPECIALIZZAZIONE PER LA SICUREZZA DEL LAVORO CON VERIFICA DI APPRENDIMENTO (ex art. 10 co. 1-2 D.Lgs. n° 494 del 14agosto 1996, mod. dal D.Lgs. n° 528/1999 - 120 ore) Cosenza, 14 maggio -9 luglio 2007 ELENCO DEGLI ABILITATI Geomm.: Salvatore Apa, Roberto Aquino, Adelaide Bettolino, Francesco Bruno, Francesco Boungiorno, Saverio Caputo, Alberto Casella, Andrea Chianello, Alfredo Chiappetta, Mirco Contatore, Giuseppe Dodaro, Attilio Esposito, Francesco Falco, Eugenio Fusaro, Antonio Grieco, Massimo Guccione, Francesco Guglielmelli, Aldo Le Fosse, Domenico Lepera, Giuliano Lopetrone, Fabio Marasco, Francesco Mauro, Luigi Metallo, Orlando Parrotta, Algelo Perri, Giovanni Ritondale, Fernando Salerno, Francesco Salerno, Mario Salituro, Cesare Silipo, Michele Spina, Angelo Sprovieri, Domenico Stella, Marco Talarico, Salvatore Terranova, Valeria Trocini, Roberto Ventura, Giovanni Virardi; Ing. Giuseppe Vivacqua. LA CONSEGNA DEGLI ATTESTATI Un aspetto della sala La presidenza Geom. Francesco Salerno Geom. Alfredo Chiappetta 46 Foto ricordo Geom. Adelaide Bettolino Geom. Mario Salituro Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di crotone ESAMI DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE DI GEOMETRA Sessione 2006 Commissione 144 Corpo docenti: Basile Rosina – Preside I.T.G. di Crotone; De Blasi Alberto - Ins. presso I.T.G. di Crotone; Rizzo Walter – libero professionista (Vice Presidente del Collegio); Lombardo Aldo – libero professionista; Malena Raffaele – libero professionista. ELENCO DEGLI ABILITATI Alfì Francesco, voto 90/100; Andali Mirko, voto 75/100; Anania Domenico, voto 63/100; Arabia Carmine, voto 78/100; Aracri Antonio, voto 62/100; Aracri Salvatore, voto 72/100; Barbato Dario, voto 71/100; Basta Luciano, voto 85/100; Borza Nicola, voto 80/100; Brefaro Vincenzo, voto 66/100; Caccavano Giuseppe, voto 79/100; Ciliberto Giuseppe Antonio, voto 62/100; Colacino Nicola, voto 73/100; Colao Domenico, voto 80/100; Cordua Luigi, voto 69/100; Decima Fedele, voto 92/100; De Miglio Adolfo, voto 75/100; Dima Nicola, voto 76/100; Elia Gabriele, voto 72/100; Federico Giuseppe, voto 74/100; Ferramosca Pier Luigi, voto 62/100; Foresta Arduino, voto 73/100; Fucile Luigi, voto 68/100; Gaetano Salvatore, voto 81/100; Gagliardi Pietro, voto 73/100; Garafolo Francesco, voto 93/100; Giordano Massimiliano, voto 84/100; Iembo Salvatore, voto 78/100; Ierardi Giuseppe, voto 73/100; Lentini Calogero, voto 70/100; Le Rose Giuseppe, voto 80/100; Livadoti Antonio, voto 83/100; Lorenzano Salvatore, voto 62/100; Manes Francesco, voto 82/100; Marino Francesco, voto 78/100; Martino Domenico, voto 64/100; Martino Pietro Antonio, voto 76/100; Megna Francesco, voto 68/100; Modeo Menno Andrea, voto 65/100; Morise Roberto, voto 80/100; Muto Thomas, voto 76/100; Muto Vito, voto 70/100; Nigro Francesco, voto 81/100; Obligis David, voto 80/100; Oppido Gaetano, voto 96/100; Oppido Salvatore Domenico, voto 98/100; Pallone Domenico, voto 71/100; Paletta Cataldo, voto 71/100; Parisi Francesco Mario, voto 86/100; Piro Antonio, voto 68/100; Piscitelli Luigi, voto 74/100; Pollizzi Antonio, voto 64/100; Princiotta Enzo, voto 63/100; Proto Vincenzo, voto 82/100; Puzello Danilo, voto 65/100; Ruggieri Claudio, voto 95/100; Simeri Nicola, voto 76/100; Spagnolo Antonio, voto 69/100; Spataro Francesco, voto 67/100; Squillace Gaetano, voto 65/100; Stasi Antonio, voto 69/100; Talarico Luigi, voto 75/100; Talarico Giuseppe, voto 77/100; Varano Salvatore, voto 69/100; Ventura Onofrio, voto 80/100; Virelli Giuseppe, voto 61/100; Virelli Salvatore, voto 60/100. AGGIORNAMENTO ALBO Iscrizioni Paglione Helenio, nato a Crotone il 11/06/1979; Castagnino Fausto Valentino, nato a Crotone il 13/02/1981; Gaetano Salvatore, nato a Crotone il 21/04/1982; Rizzo Antonio, nato a Dusseldorf il 03/05/1976; Stirparo Giuseppe Nazzareno Seb., nato a Crotone 13/01/1982; Parisi Francesco Mario, nato a Santa Severina 23/10/1964; Foresta Arduino, nato a Catanzaro 18/10/1984; Paletta Cataldo, nato a Crucoli il 18/08/1959; Oppido Salvatore Domenico, nato Crotone il 08/05/1978; Oppido Gaetano, nato a Crotone il 20/09/1974; Ruggieri Claudio, nato a Crotone il 15/06/1985; Iembo Salvatore, nato a Crotone il 19/02/1966; Talarico Luigi, nato a Montecchio il 12/06/1982; Talarico Giuseppe, nato a Montecchio il 24/07/1979. Cancellazioni Pugliese Michele, timbro n. 14; Scerra Michele, timbro n. 252. Trasferimenti Bellugi Mariangela. AGGIORNAMENTO REGISTRO PRATICANTI Simonetta Francesco, Cavallaro Margherita, Grisi Luigi, Salvatore Daniele, Pesce Giuseppe, Rocca Roberto, Giangotti Carmine Francesco, Arnoni Piero, Iovane Pasquale, Arcuri Mario, Greco Marco, Arcuri Antonio, Diaco Filippo, Marinello Tonino, Mele Donato, Masdea Filomena, Fabbiano Luigi, Capalbo Giuseppe, Rizzo Luigi, Rizzo Vincenzo, Sapia Domenico. 47 Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di crotone ACCERTAMENTO DELLE UNITÀ IMMOBILIARI Crotone, 10.1.2007 Prot.n. 13 c.a. e p.c. Ai Sig.ri SINDACI dei Comuni della Provincia di Crotone Dirigente Ufficio Urbanistica Egr. Ing. Cristiano Costantini Direttore dell’Agenzia del Territorio - Crotone OGGETTO: Accertamento delle unità immobiliari urbane – art. 1 co. 336 Legge 311/04, Circ. Agenzia del Territorio n. 10 del 4.8.2005 In attuazione del disposto di cui al comma 339 dell’art. 1 della Legge 311/2004 è stata pubblicata sulla G.U. n. 40 del 18.02.2005 la determinazione direttoriale che disciplina le modalità di accertamento di variazioni dello stato di fatto degli immobili non dichiarate in Catasto. Si ribadisce, pertanto, l’importanza della norma in esame che è finalizzata a conseguire un miglioramento dell’attuale livello di perequazione impositiva nel settore immobiliare attraverso il recupero di fenomeni di elusione ed evasione fiscale. Più in particolare il sopradetto comma normativo consente ai Comuni di richiedere ai soggetti interessati la presentazione degli atti di aggiornamento catastale per gli immobili non dichiarati in Catasto o per i quali, per effetto di intervenute variazioni edilizie, sussistono situazioni di fatto non coerenti con i classamenti riportati in atti o con gli elementi assunti a base per la determinazione della rendita. A tal fine i Comuni devono provvedere alla trasmissione con cadenza mensile, agli Uffici Provinciali dell’Agenzia del Territorio dei files di fornitura. La norma in esame prevede, inoltre, che in mancanza dell’adempimento richiesto ai soggetti interessati, gli Uffici Provinciali dell’Agenzia del Territorio, decorso inutilmente il termine di novanta giorni dalla data della notifica della richiesta, ove ne ricorrano i presupposti, provvedano all’aggiornamento d’ufficio. In quest’ultima situazione per l’espletamento delle procedure di aggiornamento catastale a cura dell’Ufficio dell’A.d.T,. si applicano le tariffe di cui alla Determinazione Direttoriale del 30.6.2005 il cui verificarsi comporterà un aggravio ulteriore a carico dell’utente. Tutto ciò considerato, nell’ottica di favorire il verificarsi dei contenuti normativi, considerando lo storico ruolo dei geometri nell’ambito della materia in argomento, questo Collegio Provinciale invita le SS.LL., nel caso se ne dovesse verificare la necessità, di esercitare la facoltà di chiedere la nomina di tecnici iscritti all’Albo preferibilmente residenti nel Comune interessato o nei Comuni limitrofi. Inoltre comunichiamo la nostra disponibilità alla sottoscrizione di un protocollo d’intesa che regolamenti le tariffe di riferimento per l’espletamento delle prestazioni professionali anche alla luce dell’abrogazione dei minimi tariffari introdotta dal Decreto Bersani e sua legge di conversione. Certo della sensibilità degli Amministratori tutti, porgo deferenti saluti. Il Presidente Gennaro Bagnato COMUNICATO STAMPA Crotone lì 22.3.2007 A tutti gli organi di stampa - Loro Sedi Con preghiera di volerne dare adeguato risalto e per l'opportuna visione degli Enti interessati, si segnala che con Legge 27.12.2006, n. 296 (Legge Finanziaria 2007), al comma 350 è stata prevista l'integrazione dell'art. 4, comma 1, del Testo Unico dell'Edilizia (D.P.R. 380/2001) con il comma I-bis, che testualmente prevede: "ai fini del rilascio del permesso di costruire, deve essere prevista l'installazione dei pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica per gli edifici di nuova costruzione, in modo da garantire una produzione energetica non inferiore a 0,2 KW per ciascuna unità abitativa". Pertanto, considerate le novità in materia urbanistica introdotte dalle Line Guida della Regione Calabria ed in virtù delle molteplici novità legislative in materia di produzione e risparmio energetico, è auspicabile l'avvio di una discussione tra Enti, Ordini e Collegi Professionali finalizzata alla stesura di un documento tecnico di disciplina delle modalità costruttive con particolare riguardo alle tematiche suddette. Deferenti saluti. Il Collegio Provinciale dei Geometri 48 Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di crotone SEMINARI E CONVEGNI 28 febbraio 2007 - Invio telematico del “DOCFA”, suggerimenti e attivazione dopo una prima fase di studio e sperimentazione. 13 aprile 2007 - “Strumenti di sostenibilità ambientale e sviluppo del territorio” - Relazioni e Work Experiences VARIAZIONI DI CUI PRENDERE NOTA Nuovo sito web : www.collegiogeometri.kr.it Nuovo indirizzo di posta elettronica : [email protected] Sede Collegio : Via Giovanni Paolo II, 260 - 88900 CROTONE 49 Attività di categoria n. 1-2/2007 collegio di vibo valentia RINNOVO CONSIGLIO DIRETTIVO 27 aprile 2007 In seguito alle dimissioni da parte del presidente geom. Guido Arcuri, del segretario, del tesoriere e successivamente del vicepresidente, vengono rinnovate le cariche con il seguente risultato: Presidente: Giuseppe Preiti; Vicepresidente: Domenico Ariotta; Segretario: Biagio Piro; Tesoriere: Pasquale Barbieri; Consiglieri: Guido Arcuri, Alfonsino Grillo, Antonino Impellizzeri 18 maggio 2007 Il consiglio direttivo nomina i componenti delle seguenti commissioni: catasto: Domenico Ariotta, Brunello Cugliari, Raffaele Losiggio, Salvatore Monteleone, Salvatore Pileggi; urbanistica ed edilizia: Domenico De Rito, Biagio Piro, Domenico Pontorierio, Vincenzo Preiti, Michele Ventrice; parcelle: Pasquale Barbieri, Alessandro Catanese, Filippo Curigliano, Antonio Iannello, Antonio Marasco; rapporti enti pubblici: Domenico Ariotta, Pasquale Barbieri, Giuseppe Matina, Biagio Piro, Antonio Scuticchio; formazione professionale: Domenico Ariotta, Domenico Barba, Pasquale Barbieri, Filippo Curigliano, Gregorio Tassone; rapporti con la Cassa ed il Consiglio Nazionale: Domenico Ariotta, Pasquale Barbieri, Biagio Piro, Alfonsino Grillo, Francesco Schiariti, Pasquale Mazzeo. 8 giugno 2007 Si è tenuta presso il ristorante “costa marittima” in località Ciaramiti di Ricadi, l’assemblea degli iscritti, nella quale è stato presentato il bilancio consuntivo 2006 e preventivo 2007. Il bilancio è stato approvato a maggioranza. AGGIORNAMENTO ALBO PROFESSIONALE Iscrizioni Lo Mastro Dario nato a Vibo Valentia il 27.08.1985, residente in Vibo Valentia, Albo N° 369, decorrenza 04.01.2007;Pietropaolo Flavio nato a Vibo Valentia il 08.04.1977, residente in Zungri, Albo N° 370, decorrenza 10.01.2007; Signoretta Giuseppe nato a Vibo Valentia il 31.05.1982, residente in Ionadi, Albo N° 371, decorrenza 11.01.2007; Condello Francesco nato a Filogaso il 06.11.1939, residente in Vibo Valentia, Albo N° 372, decorrenza 12.01.2007; Arcella Francesco Giuseppe nato a Sant’Onofrio il 21.10.1967, residente in Sant’Onofrio, Albo N° 373, decorrenza 23.01.2007; Colloca Domenico nato a Vibo Valentia il 01.01.1973, residente in Mileto , Albo N° 374, decorrenza 06.03.2007; Gentile Maria nata a Vibo Valentia il 16.09.1978, residente in Ionadi, Albo N° 375, decorrenza 13.03.2007; Maiolo Francesco nato a Lamezia Terme il 28.09.1979, residente in Polia, Albo N° 376, decorrenza 03.04.2007; Cotronei Fortunato nato a Vibo Valentia il 24.04.1982, residente in Dinami, Albo N° 377, decorrenza 04.05.2007; Greco Giulio nato a Vibo Valentia il 02.08.1981, residente in Maierato, Albo N° 378, decorrenza 23.05.2007; Mazzeo Alberto nato a Vibo Valentia il 02.12.1981, residente in Limbadi , Albo N° 379, decorrenza 15.06.2007 Cancellazioni per dimissioni Corrado Gabriele nato a Dasà il 01.02.1942, residente in Dasà, Albo N° 067, decorrenza 07.12.2006; Durante Giuseppe nato a Pizzo il 03.12.1946, residente in Vibo Valentia, Albo N° 053, decorrenza 15.12.2006; Galati Enrico nato a Acquaro il 24.08.1919, residente in Vibo Valentia , Albo N° 001, decorrenza 21.12.2006; Crupi Gaetano nato a Acquaro il 06.10.1928 , residente in Acquaro, Albo N° 007, decorrenza 29.12.2006; Bartucca Teodoro nato a Lamezia Terme il 04.09.1980 , residente in Filadelfia, Albo N° 346, decorrenza 14.01.2005; Malvaso Michele nato a Dinami il 27.02.1972, residente in Dinami, Albo N° 238, decorrenza 22.06.2007 Sospensione elenco speciale Sganga Achille Giovanni nato a Caracas (Venezuela) il 13.10.1962, residente in Vibo Valentia, E.S. N° 004, decorrenza 21.11.2006 Iscrizione sezione non esercenti la professione (privi di timbro, tesserino, partita iva e immatricolazione Cassa) Geom. Matina Giuseppe nato a Stefanaconi il 12.02.1966, residente in Stefanacon, Albo i N° 227, decorrenza 19.12.2006 AGGIORNAMENTO REGISTRO PRATICANTI Iscrizioni De Martini Alessandro, nato a Roma il 4.3.1982, residente in Vibo V., decorrenza 19.10.2006; Venturino Antonio nato a S.Costantino Cal. il 2.10.1971, residente in S. Costantino Cal., decorrenza 24.10.2006; Ferraro Restagno Marcello nato a V.Valentia il 10.7.1963, residente in Vibo Valentia, decorrenza 15.11.2006; Cammarata Carmelo nato a Vibo Valentia il 27.11.1975, residente in Vibo V., decorrenza 15.1.2007; D’Andrea Davide nato a Vibo V. il 15.2.2007, residente in Vibo V., decorrenza 12.2.2007; Gurzì Erminio Gildo nato a Vibo V., il 12.1.1979, residente in Nicotera, decorrenza 31.1.2007; Battista Rita nata a Roma il 4.6.1985, residente in Vibo V., decorrenza 5.2.2007; Purita Pasquale nato a Vibo V., il 26.5.1979, residente a Rombiolo, decorrenza 13.4.2007; Artusa Domenico nato a Mileto il 18.3.1975, residente a Mileto, decorrenza 24.5.2007; Iacopetta Maria Antonietta nata a Chiaravalle C.le il 3.6.1984, residente a Fabrizia, decorrenza 5.6.2007 Cancellazioni Rombolà Fortunato nato a Cinquefrondi il 20.7.1987, residente a Mileto, decorrenza 5.6.2007 50 n. 1-2/2007 Catasto e topografia ACQUISIZIONE IN FORMATO DIGITALE DELLE MAPPE CATASTALI DI IMPIANTO Agenzia del Territorio - Nota prot. n. 80474 del 10 novembre 2006 Come è noto, con D.L. 3 ottobre 2006 n. 262, sono state emanate disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziarla. In particolare la citata norma opera la sostituzione della tabella di cui al Titolo III della Tabella A allegata al Decreto legge 31 luglio 1954, n. 533, convertito con modificazioni dalla legge 26 settembre 1954, n. 869, da ultimo modificata con la legge 30 dicembre 2004, n. 311. Inoltre l’art. 7, comma 21, del Decreto demanda ad un apposito Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio l’emanazione di nuove norme in materia di esecuzione delle ispezioni catastali. Il suddetto Provvedimento direttoriale è stato emanato in data 12.10.2006 e pubblicato sulla G.U. n, 243 del 18.10.2006. Le nuove disposizioni presentano profonde innovazioni per l’esecuzione delle ispezioni catastali e per il rilascio delle visure. Nella sostanza la portata innovativa dei Provvedimento risiede nel fatto che il servizio di consultazione (visura) degli atti e degli elaborati catastali avviene a titolo gratuito. Infatti, la nuova tabella, allegata al decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, non menziona più il rilascio di tale servizio. L’obiettivo della norma è quello di facilitare l’accesso anche in prospettiva, attraverso il canale telematico - alle informazioni catastali, favorendo, ai contempo, il decentramento capillare dei servizi di consultazione ed un più agevole adempimento degli obblighi fiscali. La misura si inserisce nel solco delle innovazioni che tendono a semplificare l’accesso ai dati gestiti dalla P.A. e mira a garantire la circolazione e la fruizione dei dati catastali gestiti dall’Agenzia del territorio, anche nell’ottica dell’applicazione dell’articolo 59, comma 7-bis, del decreto legislativo n. 82/2005, “Codice dell’amministrazione digitale”, e dell’articolo 37, comma 54, del decreto legge n. 223/2006, convertito in legge n. 248/2006. Con tali premesse, per gli aspetti innovativi inerenti i servizi cartografici, risultano superate le previgenti disposizioni in materia dì consultazione della mappa originale di impianto, tuttora residente sul supporto in cartaforte, norme che hanno impedito finora di accogliere positivamente le numerose richieste formulate da codesti Ordini professionali, finalizzate all’acquisizione informatica di tali preziose ed uniche informazioni cartografiche. L’abolizione dei tributi catastali sotto cui ricadeva anche la consultazione delle mappe di impianto rende ora possibile riaprire la tematica della conservazione in formato digitale del patrimonio cartografico originale del catasto, attività che persegue non soltanto l’obiettivo di assicurare l’intangibilità dell’informazione, liberata dai rischio di un decadimento per effetto di una consunzione dei supporti cartacei, ma anche quello non meno rilevante di agevolare l’accesso all’informazione mediante l’elaboratore elettronico. In questo quadro, l’Agenzia del territorio manifesta la propria più ampia disponibilità ad accogliere, ora positivamente, eventuali richieste di acquisizione digitale dei fogli di impianto, provenienti da codesti Ordini professionali, che in verità hanno sempre dimostrato grande sensibilità su questo tema. La operazioni di acquisizione digitale potranno avvenire direttamente a livello del locale Collegio professionale. Stante, l’unicità dei supporti cartografici di cui trattasi si dovranno osservare le seguenti modalità operative: - la rasterizzazione dovrà essere effettuata presso la sede dell’ufficio e sotto il diretto controllo dei personale interno, utilizzando scanner piano; - le immagini delle mappe dovranno essere acquisite in formato .TIF, a colori, con risoluzione minima di 200 dpi e compressione di tipo LZW; - qualora non sia possibile procedere,presso la sede dell’ufficio, la disponibilità dei fogli di impianto sarà accordata per lotti e per il tempo necessario all’acquisizione, che dovrà comunque avvenire sotto la diretta sorveglianza di un funzionario dell’Ufficio all’uopo delegato; - l’eventuale rilascio dei fogli avverrà al Presidente del Collegio o a persona del Collegio da lui delegata, che si assumerà tutte le responsabilità per i rischi connessi all’operazione; - della consegna sarà redatto apposito verbale, contenente tutte le clausole che presiedono all’autorizzazione, nonché l’elenco dei fogli, che verrà sottoscritto per accettazione dal Presidente del Collegio o da persona del Collegio da lui delegata; - tutti gli oneri connessi alla duplicazione sono a carico del Collegio. Alla fine delle operazioni una copia del supporto informatico dovrà essere messa a disposizione gratuitamente a questa Agenzia. Stante quanto sopra il Collegio, a seguito di accettazione delle modalità operative, rilascerà attestazione a questa Agenzia che i prodotti conseguiti: - non verranno commercializzati; - potranno essere messi a disposizione solo agli iscritti al Collegio. I Consigli Nazionali degli Ordini e Collegi professionali potranno svolgere opportuna azione di coordinamento, concertata con la scrivente, al fine di razionalizzare l’impegno delle rispettive articolazioni provinciali. Nel mentre si confida in un positivo riscontro su quanto prospettato, nei consolidato spirito di collaborazione con codesti Ordini professionali, è gradita l’occasione per porgere distinti saluti. Il Direttore Carlo Cannafoglia 51 Catasto e topografia n. 1-2/2007 AGENZIA DEL TERRITORIO Decreto 6 dicembre 2006 (G.U. n. 288 del 12.12.2006) eterminazione delle procedure attuative, delle tipologie e dei termini per la trasmissione telematica ai comuni delle dichiarazioni di variazione e di nuova costruzione e relative modalità di interscambio, applicabili fino all’attivazione del modello unico digitale per l’edilizia, ai sensi dell’art. 34-quinquies del D.L. 4 del 10 gennaio 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge 80 del 9 marzo 2006. rendite catastali, anche sulla base delle segnalazioni pervenute dai comuni, ove ne ricorrano i presupposti. 2. Qualora le segnalazioni delle incoerenze non producano effetti sulla variazione del classamento, ne viene data comunque motivata comunicazione al comune. Art. 5 - Entrata in vigore - 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Art. 1 - Finalità - 1. L’Agenzia del territorio, fino a quando non sarà operativo il modello unico per l’edilizia, trasmette ai comuni per via telematica o su supporto informatico le dichiarazioni di variazione e di nuova costruzione presentate a far data dal 1° gennaio 2006. Le incoerenze riscontrate e validate da personale tecnico del comune, sulla base degli atti tecnico-amministrativi in suo possesso, sono segnalate dal responsabile del procedimento del comune stesso all’ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio, che provvede agli adempimenti di competenza. Il comune si impegna ad utilizzare i dati ricevuti e i documenti planimetrici, ai soli fini istituzionali, nel rispetto delle norme vigenti in materia. Art. 2 - Modalità e termini per la trasmissione ai comuni delle dichiarazioni pervenute - 1. Gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio provvedono, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a trasmettere ai comuni, su supporto informatico, i file relativi alle dichiarazioni di variazione e di nuova costruzione di propria competenza, presentate dal 1° gennaio al 30 settembre 2006, con le modalità specificate nell’allegato tecnico. I file relativi alle dichiarazioni di variazione e di nuova costruzione, presentate a decorrere dal 1° ottobre 2006 e fino all’introduzione del modello unico digitale per l’edilizia, sono trasmessi ai comuni, per via telematica o su supporto informatico, con periodicità e modalità specificate nell’allegato tecnico. Sono garantiti, comunque, l’adeguamento alle regole tecniche per la realizzazione delle basi di dati territoriali, la documentazione, la fruibilità e lo scambio dei dati stessi tra le pubbliche amministrazioni centrali e locali previste dall’art. 59 del D. Lgs. 82 del 7 marzo 2005 e la coerenza con le regole tecniche del sistema pubblico di connettività. Art. 3 - Modalità e termini per la segnalazione di eventuali incoerenze - 1. I comuni, entro novanta giorni dalla ricezione dei file di cui all’art. 2, verificano la coerenza delle caratteristiche dichiarate delle unità immobiliari rispetto alle informazioni disponibili, sulla base degli atti in loro possesso, e comunicano le eventuali incoerenze riscontrate agli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio, con le modalità di cui all’allegato tecnico. Art. 4 - Gestione delle incoerenze - 1. Gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio provvedono ad effettuare gli adempimenti di competenza in materia di validazione delle Allegato tecnico Modalità tecniche per la trasmissione delle dichiarazioni di variazione e di nuova costruzione delle unità immobiliari urbane ai comuni e relative modalità di interscambio 1. Definizioni Termini tecnici catastali Categoria catastale La distinzione delle unità immobiliari secondo le varie specie essenzialmente differenti per le caratteristiche intrinseche che determinano la distinzione ordinaria e permanente dell’unità immobiliare. Comune Rappresenta il territorio censito in catasto in carico al comune. In alcuni casi può non coincidere con il comune amministrativo. Dati censuari Sono costituiti dai dati identificativi dell’u.i.u (comune, sezione censuaria, sezione urbana, foglio, particella, subalterno) e dei dati di classamento. Dati planimetrici Rappresentano i dati di superficie, calcolati ai sensi del D.P.R. 138/1998, suddivisi per tipo di ambiente. Dichiarazioni di variazione e nuova costruzione (Docafa) La dichiarazione di nuova costruzione e di variazione è il documento di aggiornamento catastale che i titolari di diritti reali sulle u.i. interessate sono tenuti a presentare in catasto ai sensi degli artt. 20 e 28 del R.D.L. 652/1939. L’Agenzia del territorio rende disponibile sul proprio sito la procedura informatica denominata Docfa per la compilazione delle dichiarazioni e i relativi tracciati record. In relazione alla finalità della disposizione di cui all’art. 34-quinquies della legge 80/2006, l’Agenzia renderà disponibili ai comuni le informazioni desunte da tali dichiarazioni. Elaborato planimetrico È la rappresentazione grafica planimetrica, in scala, suddivisa per piano, dell’intero edificio o gruppo di edifici (se suddiviso in corpi di fabbrica) in cui sono indicati natura e accessi delle singole u.i.u. o porzioni immobiliari presenti. Modelli D1, 1N e 2N Sono gli stampati prodotti dalla procedura Docfa (prevista dal D.M. 701/1994) contenenti le caratteristiche tecnico-edilizie necessarie per la dichiarazione di variazione o di nuova costruzione del bene immobile. Protocollo di registrazione Rappresenta il numero di protocollo attribuito al momento dell’accettazione e registrazione in atti della dichiarazione, rilevabile dalla consultazione per immobile nel campo indicativo della motivazione al carico dello stadio dell’unità immobiliare a cui si riferisce l’attribuzione dei dati censuari. D 52 Catasto e topografia n. 1-2/2007 Scheda planimetrica È la rappresentazione grafica planimetrica dell’unità immobiliare o di una sua porzione (nel caso la stessa sia riportata su più schede), normalmente in scala 1.200, eseguita secondo le specifiche tecniche di disegno previste dalle istruzioni catastali. Servizi telematici dell’Agenzia del territorio Vengono erogati sul portale Web dell’Agenzia e si riferiscono a: consultazione delle banche dati, presentazione di proposte di aggiornamenti, cooperazione con gli enti locali. Il collegamento può avvenire sia tramite Internet sia attraverso la rete unitaria della P.A. Superficie catastale Rappresenta la superficie dell’unità immobiliare calcolata ai sensi del D.P.R. 138/1998, ottenuta come sommatoria della superficie di ciascuna porzione a medesimo tipo di ambiente, ragguagliata attraverso uno specifico coefficiente numerico pari o inferiore all’unità. Tipo di ambiente Rappresenta una porzione (o l’intera unità immobiliare) per la quale è fornita la superficie. Ciascuna porzione identifica uno spazio di caratteristica tecnico-funzionale uniforme, avente una specifica rilevanza economica. Unità immobiliare urbana (u.i.u.) Rappresenta la più piccola porzione immobiliare funzionalmente e redditualmente autonoma. Termini tecnici informatici XML (eXtensible Markup Language) Identifica una versio- ne ridotta del linguaggio (SGML Standard generalized markup language) creata per definire marcatori (tag) HTML (HyperText markup language) per tipologie documentali più complesse dell’HTML base per scambiare informazioni complesse sul Web. ZIP Identifica l’estensione di file creati con programmi di compressione (per esempio PKZIP) che riducono lo spazio di memoria occupato. Per accedere ai file così creati è necessario utilizzare appositi programmi di estrazione (per esempio PKUNZIP). ASCII (American Standard Code of Information Interchange/Codice americano standard di in terscambio informazioni) Identifica il codice che utilizza 7 bit per rappresentare tutti i caratteri maiuscoli e minuscoli, i numeri, i simboli di punteggiatura e altri caratteri. Il codice ASCII per comodità a volte utilizza 8 bit (e quindi un byte) ignorando il primo bit. TIFF (Tagged Image File Format) Identifica un formato grafico per le immagini, in genere fotografiche a colori. Utilizza la compressione LZW. I file sono identificati dall’estensione TIF. In particolare nella presente fornitura, per assicurare una corretta progressività di lettura, gli elaborati grafici afferenti una medesima dichiarazione Docfa adottano come estensione un progressivo numero di 3 cifre. (Omissis) AGENZIA DEL TERRITORIO Provvedimento 6 dicembre 2006 (G.U. n. 288 del 12.12.2006) stensione delle procedure telematiche per gli adempimenti in materia di registrazione, trascrizione, iscrizione, annotazione e voltura ad ulteriori tipologie di atti e di soggetti. E Art. 1 - Disposizioni generali - 1. Le procedure telematiche di cui all’art. 3-bis del D.Lgs. 463 del 18 dicembre 1997, sono estese a tutti i soggetti di cui alla lett. b) dell’art. 10 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro approvato con D.P.R. 131 del 26 aprile 1986, nonché a tutti gli atti redatti, ricevuti o autenticati dai medesimi soggetti, con le modalità previste dal D.P.R. 308 del 18 agosto 2000 e dal decreto direttoriale 13 dicembre 2000, pubblicato nella G.U. 302 del 29 dicembre 2000, in quanto compatibili, nonché secondo le disposizioni contenute nel presente provvedimento. 2. Le procedure telematiche di cui al comma precedente sono utilizzate anche per gli atti in relazione ai quali è previsto il solo adempimento della registrazione. 3. Ove vige il sistema del libro fondiario di cui al R.D. 499 del 28 marzo 1929, le procedure telematiche di cui al comma 1 rilevano unicamente per gli adempimenti connessi alla registrazione e alla voltura catastale. 4. Per gli atti relativi ad immobili ubicati in comuni nei quali le funzioni amministrative statali in materia di catasto sono delegate alle province autonome di Trento e di Bolzano, le procedure telematiche di cui al comma 1 sono utilizzate per il solo adempimento della registrazione. L’estensione delle procedure telematiche alla voltura catastale è attuata con uno o più provvedimenti del Direttore dell’Agenzia del territorio, d’intesa con i medesimi enti territoriali, nel rispetto delle disposizioni di cui al D.Lgs. 280 del 18 maggio 2001. 5. Gli atti in relazione ai quali gli adempimenti sono eseguiti con le modalità telematiche di cui all’art. 3-bis del D.Lgs. 463 del 18 dicembre 1997, sono soggetti all’imposta di bollo nella misura fissata dal D.M. economia e finanze di cui all’art. 1, comma 4, del D.L. 2 del 10 gennaio 2006. Art. 2- Utilizzo facoltativo delle procedure telematiche1. Dal 1° gennaio 2007, fermo restando il regime obbligatorio già previsto per gli atti di compravendita di immobili e per le altre tipologie negoziali di cui al decreto direttoriale 9 giugno 2004, pubblicato nella G.U. 135 dell’11 giugno 2004, i notai possono eseguire con le modalità telematiche di cui all’art. 1 gli adempimenti relativi a tutti gli atti formati o autenticati dalla medesima data. 2. Dal 1° gennaio 2008, gli ufficiali giudiziari, i segretari o delegati della pubblica amministrazione e gli altri pub- 53 Catasto e topografia blici ufficiali, di cui alla lett. b) dell’art. 10 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, possono utilizzare le procedure telematiche di cui all’art. 1 per gli adempimenti di loro competenza relativi agli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati. Art. 3 - Utilizzo obbligatorio delle procedure telematiche - 1. Dal 1° aprile 2007, i notai utilizzano le procedure telematiche di cui all’art. 1 per gli adempimenti relativi a tutti gli atti formati o autenticati dalla medesima data. Art. 4 - Procedure e termini - 1. Agli atti in relazione ai quali gli adempimenti sono eseguiti con le modalità telematiche di cui all’art. 3-bis del D.Lgs. 463 del 18 dicembre 1997, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 3-ter dello stesso decreto e al D.P.R. 308 del 18 agosto 2000. Art. 5 - Atti comportanti iscrizione o per i quali non vi è obbligo di trascrizione - 1. Per gli atti che comportano iscrizione nei registri immobiliari e per gli atti in relazione ai quali non vi è l’obbligo di richiedere la trascrizione, la trasmissione telematica può avere ad oggetto: a) la richiesta di registrazione e di iscrizione ovvero di trascrizione, oltre all’eventuale voltura catastale collegata alla trascrizione; b) la richiesta di registrazione; c) la richiesta di iscrizione ovvero di trascrizione, oltre all’eventuale voltura catastale collegata alla trascrizione, qualora la registrazione sia stata eseguita con procedura telematica, ovvero l’atto non sia soggetto a registrazione. Art. 6 - Atti comportanti annotazione nei registri immobiliari - 1. Per gli atti che comportano annotazione nei registri immobiliari, la trasmissione telematica può avere ad oggetto: a) la richiesta di registrazione e la domanda di annotazione, oltre all’eventuale voltura catastale collegata all’annotazione; b) la richiesta di registrazione; c) la domanda di annotazione, oltre all’eventuale voltura catastale collegata all’annotazione, qualora la registrazione sia stata eseguita con procedura telematica, ovvero l’atto non sia soggetto a registrazione. 2. Per gli atti di cui al comma 1, i tributi dovuti per l’esecuzione delle formalità di annotazione vengono liquidati dal competente ufficio che comunica il relativo importo all’utente. L’annotazione è eseguita previo pagamento, anche per via telematica, dei tributi liquidati. 54 n. 1-2/2007 Art. 7 - Trasmissione del titolo per via telematica - 1. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio, di concerto con il Ministero della giustizia, è stabilita, per singoli ambiti territoriali, la data dalla quale il titolo è presentato per via telematica al conservatore dei registri immobiliari, agli effetti di cui all’art. 2678 del cod. civ. A partire da tale data le formalità ipotecarie si intendono presentate secondo l’ordine di ricezione telematica, con le modalità e i termini stabiliti con il medesimo provvedimento. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio, di concerto con il Ministero della giustizia, è stabilita la data di attivazione, a titolo sperimentale, del regime transitorio di facoltatività della trasmissione del titolo per via telematica. Con lo stesso provvedimento sono approvate le modalità di trasmissione, le relative procedure e specifiche tecniche, anche in ordine al rilascio al richiedente, per via telematica, del certificato di eseguita formalità. Durante il regime transitorio di cui al comma precedente, agli effetti di quanto previsto dall’art. 2678 del cod. civ., le formalità integralmente trasmesse per via telematica, nel loro ordine di ricezione telematica, si intendono presentate: a) nello stesso giorno di trasmissione, di seguito a tutte le formalità fisicamente presentate allo sportello di accettazione, se la trasmissione è stata effettuata fino al termine dell’orario di apertura al pubblico; b) nel giorno successivo, di seguito a tutte le formalità fisicamente presentate allo sportello di accettazione, se la trasmissione è stata effettuata dopo il termine dell’orario di apertura al pubblico. Art. 8 - Specifiche tecniche- 1. Dal 1° gennaio 2007, per la trasmissione telematica degli atti di cui al presente provvedimento possono essere utilizzate le specifiche tecniche riportate nell’allegato 1. 2. Dal 1° aprile 2007, per la trasmissione telematica degli atti devono essere utilizzate le specifiche tecniche di cui al comma 1. Art. 9 - Progressiva estensione delle procedure telematiche - 1. L’ulteriore estensione delle procedure telematiche di cui all’art. 3-bis del D.Lgs. 463 del 18 dicembre 1997, è attuata con successivi provvedimenti dei Direttori delle Agenzie delle entrate e del territorio, di concerto tra loro e con il Ministero della giustizia. Art. 10 - Pubblicazione - 1. Il presente provvedimento sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. (Allegati omessi) «Consulente Immobiliare» Catasto e topografia n. 1-2/2007 CLASSAMENTO IMMOBILI GRUPPO CATASTALE «E» Attuazione art. 2, commi da 40 a 44, L 286/2006 on il provvedimento di seguito riportato, emanato in data 2.1.2007, l’Agenzia del territorio stabilisce le modalità tecniche ed operative per l’applicazione delle disposizioni contenute nei commi da 40 a 44 dell’art. 2 della L. 24.11.2006, n. 286 (cosiddetto «collegato alla Finanziaria 2007». Detti commi hanno disposto che gli immobili o loro porzioni destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, ricompresi nell’ambito di unità immobiliari già iscritte nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9, ovvero oggetto di dichiarazione di variazione o di nuova costruzione attraverso la procedura catastale Docfa, siano censiti in catasto come unità immobiliari autonome in altra appropriata categoria di un diverso gruppo, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale. In pratica si è stabilito che tutte le unità immobiliari situate nei grandi complessi pubblici o privati (stazioni, aeroporti, spazi espositivi, ecc.), utilizzate per lo svolgimento di attività commerciali, dovranno essere dichiarate in catasto da parte degli intestatari, per la revisione della dichiarazione e della rendita. Dette unità immobiliari saranno quindi accatastate autonomamente, identificate e dotate di rendita catastale coerente con la tipologia di attività esercitata. Quanto sopra ai sensi del comma 41 dell’art. 2 della citata L. 286/2006, deve avvenire entro il 3.7.2007 (9 mesi dalla data di entrata in vigore del D.L. 262/2006 poi convertito nella L. 286/2006), con la nuova rendita che sarà comunque produttiva di effetti fiscali dall’ 1.1.2007. Si ricorda che le norme in commento non si applicano agli immobili censiti in E7 (chiese) ed E8 (cimiteri). La disposizione contenuta nel «collegato», cui si dà attuazione con il provvedimento in commento, trae origine dalla constatazione dei notevoli mutamenti intervenuti negli immobili censiti nel gruppo «E» dal momento della formazione del catasto. Dette unità immobiliari, in considerazione della natura pubblica dei soggetti C intestatari e della funzione svolta (si pensi ad aeroporti, stazioni ferroviarie, portuali e di autolinee, fiere, ecc.), nonché della prevalenza del servizio pubblico rispetto al fine di lucro nella conduzione del bene, sono esenti dall’ICI. Negli ultimi tempi le porzioni immobiliari a destinazione commerciale o altro, ricadenti nelle unità a destinazione particolare, hanno assunto una rilevanza crescente sia per consistenza sia per tipologia. In particolare si è assistito alla proliferazione di locali destinati alla rivendita di articoli di consumo (abbigliamento, profumerie, bigiotterie, oreficeria, elettrodomestici, fotografia, ristoranti, gallerie d’arte, ecc.), oltre che di generi di prima necessità, evidentemente non strumentali al pubblico servizio. Ciò ha finito per determinare ipotesi di disparità di trattamento fiscale, in considerazione dell’esenzione dall’ICI sopra richiamata, che a volte può anche assumere la forma di turbativa alla pubblica concorrenza (si veda il caso di due pubblici esercizi che si fronteggiano, uno, per esempio, sito nel complesso della stazione ferroviaria e l’altro in locali ordinari a destinazione commerciale). Nel caso in cui i soggetti titolari dei diritti reali, entro la sopra richiamata scadenza del 3.7.2007, non dichiarino gli immobili o le porzioni di immobili, non più classabili nel gruppo «E», come autonome unità immobiliari nelle categorie di effettiva pertinenza (soggette quindi all’ICI), l’Agenzia del territorio provvede d’ufficio all’aggiornamento delle posizioni catastali, con addebito degli oneri ai soggetti inadempienti. Ricordiamo infine che l’Agenzia del territorio aveva recentemente già espresso, con la Circ. 16:5.2006, n. 4, i propri orientamenti ed indirizzi operativi concernenti le modalità di individuazione e classamento degli immobili relativi ai gruppi catastali «D» ed «E». Il punto 4 dell’Allegato al provvedimento in commento esplicitamente richiama l’applicabilità di tali indirizzi, qualora non contrastanti con i contenuti del provvedimento stesso. «Bollettino di Legislazione Tecnica» AGENZIA DEL TERRITORIO Provvedimento 2 gennaio 2007 efinizione delle modalità tecniche ed operative per l’accertamento in catasto delle unità immobiliari urbane nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 e per l’autonomo censimento delle porzioni di tali unità immobiliari, destinate ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero ad usi diversi, già iscritte negli atti del catasto. D IL DIRETTORE DELL’AGENZIA Visto il regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, concernente l’«Accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano»; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1949, n. 1142, recante il «Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano», ed in particolare l’art. 8 che, al secondo comma, concerne l’accertamento di immobili a destinazione particolare; Visto il decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, concernente il «Regolamento recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari»; Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il 55 Catasto e topografia «Codice dell’amministrazione digitale» e successive modificazioni; Vista la determinazione 30 giugno 2005 emanata dal direttore dell’Agenzia del territorio, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 4 luglio 2005, recante «Oneri dovuti per la redazione d’ufficio degli atti di aggiornamento catastali, da porre a carico dei soggetti inadempienti per le ipotesi di cui all’art. 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311»; Visto l’art. 34-quinquies, comma 2, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni dalla legge 9 marzo 2006, n. 80, che prevede nuovi termini per la dichiarazione in catasto delle nuove costruzioni e delle variazioni relative ad unità immobiliari già censite; Visto l’art. 2, commi 40, 41 e 42, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, che ha dettato nuove regole in materia di classamento degli immobili a destinazione particolare e ha previsto l’emanazione di un provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio, per stabilire le modalità tecniche e operative e definire i relativi oneri; Visto il decreto 6 dicembre 2006 emanato dal direttore dell’Agenzia del territorio, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 288 del 12 dicembre 2006, recante «Determinazione delle procedure attuative, delle tipologie e dei termini per la trasmissione telematica ai comuni delle dichiarazioni di variazione e di nuova costruzione e relative modalità di interscambio, applicabili fino all’attivazione del modello unico digitale per l’edilizia, ai sensi dell’art. 34-quinquies del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80»; Dispone: Art. 1. Ambito di applicazione 1. Gli immobili o loro porzioni destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero ad usi diversi, ricompresi nell’ambito di unità immobiliari già iscritte nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9, ovvero oggetto di dichiarazione di variazione o di nuova costruzione, sono censiti in catasto come unità immobiliari autonome in altra appropriata categoria di un diverso gruppo, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale. 2. Per «usi diversi» si intende ogni altra utilizzazione, ancorché diversa da quella commerciale, industriale e di ufficio privato, non strettamente strumentale all’esercizio della destinazione funzionale dell’unita’ immobiliare principale, censita in una categoria del gruppo E. Sono considerati strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l’erogazione del servizio pubblico. 3. Per autonomia funzionale si intende la possibilità del bene di essere utilizzato autonomamente rispetto alle altre porzioni immobiliari del compendio di cui fa parte, ancorché l’accesso possa avvenire da spazi comuni e nell’ambito di orari e regole stabiliti con disciplinari, regolamenti o similari. A tale fine i beni di cui al comma 1 devono essere delimitati e, ove necessario, devono essere dotati o dotabili dei servizi di fornitura di energia elettrica, di adduzione idrica, di fognatura, ed altri, ancorché utilizzabili in forma associata. Gli stessi beni devono inoltre presentare una stabilità nel tempo, legata alle caratteristiche intrinseche, ancorché la 56 n. 1-2/2007 destinazione specifica possa variare nel corso dell’anno. 4. L’autonomia reddituale si configura quando il bene è in grado di produrre un reddito indipendente ed autonomo da quello ascrivibile agli altri cespiti ubicati nel compendio. Art. 2. Criteri generali di classamento 1. I criteri generali per il classamento delle unità immobiliari in applicazione dei commi 40 e 41 dell’art. 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, sono riportati nell’allegato A al presente provvedimento. Art. 3. Adempimenti di parte 1. Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, cioè entro il 3 luglio 2007, i soggetti titolari di diritti reali devono dichiarare come autonome unità immobiliari gli immobili o loro porzioni destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero ad usi diversi, ricompresi nell’ambito di unità immobiliari già iscritte nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9. 2. Le disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, si applicano anche alle dichiarazioni in catasto di unità immobiliari di nuova costruzione o variate, da presentarsi, ai sensi dell’art. 34-quinquies, comma 2, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80, entro trenta giorni dalla data di ultimazione dei lavori di nuova costruzione, ovvero di completamento delle variazioni relative ad unità immobiliari già censite. Art. 4. Aggiornamento d’ufficio 1. Decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, in caso di inadempienza da parte dei soggetti obbligati, gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio, in attuazione dell’art. 2, commi 40 e 41, del medesimo decreto-legge, previa verifica delle eventuali azioni intraprese dai comuni ai sensi dell’art. 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, provvedono con oneri a carico dei soggetti obbligati agli adempimenti previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701. L’avvio delle procedure di cui al periodo precedente è comunicato al comune territorialmente competente, fermo restando l’inoltro dell’atto di aggiornamento predisposto e delle relative risultanze catastali con le modalità di cui al decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 6 dicembre 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 288 del 12 dicembre 2006. Gli esiti degli aggiornamenti catastali d’ufficio, nonché gli importi degli oneri, delle sanzioni e degli interessi dovuti, sono notificati ai soggetti inadempienti a cura degli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio. 2. L’Agenzia del territorio, entro tre mesi dall’emanazione del presente provvedimento, anche ai fini dell’applicazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 44, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, rende disponibili ai comuni l’elenco degli immobili censiti nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9, ubicati nel territorio di rispettiva competenza, per la verifica della coerenza dell’attuale classa- n. 1-2/2007 mento rispetto alle effettive destinazioni d’uso delle porzioni di tali unità immobiliari. Le dichiarazioni catastali, presentate dai soggetti obbligati, inerenti gli immobili censiti nelle sopra richiamate categorie sono rese disponibili ai comuni, ai fini degli adempimenti di competenza, nell’ambito dei procedimenti di cui all’art. 34-quinquies, comma 1, del decretolegge 10 gennaio 2006, n. 4. 3. Nei casi di inadempienza di cui al comma 1, si applicano le sanzioni previste dall’art. 31 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni, per le violazioni degli articoli 20 e 28 dello stesso regio decretolegge n. 652 del 1939, nella misura aggiornata dal comma 338 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Catasto e topografia Art. 5. Oneri per aggiornamento d’ufficio 1. Per gli aggiornamenti d’ufficio eseguiti ai sensi dell’art. 4 si applicano gli oneri previsti dalla determinazione 30 giugno 2005 emanata dal direttore dell’Agenzia del territorio, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 4 luglio 2005. Art. 6. Entrata in vigore 1. Il presente provvedimento sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione. Roma, 2 gennaio 2007 Il Direttore dell’Agenzia Mario Picardi Allegato A 1. Premessa. L’ampiezza e la significatività dei mutamenti intervenuti nel tempo e le disposizioni richiamate all’art. 2, comma 40, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, rendono necessario un nuovo inquadramento della materia coerentemente con le mutate regole che incidono, in primo luogo, sull’attribuzione della categoria ed in modo non marginale sulla definizione di unità immobiliare. Nel presente allegato, in coerenza con la normativa vigente e l’attuale quadro generale delle categorie, sono oggetto di approfondimento e di indirizzo le tematiche tecnico-giuridiche e quelle operative, concernenti le modalità di attribuzione della categoria e l’individuazione di quelle porzioni di unità immobiliare, aventi autonomia funzionale e reddituale, che finora facevano capo ad immobili censibili nel gruppo E (ad esclusione delle E/7 ed E/8). Tale diverso indirizzo comporta l’attribuzione, ai nuovi oggetti immobiliari individuati, di specifiche e pertinenti categorie catastali a destinazione diversa da quella particolare. 2. Il concetto di unità immobiliare urbana (u.i.u.) e sua individuazione nell’ambito di un complesso censito in categoria particolare E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 o E/9. a) Il nuovo contesto di riferimento. L’art. 1 del provvedimento direttoriale del 2 gennaio 2007, in coerenza con la norma primaria, impartisce nuovi criteri in merito al riconoscimento: a) di porzioni di immobili aventi uso commerciale, industriale, ad ufficio privato o ad usi diversi da quelli strettamente strumentali all’esercizio della destinazione funzionale dell’immobile principale; b) della loro autonomia reddituale; c) della loro autonomia funzionale; d) dell’idonea categoria di appartenenza. In particolare, sul punto «a» amplia ed affina quanto già riportato nel decreto del Presidente della Repubblica n. 1142/1949, nel rispetto dei principi della legge istitutiva. Sul punto «b», stabilisce la necessità di individuare la produzione di reddito indipendente ed autonomo da quello ascrivibile agli altri cespiti del compendio. Sul punto «c», precisa il concetto di autonomia funzionale estendendolo anche a quelle entità urbane per le quali sono riscontrabili limitazioni fisiche o temporali negli accessi alle porzioni produttive capaci di autonomia reddituale. Infine, quanto al punto «d», l’art. 1 richiama la disposizione normativa dettata dall’art. 2, comma 40, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, che prevede la variazione della categoria catastale per tutte quelle unità immobiliari in cui si svolgono esclusivamente attività commerciali (come nel caso di edicole o di distributori di carburante) che, finora, la prassi catastale censiva nelle categorie del gruppo E. b) I limiti del criterio connesso alla localizzazione. Per quanto concerne gli immobili afferenti alle categorie a destinazione particolare risulta frequente il caso in cui l’unità immobiliare - così come finora intesa - coincida con un insieme di fabbricati vincolati funzionalmente tra di loro e facenti parte di un unico complesso a destinazione produttiva o commerciale. È stato cioè implicitamente definito quale criterio di qualificazione il carattere «localizzativo» come linea guida per la perimetrazione della unità immobiliare. Un esempio chiarificatore è rappresentato dall’insieme degli immobili ferroviari costituenti ciascuna stazione. In particolare, la stessa definizione fa rientrare nella nozione di stazione una serie di altri beni1, purché interni al «recinto» della stazione medesima e situati nel tratto limitato dagli scambi estremi della stazione2. In base alle nuove disposizioni, sono da considerare censibili nelle categorie del gruppo E (E/1 nel caso specifico) le unità immobiliari «stazione» costituite esclusivamente da quegli immobili o loro porzioni strettamente strumentali all’attività di trasporto, vale a dire solo quelle porzioni utilizzate a titolo esclusivo dal soggetto giuridico erogante il servizio pubblico per l’esercizio della propria specifica attività. 1 Ad esempio fabbricati viaggiatori, locali adibiti ad uffici, alloggi, dormitori, ristoranti, caffè, rivendite di giornali, tabacchi e bar, locali del dopolavoro, magazzini merci, piani caricatori, cabine, fabbricati isolati per l’alloggio, ecc.. 2 In modo similare, con riferimento alle autostrade, è stabilito che ogni fabbricato o gruppo di fabbricati costituente ciascuna stazione, sia accertato come unità immobiliare, anche se comprende alloggi, dormitori, rivendite e magazzini. 57 Catasto e topografia L’insieme degli immobili afferenti alla stazione, nel senso sopra precisato, non può pertanto essere riferito ad un luogo fisico continuo, ma ad un contesto astratto definito da relazioni strettamente funzionali. Il criterio localizzativo, non costituisce il parametro di riferimento essenziale, allorché nell’ambito del «recinto stazione» siano individuabili costruzioni o loro porzioni destinate ad attività non strettamente correlabili al trasporto. Di conseguenza gli eventuali esercizi commerciali, immobili a destinazione ricettiva od altro, pur ricompresi nel recinto di una stazione od aeroporto (ad es. dutyfree, centri commerciali, dormitori, ostelli, depositi per le merci, bar, ristoranti, ecc.) devono essere censiti sulla base delle loro caratteristiche intrinseche derivanti dalla loro destinazione oggettiva e reale. Quanto precisato per le infrastrutture dei trasporti pubblici è chiaramente estensibile, analogamente, a tutte le altre categorie caratterizzate da similari articolazioni funzionali. 3. Il classamento dell’u.i.u. identificata come porzione nell’ambito di un immobile a destinazione particolare. È d’obbligo innanzitutto sottolineare l’importanza di un corretto esame preliminare delle caratteristiche degli immobili in questione, finalizzato, da un lato, a verificare la presenza dei requisiti per l’attribuzione di una categoria ordinaria o speciale ad una delle porzioni dell’immobile e, dall’altro, ad attribuire la categoria particolare più rispondente alle caratteristiche oggettive della parte residuale dell’immobile. A tale scopo rileva prioritariamente la destinazione funzionale e produttiva compatibile con le caratteristiche dell’immobile; a parità di destinazione, si dovrà poi tenere conto delle specifiche caratteristiche tipologiche, costruttive e dimensionali, che differenziano gli immobili in esame dalle unità tipo o di riferimento3, rappresentative dei corrispondenti immobili. Sul piano operativo è comunque da osservare come, in taluni casi, il criterio di individuazione della categoria di appartenenza non è strettamente legato alla destinazione, ma dipende, in base alle considerazioni ordinariamente svolte nell’ambito delle operazioni di classamento, anche dalle altre caratteristiche sopra menzionate, nonché dalla loro diversa localizzazione (centro urbano, zona industriale o commerciale appositamente attrezzata). Ad esempio, è noto come i depositi ed i laboratori possono essere qualificati in categoria C/2 (depositi) e C/3 (laboratori artigianali), oppure nelle categorie D/1 (opifici), D/7 (fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale) e D/8 (fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale), in relazione alle specificità della concreta fattispecie. a) L’individuazione della categoria. L’individuazione della categoria delle singole porzioni di immobile dovrà avvenire in coerenza con le attuali previsioni normative, tenendo conto soprattutto delle caratteristiche capaci di configurarne l’oggettivo classamento in una categoria ordinaria o speciale. In particolare, le unità immobiliari a destinazione commerciale in senso lato, per le quali non sia possibile impostare la stima diretta per confronto con le unità di riferimento del gruppo C, dovranno essere ricomprese nel gruppo D. n. 1-2/2007 La qualificazione nel gruppo E continua ad essere propria di quegli immobili con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale, tale da non permettere l’inserimento in categorie ordinarie o speciali e che esulano da una mera logica di commercio e di produzione industriale4. Inoltre, in particolari casi, ai fini dell’individuazione delle unità immobiliari e dell’attribuzione delle corrispondenti categorie, è opportuno applicare criteri analoghi a quelli adottati per i complessi commerciali, siti al di fuori dei centri abitati, denominati «outlet» che, pur essendo caratterizzati da servizi comuni, presentano unità commerciali autonome e capaci di produrre, con caratteri di ordinarietà, un reddito proprio. Al riguardo si precisa che tra i caratteri ordinari rileva anche quello della stabilità dimensionale e distributiva delle unità immobiliari presenti nei compendi commerciali in esame (outlet) ed in quelli assimilabili. Ne discende che, laddove dette unità siano caratterizzate da flessibilità planimetrica e volumetrica, in ragione di elementi mobili di partizione di un unico «open space», che ne definiscono i perimetri ed i volumi in modo potenzialmente variabile nel tempo, le stesse possono essere oggetto di una denuncia unitaria con classamento nella categoria D/8. b) L’individuazione della classe in ragione della parziale «dipendenza» funzionale. Nel contesto di una unità immobiliare urbana riconoscibile in un ambito più ampio di un complesso immobiliare, dovrà assumere particolare attenzione l’attribuzione della classe di merito all’interno della categoria di naturale appartenenza. È indubbio, infatti, come fra gli elementi determinanti che contraddistinguono la redditualità di una u.i.u. vi sia quella relativa alla «posizione» dell’immobile. Tale parametro «posizione» è ordinariamente connesso all’ubicazione all’interno di una determinata porzione del tessuto urbano e configura una maggiore o minore capacità reddituale per la totalità degli immobili della stessa fattispecie esistenti all’interno di quello che è il perimetro di interesse. Nel caso dell’individuazione delle u.i.u. in questione - in genere a destinazione commerciale - potrebbero, invece, configurarsi situazioni diverse dal libero mercato cui l’ordinario classamento fa riferimento5. In tali fattispecie, il classamento dovrà adeguatamente apprezzare tale specificità nell’espressione della classe di merito da assegnare all’u.i.u. all’interno della categoria riconosciuta. 4. Ulteriori disposizioni operative. Le dichiarazioni di variazione e di nuova costruzione prodotte in catasto ai sensi degli articoli 20 e 28 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, devono essere redatte conformemente ai principi tecnici riportati nel presente allegato, ai quali devono conformarsi anche le attività di controllo. Infine, si ribadiscono gli indirizzi operativi già impartiti agli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio con la circolare n. 4 del 16 maggio 2006, qualora non contrastanti con le presenti disposizioni. 3 Cfr. art. 11, comma 1, del decreto legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito dalla legge 13 maggio 1988, n. 154. 4 Al riguardo è da sottolineare l’orientamento sempre più marcato del legislatore a correlare il sistema catastale ai caratteri tecnico-valutativi oggettivi degli immobili, lasciando al sistema impositivo la valutazione dei caratteri soggettivi e le eventuali agevolazioni connesse. 5 Si pensi ad un locale commerciale, all’interno di un complesso immobiliare, capace di attrarre una qualificata clientela. In tal caso la redditualità potrebbe essere riferibile non tanto alla “posizione” (anche decentrata con riguardo al tessuto urbano), quanto al contesto in cui l’esercizio è collocato. 58 Catasto e topografia n. 1-2/2007 AGENZIA DEL TERRITORIO Circolare n. 1/2007 del 15 gennaio 2007 1 Generalità Con la circolare n. 2 del 9 marzo 2006, sono state impartite le prime disposizioni per l’adozione della nuova procedura informatica Pregeo 9 e dei relativi nuovi modelli informatizzati in sostituzione di quelli cartacei, il cui uso era stato autorizzato, in via facoltativa in alternativa alla versione Pregeo 8, fino al 31 dicembre 2006. Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 22.12.2006, pubblicato sulla G.U. n. 1, Serie Generale del 02.01.2007, concernente l’ “Approvazione di nuove specifiche tecniche e attivazione del servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale relativo agli atti di aggiornamento geometrico di cui all’art. 8 della legge 1° ottobre 1969, n. 679 ed agli articoli 5 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650 (Pregeo), limitatamente ad alcune aree geografiche”, sono state altresì pubblicate le specifiche tecniche aggiornate della medesima procedura Pregeo 9. Ciò comporta l’adozione dei nuovi modelli a stampa prodotti dalla procedura, da utilizzare a far data dal 1° Gennaio 2007. In relazione alle innovazioni contenute nella nuova versione della procedura, si rende opportuno fornire specifiche direttive, al fine di una corretta ed uniforme utilizzazione, per la predisposizione e approvazione degli atti di aggiornamento della cartografia catastale e dei corrispondenti archivi censuari. 2. Acquisizione della nuova versione della procedura (Service Pack n. 2) Il nuovo Service Pack n. 2 di Pregeo 9 è disponibile, già dal giorno 7.12.2006, sul sito dell’Agenzia del territorio all’indirizzo: www.agenziaterritorio.gov.it/software/pregeo/pregeo_v9/pregeo_ download.htm come peraltro è stato comunicato ai Consigli Nazionali degli Ordini Professionali abilitati alla presentazione degli atti di aggiornamento cartografico. Si raccomanda di seguire in modo puntuale le istruzioni per l’installazione del programma e di consultare la guida operativa aggiornata al mese di Novembre 2006 disponibile sullo stesso sito1. 3. Modalità di predisposizione e trattazione di particolari tipologie di atti di aggiornamento Si ritiene utile riportare alcune specifiche modalità e prassi operative nella predisposizione e trattazione di alcune specifiche tipologie di documenti di aggiornamento cartografico già in uso e sulle quali, di recente, sono pervenute richieste di chiarimenti, ovvero, indirizzi di nuova introduzione proprio connessi alle modifiche introdotte con la nuova versione della procedura in esame. 3.1 Atti di aggiornamento che non prevedono inserimento in mappa di nuove geometrie La procedura Pregeo 9 SP n. 2 è in grado di gestire anche i casi particolari di atti di aggiornamento che non prevedono l’introduzione in mappa di nuove geometrie: tali atti, come è noto, nella prima attivazione della procedura, erano stati esclusi dalla trattazione. In particolare, si tratta dei: - tipi mappali che contemplano la sola richiesta di fusione di particelle; - tipi mappali per nuova costruzione con area di sedime corrispondente al perimetro dell’intera particella; - tipi mappali per demolizione di fabbricati. In questi casi, il libretto delle misure deve essere predisposto in modalità “ordinaria” utilizzando esclusivamente le seguenti righe codificate: Riga 0: Dati statistici. Riga 9: Quota, precisioni, est media. Riga 6: Riga di commento con la seguente codifica “Conferma”. Infatti, trattandosi di atti di aggiornamento che non prevedono l’inserimento di nuove geometrie non è necessario inserire né misure né coordinate. Si evidenzia che per problemi tecnici, peraltro in fase di risoluzione, per gli atti di aggiornamento che contemplano la trattazione di immobili interrati da trattare con il simbolo “coda di rondine” (>—<) o con il numero di particella tra parentesi [es. (100)], non è ancora possibile completare la componente grafica della proposta di aggiornamento. Per tale tipologia di atti di aggiornamento, dovrà comunque essere redatta la proposta di aggiornamento senza l’introduzione di tali simboli, con l’accortezza di introdurre manualmente la simbologia mancante sulla stampa della pagina “Informazioni geometriche – Proposta di aggiornamento cartografico: rappresentazione grafica” ottenuta dalla procedura; parallelamente i professionisti dovranno chiedere all’Ufficio, nell’ambito della relazione tecnica, l’introduzione dei simboli di che trattasi nella banca dati cartografica. 3.2 Atti di aggiornamento relativi a fogli di mappa su supporto cartaceo Come è noto la conclusione dell’attività di completamento del patrimonio cartografico digitale è prevista per la fine del mese di gennaio 2007; in tale periodo si potrebbe verificare la necessità di approvare atti di aggiornamento relativi a fogli di mappa ancora conservati su supporto cartaceo, perché non disponibili per l’attività di aggiornamento nella banca dati cartografica. In questa ipotesi si procederà alla predisposizione dell’atto di aggiornamento con la procedura Pregeo 9 avendo l’accortezza di utilizzare un estratto di mappa autoallestito, predisposto a partire da una copia estratta dalla mappa cartacea 1 A seguito della pubblicazione del SP2 sono pervenute alla scrivente alcune segnalazioni di lievi malfunzionamenti (es. il mancato collegamento con linea tratteggiata, tra le stazioni del rilievo nella fase di produzione del file PDF; nella pagina relativa alla relazione tecnica del file PDF viene troncato il primo carattere di ogni riga) che comunque non impediscono la corretta predisposizione degli atti di aggiornamento e la loro accettazione e trattazione. Si evidenzia che tali anomalie sono già all’attenzione della scrivente e saranno risolte nell’ambito del nuovo SP che sarà a breve reso disponibile sul sito dell’Agenzia. 59 Catasto e topografia che sarà, per questo solo scopo, rilasciata in esenzione di tributi, in deroga a quanto stabilito dall’articolo 3, comma 2, del decreto direttoriale del 12 ottobre 2006 - “Modalità di esecuzione delle visure catastali”-. Si dovrà avere però cura di compilare il modulo di richiesta previsto dal suddetto provvedimento, nel quale deve essere indicata la finalità della richiesta stessa; il rilascio avverrà senza alcuna interazione con le procedure di cassa. E’ appena il caso di evidenziare che per gli atti di aggiornamento ricadenti su tali fogli non potrà essere rilasciato l’esito dell’aggiornamento cartografico attraverso la procedura Pregeo; conseguentemente, fino al completamento del patrimonio cartografico digitale, in sostituzione dell’esito di aggiornamento cartografico, l’Ufficio rilascerà, in forma gratuita e senza alcuna interazione con le procedure di cassa, una copia della porzione della mappa cartacea aggiornata, da allegare all’atto di aggiornamento approvato. Parimenti, si sottolinea che i fogli di mappa non ancora presenti in banca dati, devono comunque essere censiti come mancanti nel sistema informatico (status H) mediante l’inserimento del nome foglio, cosi come indicato con la nota prot. 92988 del 22.12.2006. Tale operazione è indispensabile per consentire alla procedura Pregeo lato Ufficio, di gestire correttamente i Punti Fiduciali ricadenti su tali fogli e conseguentemente di procedere alla approvazione dei relativi atti di aggiornamento. 3.3 Rispondenza topografica Per tale tipologia di atti di aggiornamento, in fase di accettazione in cassa, dovrà essere selezionato il nuovo tipo di documento “Tipo mappale per conferma mappa”, per il quale il sistema non effettua il controllo sulla obbligatorietà del collegamento con il protocollo dell’estratto di mappa o della convalida di estratto di mappa autoallestito. Si riportano di seguito due casi che si possono presentare. Caso a: L’atto di aggiornamento è predisposto per confermare la rispondenza della mappa catastale allo stato dei luoghi e non è necessario introdurre alcuna variazione cartografica in mappa (anche l’identificativo della particella è conservato), in tale caso non occorre predisporre la componente cartografica della proposta di aggiornamento e, di conseguenza, non è necessario allegare alcuno stralcio di mappa. Caso b: L’atto di aggiornamento è predisposto per confermare la rispondenza della mappa catastale allo stato dei luoghi, ma è necessario introdurre un’unica variazione in mappa - la variazione del numero della particella; in questo caso occorre procedere secondo le seguenti modalità. Il tecnico redattore deve: - predisporre l’atto di aggiornamento sulla base di un estratto di mappa autoallestito, che può essere redatto a partire da una copia estratta dalla mappa cartacea che sarà per questo scopo, rilasciata in forma gratuita e senza alcuna interazione con le procedure di cassa; - predisporre la normale proposta di aggiornamento attribuendo il nuovo identificativo alla particella (provvisorio o definitivo secondo i casi). Al momento dell’accettazione l’Ufficio deve: - protocollare il tipo mappale come: “Tipo mappale per conferma mappa”; - non richiedere il pagamento dei tributi per la convalida dell’Estratto di mappa autoallestito, utilizzando il codice di cassa RC12D in esenzione di tributi. 60 n. 1-2/2007 L’attuale normativa prevede di attribuire un nuovo identificativo alla particella nel caso in cui la stessa cambi destinazione d’uso o in caso di allineamento con l’identificativo già attribuito al N.C.E.U., in ogni caso si tratta sempre di un atto di conferma di geometrie già presenti in cartografia. Tale modalità operativa nasce dalla necessità di aggiornare la cartografia con l’inserimento del nuovo numero di particella che può essere eseguito solo attraverso la predisposizione della proposta di aggiornamento. Si evidenzia infine che, in entrambi i casi, nella Relazione Tecnica deve essere riportata l’idonea dichiarazione che quanto presente nella mappa corrisponde allo stato dei luoghi. 3.4 Tipo mappale riguardante più fabbricati dichiarati da ditte diverse, allineate o meno con l’intestazione di catasto dei terreni I tipi mappali riguardanti più fabbricati appartenenti a ditte diverse, insistenti su di un’unica particella originaria o comunque su di un appezzamento continuo di terreno interessante più particelle, con la circolare 2/2006 erano stati esclusi dalla trattazione con procedura Pregeo 9. Si evidenzia ora che tali tipologie di atti di aggiornamento possono essere completamente trattati con l’attuale versione della procedura (SP n. 2). Per la predisposizione di tali tipologie di documenti di aggiornamento, nella pagina Informazioni Generali, sono da riportare tutti i titolari di diritti reali delle particelle interessanti l’atto di aggiornamento cartografico oltre i soggetti dichiaranti per le ditte non allineate. Per i lotti con ditta non allineata, si dovrà indicare nella pagina Informazioni sui soggetti, la ditta da intestarsi al N.C.E.U. per ogni nuova particella o lotto urbano costituito. In deroga a quanto previsto al paragrafo n. 8.2 della circolare n. 2 del 9 marzo 2006, alla verifica della coerenza dell’intestazione catastale indicata dalla parte ed all’apposizione di eventuali riserve, si provvederà al momento dell’accettazione della pratica Docfa e non nella fase di approvazione del tipo mappale. Pertanto la ditta dichiarata sull’atto di aggiornamento cartografico non formerà oggetto di variazione, qualora impropriamente indicata dal tecnico redattore. 3.5 Casi particolari di compilazione della pagina Informazioni Generali Nel caso di tipo di frazionamento per esproprio o per altri motivi in cui è prevista la redazione d’ufficio di atti di aggiornamento, in deroga a quanto previsto in linea generale dalla circolare 2/2006, nella pagina Informazioni Generali, è sufficiente riportare il nominativo di uno solo dei titolari di diritti reali di una qualunque delle particelle interessate dall’atto di aggiornamento. Si ricorda inoltre che all’atto di aggiornamento delle fattispecie in esame deve essere allegata la lettera di incarico al professionista da parte dell’ente che autorizza il procedimento. Qualora l’atto di aggiornamento è propedeutico alla presentazione di una dichiarazione di successione ereditaria, nella pagina Informazioni Generali, devono essere riportati i nominativi di tutti i titolari dei diritti reali compreso il “de cuius”, oltre ai nominativi degli eredi firmatari. Resta fermo l’obbligo della allegazione della lettera di incarico. 3.6 Particelle divise in porzioni Fino a quando non saranno disponibili specifiche modifiche alle procedure informatiche di aggiornamento della ban- Catasto e topografia n. 1-2/2007 ca dati catastale, per la redazione di atti interessanti particelle divise in “porzioni” nell’archivio censuario, il professionista autorizzato dal titolare dei diritti reali, o direttamente il titolare, deve propedeuticamente richiedere all’ufficio, con istanza in carta libera, l’unificazione delle porzioni. L’ufficio provvederà ad unificare le stesse attribuendo alla particella risultante la qualità di coltura e la classe caratterizzata da tariffa di maggiore reddito dominicale. Nel caso che le particelle derivate dall’atto di aggiornamento conservino natura agraria, è necessario provvedere a presentare un modello 26 per recuperare le effettive qualità di coltura attuate sulle particelle intere o loro porzioni. In tale senso saranno fornite informative al tecnico professionista redattore dell’atto affinché coinvolga le parti per la predisposizione delle conseguenti variazioni censuarie per il ripristino delle colture in atto. 3.7 Punti Fiduciali ricadenti fuori dalla provincia di competenza Qualora l’atto di aggiornamento contempla Punti Fiduciali ricadenti in una provincia diversa da quella in cui ricadono le particelle da trattare, il professionista dovrà rinominare tali Punti Fiduciali come punti ausiliari. 3.8 Stampa dell’esito dell’aggiornamento cartografico Qualora il sistema non dovesse consentire la stampa dell’esito di aggiornamento cartografico corretto o completo di tutte le particelle interessate dall’aggiornamento, l’Ufficio dovrà allegare all’attestato di approvazione una normale visura cartografica, in esenzione di tributi, relativa alla porzione di mappa interessata dall’atto di aggiornamento. 3.9 Estratti di mappa ricadenti su più fogli Con nota del 15.5.2006 prot. n. 34902, sono state fornite le direttive per il rilascio di estratti di mappa ricadenti su più fogli in relazione alla protocollazione della richiesta ed alla liquidazione dei tributi. Ad integrazione di tali direttive, si comunica che con una sola richiesta di estratto di mappa il sistema consente ora anche la possibilità di liquidare il numero totale di particelle e di produrre tanti estratti di mappa digitali per quanti sono i fogli interessati. 3.10 Modifiche all’attestato di approvazione per il caso di atto di aggiornamento avente funzioni di tipo di frazionamento e mappale. A seguito di richieste pervenute da alcuni Uffici, si è provveduto alla modifica della stampa dell’attestato di approvazione al fine di integrare le informazioni censuarie relative ai lotti di nuova formazione e di evidenziare entrambi i protocolli di approvazione nel caso di atto di aggiornamento avente funzioni di tipo di frazionamento e mappale. Si ricorda che tale atto di aggiornamento misto sconta i tributi speciali e l’imposta di bollo per l’estratto di mappa, oltre all’imposta di bollo per il secondo originale e ai tributi per l’approvazione. Per il tipo mappale essendo redatto sulla base dello stesso estratto di mappa, si dovrà provvedere alla riscossione dei soli tributi speciali per l’approvazione. 4. Disposizioni finali Gli Uffici provinciali, nello spirito della fattiva collaborazione instaurata con gli Ordini e i Collegi professionali interessati, avranno cura di dare la massima diffusione a livello locale del contenuto della presente circolare, provvedendo a fornire ogni utile indirizzo operativo ed informativo. Le Direzioni Regionali supporteranno gli Uffici provinciali nell’attuazione della presente circolare e ne verificheranno la corretta applicazione. Il Direttore Carlo Cannafoglia AGENZIA DEL TERRITORIO Provvedimento 9 febbraio 2007 efinizione delle modalità tecniche e operative per l’accertamento in catasto dei fabbricati non dichiarati e di quelli che hanno perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali. D IL DIRETTORE DELL’AGENZIA Visto il regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, concernente l’«Accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano»; Visto il decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni e integrazioni, concernente ulteriori interventi correttivi per la finanza pubblica; Visto il decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, concernente il «Regolamento recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari»; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 139, e successive modificazioni, concernente il «Regolamento recante norme per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma dell’art. 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662»; Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il «Codice dell’amministrazione digitale» e successive modificazioni; Visto l’art. 2, comma 36, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, come modificato dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha introdotto nuove modalità per l’accertamento in cata- 61 Catasto e topografia sto dei fabbricati che hanno perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, ovvero non dichiarati, e ha previsto l’emanazione di un provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio, per stabilire le modalità tecniche e operative; Dispone: Art. 1. Ambito di applicazione 1. Ai sensi di quanto previsto dall’art. 2, comma 36, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni, sono oggetto del presente provvedimento i fabbricati iscritti al catasto terreni per i quali siano venuti meno i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, nonché quelli che non risultano, in tutto o in parte, dichiarati al catasto. 2. Ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, i fabbricati o le porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa devono soddisfare le condizioni previste dall’art. 9, commi 3, 4 e 5, del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133. 3. Ai fini fiscali, deve riconoscersi carattere rurale alle costruzioni strumentali alle attività agricole anche a seguito di mutazione delle caratteristiche oggettive e di destinazione d’uso dell’immobile, secondo quanto previsto dall’art. 9, comma 3-bis, del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557. Art. 2. Adempimenti di parte 1. I fabbricati per i quali vengono meno i requisiti per il riconoscimento di ruralità ai fini fiscali a seguito del disposto dell’art. 2, comma 37, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, devono essere dichiarati, dai titolari di diritti reali, al catasto edilizio urbano entro il 30 giugno 2007. In tal caso non si applicano le sanzioni previste dall’art. 28 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni. 2. Gli immobili che non risultano dichiarati in tutto o in parte al catasto ovvero i fabbricati iscritti al catasto terreni che hanno perso i requisiti di ruralità per motivi diversi da quelli di cui al comma 1, devono essere dichiarati al catasto edilizio urbano, a cura dei soggetti titolari di diritti reali. 3. In mancanza di adempimento di parte si applicano le disposizioni di cui all’art. 2, comma 36, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Art. 3. Attività di accertamento massive 1. Gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio individuano i fabbricati di cui all’art. 1 sulla base degli elementi acquisiti direttamente, anche attraverso incroci con altre banche dati, ovvero resi disponibili dai soggetti pubblici nell’ambito dei loro compiti istituzionali. In particolare sono utilizzate le informazioni desumibili da ortofoto, sovraimposte e georiferite rispetto alla cartografia catastale, per identificare i fabbricati non dichiarati, in tutto o in parte, in catasto ovvero quelli per i quali risultano modificate le caratteristiche per essere censiti ancora quali fabbricati rurali. 2. Per lo svolgimento delle attività di cui al comma 1 sono utilizzate, in particolare, le informazioni fornite dal- 62 n. 1-2/2007 l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), derivanti da verifiche amministrative, da fotoidentificazione e da sopralluogo sul terreno, dalla stessa effettuate, nonché quelle fornite dai soggetti interessati dalle richieste di contributi agricoli, a partire dall’anno 2007, rese ai sensi di quanto previsto dall’art. 2, comma 33, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262. 3. Per lo svolgimento delle attività di cui al comma 1 sono, altresì, utilizzate informazioni rese disponibili dall’Agenzia delle entrate e dai comuni. 4. Le modalità operative per l’interscambio informativo con l’AGEA, nell’ambito delle attività di cui al comma 2, sono quelle stabilite con il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 29 dicembre 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 2007. 5. L’Agenzia del territorio fornisce all’AGEA i fogli di mappa aggiornati e l’elenco dei fabbricati, suddivisi per comune, presenti in catasto terreni, al fine di avviare, attraverso l’attivazione del rapporto convenzionale previsto dall’art. 2, comma 6, del provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 29 dicembre 2006, il controllo delle informazioni fornite, ai sensi dell’art. 3, comma 2, relativamente ai fabbricati censiti come rurali, nonché la fotoidentificazione di tutti gli altri fabbricati non presenti in catasto. 6. L’Agenzia del territorio, entro tre mesi dall’emanazione del presente provvedimento, rende disponibile l’elenco degli immobili presenti in catasto terreni quali fabbricati, comprensivi dei dati relativi agli intestatari catastali: all’Agenzia delle entrate, per l’elaborazione dei dati utili per il riscontro dei requisiti desumibili dalle risultanze delle dichiarazioni annuali presentate dai contribuenti e risultanti in anagrafe tributaria; ai comuni, per il territorio di competenza, per le verifiche sull’effettivo stato e destinazione d’uso degli stessi immobili. 7. Le dichiarazioni catastali presentate dai soggetti obbligati, relative agli immobili di cui trattasi, sono rese disponibili dall’Agenzia del territorio ai comuni territorialmente competenti, ai fini dei controlli sulle caratteristiche oggettive dell’immobile, nell’ambito delle forniture di cui all’art. 34-quinques, comma 1, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4. Art. 4. Forme di pubblicità delle attività di accertamento massive 1. Le risultanze delle attività di verifica periodica su larga scala, finalizzate all’individuazione degli immobili non dichiarati in catasto e dei fabbricati iscritti al catasto terreni che hanno subito modifiche delle caratteristiche oggettive o perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, sono pubblicizzate con le modalità di cui all’art. 2, comma 36, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262. Art. 5. Attività di aggiornamento d’ufficio 1. Qualora gli interessati non abbiano presentato nei termini previsti le dichiarazioni catastali di cui all’art. 2, decorsi novanta giorni dalla data di pubblicazione del comunicato di cui all’art. 2, comma 36, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio provvedono, in surroga del soggetto obbligato inadem- n. 1-2/2007 piente e con oneri a carico dello stesso, agli adempimenti previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701. 2. Nei casi di mancato o tardivo adempimento di parte si applica la sanzione prevista dall’art. 31 del regio decretolegge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni, per le violazioni degli articoli 20 e 28 dello stesso regio decreto-legge n. 652 del 1939. Art. 6. Oneri per l’aggiornamento d’ufficio 1. Per l’aggiornamento d’ufficio eseguito ai sensi del- Catasto e topografia l’art. 5 si applicano gli oneri previsti dalla determinazione del direttore dell’Agenzia del territorio 30 giugno 2005, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 4 luglio 2005. Art. 7. Entrata in vigore 1. Il presente provvedimento sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione. Roma, 9 febbraio 2007 Il Direttore dell’Agenzia Mario Picardi AVVIATO IL CONTROLLO DEI FABBRICATI RURALI di Franco Guazzone on il provvedimento dell’Agenzia del territorio del 9 febbraio 2007 sono state definite le modalità tecniche e operative per l’accertamento in catasto dei fabbricati non dichiarati e di quelli che hanno perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali. C Secondo la relazione tecnica allegata al D.L. 262/2006, collegato alla Finanziaria, dei 4 milioni di fabbricati rurali iscritti al catasto terreni, almeno un terzo è ritenuto ormai privo dei requisiti di ruralità, circostanza che ha indotto il legislatore a varare la disposizione inserita nell’art. 2, comma 36, del decreto legge, convertito dalla legge 286/2006, che prevede la verifica dei requisiti di ruralità dei fabbricati aziendali, annessi ai fondi rustici. L’Agenzia del territorio, con il provvedimento del 9 febbraio scorso attuativo della norma, dispone una serie di controlli di tutti gli edifici presenti nelle aziende agricole, al fine di individuare quelli iscritti al catasto terreni che risultino privi dei requisiti di ruralità, ma anche quelli mai dichiarati e probabilmente abusivi. I requisiti richiesti per la ruralità Premesso che nel mirino del legislatore vi sono i fabbricati abitativi, ricordiamo che -a norma dell’art. 9, commi 3, 4 e 5, del D.L. 557/1993, convertito nella legge 133/1994, come modificati dall’art. 2, comma 37, del D.L. 262/2006 e dal comma 339 all’art. 1 della legge 296/2006 (Finanziaria 2007) -i requisiti necessari per ottenere l’esenzione per ruralità sono i seguenti: a. il fabbricato deve essere posseduto dall’utilizzatore del terreno (proprietario, affittuario, comodatario o conduttore ad altro titolo), a cui l’immobile abitativo è asservito, «sempreché tali soggetti rivestano la qualifica di imprenditore iscritto nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 580/1993», escludendo dall’obbligo i familiari conviventi a loro carico, i pensionati per attività svolta in agricoltura e i coadiuvanti iscritti come tali ai fini previdenziali; b. l’immobile deve essere utilizzato quale abitazione dai soggetti di cui alla lettera precedente, sulla base di un titolo idoneo, ovvero da dipendenti esercitanti l’attività agricola a tempo indeterminato o a tempo determinato superiore a 100 giornate lavorative nell’anno; c. il terreno, a cui il fabbricato è asservito, deve avere una superficie non inferiore a 10 mila metri quadrati ed essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario. Qualora sul terreno siano praticate colture specializzate in serra o la funghicoltura o altra coltura intensiva, ovvero il terreno sia ubicato in un comune considerato montano, ai sensi dell’art. 1, comma 3, la superficie minima del fondo è ridotta a 3 mila mq; d. il volume d’affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del reddito complessivo (rigo N1 del Modello Unico o 730), al netto dei trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. Se il terreno risulta ubicato in un comune montano, il volume d’affari deve risultare superiore al 25% del suo reddito complessivo. Il volume d’affari per i coltivatori esonerati dal versamento dell’IVA si presume pari a 7 mila euro, costituito per almeno due terzi dalla cessione di prodotti del fondo stesso; e. non possono, comunque, essere considerati rurali i fabbricati appartenenti alle categorie catastali A/1 e A/8, ovvero quelli che abbiano caratteristiche di lusso, ai sensi del D.M. lavori pubblici del 2 agosto 1969. Esclusi i fabbricati strumentali Peraltro, ai fabbricati strumentali alle attività agricole, non abitativi, di cui al comma 3-bis del predetto art. 9, dello stesso decreto, deve comunque riconoscersi carattere rurale, a condi- 63 Catasto e topografia n. 1-2/2007 zione che risultino asserviti a un fondo agricolo (edifici destinati alla conservazione delle piante, ai prodotti agricoli, alla custodia delle macchine, agli attrezzi e alle scorte, nonché quelli destinati all’agriturismo) oltre, ovviamente, a quelli indicati dall’art. 32 del TUIR (D.P.R. 917/1986), utilizzati per l’allevamento di animali, le attività di coltivazione in serra, la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione dei prodotti, ancorché non svolte sul fondo a condizione che l’immobile sia ubicato nel comune di appartenenza, ovvero in uno dei comuni viciniori. Gli adempimenti a carico dei proprietari I fabbricati che risulteranno privi dei requisiti di legge dovranno essere accatastati dai possessori di diritti reali sui medesimi, entro il 30 giugno 2007, mediante incarico a un professionista tecnico (ingegnere, architetto, geometra, perito edile, perito agrario, dottore agronomo), con le modalità previste dal D.M. finanze 701/1994, con proposta di rendita, per evitare le sanzioni previste (riquadro 1). Qualora non vi provveda il proprietario, l’Ufficio provinciale del territorio eseguirà l’accertamento d’ufficio, con spese (salate) a carico dei possessori, oltre all’applicazione delle sanzioni. Metodologie di controllo Diverse le metodologie di controllo previste, la prima delle quali è quella dell’incrocio dei dati anagrafici dei possessori risultanti in catasto, con altre banche dati (Camere di commercio, Istituti di previdenza, anagrafe fiscale, Enti fornitori di servizi idrici, elettrici e telefonici, comuni ecc.). Successivamente, saranno utilizzati dati ortofotografici, ripresi da satelliti e sovrapposti alla cartografia catastale, per individuare gli edifici mai dichiarati o esistenti ma modificati (ampliati), oltre alle informazioni contenute nelle richieste di fruizione dei contributi CE, presentate all’AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) e dalle ispezioni da questa eseguite in luogo, a partire dal 1° gennaio 2007. A tal fine, per l’interscambio di informazioni, l’Agenzia fornirà all’AGEA i fogli di mappa aggiornati e l’elenco degli intestati per ciascun comune interessato dei fabbricati iscritti in catasto, nonché la foto identificazione di tutti quelli non censiti. L’elenco sarà fornito anche all’Agenzia delle entrate e ai comuni, mentre le copie delle dichiarazioni presentate dagli obbligati saranno inviate, per conoscenza, ai comuni medesimi per gli adempimenti fiscali di competenza, ma anche per le osservazioni eventuali di merito. In cambio l’AGEA dovrà inviare all’Agenzia del territorio l’elenco dei fabbricati aziendali, con l’indicazione delle destinazioni d’uso e delle dimensioni, la data di costruzione e i nominativi dei soggetti titolari dei diritti reali sui medesimi, dati che per il passato (2006) non sarà possibile ottenere, posto che queste informazioni non sono contenute nelle domande e che i sopralluoghi istituzionali dell’ente si esauriscono di norma nell’anno. Pubblicizzazione degli elenchi Una volta individuati gli immobili obiettivo dell’operazione, la data di riferimento all’anno in cui sono venuti a mancare i requisiti di ruralità se accertata e i nominativi degli intestatari per ogni comune, saranno compilati appositi elenchi da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, mediante comunicato dell’Agenzia, nonché resi disponibili per 60 giorni presso i comuni e visibili nel sito Internet dell’Agenzia per lo stesso periodo. La comunicazione esplicherà gli effetti dell’invito alla presentazione delle dichiarazioni, da effettuare entro 90 giorni dalla pubblicazione del comunicato in Gazzetta Ufficiale, trascorsi inutilmente i quali l’accatastamento verrà effettuato dall’Ufficio provinciale del Territorio, a spese degli obbligati. Considerazioni conclusive L’uso della Gazzetta Ufficiale per l’invito a presentare le denunce sembra alquanto sproporzionato nella fattispecie, in quanto non assicura l’immediata conoscenza della norma da parte degli obbligati, ancorché legalmente assicurata, procedura non in linea con le norme di affidabilità e buona fede prevista dallo statuto del contribuente, mentre, a nostro avviso, sarebbe stato più opportuno coinvolgere i comuni, che avrebbero potuto usare la metodologia dell’art. 1, comma 336, della legge 311/2004, per invitare direttamente i possessori alla denuncia mediante avviso notificato, con maggiore certezza di raggiungere i destinatari. Di conseguenza, i tempi lasciati agli obbligati per l’adempimento della denuncia ci sembrano francamente insufficienti, in quanto prima che i possessori si accorgano dell’obbligo, si rivolgano a un tecnico e questi provveda a predisporre la denuncia, che magari necessita di tipo mappale, i 90 giorni saranno certamente già trascorsi, ancorché l’Agenzia ricorra ad altre forme di comunicazione sui giornali o alla televisione. Auspichiamo pertanto un prolungamento almeno a 180 giorni, come si è fatto in passato per i condoni, anche perché molti obbligati, solo ora assoggettati all’accatastamento per via della modifica al D.L. 557/1993 (iscrizione al registro delle imprese), potrebbero legittimamente provvedervi nel frattempo, creando i presupposti per l’esclusione dall’obbligo. Infine, ipotizziamo che le operazioni si svolgeranno autonomamente per provincia, man mano che saranno effettuati i controlli, a cui seguiranno i comunicati e le relative pubblicazioni, che dovrebbero durare non meno di un anno, alla prima applicazione. Sanzioni per ritardata presentazione delle denunce catastali Le ritardata presentazione degli aggiornamenti al catasto prevede l’applicazione delle sanzioni dell’art. 31 del R.D.L 652/1939, come modificate dall’art. 1, comma 338, della legge 311/2004 (da 258 a 2.066 euro), sanabili con il ravvedimento operoso (art. 13 del D.P.R. 472/1997) per cui, se il ritardo è inferiore a 90 giorni, si applica la misura di 1/8 del minimo (32,25 euro), se inferiore a un anno 1/5 (51,60 euro) e se supera l’anno 300 euro, riducibili a un quarto se versati entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di saldo. Riquadro 1 «Consulente Immobiliare» 64 Catasto e topografia n. 1-2/2007 AGENZIA DEL TERRITORIO Provvedimento 2 marzo 2007 agamento dei servizi telematici erogati dall’Agenzia del territorio tramite utilizzo di somme versate su conto corrente unico a livello nazionale. P IL DIRETTORE DELL’AGENZIA Visto il regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, recante nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e di contabilità generale dello Stato e successive modificazioni; Visto il decreto-legge 31 luglio 1954, n. 533, convertito con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1954, n. 869, ed in particolare il titolo III della tabella A allegata al medesimo decreto, da ultimo modificata dalla tabella 2 allegata al decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286; Visto il decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347, e successive modificazioni, che ha approvato il testo unico delle imposte ipotecaria e catastale, ed in particolare la tabella delle tasse ipotecarie, come modificata, da ultimo, dall’art. 2, comma 65, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286; Visto il decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237, ed in particolare l’art. 6, comma 3, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 19 novembre 1998, n. 422, il quale prevede che la riscossione delle tasse ipotecarie e dei tributi speciali catastali e’ effettuata dagli uffici periferici del Dipartimento del territorio; Visto l’art. 24 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante misure per la stabilizzazione della finanza pubblica, ed in particolare i commi 39 e 40, i quali prevedono che il pagamento dei tributi possa essere effettuato anche con sistemi diversi dal contante e che le modalità di esecuzione dei pagamenti medesimi sono stabilite con uno o più decreti del Ministro delle finanze; Visto il decreto 16 dicembre 1998, emanato dal Ministero delle Finanze di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, recante la determinazione delle modalità di versamento in Tesoreria provinciale dello Stato delle somme riscosse dagli uffici periferici del Dipartimento del territorio e di approvazione delle convenzioni con gli intermediari bancari; Visto l’art. 57 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, che ha istituito, tra l’altro, l’Agenzia del territorio, alla quale sono stati trasferiti tutti i rapporti giuridici, poteri e competenze già di spettanza del Dipartimento del territorio del Ministero delle finanze; Visto l’art. 1, comma 374, lettera d), della legge 30 dicembre 2004, n. 311, il quale prevede che, in caso di versamento effettuato con modalità telematiche, i tributi dovuti siano riversati alla sezione di Tesoreria provinciale dello Stato entro il terzo giorno lavorativo successivo a quello della riscossione, rinviando a provvedimenti dell’Agenzia del territorio, d’intesa con il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato la determinazione delle modalità di versamento; Visto il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 21 marzo 2005, concernente il pagamento dei servizi telematici erogati dall’Agenzia del territorio tramite l’utilizzo di somme versate su conto corrente postale, emanato a seguito di parere favorevole del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, espresso con nota prot. n. 32236 del 17 marzo 2005; Visto l’art. 1, comma 5, del decreto-legge del 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 11 marzo 2006, n. 81, concernente interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità di impresa; Considerate le istruzioni impartite con circolare n. 47 del 13 marzo 2000 sulla rendicontazione annuale, conti amministrativi e giudiziali dei servizi di cassa, concordata con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale di Finanza, ai sensi dell’art. 646 del Regolamento di contabilità generale dello Stato; Considerato che con nota prot. n. 122411 del 18 settembre 2006 il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - IGF ufficio XIV, ha autorizzato la realizzazione del progetto istitutivo dell’Agente contabile centrale responsabile delle riscossioni con modalità telematiche; Considerato che con nota prot. n. 86927 del 1° dicembre 2006 e’ stato nominato l’Agente contabile per le riscossioni telematiche che affluiscono sul conto corrente unico a livello nazionale dell’Agenzia del territorio; Ritenute sussistenti le condizioni per consentire ai contribuenti, l’effettuazione del pagamento dei tributi e delle altre entrate riscosse dall’Agenzia del territorio con ulteriori sistemi diversi dal contante, oltre a quelli già previsti; Considerata l’esigenza di disciplinare, nell’ambito dei sistemi di pagamento diversi dal contante, le modalità di gestione delle disponibilità costituite mediante versamento, per via telematica, su di un conto corrente unico nazionale intestato all’Agenzia del territorio, da utilizzarsi per il pagamento dei servizi erogati in via telematica; Considerato il parere favorevole del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, espresso con nota prot. n. 0005319 del 15 gennaio 2007; Dispone: Art. 1. Pagamento dei servizi telematici tramite utilizzo di somme versate su conto corrente unico 1. Il pagamento dei tributi dovuti per i servizi ipotecari e catastali richiesti ed erogati tramite il sistema telematico dell’Agenzia del territorio può essere effettuato mediante l’utilizzo di somme versate preventivamente con modalità telematiche sul conto corrente postale unico a livello nazionale, intestato alla medesima Agenzia. Art. 2. Disponibilità delle somme versate 1. Le somme destinate al pagamento dei servizi telematici sono versate sul conto corrente postale unico a livello nazio- 65 Catasto e topografia nale, intestato all’Agenzia del territorio, con modalità telematiche, attraverso un portale dedicato. Le somme versate sono rese disponibili all’utente sul sistema telematico per il pagamento dei tributi dovuti. Art. 3. Gestione dell’importo reso disponibile 1. Al momento della richiesta di erogazione dei servizi, la somma dovuta per il pagamento dei relativi tributi viene detratta dall’importo reso disponibile all’utente ai sensi dell’articolo precedente. 2. Qualora non sia possibile erogare i servizi richiesti, l’importo reso disponibile viene automaticamente reintegrato delle somme detratte al momento della richiesta. 3. Qualora l’importo reso disponibile all’utente non sia sufficiente ad effettuare il pagamento dei tributi dovuti, l’Agenzia non procede all’erogazione dei servizi. 4. L’utente può richiedere all’Agenzia la restituzione delle somme versate, rese disponibili sul sistema telematico, ma ancora non utilizzate. 5. In ogni caso all’utente non sono riconosciuti interessi per le somme versate. Art. 4. Riscossione dei tributi e versamento alla Tesoreria centrale dello Stato 1. Per le somme detratte a fronte dell’erogazione dei ser- n. 1-2/2007 vizi, che affluiscono sul conto corrente unico a livello nazionale dell’Agenzia, l’Agente contabile per le riscossioni telematiche rilascia ricevuta telematica di pagamento. Le somme così riscosse sono versate dal medesimo Agente contabile alla Tesoreria centrale dello Stato e agli Istituti tesorieri delle regioni Sicilia e Sardegna per la quota parte di pertinenza delle stesse regioni, entro il terzo giorno lavorativo successivo a quello di riscossione. Art. 5. Servizi telematici per i quali e’ possibile effettuare il pagamento dei tributi tramite utilizzo di somme versate su conto corrente unico a livello nazionale. 1. L’elenco dei servizi telematici per i quali e’ possibile effettuare il pagamento dei tributi utilizzando le modalità previste dal presente provvedimento sarà reso noto con successivi comunicati del direttore dell’Agenzia del territorio che verranno pubblicizzati sul sito internet della medesima Agenzia all’indirizzo www.agenziaterritorio.it Art. 6. Entrata in vigore 1. Il presente provvedimento sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione. Roma, 2 marzo 2007 Bova (RC) “capanna del pastore = lo kassári (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina) 66 Catasto e topografia n. 1-2/2007 AGENZIA DEL TERRITORIO Provvedimento 20 marzo 2007 stensione del servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale, relativo alle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e alle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unità immobiliari urbane censite (Docfa) e approvazione di nuove specifiche tecniche. E IL DIRETTORE DELL’AGENZIA Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e successive integrazioni e modificazioni e, in particolare, l’art. 64 riguardante l’Agenzia del territorio; Visto il decreto del Ministro delle finanze n. 1390 del 28 dicembre 2000, come modificato dal successivo decreto ministeriale 20 marzo 2001, n. 139, con cui sono state rese esecutive, a decorrere dal 1° gennaio 2001, le agenzie fiscali previste dagli articoli dal 62 al 65 del citato decreto legislativo n. 300/1999; Visto il decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, concernente il «Regolamento recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari» e, in particolare, l’art. 3, in cui si prevede che gli atti di aggiornamento del catasto possono essere trasmessi per via telematica all’ufficio competente, mediante l’utilizzo del programma di ausilio distribuito dall’amministrazione finanziaria, e con le modalità e le procedure dalla stessa definite; Visto il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 280, il quale prevede che le funzioni amministrative in materia di catasto terreni ed urbano, nell’ambito delle province di Trento e di Bolzano, nonché dei comuni in provincia di Vicenza e di Brescia che ne facciano richiesta, presso i quali vige il sistema dei libri fondiari gestito dalla provincia autonoma di Trento, sono esercitate, per delega dello Stato, dalle province autonome; Visto il decreto direttoriale 7 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 282 del 4 dicembre 2001, concernente la «Presentazione delle planimetrie degli immobili urbani e degli elaborati grafici, nonché dei relativi dati metrici, su supporto informatico unitamente alle dichiarazioni di nuova costruzione e di variazione di unità immobiliari da presentare agli uffici dell’Agenzia del territorio»; Visto l’art. 1, comma 374, della legge 30 dicembre 2004, n. 311; Visto il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 22 marzo 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 70 del 25 marzo 2005, che fissa termini, condizioni e modalità relative alla presentazione del modello unico informatico di aggiornamento degli atti catastali, e rinvia ad appositi provvedimenti del direttore dell’Agenzia del territorio l’approvazione delle specifiche tecniche del modello unico informatico catastale relativamente a determinate tipologie di atti di aggiornamento; Visto il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 22 marzo 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 77 del 4 aprile 2005, che prevede l’attivazione del servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale relativo alle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e alle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unità immobiliari urbane censite, limitatamente ad alcune aree geografiche; Visto il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 2 febbraio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 33 del 9 febbraio 2006, con cui il servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale relativo alle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e alle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unità immobiliari urbane censite e’ stato esteso, in via sperimentale, ad ulteriori aree geografiche; Visto il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 2 maggio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 106 del 9 maggio 2006, con cui il servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale relativo alle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e alle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unità immobiliari urbane censite e’ stato esteso, in via sperimentale, ad ulteriori aree geografiche; Visto il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 23 giugno 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 150 del 30 giugno 2006, con cui il servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale relativo alle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e alle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unità immobiliari urbane censite e’ stato esteso, in via sperimentale, ad ulteriori aree geografiche; Visto il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 13 luglio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 165 del 18 luglio 2006, con cui il servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale relativo alle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e alle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unità immobiliari urbane censite e’ stato esteso, in via sperimentale, ad ulteriori aree geografiche; Considerata l’esigenza, in relazione agli sviluppi tecnologici dei sistemi informatici in dotazione dell’amministrazione, di approvare le nuove specifiche tecniche del modello unico informatico catastale relativo alle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e alle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unità immobiliari urbane censite; Considerato inoltre che, a seguito dell’esito positivo della fase sperimentale, e’ opportuno estendere il servizio per la presentazione in via telematica delle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e delle dichiarazioni di variazione dello stato dei beni (Docfa) a tutto il territorio nazionale; Dispone: Art. 1. Specifiche tecniche 1. Sono approvate le nuove specifiche tecniche del modello unico informatico catastale relativo alle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova 67 Catasto e topografia costruzione e alle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unità immobiliari urbane censite, riportate nell’allegato n. 1. 2. Fino al 31 ottobre 2007 il modello unico di cui al comma 1 può essere predisposto secondo le specifiche approvate con il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 22 marzo 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 77 del 4 aprile 2005. Art. 2. Estensione del servizio 1. Il servizio di trasmissione telematica degli atti di aggiornamento costituiti dalle dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e dalle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unità immobiliari urbane censite e’ attivato su tutto il territorio nazionale, ad eccezione dei territori nei quali le funzioni amministrative in materia di catasto edilizio urbano sono esercitate dalle province autonome di Trento e Bolzano, ed esteso a tutti i tecnici professionisti abilitati alla redazione degli atti di aggiornamento medesimi. Art. 3. Entrata in vigore 1. Il presente provvedimento sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione. Roma, 20 marzo 2007 Il Direttore dell’Agenzia Mario Picardi Allegato 1 Specifiche tecniche del modello unico informatico catastale per la trasmissione telematica degli atti di aggiornamento costituiti dalle dichiarazioni per l’accertamento delle unita’ immobiliari urbane di nuova costruzione e dalle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e destinazione delle unita’ immobiliari urbane censite. 1. Composizione del modello unico informatico catastale. Il modello unico informatico catastale per la trasmissione telematica degli atti di aggiornamento di cui all’art. 1, e’ costituito da un documento informatico, in formato PDF (Portable Document Format) versione 1.4, identificato da: nome documento: sei caratteri alfanumerici, dove i primi due hanno valore fisso «NC», il terzo carattere vale «A» nel caso di nuova costruzione e «V» nel caso di variazione di unità immobiliare censita, gli ultimi tre caratteri sono costituiti da un progressivo numerico; estensione: di valore fisso «PDF», a titolo esemplificativo si riporta il nome documento di un modello unico informatico catastale relativo a dichiarazione di nuova costruzione: NCA001.PDF. Ogni documento contiene le informazioni relative ai soggetti ed alle unità immobiliari previste dai quadri D1, 1N e 68 n. 1-2/2007 2N del modello unico informatico catastale; inoltre, per ogni unità immobiliare urbana, appartenente alle categorie catastali di gruppo A, B, C, D ed E, e, ove necessario, per la rappresentazione delle parti comuni del fabbricato, contiene la rappresentazione delle schede che compongono la planimetria catastale o l’elaborato planimetrico. Il contenuto del documento può essere visualizzato mediante qualsiasi prodotto software per la lettura di documenti in formato PDF versione 1.4 o superiore. La sezione allegati del documento PDF contiene i seguenti archivi: un file identificato dal nome documento e dall’estensione DAT (es. NCA001.DAT), contenente le informazioni relative ai soggetti e agli immobili contenuti nel modello unico informatico catastale, come riportato nel sub-allegato 1 del provvedimento dell’Agenzia del territorio del 22 marzo 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 77 del 4 aprile 2005; un file opzionale per la ripresentazione di atti intermedi mancanti, limitatamente alle dichiarazioni di variazione di unità immobiliari censite, identificato dal nome documento, in cui il terzo carattere assume valore fisso «P» e dall’estensione DAT (es. NCP001.DAT), contenente le informazioni relative a dichiarazioni di nuova costruzione, dichiarazioni di variazione di unità immobiliari censite e a volture catastali, come riportato nel sub-allegato 2 del succitato provvedimento; un file contenente le informazioni relative ai dati metrici delle unità immobiliari urbane, di categoria ordinaria, presenti nel modello unico informatico catastale, come riportato nel suballegato 3 del succitato provvedimento, identificato dal nome documento, in cui il secondo carattere assume valore fisso «M» e dall’estensioneDAT (es. NMA001.DAT); un file contenente l’elenco delle unità immobiliari e delle parti comuni del fabbricato presenti nel modello unico informatico catastale e la relativa descrizione della destinazione d’uso come riportato nel sub-allegato 4 del succitato provvedimento, identificato dal nome documento, in cui i primi due caratteri assumono valore fisso «EP» e dall’estensione DAT (es. EPA001.DAT); un file contenente le informazioni per il collegamento degli elaborati grafici prodotti per le unità immobiliari urbane presenti nel modello unico informatico catastale e per la descrizione delle parti comuni del fabbricato, così come prodotto dalla procedura Docfa, identificato dal nome documento e dall’estensione ATT (es. NCA001.ATT). Per ogni unità immobiliare urbana, di categoria ordinaria, il documento informatico contiene: un file di formato NTF (National Transfer Format release 1.1), associato ad una scheda della planimetria catastale, contenente le informazioni relative alle superfici delle diverse tipologie di ambiente che compongono l’unita’ immobiliare, per la determinazione della superficie catastale in conformità a quanto disposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 138/1998, come riportato nel suballegato 5 del succitato provvedimento, identificato dal nome della scheda planimetrica a cui si riferisce con l’aggiunta del prefisso «N» (es. N0000001.001). Catasto e topografia n. 1-2/2007 AGENZIA DEL TERRITORIO Circolare n. 3 del 30 marzo 2007 ecreto direttoriale 6 dicembre 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 dicembre 2006, n. 288 S.O. Estensione delle procedure telematiche di cui all’articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463 - Primi chiarimenti operativi. D 1. Premessa Con provvedimento del 6 dicembre 2006, emanato dal Direttore dell’Agenzia del territorio e dal Direttore dell’Agenzia delle entrate - di concerto con il Capo Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero della Giustizia - in attuazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 3, del decreto legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, le procedure telematiche di cui all’articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, sono state estese a tutti gli atti redatti, ricevuti o autenticati da notai, nonché agli atti redatti, ricevuti o autenticati dagli altri pubblici Ufficiali diversi dai notai, individuati dall’articolo 10, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro). Con lo stesso provvedimento, sono state inoltre definite le modalità per la presentazione del titolo per via telematica, con riferimento sia alla fase di sperimentazione, che a quella di entrata a regime del sistema, rinviando a successivi provvedimenti - emanati dal Direttore dell’Agenzia del territorio, di concerto con il Ministero della giustizia, secondo quanto previsto dall’articolo 16 della legge 52/85 - l’attivazione del regime di obbligatorietà e del regime transitorio di facoltatività, a titolo sperimentale, nonché l’approvazione delle relative modalità di trasmissione, procedure e specifiche tecniche. 2. Disposizioni di carattere generale Come premesso, il provvedimento in esame estende le procedure telematiche di cui all’articolo 3-bis del decreto legislativo 463/97 a nuovi soggetti e a nuove tipologie di atti, rendendone progressivamente obbligatorio l’utilizzo per i notai e completando l’attivazione del servizio agli ambiti territoriali finora esclusi. Al nuovo ambito di operatività delle procedure telematiche si rende peraltro applicabile il complessivo quadro normativo - legislativo e regolamentare - venutosi a delineare in seguito all’emanazione del decreto legislativo 18 gennaio 2000, n. 9, con il quale, fra l’altro, sono stati aggiunti gli articoli da 3-bis a 3-sexies al citato decreto legislativo 463/97. Ciò, in particolare, con riguardo alle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 18 agosto 2000, n. 308, e nel decreto direttoriale 13 dicembre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2000, n. 302, le quali devono ritenersi applicabili alle nuove fattispecie, in quanto compatibili. Per quanto riguarda le procedure di liquidazione dei tributi connessi a tutti gli atti per i quali è prevista la trasmis- sione con procedure telematiche, risultano altresì applicabili, stante la natura di statuizioni di carattere generale, anche le disposizioni dell’articolo 3-ter del citato decreto legislativo 463/97, salvo quanto verrà più oltre specificato in ordine alle formalità di annotazione. Rimangono tuttora valide, in quanto compatibili, le istruzioni impartite con circolare 2 maggio 2002, n. 3, emanata dalla scrivente di concerto con l’Agenzia delle entrate. L’estensione dell’ambito oggettivo di operatività delle procedure in questione a tutti gli atti - ancorché non relativi a diritti sugli immobili – determina, come espressamente stabilito dal decreto direttoriale in commento, la possibilità di utilizzare le procedure medesime anche in relazione agli atti che comportano il solo adempimento della registrazione. Per quanto attiene invece gli atti relativi ad immobili ubicati nei comuni ove vige il sistema del libro fondiario, si evidenzia che le procedure telematiche di cui trattasi avranno ad oggetto i soli adempimenti della registrazione e della voltura catastale, salvo per quanto afferisce gli atti relativi ad immobili ubicati in comuni nei quali le funzioni amministrative statali in materia catasto sono delegate alle Province autonome di Trento e Bolzano. Per questi ultimi, l’utilizzo delle procedure telematiche è limitato, all’attualità, alla sola registrazione, in quanto l’estensione all’adempimento della voltura verrà attuata con appositi provvedimenti emanati dall’Agenzia del territorio di concerto con le Province autonome interessate. Qualora si verifichino anomalie o irregolarità di funzionamento del sistema - che, impedendo, di fatto, il collegamento, non consentono l’impiego delle procedure in parola restano ferme le specifiche indicazioni contenute al punto 4.1 della circolare n. 3/2002. Con riferimento alle ipotesi di “irregolare funzionamento del servizio telematico”, si fa peraltro espresso rinvio alle disposizioni contenute nell’articolo 12 del decreto direttoriale 13 dicembre 2000, nonché a quelle di cui all’articolo 2 del decreto direttoriale 12 dicembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 22 dicembre 2001, n. 297. 3. Atti comportanti iscrizione o per i quali non vi e’ obbligo di trascrizione nei registri immobiliari L’articolo 5 del decreto 6 dicembre 2006 disciplina, in particolare, l’utilizzo della trasmissione telematica relativamente agli atti che comportano iscrizione nei registri immobiliari o per i quali non vi è, stricto iure, l’obbligo di richiedere la trascrizione (si pensi, a titolo esemplificativo, agli atti di trasferimento di sede sociale). In particolare, per quanto riguarda l’esecuzione delle predette formalità ipotecarie e delle eventuali volture catastali ad esse collegate, la menzionata disposizione prevede che la trasmissione telematica delle relative richieste possa avvenire non contestualmente alla trasmissione dell’atto e della richiesta di registrazione, sempre che tale ultimo adempimento sia stato eseguito con procedura telematica, ovvero che l’atto non sia soggetto a registrazione (cfr., in proposito, l’articolo 7 del D.P.R. 131/86). 69 Catasto e topografia 4. Atti comportanti annotazione nei registri immobiliari L’estensione delle procedure telematiche di cui all’articolo 3-bis del decreto legislativo n. 463/97 a tutte le tipologie di atti ricevuti o autenticati da notai o dagli altri pubblici ufficiali di cui sopra rende necessario affrontare la delicata tematica degli atti che comportano annotazione nei registri immobiliari. Peraltro, in considerazione della peculiare natura del procedimento relativo all’esecuzione delle formalità di annotazione, l’articolo 6 del decreto 6 dicembre 2006 detta specifiche regole, in particolare per quanto concerne la liquidazione dei relativi tributi. Innanzitutto, per le annotazioni dipendenti da atti registrati con l’utilizzo di procedure telematiche – nonché per l’eventuale voltura catastale ad esse collegata - viene prevista la possibilità di trasmissione per via telematica della relativa domanda, sia contestualmente alla richiesta di registrazione, sia, eventualmente, in un momento successivo. Ciò, analogamente a quanto illustrato nel paragrafo precedente, tenendo conto che la presentazione delle domande di annotazione, di massima, non costituisce un adempimento obbligatorio a carico dei pubblici ufficiali (costituiscono, invece, ipotesi di annotazioni obbligatorie quelle previste dall’articolo 2655 cod. civ.). Per quanto in particolare riguarda la liquidazione e il pagamento dei tributi dovuti, non essendo applicabile il criterio dell’autoliquidazione introdotto dall’articolo 3-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 463 del 1997, l’articolo 6 del citato decreto direttoriale prevede che i predetti tributi, previa verifica della esegubilità dell’annotazione, siano liquidati dall’Ufficio competente e comunicati all’utente, il quale può provvedere al pagamento sia con le modalità di cui al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237, che con modalità telematiche. L’annotazione viene eseguita, quindi, soltanto a seguito dell’avvenuto pagamento. La citata previsione, in linea peraltro con il complessivo quadro normativo di riferimento, risponde alla necessità di salvaguardare la peculiarità dell’iter procedurale necessario per l’esecuzione delle annotazioni, anche in considerazione dei delicati profili civilistici connessi all’esecuzione di tali formalità e della complessità del relativo esame. 4.1. Il procedimento relativo alle domande di annotazione Il punto 2 della Tabella allegata al Regolamento di attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, fissa in 90 giorni il termine per la conclusione del procedimento “Annotazioni a margine delle formalità ipotecarie”. La conclusione del procedimento di cui trattasi - che si avvia su istanza di parte (attraverso la presentazione della domanda di annotazione e del deposito del relativo titolo) - coincide, in pratica, con l’esecuzione materiale dell’annotazione a margine della formalità principale (cfr. in tal senso l’articolo 19, comma 2, della legge 27 febbraio 1985, n. 52). Attesa dunque la peculiarità del procedimento di annotazione, si rende necessario impartire le prime indicazioni operative agli Uffici, con riferimento alle singole fasi dell’iter procedurale. 4.1.1. Invio e ricezione delle domande Il richiedente invia il modello unico informatico, che, come sopra accennato, può riguardare contestualmente la 70 n. 1-2/2007 richiesta di registrazione e la domanda di annotazione, ovvero separatamente le due richieste. Resta inteso che l’invio telematico della sola domanda di annotazione può riguardare esclusivamente atti registrati con le medesime modalità. In altri termini, è escluso il ricorso alle procedure telematiche di cui alla presente circolare per gli atti registrati con modalità tradizionali. In caso di esito positivo della trasmissione telematica, il sistema procede ad eseguire in modo automatico una serie di controlli sui files ricevuti e sui dati dei relativi adempimenti, secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma 1, lettere a), b) e c) del decreto 13 dicembre 2000, e invia all’utente l’esito dell’avvenuta trasmissione. Successivamente il sistema procede a fornire altresì l’esito dell’avvenuta ricezione delle note da parte del Servizio di Pubblicità Immobiliare. 4.1.2. Deposito del titolo Fino a quando non sarà attivata la presentazione per via telematica anche del titolo (cfr. infra par. 5), la richiesta di esecuzione della formalità di annotazione si intende perfezionata con il deposito del titolo cartaceo presso il competente Servizio di Pubblicità Immobiliare e la presentazione della ricevuta di avvenuta registrazione, secondo quanto chiarito nel paragrafo 5 della circolare n. 3 del 2 maggio 2002. All’atto della presentazione del titolo, l’Ufficio rilascia l’attestazione dell’avvenuto deposito in calce al relativo estratto dell’elenco delle domande di annotazione inviate dall’utente per via telematica, stampato a tale fine. Il termine iniziale del procedimento in esame, dunque, inizia a decorrere dalla data di deposito del titolo; da questo momento sorge l’obbligo per l’Ufficio di avviare l’attività procedimentale che si articola in tre momenti distinti: a) verifica della eseguibilità o meno della domanda di annotazione; b) liquidazione dei tributi dovuti e relativa comunicazione formale all’interessato; c) esecuzione della formalità ed annotazione in calce alla nota originale. 4.1.3. Liquidazione Una volta effettuato l’esame della domanda e del relativo titolo ed accertata l’eseguibilità della formalità di annotazione anche sotto il profilo sostanziale, l’Ufficio liquida i tributi dovuti e comunica formalmente al soggetto richiedente il relativo ammontare, ove quest’ultimo non abbia provveduto a seguito di preavviso telematico. Dalla data di comunicazione al richiedente dei tributi dovuti, poiché la prosecuzione del procedimento è subordinata al pagamento degli stessi, il termine di conclusione del procedimento (90 gg.) - in quanto riferito in via esclusiva all’attività procedimentale - deve considerarsi sospeso, in coerenza con quanto previsto per le ipotesi di cui all’articolo 2, comma 4, della legge 241/90. D’altra parte, una volta accertata l’eseguibilità dell’annotazione, e liquidati i tributi dovuti, l’Ufficio non è chiamato a svolgere attività ulteriori, almeno fino al momento del pagamento dei tributi liquidati. In estrema sintesi, nel momento in cui la prosecuzione dell’attività procedimentale è normativamente condizionata dal compimento di determinate attività da parte del soggetto interessato (nella specie pagamento dei tributi dovuti per l’esecuzione della formalità di annotazione), il termine per la conclusione del procedimento non può che ritenersi sospeso. n. 1-2/2007 Il pagamento potrà essere effettuato anche in via telematica, con le stesse modalità previste per l’autoliquidazione dei tributi afferenti le formalità di trascrizione e iscrizione. Una volta avvenuto il pagamento, riprende a decorrere il termine di 90 gg. previsto per la conclusione del procedimento (annotazione a margine della formalità ipotecaria). Al riguardo, si evidenzia l’opportunità di precisare, nella comunicazione relativa alla liquidazione dei tributi dovuti, che il termine procedimentale deve ritenersi sospeso fino alla data di avvenuto pagamento con le modalità di cui al decreto legislativo n. 237/97 o per via telematica. Qualora, anche successivamente alla comunicazione della liquidazione, l’utente manifesti espressamente la volontà di ritirare la domanda di annotazione a suo tempo presentata, l’Ufficio provvederà a restituire al richiedente il titolo depositato. 4.1.4. Fattispecie particolari Se dall’esame della documentazione prodotta emergono evidenti incongruenze, errori ovvero la documentazione fornita risulta incompleta, l’Ufficio ne dà comunicazione all’utente, per via telematica, indicando le modalità per l’integrazione o la regolarizzazione della documentazione prodotta. Parimenti, qualora il Conservatore ritenga di non eseguire la formalità ai sensi dell’articolo 2674 c.c., l’Ufficio ne dà segnalazione per via telematica al richiedente, che provvederà a ritirare il titolo cartaceo depositato e la domanda recante in calce le motivazioni del rifiuto. 4.1.5. Esecuzione delle domande di annotazione Non appena ricevuto il pagamento dei tributi liquidati, l’Ufficio provvede tempestivamente ad eseguire la formalità di annotazione. In particolare, per quanto riguarda i pagamenti effettuati per via telematica, gli stessi si considerano eseguiti quando l’Ufficio riceve l’informazione dell’avvenuta disposizione di pagamento per via telematica. E’ onere dell’Ufficio verificare giornalmente lo stato dei pagamenti effettuati, ai fini della esecuzione delle relative formalità di annotazione; si rammenta in proposito che il pagamento disposto per via telematica è considerato effettuato se sono correttamente indicate le coordinate bancarie. L’Ufficio dovrà inoltre verificare l’esito dei pagamenti telematici, analogamente a quanto previsto per il pagamento dei tributi determinati in autoliquidazione (cfr., in proposito, il paragrafo 8 della circolare 3/2002). Catasto e topografia In caso di esito negativo del pagamento, gli Uffici provvedono all’emissione di un apposito avviso di liquidazione, per i tributi di propria competenza, utilizzando le medesime modalità previste per l’ipotesi di autoliquidazione insufficiente. 5. Presentazione telematica del titolo ai fini dell’esecuzione delle formalita’ ipotecarie Fra le novità più rilevanti introdotte dal provvedimento in esame vi è la previsione relativa alla presentazione del titolo per via telematica al Conservatore dei registri immobiliari per l’esecuzione delle relative formalità. L’articolo 7 del decreto 6 dicembre 2006 disciplina infatti analiticamente le modalità di tale presentazione, rinviando a successivi provvedimenti - da emanarsi dal Direttore dell’Agenzia del territorio, di concerto con il Ministero della Giustizia, secondo quanto previsto dall’articolo 16 della legge 52/85 - l’attivazione del regime di obbligatorietà e di un regime transitorio di facoltatività, a titolo sperimentale, nonché l’approvazione delle relative modalità di trasmissione, procedure e specifiche tecniche. Con specifico riferimento al periodo transitorio, il comma 3 della disposizione introduce una particolare disciplina per la regolamentazione dell’ordine di presentazione delle predette formalità, agli effetti di quanto previsto dall’articolo 2678 c.c.. Si ritiene peraltro utile chiarire che, sino a quando non sarà attivata la procedura di trasmissione telematica del titolo, le formalità nei registri immobiliari si intendono richieste al momento della presentazione o del deposito del titolo in forma cartacea, giusta quanto previsto dall’articolo 9 del decreto direttoriale 13 dicembre 2000. In considerazione dei riflessi che le presenti istruzioni determinano sull’attività del Conservatore, la scrivente ha ritenuto opportuno sottoporre il contenuto della presente circolare all’attenzione del Ministero della Giustizia, titolare del potere di vigilanza ai sensi di quanto previsto dall’articolo 25 della legge 52/85. Gli Uffici provinciali e le Direzioni regionali, per quanto di competenza, vorranno assicurare il puntuale adempimento e la corretta applicazione della presente circolare. Il Direttore dell’Agenzia Mario Picardi 71 Catasto e topografia n. 1-2/2007 AGENZIA DEL TERRITORIO Circolare n. 4 del 13 aprile 2007 rticolo 2, commi 40 e seguenti, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 - Accertamento in catasto delle unità immobiliari urbane censite nelle categorie particolari E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 - Censimento delle porzioni di tali unità immobiliari destinate ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero ad usi diversi, già iscritte negli atti del catasto. A 1. Premessa L’articolo 2, commi 40 e seguenti, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 286 – come è noto - ha dettato norme in materia di classificazione degli immobili ed in particolare delle unità immobiliari polifunzionali censite nelle categorie catastali del “Gruppo E”, con l’esclusione delle categorie E/7 ed E/8. In ottemperanza al citato decreto, con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia, emanato in data 2 gennaio 2007, sono state precisate le modalità tecniche attuative nonché le procedure relative agli adempimenti di parte e, per i casi di inadempienza, alle attività di competenza dell’Ufficio. Più in particolare il comma 40 dell’articolo sopra citato dispone che “Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale o reddituale”. Il comma 41 del medesimo art. 2 stabilisce che “Le unità immobiliari che per effetto del criterio stabilito nel comma 40 richiedono una revisione della qualificazione e quindi della rendita devono essere dichiarate in catasto da parte dei soggetti intestatari, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. In caso di inottemperanza, gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio provvedono, con oneri a carico dell’interessato, agli adempimenti previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle Finanze 19 aprile 1994, n. 701; in tale caso si applica la sanzione…”. In considerazione delle importanti conseguenze di carattere operativo e fiscale che le nuove norme implicano anche per l’elevato numero di compendi ed unità immobiliari che rientrano nel campo di applicabilità delle norme stesse - con il presente documento di prassi si ritiene opportuno definire più in dettaglio alcuni aspetti peculiari introdotti dal DL n. 262/2006, al fine di garantire la corretta interpretazione delle disposizioni in argomento e l’omogeneità delle procedure da adottare sull’intero territorio nazionale. 2. L’ambito di applicazione delle disposizioni introdotte dall’art. 2, commi 40 e seguenti, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262. In linea preliminare e generale, è da osservare che l’inter- 72 vento del legislatore prodotto con il DL n. 262/2006 si correla con la preesistente disciplina che regola l’ordinamento del catasto, attraverso un univoco indirizzo circa le modalità di accatastamento di questo particolare segmento immobiliare, che incide sulla prassi operativa pregressa, garantendone l’uniforme applicazione da parte degli operatori. Al riguardo giova ricordare come, per le stesse finalità, con la circolare n. 4 del 16 maggio 2006 - Modalità di individuazione e classamento delle unità immobiliari censibili nei gruppi speciali D ed E - erano stati già anticipati indirizzi tecnici e procedurali concernenti unità immobiliari a destinazione particolare: a) di tipo complesso, in quanto comprendenti diverse attività (ad esempio: fiere, stazioni di trasporto terrestri dove sono normalmente presenti oltre al servizio di trasporto, zone ad uso commerciale, ad ufficio, ecc.); b) di tipo semplice (ad esempio: chiosco per la vendita di prodotti artigianali o alimentari tipici del luogo, edicola per la rivendita di giornali e riviste, impianti di erogazione di carburante quando circoscritti alla sola “Area OIL”, coincidente, di massima, con il settore adibito alla sola vendita di carburanti o lubrificanti). In particolare con la richiamata circolare, la corretta individuazione delle diverse unità costitutive dei compendi immobiliari complessi, di cui al sub a), veniva ricondotta alla stessa nozione di “unità immobiliare”, così come definita nella normativa catastale e sinteticamente identificata nel “minimo perimetro immobiliare, caratterizzato da autonomia funzionale e reddituale”. Da questa definizione del modello base del catasto fabbricati discendeva pertanto un chiaro ed unitario indirizzo comportamentale, espresso dalla necessità di articolare ovvero scorporare dai suddetti compendi ogni immobile o porzione di immobile rispondente alla nozione sopra richiamata, rispettivamente nei casi di nuova costruzione o variazione, ovvero di unità già censite. Orbene questo indirizzo ha trovato conferma nella norma primaria. Invero detta norma disciplina in modo esplicito il classamento delle unità immobiliari censite nelle categorie del gruppo E, escludendo peraltro le categorie E/7 ed E/8. Il requisito di uniformità dei criteri di inventariazione ed accertamento del patrimonio immobiliare nelle diverse categorie catastali, pregiudiziale per soddisfare la missione istituzionale del catasto di costituire un equo sistema di riferimento per l’imposizione immobiliare, implica comunque una coerente estensione del suddetto indirizzo anche alle unità immobiliari oggetto di censimento futuro. Per quanto concerne, invece, la seconda tipologia di unità immobiliari, definite semplici, di cui al sub b), con la citata circolare sono stati approfonditi diversi profili di prassi fino allora adottati, e forniti indirizzi per una parziale rivisitazione delle modalità di classamento, in ragione soprattutto delle profonde innovazioni in campo tecnologico e tipologico, n. 1-2/2007 oltre che del contesto urbanistico e socio-economico, manifestatesi nel cinquantennio trascorso dall’epoca di formazione ed entrata in conservazione del catasto edilizio urbano. In particolare per alcune categorie immobiliari (quali le tipologie di tipo “semplice” oggetto di esemplificazione), si sono registrati rilevanti processi, sia di standardizzazione tipologica e strutturale, che di diffusione sul territorio, tali da annullare proprio quei caratteri di “singolarità e particolarità” – specifici delle unità da censire nelle categoria del gruppo E – che gli stessi presentavano originariamente, e da giustificare conseguentemente la loro inventariazione in una categoria ordinaria. In relazione a quanto rappresentato, appare chiaro che il primo insieme di immobili rientra specificamente nell’ambito di applicazione delle disposizioni introdotte dall’art. 2, commi 40 e seguenti, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262. Da ciò discende anche che gli adempimenti previsti dovranno essere svolti con le modalità e nei termini indicati nelle disposizioni sopra richiamate per il primo ambito tipologico definito “complesso”, mentre quelli relativi alle tipologie di immobili del secondo ambito definito “semplice” (tra i quali, in particolare, quelli indicati alla lettera a) del punto 3.1.3 della già citata circolare n. 4/2006) - rientrando negli obiettivi di miglioramento e razionalizzazione del sistema catastale - saranno attivati, in coerenza con gli indirizzi forniti dalla stessa circolare n. 4/2006, sulla base della pianificazione delle attività ordinarie dell’Agenzia, anche connesse all’attuazione dei processi di iniziativa degli enti locali (in particolare: art. 1, comma 336, della legge n. 311/2004). È appena il caso di evidenziare che per entrambi i suddetti insiemi le unità immobiliari di nuova costruzione ovvero oggetto di denuncia di variazione saranno definite ed accertate nell’ambito delle attività correnti, sulla base degli indirizzi sopra richiamati. Al suddetto contesto interpretativo devono intendersi riferiti anche i contenuti esplicativi dell’art. 1 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 2 gennaio 2007, rappresentati al punto 1, lett. d), dell’allegato A dello stesso Provvedimento. 3. L’impatto sulla prassi catastale Per quanto già specificato, il dettato letterale del citato art. 2, comma 40, si applica sia alle porzioni di immobili, sia ad interi immobili ricompresi all’interno di compendi. Al riguardo, l’art. 1, comma 1, del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio del 2.1.2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 6 del 9.1.2007, stabilisce che “gli immobili o loro porzioni destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero ad usi diversi, ricompresi nell’ambito di unità immobiliari già iscritte nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9, ovvero oggetto di dichiarazione di variazione o di nuova costruzione, sono censiti in catasto come unità immobiliari autonome in altra appropriata categoria di un diverso gruppo, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”. Per un corretto censimento delle unità immobiliari di tipo “complesso” è pregiudiziale quindi verificare se le porzioni di fabbricato, eventualmente presenti e da stralciare dall’unità originaria, presentino o meno i caratteri essen- Catasto e topografia ziali dell’unità immobiliare stabiliti dall’art. 2, comma 1, del decreto del ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28, laddove prevede che “l’unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, … che, … presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale”. Ove non si riscontrasse tale autonomia, l’unità originaria non può essere scissa in più unità immobiliari (autonome), ma è censita nella categoria catastale più pertinente in relazione alla destinazione d’uso prevalente. Il comma 2 del medesimo articolo definisce anche la locuzione “usi diversi”, stabilendo che si intende, per essi, ogni altra utilizzazione, anche se diversa da quelle commerciale, industriale ed ufficio privato “…non strettamente strumentale all’esercizio della destinazione funzionale dell’unità immobiliare principale, censita in una categoria del gruppo E”. L’art. 3, comma 1, del citato Provvedimento stabilisce, inoltre, in relazione agli adempimenti di parte, che “entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, cioè entro il 3 luglio 2007, i soggetti titolari di diritti reali devono dichiarare come autonome unità immobiliari gli immobili o loro porzioni destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero ad usi diversi, ricompresi nell’ambito di unità immobiliari già iscritte nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9”. Le disposizioni in oggetto, come già evidenziato, confermano le direttive precedentemente emanate per l’individuazione delle unità immobiliari costituenti articolati compendi immobiliari polifunzionali e per il loro corretto classamento nelle categorie speciali e particolari ovvero ordinarie. In particolare trovano ancora piena attuazione le direttive comprese nella richiamata circolare n. 4 del 16.5.2006 in tema di accertamento nelle categorie del gruppo E. 4. Direttive per il classamento nelle categorie del gruppo E Relativamente alle tipologie di immobile da censire nel gruppo E è necessario fare riferimento al comma 2 dell’art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1949, n. 1142. Detto comma riporta: “Parimenti non si classificano le unità immobiliari che, per la singolarità delle loro caratteristiche, non siano raggruppabili in classi, quali stazioni per servizi di trasporto terrestri e di navigazione interna, marittimi ed aerei, fortificazioni, fari, fabbricati destinati all’esercizio pubblico del culto, costruzioni mortuarie, e simili”. Del pari, appare utile riferirsi alle declaratorie associate a ciascuna delle categorie, oggetto di esame, con direttive di prassi (istruzione II del 24.05.1942 della ex Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali), qui di seguito riportate: • E/1 - Stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei; • E/2 - Ponti comunali e provinciali soggetti a pedaggio; • E/3 - Costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche; • E/4 - Recinti chiusi per speciali esigenze pubbliche; • E/5 - Fabbricati costituenti fortificazioni e loro dipendenze; • E/6 - Fari, semafori, torri per rendere d’uso pubblico l’orologio comunale; 73 Catasto e topografia • E/9 - Edifici a destinazione particolare non compresi nelle categorie precedenti del gruppo E. Da quanto sopra emerge con chiara evidenza come alcune tipologie immobiliari (quali ad esempio le edicole) sono state inserite nell’ambito delle categorie del gruppo E solo in forza di direttive di prassi, integrando in tale modo le tipologie specificatamente previste dalla normativa, in relazione ai caratteri peculiari nelle stesse riscontrabili con riferimento al periodo di formazione del catasto, e che rendevano di norma critica la loro articolazione in classi. Nell’ambito delle tipologie immobiliari per le quali la normativa prevede il censimento nelle categorie del gruppo E è necessario andare a discriminare le porzioni immobiliari delle unità complesse che possono conservare il censimento originario, rispetto a quelle che necessariamente richiedono un nuovo accatastamento, con censimento nella categoria catastale pertinente con l’uso effettivo e con le caratteristiche intrinseche ed estrinseche. Nel precedente paragrafo è stato menzionato il comma 2 dell’art. 1 del Provvedimento del 02.01.2007, nel quale è evidenziato come la locuzione “usi diversi” deve intendersi ogni altra utilizzazione “… non strettamente strumentale all’esercizio della destinazione funzionale … … censita in una categoria del gruppo E”. In sostanza, vanno distinte, ai fini del mantenimento degli immobili nel gruppo E, non le destinazioni semplicemente strumentali all’esercizio delle attività censite nel medesimo gruppo, ma soltanto quelle “strettamente” strumentali. Ad esempio, con specifico riferimento alle “stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei” (categoria E/1), che rappresenta il caso tipico più complesso, occorre individuare quali attività siano strettamente funzionali alle destinazioni catastali menzionate, al fine di ricomprendere nella stessa categoria E/1 solo quegli immobili o loro porzioni ospitanti tali attività. Ricadono senz’altro in tale ambito i fabbricati o locali utilizzati dai viaggiatori e dal personale adibito al servizio di trasporto, come le biglietterie, le sale d’attesa, le sale di controllo del traffico, i servizi igienici ad uso dei viaggiatori o del personale, le aree occupate dai binari (ovvero da piste aeroportuali o moli marittimi) e dalle banchine destinate al servizio pubblico, ivi comprese quelle adibite alla movimentazione delle merci, i parcheggi siti all’interno del perimetro della stazione fruibili dal personale dipendente, le aree di rispetto o adibite alla sosta dei veicoli di trasporto asserviti alla stazione, i locali utilizzati per il pronto soccorso, quelli adibiti a deposito bagagli, nonché i locali, di limitata consistenza, destinati ai servizi d’ordine e sicurezza, allorché collocati nei fabbricati ospitanti la stazione. Costituiscono altresì cespite unico con la “stazione”, strettamente funzionali alla gestione della infrastruttura del trasporto, le torri di controllo, i magazzini e le aree per il deposito temporaneo delle merci, le aree o officine destinate alla manutenzione ordinaria dei mezzi di trasporto, gli impianti di trasformazione e produzione di energia elettrica, necessari ad assicurare la continuità nella funzionalità della stazione, gli impianti di stoccaggio e distribuzione di carburanti finalizzati al servizio di trasporto nell’ambito della stazione ed ogni altro spazio o locale indispensabile all’esercizio del pubblico trasporto. Di contro, costituisco- 74 n. 1-2/2007 no unità immobiliari autonome, censibili nelle categorie ordinarie o speciali, le abitazioni e foresterie, i locali ospitanti bar o ristoranti, le rivendite di giornali e di tabacchi, i locali adibiti a vendita o esposizione di qualsiasi altra merce, i centri commerciali, gli alberghi, gli ostelli e gli uffici pubblici o privati. Vengono altresì considerate unità immobiliari autonome, le caserme per gli organi addetti alla vigilanza e alla sicurezza se ospitati in specifici fabbricati, gli hangar ed i capannoni per la costruzione e/o manutenzione straordinaria periodica dei veicoli, le autorimesse e le aree di parcheggio appositamente realizzate ed altre destinazioni autonome rispetto ai servizi di pubblico trasporto. Riguardo agli immobili ospitanti in particolare gli impianti per l’erogazione di carburante, si ricorda altresì come sia il Dipartimento del Territorio del Ministero delle Finanze sia l’Agenzia del territorio, per ultimo con la più volte citata circolare n. 4/2006, abbiano già emanato direttive mirate a delimitare ciascuna unità immobiliare, allorché nei compendi immobiliari ospitanti i citati impianti di erogazione siano presenti destinazioni complementari, come autofficine, ristoranti, bar. Nelle citate direttive sono state ritenute corrette le modalità di accatastamento volte all’individuazione, nell’ambito di detti compendi, di ciascuna componente produttiva e delle rispettive porzioni immobiliari dotate di autonomia funzionale e reddituale. Coerentemente con tale indirizzo è stato evidenziato come quegli immobili, o porzioni di essi, adibiti ad autofficina o autolavaggio chiuso, con idonee attrezzature e relativa area asservita, fossero censibili nella categoria C/3; mentre i locali ospitanti bar, tavole calde o ristoranti, e quelli utilizzati per la rivendita di articoli vari, con le relative porzioni di area asservita, nella categoria D/8, ovvero C/1, in relazione alle loro caratteristiche e al parametro dimensionale. L’allegato alla presente circolare riporta utili linee guida per il classamento delle unità immobiliari nelle categorie del gruppo E, nonché per consentire una più completa disamina delle fattispecie interessate dall’ambito di applicazione della norma in oggetto. L’applicazione di detti criteri è, tuttavia, da coordinarsi, per la sua progressività temporale, con quanto espressamente previsto dalla presente circolare, in particolare al paragrafo 2, per le tipologie di immobili dell’ambito definito “semplice”. In ultimo, ma non per importanza, si vuole evidenziare la piena autonomia della normativa catastale in tema di censimento rispetto a quella edilizio-urbanistica o di altro settore (quali quella in materia di antinfortunistica, sicurezza, trasporto aereo, ferroviario e navale). La richiamata autonomia catastale è applicabile anche con riferimento ai criteri di strumentalità da utilizzare per l’individuazione delle destinazioni immobiliari che continuano ad essere compatibili con le categorie catastali ascrivibili al “gruppo E” e che potrebbero essere definite da altre normative di riferimento (quali ad esempio per appurare la strumentalità per fini diversi da quelli catastali). Pertanto, le direttive emanate con la presente circolare, hanno rilevanza esclusivamente in materia catastale. 5. Adempimenti dei soggetti titolari di fabbricati o porzioni di fabbricati di unità immobiliari “complesse”, per i n. 1-2/2007 quali sono venuti meno i requisiti per il censimento in una categoria del gruppo E Per le unità immobiliari, per le quali sono venuti meno i requisiti per il censimento in una categoria del gruppo E, in base all’intervento normativo in commento, entro la data del 3 luglio 2007 devono essere presentate in catasto le dichiarazioni di variazione. E’ appena il caso di ricordare che il decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28, all’art. 3, comma 2, stabilisce: “Sono considerate unità immobiliari anche le costruzioni ovvero porzioni di esse, ancorate o fisse al suolo, di qualunque materiale costituite, nonché gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, purché risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali di cui al comma 1. Del pari sono considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorché semplicemente appoggiati al suolo, quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale”. Relativamente alle dichiarazioni in catasto delle unità immobiliari, oggetto dell’intervento del legislatore, non si applicano le sanzioni previste dall’articolo 28 del regio decreto legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni, purché i relativi obblighi siano espletati entro il 3 luglio 2007. Qualora il soggetto obbligato alla dichiarazione in catasto non provveda, entro il termine indicato, l’Ufficio provinciale competente procede ad esercitare l’attività di surroga con le modalità operative indicate nel successivo paragrafo 7. 6. Modalità di dichiarazione e accertamento Le tipologie immobiliari, che saranno oggetto di revisione dell’attuale classamento o di nuovo censimento, sulla base degli indirizzi normativi o amministrativi richiamati in precedenza (paragrafo 2), a volte presentano una scarsa rilevanza censuaria soprattutto in ragione della modesta superficie. Al riguardo appare utile richiamare le modalità semplificate di dichiarazione di variazione dello stato dei luoghi, così come stabilito dall’art. 6 del decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28. Nel documento di aggiornamento catastale dovrà essere specificamente indicata, nell’apposita casella del modello unico informatico Docfa, predisposto per la trasmissione telematica, ovvero nel modello cartaceo presentato in modalità tradizionale presso la sede dell’Ufficio provinciale competente, la tipologia della dichiarazione mediante la locuzione “Stralcio da categoria E – comma 40 art. 2 DL 262/06”. Nelle more dell’adeguamento della procedura informatica il professionista provvederà ad inserire nella relazione tecnica similare locuzione. Per quanto concerne, infine, l’attribuzione della rendita alle unità immobiliari in esame, è evidente che l’accertamento a cura del tecnico di parte, della redditività - e quindi la verifica della stessa da parte del tecnico dell’Ufficio - deve tenere in debito conto elementi, quali le particolari caratteristiche ubicazionali degli immobili (a volte siti al di fuori dei centri abitati), nonché quelle tipologiche (spesso costituite da strutture prefabbricate) e dimensionali. E’ appena il caso di sottolineare che la determinazione della rendita di tali immobili dipende in modo diretto da: • le caratteristiche ubicazionali con riferimento al collo- Catasto e topografia camento del manufatto rispetto al centro abitato (interno od esterno); nel caso di collocamento nello stesso centro abitato, occorre far riferimento alla zona, individuandola fra quelle periferiche, di espansione urbanistica o di interesse turistico; • le caratteristiche tipologiche delle strutture: prefabbricate, cemento armato, muratura continua, ecc; • le caratteristiche dimensionali e geometriche che influenzano la redditività unitaria anche con riferimento al potenziale utilizzo. 7. Attività connesse alle azioni di surroga Come rappresentato nel provvedimento emanato in data 2 gennaio 2007 dalla scrivente, questa Agenzia sta procedendo all’inoltro ai Comuni degli elenchi di immobili censiti nelle categorie E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9, secondo la loro ubicazione territoriale. Tale inoltro è effettuato affinché gli stessi Enti locali possano produrre una verifica di coerenza dell’attuale classamento, rispetto alle effettive destinazioni d’uso, riscontrabili in ciascuno degli immobili iscritti nelle categorie in esame, sulla base dell’univoco indirizzo fornito dal legislatore con il DL n. 262/2006. I riscontri prodotti dai Comuni potranno quindi, successivamente alla scadenza del 3 luglio 2007, essere di ausilio ai medesimi Enti per contestare le inadempienze ai soggetti interessati e conseguentemente attivare le procedure dell’art. 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Le verifiche prodotte in sede locale possono essere di supporto agli Uffici provinciali di questa Agenzia, per la verifica dei presupposti riguardanti gli adempimenti richiamati dall’art. 2, commi 40 e 41, del DL n. 262/2006. Sul medesimo tema, il richiamato Provvedimento direttoriale del 2 gennaio 2007 stabilisce che, decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del più volte citato DL 262/2006, gli Uffici provinciali, preliminarmente all’espletamento delle attività di surroga, devono verificare le eventuali azioni intraprese dai Comuni ai sensi dell’art. 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ciò al fine di coordinare le modalità relative agli adempimenti di surroga. Esperita tale verifica, l’Ufficio procede nelle attività richiamate dalle circolari n. 10 del 4.8.2005 e n. 1 del 3.1.2006. Di contro, qualora gli Enti locali non avessero emanato alcun provvedimento di contestazione ai contribuenti, ciascun Ufficio interessato, compatibilmente con le risorse disponibili e le direttive programmatiche che lo riguardano, inoltra uno specifico avviso di sopralluogo al soggetto obbligato alla dichiarazione in catasto, contestando fra l’altro, l’inosservanza all’adempimento previsto dalla legge. Nella scelta dell’individuazione del soggetto destinatario possono essere espletate opportune verifiche, affinché lo stesso venga individuato fra quelli richiamati nell’art. 3 del regio decreto legge 14 aprile 1939, n. 652, obbligati alla dichiarazione, possibilmente individuandolo con quello che ha la gestione del bene. Per tale finalità gli Enti locali, con l’ausilio dei loro archivi informativi, potranno dare un incisivo contributo. Sulla questione, pare altresì utile rammentare che, per gli immobili costruiti nelle aree di proprietà demaniale dal concessionario, l’obbligo della dichiarazione catastale è a carico dello stesso concessionario, pertanto a quest’ultimo soggetto 75 Catasto e topografia è da inoltrare l’atto che accerta l’inadempienza dell’accatastamento. Conformemente a quanto già stabilito con la circolare n. 10 del 4 agosto 2005, il Direttore dell’Ufficio procede nell’attività di surroga affidando l’incarico alle proprie strutture tecnico-operative. Allo scopo di evitare un inutile dispendio di risorse, le strutture incaricate avranno cura di acquisire gli elementi probanti, circa la verifica dei presupposti previsti dalla legge, attivando, ove del caso, specifico sopralluogo esterno. Successivamente alla positiva verifica di tali presupposti, le strutture interessate provvedono all’inoltro dell’avviso di sopralluogo, da effettuarsi con congruo anticipo rispetto alla data stabilita, a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno. Riguardo agli adempimenti da espletare ed ai contenuti del richiamato avviso, che deve riportare, come sopra rappresentato, anche la contestazione dell’inadempimento, si rimanda alle disposizioni impartite con la richiamata circolare n. 10/2005. n. 1-2/2007 8. Conclusioni L’indirizzo del legislatore, sostanzialmente, è mirato a razionalizzare ed omogeneizzare il sistema di inventariazione ed accertamento delle unità immobiliari appartenenti al gruppo E (con l’esclusione delle categorie E/7 ed E/8), intervenendo specificamente sui compendi immobiliari polifunzionali, ove in base a prassi pregresse, correlate anche al diverso contesto socio-economico, tipologico e tecnologico, risultano spesso aggregati all’unità immobiliare rappresenta- tiva della destinazione principale, anche immobili o loro porzioni aventi funzioni meramente collaterali (di carattere commerciale, terziario o diverso) ed autonome redditività. La norma in commento rientra infatti nel quadro delle disposizioni previste dalle ultime leggi finanziarie e da alcuni provvedimenti collegati, al fine di migliorare l’equità del sistema catastale. Pare utile ribadire in questa sede che le disposizioni riportate nella normativa in oggetto non possono che influire sulla prassi catastale. Restano quindi ferme tutte quelle disposizioni regolamentari ed amministrative che fissano determinati criteri e parametri di servizio (di tutela della sicurezza e del comfort dei passeggeri), anche nel rispetto delle direttive impartite da Organi di rilievo internazionale e recepite nell’ordinamento interno. In considerazione della particolarità delle argomentazioni fin qui esposte, si invitano gli Uffici provinciali a dare la massima diffusione del contenuto della presente circolare alle Categorie professionali e alle Associazioni di rappresentanza degli esercenti delle attività interessate dalla norma legislativa in oggetto. Non appare superfluo sensibilizzare gli Uffici stessi affinché prestino la massima collaborazione a tutti i soggetti comunque coinvolti nelle procedure introdotte dalle disposizioni oggetto della presente circolare. Gli Uffici Provinciali sono invitati ad adottare nelle procedure di prassi le disposizioni impartite con la presente circolare e le Direzioni Regionali a verificarne la loro puntuale applicazione. Allegato alla Circolare n. 4 del 13 aprile 2007 Linee guida per il classamento delle unita’ immobiliari censibili nelle categorie del “gruppo E” e per l’individuazione degli immobili o delle loro porzioni a diversa destinazione funzionale Anche in relazione agli indirizzi procedurali previsti dall’art. 2, comma 40, del DL 262/06, convertito con modificazioni nella legge n. 286/06, si riepilogano le destinazioni del quadro di qualificazione nazionale delle categorie del GRUPPO E, evidenziando che per l’attribuzione di una della categorie particolari, occorre fare riferimento oltre alla “singolarità” delle destinazioni e delle caratteristiche tipologiche, costruttive e dimensionali degli immobili, anche alla destinazione d’uso dell’intera unità immobiliare o delle singole porzioni a medesima utilizzazione, la quale deve essere diversa da commerciale, industriale, uffici privati ed usi diversi da quelli di un pubblico servizio. E/1- Stazioni per servizi di trasporto terrestri, marittimi ed aerei Gli immobili della fattispecie destinati al soddisfacimento del pubblico trasporto, compresi gli impianti fissi e le aree connesse, ancorché di natura demaniale si accertano: a) per la parte strettamente funzionale al pubblico trasporto, come unica unità immobiliare, da censire nella categoria E/1 e comprendente di norma: - i fabbricati o i locali viaggiatori (compresi biglietterie, sale di attesa e di imbarco, locali adibiti ad uffici a diretto servizio di gestione della stazione); - servizi igienici ad uso libero dei viaggiatori; - spazi sosta veicoli adibiti al servizio pubblico; - parcheggi auto ad uso del personale dipendente, siti all’interno del perimetro della stazione; - aree occupate dai binari, dalle piste aeroportuali e dalle banchine destinate al servizio pubblico; - magazzini ed aree per il deposito temporaneo e la movimentazione delle merci; - aree o officine, destinate alla manutenzione dei mezzi di trasporto; - impianti di produzione e trasformazione dell’energia elettrica, purché la prevalenza della potenza prodotta sia destinata alla stazione; - impianti di stoccaggio e distribuzione del carburante finalizzati al servizio di trasporto nell’ambito della stazione; - aree di rispetto e di sosta dei veicoli asserviti alla stazione; - impianti di trasformazione e produzione dell’energia elettrica per assicurare la continuità dei servizi; - impianti di stoccaggio e distribuzione carburanti finalizzati al servizio di trasporto nell’ambito della stazione; - torri di controllo, serbatoi idrici; - pronto soccorso; - depositi bagagli; - locali destinati alle forze dell’ordine, ovvero agli enti 76 n. 1-2/2007 preposti al controllo delle merci o alla sicurezza dei passeggeri, purché interni al fabbricato ad uso dei viaggiatori; - ogni altro spazio o locale strettamente strumentale all’esercizio delle funzioni coerenti con la destinazione d’uso. b) come distinte unità immobiliari, censibili nelle specifiche categorie ordinarie o speciali1, gli immobili o loro porzioni, laddove autonomi per funzionalità o redditività e destinati a: - abitazioni e foresterie; - bar-caffe; - ristoranti; - rivendite di giornali, tabacchi; - negozi di vendita od esposizione di qualsiasi merce; - dutyfree; - centri commerciali; - alberghi, ostelli; - uffici pubblici o privati; - caserme per gli Organi di vigilanza e sicurezza; - magazzini, aree di deposito per stoccaggio container o merci in genere; - hangar e capannoni per la costruzione, manutenzione ed il ricovero dei veicoli; - autosilos e aree a parcheggio; - altre finalità autonome e comunque non strettamente strumentali rispetto al servizio di pubblico trasporto. N.B.: Non sono censibili in categoria E/1 i porti turistici e gli aeroporti per voli non di linea, per i quali di norma si attribuisce la categoria D/8 per quanto concerne i moli, le banchine, gli spazi di manovra e di parcheggio e pertinenziali al servizio, gli uffici destinati alla gestione portuale, anche aventi carattere amministrativo. Non si censiscono nella categoria D/8, invece, le darsene ad uso privato. Infatti, ciascuna darsena annessa ad una villa, ad un complesso alberghiero o industriale costituisce dipendenza esclusiva dell’unità immobiliare principale. Si censiscono separatamente nella categoria più consona, quando autonome, le unità che individuano immobili o loro porzioni destinate ad altre attività di tipo commerciale, industriale, uffici. Altresì, non sono da censire nella categoria E/1, gli impianti di risalita quali: funivie, sciovie, seggiovie e simili, quando hanno destinazione esclusivamente o prevalentemente commerciale in quanto non assimilabile a servizio di trasporto, ma al soddisfacimento di fini ricreativi, sportivi o turistico-escursionistici. In tale ultima ipotesi, di norma, le stesse vanno censite nella categoria D/8. E/2 - Ponti comunali e provinciali soggetti a pedaggio La declaratoria delle tipologie previste è talmente circoscritta per cui non occorrono particolari chiarimenti. L’attri- Catasto e topografia buzione di tale categoria non si ritiene più attuale e si conserva solo per memoria in relazione a quei classamenti rinvenibili negli atti storici del catasto. E/3 - Costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche. In questa categoria restano comprese tutte le unità immobiliari nelle quali si esercitano attività finalizzate al soddisfacimento di esigenze pubbliche, con esclusione di quelle aventi fini esclusivamente o prevalentemente commerciali e industriali. Ad esempio: chioschi per informazioni al pubblico, per impianti di erogazione carburanti (limitatamente alla zona destinata alla erogazione del carburante2), in uso alle forze dell’ordine, tettoie ad uso pubblico sulle spiagge, padiglioni destinati ad uso di refettori per finalità di assistenza pubblica, le pese ed i gabinetti pubblici, e le discariche pubbliche, con l’esclusione di quelle in cui sono presenti immobili o impianti destinati al riciclaggio. Non rientrano in tale categoria manufatti, anche se eretti su suolo pubblico assegnato in concessione, ove risultino soddisfatti i requisiti di stabile permanenza nel luogo in cui sono installate e di autonomia funzionale e reddituale, previsti dal decreto del Ministero delle finanze n. 28/1998. In particolare dette unità, laddove “raggruppabili in classi”, sono da censire nella pertinente categoria ordinaria. Solo immobili “singolari” per l’estrema precarietà della struttura, l’assenza di una permanenza continuativa nel luogo in cui sono installate, nonché per la scarsa diffusione sul territorio, tali da non permetterne il raggruppamento in “classi”, possono essere censiti nella categoria E/3. E/4 - Recinti chiusi per speciali esigenze pubbliche Rientrano in questa categoria le unità immobiliari destinate a fiera, spazi espositivi, mostre, mercati e simili costituite soprattutto da aree scoperte, saltuariamente attrezzate con strutture e stand amovibili per le esigenze espositive, e con modeste costruzioni destinate a soddisfare alcune esigenze primarie (biglietteria, servizi igienici, accoglienza, etc.). Quando tali compendi sono composti da più fabbricati ed aree con diverse utilizzazioni sia riguardo all’uso specifico che alla periodicità dello stesso uso nell’arco dell’anno è necessario provvedere alla suddivisione del complesso in relazione alle diverse porzioni a destinazione omogenea, secondo i seguenti principi. Gli immobili della fattispecie, compresi gli impianti fissi e le aree connesse, ancorché di natura demaniale si accertano: a) per la parte strettamente funzionale alle attività fieristiche, come unica unità immobiliare censibile nella categoria D/8 e comprendente di norma: - biglietterie, sale di attesa, locali adibiti ad uffici a diretto servizio di gestione del complesso; 1 Quando le singole porzioni immobiliari hanno caratteristiche “OPEN SPACE” , con perimetri separati da pannelli, pareti mobili, secondo le esigenze temporali dell’attività, il complesso a destinazione commerciale può essere censito anche come una unità immobiliare di categoria speciale. In particolare gli spazi esterni al perimetro delle unità immobiliari qualora destinati anche al transito dei viaggiatori devono essere compresi nella unità immobiliare adibita a stazione da censire nella categoria E/1. 2 Nell’unità immobiliare principale adibita a vendita di carburanti o lubrificanti, di norma rientrano gli spazi per autolavaggio scoperto a spazzole rotanti, chioschi, piccoli locali di deposito, nonché locali per una contenuta attività di vendita dei principali articoli di autoaccessori, unitamente alla porzione di area scoperta pertinente. Le porzioni immobiliari, adibite ad autofficina e/o autolavaggio chiuso, con idonee attrezzature e relative area asservite sono classificabili nella categoria “C/3”, in quanto si tratta di attività basata principalmente su prestazione di lavoro manuale, ad esempio attività artigianale. Eventuali locali destinati a bar, tavola calda o ristorante, nonché locali per la vendita di articoli vari (vasta ed ampia gamma di accessori auto ed autoricambi, giornali e riviste, alimentari, articoli da regalo, ecc…), con porzione di area asservita, sono censibili nella categoria “C/1”, ovvero nella categoria “D/8”, in relazione alle loro caratteristiche estrinseche ed intrinseche che determinano il carattere “ordinario” o “speciale”, con particolare riferimento al parametro dimensionale rilevabile nelle unità similari. 77 Catasto e topografia - servizi igienici; - parcheggi auto siti all’interno del perimetro del complesso fieristico, ad uso del personale dipendente o degli espositori; - magazzini merci, piazzali deposito merci, piani caricatori; - impianti di trasformazione e produzione dell’energia elettrica per assicurare la continuità dei servizi; - impianti di stoccaggio e distribuzione carburanti ad uso interno del complesso fieristico; - padiglioni ed aree destinate all’esposizione, con relative pertinenze; - locali destinati al personale adibito alla vigilanza e alla sicurezza; - pronto soccorso; - ogni altro spazio o locale strettamente strumentale all’esercizio delle funzioni coerenti con la destinazione d’uso. b) come distinte unità immobiliari, censibili nelle specifiche categorie ordinarie o speciali3, gli immobili o loro porzioni, laddove autonomi per funzionalità o redditività e destinati a: - abitazione o foresterie ; - bar-caffe; - ristoranti; - rivendite di giornali, tabacchi; - negozi di vendita od esposizione di qualsiasi merce; - centri commerciali; - alberghi, ostelli; - uffici pubblici o privati; - caserme per gli Organi di vigilanza e sicurezza; - musei, pinacoteche; - sale convegni; - scuole; - magazzini, aree di deposito per stoccaggio container o merci in genere; - autosilos e aree a parcheggio ; - altre destinazioni autonome rispetto al servizio espositivo. Qualora per gli immobili in argomento non sia possibile definire le diverse porzioni aventi autonomia reddituale e funzionale, l’accatastamento dovrà avvenire nella categoria catastale corrispondente all’uso prevalente dell’unità immobiliare (categoria D/8). E/5 - Fabbricati costituenti fortificazioni e loro dipendenze Sono censibili in questa categoria gli immobili adibiti a caserme e fortificazioni, purché abbiano carattere monumentale. Nell’eventualità che in questi immobili o complessi immobiliari trovino ospitalità altre funzioni culturali (musei, scuole, circoli culturali e ricreativi, ecc.), commerciali o terziarie 3 Confronta primo periodo della nota 1. 78 n. 1-2/2007 (negozi, uffici) ecc., è necessario verificare preliminarmente la possibilità di articolare gli stessi in distinte unità immobiliari, da censire nelle pertinenti categorie ordinarie o speciali, ed, in caso negativo, operare sulla base del criterio di prevalenza. E/6 - Fari, semafori, torri per rendere l’uso pubblico l’orologio comunale La declaratoria delle tipologie previste è talmente circoscritta per cui non occorrono particolari chiarimenti. Nell’eventualità che negli immobili o complessi immobiliari trovino ospitalità altre funzioni culturali, commerciali o terziarie ecc., trovano applicazione i criteri già indicati per la categoria E/5 E/7 - Fabbricati destinati all’uso pubblico dei culti Questa categoria comprende esclusivamente i luoghi di culto pubblici, ossia aperti a tutti coloro che professano una determinata confessione religiosa e che risulta coerente con le caratteristiche intrinseche dell’immobile. Al riguardo si evidenzia che già nelle massime vigenti è previsto che destinazioni correlabili a questa fattispecie siano censite in unità autonome (ad esempio uffici parrocchiali, oratori, cinema parrocchiali, magazzini, autorimesse, casa canonica, ecc.). E/8 - Fabbricati e costruzioni nei cimiteri, esclusi i colombari, i sepolcri, e le tombe di famiglia Anche nella fattispecie la declaratoria delle destinazioni previste è univocamente definita , per cui non occorrono particolari chiarimenti. E’ da rilevare tuttavia che anche nella fattispecie non possono essere ricompresi immobili o porzioni di immobili, con destinazione autonoma, (ad. esempio uffici, magazzini, autorimessa, casa custode, ecc.), ancorché correlate alle specifiche funzioni indicate nella declaratoria. E/9 - Edifici a destinazione particolare non compresi nelle categorie precedenti del gruppo E Questa categoria è il contenitore residuale di tutte le altre costruzioni distinte dalla singolarità tipologica e dalla stretta correlazione dell’uso al soddisfacimento di un pubblico servizio. Valgono pertanto tutte le limitazioni in precedenza citate, ed in particolare non risultano compatibili con tale destinazione le unità immobiliari costruite per le esigenze di un’attività commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero per funzioni diverse purchè dotate di autonomia funzionale e reddituale. Tra queste rilevano i fabbricati, loro porzioni o compendi immobiliari destinati ad uffici postali e centri postali meccanizzati, per i quali le qualificazioni pertinenti sono C/1, D/5 e D/7, in relazione ai caratteri dimensionali, tipologici e funzionali. Catasto e topografia n. 1-2/ 2007 AGENZIA DEL TERRITORIO Provvedimento 30 maggio 2007 stensione del servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale relativo agli atti di aggiornamento geometrico (Pregeo) di cui all’articolo 8 della legge 1° ottobre 1969, n. 679 ed agli articoli 5 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650, su tutto il territorio nazionale. E IL DIRETTORE DELL’AGENZIA Visto il testo unico delle leggi sul nuovo catasto, approvato con regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1572 e successive modificazioni; visto il regolamento per l’esecuzione delle leggi sul riordinamento dell’imposta fondiaria, approvato con regio decreto 12 ottobre 1933, n. 1539; visto il regolamento per la conservazione del nuovo catasto dei terreni, approvato con regio decreto 8 dicembre 1938, n. 2153; vista la legge 1° ottobre 1969, n. 679, concernente la semplificazione delle procedure catastali; visto il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, concernente la disciplina dell’imposta di bollo; visto il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650 concernente il perfezionamento e la revisione del sistema catastale; visto il regolamento, recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari, adottato con decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701 ed in particolare l’articolo 5, comma 3, il quale stabilisce che la modifica o l’integrazione dei modelli, delle formalità e delle procedure per gli adempimenti degli obblighi di cui al regolamento stesso possono essere adottate con provvedimento del Direttore generale del Dipartimento del territorio; visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, concernente «Riforma dell’organizzazione del Governo a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59», e successive modificazioni, ed in particolare, l’articolo 64, che ha istituito l’Agenzia del territorio; visto il decreto 28 dicembre 2000, n. 1390, emanato dal Ministro delle finanze, con cui sono state rese esecutive le Agenzie fiscali previste dagli articoli 62, 63, 64 e 65 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, come modificato dal successivo decreto ministeriale 20 marzo 2001, n. 139; visto l’articolo 1, comma 374, della legge 30 dicembre 2004, n. 311; visto il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio 22 marzo 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 70 del 25 marzo 2005, che fissa termini, condizioni e modalità relative alla presentazione del modello unico informatico di aggiornamento degli atti catastali, e rinvia ad appositi provvedimenti del direttore dell’Agenzia del territorio l’approvazione delle specifiche tecniche del modello unico informatico catastale relativamente a determinate tipologie di atti di aggiornamento; visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale; visto il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio 23 febbraio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1° marzo 2006, con cui sono state approvate le nuove specifiche tecniche e la procedura Pregeo 9 per la predisposizione degli atti di aggiornamento geometrico di cui all’articolo 8 della legge 1° ottobre 1969, n. 679 ed agli articoli 5 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650; visto il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio 22 dicembre 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 2007, che prevede l’attivazione del servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale relativo agli atti di aggiornamento geometrico di cui all’articolo 8 della legge 1° ottobre 1969, n. 679 ed agli articoli 5 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650 (Pregeo), limitatamente ad alcune aree geografiche; visto il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio 2 marzo 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2007, che stabilisce le modalità di pagamento dei servizi telematici erogati dall’Agenzia del territorio tramite utilizzo di somme versate su conto corrente unico a livello nazionale; considerato inoltre che, a seguito dell’esito positivo della prima fase sperimentale, è opportuno estendere il servizio per la presentazione in via telematica degli atti di aggiornamento geometrico (Pregeo) di cui all’articolo 8 della legge 1° ottobre 1969, n. 679 ed agli articoli 5 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650, a tutto il territorio nazionale; DISPONE: Articolo 1 (Estensione del servizio) 1. Il servizio di trasmissione telematica degli atti di aggiornamento geometrico (Pregeo), di cui all’articolo 8 della legge 1° ottobre 1969, n. 679 ed agli articoli 5 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650, è esteso all’intero territorio nazionale, ad eccezione dei territori nei quali le funzioni amministrative in materia di catasto terreni sono esercitate dalle province autonome di Trento e Bolzano, ed a tutti i tecnici professionisti abilitati alla redazione degli atti di aggiornamento medesimi. 2. Il servizio è attivato dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, ad eccezione della presentazione dei Tipi Particellari, dei Tipi di aggiornamento esenti da tributi e dei Tipi Mappali riguardanti fabbricati già presenti nella mappa catastale per i quali l’estensione sarà progressivamente attuata con successivi provvedimenti del Direttore dell’Agenzia del territorio. Articolo 2 (Pubblicazione) 1. Il presente provvedimento sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione. Roma, 30 maggio 2007 Il Direttore dell’Agenzia Mario Picardi 79 Catasto e topografia n. 1-2/2007 AGGIORNAMENTO CATASTO TERRENI (PREGEO): SERVIZIO TRASMISSIONE TELEMATICA Agenzia del Territorio COMUNICATO STAMPA Roma, 5 giugno 2007 Con il provvedimento del Direttore dell’agenzia del Territorio del 30 maggio u.s. pubblicato nella G.U. in data odierna, è esteso a tutto il territorio nazionale (ad esclusione delle province autonome di Trento e Bolzano) e a tutti i professionisti abilitati, il servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale, relativo agli atti di aggiornamento geometrico del catasto terreni, già attivato, in via sperimentale, a partire dal 15 gennaio 2007 presso alcuni uffici provinciali dell’Agenzia. A partire dal 2 gennaio di quest’anno, la procedura PREGEO 9 (*) ha permesso la predisposizione dei documenti di aggiornamento completamente in formato elettronico, creando le condizioni per la trasmissione degli atti di aggiornamento cartografici attraverso la rete telematica. Nell’ambito del processo di progressiva informatizzazione dei servizi dell’agenzia del Territorio, la trasmissione telematica degli atti di aggiornamento del catasto terreni segue quella già attivata per il catasto fabbricati (Docfa telematico), a seguito dell’emanazione del provvedimento del 20 marzo u.s. e che ha già prodotto – dall’avvio della fase di sperimentazione fino al 31 maggio 2007 – la presentazione di oltre 122 mila documenti trasmessi per via telematica. Per avvalersi di questo nuovo canale di trasmissione, dopo essere stati abilitati al servizio, i professionisti predispongono l’atto di aggiornamento con la procedura PREGEO 9, lo sottoscrivono con la firma elettronica rilasciata dall’agenzia del Territorio e lo inviano all’Ufficio competente, attraverso il Sistema di Interscambio “SISTER” (come previsto dalla normativa vigente, i professionisti e i soggetti abilitati dovranno comunque assicurare la conservazione dei documenti originali cartacei, comprensivi degli allegati, per un periodo di cinque anni). Conseguentemente, non sarà più necessario per i professionisti recarsi presso gli Uffici dell’Agenzia per la presentazione degli atti di aggiornamento, che potrà avvenire in via telematica, con evidenti economie per tutti i soggetti interessati. In tal modo, inoltre, sarà alleggerita notevolmente l’attività di front office, permettendo una più efficiente erogazione generale dei servizi di sportello. Quale ulteriore agevolazione, i professionisti, grazie alle disposizioni contenute nel provvedimento del 2 marzo 2007, possono corrispondere i tributi dovuti anche con modalità telematiche, utilizzando somme versate preventivamente sul conto corrente postale, unico a livello nazionale, intestato all’agenzia del Territorio. Questo servizio, pertanto, nel quadro dello sviluppo complessivo delle applicazioni di e-government, rappresenta un ulteriore passo avanti verso la completa automatizzazione del 80 sistema di aggiornamento degli archivi cartografici e censuari del catasto dei terreni. (*) La procedura Pregeo PREGEO, acronimo di PREtrattamento GEOmetrico, è una procedura informatica realizzata dell’agenzia del Territorio e messa a disposizione gratuitamente dei tecnici professionisti (Geometri, Architetti, Ingegneri, ecc) per la predisposizione e la presentazione agli uffici dell’Agenzia del territorio, degli atti di aggiornamento del catasto dei terreni (frazionamenti delle particelle e denunce delle nuove costruzioni). PREGEO si compone di una componente topografica e di una componente cartografica; la prima, consente l’inserimento delle misure assunte sul terreno ed il calcolo delle coordinate di tutti i punti rilevati, la seconda, consente la predisposizione dei documenti informatici per l’aggiornamento della cartografia e dei dati censuari del catasto dei terreni. La procedura PREGEO, nella sua prima versione, è entrata in vigore su tutto il territorio nazionale nel 1988, congiuntamente alla circolare 2/88; l’introduzione di questa innovativa procedura, nello specifico settore dell’aggiornamento catastale, ha rivoluzionato il modo di pensare ed aggiornare il catasto; aprendo la strada all’informatica, ha consentito la standardizzazione dei dati e delle procedure amministrative, declinando e codificando la buona tecnica prevista dal DPR 650/72 ha consentito l’introduzione di metodi rigorosi per la predisposizione degli atti, il trattamento delle misure e l’aggiornamento della cartografia. Dal 1988, la procedura PREGEO è stata costantemente aggiornata attraverso l’introduzione di nuove funzionalità sempre tese a semplificare da un lato l’attività dei professionisti nella predisposizione degli atti e dall’altro a migliorare l’efficienza del sistema di aggiornamento della banca dati cartografica e censuaria negli Uffici dell’Agenzia. Alcune tappe in particolare però, hanno segnato l’evoluzione della procedura PREGEO. Nel 2002, con l’introduzione del nuovo modello organizzativo, la procedura PREGEO, nella versione 8, ha subito una grande revisione per consentire la gestione dell’estratto di mappa digitale e della proposta di aggiornamento, oltre che il trattamento delle misure altimetriche e dei dati satellitari acquisiti con metodologia GPS (Global Positioning System). Nel 2005, con la versione 9, la procedura PREGEO è stata ulteriormente migliorata per consentire la completa gestione digitale dei modelli utilizzati dai professionisti per la predisposizione degli atti di aggiornamento, decretando il definitivo abbandono di quelli cartacei e aprendo così la strada alla trasmissione telematica dei documenti di aggiornamento su tutto il territorio nazionale. Catasto e topografia n. 1-2/2007 AGENZIA DEL TERRITORIO Nota prot. 44473 del 6 giugno 2007 ggetto: Attivazione del servizio di invio telematico degli atti di aggiornamento del Catasto dei Terreni (Pregeo) su tutto il territorio nazionale. O Come è noto, con provvedimento dei Direttore dell’Agenzia del 22.12.2006, pubblicato sulla G.U, n.l, serie generale del 2.1.2007, è stato attivato, a far tempo dal 15.1.2007, in via sperimentale e limitatamente ad alcune aree geografiche, il servizio di trasmissione telematica degli atti di aggiornamento del catasto terreni (Pregeo). Considerato che la fase sperimentale si è conclusa nei mese dì Aprile u.s., con provvedimento dei Direttore dell’Agenzia del 30.5.2007, pubblicato sulla G.U. del 5.6.2007 il servizio di trasmissione telematica degli atti di aggiornamento del Catasto dei Terreni (Pregeo) è stato esteso, a far data dal 6.6.2007, sull’intero territorio nazionale, ad eccezione dei territori nel quali le funzioni amministrative in materia di Catasto Terreni sono esercitate dalle province autonome di Trento e Bolzano. Con riferimento a tale provvedimento, si evidenzia che il servizio è attivato ad eccezione della presentazione del Tipi Particellari, dei Tipi di aggiornamento esenti da tributi e dei Tipi Mappali riguardanti fabbricati già presenti nella mappa catastale, per i quali l’estensione sarà progressivamente attuata con successivi provvedimenti del Direttore dell’Agenzia del territorio, Si rende noto, altresì, che anche per la trasmissione telematica degli atti di aggiornamento (Pregeo) indicati In oggetto, il pagamento dei tributi dovuti per il servizio può essere effettuato mediante l’utilizzo di somme versate preventivamente, con modalità telematiche, sul conto corrente postale unico a livello nazionale intestato all’Agenzia del territorio. Per quanto attiene in generale al servizio telematico di presentazione dei documenti, si trasmette in allegato la nota prot. 40417/A21 del 22/5/2007 nella quale sono descritte le novità apportate al servizio, In particolare: • Il software di “Genera Ambiente” è stato aggiornato e consente ora di generare le proprie chiavi di firma, sempre in modalità sicura e sempre utilizzando i codici contenuti nella busta di tipo “A”, anche attraverso un collegamento internet e tramite linea tipo ADSL. Quanto sopra conferma il superamento della necessità di reintegrare le disponibilità di buste di tipo “B” . • È stato realizzato un aggiornamento del software “Firma e Verifica” che consente al professionista dotato della firma digitale fornita dall’Agenzia di verificare, oltre alle tradizionali comunicazioni firmate dal sistema anche I documenti firmati da funzionari dell’Agenzia con firma digitale certificata CNIPA (“Secondo Originale” dei tipi di Frazionamento). • È stata attivata la possibilità di inviare telematicamente i documenti di aggiornamento anche con firma digitale a norma, fornita da qualsiasi certificatone accreditato CNIPA. Gli aggiornamenti del software sopra descritti, sono già pubblicati e disponibili per il download, Insieme alle istruzioni relative, in ambiente SISTER, alla pagina: https://sister.agenziaterritorio.it/index.html. Si comunica infine che sulla pagina web di gestione del servizio di trasmissione telematica del documenti, sotto la voce “Info & Aiuto” è disponibile tutta la documentazione utile per realizzare un corretto invio, evitando così inutili rifiuti degli atti da parte del sistema SISTER. Confidando nel tradizionale spirito di collaborazione che caratterizza i rapporti con questa Agenzia si raccomanda di dare la massima diffusione della presente ai locali Ordini e Collegi professionali. È gradita l’occasione per porgere distinti saluti. Il Direttore Carlo Cannafoglia 81 Competenze e Professione n. 1-2/2007 LE TARIFFE PROFESSIONALI DOPO IL DECRETO BERSANI (l. 4.8.2006, n. 248) di Pietro Romano* L’art. 2, Co. 1 lett. a), della legge 04.08.2006, n. 248, che ha convertito in legge il Decreto legge 04.07.2006, n. 223, testualmente recita “1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;”. Il successivo comma 2 prevede che “… Nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali.”. Il cd. “decreto Bersani” ha notevolmente inciso sul sistema di determinazione dei compensi professionali, avendo abrogato l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, implicante una modifica radicale dei comportamenti negoziali tra il professionista ed il committente. È, infatti, divenuta la regola la pattuizione dei compensi relativi all’attività da svolgere, che potranno essere legati anche al risultato della prestazione. Ciò comporta che, in mancanza di esplicita pattuizione del compenso o di determinazione dei parametri di riferimento, in caso di disaccordo tra le parti il ricorso alle tariffe professionali è da considerare sussidiario ai sensi dell’art. 2225 c.c., senza che il professionista possa invocare l’obbligatorietà della tariffa stessa. È evidente, pertanto, la necessità per i professionisti di determinare anticipatamente, con apposito disciplinare, sia l’oggetto della prestazione intellettuale, sia i criteri di determinazione dei compensi. A tal fine le parti possono continuare a parametrare il compenso mediante il richiamo per relazione alle tariffe professionali, ovvero, in caso di differente valutazione, richiamare altri parametri. Per ciò che attiene il settore dei servizi professionali resi nell’alveo delle opere pubbliche, la materia è disciplinata anche dagli articoli 53, Co. 3, e 92, Co. 2, ultimo periodo, del D.lgs. 163/2006 (cd. Codice degli appalti), il quale ultimo prevede che “I corrispettivi sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo.”. A fronte al contrasto evidente (ed insanabile) tra la disciplina contenuta nel Codice degli appalti e l’art. 2 della legge 248/2006, giova citare la Determinazione n. 4/2007, resa il 29 marzo 2007 dall’Autorità per la vigilanza sui contratti * Avvocato e consulente legale del Sindacato Italiano Geometri 82 pubblici di lavori, servizi e forniture, secondo la quale l’art. 2 della legge 248/2006, emanato successivamente, prevale sulle norme contenute nel D.lgs. 163/2006 per sopravvenuta regolamentazione della stessa materia già disciplinata da fonte anteriore. A cagione di ciò, conclude l’Autorità, “le innovazioni legislative sopra richiamate, sono da considerare implicitamente abrogati l’ultimo periodo del comma 2, dell’art. 92, il comma 4, dell’art. 92, del Codice (i corrispettivi determinati ai sensi del Decreto del Ministero della Giustizia 04/04/2001 sono minimi inderogabili) e l’ultimo periodo del comma 3, dell’art. 53 (le spese di progettazione esecutiva sono minimi inderogabili). Attualmente, l’applicazione di tale ultima disposizione è sospesa fino al 1 agosto 2007, per effetto del D.lgs. 26 gennaio 2007, n. 6.”. Ciò comporta che, per il settore dei lavori pubblici, prima dell’entrata in vigore della legge 248/2006, in presenza di tariffe minime stabilite per legge, le gare per gli affidamenti prevedevano il ribasso soltanto sulle spese per l’espletamento dell’incarico, mentre con l’abolizione dei minimi tariffari, il ribasso riguarda l’intero importo della prestazione (onorario più le spese). L’importo stimato dell’appalto per l’affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria, sulla scorta di quanto prevede l’art. 2, Co. 2, della legge 248/2006, può essere individuato in base alle vigenti tariffe “ove motivatamente ritenute adeguate”. Al tal fine giova citare l’art. 2233, del codice civile, ove si stabilisce che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”; da tale norma si desume il cd. “principio di adeguatezza” previsto dal secondo comma. Pertanto, l’Autorità ritiene che le stazioni appaltanti possono legittimamente determinare il corrispettivo a base d’asta applicando il D.M. 4 aprile 2001, richiamato dall’articolo 253, comma 17, del Codice degli appalti. Da quanto sopra ne deriva che l’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime non comporta l’abrogazione sic et simpliciter delle tariffe stesse, che restano in vigore ed esplicano un ruolo di riferimento anche per gli Ordini e Collegi professionali investiti dell’opinamento su un progetto di parcella predisposto in assenza di “negoziazione”. Resta, infatti, in vigore quanto previsto dall’art. 2233 del codice civile, secondo il quale se il compenso non è stato determinato dalle parti e non possono applicarsi le tariffe o gli usi vigenti, la decisione del giudice è emessa, previo parere obbligatorio dell’ordine professionale d’appartenenza. Ne consegue che, laddove le parti non abbiano liberamente determinato il compenso, pur venuta meno l’obbligatorietà ex lege delle tariffe fisse, o minime, queste continuano ad n. 1-2/2007 esplicare un ruolo guida importante per gli ordini professionali, che potranno utilizzarle quale utile strumento per esprimere una valutazione ponderata della congruità ed adeguatezza della somma richiesta all’attività svolta. Queste conclusioni trovano autorevole avvallo anche nella Circolare 26.10.2006, n. 10/2006, emessa dal Ministero della Giustizia, secondo il quale “Le disposizioni del Decreto Bersani non hanno inciso sul potere attribuito al Consiglio dell’Ordine di rilasciare pareri in materia di liquidazione delle parcelle a richiesta degli iscritti, ovvero della pubblica amministrazione, non essendovi alcun riferimento e, tanto meno, alcuna abrogazione esplicita delle disposizioni degli ordinamenti professionali che attribuiscono tale potere agli Ordini e delle disposizioni di cui all’art. 636 c.p.c.”. Un ultimo richiamo appare necessario alle regole deontologiche dettate dagli Ordini professionali, che prescrivano l’obbligo di applicare le tariffe fisse o minime; l’art. 2, Co. 3, della legge 248/2006, infatti, prevede che “Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1 gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle.”. È opportuno rilevare che il Codice di deontologia professionale dei Geometri, attualmente in vigore, prevede all’art. 20 che “Nel rispetto del principio di libera determinazione del compenso tra le parti, statuito dal Codice Civile la misu- Competenze e Professione ra del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera ed al decoro della Professione.”, mentre non chiarisce quale siano i parametri concreti sulla scorta dei quali ritenere che il compenso pattuito sia, o meno, adeguato “all’importanza dell’opera ed al decoro della Professione”. Sul punto può risultare utile citare la posizione assunta dal Consiglio Nazionale Forense, secondo il quale “nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essendo il patto legittimo civilisticamente, esso può risultare in contrasto con gli artt. 5 e 43, comma 2, del codice deontologico, in quanto compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato e si discosta dall’art. 36 Cost.”. È evidente la strumentalità di quest’ultima presa di posizione, che rischia di svuotare di contenuto, eludendone gli effetti, la norma contenuta nel comma 1, lett. a), dell’art. 2 della legge 248/2006, così come appare, al contrario, eccessivamente generica la prescrizione contenuta nel Codice di deontologia professionale dei Geometri, che rischia di eludere il problema dell’adeguatezza della somma pattuita all’importanza dell’opera ed al decoro della professione. Di certo un arduo compito attende i Consigli dei Collegi dei Geometri, chiamati a riempire di contenuto la generica formula espressa dal Consiglio Nazionale Geometri, attraverso una sorta di “giurisprudenza disciplinare” integrativa del precetto, col rischio di creare sperequazioni in sede di applicazione ai casi concreti. Conidoni (VV) “Casa = u kasinu con stalla aperta = appinnata” (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina) 83 Competenze e Professione n. 1-2/2007 AGROTECNICI: NESSUNA COMPETENZA IN MATERIA CATASTALE La Sentenza del Consiglio di Stato 6 febbraio 2006 depositata il 10 maggio 2007 Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente Decisione sul ricorso in appello n.4935 R.G. dell’anno 2003, proposto dal Collegio Nazionale dei Periti Agrari in persona del Presidente pro-tempore, Per. Agr. Andrea Bottaio; dal per. agr. Andrea Bottaro in proprio; dal Collegio dei Periti agrari della Provincia di Roma in persona del Presidente protempore, per. agr. Vincenzo Santoro, tutti elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Verbano 8 presso lo studio dell’Avv. Santina Bernardi contro Il Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro pro-tempore e l’Agenzia del Territorio in persona del legale rappresentante pro-tempore, domiciliati ex lege presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma Via dei Portoghesi 12 e nei confronti del Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via delle Botteghe Oscure 4 presso lo studio dei difensori Avv.ti Marco Prosperetti e Giovanni Rizza e con l’intervento ad adiuvandum del Collegio Nazionale dei Geometri in persona del Presidente pro-tempore e del Geom Piero Panunzi in proprio, elettivamente domiciliati in Roma, P.le delle Muse 8 presso lo studio del difensore Avv. Alessandro Pace per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, II A Sezione del 9 gennaio 2003, n. 59; Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visto 1’ atto di costituzione in giudizio della parte appellata; Visto l’atto d’intervento del Collegio Nazionale dei Geometri in persona del Presidente pro-tempore e del Geom Piero Panunzi in proprio; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive; Visti tutti gli atti di causa; data per letta alla pubblica udienza del 2 febbraio 2007 la relazione del Cons. Sandro Aureli; Uditi, altresì, gli Avv.ti S. Bernardi, M. Prosperetti e Pace A.; Ritenuto in fatto e in diritto: Fatto Con appello collettivo, i soggetti indicati in epigrafe hanno chiesto l’annullamento della sentenza della Sezione seconda del T.a.r. del Lazio n. 59/2003, con la quale è stato respinto il ricorso di primo grado da essi avanzato per l’annullamento della circolare n. l del 7 febbraio 2002 (prot. n. 10941) dell’Agenzia del Territorio Centrale, Cartografìa, Catasto e Pubblicità Immobiliare, a firma del Direttore 84 Centrale, avente ad oggetto la competenza professionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati, parificata, per l’aspetto in considerazione, a quella dei Periti agrari. A tale esito il primo giudicante è giunto per aver ritenuto che in materia catastale sono consentiti anche agli Agrotecnici e agli Agrotecnici laureati gli atti di aggiornamento indicati dall’articolo 8 della legge n. 679/69 (tipi mappali) e dagli artt. 5 e 7 del d.P.R. n. 650 n. del 1972 (tipi frazionamento e particellari), in forza di quanto innovativamente stabilito dall’art. 145, comma 96, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Ha reagito il Collegio Nazionale dei Periti agrari ed il Collegio dei Periti agrari di Roma confutando analiticamente le argomentazioni sulle quali è fondata detta decisione e contestando sia i termini in cui è stato ricostruito il quadro giuridico che ha preceduto la controversia esaminata, sia l’interpretazione data dell’art. 145, comma 96, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, da cui è stato desunto l’ampliamento delle competenze professionali degli agrotecnici in materia di atti catastali, a tal riguardo opponendo, sul piano sistematico, le norme sulla preparazione scolastica ed i programmi didattici a cui sono assoggettati i Periti agrari da un lato e gli Agrotecnici dall’altro, nonché quelle sulla competenza dei rispettivi Ordini nella definizione delle rispettive competenze professionali. L’eventuale conferma dell’interpretazione offerta dalla sentenza impugnata conduce d’altro canto, ad avviso degli appellanti, all’incostituzionalità del citato art. 145 l.n. 388/2000, quest’ultima è questione che viene formalmente sollevata per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’ingiustificata parificazione di situazioni diverse. Le parti appellate, Ministero della Finanze - Agenzia del Territorio, e Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati, quest’ultimo dopo aver riproposto l’eccezione d’inammissibilità del ricorso di primo grado, hanno chiesto il rigetto del gravame svolgendo argomentazioni tra di loro analoghe, con le quali hanno affrontato gli stessi aspetti esaminati dagli appellanti, ma giungendo a conclusioni diametralmente opposte sulla premessa della sostanziale equipollenza dei titoli di studio delle due categorie di professionisti. È intervenuto in giudizio il Collegio Nazionale dei Geometri che ha aderito alle tesi difensive della parte appellante. Sia i Collegi appellanti che quelli appellati con memorie depositate in prossimità dell’udienza hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive, insistendo per il loro accoglimento. All’udienza odierna, tenutasi la discussione, la causa è stata introitata per la decisione sulle rispettive richieste avanzate dalle parti. Diritto 1. L’eccezione d’inammissibilità del ricorso di primo n. 1-2/2007 grado sollevata dal Collegio appellato deve essere respinta non ravvisando, al riguardo, la Sezione alcuna ragione per discostarsi da quanto puntualizzato dal primo giudice, rispondendo ad analoga eccezione. La circolare dell’Agenzia del territorio, che ha riconosciuto la competenza degli Agrotecnici e degli agrotecnici laureati in materia catastale, sostiene il Collegio eccepiente, si limita a recepire il parere reso sulla questione controversa dall’Avvocatura dello Stato che è mero atto interno d’interpretazione di una norma di legge, e, per tale ragione, non può essere considerata un provvedimento impugnabile. Inoltre, tale circolare non reca alcun danno ai Periti agrari per il fatto che non riduce le loro competenze, ma si limita ad ampliare quelle degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati, relativamente ad alcune attività rilevanti per il catasto. Si tratta, com’è facile avvedersi, di eccezioni nuove, posto che se in primo grado è stata lamentata l’omessa impugnazione del parere dell’Avvocatura dello Stato, qui si deduce la natura non provvedimentale e quindi la non impugnabilità, della circolare che detto parere ha recepito. In rapporto a quest’ultima, poi, se in questa sede si deduce la non lesività della stessa in ragione dell’assenza di effetti riduttivi della competenza dei periti agrari in materia catastale, in primo grado era stata invece dedotta la natura di atto generale della stessa, per la cui lesività occorrerebbe quindi attendere gli atti applicativi di essa. Sotto quest’ultimo profilo, non può che essere ribadito, con il giudice dì primo grado, che la circolare di cui si sta discutendo non è affatto un atto interno di natura organizzativa atteso che, con effetto vincolante per gli uffici territoriali dell’Amministrazione finanziaria addetti alle pratiche catastali, consente che una categoria professionale, gli agrotecnici e gli agrotecnici laureati, possano attendere ad adempimenti fino a poco prima ritenuti ricompresi nella esclusiva competenza di altri professionisti e cioè i periti agrari. Ond’è evidente che crea una concorrenza nella stessa materia professionale, che quest’ultimi hanno incontestabilmente l’interesse a far dichiarare derivante da atti illegittimi. Di qui anche l’impugnabilità della circolare in parola, e derivatamene l’infondatezza del primo profilo d’inammissibilità, collegato alla sua natura non provvedimentale. L’eccezione d’inammissibilità del ricorso di primo grado sotto entrambi i profili dedotti ed esaminati deve quindi essere respinta. 2. Il contrasto che la Sezione è chiamata a risolvere riguarda la definizione delle competenze catastali degli agrotecnici (categoria che nel prosieguo deve intendersi comprensiva anche dei agrotecnici laureati) che il legislatore, con l’art. 145, comma 96, della legge 23.12.2000, n. 388 avrebbe ampliato riconoscendo loro la facoltà di redigere gli atti di aggiornamento del catasto, vale a dire tipi mappali e tipi di frazionamento e particellari, adempimenti senz’altro ad essi impediti prima di detta disposizione. Poiché, ad avviso della Sezione, la risposta al quesito proposto dalle parti in causa richiede l’esegesi di detta disposizione, da effettuare utilizzando il prioritario criterio dell’interpretazione letterale e logica del testo (art. 12 preleggi), conviene procedere alla sua integrale riproduzione. Competenze e Professione Art. 145: “Gli atti di aggiornamento geometrico di cui all’articolo 8 della legge 1° ottobre 1969, n. 679, ed agli articoli 5 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650, e le denunce di variazione di cui all’articolo 27 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, resi dai soggetti di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni dalla legge 26 giugno 1990, n. 165, sono redatti conformemente alle disposizioni di cui al decreto 19 aprile 1994, n. 701 del Ministro delle finanze”. La Sezione ritiene che non possa condividersi la lettura della norma in esame offerta dal primo giudice, e debba invece essere privilegiata la considerazione che il fine con essa perseguito dal legislatore, come si ricava dalla sua struttura grammaticale e sintattica, non è stato quello di procedere all’ampliamento di competenze professionali degli Agrotecnici, agli stessi attribuendo competenze nuove, in precedenza ad essi non riconosciute, bensì la conferma delle modalità con cui debbono essere “redatti” gli atti di aggiornamento delle pratiche catastali. Trattasi di conferma alla quale si perviene con il richiamo alle disposizioni del Decreto del Ministero delle Finanze 19 aprile 1994 n. 701, e alle modalità che esso detta e che presuppongono una competenza professionale specifica e consentono, per questa via, di individuare anche i professionisti abilitati a tale redazione. Posta tale premessa si deve subito aggiungere che tra le parti non è contestato che tra i soggetti ai quali compete la redazione degli aggiornamenti catastali a tenore del D.M. in esame non rientrano gli agrotecnici (art. 1 comma 4° ) . Quest’ultimi, infatti, proprio in ragione di tale esclusione hanno impugnarono la norma ministeriale (n. 701/1990), dinanzi al T.a.r. del Lazio (sez. II A ) in epoca antecedente all’introduzione nell’ordinamento dell’art. 145 citato, senza ottenere il riconoscimento della richiesta di ampliamento della loro competenza professionale (v.ord. 986/99). Quest’ultimo giudizio ha poi dato luogo alla pronuncia della Corte costituzionale che, l’archiviazione di un esame delle materie che sono alla base del corso di studi e della formazione didattica della categoria, ha ritenuto non incostituzionale la disciplina vigente laddove esclude che gli agrotecnici possano redigere i tipi mappali o i tipi di frazionamento e parcellari (sent. 441/2000). La Sezione ritiene che il giudice di primo grado abbia compiuto una lettura parziale dell’art. 145 all’esame fermando 1’ attenzione sui “soggetti di cui all’art. 1, comma 7° del decreto legge 27 aprile 1990 n. 90, convertito, con modificazioni dalla legge 26giugno 1990, 165..”. Questa parte della norma rappresenterebbe la tecnica che il legislatore avrebbe utilizzato, mediante il rinvio a norma preesistente, per introdurre la controversa innovazione, con l’effetto di dar origine ad una disposizione che altra finalità non avrebbe che quella d’essere favorevole all’ampliamento della competenza degli agrotecnici in materia catastale, accomunandoli agli altri professionisti sicuramente in possesso di tale competenza professionale (ingegneri, architetti, geometri, periti edili, periti agrari....) menzionati anch’essi nella norma oggetto del rinvio. Senonchè suscita perplessità un intervento del legislato- 85 Competenze e Professione re effettuato a tal fine, sol che si consideri che non può ritenersi ampliata la competenza professionale di taluni professionisti se poi nella stessa disposizione si mantengono modalità di adempimento degli atti relativi a tale ampliamento che implicano una formazione professionale che gli stessi soggetti allo stato della normativa in vigore non hanno, come chiarito da ultimo dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza. Quanto meno sarebbe riscontrabile all’interno della stessa norma una palese contraddizione, mentre la tesi del primo giudice sarebbe apparsa condivisibile se fosse stata richiesta una nuova modalità di redazione degli atti d’aggiornamento catastale sopra menzionati, coerente con la formazione professionale posseduta dagli agrotecnici, ovvero fosse stata individuata la norma per la quale quest’ultimi hanno acquisito la formazione professionale che consente loro di utilizzare il citato D.M. al pari di altri professionisti, ivi compresi i periti agrari o i geometri. Sulla base delle superiori considerazioni è doveroso dar conto della ragione per la quale il legislatore è intervenuto nella materia controversa; intervento che il primo giudice ha ricondotto alla finalità di sancire l’ampliamento della competenza degli agrotecnici in materia di atti catastali. Ritiene al contrario la Sezione che proprio il richiamo esplicito al D.M. finanze n. 701/94 palesa la volontà del legislatore di risolvere le incertezze interpretative di cui la sentenza impugnata ha dato ampiamente conto, nel senso di confermare l’esclusione degli agrotecnici dalla redazione degli atti d’aggiornamento catastale. In altri termini, con una tecnica di redazione che evidentemente mira a non compromettere la possibilità che in futuro gli agrotecnici possano ottenere l’ampliamento della loro competenza professionale, il richiamo effettuato dal legislatore ai soggetti di cui all’art 1, comma 7, del decreto 1990, n. 90, (convertito,con modificazioni,dalla legge 26 giugno 1990 n. 165), contenuto nell’art. 145,comma 9 deve essere inteso siccome effettuato soltanto in favore di quei soggetti dai quali gli atti d’aggiornamento vengono “resi” (per usare il termine presente nella stessa norma), vale a dire che già avevano la competenza professionale per redigere gli atti 86 n. 1-2/2007 d’aggiornamento catastale, secondo le modalità del più volte menzionato D.M. Quindi, e in definitiva, se è vero che gli agrotecnici sono tra i soggetti menzionati nell’art. 1, comma 7, D.L. 27.04.1990, 90, non è meno vero che da essi, al contrario degli altri soggetti menzionati dalla stessa norma, gli atti d’aggiornamento di cui si discute non sono stati mai “resi”. Il che permette di ritenere che tale indicazione è stata effettuata non per ampliare la loro competenza ma per implicitamente ribadire la loro esclusione da tali adempimenti, come appare altresì inevitabile concludere per effetto del richiamo contemporaneo al citato D.M. alla cui stregua gli stessi aggiornamenti debbono essere “redatti”. L’appello deve di conseguenza essere accolto. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza accoglie il ricorso di primo grado con conseguente annullamento della circolare n. 1 del 7 febbraio 2002 (prot. C/10941) dell’Agenzia del Territorio, Direzione Centrale Cartografia, Catasto, Pubblicità Immobiliare. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, addì, 6 febbraio 2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. TV), riunito in Camera di Consiglio con l’intervento dei signori: Gennaro Ferrari, Presidente; Vito Poli, Consigliere; Bruno Mollica, Consigliere; Sandro Aureli, Consigliere est.; Vito Carella, Consigliere; L’Estensore Il Presidente Sandro Aureli Gennaro Ferrari Il Segretario Giacomo Manzo Depositata in segreteria il 10.5.2007 n. 1-2/2007 Competenze e Professione AFFLUSSI ANOMALI ED IMMISSIONI ILLECITE NELLE FOGNE NERE di Giuseppe Raso* e Angela Raso** e portate entranti negli impianti di depurazione delle acque urbane da diversi anni tendono ad aumentare sempre di più e non appaiono proporzionali al numero degli abitanti effettivamente serviti dagli acquedotti. Ci domandiamo se e come è possibile invertire questa tendenza e, soprattutto, come si può risolvere il problema per evitare continui potenziamenti delle reti ed ampliamenti degli impianti di trattamento? Riflessioni, valutazioni, proposte. L 1. Inquadramento della problematica generale sul territorio. Nelle reti di drenaggio urbano ed in particolare in quelle a vocazione esclusivamente fecale, nel corso degli ultimi decenni si riscontra un progressivo aumento degli afflussi di acque non direttamente attinenti alle attività umane o provenienti dai consumi civili o, comunque, dalle utilizzazioni domestiche e similari. Non solo, ma si osserva anche che le portate entranti nei depuratori non sono proporzionali e nemmeno comparabili con le effettive dotazioni idriche delle popolazioni, anche se si spinge il calcolo fino a tenere conto degli afflussi attribuibili agli abitanti equivalenti afferenti gli scarichi delle piccole attività produttive urbane. Il fenomeno, normalmente meno accentuato, se non addirittura inesistente, negli abitati collinari e montani caratterizzati da una prevalente economia di tipo agro-silvo-pastorale, commerciale e/o da presenze umane di tipo residenziale-pendolare, si presenta invece particolamente grave negli agglomerati urbani siti nei fondi vallivi, in quelli lungo i litorali costieri e lacuali e nelle pianure di formazione alluvionalesedimentaria. Prima di addentrarci nella complessa problematica cerchiamo di chiarire cosa deve intendersi con le espressioni “afflussi idrici anomali” e/o “presenza di acque parassite” nelle reti fecali. Nella letteratura del settore le due dizioni si riferiscono, rispettivamente, ad immissioni volontarie o comunque determinate dall’uomo ed a penetrazioni naturali di acque nelle reti fognanti, sia con carattere continuo che occasionale. La consistenza di tali afflussi, rapportata alla portata attribuibile alle presenze umane, quasi sempre va ben oltre il ragionevole limite di incremento teorico del 5 -10% di cui si suole tenere conto in sede progettuale per la verifica delle sezioni delle fogne, delle stazioni di sollevamento e degli stessi impianti di depurazione. Fra le fonti che più comunemente costituiscono origine delle immissioni idriche “anomale o parassite” nelle fognature esclusivamente fecali possiamo sicuramente considerare: a) - Collegamenti di drenaggi di giardini (sia terranei che pensili) o di piazzali pavimentati che intercettano sia acque di annaffiatura (questa talvolta viene prolungata fino alla saturazione dello strato agrario) che di lavaggio o, peggio, piovane; b) - Collegamenti in fogna di acque provenienti da sorgenti o da affioramenti di falda in locali interrati e seminterrati dei quali occorre mantenere l’utilizzabilità secondo le condizioni di agibilità previste dai regolamenti comunali; c) - Scarichi in fogna di sfiori di serbatoi di acqua o di esuberi da utilizzazioni industriali di acque di falda; d) - Drenaggi provvisori di acque superficiali in cantieri edilizi o di acque più profonde mediante impiego di wellpoint, dreni sub-orizzontali o trincee; e) - Collegamenti di acque di condensa prodotte da macchine frigorifere industriali e/o da grandi climatizzatori sia industriali che civili; f) - Penetrazioni in rete di acque di falda attraverso i giunti di vecchie tubazioni, attraverso giunzioni sfilate o di ridotta tenuta, attraverso fratture e lesioni delle tubazioni o, infine, attraverso gli stessi pozzetti di ispezione, di confluenza e di sollevamento che di regola sono presenti nelle reti ad intervalli di circa 30 ÷ 40 metri; tali tipi di penetrazioni idriche, in prossimità dei litorali marittimi, possono essere costituite sia da acque dolci che salate, a seconda del maggiore o minore avanzamento “terrestre” del cuneo salino. 2. Disamina di alcune anomalie più rilevanti e valutazione dei riflessi gestionali. Quali problemi scaturiscono da tali afflussi nelle reti fognarie? Innanzi tutto si osserva che questi sono da ritenere delle vere e proprie anomalie di rete e, come tali, sono causa di notevoli incrementi dei costi gestionali, oltre che di significativi periodi di inefficienza depurativa. Inoltre, quando si tratta di infiltrazioni di acque di falda che penetrano in rete attraverso fessurazioni e fratture nei tubi o sconnessioni di giunti, le stesse sono quasi sempre caratterizzate da notevole trasporto solido che aggrava la gestione del trattamento depurativo, sia sotto l’aspetto dei costi energetici che della complessità manutentiva; tali particolari immissioni spesso determinano anche lo svuotamento progressivo dei terrapieni di riempimento delle trincee di posa dei tubi col conseguente pericolo di cedimenti improvvisi delle superfici calpestabili o rotabili. Tali afflussi portano a sovrastimare la portata fecale terminale ed al conseguente sovradimensionamento delle canalizzazioni e degli organi di rete quali le stazioni di sollevamento, di nodo o di linea, gli scolmatori di piena presenti nelle reti miste, i gruppi di disinfezione previsti al servizio dei by-pass e gli stessi impianti di depurazione. Questi ultimi risultano particolarmente gravati dai maggiori carichi idraulici entranti e da una preoccupante diluizione organica dei liquami; le conseguenze quasi sempre sono la riduzione dei tempi di detenzione nei bacini ed una drastica diminuzione dell’efficienza depurativa dell’impianto a causa della permanente o prolungata bassa concentrazione della massa batterica attiva. Da quanto sommariamente esposto risulta evidente che allo stato attuale occorre seriamente programmare una rivisitazione delle reti fognarie più datate ed anche di quelle che, se * Giuseppe Raso – Geometra, dottore in scienze geo-topo-cartografiche, estimative, territoriali ed edilizie, già capo della seconda sezione del Genio Civile di Cosenza, ora funzionario responsabile idraulico in servizio presso il Settore Protezione Civile e Difesa del Suolo della Provincia di Cosenza. **Angela Raso - Ingegnere Civile con specializzazione in idraulica, libera professionista. 87 Competenze e Professione pure realizzate in tempi più recenti, sono caratterizzate da tecnologie costruttive e da materiali che possono favorire i fenomeni di cui ci stiamo occupando. Poiché una tale programmazione deve puntare alla normalizzazione dell’intero sistema di drenaggio urbano e del relativo trattamento per i prossimi decenni, per la sua pratica attuazione occorre disporre di informazioni dettagliate sulla topografia delle reti fecali in rapporto alle corrispondenti reti idropotabili ed alle altre canalizzazioni superficiali, nonché sulle loro caratteristiche morfologiche ed in particolare sui tipi di tubazioni impiegate e sulle caratteristiche delle giunzioni. Sulla base del posizionamento stradale dei collettori, delle fogne, dei fognoli e dei raccordi di connessione dei gruppi di fabbricati osservati e valutati, tenendo conto delle vicinanze critiche con le altre reti e dall’esame della massa di dati disponibili e/o raccolti appositamente sulla tipologia costruttiva, in buona parte dei casi è possibile individuare già “a tavolino” i punti di possibile anomalia, disporre immediati e più approfonditi accertamenti diretti sul posto e contestualmente porre anche in atto i ripristini o i correttivi necessari. Tutta l’operazione, però, deve essere vista come specifica attività quotidiana di apposita unità operativa che in sede locale o di ambito territoriale circoscritto viene preposta a tale funzione. Si costruisce così un vero e proprio sistema informativo territoriale specializzato e finalizzato agli interventi manutentivi, ma soprattutto ai correttivi delle anomalie più macroscopiche. Ai fini prettamente operativi occorre aggiungere che, oltre che mediante escavazioni ed ispezioni dirette dei tratti a rischio, le immissioni anomale molte volte possono essere individuate anche attraverso misurazioni ripetute o costanti delle portate localizzate in diversi punti caratteristici od “a rischio” delle reti fognanti. La strumentazione da adoperare deve essere costituita da apparecchiature facilmente e velocemente installabili e rimovibili, oltre che di non complessa utilizzazione, ed a questi fini si dimostrano utilissimi gli apparecchi misuratori ad ultrasuoni in quanto non sono influenzabili dalla torbidità e dal trasporto solido entro limiti sufficientemente ampi. La lettura ripetuta dei dati il più delle volte consente di rilevare anomalie di flussi che, anche se ricorrenti, non hanno la caratteristica della costanza ed in tali casi è utile suddividere l’area in esame in bacini più piccoli o addirittura tronchi fognari singoli; ovviamente questi devono essere messi subito sotto controllo, sia attraverso la verifica dello stato dei pozzetti di ispezione e sia attraverso l’osservazione delle attività che si svolgono nelle aree superficiali di rispettiva influenza. Così operando si riesce quasi sempre a capire la natura e l’origine del problema ed a programmare direttamente l’intervento mirato al risanamento di quella anomalia che nella maggioranza dei casi è provocata da attività umane. È chiaro che ove le canalizzazioni sono costituite da tubi in PEAD, PVC, GRÈS e simili collegati mediante giunti poliuretanici o di altro materiale che ne garantisca la tenuta anche in caso di lieve disassamento degli elementi, è difficile ipotizzare penetrazioni idriche puntuali lungo i tronchi compresi fra due pozzetti, a meno che non si verifica la frattura di qualche elemento. In tali situazioni è, invece, opportuno rivolgere l’attenzione verso la possibile scarsa o nulla tenuta nei pozzetti ed in particolare nella connessione tubo/pozzetto e nella sezione di spiccato delle pareti, ove il manufatto sia stato realizzato direttamente nel sito. 3. Riflessioni e valutazioni sulle due più ricorrenti condizioni operative particolarmente gravose sotto l’aspetto idraulico. Fra le sei più comuni situazioni di anomalia evidenziate 88 n. 1-2/2007 nel primo paragrafo solo due appaiono quali casi “patologici” di complessa, ma non impossibile, soluzione: il caso a) relativo ai collegamenti in fogna di drenaggi di giardini o di acque raccolte da piazzali e grandi terrazzi pavimentati ed il caso b) relativo ai collegamenti in fogna di acque provenienti da sorgenti, anche effimere, o da affioramenti di falda freatica in vani interrati e/o seminterrati. Nel caso dei drenaggi di giardini o di piazzali pavimentati che intercettano sia acque di annaffiatura (questa quasi sempre originata dalla saturazione dello strato di terreno agrario) che di lavaggio o, peggio, derivate da piogge, la caratteristica “positiva” è che quelle di drenaggio dei giardini sono le più facilmente individuabili dai servizi manutentivi anche perché, di regola, si riscontrano solo di mattina o di sera ed esclusivamente nel periodo da maggio ad ottobre. Nel caso delle acque provenienti dalle superfici pavimentate, gli stessi cunicoli, oltre a quelle di lavaggio periodico, purtroppo intercettano anche le acque piovane e la situazione nella rete fecale diventa ancora più critica in quanto la lentezza di tali afflussi distribuiti a macchia sul bacino di un centro urbano genera sempre un prolungamento delle code di piena a causa del rilascio piuttosto lento dei volumi idrici ritenuti o invasati in tali aree. Conseguentemente, nel caso in cui la rete urbana non è di tipo “misto”, le acque di tale natura raggiungono direttamente e totalmente il sistema depurativo, non essendo intercettate da nessuno sfioratore di linea, se non occasionalmente dallo sfioro di qualche stazione di sollevamento che proprio non ce la fa a mandarle tutte alla stazione successiva. In tale situazione le apparecchiature dei sollevamenti sono costrette ad un super lavoro continuo e, conseguentemente, determinano maggiori costi per elevati consumi elettrici, più ravvicinati interventi di manutenzione per la loro più rapida usura. La situazione peggiora ulteriormente quando nelle medesime canalizzazioni vengono scaricate anche le acque piovane intercettate dalle coperture degli edifici. La condizione di criticità dei deflussi in fogna, per conseguenza di tali immissioni, si presenta dopo qualche tempo dall’inizio delle precipitazioni in quanto, come è noto, la primissima acqua viene assorbita dalle terre dei giardini e/o evaporata dalle superfici pavimentate “calde” ed anche trattenuta “a velo” dalle stesse. Quando, però, le terre si sono saturate e le superfici pavimentate si sono raffreddate, le reti drenanti e gli impluvi si attivano, adducendo le acque verso i collettori fecali con veloce e progressivo incremento, condizionato quest’ultimo soltanto dal ritardo determinato dalla morfologia locale e dalle caratteristiche delle superfici di intercettazione e corrivazione. In tanti vecchi centri abitati collinari o montani e presso gli insediamenti turistico-balneari, spesso dotati di modesti tratti di canalizzazioni pluviali superficiali e di fognature esclusivamente fecali, le immissioni di tali particolari acque possono raggiungere frazioni intollerabili della portata fecale ordinaria, determinando improvvise disfunzioni dei depuratori che non dispongono di appositi bacini di equalizzazione. 4. Ipotesi di infiltrazioni idriche in un “vecchio” pozzetto (di ispezione o di confluenza) posto sotto battente rispetto alla falda. Il caso che ora consideriamo riguarda la funzionalità, o meglio, la tenuta idraulica di un ipotetico pozzetto di linea a suo tempo realizzato in un collettore fecale secondo la seguente successione di fasi costruttive: 1. scavo della fossa a larga sezione con quota fondo nell’ambito di escursione della falda; 2. realizzazione della soletta di fondo in calcestruzzo cementizio leggermente armato; n. 1-2/2007 3. realizzazione delle pareti in calcestruzzo gettato in opera con armatura collegata a quella della soletta già gettata e previa ammorsatura del tubo che, se in plastica, viene lasciato passante e poi liberato della calotta superiore mediante taglio in opera; 4. realizzazione della soletta di copertura con fissaggio del chiusino; 5. riempimento del cavo circostante il manufatto e ripristino del piano viario. Un tale manufatto, ancorché ben curato durante le varie fasi esecutive, presenta alcuni punti vulnerabili nel senso che questi costituiscono una quasi sicura penetrazione in fogna di acque esterne cedute da falde rispetto alle quali il manufatto è, evidentemente, sotto battente. I punti in questione sono: la fessura di distacco fra pareti e fondo e quella fra pareti e tubi entranti che, rispettivamente, si creano per la diversa tempistica delle due gettate cementizie e per la scarsa tenuta del cemento col tubo o, più spesso, per assestamenti del manufatto. Per addivenire ad una realistica determinazione dei possibili afflussi dalla falda occorre fissare alcune semplificazioni utili anche al fine di rendere più comprensibile il fenomeno. Intanto, sulla base dell’esperienza personale dello scrivente e per opportuna cautela tecnica, si può ritenere che la fessurazione sia attiva in misura non superiore ad 1/3 del suo intero sviluppo geometrico apparente in quanto la parte localizzata in prossimità dei quattro angoli del pozzetto presenta quasi sempre una buona tenuta idraulica. In mancanza di prove specifiche e di misurazioni di flusso in sito, considerato che il pozzetto schematicamente corrisponde alla condizione di distribuzione della pressione idraulica cui è soggetto un recipiente vuoto immerso in un liquido di estensione infinita, per opportuna semplificazione del fenomeno, la fessura ipotizzata può essere valutata alla stregua di una bocca sotto battente in parete di grosso spessore. Caratteristica di tale bocca è la sua lunghezza infinitamente grande in rapporto alla sua altezza media; questa da parte sua può variare da 1/10 di mm ad 1 mm o più ed il suo dislivello rispetto alla quota di falda determina all’interno della fessura un moto idraulico assimilabile a quello di una serie di tubazioni capillari accostate fra loro e di diametro assortito. Inoltre, considerata l’elevata scabrezza delle pareti che delimitano la fessura, a vantaggio dell’approssimazione si ritiene pure ragionevolmente applicabile un coefficiente di deflusso “k” pari a non più di 0,20; nel caso come sopra ipotizzato appare possibile valutare il flusso per mezzo della classica formula di regime: Q = A*k*√2gh, dove con “h” si rappresenta il presumibile dislivello medio fra la quota di falda e la fessura, mentre le altre lettere conservano il consueto significato con tutte le dimensioni espresse in metri. Ai fini di una più realistica ed attendibile disamina del caso ipotizziamo anche che la rete fecale sia stata costruita per successivi lotti nel tempo e nei mesi in cui si registra la minore quota della falda (estate ed autunno), se non altro perché mantenere aperte le trincee di scavo in presenza di acqua affiorante durante le altre stagioni sarebbe stato piuttosto oneroso e pericoloso. Per tutti i motivi sopra espressi le penetrazioni in rete attraverso le fessurazioni dei pozzetti sono da ritenere di entità estremamente variabili e comunque da non sottovalutare mai, anche se nel caso dei centri costieri tipicamente turistico-bal- Competenze e Professione neari o di quelli residenziali ubicati su piattaforme alluvionali vallive tali immissioni solitamente sono più contenute, sia perché le canalizzazioni hanno un maggiore grado di riempimento e sia perché le escursioni della falda sono notevoli. Con riguardo al caso sopra ipotizzato, nella tabella riprodotta in fondo al testo è stata effettuata la determinazione di un possibile afflusso di acque di falda in fogna attraverso le fessurazioni presumibili in un pozzetto di linea realizzato in sito con dimensioni interne di mt 1 x 1 e due ingressi per tubi dei diametri interni di 200, 250 e 300 mm. Dal calcolo esposto per i soli due casi relativi alla fessura avente quota sotto battente di -0,20 e -0,50 metri, si rileva che gli afflussi teoricamente possibili nel pozzetto a pianta quadrata di mt 1,00 x 1,00 rispettivamente sono: col tubo Ø 200 dal minimo di 0,036 l/s al massimo di 0,571 l/s, col tubo Ø 250 dal minimo di 0,039 l/s al massimo di 0,620 l/s, col tubo Ø 300 dal minimo di 0,042 l/s al massimo di 0,946 l/s. Nella pratica operativa questo significa che, trattandosi di canalizzazioni di piccolo diametro, occorre tenere conto della presenza in linea di almeno un pozzetto di ispezione ogni 30 metri di fogna1 per cui un chilometro di collettore, che si trova immerso in falda fino a 0,50 metri, può intercettare acque in quantità valutabile: - da un minimo di 0,036 x 30 = 1,08 l/s pari a circa 1,08 x 3600/1000 = 3,9 mc/h - ad un massimo di 0,946 x 30 = 28,38 l/s pari a circa 23,38 x 3600/1000 = 102 mc/h. È evidente che la seconda situazione è veramente macroscopica e, qualora si dovesse davvero verificare, darebbe origine ad inaccettabili disfunzioni sia nell’impianto di depurazione che nelle stesse stazioni di sollevamento di linea, dove le pompe si troverebbero presto in grave stato di affaticamento e di rapida usura. Per avere un termine comparativo di valutazione del carico idraulico da movimentare in quello stesso collettore è utile fare un confronto con l’afflusso domestico determinato in rete dalle presumibili presenze umane gravitanti nel medesimo tratto. Per un’area turistico-balneare possiamo realisticamente ipotizzare la presenza di 1000 abitanti equivalenti gravanti giornalmente sul nostro chilometro di collettore sotto falda e per tutte le utenze, per consuetudine, riteniamo una dotazione unitaria di 250 lt/g di acqua pro-capite. Le corrispondenti acque di rifiuto domestiche, valutate all’80% della portata media oraria su 18 ore giornaliere, ammontano a circa (1000 x 0,250) x 0,80/18 = 11 mc/h; ne deriva che nella migliore condizione gli afflussi anomali in fogna rappresentano circa il 33% della Qm oraria totale, mentre nel caso di immissioni più accentuate possono diventare addirittura nove volte maggiori, ciò che significa sicura e rapida crisi del sollevamento terminale e dello stesso depuratore. A questa macroscopica anomalia si devono aggiungere anche le immissioni che durante il periodo estivo nelle zone balneari derivano dalle acque prelevate direttamente in falda per essere utilizzate nelle docce post-bagno ed in altre attività familiari all’aperto. Tutto ciò significa che, in occasione delle maggiori presenze estive nelle aree abitate di cui ci stiamo occupando, nella più favorevole delle ipotesi idrauliche sopra discusse, almeno il 50 % della portata media oraria dei collettori fecali può provenire da immissioni anomale. 1- Vedere al proposito la Delibera del Comitato Interministeriale del 04/02/1977, pubblicata sul S.O.G.U. n. 48 del 21/02/1977 - allegato n. 4 contenente “Norme tecniche generali per la regolamentazione dell’installazione e dell’esercizio degli impianti di fognatura e depurazione”, dove è specificato che “…tutti i pozzetti presenti lungo le canalizzazioni, al fine di assicurare una realistica possibilità di intervento del personale, devono presentare i seguenti intervalli: a) per fogne impraticabili, cioè di altezza interna inferiore a mt. 1,05, l’intervallo massimo consigliato è di mt. 25 - 30; b) per fogne praticabili detta distanza può anche mantenersi al limite massimo di mt. 50; c) per grossi collettori ed emissari, di altezza netta superiore a mt. 2 la distanza fra i pozzetti può tenersi anche di mt. 150. 89 Competenze e Professione Tuttavia, finché si tratta di penetrazioni di sole acque dolci i conseguenti inconvenienti sono prevalentemente di natura idraulica, anche se la riduzione dei tempi di ossidazione e della concentrazione della massa biologica attiva nei bacini di ossidazione comportano puntualmente una significativa riduzione di efficienza dell’impianto. La situazione diventa insostenibile in quegli abitati litoranei dove le penetrazioni in rete sono costituite da acque salate a causa dell’attuale eccessiva escursione del livello delle falde di acque dolci a sua volta dovuto sia agli accentuati emungimenti di acque che alla tendenza del clima verso la tropicalizzazione. È noto che l’eccesso di cloruro di sodio nelle acque che si avviano ai depuratori condiziona pesantemente l’efficienza di questi ultimi e gli effluenti sono caratterizzati da un elevato indice s.a.r. (sodium adsorbition ratio) che a sua volta ne limita l’uso diretto in agricoltura. Anche per questo motivo occorre provvedere con urgenza. 5. Le immissioni derivanti da capillarità e/o microfessurazione delle pareti dei pozzetti. Nel caso specifico si tratta di entità sicuramente trascurabili ai fini che si propone questo lavoro; infatti nel computo delle portate fecali, solitamente, non si tiene conto delle immissioni attraverso le pareti dei manufatti gettati in opera quando sono dovute alla porosità delle murature e/o alle microfessurazioni determinate da cattiva o nulla vibrazione delle gettate di calcestruzzo o da gettate caratterizzate da eccessi di acqua con conseguente elevato ritiro. Tuttavia in questa sede appare utile effettuarne una sintetica disamina, almeno per accertarci che si tratta realmente di afflussi idrici poco significativi. Intanto possiamo affermare che una simile condizione, in buona sostanza, è assimilabile al fenomeno della permeabilità delle terre e, pertanto, è descrivibile come una portata dell’unità di superficie legata alla velocità di attraversamento della parete ed al suo spessore. Il valore della permeabilità2 del calcestruzzo impiegato in opera come sopra descritto, con buona approssimazione, è equiparabile a quello di un terreno avente una struttura mista e buona compattazione artificiale e, pertanto, può essere assunto pari a non meno di: k = 1 x 10-4 cm/s. Considerando che lo spessore medio delle pareti è di cm 20, la porosità e l’eventuale microfessurazione delle superfici site sotto il livello della falda possono consentire il trafilamento dell’acqua in un tempo di circa 56 ore. Per addivenire ad una realistica quantificazione dell’afflusso di tali specifiche acque di falda nel pozzetto, uniformandoci anche a quanto già fatto per lo studio delle immissioni dalle fessurazioni, consideriamo l’ipotesi che il battente della falda assuma la quota massima di m. +0,50 rispetto al piano di fondo del manufatto ed escludiamo totalmente la superficie del fondo in quanto, per la presenza del semitubo e del suo rinfianco, il fenomeno è da ritenere quasi sempre assente. Nel nostro caso, trattandosi di acque di falda in condizioni di tranquillità, appare sufficientemente rappresentativa la formula del Darcy per valutare l’entità del possibile flusso: Q=k*I*A dove (I) rappresenta il gradiente idraulico, cioè il rapporto fra l’altezza del battente di falda contro la parete e lo spessore del mezzo poroso, mentre le altre lettere hanno il consueto significato. n. 1-2/2007 Inseriamo, pertanto, nella formula i valori che abbiamo già commentato: - coefficiente di permeabilità espresso in m/s: k = (1 x 106) = 0,000001 m/s, - gradiente idraulico ovvero caduta piezometrica nella parete: I = (0,50/0,20) = 2,50 - area delle quattro pareti sotto battente: A = (4 x 1,00 x 0,50) = 2,00 m2 Il valore massimo che otteniamo (vedi tabella) per ogni pozzetto è Q = 0,000005 m3/sec, corrispondenti a circa 13 mc/giorno per 30 pozzetti, ciò che rappresenta davvero una immissione assolutamente poco significativa, in rapporto alle portate realmente in gioco, anche nelle più modeste reti urbane e, pertanto, certamente non influenza l’efficacia del trattamento finale. Naturalmente l’ipotesi sopra rappresentata costituisce un caso limite, possibile, ma raramente ricorrente, che potrebbe verificarsi solo in pozzetti realizzati in opera, senza osservare le regole dell’arte, con cattivo calcestruzzo e sotto un battente di falda di almeno mezzo metro. Ne deduciamo che, a meno che non siano presenti nei pozzetti delle vere e proprie lesioni o delle apprezzabili fessurazioni come quelle di cui abbiamo discusso nel punto n. 4, il trafilamento per porosità delle pareti non deve essere considerato fra le immissioni anomale nelle fognature. 6. Ampliare e potenziare le reti fognanti, i sollevamenti ed i depuratori o prevedere interventi correttivi, di adeguamento e di risanamento delle installazioni esistenti? La necessità di disporre sempre più di maggiori spazi per le esigenze private e per lo svolgimento della vita organizzata, da diversi decenni ha determinato il progressivo abbandono degli antichi nuclei abitati e dei centri storici ed il trasferimento degli abitanti in costruzioni plurifamiliari realizzate nelle aree di ampliamento vallive o litoranee, dove è stato possibile costruire strade più larghe e realizzare maggiori servizi per la collettività. Ed è proprio in tali più recenti insediamenti che si registrano con maggiore ricorrenza gli inconvenienti di cui abbiamo discusso prima e dove si parla sempre più incessantemente di potenziamenti delle reti, dei sollevamenti e dei depuratori mentre, parallelamente, si assiste ad un progressivo incremento dei loro costi di costruzione e di esercizio. In particolare si osserva che l’ampliamento strutturale degli impianti per adeguarne la volumetria ricettiva e, quindi, i tempi di trattamento, presenta dei costi che non sono linearmente proporzionali alle maggiori portate in gioco e tanto meno alle loro notevoli variazioni giornaliere. Non solo, ma una volta adeguate alle maggiori portate le strutture di adduzione, sollevamento e trattamento ci si accorge che i costi gestionali sono notevoli e spesso sono accompagnati da un beffardo risultato in termini di accettabilità degli scarichi. Pertanto la corsa al potenziamento strutturale e gestionale delle reti fognanti trova un limite quasi insormontabile nell’insostenibilità dei costi da parte delle comunità civili servite. Ne consegue che l’approccio più corretto per la soluzione dei problemi connessi con immissioni illecite ed afflussi anomali è quello di attrezzare e specializzare adeguatamente uffici e personale per l’individuazione topografica e quantitativa delle diverse possibili anomalie e per i più tempestivi interventi correttivi. 2 - Il coefficiente di permeabilità “k”, per convenzione, è espresso in cm/sec e, pertanto, ha le dimensioni di una velocità; esso rappresenta il tempo di transito di una particella di acqua attraverso un centimetro di spessore del materiale considerato. Per esprimere “k” in m/sec è sufficiente aumentare l’esponente di due unità e, pertanto, nel nostro caso diventa k = 1 x 10-6 m/s. 90 Competenze e Professione n. 1-2/2007 Questo consente senz’altro di allungare, sicuramente di alcuni anni, la durata delle reti e degli impianti esistenti, sia in termini di capacità che di efficacia funzionale. In un prossimo lavoro tratteremo un singolare aspetto dei drenaggi urbani che può consentire l’adeguamento indiretto delle capacità di trattamento dei depuratori civili. Tab. n. 1 - Ipotesi di afflussi da falda per fessurazioni in pozzetti di fognatura costruiti in opera. Sviluppo Diametro fessura ai esterno due giunti del tubo fra tubi e in metri pozzetto in metri 0,30 (Ø200) 0,35 (Ø250) 0,40 (Ø300) 1,884 2,198 2,512 Flussi drenati (Q=mc/sec) Sviluppo Area fessura calcolati in rapporto al fessura Area fessualla base carico idrostatico ipotizzaLuce alla base ra contorno pozzetto della to sull'area totale della del poztubi ridotta ridotta al fessura fessura per i seguenti al 25% zetto di 10% mt dislivelli in metri mt mq mq 1x1 4,40 4,40 4,40 0,0001 0,0002 0,0003 0,0004 0,0005 0,0006 0,0007 0,0008 0,0009 0,0010 0,00005 0,00009 0,00014 0,00019 0,00024 0,00028 0,00033 0,00038 0,00042 0,00047 0,000044 0,000088 0,000132 0,000176 0,000220 0,000264 0,000308 0,000352 0,000396 0,000440 0,20 0,000036 0,000072 0,000108 0,000144 0,000180 0,000217 0,000253 0,000289 0,000325 0,000361 0,50 0,000057 0,000114 0,000171 0,000228 0,000285 0,000342 0,000399 0,000457 0,000514 0,000571 0,0001 0,0002 0,0003 0,0004 0,0005 0,0006 0,0007 0,0008 0,0009 0,0010 0,00005 0,00011 0,00016 0,00022 0,00027 0,00033 0,00038 0,00044 0,00049 0,00055 0,000044 0,000088 0,000132 0,000176 0,000220 0,000264 0,000308 0,000352 0,000396 0,000440 0,000039 0,000078 0,000118 0,000157 0,000196 0,000235 0,000274 0,000314 0,000353 0,000392 0,000062 0,000124 0,000186 0,000248 0,000310 0,000372 0,000434 0,000496 0,000558 0,000620 0,0001 0,0002 0,0003 0,0004 0,0005 0,0006 0,0007 0,0008 0,0009 0,0010 0,00006 0,00013 0,00019 0,00025 0,00031 0,00038 0,00044 0,00050 0,00057 0,00063 0,000044 0,000088 0,000132 0,000176 0,000220 0,000264 0,000308 0,000352 0,000396 0,000440 0,000042 0,000085 0,000127 0,000169 0,000212 0,000254 0,000296 0,000338 0,000381 0,000423 0,000067 0,000134 0,000201 0,000268 0,000335 0,000401 0,000468 0,000535 0,000602 0,000669 NOTE Trattandosi di flusso quasi capillare su parete grossa, in via cautelativa, il coefficiente di deflusso k è stato assunto pari a 0,20 min. 0,04 l/s max 0,81 l/s min 0,04 l/s max 0,88 l/s min 0,04 l/s max 0,95 l/s Tab. n. 2 - Ipotesi di afflussi da falda per capillarità delle pareti nei pozzetti costruiti in opera. Quota falda Y (m) 0,10 0,20 0,30 0,40 0,50 L (m.) Permeabilità della parete k = m/s Cadente I = Y/L V=k*I m/s Area sotto battente: mq Q=V*A mc/s Q = l/s 0,20 0,20 0,20 0,20 0,20 0,000001 0,000001 0,000001 0,000001 0,000001 0,50 1,00 1,50 2,00 2,50 0,00000050 0,00000100 0,00000150 0,00000200 0,00000250 0,40 0,80 1,20 1,60 2,00 0,00000020 0,00000080 0,00000180 0,00000320 0,00000500 0,0002 0,0008 0,0018 0,0032 0,0050 Q24 (l/s) 17 69 156 276 432 91 Competenze e Professione n. 1-2/2007 DISCIPLINARE DI INCARICO PROFESSIONALE (Scrittura privata ex art. 2233, comma 1, c.c.) Con la presente scrittura privata redatta in doppio originale e da valere ad ogni effetto di legge tra il Sig. ... , residente in ... Via ... N° …, c.f.n. ... , da una parte, Committente, ed il Geometra: ... domiciliato a ... in con studio a... , Via ... n...., iscritto al Collegio dei Geometri della Provincia di con il n …. c.f.n. ... ., dall’altra, professionista incaricato, si conviene e stipula quanto segue: 1) Il sig. ... in proprio e/o quale rappresentante della società ... conferisce al geometra, quale titolare dello studio tecnico ... l’incarico professionale specificato al successivo punto 2). 2) Oggetto dell’incarico professionale: ..................................................................................................................................................................... Il committente affida al professionista, che accetta, l’incarico di............................................................................................................................ 3) La prestazione dovrà compiersi nelle seguenti fasi (o in mesi) ... Il committente autorizza l’accesso del professionista incaricato presso la proprietà interessata dall’incarico professionale, (terreno e/o fabbricato); il professionista potrà utilizzare, per le operazioni di rilievo, di campagna e/o di cantiere, aiutanti e/o collaboratori a propria scelta.. 4) Per agevolare lo svolgimento della prestazione professionale il committente consegna al professionista la seguente documentazione: ... Il professionista si impegna a custodire la documentazione ricevuta e, a conclusione della prestazione, si impegna a restituirla al committente. 5) Nello svolgimento dell’incarico, per specifiche prestazioni tecnico-specialistiche necessarie e/o complementari allo svolgimento dell’incarico stesso, il professionista dovrà avvalersi di altri professionisti specializzati. Con il presente contratto il committente 5.1) autorizza il professionista ad incaricarli direttamente; 5.2) ... Gli onorari necessari per compensare i professionisti specializzati sono /non sono compresi. 6) Compensi e rimborsi spese: L’importo presunto della prestazione sarà di €. ... Per l’espletamento delle prestazioni, come sopra dettagliatamente elencate, le parti convengono di definire il compenso spettante al professionista in base a: 6.1) ... Oltre agli onorari compete al professionista il rimborso delle spese sostenute e/o anticipate. La quantificazione delle spese potrà avvenire: su presentazione della relativa documentazione; sul loro conglobamento in una cifra forfetaria pari al ... % degli onorari. Gli importi saranno maggiorati del contributo del 4% dovuto per contributo Cassa Previdenza ed Assistenza di cui alla legge 882/....; sul totale verrà calcolata l’I.V.A. del 20%. I versamenti dovranno essere effettuati sul c/c bancario n° ... tratto sulla Banca di ... le cui coordinate sono ... a mezzo di assegno / bonifico bancario. 7) Il Committente, contestualmente alla sottoscrizione della presente scrittura, costituisce presso il professionista un fondo spese di €. ... ; la somma verrà portata in detrazione dall’importo delie spese sostenute nella fattura finale. 8) Pagamenti in acconto ed a saldo: II pagamento dei compensi professionali convenuti avverrà alle seguenti scadenze: ... il saldo dovrà essere effettuato entro ... mesi dall’ultima prestazione richiesta comunque non oltre ... Ai sensi del D. Lgs. 231/2002 dello 09/10/2002 il pagamento della specifica è da effettuarsi entro 30 giorni dalla data della sua presentazione e, trascorso tale periodo, decorreranno sulle somme dovute e non pagate gli interessi. 9) Controversie -Tentativo di conciliazione 9.1) Per qualunque controversia che dovesse insorgere tra le parti in ordine all’applicazione del presente contratto,le parti.prima di procedere alla azione giudiziaria si impegnano ad esperire un tentativo di conciliazione. 9.2) Le parti concordano che II tentativo di conciliazione potrà avvenire avanti a: 1) Il Presidente del Collegio Provinciale dei Geometri ove si è svolta l’attività; 2) ... . Per le controversie non compromettibili, il Foro competente, in via esclusiva, sarà quello di residenza del consumatore 10) Varie Il professionista dichiara di non trovarsi, per l’espletamento dell’incarico, in alcuna condizione di incompatibilità ai sensi delle disposizioni di legge. Per quanto non espressamente previsto le parti fanno riferimento alle vigenti leggi.al codice deontologico ed all’ordinamento professionale dei geometri. Redatto e sottoscritto in doppio originale il ... a ... IL PROFESSIONISTA IL COMMITTENTE ___________________ _________________ Ai sensi e per gli effetti degli articoli 1341 e 1342 del Codice Civile, si approvano specificatamente le clausole n. 3 (prestazioni del professionista), n. 6 (compensi e rimborsi spese) e n. 8 (pagamenti). IL PROFESSIONISTA ___________________ 92 IL COMMITTENTE _________________ n. 1-2/ 2007 Competenze e Professione CONSULENZE TECNICHE D’UFFICIO RIGUARDANTI IL VALORE DEI BENI IMMOBILI di Giuseppe Carraro Moda l problema degli onorari per il CTU, derivanti da ope- quattro). Nel caso che il valore di ogni gruppo di immobirazioni plurime di estimo su più beni immobiliari di li superi il miliardo delle vecchie lire, può essere equo valore superiore a 1.000.000.000 di lire (€ stabilire la regola che il compenso, in nessun caso, possa 516.456,90), persiste ancora in base ad una recente con- essere non inferiore alla metà di quello che sarebbe stato troversa sentenza della Cassazione. qualora la determinazione fosse stata eseguita separataLa questione sulla pluralità dei quesiti e la unicità del mente per ogni gruppo di immobili. Il criterio della equa compenso esiste per l’attività estimativa e non per le altre metà si ricollega alla disciplina sulle vendite, secondo le tipologie di consulenze, per le quali la diversità dei quesi- quali il prezzo non può essere inferiore alla metà del ti determinano anche la pluralità della determinazione dei valore. compensi e la loro sommabilità. Questa considerazione Concludendo, si sostiene che l’unicità della determiinduce a ritenere che è valida l’unicità del calcolo della nazione del compenso può essere ammissibile nei seguendeterminazione del compenso quando si verifichino alcu- ti casi: ne condizioni peculiari e caratteristiche della attività esti1- I beni stimati non mostrino alcuna diversità che mativa. condizioni il loro valore. È necessaria una trattazione unitaria sui compensi per 2- I beni, oggetto di stima, pur mostrando qualche le Consulenze Tecniche d’Ufficio Estimative perché è ini- diversità non abbiano complessivamente un valore nettaquo ed irrazionale che fattispecie diverse possano essere mente superiore ad uno o due miliardi delle vecchie lire. unificate. Si precisano i criteri fondamentali. Allorché i beni stimati manifestino delle diversità nel La razionalità, che deve presiedere ad ogni operazio- valore unitario a metro quadrato, in relazione a diversità ne, consiglia che, per compensare l’espletamento della di destinazione o di altre condizioni, sembra valida la consulenza su molti quesiti similari, regola che il compenso calcolato con la determinazione del compenso deb- Il compenso a percentuale rappresenta la la determinazione unitaria non sia ba tener conto della unicità dell’inca- punta di diamante del compenso totale, in inferiore alla metà del compenso calrico. Infatti l’Autorità Giudiziaria ha quanto il tempo impiegato per accerta- colato con la determinazione separala possibilità sia di aumentare i com- menti e regolarizzazioni catastali, per ta. Qualora, la determinazione separapensi a percentuale, fino al doppio, e accertamenti presso la Conservatoria dei ta indichi valori superiori al doppio, sia di riconoscere compensi a vaca- Registri Immobiliari e presso gli Uffici l’inequità appare di stridente e chiara zione per le attività accessorie non Tecnici comunali è compensato nella evidenza e la determinazione unica direttamente contemplate dalla Tarif- misura di 14,68 euro per la prima vacazio- sembra assurda. Contrasta il criterio fa; in questo ambito, nei casi più ne (due ore) e 8,15 euro per ciascuna delle dell’unica determinazione sia l’artisoliti, è possibile una equa commisu- successive. colo della Costituzione che garantisce razione dei compensi. la proporzionalità del compenso al Il numero dei quesiti può essere esorbitante per nume- lavoro svolto e sia gli articoli del c.c. sulla decorosità e ro e tale da creare inevitabilmente diverse tipologie di l’equità dei compensi professionali. beni. Ad esempio, si debba stimare un complesso di treInfine, si vuole prospettare la validità di una normaticento appartamenti, che siano diversi per piano, esposi- va che chiaramente ponga l’obbligo di compensare le prezione, superficie, validità dell’affaccio ed anche classe stazioni richieste, anche in misura modica, ma con modaeconomica. Se il loro valore medio è 500.000 euro, il loro lità serie, senza il ricorso al criterio dell’equa metà del valore complessivo è 150 milioni di euro. valore. Come può essere ritenuto equo che 300 appartamenti possano essere stimati con lo stesso compenso riconosci- Interpretazione della norma secondo i principi della bili ad un solo appartamento, se pur caratterizzato da costituzione, della dottrina e della pratica estimativa condizioni complesse? professionale Contrasta tale tesi l’articolo della Costituzione sulla 1) La perizia estimativa è un elaborato che inizia con proporzionalità dei compensi al lavoro svolto. In tal caso, la descrizione di un bene e termina con l’indicazione del è necessario accertare la possibilità di suddividere i tre- suo valore in forma motivata. cento appartamenti in gruppi similari ed applicare l’unici2) Se più beni possono essere stimati con le stesse tà del compenso ad ogni gruppo. considerazioni ed accertamenti similari, la perizia è uniCaso diverso dal precedente, ma sicuramente più fre- ca, anche se i valori determinati sono più di uno e limitaquente, si ha quando l’incarico comprenda un numero tamente diversi in riferimento alla unità di superficie o di limitato di gruppi di immobili (ad esempio sette) diversi volume. per ubicazione o per destinazione, ciascuno costituito da 3) Le stime di più beni, che richiedono accertamenti e un limitato numero di immobili (mediamente da due a considerazioni diverse, perché aventi caratteristiche I 93 Competenze e Professione diverse di ubicazione, destinazione, classe e conformazione particolare, richiedendo elaborati peritali distinti, non possono costituire un’unica perizia. Interpretazione affrettata, elusiva della norma e della Costituzione Le Corti Giudicanti, nonché i Giudici che sentenziano in forma unica, sono soggetti ad una notevole pressione affinché facciano il loro lavoro con la massima sollecitudine ed a volte le motivazioni appaiono per brevità conformi a precedenti dispositivi. Per semplificare, è invalso l’uso di interpretare la parola «perizia» di cui all’art, 13 della Tariffa allegata alla legge n. 319/1980, come incarico estimativo dato dal giudice, anche se questo comprende molte valutazioni indipendenti, espresse e dimostrate in elaborati separati. È evidente la semplificazione: il Giudice ricava il compenso con una sola determinazione e non con tante determinazioni quante sono il numero delle stime indipendenti che ha richiesto al professionista! Ma, con il compensare molti elaborati estimativi come se si trattasse di uno solo, viene meno la proporzionalità tra il lavoro svolto dal professionista ed il compenso, che la Costituzione della Repubblica tutela espressamente! L’interpretazione semplificatrice della norma comporta talvolta inaudite iniquità; invece, quando l’incarico riguarda due o tre determinazioni estimative indipendenti ma di difficoltà limitate ed ordinarie, l’inadeguatezza della interpretazione suddetta è mascherata dallo zelo del giudice liquidatore: l’insieme delle valutazioni di difficoltà ordinaria è considerato come una sola perizia di difficoltà eccezionale; effettivamente, la somma dei compensi di due o tre perizie di difficoltà ordinaria può equivalere al compenso per un’unica perizia di difficoltà eccezionale. Ma l’interpretazione contrasta con la Costituzione; sempre comporta compensi, di per sé, non razionalmente calcolati; resta inoltre la possibilità di compensi iniqui quando i beni da stimare siano numerosi, e tanto più se comportino, ciascuno, una stima di difficoltà eccezionale. L’iniquità assume aspetti inammissibili e gravissimi quando il compenso liquidato è inferiore alla metà di n. 1-2/2007 quello che dovrebbe essere liquidato secondo i principi costituzionali. L’ultima sentenza della filiera (Stralcio della sentenza Cass. II 9-1.2007, n. 126) Svolgimento del processo Omissis Il ricorrente lamentava che, nonostante la stima avesse riguardato diverse categorie di beni, in particolare un fabbricato e dei terreni, il Giudice si era attenuto al principio secondo il quale anche se il valore complessivo superava lo scaglione ultimo del miliardo di lire, non potevano riconoscersi onorari a percentuale oltre detto limite, in considerazione della previsione letterale dell’art. 13 ‘fino e non oltre Lit. 1.000.000.000, ed aveva ridotto l’onorario richiesto da Lit. 9.571.000 a Lit. 5.572.000. All’esito della fissazione dell’udienza di discussione e della notificazione del ricorso e del decreto [...] resisteva all’avversa domanda ed in via incidentale chiedeva dichiararsi non dovuta la maggiorazione prevista dall’art. 5 del D.P.R. 319/1980. Con ordinanza in data 21.6.2002 il Tribunale rigettava il ricorso. Il ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione avverso detta ordinanza con un unico motivo, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione. Motivi della decisione Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2 della legge 8.7.1980 n. 319 e 13 delle Tabelle approvate con D.P.R. n. 352 del 27.7.1988, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per non avere il Tribunale considerato che egli aveva effettuato la stima di due beni disomogenei (un fabbricato ed un terreno) per cui non poteva applicarsi il criterio unitario1 di cui alla legge n. 319/1980, ma doveva attribuire compensi distinti per ogni cespite, salva la unificazione delle unità immobiliari per gruppi aventi analoghe caratteristiche, relativamente ai quali le valutazioni presentassero elementi di ripetitività Il motivo è infondato. È, infatti, giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sentt. n. 7837/1994, n. 9761/1997, n. 5608/2001 e n. 11636/2003) che, in tema di liquidazione degli onorari ad un C.T.U. la pluralità delle operazioni di valutazione a lui affidate non esclude l’unicità dell’incarico e la conseguente unitarietà del compenso, ma rileva solo ai fini della determinazione giudiziale del compenso a percentuale, che deve essere stabilito con riferimento al valore complessivo degli immobili, con il limite massimo di un miliardo di lire fissato dall’art. 13 del D.P.R. n. 352/19882. Non vi sono spese da liquidare. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma il 21.6.2005. «Quaderni di legislazione tecnica» 1 L’art. 2 della legge n. 319/1980 afferma che «la misura degli onorari fissi e variabili è stabilita con tabelle redatte con riferimento alle tariffe professionali». Nelle tariffe professionali non esiste il criterio unitario citato nella Sentenza suddetta. Detto criterio unitario è un’aggiunta giurisprudenziale e non una disposizione di legge. 2 La Sentenza dispone in riferimento ad altre sentenze ed in base alla normativa che le sentenze stesse hanno definito; invece, la sentenza avrebbe dovuto addurre le motivazioni di quanto disposto infatti, nel diritto italiano, il riferimento a precedenti sentenze ha valore secondario, mentre è vincolante il rispetto delle norme di legge secondo i criteri della Costituzione, specialmente se tali criteri sono esposti in forma chiara e generale. Con tale metodo se una sentenza erra, definendo normative che esulano dalla competenza delle stesse Corti, in contrasto con i principi della Costituzione ed anche in contrasto con vigenti norme di legge (nella fattispecie, è vero quanto citato nella suddetta prima nota) tutte le sentenze successive, per brevità non affrontano ex novo il problema e seguono l’andazzo già definito. Ma di quale «brevità» si tratta? Il ricorso, presentato nel 2002, è stato discusso nell’udienza del 21/06/2005 e la Sentenza è stata pubblicata il 9/01/2007! La brevità si rileva unicamente nella facile e rapida ripetizione di concetti già esposti. 94 n. 1-2/2007 Competenze e Professione LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL GEOMETRA di Beatrice Bassi Sommario: 1. Premessa; 2. La responsabilità contrattuale: 2.1 II contratto d’opera professionale - Natura e disciplina generale; 2.2 Le professioni tecniche come professioni intellettuali - Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi; 2.3 II progettista - il Direttore Lavori - Il collaudatore; 2.4 La diligenza nell’adempimento e la colpa professionale - L’onere della prova; 3. La responsabilità extra contrattuale: 3.1 L’illecito civile (artt. 2043 c.c.. e seguenti) cenni; 3.2 Un’ipotesi particolare di responsabilità extracontrattuale “Rovina e difetti di cose immobili” art. 1669 c.c.- Responsabilità solidale di Progettista, Direttore Lavori ed Appaltatore; 3.3 Concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale; 4. L’assicurazione per la responsabilità civile: 4.1 cenni. 1. Premessa Perché un corso sulla responsabilità civile del geometra ai geometri? Perché oggi è sempre più necessario per chi opera in qualsiasi settore, ma in particolare in uno come quello del geometra, così complesso, articolato e ricco di “insidie”, conoscerne la disciplina giuridica. Non ultimo perché la giurisprudenza cioè in sostanza il diritto applicato al caso concreto, al di là di quelli che sono i dettami della legge, è orientata verso un’equiparazione poco rassicurante tra professionista ed imprenditore appaltatore a tutela del committente e dei terzi. La responsabilità del professionista d’opera intellettuale ha origini antiche, la prima distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, sconosciuta al diritto romano, risale al XVII secolo quando si rafforzò il potere degli ordini professionali (famoso il palmarium cioè il patto di guarigione) e si è andata affermando come difesa della categoria per un’assunta supremazia delle professioni intellettuali sulle altre forme di lavoro autonomo. Il codice napoleonico ed il Codice Civile del 1865 includevano il rapporto professionale nello schema del mandato, con tutti gli obblighi conseguenti, ma nulla dicevano in punto di responsabilità del professionista, nell’intento, neanche troppo larvato, di garantire alle professioni intellettuali la loro tipica origine liberale, preservandone indipendenza e discrezionalità. Il codice del 1942, viceversa, in sintonia con lo spirito del tempo, ma anche avvertendo l’oggettiva necessità di disciplinare in modo più dettagliato il contratto d’opera professionale, in relazione soprattutto alla responsabilità del professionista, regolò specificatamente la materia,”spostando” il contratto dall’ambito del mandato a quello del lavoro autonomo e creando un apposito capo a regolamentazione di esso con uno specifico articolo - il 2236 c.c. - in punto di responsabilità del professionista. La relazione del Guardasigilli in merito è chiara. Occorreva infatti .”trovare un punto d’equilibrio tra due opposte esigenze: quella di non mortificare l’iniziativa del professionista, col timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso, e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista”. Oggi è innegabile la tendenza del Legislatore nazionale, forse sulla scia di quello dell’Unione Europea e dell’influsso di altri Paesi dell’Unione, a considerare le professioni intellettuali senza alcuna differenza tra quelle protette e non protette, come imprese di servizi. L’attuale giurisprudenza di legittimità, come detto, segue questa strada, con un chiaro favor a volte eccessivo nei confronti del committente-consumatore, in quanto presuntivamente considerato parte debole del rapporto. Ne consegue una pericolosa equiparazione del professionista all’imprenditore commerciale che se da un lato porta ad una maggior tutela della figura del cosiddetto “consumatore” dall’altro rischia di trattare in modo identico fattispecie differenti, penalizzando il prestatore d’opera intellettuale. V’è da chiedersi se questo ampliamento di responsabilità e la conseguente corsa dei professionisti alla stipula di sempre più onerose polizze assicurative, non finisca per determinare un innalzamento dei costi delle prestazioni, e, peggio, un totale disimpegno degli stessi professionisti. Dovranno essere posti dei limiti oltre i quali non sarà ragionevolmente lecito chiedere al professionista controllo, vigilanza e diligenza per evitare una completa paralisi della sua attività, ma soprattutto per evitare che la sua si trasformi in una responsabilità oggettiva. Queste brevi osservazioni non hanno certo la pretesa di essere complete ed esaustive. La materia è troppo vasta per essere trattata in poche pagine, anche per le innumeri connessioni con altri argomenti: dalla disciplina degli appalti pubblici e privati alla tutela del consumatore, alle norme sulla tutela degli acquirenti di immobili in costruzione, alla riforma (rectius eliminazione?!), che più o meno occultamente il nostro Legislatore sta operando, delle cosiddette professioni protette o libere professioni, cui appartiene quella dei Geometri. La recente abrogazione della vincolatività delle tariffe professionali, a parere di chi scrive, ne è chiaro sintomo. 2. La responsabilità contrattuale 2.1 Il contratto d’opera professionale - Natura e disciplina generale Preliminarmente occorre trovare una definizione di “prestazione d’opera intellettuale” per poter stabilire a quali figure si applica la disciplina contenuta nel relativo Capo del codice civile. La qualificazione che intuitivamente può sembrare semplice anche per la lunga ed augusta tradizione delle libere professioni o professioni protette, giuridicamente crea non poche difficoltà, per la genericità della norma ed il variegato panorama di tipologie lavorative riconducibili a questa categoria. Basti pensare che sono libere professioni quelle del medico, dell’avvocato, del commercialista, del geometra, dell’ingegnere dell’architetto, ecc. caratterizzate da una estrema diversità di contenuti lavorativi. Tutte queste attività però sono accomunate da una serie di 95 Competenze e Professione elementi previsti dalla legge che le rendono soggette alla medesima disciplina. L’elemento della professionalità inteso come sapere tecnico nella prestazione, la prevalenza dell’intellettualità, la prerogativa di uno status cioè quella serie di requisiti formali che ne legittimano l’esercizio. Non è semplice tentare di indicare nelle linee essenziali i principali problemi giuridici connessi con l’esercizio delle professioni intellettuali per delimitare i confini della responsabilità professionale. Punto di partenza imprescindibile è che comunque la professione intellettuale è pur sempre una professione “particolare”, protetta, nella quale l’aspetto privatistico contrattuale non è l’unico, proprio perché trattasi di attività trascendente l’interesse del singolo e riguardante l’intera collettività. Rientra tra le cosiddette obbligazioni di fare, ma ha una specifica regolamentazione nel Capo Secondo del Titolo Terzo del Libro Quinto del Codice Civile (del Lavoro) “Delle professioni intellettuali” artt. 2229 ss c.c. accanto al Contratto d’opera artt. 2222 ss c.c. Esse fanno parte della più ampia categoria del lavoro autonomo che si ricava a contrariis dal codice : tutto ciò che non può definirsi lavoro subordinato è lavoro autonomo. Quello del libero professionista è lavoro autonomo connotato da una forte presenza dell’elemento dell’intellettualità, cui sono imprescindibilmente collegate autonomia e discrezionalità, che non possono essere imbrigliate del tutto pena la snaturalizzazione del contratto. Così come non può prescindersi dalla valenza pubblicistica della professione intellettuale che emerge da molteplici fattori, non ultimo la necessaria iscrizione ad un Albo Professionale, previo superamento di un esame di ammissione, l’appartenenza ad un Ordine o Collegio, che ha sui propri iscritti poteri di controllo e disciplinari, e così via. L’art. 2229 c.c. sancisce innanzi tutto che le professioni intellettuali, strettamente intese, le cosiddette professioni liberali, sono stabilite dalla legge - pertanto non potrà essere considerata tale una qualsiasi professione che pur esprimentesi in un’attività intellettuale non sia prevista come tale dalla legge - inoltre l’esercizio di tali professioni è consentito solo a soggetti, dotati di certi requisiti ed iscritti in appositi albi o elenchi. Si noti che il requisito dell’iscrizione è elemento essenziale per la validità del contratto professionale. Il rovescio della medaglia sono le specifiche responsabilità connesse alla suddetta appartenenza. Per definire il lavoro autonomo, in generale, si pone l’accento non tanto sul risultato che le parti del contratto vogliono ottenere, piuttosto sull’attività svolta per realizzare quel risultato. Nel lavoro autonomo un soggetto si obbliga a compiere verso un corrispettivo un opera o un servizio (che possono essere intellettuali) con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione. Quindi i caratteri del lavoro autonomo sono: - compimento di un’opera (anche intellettuale) a fronte di un corrispettivo; - lavoro prevalentemente proprio; - mancanza del vincolo della subordinazione. Il contratto di lavoro autonomo è un contratto consensuale 96 n. 1-2/2007 a prestazioni corrispettive e a titolo oneroso. Il corrispettivo comunque non è elemento essenziale per la validità del contratto. È lasciata ampia autonomia alle parti per determinare il compenso soprattutto ora che è intervenuta l’abolizione delle tariffe professionali a seguito degli ultimi provvedimenti legislativi. Il prestatore d’opera, anche intellettuale, deve realizzare l’opera o il servizio secondo il contratto e le regole dell‘arte specifica della propria attività. Il criterio per valutare la sua prestazione, come vedremo, è quello della diligenza di cui all’art. 1176, 2° comma c.c. cioè non la diligenza del buon padre di famiglia ma la diligenza del homo eiusdem condicionis et professionis (del lavoratore medio con riferimento alla specifica attività di cui si tratta). La prevalente personalità della prestazione, che lo rende un contratto intuitu personae per eccellenza, (cioè uno di quei contratti dove la persona dell’altro contraente è rilevante ed il suo venir meno comporta la risoluzione del contratto), non va intesa in senso letterale. Il prestatore d’opera può infatti avvalersi della collaborazione di terze persone ma la personalità deve restare rilevante nel rapporto, ed egli è comunque personalmente responsabile nei confronti del cliente e dei terzi per la prestazione svolta. A questo argomento si collega il ben più spinoso problema delle associazioni professionali dove vi è una organizzazione di fatto unica con pluralità.di individui di solito ciascuno con differenti specializzazioni, peraltro normalmente ignorate dal cliente che, di solito si rivolge ad uno dei professionisti dell’associazione ed è con esso che instaura un rapporto di prevalenza a prescindere da chi sia il professionista dell’associazione che di fatto svolge lo specifico incarico. Le difficoltà non sono poche e vanno: - dal momento del conferimento dell’incarico, che non può mai essere all’associazione genericamente intesa e rappresentata bensì al singolo professionista o a tutti o parte dei componenti dell’associazione ma individualmente identificati, - alla titolarità del credito nei confronti del cliente, di fatto dell’associazione ma in diritto del singolo professionista che ha ricevuto l’incarico, - alla responsabilità professionale nei confronti del cliente che sarà personale, cioè del singolo professionista che ha ricevuto l’incarico (a prescindere da chi di fatto l’ha svolto, salve eventuali rivalse e chiamate di corresponsabilità tra i professionisti), pur se normalmente la RC professionale è unica per tutto lo studio (benché in polizza siano indicati i singoli professionisti cui si riferisce) Altra caratteristica di questo contratto è la professionalità cioè l’esercizio continuativo di una determinata attività economica che tende al raggiungimento di un fine produttivo e di lucro. Professionalità intesa come applicazione discrezionale delle regole dell’arte ovvero libertà “..nella scelta del comportamento e dei mezzi tecnici maggiormente idonei da adottare nell’esercizio delle professioni” (Lega “Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza” Milano 1974). Elemento differenziante il contratto d’opera da quello professionale è la diversa qualificazione dell’obbligazione che nel contratto d’opera è di risultato in quello d’opera intellettuale è di mezzi. Nelle professioni tecniche tale netta differenziazione subisce deroghe. Vedremo in che termini. n. 1-2/2007 Nel contratto d’opera il risultato è la finalità del contratto, ne è elemento essenziale, viceversa nella prestazione intellettuale, il professionista si impegna ad eseguire l’incarico assunto ma il risultato concreto, pur ovviamente entrando a far parte degli accordi negoziali, non acquista rilevanza preminente nell’ambito della struttura contrattuale. Il professionista non è quindi tenuto al raggiungimento del risultato poiché il perfezionamento del contratto dipende da diversi fattori e non solo dalla capacità tecnica del professionista. Nel contratto d’opera la contestazione di vizi e difetti è regolata dall’art. 2226 c.c. secondo cui l’accettazione dell’opera libera il prestatore da responsabilità per vizi e difformità della stessa se riconoscibili o noti. Vizi e difformità occulti invece devono essere denunciati a pena di decadenza entro otto giorni dalla scoperta e l’azione si prescrive entro 1 anno dalla consegna (difformità = risultato del giudizio comparativo tra essere e dover essere in conformità al contenuto del contratto, per es. realizzato non conforme a progetto; vizi = mancanza di modalità e/o qualità e/o peculiarità inerenti l’opera, trattasi di alterazione morfologica e funzionale, per es. solette inclinate, infissi +/- grandi rispetto alle finestre, battute dei gradini della scala di altezze diverse, ecc.). Da ultimo occorre porre l’accento su un obbligo interessante tutte le professioni intellettuali anche se in alcune è più pregnante che in altre. L’obbligo di informazione Che è fonte autonoma di responsabilità professionale. Al momento delle cosiddette “trattative pre contrattuali” l’obbligo di corretta informazione costituisce uno dei punti caratteristici di questa fase. L’attività del professionista PRIMA che nell’esatto adempimento della prestazione si deve esplicare nella corretta informazione del cliente circa i possibili rischi, vantaggi e svantaggi derivanti dal contratto d’opera professionale. Si badi che non è del tutto pacifico se il ridetto obbligo di informazione debba comprendersi nella responsabilità pre contrattuale o in quella contrattuale. La differenza non è di poco conto. Qui basti precisare che l’orientamento attuale, a maggior tutela del cliente, è di ritenere tale obbligo come contrattuale. Ciò è condivisibile se si pone mente al fatto che il cliente si rivolge al professionista innanzitutto per chiedere un parere sull’opportunità o meno di una certa iniziativa e l’attività di consulenza è già in qualche misura una prestazione tipica del contratti in questione. Ne consegue un ampliamento dei margini di responsabilità del professionista. 2.2 Le professioni tecniche come professioni intellettuali. Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi Con l’espressione “professionista tecnico” si suole individuare chi esercita una professione intellettuale diretta alla progettazione, direzione e collaudo di un opus perfectum, sia esso macchina industriale o costruzione. Se, come ormai pacificamente riconosciuto, la professione tecnica rientra nelle professioni intellettuali, le obbligazioni derivanti dovrebbero essere considerate obbligazioni di mezzi, al pari di quelle degli altri professionisti intellettuali. In realtà non è così. In passato si era addirittura dubitato dell’appartenenza Competenze e Professione della species professione tecnica al genus delle professioni intellettuali poiché, si sosteneva, il professionista tecnico si limiterebbe ad applicare, senza possibilità di discrezione, le norme tecniche che regolano lo specifico settore della professione. Si obiettò, correttamente, che l’attività del professionista tecnico non si limita alla mera applicazione delle norme tecniche, poiché spesso la soluzione dei casi sottopostigli richiede una applicazione originale delle regole dell’arte caratterizzata da discrezionalità. Insomma anche il professionista tecnico applica in modo discrezionale le regole dell’arte, ha libertà di scelta di comportamento e di impiego dei mezzi tecnici, ritenuti maggiormente idonei all’esercizio della professione. 2.3 II progettista- Il Direttore dei Lavori - Il collaudatore Possiamo nell’ampia figura del professionista tecnico, ed in particolare del geometra distinguere tre figure fondamentali: a) progettista b) direttore lavori (a cui possiamo associare le varie figure di responsabili di cantiere, della sicurezza, ecc) c) collaudatore. a) Progettista Per progettista si intende il soggetto cui viene affidato l’incarico di redigere il progetto di un’opera sia essa macchina industriale sia un immobile. In ambito edilizio le prestazioni del professionista tecnico sono sempre svolte in occasione di un contratto di appalto o addirittura all’interno di esso. Nel primo caso abbiamo un collegamento funzionale tra contratti nel secondo un contratto complesso. Tale precisazione va tenuta presente sin d’ora perché ci consente di capire le ragioni a fondamento delle scelte della giurisprudenza in punto di responsabilità del professionista sia contrattuale che extracontrattuale. Altro elemento saliente è la connessione con aspetti pubblicistici (norme urbanistiche ed edilizie) che costringono il professionista ad operare delle scelte che possono metterlo in contrasto col cliente incrinando il rapporto fiduciario con lo stesso. Nonostante vi siano pareri contrari sia in dottrina che in giurisprudenza, ritengo che in caso di conflitto tra la volontà del cliente e le norme urbanistiche si debbano preferire, prudenzialmente, queste a quella, a rischio di perdere il cliente. È il caso del professionista a cui viene commissionata la realizzazione di un progetto nel rispetto delle condizioni contrattuali ed eventualmente di altre norme previste in merito. Per Cassazione 19.07.1993 n. 8033 : “il committente ha diritto di rifiutare il compenso al professionista che abbia fornito il progetto di un’opera non conforme agli strumenti urbanistici del luogo in cui dev’essere eseguita”. La prestazione del progettista consta di due fasi: una meramente preparatoria e l’altra propriamente di esecuzione. Perché il risultato professionale soddisfi l’interesse del cliente è necessario che il progetto sia suscettibile di concreta utilizzazione. È da ciò che viene fatta discendere la natura di obbligazione di risultato del progettista. Il progettista cioè non deve solo “fare tutto il possibile” per ottenere il risultato sperato, ma deve ottenerlo! Deve infatti realizzare un progetto attuabile. Nel caso di specie vi è una prevalenza o meglio una 97 Competenze e Professione rilevanza del bene concreto progettato sull’opera dell’ingegno. Trattasi di attività finalizzata a mettere a disposizione del cliente un bene determinato il progetto che ha una sua autonoma utilità. Gli obblighi del prestatore non sono solo quelli pattuiti in contratto ma anche quelli dettati da norme di legge che possono essere applicate al caso specifico e che fungono da ulteriore garanzia per il committente alla corretta realizzazione dell’opera. Per contro il prestatore può opporsi a certe determinazioni del committente e può controllare la legittimità delle sue scelte. Addirittura quando gli vengono impartite istruzioni contrarie alle regole dell’arte o comunque idonee a danneggiare la perfetta esecuzione dell’opera può disattenderle. In fine di fronte a direttive contrarie alla legge e ad ogni altra disposizione, anche di natura tecnica, il prestatore ha facoltà di rifiutarsi di adempiere; qualora proceda passivamente alla realizzazione dell’opera, senza valutare la bontà delle scelte del committente, incorre nella responsabilità per eventuali vizi e difetti dell’opera. Lo studio di fattibilità Il termine è “preso a prestito”,dalla normativa sui Lavori pubblici che per prima aveva parlato di studi di fattibilità dell’opera. È una fase prodromica ma distinta dalla progettazione vera e propria (di massima ed esecutiva) e imprescindibile da essa. Può a sua volta suddividersi in due fasi una di carattere materiale e l’altra di carattere giuridico. La fase materiale comporta l’obbligo di: a) accertamento preventivo del rispetto delle distanze dalle altre costruzioni, o da fasce di rispetto. La responsabilità del progettista si avrà nel momento in cui il vicino proporrà azioni a tutela della proprietà contestando il mancato rispetto delle distanze. b) accertamento dell’estensione dell’area c) accertamento della situazione geologica del suolo su cui si andrà ad edificare (operazioni geotecniche su campioni di roccia e di terreno estratti in modo da non alterarne la consistenza naturale, e operazioni geologiche tramite l’analisi dei componenti del terreno prelevato mediante carotaggio) La responsabilità del progettista, che sarà solidale con l’appaltatore, si avrà nel momento in cui la costruzione rovini per effetto dell’inadeguatezza delle fondazioni a causa della scarsa considerazione dei dati geologici. La fase giuridica comporta l’obbligo di: a) accertare la fattibilità giuridica dell’opera cioè la sua conformità alle norme edilizie ed urbanistiche. La responsabilità del professionista sorgerà laddove l’opera sarà irrealizzabile perché contraria alla normativa edilizia. Lo studio di fattibilità è pertanto costituito da doveri accessori integrativi della prestazione principale (il progetto) che tutelano due interessi del committente: quello all’esatta prestazione e quello di evitare che dall’esecuzione della prestazione derivi un danno. Si noti che tali attività devono essere effettuale anche se non espressamente previste nell’incarico e possono essere evitate solo su espresso esonero (meglio se scritto) del committente. Si precisa che per la giurisprudenza l’accertamento della situazione giuridica del suolo può essere un problema tecnico 98 n. 1-2/2007 di speciale difficoltà ex art. 2236 c.c.. mentre l’accertamento dell’esatta estensione dell’area o le distanze dai fabbricati no. Esistono al proposito due criteri per identificare la “speciale difficoltà” della prestazione. Il primo fa riferimento a quei casi in cui l’impegno intellettualmente richiesto dal caso concreto sia superiore a quello del professionista medio, l’altro fa riferimento alla natura stessa della prestazione. La giurisprudenza li utilizza indistintamente entrambi. In merito agli accertamenti geologici la giurisprudenza ha elaborato l’esimente della “sorpresa geologica” che si configura quando all’interno delle maglie della ricerca sia sfuggito un particolare vizio del suolo che ha determinato la rovina del bene perché i sondaggi geognostici, essendo fatti a campione non avevano individuato l’elemento di “sorpresa”. Sembrerebbe una specificazione del cosiddetto “caso fortuito” cui però non si può aderire, perché per stabilire l’irresponsabilità del progettista, dovrà residuare un ambito di valutazione circa la prevedibilità dell’esistenza del vizio del terreno e della sua evitabilità. Pertanto la responsabilità del professionista sussisterà quando l’anomalia del terreno era prevedibile e rimediabile, alla luce delle conoscenze tecniche che egli doveva avere. Sulla fattibilità giuridica si precisa che la conoscenza delle normative edilizie ed urbanistiche non rientra tra le cosiddette regole dell’arte, cioè quel bagaglio di conoscenze tecniche che va ad integrare la “perizia”, come invece la normativa sui cementi armati, per esempio. Potrà piuttosto rilevare come violazione del principio della “prudenza”. Il diniego di concessione è senz’altro fonte di responsabilità del professionista che, si badi, non è legittimato ad impugnare il ridetto essendovi legittimati solo la proprietà o chi ha la disponibilità dell’area. Il professionista ha un mero interesse semplice e può solo proporre un intervento ad adiuvandum nel procedimento promosso dal proprietario. Casistica giurisprudenziale: Cassazione civile 29.1 1.2004 n. 22487: lo studio di fattibilità tocca ad progettista. Il modello è il canone medio di diligenza. Lo studio di fattibilità costituisce elemento ed adempimento progettuale, implicitamente esistente in un incarico di redazione di piano di recupero al di là di un’espressa previsione. Il tecnico sarà responsabile se non ha applicato le norme tecniche circa i rilevamenti topografici, non per la mancata verifica di provvedimenti possessori che limitino di fatto l’edificabilità o per l’esistenza del cosiddetto “contratto di cessione della cubatura” che, in quanto obbligatorio è difficilmente rintracciabile dai terzi. Il professionista è responsabile se l’opera rovina in tutto o in parte a causa di errori tecnici, per difetto di calcolo delle fondazioni o per problemi relativi alla stabilità. -Il progettista è responsabile per diniego del provvedimento concessorio. Nel caso di errori sui calcoli, il professionista dovrà risarcire i danni derivanti dall’abbattimento dell’edificio e dalla sua ricostruzione, oppure dei lavori di consolidamento di quella esistente (spesso in concorso con la responsabilità di altre figure che hanno preso parte alla realizzazione dell’opera: Direttore Lavori ed appaltatore) Per giurisprudenza consolidata (Cassazione 16.02.1996 n. 1208, Cassazione 13.7.1998 n. 6812, Cassazione 5.8.2002 n. 11728 ecc.) l’irrealizzabilità del progetto per qualsiasi n. 1-2/2007 motivo (erroneità o inadeguatezza) costituisce inadempimento del professionista anche in caso di colpa lieve e, oltre al risarcimento del danno, giustifica da parte del cliente il mancato pagamento del compenso. Responsabilità del progettista quindi per: - la realizzabilità concreta del progetto - i calcoli delle strutture in cemento armato (riservate solo a tecnici laureati) - l’interpretazione di norme (civilistiche, urbanistiche, ecc..) - l’accertamento di confini e distanze - le indagini geologiche (anche se previste di norma a carico dell’appaltatore poiché sarà in prima battuta il progettista a doversi accertare della natura del terreno su cui sorgerà l’edificio che lui deve progettare) b) Direttore Lavori “Il direttore lavori è quel professionista tecnico che provvede alla direzione ed all’alta sorveglianza dell’opera da eseguire, impartisce disposizioni ed ordini per l’attuazione dell’opera progettata nelle sue varie fasi esecutive e ne sorveglia la buona riuscita” (art .19 L. 149/1949 T.U. delle tariffe professionali di ingegneri ed architetti). Non è sempre chiaro se sia un ausiliario del committente o dell’appaltatore, di solito lo è del primo che, in quanto privo delle cognizioni tecniche si avvale della sua opera al fine di esercitare i poteri di vigilanza e controllo sul costruttore (NB il controllo finale è invece rimesso al altro tecnico che non abbia partecipato in alcun modo alla progettazionerealizzazione dell’opera: il collaudatore). Il Direttore Lavori ha SOLO i poteri di controllo e verifica tecnica MA NON quelli di variazione che sono riservati al committente. Ha poteri in ambito tecnico, ma non sulla congruità dei prezzi e le modalità di pagamento a meno di un’espressa autorizzazione del committente. La sua obbligazione è pacificamente ritenuta di mezzi poiché vi è un alto grado di alcatorietà nel raggiungimento del risultato. Addirittura si arriva a dire che non vi è un vero e proprio risultato in senso materiale, bensì un impegno di mezzi e diligenza al fine del raggiungimento di un dato scopo individuabile nella soddisfazione dell’interesse del committente che si concretizza nella realizzazione dell’opus perfectum. Il professionista cioè in questi casi si obbliga a prestare la propria opera per raggiungere un risultato, non per conseguirlo. Quanto al potere di direttiva del Direttore Lavori esso si esplica in molteplici forme. Le direttive possono essere correttive, integrative e modificative, queste ultime solo se necessitate da ragioni strettamente tecniche. Esse non potranno violare le norme imperative o inderogabili dell’arte non potranno arrecare pregiudizio o molestia a terzi, né pregiudizio all’immagine dell’appaltatore. In ogni caso la responsabilità del D.L. è concorrente con quella dell‘appaltatore poiché entrambi gli obblighi hanno come termine finale la costruzione dell’opera. Si avrà una responsabilità di carattere esclusivo quando l’inadempimento o l’inesatto adempimento sono ad esso attribuibili in via esclusiva. Per esempio la mancata presenza in cantiere la mancata segnalazione di vizi gravi del progetto che mettano a rischio l’incolumità di chi è presente in cantie- Competenze e Professione re. La mancata sorveglianza (cassazione 25.01.1980 n. 623) e così via. Sussiste anche un obbligo di controllo sulla corretta esecuzione da parte dell’appaltatore delle direttive impartite, sulla bontà dei materiali impiegati e la corretta posa in opera. Al proposito però non è ritenuto compito del Direttore Lavori verificare l’esatta composizione dei cementi armati. L’obbligo di sorveglianza non significa che il Direttore Lavori debba essere costantemente presente in cantiere, ciò è lasciato alla sua discrezionalità, ma dovrà esserci quando si realizzano i lavori maggiormente importanti o in momenti di particolare complessità nell’esecuzione o quando, sui segnalazione dell’appaltatore vi siano problemi di esecuzione. Quanto alla verifica del rispetto delle norme anti-infortunistiche tale compito è lasciato al responsabile della sicurezza. Si badi, da ultimo, che, qualora il professionista rivesta il duplice ruolo di progettista e direttore lavori la sua obbligazione è di risultato. Responsabilità del direttore lavori quindi per: assistenza e sorveglianza dei lavori (NB: può dare opportune istruzioni ma non può ordinare variazioni dell’opera o acquistare materiali di propria iniziativa. Qualsiasi necessità in tal senso va segnalata a committente ed appaltatore: saranno loro ad occuparsene) posa in opera dei materiali in conglomerato normale e precompresso o in metallo (non per vizi e difetti dei materiali in sé ovvero il controllo della qualità del conglomerato cementizio utilizzato dall’appaltatore) istruzioni inesatte per errata interpretazione del progetto e/o errori nel progetto non segnalati al progettista ed al committente. c) Collaudatore Una premessa importante. La verifica ed il collaudo di cui qui si tratta, quelli previsti dal codice civile per l’appalto privato nulla hanno a che vedere con verifiche e collaudi previsti e disciplinati da leggi speciali (per esempio quella sui Lavori Pubblici) che prevedono anche la tutela di interessi pubblicistici. Nel momento della conclusione dell’opera da parete del costruttore l’art. 1665 c.c.. stabilisce il diritto del committente di procedere alla verifica dell’opera appaltata al fine di controllare se la ridetta sia stata realizzata conformemente a progetto e a regola d’arte. Quindi è nel momento in cui si estingue l’obbligazione dell’appaltatore che si inserisce il momento della verifica e del collaudo. I ridetti termini non sono sinonimi. La verifica, che è un vero e proprio diritto del committente, costituisce un’attività meramente tecnica, con la quale stabilire se l’opera è stata eseguita bene, ovvero a regola d’arte, il collaudo è la conclusione della verifica cioè la dichiarazione mediante la quale viene accertato che l’opera sia stata conformemente realizzata o meno. La verifica è una dichiarazione di scienza circa le eventuali difformità dell’opera riguardo a quanto pattuito ed a quanto avrebbe richiesto il rispetto delle regole dell’arte. Il collaudo invece costituisce la valutazione delle risultanze della verifica. Se nella verifica il collaudatore ha le funzio- 99 Competenze e Professione ni di perito di parte, nella dichiarazione di collaudo egli è rappresentante del committente. La verifica ed il collaudo avranno ad oggetto, non solo la verifica visiva e, addirittura metrica, dell’opera, ma anche il raffronto tra progetto ed opera realizzata, tutti i calcoli del cemento armato e di tutte le strutture portanti. Il collaudatore ha l’obbligo di redigere la relazione di collaudo da comunicare in primis al committente, relazione che dovrà contenere tutti gli eventuali vizi e difetti che l’opera presenta, se essi siano di lieve o grave entità, se siano tali e tanti da rendere inadatta l’opera al fine cui era destinata, e se non integrino tale parametro se siano eliminabili o meno. Se eliminabili il costo e le modalità per la loro eliminazione, se ineliminabili il minor valore dell’opera. Se siano riconducibili ad errori di progetto e/o edificazione eccetera. La Cassazione sul punto con la sentenza del 09.06.1987 n. 5031 così precisa: il compito precipuo del collaudatore è quello di accertare se l’opera è stata eseguita dall’appaltatore a perfetta regola d’arte e in conformità dei patti contrattuali, vi è incluso anche l’obbligo di verifica dei calcoli relativi alle opere in cemento armato, attesa l’essenzialità che la correttezza di tali calcoli assume per la rispondenza delle strutture portanti alla consistenza e destinazione della costruzione progettata e realizzata. Il collaudatore sarà ritenuto responsabile qualora non abbia adempiuto o abbia adempiuto inesattamente, ma il committente non potrà sconfessare la dichiarazione del collaudatore al fine di essere rimesso in termini per la denuncia dei vizi e difetti (60 giorni dalla verifica o dalla scoperta, 2 anni dalla consegna dell’opera), ma avrà solo un’azione di responsabilità nei confronti del professionista. 2.4 La diligenza nell’adempimento e la colpa professionale. L’onere della prova L’unica norma specificatamente prevista nel capo delle professioni intellettuali è l’art. 2236 c.c. intitolato “Responsabilità del prestatore d’opera” Qui il legislatore precisa solo che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà il prestatore d’opera risponde solo in caso di dolo o colpa grave. Tutta la spinosissima disciplina della responsabilità del professionista è lasciata all’interpretazione di dottrina e giurisprudenza, sia civile che penale ed all’applicazione delle norme generali in materia di obbligazioni. Innanzi tutto quella del professionista è normalmente una responsabilità contrattuale. Il professionista è cioè tenuto nei confronti del cliente all’esatto adempimento dell’obbligazione contrattualmente assunta (art. 2230 c.c.). Altro punto fermo è l’obbligo di diligenza che incombe sul professionista. Trattasi di diligenza qualificata, come disciplinata dall’art. 1176, 2° comma c.c.: la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata, quella dell’homo eiusdem condicionis et professionis, cioè la diligenza del professionista medio, laddove nel primo comma si parla di diligenza del buon padre di famiglia. La distinzione sopra vista tra obbligazioni di mezzi e di risultato è qui che prende rilevanza. Si è detto che nelle obbligazioni di mezzi alla luce dell’art. 1176 c.c. oggetto dell’obbligazione del professionista sia la mera attività diligente a prescindere dal risultato. È la violazione di tale comportamento che costituisce di per sé 100 n. 1-2/2007 inadempimento. Sarà però onere del cliente-creditore provare la colpa del professionista-debitore. Il cliente dovrà, dunque, provare l’esistenza del contratto e la violazione del dovere di diligenza da parte del professionista. Viceversa qualificare come di risultato l’obbligazione del professionista (si veda il caso del progettista), comporta non tanto l’abbandono del concetto di diligenza nell’adempimento, quanto un’inversione dell’onere della prova: sarà cioè il professionista a dover provare di aver usato la diligenza professionale nell’adempimento della prestazione e che l’evento dannoso si sia verificato nonostante/a prescindere dal suo comportamento. La definizione di colpa professionale Il caso della responsabilità dolosa non pone particolari problemi. Il professionista che volontariamente (con coscienza e volontà) pone in essere un comportamento dannoso nei confronti del cliente è ritenuto responsabile del danno conseguitone e sarà tenuto al relativo risarcimento. Problemi più delicati implica il concetto di colpa, anche perché il nostro codice civile non contiene una definizione di colpa che va pertanto mutuata dal diritto penale e precisamente dall’art. 43 c.p. che richiama i concetti di: negligenza: omissione di comportamenti cui il professionista è tenuto in riferimento alla capacità media della categoria di appartenenza. La integrano una serie di atteggiamenti negativi dalla disattenzione, alla dimenticanza, dalla svogliatezza alla pigrizia imprudenza: difetto di misure di cautela idonee a prevenire l’evento dannoso, la temerarietà sperimentale, l’aver agito senza le necessarie competenze specifiche. Altro non è che i rovescio della discrezionalità imperizia: violazione di regole tecniche dell’arte che vengono applicate in quel determinato settore, (quivi è ricompreso l’obbligo di aggiornamento professionale); inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline. Quanto al grado, la colpa si classifica in: a) lievissima, b) lieve, c) grave. Tale graduazione acquista rilievo proprio nella colpa professionale, laddove la colpa lieve è integrata dalla violazione dell’ordinaria diligenza, mentre la colpa grave della diligenza minima e sconfina nel dolo. In generale il professionista è ritenuto responsabile ogniqualvolta abbia agito senza rispettare l’obbligo di diligenza al quale era tenuto in rapporto al caso concreto ed allo stato dell’arte e della tecnica in un dato settore, che egli doveva ragionevolmente conoscere. Il comportamento colposo è pertanto, sinteticamente, quello che viola uno standard di diligenza media. La difficoltà maggiore consiste non tanto nel qualificare un comportamento come colposo o meno quanto piuttosto nel dare veste concreta ai tre obblighi sopra indicati, cioè elencare quali siano in concreto i doveri del buon professionista, perché solo così è possibile con certezza sapere quando essi vengano violati. Ogni specifica professione ha sviluppato i suoi dettami, e così è accaduto per quelle che genericamente vengono individuate come professioni tecniche. Ma veniamo all’art. 2236 c.c. come si colloca nell’ambito della diligenza del professionista? Il principio generale che discende dall’art. 1176 c.c. è e n. 1-2/2007 resta il seguente: il professionista risponde anche per colpa lieve.Tale principio trova però un giusto temperamento proprio nell’art. 2236 c.c. in base al quale se la prestazione “implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”. La norma da un lato dovrebbe proteggere il professionista garantendone liberà ed autonomia di iniziativa, dall’altro dovrebbe fungere da disincentivo a scelte avventate e temerarie. Giova precisare che pacificamente tale norma è ritenuta residuale rispetto al principio generale della diligenza qualificata (Cassazione 15.01.2001 n. 499: la relazione tra gli art. I 176 e 2236 c.c. è di integrazione per complementarità e non per specialità). Ossia, la regola generale è quella della diligenza qualificata ex art. I 176, 2° comma c.c. cioè la diligenza del buon professionista con riguardo alla natura dell’attività, mentre quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera l’art. 2236 c.c. limitando la responsabilità al dolo o alla colpa grave. La Cassazione ha poi ulteriormente ristretto la portata di tale norma precisando che si applica soltanto nei casi di imperizia e non in quelli di negligenza ed imprudenza. Per contro ne ha esteso l’applicazione anche alle ipotesi di responsabilità extracontrattuale, come vedremo. Ma quali sono i casi integranti la particolare difficoltà? Il concetto non può che essere dinamico. Più si progredisce nelle conoscenze tecniche, più si alza il grado di perizia media richiesto al professionista e più si riduce il campo di applicabilità della norma in esame. Lo standard valutativo del professionista è in costante innalzamento e ciò non può che riflettersi sulla determinazione di cosa di fatto integra problema di speciale difficoltà. La determinazione è lasciata alla valutazione del caso concreto. L’onere della prova Uno dei punti di maggior differenziazione, lo vedremo, tra responsabilità contrattuale ed extra contrattuale è proprio l’onere della prova. In generale nelle obbligazioni contrattuali incombe sul creditore dimostrare l’esistenza del contratto e l’inadempimento del debitore, spettando a quest’ultimo dimostrare che l’inadempimento o il ritardo o l’inesatto adempimento sono stato determinati (art. 1218 c.c..) da un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Rispetto a questo schema generale, la responsabilità professionale diverge significativamente proprio per la sua definizione di obbligazione di mezzi. Il creditore dovrà pertanto dimostrare non solo di aver subito un danno, ma pure che questo sia stato causato dal comportamento negligente del professionista. L’onere della prova cioè grava sul cliente, ma la giurisprudenza, per mitigare questa regola, si avvale di numerose presunzioni che, in concreto, si risolvono a favore del cliente ed a danno del professionista. 3. La responsabilità extra-contrattuale 3.1 L’illecito civile (art. 2043 c.c. e seguenti) - cenni Esiste nel nostro ordinamento una norma generale di derivazione romanistica che stabilisce che chiunque mediante un fatto doloso o colposo arrechi ad altri un danno ingiusto, è tenuto a risarcirlo. Tale norma è contenuta nell’art. 2043 c.c. Competenze e Professione Altro principio fondamentale, sancito dall’art. 2055 c.c. è che tutti coloro che con le loro azioni o omissioni hanno concorso, anche indipendentemente le une dalle altre, a determinare un unico evento dannoso sono tenuti in solido nei confronti del danneggiato, al risarcimento del danno (patrimoniale e non). La responsabilità solidale implica che il danneggiato possa chiedere l’intero risarcimento ad uno solo degli obbligati in solido, il quale poi avrà un diritto di rivalsa “interno” nei confronti degli altri solidalmente obbligati, prò quota. 3.2 Un’ipotesi particolare di responsabilità extracontrattuale “Rovina e difetti di cose immobili” art. 1669 c.c. Responsabilità solidale di Progettista. Direttore Lavori ed Appaltatore Per lungo tempo si è ritenuto che ai liberi professionisti in campo tecnico si applicassero esclusivamente le norme di cui agli artt. 2229 ss c.c. senza poterli mai considerare responsabili in solido con l’appaltatore per danni cagionati al committente o a terzi. La costruzione di immobili e le attività di carattere preparatorio, progettazione e direzione lavori, si sosteneva fossero tra loro funzionalmente coordinate, ma non accomunabili in punto di responsabilità. Il professionista assumeva solo un obbligazione di mezzi e la norme sull’appalto, ivi compreso l’art. 1669 c.c. non potevano che riguardare l’impresa appaltatrice. La diversità di obbligazioni (l’una di mezzi e l’altra di risultato) si diceva, impediva il sorgere di una solidarietà passiva tra professionista ed appaltatore. A partire dagli anni novanta la svolta decisa della Giurisprudenza che, tralasciando le diatribe sulla qualificazione delle obbligazioni, ma guardando al caso concreto ed agli effetti negativi sui danneggiati, committente o terzi, delle diverse condotte, evidenziava il concorso nella realizzazione dell’evento dannoso da parte di tutti i soggetti che avevano preso parte alla realizzazione dell’edificio, a prescindere dagli specifici rapporti contrattuali che li legavano al committente. Ad una prima definizione di questo concorso come di responsabilità alternativa concorrente tra appaltatore e professionista, con la grave conseguenza dell’impossibilità di rivalsa tra i vari obbligati passivi, seguì una più felice definizione di tale responsabilità come solidale. Evidenziata la corresponsabilità, intesa come solidarietà passiva tra professionista ed imprenditore ex art. 2055 c.c., giungere a considerare la responsabilità ex art. 1669 c.c. come extracontrattuale il passo fu breve. Trattandosi poi di responsabilità extracontrattuale a nulla rilevano la diversa natura delle obbligazioni contrattuali che legano appaltatore e professionista al committente, né le diverse graduazioni e qualificazioni della colpa professionale viste prima: trattasi di una responsabilità da fatto illecito e come tale è disciplinata. Chiara in questo senso la Cassazione 27.08.1994 n. 7550:“....la giurisprudenza di legittimità da tempo è ferma nel ritenere che l’art. 1669 c.c., in tema di rovina di edifici o di gravi difetti di costruzione, è applicabile non soltanto nei riguardi del costruttore, ma anche nei confronti del progettista, la cui responsabilità esula dai limiti del rapporto contrattuale intercorso tra le partì per assumere il connotato della responsabilità per fatto illecito, con la conseguenza che tanto 101 Competenze e Professione il costruttore quanto il progettista sono tenuti a risarcire integralmente il danneggiato quando entrambi abbiano concorso a causare il danno, quando cioè questo sia ascrivibile a errata progettazione e cattiva esecuzione dell’opera”. Le ragioni di tale orientamento sono da individuarsi nell’esigenza di tutela dell’interesse pubblico e generale, come bene esplica Cassazione 07.01.2000 n. 81: “…la responsabilità per gravi difetti di cui all’art. 1669 c.c.. è di natura extra contrattuale sancita al fine di garantire la stabilità e solidità degli edifici e delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata e di’tutelare soprattutto, l’incolumità personale dei cittadini e quindi interessi generali inderogabili che trascendono i limiti dei rapporti negoziali tra le parti. Ne consegue che detta responsabilità non può essere rinunciata o limitata con pattuizioni particolari dei contraenti”. Trattasi in sostanza di una norma inderogabile di ordine pubblico. Ne consegue che gli obbligati in solido - progettista, direttore lavori e appaltatore - sono tutti tenuti al risarcimento del danno ed il danneggiato può intraprendere l’azione cioè può chiedere il risarcimento, indistintamente nei confronti di tutti o uno solo degli obbligati, sarà poi un problema interno tra costoro il reciproco diritto di rivalsa. Le conseguenze non sono di poco conto se si pone mente alla possibile entità dei danni, spesso di gran lunga maggiore rispetto al corrispettivo percepito dal professionista ed al rischio dell’insolvibilità dell’imprenditore (soggetto a fallimento) con conseguente esclusivo carico sul professionista del risarcimento con impossibilità poi di una concreta rivalsa sull’appaltatore. Come sappiamo il D. Lgs. N. 122 del 20.06.2005 ha introdotto, a tutela degli acquirenti di immobili da costruire alcune garanzie nei confronti del costruttore-venditore. È stato infatti imposto al costruttore di consegnare, al momento della sottoscrizione del contratto (preliminare) all’acquirente una polizza fideiussoria pari alle somme versate e da versare a titolo di corrispettivo al costruttore. L’efficacia della garanzia cessa al momento del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento sull’immobile. Inoltre, contestualmente alla stipulazione del contratto definitivo, il costruttore deve consegnare all’acquirente una polizza assicurativa indennitaria decennale a copertura dei danni derivanti da rovina totale o parziale dell’edificio o da gravi difetti costruttivi delle opere, per vizio del suolo o per difetto della costruzione manifestatisi successivamente alla stipula del contratto definitivo. L’iniziativa è pregevole, ma insufficiente nell’ambito che qui ci interessa, cioè della responsabilità del professionista che non viene meno per il fatto della previsione di un’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile a carico dell‘appaltatore Altro problema di non poco conto, derivante dall’applicabilità dell’art. 1669 c.c. al professionista ed all’assimilazione della conseguente responsabilità alla responsabilità aquiliana, è la natura del danno risarcibile, che non sarà più limitato a danno emergente e lucro cessante, ma potenzialmente potrà comprendere qualsiasi voce di danno patrimoniale e non. La ratio di questo orientamento va ravvisata nella tendenza a porre l’accento non più sul profilo soggettivo della prestazione - che porterebbe inevitabilmente ad escludere il professionista da qualsivoglia concorso nella responsabilità del 102 n. 1-2/2007 costruttore - bensì su quello oggettivo del servizio reso al destinatario della prestazione, in quanto “consumatore” “utente di un servizio” e come tale parte debole del rapporto. Una certa giurisprudenza di merito (Tribunale di Modena 29.10.2004 est. Fabbrini e Tribunale di Monza, sez. IV, 29.11.2003 n. 3345, Giudice Arcellaschi) sta cercando di introdurre correttivi a questo orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di legittimità, perché la corretta responsabilizzazione dei professionisti non finisca per trasformarsi in un tipo di responsabilità oggettiva, cioè prescindente dalla colpa, con l’unica eccezione dell’applicabilità dell’art. 2236 c.c. Vedremo se l’orientamento sarà recepito. Per ora la situazione è questa. La Suprema Corte, negli anni, ha inteso tutelare e rafforzare la posizione del danneggiato, che non è più tenuto ad inseguire i singoli responsabili degli eventi dannosi, ottenendo da ciascuno il risarcimento prò quota, ma sul principio che più condotte concorrenti potenzialmente idonee, casualmente, a determinare, anche indipendentemente l’una dall’altra, un unico evento dannoso può agire nei confronti di tutti i concorrenti indistintamente per il risarcimento. La garanzia ex art. 1669 c.c. è decennale, ma dalla scoperta decorre un anno per la denuncia all’appaltatore della rovina, del pericolo di rovina o dei gravi difetti, trattatasi di termine di decadenza. Significa che la denuncia costituisce il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità, azione che dev’essere avviata dal committente a pena di prescrizione entro un anno dalla denuncia. Per Cassazione civile 02.09.1992 n. 10106:”Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile previsto dall’art. 1669, comma 1° c.c. a pena di decadenza dell’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficiente fare riferimento a manifestazioni di scarsa rilevanza ed a semplici sospetti; la prova del momento in cui tale conoscenza sia stata acquisita può desumersi, indipendentemente dall’espletamento di una consulenza tecnica e dal deposito di essa, da pregresse manifestazioni esteriori già note al committente e da queste segnalate all’appaltatore..” 3.3. Concorso tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale Se normalmente la responsabilità del professionista è di natura contrattuale, abbiamo visto che vi sono casi nei quali dallo svolgimento di una professione intellettuale può derivare anche una responsabilità da fatto illecito. I principali punti di differenza tra le due responsabilità sono: - l’onere della prova - la prescrizione: decennale in ambito contrattuale e quinquennale in ambito extracontrattuale - il limite della prevedibilità del danno e la costituzione in mora, non necessaria per le obbligazioni extracontrattuali - il diverso atteggiarsi della solidarietà passiva (art. 1298 c.c. e 2055 c.c..) Il codice civile però non regola espressamente il caso di concorso delle due responsabilità pur essendo pacificamente ammesso. Si precisa che parlare di cumulo o di concorso di respon- Competenze e Professione n. 1-2/ 2007 sabilità non significa che il danneggiato possa duplicare i benefici delle due azioni, ottenendo due volte il risarcimento per lo stesso fatto lesivo, bensì che ha una legittimazione ad agire in via alternativa a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale. La particolarità è che il cliente-danneggiato può avvalersi della prescrizione decennale, in caso di cumulo di azioni, anche in riferimento al danno da fatto illecito. Nel settore della responsabilità del professionista i vantaggi che al danneggiato possono derivare dal concorso delle due responsabilità sono più limitati che in altri settori. Come già accennato la giurisprudenza ritiene applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale l’art. 2236 c.c. sulla risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, inoltre laddove si consideri la natura di obbligazione di mezzi e non di risultato quella del professionista, anche il diverso regime dell’onere probatorio tra i due tipi di responsabilità viene meno gravando sempre sul danneggiato. Da ultimo si ricorda che il professionista risponde anche dei danni cagionati a terzi estranei al rapporto contrattuale col cliente e concorre con la responsabilità del cliente e dell’appaltatore, anche qualora il contratto che lo leghi al cliente fosse invalido. Non solo. In caso di responsabilità extra contrattuale verso i terzi un orientamento giurisprudenziale tende a non ritenere applicabile l’art. 2236 c.c. con la conseguenza (a dire il vero un pò paradossale) che il professionista, ove venga in questione la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, si trovi a rispondere solo per dolo o colpa grave nei confronti del cliente e viceversa anche per colpa lieve verso il terzo. 4. L’assicurazione per la responsabilità civile 4.1 Cenni Alla luce di quanto abbiamo detto ne consegue che il professionista, per tutelarsi, almeno dal profilo civilistico sarà necessitato a stipulare polizze per la responsabilità civile. Qualche osservazione dettata dall’esperienza “sul campo” più che da considerazioni di ordine giuridico. L’assicurazione non risponde in caso di danni causati da violazione di norme di legge (per esempio norme edilizie ed urbanistiche) può non coprire tutti i danni possibili nell’ambito di quella specifica attività professionale. Sarà pertanto buona cosa concordare con l’assicuratore un’assicurazione il più possibile “tagliata su misura”. L’assicurazione nel caso dei geometri per esempio non offre copertura per la progettazione e Direzione Lavori di edifici di grandi dimensioni, per i cementi armati, né per l’arbitrato, salvo specifico inserimento dell’apposita garanzia. Infine occorre sempre tener presente che vi sono termini di denuncia del sinistro molto brevi (di solito 3 giorni dalla contestazione) pertanto è buona regola allertare subito, alle prime avvisaglie di contestazione da parte del committente/cliente o di terzi, la propria assicurazione per non vedersi opporre poi in giudizio la decadenza e la conseguente mancata copertura assicurativa. «Il Seprio» Acri (CS) “il telaio”: u tidāru (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina) 103 Competenze e Professione n. 1-2/2007 FALSITÀ DELLE DICHIARAZIONI DEL PROFESSIONISTA SOLO SE SOSTANZIALI di Diego Foderini on una recente sentenza il Tribunale di Arezzo, Sez. distaccata di Montevarchi, ha assolto un professionista dall’accusa di false dichiarazioni rilasciate ai fini dell’ottenimento dell’agibilità di un immobile. Il professionista aveva dichiarato la conformità tra le opere effettivamente realizzate e quelle risultanti dalla progettazione. Il Tribunale ha pronunciato l’assoluzione in quanto le difformità non possedevano alcuna rilevanza sostanziale e ha, pertanto, ritenuto che il fatto non costituisce reato a motivo dell’assoluta mancanza dell’elemento psicologico. La sentenza è importante perché sottolinea la necessità di un comportamento meno formalista da parte delle Amministrazioni in occasione dei controlli di conformità sulle opere realizzate e perché contribuisce a chiarire i limiti delle responsabilità professionali. C Quando si determina la falsità Il reato di false dichiarazioni sussiste solamente quando la difformità possiede l’attitudine a pregiudicare gli interessi pubblici tutelati dalla disposizione che la richiede. Sulla base di questo presupposto essenziale il Tribunale di Arezzo (Sez. distaccata di Montevarchi), con la sent. n. 84, del 10 marzo 2006, ha assolto un professionista dall’accusa di aver falsamente attestato la conformità delle opere realizzate con quelle risultanti dalla progettazione, consistendo le difformità nella larghezza e/o nell’altezza delle porte e dei davanzali, nella variazione dei tramezzi interni di qualche centimetro nonché nella sistemazione della scala interna. I mutamenti non avevano realizzato alcuna variazione né nella volumetria né nella consistenza globale dell’immobile. Il Tribunale ha, pertanto, ritenuto che non possedessero alcuna rilevanza, con riferimento allo scopo della dichiarazione di attestare l’agibilità dell’immobile, e che mancasse quindi ogni presupposto per il sanzionamento. Le dichiarazioni rese in occasione della presentazione della DIA In caso di realizzazione di un’opera mediante denuncia di inizio attività, il testo unico dell’edilizia dispone che il proprietario dell’immobile, o il diverso avente titolo, presenti allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e adottati nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie (art 23, comma 1, D.P.R. 380/2001). La doppia firma (del privato e del professionista) intende garantire la verifica reciproca sulle dichiarazioni rese. Le dichiarazioni di conformità provenienti dal professionista che dovessero risultare non veritiere determinano, infatti, il reato di false dichiarazioni sanzionato dall’art. 481 cod. pen. Dello stesso reato risponderà però, in concor- 104 so, anche il privato che sottoscrive la denuncia (Cass. pen., Sez. V, sent. n. 5098/2000). Il certificato di agibilità La sentenza del Tribunale di Montevarchi assolve dall’accusa il professionista, dal quale la normativa precedente richiedeva la dichiarazione di conformità delle opere (art 4, comma 1, del D.P.R. 425/1994, che stabiliva che la dichiarazione doveva essere resa dal direttore dei lavori). Oggi, nella vigenza del T.U. edilizia, la dichiarazione in questione non è più posta in capo al professionista ma al richiedente. Il testo unico prescrive, in particolare, che il richiedente debba attestare che l’opera è conforme a quella prevista nel progetto approvato o presentato con la denuncia di inizio attività, che i muri si sono prosciugati e che gli ambienti sono salubri (art 25, comma 1, lett b, D.P.R. 380/2001). Il D.P.R. 380/2001 non ritiene, dunque, più necessario che la dichiarazione provenga da un soggetto qualificato. Ciò sul presupposto, presumibilmente, che il privato nel cui interesse le opere vengono realizzate sia a conoscenza della conformità al pari del direttore dei lavori e che la verifica sull’avvenuta prosciugatura dei muri e sulla salubrità degli ambienti possa essere adeguatamente compiuta dal privato utilizzando l’ordinaria diligenza e sotto la propria responsabilità. I principi affermati nella sentenza restano, comunque, operanti. Nel caso di avvenuta realizzazione delle opere mediante presentazione di DIA, il D.P.R. 380/2001 prevede, infatti, che a seguito dell’ultimazione dell’intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilasci un certificato di collaudo finale, da presentare allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell’opera al progetto presentato con la denuncia (art 23, comma 7). La successiva dichiarazione del privato ai fini dell’ottenimento dell’agibilità dovrà necessariamente rifarsi alla certificazione rilasciata dal professionista. Nella logica delle disposizioni, il professionista e il committente sono tenuti ciascuno alla verifica delle dichiarazioni rese dall’altro. Anche qui risulta operante il principio affermato dalla Cassazione in base al quale in caso di falsità nelle dichiarazioni sussisterà la concorrenza nel reato tanto del professionista quanto del committente (Cass. pen., Sez. V, sent n. 5098/2000). La responsabilità nei con fronti della committenza Nonostante la sentenza sia specificamente riferita alle dichiarazioni relative all’agibilità, il principio in essa affermato possiede operatività generale ed è quindi utile per determinare le responsabilità del professionista correlate alla dichiarazione, comprese quelle nei confronti della committenza (a questo riguardo è significativo come anche la sentenza del Tribunale di Montevarchi prenda origine da un contenzioso tra il professionista e il privato che ha conferito l’incarico). La Corte di Cassazione aveva già avuto modo di n. 1-2/2007 affermare che il professionista (ingegnere, architetto o geometra), nell’assolvimento dell’attività professionale è obbligato a usare la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che l’irrealizzabilità dell’opera per erroneità o inadeguatezza anche per colpa lieve del progetto affidatogli costituisce inadempimento dell’incarico e abilita il committente a rifiutare di corrispondere il compenso (Cass., Sez. I civ., sent n. 22487/2004, il quale afferma il principio richiamandosi alle proprie precedenti sent. n. 11728/2002 e n. 5928/2002). La sentenza del Tribunale di Montevarchi contribuisce a chiarire i confini di tale principio con specifico riferimento alle dichiarazioni di conformità. Come debbono essere rese le dichiarazioni di conformità La sentenza in esame concorre a definire il metro di valutazione che deve essere adottato dalle Amministrazioni pubbliche nel compimento dei riscontri sulla veridicità delle dichiarazioni rilasciate dal professionista. Non sembra, invece, che possa essere ritenuta utile per stabilire le modalità di rilascio delle dichiarazioni. In assenza di una specifica disposizione di legge e in mancanza di criteri certi e predefiniti di esatta determinazione della “rilevanza” delle modifiche che determinano la sussistenza del reato ovvero l’insorgenza di responsabilità di altra natura, appare utile che vengano cautelativamente evidenziate anche le difformità che si ritengano di non rilevante entità. __________ La sentenza Professioni; tecnico abilitato incaricato di attestare l’abitabilità/agibilità di un immobile; false dichiarazioni; assoluzione. Trib. Arezzo, Sez. distaccata Montevarchi, sent. n. 884, 10.3.2006 Motivi della decisione All’assoluzione dell’imputato dal reato ascrittogli in rubrica, con la formula indicata in dispositivo, il Giudice è Competenze e Professione pervenuto. Poiché il fatto contestato non costituisce reato per inconsistenza dello stesso e per assoluta mancanza dell’elemento psicologico del reato. L’accusa fa riferimento a una concessione edilizia per la ristrutturazione di un vecchio immobile rilasciata a tale … il 20 dicembre 2001 e alla certificazione circa l’abitabilità e l’agibilità dell’immobile rilasciata dall’imputato tecnico e progettista del … al termine dei lavori. L’accusa è nata da un rilievo mosso dalla committenza a causa di alcune contestazioni sui lavori interni consistenti nella larghezza e/o nell’altezza delle porte, dei davanzali, nella variazione dei tramezzi interni di qualche centimetro, nella sistemazione della scala interna. Tutte le variazioni sono documentate dal sopralluogo effettuato nell’immobile il 29 luglio 2003 a seguito dell’esposto contro il … sono tutte della natura surriferita ed evidenziano chiaramente che non c’è stata alcuna variazione della volumetria né della consistenza globale dell’immobile. Non hanno quindi alcuna rilevanza per quanto concerne lo scopo della dichiarazione che era quello di attestare l’agibilità e l’abitabilità dell’immobile. Tutto ciò emerge dalla logica dei fatti ed è stato in ogni modo confermato dal responsabile dell’Ufficio urbanistico del comune. Tanto precisato è evidente il motivo per cui il fatto non costituisce reato. Le piccole variazioni interne, che peraltro si verificano spesso nel corso dei lavori, non avevano alcuna rilevanza ai fini di quanto dichiarato per cui non si vede per quale motivo l’imputato avrebbe dovuto rilevarle con la pignoleria che la committenza pretende. In realtà egli si è avvalso della progettazione a suo tempo fatta che era ampiamente sufficiente allo scopo, facendo semplicemente riferimento al progetto. D’altra parte la dichiarazione non è così assolutamente ricettiva di ogni particolare del progetto e di quanto realizzato perché fatta su modulo prestampato e perché in ogni modo, con dichiarazione successiva, il … aveva accennato alle varianti della dislocazione delle pareti che non comportano aumento di volumetria. ( Omissis) «Consulente Immobiliare» 105 Competenze e Professione n. 1-2/2007 LA CERTIFICAZIONE DEGLI EDIFICI di Luciano Bassi 1.-Premesse 1.1 - La stampa ha anticipato il disegno di Legge del Ministro On. Luigi Nicolais, dai contenuti discordanti con la manovra globale dell’On.le Bersani nei riguardi dei tecnici liberi professionisti. Si rileva che la modernizzazione della Pubblica Amministrazione avverrà all’esterno della medesima “obbligando” i Tecnici Liberi Professionisti a sostituirla a regime, senza limiti di impegno, con crescente responsabilità (tecnico professionale operativa, di dotazione di strumentazioni e/o apparecchiature, civile, amministrativa e penale), pur in assenza dei minimi delle tariffe professionali. D’altra parte il processo edilizio è cambiato, e non poco: sicuramente subirà ulteriori modificazioni nelle regole, nelle normative, nella progettazione, nei materiali, negli impianti e, sostanzialmente nel prodotto finito, con notevole aumento dei costi finali. 1.2 - Il disegno di legge in sintesi recita: - maggiore fiducia nei professionisti e snellimento delle procedure; - affidamento ai tecnici privati (liberi professionisti?) della procedura di agibilità delle costruzioni. N. d. R. allora si potrebbe operare presentando un solo progetto finale con corrispondente Agibilità: allora sì che si avrebbe risparmio di tempo e di denaro. Così l’Amministrazione avrebbe il compito di redigere norme certe da rispettare nel contesto progettuale con il “Collaudo di Agibilità” finale da parte del o dei Direttori dei lavori (ognuno per la propria parte anche parziale, e non che l’ultimo garantisca anche per i precedenti). 1.3 - La Legge della Regione Emilia - Romagna n° 31 del 25.11.2002 ha anticipato alcune procedure integrate e semplificate (ancorché in teoria e da collaudare previi emendamenti) quali lo sportello unico per l’edilizia, i titoli abilitativi e, quello che a noi oggi interessa, il titolo III°: Verifica delle opere realizzate (art. 20, scheda tecnica descrittiva e fascicolo del fabbricato - art. 21, certificato di conformità edilizia e agibilità - art. 22, procedimento per il rilascio). Tale legge, ancor prima delle più recenti disposizioni in materia catastale, prevede il contestuale deposito delle dichiarazioni di nuova costruzione e delle variazioni al Catasto Fabbricati (sebbene sia insufficiente il termine di 15 giorni dalla data dichiarata della ultimazione dei lavori, salvo ad arte ritardarne la comunicazione). Purtroppo si deve rilevare che non tutti i comuni della Provincia di Bologna operano in sintonia con il capoluogo, emanando norme che spesso (troppo) conducono alla “interpretazione” frantumando il sistema ed ingessando l’auspicato dialogo (non solo preventivo) e la necessaria concertazione con gli addetti ai lavori (tecnici liberi professionisti compresi). A mio parere la documentazione sopra indicata, ancorché in sintesi, deve essere sottoscritta anche dalla o dalle imprese esecutrici (come per gli impianti ex legge n° 46/1990) e dalla proprietà committente (in caso di appalti privati): 106 ovviamente con le debite differenziazioni nei ruoli assunti nel processo edificatorio. 2. - Il disegno di legge “Nicolais” 2.1 - Generalità Maggiore fiducia nei professionisti e snellimento delle procedure: conseguenza dell’affidamento ai tecnici privati della procedura di agibilità delle costruzioni, prevista dal disegno di legge Nicolais sull’efficienza delle amministrazioni pubbliche e sulla riduzione degli oneri burocratici per cittadini e imprese. Il certificato di agibilità, nelle leggi sanitarie del 1934, era di competenza del sindaco, come autorità locale di igiene, e si collegava al prosciugamento dei muri e ad altre cause di insalubrità. Oggi diventa una dichiarazione ed è di competenza dei professionisti che hanno diretto i lavori. 2.2 - L’edilizia privata L’innovazione è prevista per la sola edilizia privata, cioè eseguita su iniziativa di privati, sia essa residenziale o produttiva. Ne rimangono fuori l’edilizia pubblica e l’esecuzione di opere pubbliche in generale, che restano sottoposte a collaudi di maggiore dettaglio. Il certificato per l’edilizia privata riguarderà le condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti. Inoltre, il certificato sarà accompagnato dalla domanda di accatastamento, da una verifica di conformità rispetto al progetto, dal collaudo statico, dalla conformità alle norme antisismiche e sulle barriere architettoniche, e infine a una dichiarazione di conformità degli impianti (quest’ultima collegata alla dichiarazione dell’impresa installatrice). In precedenza si parlava di vero collaudo, oggi sostituito dalla verifica di conformità, cioè da un’attività che può fare riferimento a dichiarazioni di altre imprese o professionisti, abilitati ad autodichiarare la conformità del loro operato a norme tecniche di corretta esecuzione. 2.3 - Il direttore dei lavori Il disegno di legge richiede che il certificato di agibilità sia redatto dal direttore dei lavori, cioè da chi ha seguito i lavori stessi. Non richiede tuttavia che le dichiarazioni debbano essere rese dal professionista che ha seguito materialmente il cantiere durante l’esecuzione e l’evolversi della costruzione. In altri termini, se c’è stata una sostituzione di direttore dei lavori in corso d’opera, il certificato di agibilità sotto forma di dichiarazione di conformità può essere redatto dall’ultimo direttore dei lavori. Quest’ultimo risponderà anche dell’operato dei suoi predecessori e quindi sarà tenuto, nei limiti delle verifiche possibili, a ripercorrere tutta la storia del cantiere, dovendo coprire, con la propria certificazione, tutte le attività oggetto di certificazione. È anche possibile che la domanda di agibilità e la relativa certificazione siano effettuate a firma congiunta di più professionisti, ognuno per quanto di propria competenza. 2.4 - Le responsabilità La dichiarazione del professionista sostituisce un certifi- n. 1-2/2007 cato pubblico, quindi in caso di falsità scattano le sanzioni previste dal Codice penale (articoli 359 e 480). Sono le responsabilità specifiche delle persone esercenti un servizio di pubblica necessità, tutte le volte che sono coinvolte nella redazione di certificati amministrativi. Le conseguenze possono quindi essere gravi, ma sono proporzionali ai danni che un errore o una superficialità del professionista possono causare al cittadino che abiti un luogo insalubre o costruito male. 2.5 - Passano ai professionisti: Le certificazioni su sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti installati, secondo le disposizioni della normativa in vigore. - L’iscrizione al Catasto - Le certificazioni di conformità dell’opera rispetto al progetto approvato - Le certificazioni di collaudo statico - Le certificazioni che attestano la conformità delle opere realizzati nelle zone sismiche - La dichiarazione di conformità delle opere realizzate rispetto alla normativa in vigore relativa all’accessibilità degli edifici e al superamento delle barriere architettoniche. 3. - Regione Emilia - Romagna - semplificazione e miglioramento prestazionale. 3.1 - Premesse La riforma del rapporto tra pubblica amministrazione e imprese non passa solo dal Governo. Accanto all’iniziativa del ministro Luigi Nicolais, che studia il modo di sanzionare gli enti pubblici che ritardano nella fornitura dei servizi, si stanno moltiplicando una serie di progetti che vedono in primo piano le Regioni del Centro-Nord. In territori sui quali insistono tanti comuni ancora esclusi dalla rete Adsl, il gap tecnologico si fa sentire minando uno dei pilastri della semplificazione, l’e-govemment. Emilia - Romagna. La progressiva attivazione di servizi telematici e la riduzione dei tempi delle procedure sta passando per la riorganizzazione interna con effetti diretti sul contenimento della spesa. «È la prima fase di un riordino più ampio - spiega Luigi Gilli, assessore regionale all’Organizzazione - teso a migliorare l’efficienza amministrativa, valorizzare il personale e ridurre il peso della burocrazia». Il piano regionale vede attivo il progetto SigmaTer per l’interscambio informatico dei dati catastali che permette alla Pa una capillare conoscenza del territorio e per il momento ai cittadini e ai professionisti di alcuni capoluoghi un accesso diretto ad alcuni servizi catastali (visure, accatastamenti, certificati, ricerche) e ai servizi collegati (pagamento imposte, ammissioni a contributi). 4. - La responsabilità del costruttore 4.1 - Vanno bene le nuove garanzie per chi compra la casa in costruzione, garanzie che comprendono anche una polizza per i gravi difetti (Dlgs 122/2005). Ma, al di là del fatto che tuttora questa polizza è un mito, resta il problema delle parti comuni, che prima come adesso possono avere (e spesso anche più di frequente degli appartamenti) vizi gravi. Il venditore - costruttore di una unità immobiliare, però, anche se i lavori siano appaltati a un terzo, risponde dei gravi difetti nei confronti dell’acquirente. Sulla base di questo Competenze e Professione principio generale dettato dall’articolo 1669 del Codice civile, il costruttore è responsabile nei confronti del singolo condomino e del condominio dei gravi difetti che si presentano nel corso di dieci anni dalla costruzione nell’appartamento compravenduto oppure, sempre nei termini predetti, sul tetto, sul lastrico solare, sulle facciate, sulle scale e, in genere, sulle parti comuni dell’edificio condominiale. 4.2 - La Casistica Sono considerati gravi difetti anche la caduta dell’intonaco e i problemi all’impermeabilizzazione del manto di copertura. 4.3 - La Cassazione Costituiscono gravi difetti dell’edificio, secondo una recente pronuncia della Cassazione (sentenza n° 7254 del 19.3.2006), non solo quelli che incidono sugli elementi strutturali del fabbricato, ma anche i vizi costruttivi che alterano in modo apprezzabile il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità dell’immobile e impediscono che questo fornisca l’utilità a cui è destinato. In tale contesto integrano i gravi difetti, riconducibili alla previsione dell’articolo 1669 del Codice civile, anche la caduta dell’intonaco per infiltrazioni di umidità, i difetti di costruzione che interessano i tetti e quelli attinenti alla impermeabilizzazione del manto di copertura dell’edificio (in senso conforme anche la sentenza del Tribunale di Bologna n° 621 del 7.3.2005). 4.4 - Difetti gravi Sono gravi quei difetti costruttivi che pregiudicano la sicurezza o la stabilità del fabbricato oppure quelli che alterano in modo apprezzabile la funzionalità o l’usufruibilità dell’opera eseguita. Il costruttore dell’edificio o colui che esegue sull’immobile opere destinate per loro natura a durare nel tempo risponde per i vizi che si verificano nel corso di dieci anni dalla ultimazione dell’intervento. 5. - Conclusioni - riflessioni - proposizioni 5.1 - Ricordare il “Libretto della Casa” ed il “Condono in Caso d’Uso” promulgati dal C.N.G. (post - condono legge n° 47/1985), costituenti Banca Dati Storica anche pregressa. 5.2 - Ricordare la redazione della relazione ipo-catastaleedilizio-urbanistica per i trasferimenti immobiliari (legittima commerciabilità ante Legge Ponte 1.9.1967, non garantisce la “conformità”). 5.3 - I “liberi professionisti” assumono nella fattispecie la funzione di “Pubblici Ufficiali”: devono essere ripristinati i minimi professionali a garanzia etico - deontologica della dignità e della responsabilità dell’atto professionale. 5.4 - Con gli annosi tentativi di “Semplificare le procedure” (costantemente in amministrazione controllata) i primi a subire in negativo sono stati i professionisti (seguiti a vista dai cittadini, ambedue utenti) che da sempre forniscono dati, elementi, ricerche, corrispondenze contribuendo ad una Banca Dati della quale, di fatto, vengono emarginati non essendosi creato un “rapporto coordinato e di reciprocità” nemmeno nelle molteplici Commissioni di Studio e di Monitoraggio; non poteva essere migliore all’esterno. Analizziamo, con umiltà, se siamo stati rappresentati nel rispetto del significato: il tempo costa, il tempo passa ed il malcontento aumenta. Anche il rapporto con gli Uffici Pubblici ha la sua valen- 107 Competenze e Professione za politico - sindacale - professionale. 5.5 - Mozione finale - Le competenze devono essere corrispondenti alla capacità prestazionale degli atti professionali. - Il ruolo di “Pubblico Ufficiale Coadiutore non ci spaventa: viene spontaneo chiedersi quale sia e quale sarà il ruolo della “Pubblica Amministrazione”. - Occorre un “Tavolo Permanente” con Regione, Provincia e Comuni per stabilire i ruoli, le funzioni, la modulistica, le procedure, i risultati (da monitorare) da raggiungere, i rapporti con le Amministrazioni in genere e con i “Tecnici Colleghi” dipendenti delle Pubbliche Ammi- n. 1-2/2007 nistrazioni. In sintesi: rispetto della reciproca dignità nel precipuo interesse della collettività in generale e del cittadino in particolare. Senza perderci di vista, dedicando più tempo al lavoro concertato che non alle attese, alle file ed alle interpretazioni (più o meno strumentali): sicuramente ne beneficierà il sistema ed il futuro di tutti i tecnici. Mi auguro di potere, assieme a Voi tutti, collaudare in positivo nel futuro le risultanze di questo convegno, e non solo, ma anche per altri settori che da tempo (troppo) condizionano l’attività nel settore edilizio - urbanistico e catastale. L’ARBITRATO RITUALE ED IRRITUALE Controversie risolte con la giustizia alternativa di Lucia Tomasini e Massimiliano Debiasi L’arbitrato è uno strumento con cui si risolvono (o si tentano di risolvere!) le controversie civili e commerciali, in alternativa alla via giudiziaria. È la facoltà, riconosciuta dal nostro ordinamento, che le parti hanno di sottoporre spontaneamente le controversie a soggetti diversi dai giudici istituiti dallo Stato. Si tratta di una sorta di giustizia “privata”. Sono proprio le parti, infatti, in accordo tra loro, a scegliere chi deciderà la loro controversia: tali soggetti decisori sono gli “arbitri”, dei veri e propri “giudici privati”. L’arbitrato è un istituto necessariamente connaturato alla libertà contrattuale dei privati; come essi possano liberamente agire e determinare con la propria volontà il contenuto dei contratti che concludono (come il prezzo, il termine, le condizioni), necessariamente possono, decidere di devolvere liberamente a chi meglio credono le controversie che possano insorgere fra di loro. Il tutto salvo che per alcuni diritti cd. indisponibili che non possono formare oggetto di arbitrato. Non tutte le controversie possono, infatti, essere decise dagli arbitri: il D.Lgs n. 40/06 non indica espressamente quali sono le materie di competenza degli arbitri, ma stabilisce che non sono compromettibili in arbitri le vertenze riguardanti i diritti indisponibili (quali, ad esempio, quelli di famiglia, del matrimonio, dei figli, etc), salvo inoltre ogni espresso divieto di legge. Anche le controversie individuali di lavoro non sono compromettibili in arbitri, se non previsto dalla legge o da contratti o accordi collettivi. La materia dell’arbitrato è stata recentemente oggetto di modifica avvenuta con l’entrata in vigore del Decreto legislativo 2.2.2006 n. 40 con il quale il legislatore torna a novellare tale istituto introducendo talune significative novità. Il nostro ordinamento fa riferimento a tre tipologie di arbitrato: arbitrato rituale, irrituale ed internazionale. In tale articolo inquadriamo la disciplina dell’arbitrato rituale ed irrituale e distinguiamo questi da una figura diversa, l’arbitraggio. L’arbitrato internazionale, invece, raro, non lo trattiamo. Sia l’arbitrato, rituale e irrituale, sia l’arbitraggio, sono istituti di 108 rilevante importanza per un geometra che può, infatti, venir nominato arbitro o arbitratore o comunque partecipare a contratti ed affari che lo prevedono (ad esempio nello stesso contratto di incarico professionale). Vari sono i motivi vantaggiosi per cui le parti optano per far risolvere una controversia agli arbitri: - far dirimere una questione a persone particolarmente esperte in un specifico settore (rapporti commerciali, settore delle opere pubbliche, questioni societarie, etc.) scelte direttamente da loro; - far risolvere i rapporti controversi da persone che godono di particolare fiducia da parte dei contendenti; - non è necessario che le parti si facciano rappresentare da un avvocato; - rapidità della decisione (la decisione può avvenire anche solo con un’udienza). Non si possono, però, tralasciare gli aspetti negativi dell’arbitrato: - procedura piuttosto complicata; - talvolta questioni giuridiche complesse che non vengono adeguatamente trattate dagli arbitri perché sconosciute; - procedimento piuttosto costoso (gli arbitri si pagano come da Tariffa Professionale, il Giudice ordinario no). Arbitrato Rituale È la forma più complessa di arbitrato, regolato dal codice di procedura civile (artt. 806 - 840). Si tratta di un procedimento che non ha solo la funzione, ma anche la struttura di un vero e proprio giudizio che si conclude con una decisione, il lodo arbitrale, con gli effetti di una sentenza. È un giudizio privato posto in essere da soggetti che operano in qualità di giudici pur essendo sprovvisti dei poteri autoritativi propri della giurisdizione ordinaria, ma tuttavia operanti perché conferiti loro contrattualmente. Possono essere oggetto di decisione arbitrale che nel caso del “rituale” è un vero e proprio “giudizio”, sia le liti n. 1-2/2007 già sorte sia quelle che non lo sono ancora, inerenti un contratto in essere tra le parti. Il procedimento arbitrale comprende quattro fasi sostanziali: la previsione di una clausola compromissoria o di un compromesso, la nomina degli arbitri, il procedimento da seguire per addivenire ad una decisione e l’emissione del lodo arbitrale. 1) Compromesso e clausola compromissoria Si tratta della prima fase, genetica, dell’arbitrato. Le parti contraenti, al momento della stipulazione di un contratto (ad esempio, in materia di contratti di compravendita, di appalto, nella divisione), possono, infatti, stabilire che le eventuali liti, tutte o solo alcuni aspetti dì questi, che potrebbero sorgere dall’applicazione del contratto stesso, vengano decise da un arbitro o da un collegio arbitrale. Le parti affidano agli arbitri la soluzione della controversia manifestando tale scelta al momento della redazione del contratto, inserendo in esso una clausola compromissoria, che preveda che tutte o alcune controversie nascenti dal contratto siano decise dagli arbitri. Facciamo un esempio di clausola compromissoria: “Le parti convengono di sottoporre tutte le controversie che potessero sorgere intorno all’interpretazione e all’esecuzione del presente contratto alla decisione di tre arbitri che si nomineranno un arbitro per parte ed il terzo, in veste di presidente, verrà nominato dagli arbitri di parte. In difetto di tale ultima nomina, Vi provvedeva, su ricorso dei due arbitri, il Presidente del Tribunale di...” Diversamente, in seguito al sorgere di una controversia inerente una lite già esistente, le parti possono stabilire con un compromesso, cioè un atto separato, ossia un contratto ad hoc, che la soluzione della lite già insorta sia demandata agli arbitri invece che ai giudici ordinari. A pena di nullità, il compromesso deve avere forma scritta (anche se per messaggio telematico), deve determinare l’oggetto della controversia e contenere la nomina degli arbitri oppure stabilirne il numero e le modalità per nominarli. Indichiamo un compromesso “tipo” “Tizio e Caio convengono di far decidere la controversia tra loro insorta ad arbitri, che saranno di numero tre, dei quali due sono nominati da ciascuna parte, sin d’ora, nella persona di Mevio e di Sempronio, mentre la designazione del terzo sarà richiesta al Presidente del Tribunale di...” Ora facciamo un esempio concreto di compromesso. Nominate eredi, le parti, per provvedere alla divisione giudiziale dei beni ereditati, possono, con un compromesso, nominare uno o più geometri quali arbitri, che decidano in merito alla divisione ed alla stima di tali beni. 2) Nomina degli arbitri La seconda fase dell’arbitrato riguarda la nomina degli arbitri ad opera delle parti, o in mancanza di una loro indicazione, ad opera del Presidente del Tribunale competente. Il procedimento arbitrale non inizia, distinguendosi da quello giudiziale con un atto di citazione o con ricorso, ma, quindi, con la comunicazione di nomina di arbitro notificata alla controparte. L’istanza di nomina dovrà contenere le generalità del proprie arbitro, con espresso invito a controparte di provvedere ai sensi dell’art. 810 c.p.c. e, quindi, entro e non oltre 20 giorni dalla notifica dell’atto alla nomina del proprio arbitro con l’avvertimento che, in difetto, sarà presentato rituale ricorso al Presidente del Tribunale. All’esito di tale nomina, gli arbitri di parte, se previsto della clausola compromissoria, interesseranno direttamente il Tribu- Competenze e Professione nale per la nomina del terzo arbitro con funzioni di Presidente. Il numero degli arbitri viene rimesso alla volontà delle parti che nel compromesso o nella clausola compromissoria devono almeno indicarne il numero, che, in ogni caso, deve essere dispari (da un arbitro unico, ad un collegio arbitrale composto da 3 arbitri o più, ma sempre dispari). La sede dell’arbitrato è stabilita dalle parti o, in mancanza, dagli arbitri. Salvo differente indicazione delle parti o degli arbitri, può essere sede dell’arbitrato il luogo in cui è stata stipulata la convenzione. Le parti possono nominare come arbitri i geometri, soprattutto se per risolvere una controversia è necessaria una competenza più tecnica, quella appunto di un geometra, e, ad esempio, meno giuridica. 3) Procedimento arbitrale Terza fase dell’arbitrato. Una volta che gli arbitri di parte e l’arbitro super partes hanno accettato l’incarico, si insedia il collegio arbitrale che deve svolgere il proprio compito assicurando alle parti il diritto di difesa e garantendo il principio del contraddittorio. Le parti, nel corso del procedimento, hanno la facoltà di produrre documenti, di collaborare nell’accertamento dei fatti, di formulare le loro rispettive domande, e di conoscere, in tempo utile, le istanze e le richieste avversarie alle quali controdedurre e replicare, nonché presentare memorie istruttorie a prova diretta e contraria. I geometri chiamati ad arbitrare una controversia sappiano che gli arbitri, alla luce della recente riforma, godono di ampi poteri istruttori: essi possono assumere direttamente le testimonianze o deliberare l’assunzione della deposizione di un teste nella sua abitazione o in ufficio, ma possono anche richiedere al Presidente del Tribunale di ordinare la comparizione del testimone, qualora il teste rifiuti di comparire dinanzi a loro. Oltre ai poteri-doveri, gli arbitri, e quindi anche i geometri nominati tali, hanno diritto al rimborso delle spese ed all’onorario per l’opera prestata. Bisogna inoltre ricordare che, con la riforma, gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento arbitrale al versamento anticipato, ad opera delle parti, delle spese prevedibili (spese vive per bolli, imposte di registro...). 4) Emissione del lodo arbitrale Quarta ed ultima fase del procedimento arbitrale consiste nell’emissione, da parte degli arbitri, del lodo arbitrale, cioè della decisione che essi hanno preso in merito ad una determinata questione controversa. Il procedimento arbitrale termina, ai sensi del nuovo art. 820 c.p.c, entro il termine legale di 240 giorni dall’accettazione della nomina, salvo diversa indicazione della parti, con l’emissione del lodo arbitrale: la decisione degli arbitri in merito alla vertenza. La decisione arbitrale deve esser presa a maggioranza. Il lodo deve essere redatto in forma scritta e deve contenere, per essere valido, l’indicazione degli arbitri e delle parti, della sede dell’arbitrato, della convenzione di arbitrato e delle conclusioni delle parti, dell’esposizione sommaria dei motivi e del dispositivo, nonché la sottoscrizione della maggioranza degli arbitri e la data della stessa. Il lodo arbitrale produce gli effetti di una sentenza (produce effetti erga omnes) e deve essere comunicato e consegnato alle parti, entro dieci giorni dall’ultima sottoscrizione. Nonostante il lodo arbitrale produca effetti di sentenza pronunciata dal Giudice italiano, l’omologazione giudiziale continua ad essere necessaria al fine di attribuire efficacia esecutiva 109 Competenze e Professione al lodo. La parte che intende, infatti, far eseguire il lodo nel territorio italiano, deve, infatti, proporre un’istanza al Tribunale ove ha sede l’arbitrato che deciderà, con decreto, se dichiarare o no esecutivo il lodo. Contro il decreto è ammesso, entro trenta giorni, il reclamo alla Corte d’Appello. Data la sua esecutività, il lodo arbitrale può essere oggetto di impugnazione (per nullità, revocazione ed opposizione di terzo). Competente per decidere sull’impugnazione del lodo è la Corte d’Appello che, qualora accolga l’impugnazione, ne dichiara con sentenza la nullità totale o parziale. Arbitrato irrituale o libero o contrattuale I lettori devono sapere che estremamente più diffuso dell’arbitrato rituale, è l’arbitrato irrituale (o libero), di cui si fa ampio uso anche nel commercio internazionale. Quando un geometra è nominato dalle parti arbitro “libero”, il suo compito è quello di decidere le controversie sulla base degli stessi principi e modalità seguite dagli arbitri rituali, nel necessario rispetto del contraddittorio, garantendo alle parti parità di prerogative. Per chiarezza espositiva, riprendiamo il medesimo ordine seguito per l’arbitrato rituale, considerando le singole fasi: • la fase genetica dell’arbitrato irrituale (clausola compromissoria o compromesso), essa è uguale a quella del rituale. Facciamo un esempio di clausola compromissoria “tipo” utilizzata nell’arbitrato irrituale: “Le parti, per le eventuali controversie nascenti dal contratto, si rimetteranno al giudizio di un unico arbitro, amichevole compositore inappellabile, al quale esse chiedono di formulare una composizione equitativa del loro contrasto o un giudizio giuridico sulle proprie ragioni e torti, l’uno o l’altro, tuttavia, destinati a venir recepiti e a valere giuridicamente come contenuto di un contratto tra i litiganti;” - la seconda fase inerente la nomina degli arbitri, è uguale a quella del rituale; - la terza fase, relativa al procedimento da seguire, è più snella, in quanto non ci sono termini da seguire in modo rigoroso e, pertanto, è più rapida; - la quarta fase, nella quale gli arbitri emettono il lodo, è diversa dall’arbitrato rituale. Alla base dell’arbitrato libero o contrattuale sta, infatti, il fatto che le parti non vogliono un processo, una sentenza o un giudicato per risolvere le loro controversie. Esse ritengono che il modo migliore per risolvere una lite sia un procedimento negoziale che sfoci in un vincolo contrattuale, vincolante solo per loro, e non in una sentenza. La differenza più rilevante tra arbitrato rituale e libero sta, infatti, nel valore che la decisione degli arbitri assume per l’ordinamento giuridico: il lodo rituale, la decisione finale, produce gli effetti di una sentenza, mentre il lodo irrituale ha valore di un contratto. I geometri nominati arbitri rituali pronunciano una decisione (il lodo arbitrale) che ha valore erga omnes, producendo i medesimi effetti di una sentenza. Gli arbitri irrituali, invece, dopo aver seguito tutta la procedura arbitrale, giunti alla fase decisionale, non emettono un lodo con effetti di sentenza (come, quelli prodotti dal lodo rituale) ma un lodo con effetti di un contratto stipulato tra le 110 n. 1-2/2007 parti e vincolante. La decisione risultante dall’arbitrato irrituale, quindi, non acquista il valore di sentenza, non è un titolo esecutivo, ma assume valore vincolante solo per le parti contraenti (efficacia inter partes). L’arbitrato irrituale trova la sua forza vincolante nel consenso e nell’accettazione preventiva delle parti e nel rispetto del contraddittorio. Il cd. “lodo per biancosegno” si inquadra nello schema dell’arbitrato irrituale in quanto si caratterizza per il fatto che le parti conferiscono agli arbitri l’incarico di risolvere una lite, mediante un regolamento da trascrivere su fogli precedentemente firmati in bianco. Tali fogli, firmati in bianco, assumono il valore di una diretta manifestazione di volontà delle parti. Se la decisione finale, pur vincolante, non dovesse essere osservata dalla parte soccombente, bisognerà fare una nuova causa (ordinaria) non certo per ridiscutere i termini della lite originaria, ma per vedere condannata controparte, con una sentenza che diverrà titolo esecutivo, ad adempiere alla decisione arbitrale (contratto). Arbitraggio L’arbitraggio è uno strumento completamente diverso dall’arbitrato (sia rituale sia irrituale) e non va con questi confuso! Con l’arbitraggio le parti non demandano ad un terzo arbitratore, non arbitro, quale può essere certamente anche un geometra, il compito di risolvere divergenze sorte in ordine ad un rapporto precostituito in tutti i suoi elementi, ma il completamento di un rapporto giuridico in via di formazione, di un contratto già definito. Facciamo alcuni esempi concreti. Le parti stipulano un contratto preliminare di compravendita di un terreno, nulla indicando in merito al prezzo, che pattuiscono sarà determinato da un terzo arbitratore (o collegio di arbitratori), quale potrà essere un geometra, dotato della necessaria competenza. Analogamente, in tema di assicurazione contro i danni, la clausola di polizza che devolva a terzi l’accertamento del danno risarcibile, configura la perizia contrattuale che può essere effettuata da un geometra, che assume, pertanto, le vesti di arbitratore. In entrambi i casi, le parti demandano ad un geometra, terzo arbitratore, il completamento di un contratto: nel primo esempio, il geometra arbitratore è chiamato ad indicare il prezzo, nel secondo dovrà redigere una perizia contrattuale. Il terzo concorre, infatti, con le parti, alla formazione del contenuto del contratto ancora privo di uno o più elementi. L’arbitratore svolge, infatti, un’attività sostitutiva a quella delle parti e non deve decidere su questioni controverse poiché nell’arbitraggio, diversamente dall’arbitrato, non ci sono rapporti controversi da risolvere. L’arbitratore, al quale è stata affidata la determinazione della prestazione dedotta nel contratto, può decidere secondo un criterio individuale in quanto le partì hanno riposto piena fiducia nella sua correttezza ed imparzialità, oltre che nella sua competenza e capacità di discernimento. Il suo apprezzamento si sottrae ad ogni controllo nel merito della decisione e le parti possono impugnare la determinazione effettuata solo dimostrando che egli ha agito con manifesta iniquità, a danno di una delle parti. È una figura, comunque, rara. «Prospettive Geometri» n. 1-2/2007 Competenze e Professione OPERE DISTINTE, PROGETTI CUMULABILI E VIA La valutazione di impatto ambientale dopo oltre venti anni dall’entrata in vigore: ancora incertezze e dubbi interpretativi di Paolo Costantino onostante un lunghissimo lasso di tempo sia passato dall’adozione, in sede europea, dell’istituto della valutazione di impatto ambientale (la prima direttiva sull’argomento è del 27 giugno 1985), scorrendo le pronunce della giurisprudenza amministrativa più recente si rinvengono ancora rilevanti problemi interpretativi che derivano dalla lettura delle norme italiane di recepimento ed attuazione delle direttive VLA1 e che rischiano di ripercuotersi pesantemente sulla esecuzione delle opere pubbliche. N Tutto è legato al colpevole ritardo con cui il legislatore ha integralmente recepito le disposizioni comunitarie sulla valutazione di impatto ambientale: solo con il DLgs 152/2006, ed. “Codice dell’Ambiente”, si è finalmente provveduto alla integrale attuazione (seppur in maniera non scevra da critiche2) delle direttive VIA, così sostituendo tutta una serie di precedenti disposizioni di legge, su tutte il più volte criticato art. 6 della legge 349/86 istitutiva del Ministero dell’Ambiente, per lungo tempo considerato il testo di legge di riferimento per le procedure statali di valutazione d’impatto ambientale; norma che, lo si ricordi, nacque con il carattere della provvisorietà. Dovendo, perciò, fare i conti con le norme antecedenti al Codice dell’Ambiente (quelle applicate nei casi all’esame dei giudici), ed in considerazione del menzionato ritardo legislativo, la giurisprudenza amministrativa si è spesso trovata in grandi difficoltà nel decidere su varie questioni concernenti i procedimenti e i provvedimenti di VIA. Relativamente ad una di dette questioni, di grande importanza per la frequenza con cui si verifica, non può, pertanto, non rilevarsi la contraddizione nella quale è caduto di recente il Consiglio di Stato, laddove, in situazioni quasi del tutto analoghe, ha disposto in maniera diversa, fino a dover in un caso richiedere l’intervento interpretativo della Corte di Giustizia. Il riferimento corre a due pronunce, assunte nella stessa data, della VI Sezione del supremo organo di giustizia amministrativa, la sentenza 22 novembre 2006 n. 6831 e l’ordinanza (di rimessione alla Corte di Giustizia CE di alcune questioni pregiudiziali) 22 novembre 2006 n. 6836. Considerato, come si vedrà, che l’oggetto delle pronunce era lo stesso mentre i risultati sono sembrati contraddittori, si appalesa con più ampio rilievo l’incertezza in cui i giudici amministrativi sono incorsi, tanto da portare a scelte diverse pur - è lecito ritenere nell’ambito della stessa Sezione (ma con differenti estensori). I giudici di entrambi i giudizi si sono trovati a decidere, infatti, tra altre questioni sottoposte al loro vaglio, sulla necessità di doversi procedere o meno ad una valutazione dell’impatto ambientale congiunta per opere distinte e frazionate (o frazionabili), anche se tra loro collegate da un vincolo teleologico. Sul punto, la sentenza (n. 6831) si è posta in una certa direzione, sulla scia peraltro di un importante precedente esaminato dalla medesima VI Sezione in un giudizio anteriore, (definito con la sentenza 1102/2005 in relazione al progetto MOSE di Venezia), escludendo la necessità di procedere ad una VIA congiunta per la realizzazione di un terminal di distribuzione del gas e delle opere necessarie al trasporto dello stesso gas. I giudici amministrativi, in quella sede, hanno ritenuto che, una volta autorizzato in via definitiva il terminal, il successivo metanodotto costituisse un’opera autonoma, sebbene fosse unita da un vincolo di scopo al terminal, assolvendo ad una funzione distinta, e quindi senza assoggetta mento a nuova valutazione (che, nella sostanza, ove disposta avrebbe invece comportato la riapertura dell’intera procedura VIA anche per le opere precedentemente assentite). Invece, nell’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia (n. 6836), la stessa VI Sezione sembra aver preso un’altra strada, anzi, ponendosi la stessa questione (originata anche dai motivi su cui aveva fondato precedenti decisioni parziali e interlocutorie) disponendo incombenti istruttori che non hanno fornito chiarimenti al punto da richiedere l’intervento interpretativo dei giudici comunitari. II giudizio in questione era stato occasionato dall’approvazione, da parte del Comune di Milano, di un progetto viario. I ricorrenti lamentavano, tra altre censure, l’illegittimità della classificazione del tratto viario in questione come “strada interquartiere” anziché come “strada di scorrimento”. Ciò in quanto il progetto riguardava una pluralità di strade di quartiere (ben nove) destinate a congiungersi. Pertanto, mentre ciascuna di tali strade non integrava i requisiti di un’opera da assoggettare a VIA, viceversa la loro considerazione unitaria, (che sembrerebbe fondata come desumibile dall’esame della pianificazione urbanistica di quella zona), avrebbe imposto il giudizio di compatibilità ambientale. Sul punto, il Consiglio di Stato ha sollevato incertezze circa l’art. 1 del DPR 12 aprile 1996, con il quale si è disciplinata la procedura VIA per i progetti dell’Allegato II alla direttiva 85/337/CEE. Il dubbio riguarda il fatto se uno Stato membro debba obbligatoriamente assoggettare a VIA i progetti di opere riportate nell’Allegato II alla direttiva secondo i criteri previsti nel ì successivo Allegato III, ovvero se esso Stato possa decidere, caso per caso, se i progetti dell’Allegato II debbano o meno subire la procedura di compatibilità ambientale, senza perciò essere j vincolato dai criteri solutori del menzionato Allegato III. Nella specifico la questione si pone in quanto, secondo l’art. 4 della direttiva 85/337/CEE, per i progetti di cui all’Allegato II della stessa direttiva, gli Stati membri possono bensì stabilire o la sottoposizione a VIA dei singoli progetti caso per caso, oppure fissare soglie o criteri di assoggettabilità (oppure, facendo entrambe le cose), ma “nell’esaminare caso per caso o nel fissare soglie o criteri ... si tiene conto dei relativi criteri di selezione riportati nell’Allegato III”. 1 Alla direttiva 85/337/CEE sono seguite la direttiva 97/11/CE e la direttiva 2003/35/CE, entrambe di modifica ed integrazione della prima. 2 Si veda A. Martelli in AA. W, II Testo Unico Ambiente, commento al D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, 2006, Ed. Simone, pp. 23 ss. 111 Competenze e Professione Tra i criteri individuati nell’Allegato III della direttiva, compare quello del cumulo di progetti, a mente del quale i progetti di più opere, seppure distinte ed autonome, che dovessero risultare però collegate da un vincolo di strumentalità e funzionalità che possa rivelarne la natura di opera complessiva con significativo impatto sull’ambiente, sono da assoggettare a procedura di VIA, anche se ciascuna di esse, singolarmente considerata, non sia da sottoporre alla detta procedura. Orbene, la perplessità dei giudici amministrativi si incentra sul fatto che invece la norma italiana (l’art. 1 del DPR 12 aprile 1996) non avrebbe previsto, tra i criteri per sottoporre a VIA i progetti dell’Allegato II, quello del cumulo del progetto con altri progetti, in tal n. 1-2/2007 modo lasciando sospettare che la norma non recepisca puntualmente il dettato comunitario. Il Consiglio di Stato, nel chiedere l’intervento interpretativo della Corte di Giustizia su questo punto, però sembra ritenere corretta la tesi, in caso di Progetti cumulabili, orientata alla sottoposizione ad un’unica procedura di valutazione di impatto ambientale, vale a dire per un unico giudizio dell’impatto complessivo sull‘ambiente che risulta dalla somma degli impatti singoli di ciascuno di detti progetti. Ma lascia la parola finale al giudice comunitario, dal quale si attendono elementi chiarificatori in grado di eliminare contrasti giurisprudenziali e perciò ingiustificate disparità di trattamento. ERRORE PROGETTUALE E CONTENZIOSO Ritardo nell’esecuzione e contenzioso, principali patologie negli appalti dei lavori pubblici di Donato Carlea nalizzando l’evoluzione normativa avvenuta in questi anni nel settore delle Opere Pubbliche si rimane stupiti dalla celerità e dai numerosi adeguamenti che la relativa normativa ha subito. Si pensi che nell’arco di pochi anni la legge quadro sui lavori pubblici (cd. Legge “Merloni”) emanata nel 1994 ha subito diverse revisioni: in ordine si è avuta la legge 216/96 (cd. “Merloni bis”), la legge 415/98 (cd. “Merloni ter”) e da ultimo la legge 166/2001 (cd. “Merloni quater“). L’evoluzione normativa ha segnato una ulteriore importantissima tappa con l’approvazione del nuovo Codice degli Appalti Pubblici tramite il quale l’Italia ha recepito nel proprio ordinamento le Direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE denominate “Direttive Unificate” giacché riconducono alla medesima norma i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. A Autorità di vigilanza: il monitoraggio del sistema appalti Come noto tra i compiti dell’Autorità di vigilanza vi è anche quello di monitorare il settore degli appalti di lavori cercando di estrapolare tendenze, anomalie, distorsioni che interessano il sistema, proponendo quindi, al Parlamento, gli interventi correttivi da apportare all’impianto normativo per eliminare od almeno ridurre tali affezioni. Questo compito viene assolto tramite la presentazione di una relazione annuale ai due rami del Parlamento, all’interno della quale sono illustrate interessanti analisi sui vari aspetti dell’appalto pubblico. Le patologie dell’appalto di lavori pubblici: il ritardo nell’esecuzione ed il contenzioso Le analisi condotte dall’Autorità hanno posto in rilievo che le principali patologie di cui soffrono oggi gli appalti di lavori pubblici sono, principalmente, il ritardo nell’esecuzione delle opere ed il contenzioso. Si tratta di fenomeni di estrema gravità in quanto entrambi determinano un forte danno economico alla collettività. 112 Se infatti risulta immediato che il fenomeno delle riserve determina un aggravio economico per i maggiori costi che ne scaturiscono, spesso non si riflette in modo adeguato sul fatto che il ritardo nell’esecuzione delle opere provoca una mancata messa in esercizio dell’opera o dell’impianto ed un conseguente danno per i cittadini. Il procedimento amministrativo dell’opera pubblica: la teoria e la pratica Se si rappresentasse il procedimento amministrativo dell’opera pubblica su una retta, avendo cura di descriverlo in tutte le sue le fasi, sarebbe obbligatorio per correttezza di analisi, disegnare due procedimenti. Un procedimento avrebbe carattere puramente teorico, ovvero descriverebbe tutte le fasi così come pianificate dalla Stazione Appaltante, mentre la seconda rappresentazione sarebbe di carattere pratico, ovvero darebbe la descrizione di come generalmente le cose evolvono nella pratica corrente. L’obbligo di distinguere le due rappresentazioni scaturisce proprio dalla differente evoluzione che il procedimento ha nella pratica rispetto alla teoria, in particolare la realizzazione delle opere spesso non avviene nei termini temporali imposti dalla Stazione Appaltante ma si allunga considerevolmente, tendendo, per fortuna solamente in pochi casi, all’infinito, ovvero le opere rimangono sospese senza giungere alla conclusione. n. 1-2/2007 La genesi delle patologie: errore o carenza progettuale L’esperienza comune unitamente ad una attenta analisi dei dati porta ad individuare l’origine delle anomalie che caratterizzano il settore delle opere pubbliche nell’attività di progettazione. Spesso infatti le riserve avanzate dalle imprese, come anche la dilatazione dei tempi di esecuzione, sono generate dalla necessità di provvedere in corso d’opera alla risoluzione di problemi che una progettazione carente o addirittura errata non ha preso in considerazione. Una soluzione dirompente: le imprese come soggetti validatori del progetto L’istituto della validazione del progetto, introdotto dalla legge 109/94 per eliminare l’errore progettuale rappresenta uno strumento interessante che, con alcune modifiche, potrebbe costituire la classica chiave di volta per la risoluzione del problema. È noto a tutti che l’attività di validazione del progetto (ex art. 30 della Legge “Merloni”) viene generalmente fatta dai tecnici della Stazione Appaltante, per le soglie di importo consentite ovvero inferiori a 20 milioni di €, in contraddittorio con i progettisti, mentre all’Impresa esecutrice, che interviene solamente dopo che il progetto è stato validato non resta altro che prendere atto del prodotto finito. Per determinati limiti di importo (superiori a 20 milioni di €) l’attività di validazione viene effettuata da organismi “terzi” accreditati secondo le norme UNI CEI EN 45004. Non è certo un segreto, per chi si occupa di opere pubbliche, che l’attività di validazione così come oggi viene effettuata non garantisce livelli di qualità elevati, prova ne sia l’elevato numero di contenziosi che continuano ad insorgere tra Amministrazione ed Imprese. Analizzando il mercato della “validazione” si può osservare che alcune Società sono arrivate a praticare sconti del 70-80%, conseguentemente, dovendosi rigorosamente garantire una percentuale di guadagno, sicuramente esse hanno dedicato poche risorse a tale attività. Ad una superficiale attività di validazione, fa da contraltare una attenta valutazione degli elaborati progettuali in fase di esecuzione, dove l’esperienza pratica assume un ruolo fondamentale ed emergono criticità e problemi, gli stessi che saranno poi alla base del contenzioso e dell’allungamento dei tempi di esecuzione. La proposta risolutiva potrebbe essere quella di trasferire l’attività di validazione del progetto in capo alle Imprese che concorrono all’appalto, sollecitando così una partecipazione fortemente interessata da parte delle stesse. Tale soluzione eliminerebbe di fatto il ricorso al contenzioso per errore progettuale, giacché l’Impresa risulterebbe vincolata, in modo irreversibile, dalla validazione che essa stessa ha fatto degli elaborati progettuali. È chiaro che per adire questa strada è necessario stabilire tempi più estesi rispetto a quelli attualmente dettati dalla legge per la procedura di gara, all’interno della quale dovrebbe essere ricompresa anche la validazione del progetto posto a base di gara. La dilatazione dei tempi previsti per la procedura di gara, che a prima vista sembrerebbe aggravare il fenomeno dell’allungamento dei tempi procedimentali, in realtà darebbe luogo ad un meccanismo “virtuoso” che comporta la riduzione del periodo complessivo dell’appalto, infatti una volta che l’Impresa ha validato il progetto, non può più elevare eccezioni o contestare, alcune volte in modo davvero pretestuoso, il progetto da eseguire. La validazione del progetto in capo alle Imprese finirebbe per Competenze e Professione produrre conseguenze positive anche sul mercato della progettazione, obbligando i soggetti esecutori ad affinare il livello di progettazione, incentivando così anche in questo settore dei servizi una sana libera concorrenza. L’attività di validazione del progetto in capo alle Imprese, nella nuova concezione non dovrebbe essere limitata solamente alle verifiche di tipo tecnico costruttivo, oppure realizzativo dell’opera, ma dovrebbe comprendere anche tutte quelle verifiche di tipo amministrativo che caratterizzano l’esecuzione di un’opera, più espressamente, dovrebbero accertare la presenza di tutte le autorizzazioni e nullaosta previsti dalle norme (Piano degli Espropri eseguito, AUSL, WFF, Autorizzazioni di tipo ambientale, Conformità Urbanistica, ecc). Per concludere l’analisi delle conseguenze positive generate nell’ipotesi di trasferire l’attività di validazione dei progetti presso le Imprese concorrenti all’appalto, è interessante notare come la stessa Pubblica Amministrazione, sarebbe obbligata ad organizzare in modo più razionale la propria attività. Molto spesso le Amministrazioni richiedono ai Professionisti, interni od esterni che siano, di elaborare progettazioni in tempi strettissimi, solamente per avere la possibilità di approvare il medesimo progetto entro una certa data ed evitare così di perdere il relativo finanziamento. In questi casi è il Professionista che si trova a “pagare il prezzo” dei ritardi dovuti ad un’organizzazione degli Uffici Pubblici che dovrebbe essere rivista, aggiornata e magari potenziata con meccanismi di controllo dell’avanzamento del procedimento più efficienti. La validazione del progetto da parte delle Imprese potrebbe infine contribuire in modo tangibile anche alla risoluzione di ulteriori patologie storiche di natura economica che affliggono l’appalto pubblico, quali l’eccesso di ribasso in fase di gara, riportando sul piano economico corretto la stima dell’offerta da presentare. Sotto l’aspetto economico una validazione positiva del progetto potrebbe anche recare la possibilità di ridurre le soglie previste per le fideiussioni bancarie, dando quindi un certo sollievo economico alle Aziende e garantendo nel contempo un elevato livello di qualità del progetto. Conclusioni La validazione del progetto come attività prevista in capo alle imprese, ribattezzata oggi con il termine anglosassone endorsement potrebbe essere la via giusta, se non proprio l’unica, per eliminare una delle patologie che affliggono storicamente l’appalto pubblico, quella dovuta alla carenza progettuale o errore progettuale che, occorre ammetterlo, spesso non è solo una scusante, ma c’è per davvero. La strada di fare coincidere interessi che appaiono così lontani come quelli propri della Stazione Appaltante e quelli dell’Impresa appare, anche alla luce dell’esperienza, una soluzione assolutamente innovativa e foriera di numerose conseguenze positive. La convergenza degli interessi porterebbe come inevitabile conseguenza quella di unire gli sforzi in vista di un obiettivo comune, limitando così non solo le riserve “amministrative” del procedimento, ma anche quelle “mentali” di alcune imprese che mirano ad aggiudicarsi un appalto, avendo preventivamente già individuato i punti deboli del progetto sui quali “fare riserva” e consentire così che siano solo le imprese vere quelle che concorrono alla gara per l’appalto e procedano all’esecuzione dell’opera. «Ponte» 113 Competenze e Professione n. 1-2/2007 AFFIDAMENTO SERVIZI DI INGEGNERIA ED ARCHITETTURA Determinazione Aut.Vig. Contr. Pubbl. 29 marzo 2007, n. 4 ndicazioni sull’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura a seguito dell’entrata in vigore del D. Leg.vo 12 aprile 2006, n. 163 e della legge 4 agosto 2006, n. 248. (G.U. 1L4.2007, n;,84) I Considerato in fatto A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 248/2006, di conversione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, sono pervenuti all’Autorità numerosi quesiti da parte delle Associazioni di Categoria, Ordini ed Albi Professionali e stazioni appaltanti circa il regime dei compensi professionali per l’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura. Data la rilevanza delle questioni prospettate, l’Autorità ha proceduto ad effettuare apposite audizioni con i rappresentanti degli Ordini Professionali, dell’Organizzazione delle Società di Ingegneria e con i rappresentanti delle stazioni appaltanti e del Ministero della Giustizia. In particolare, alcuni Ordini Professionali hanno rilevato l’inapplicabilità della abolizione dei minimi inderogabili delle tariffe professionali, disposta dall’articolo 2, della legge n. 248/2006, agli appalti rientranti nell’ambito applicativo del D. Leg.vo 163/2006 (d’ora innanzi «Codice»). Le stazioni appaltanti hanno rappresentato difficoltà applicative in relazione alle modalità di valutazione delle offerte anomale e chiesto chiarimenti circa la possibilità di continuare ad applicare agli affidamenti in questione il comma \2-bis, dell’articolo 4, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 1989, n. 155, che consente di ribassare i corrispettivi minimi fino al 20%. Inoltre, hanno segnalato gli elevati ribassi registrati nelle prime gare effettuate applicando la suindicata nuova normativa. Ritenuto in diritto In data 4 luglio 2006 è stato pubblicato il decreto legge 223/2006 che, all’articolo 2, comma 1, ha disposto che «... sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; ...». In sede di conversione del suddetto decreto, da parte della legge 4 agosto 2006, n. 248, la disposizione è stata così modificata alla lettera a): «l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero ...». Inoltre, è stata aggiunta al comma 2 del medesimo articolo 1, la seguente disposizione: «nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali». L’articolo 92, comma 2, ultimo periodo del Codice, entrato in vigore il 1° luglio 2006, dispone che: «I corrispettivi 114 sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo». Disposizioni analoghe sono contenute nell’articolo 92, comma 4, nell’ultimo periodo del comma 3, dell’articolo 53, del Codice stesso. Appare evidente come le disposizioni sopra citate disciplinano in modo configgente il regime dei corrispettivi per le attività libero professionali ed intellettuali. Tuttavia, poiché le due fonti normative citate sono di pari grado, ma emanate in momenti diversi, detta antinomia deve essere risolta ricorrendo al criterio cronologico previsto dall’articolo 15, delle disposizioni preliminari del Codice Civile, dalla cui applicazione deriva che l’articolo 2, del D.L. 223/2006, convertito nella legge 248/2006, emanato successivamente, prevale sulle norme contenute nel D. Leg.vo 163/2006 per sopravvenuta regolamentazione della materia già disciplinata da fonte anteriore (si veda una prima conferma, se pure indiretta, nella giurisprudenza in TAR Marche, 19.7.2006, n. 632). Né si può sostenere che le disposizioni citate del D. Leg.vo 163/2006 costituiscano norma speciale rispetto all’articolo 2, della legge 248/2006. Dal punto di vista oggettivo, infatti, le «attività libero professionali e intellettuali» cui si riferisce il decreto Bersani, sono tutte le attività professionali o servizi professionali, compresi i servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, nonché le attività tecnico-amministrative connesse; tale interpretazione è confermata dal diritto comunitario, i cui principi sono richiamati nella disposizione in esame, ed in particolare dall’articolo 50, del Trattato che precisa che i servizi comprendono, tra l’altro, le attività di libera professione. Inoltre, l’affidamento di tali servizi da parte delle amministrazioni aggiudicatrici è disciplinato dalle direttive comunitarie di settore. Peraltro, a favore di tale interpretazione depone anche il comma 2, dell’articolo 2, della legge 248/2006, che fa esplicito riferimento alle procedure ad evidenza pubblica. Né può condurre a conclusioni diverse il divieto di abrogazione implicita contenuto nell’articolo 255, comma 1, del Codice: sia la dottrina che la giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. sentenza 13 gennaio 1972, n. 4) hanno precisato che il fatto stesso che tali clausole «di resistenza» siano disposte da fonti subordinate alla Costituzione porta ad escludere che le norme cui si riferiscono possano resistere agli effetti abrogativi determinati da leggi incompatibili. Nessuna fonte subcostituzionale può infatti attribuirsi potenzialità normative maggiori a quelle peculiari del tipo a cui appartiene. Pertanto, in considerazione delle innovazioni legislative sopra richiamate, sono da considerare implicitamente abrogati l’ultimo periodo del comma 2, dell’art. 92, il comma 4, dell’art. 92, del Codice (i corrispettivi determinati ai sensi n. 1-2/2007 del decreto del Ministero della Giustizia 4.4.2001 sono minimi inderogabili) e l’ultimo periodo del comma 3, dell’art. 53 (le spese di progettazione esecutiva sono minimi inderogabili). Attualmente, l’applicazione di tale ultima disposizione è sospesa fino al 1° agosto 2007, per effetto del D. Leg.vo 26 gennaio 2007, n. 6. Tuttavia, può considerarsi implicitamente abrogata la identica disposizione, applicabile fino al 1° agosto 2007, contenuta nell’articolo 19, comma I-ter, della legge 109/94. Per quanto riguarda il D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, le disposizioni di cui all’art. 62, e quelle di cui all’art. 210, che prevedono rispettivamente che «la quota del corrispettivo complessivo riferita alla progettazione è determinata sulla base delle percentuali ed aliquote di prestazioni parziali previste dalle vigenti tariffe professionali ...» e che «i compensi spettanti ai collaudatori non appartenenti all’organico della stazione appaltante per l’effettuazione del collaudo e della revisione degli atti contabili, si determinano applicando le tariffe professionali degli ingegneri ed architetti.» si devono intendere nel senso che gli importi così determinati non sono più da considerare come minimi inderogabili. Stante, quindi, l’asserita applicabilità dell’articolo 2, della legge 248/2006, anche al settore degli affidamenti di servizi di ingegneria e di architettura disciplinati dal Codice, si ritiene opportuno affrontare le problematiche applicative derivanti dall’abrogazione dei minimi tariffari. Innanzitutto, va precisato che la questione qui trattata non riguarda gli incarichi di progettazione interna all’amministrazione, in quanto i dipendenti non percepiscono un compenso professionale per le attività richieste dall’amministrazione stessa, ma un mero compenso incentivante. Quindi le previsioni del codice dei contratti (art. 92, comma 5) in merito alla percentuale da destinare ai dipendenti interni all’amministrazione per le attività di progettazione, direzione lavori e collaudo rimangono in vigore. Per quanto riguarda, poi, l’importo stimato da porre a base di gara, si deve anzitutto ribadire quanto già affermato nella determinazione di questa Autorità 19 gennaio 2006, n. 1, circa la necessità che le stazioni appaltanti indichino nelle procedure di conferimento degli incarichi gli elementi essenziali della prestazione ed in particolare l’importo stimato, dovendosi ritenere insufficiente il semplice richiamo all’applicazione delle tariffe professionali da effettuarsi ex post, ancor più alla luce dell’abrogazione dei minimi tariffari. Si deve, poi, tenere presente che prima dell’entrata in vigore della legge 248/2006, in presenza di tariffe minime stabilite per legge, le gare per gli affidamenti prevedevano il ribasso soltanto sulle spese per l’espletamento dell’incarico. Con l’abolizione dei minimi tariffari, il ribasso riguarda ora l’intero importo della prestazione (onorario più le spese). Per quanto riguarda le modalità di definizione dell’importo stimato dell’appalto, l’articolo 2, comma 2, della legge 248/2006, indica quale criterio per individuare l’importo da porre a base di gara le vigenti tariffe «ove motivatamente ritenute adeguate». Al riguardo si deve richiamare il principio di adeguatezza previsto dal secondo comma, dell’articolo 2233, del Codice Civile, che stabilisce che «in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione». Ciò significa che per gli affidamenti di servizi di architettura ed ingegneria, le Competenze e Professione stazioni appaltanti possono legittimamente determinare il corrispettivo a base d’asta applicando il D.M. 4 aprile 2001, che è richiamato dall’articolo 253, comma 17, del Codice e la cui validità è stata confermata dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 352 del 2006. In relazione alla questione dell’applicabilità del comma 12-bis, dell’articolo 4, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 1989, n. 155 - disposizione citata espressamente dall’articolo 92, comma 4, del Codice - si ritiene che la riduzione del 20% disposta dalla norma in questione non abbia più rilevanza alcuna in relazione al fatto che l’importo effettivo verrà stabilito dal mercato (in sede di gara). Sono state, poi, segnalate ulteriori problematiche connesse alla liberalizzazione delle tariffe e segnatamente, gli elevati ribassi e la valutazione delle offerte anomale. Si deve premettere che le stazioni appaltanti possono affidare i servizi di ingegneria ed architettura sia con il criterio del prezzo più basso che con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, anche se tale ultimo criterio appare più indicato in relazione alla specificità ed alla complessità dei servizi in questione, la cui natura richiede spesso la valutazione di aspetti qualitativi ed innovativi. Negli affidamenti con il criterio del prezzo più basso, che ad oggi è pienamente utilizzabile stante la abolizione dei minimi tariffari, si rammenta che, per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, è possibile, ai sensi dell’articolo 124, comma 8, del Codice, procedere all’esclusione automatica delle offerte anomale individuate secondo il criterio previsto nell’articolo 86, comma 1, del Codice. Per gli affidamenti di importo superiore alla soglia comunitaria si deve invece sempre applicare la procedura di valutazione delle offerte anomale prevista dagli articoli 86-88, del Codice. In caso di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, si applica per i contratti di qualsiasi importo, l’articolo 86, comma 2, sulla valutazione della congruità delle offerte. Sempre in relazione a tale criterio di aggiudicazione, al fine di evitare le problematiche rilevate in fase di scelta dell’esecutore della prestazione professionale, si suggerisce alle stazioni appaltanti di utilizzare i fattori ponderali indicati dal comma 3, dell’art. 64, del D.P.R. 554/99, anche per gli appalti soprasoglia, ove possibile. Si ritiene, infine, utile fornire alcune indicazioni circa gli aspetti procedurali delle gare per i servizi di architettura ed ingegneria, a seguito dell’entrata in vigore del Codice. Per i servizi tecnici di importo inferiore ad € 100.000, l’articolo 91, comma 2, del Codice dispone che detti incarichi possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, ad operatori economici in possesso di specifiche qualificazioni economiche finanziarie e tecnico organizzative uguali a quelle previste per l’affidamento di contratti di pari importo mediante le procedure aperta, ristretta o negoziata con bando, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza e secondo la procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara (articolo 57, comma 6, del Codice) previa selezione di almeno cinque operatori economici da consultare se sussistono in tale numero soggetti idonei; l’affidamento all’operatore economico che ha offerto le 115 Competenze e Professione condizioni più vantaggiose, determinate sulla base del criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Al riguardo si rinvia alle indicazioni formulate da questa Autorità con la citata determinazione 19 gennaio 2006, n. 1. Per completezza del tema in esame, si pone, infine, la rilevante questione dell’applicabilità agli incarichi di progettazione dell’art 125, del D. Leg.vo 163/2006, recante la disciplina di lavori, servizi e forniture «in economia», e in particolare della parte finale del comma 11, che per servizi (e forniture) di importo inferiore a ventimila euro, consente, l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento. In merito a ciò, in linea generale, si osserva che difficilmente i servizi tecnici in | materia di lavori pubblici possano essere ricompresi tout court tra i servizi in economia, sia perché l’affidamento dei servizi tecnici è sottoposto a specifica ed autonoma disciplina, dove le regole si diversificano a seconda che l’importo stimato del compenso superi o meno la soglia di € 100.000, sia perché l’acquisizione in economia deve essere preceduta dall’assunzione di specifico provvedimento interno da parte di ciascuna stazione appaltante con cui essa individui i singoli servizi da acquisire con lo speciale metodo dell’economia, con riguardo alle proprie specifiche esigenze e in relazione all’oggetto ovvero in riferimento coerente alle categorie indicate dal comma 10, del detto art. 125. Fermi restando tali limiti, dal combinato disposto degli articoli 91, comma 2, e 125, comma 11, del Codice, non si può tuttavia escludere che una stazione appaltante, in relazione alle proprie specifiche esigenze ed attività, possa ricomprendere nel regolamento interno per la disciplina della propria attività contrattuale, anche l’affidamento in economia dei servizi tecnici e, pertanto, per le prestazioni di importo inferiore a € 20.000, in base all’articolo 125, comma 11, del Codice, procedere alla scelta del tecnico mediante affidamento diretto. In tal caso il ribasso sull’importo della presta- 116 n. 1-2/ 2007 zione, stimato ai sensi del citato decreto del Ministro della Giustizia del 4 aprile 2001, viene negoziato fra responsabile del procedimento e l’operatore economico cui si intende affidare la commessa. In base a quanto sopra considerato il Consiglio È dell’avviso che l’abrogazione dell’obbligatorietà dei minimi tariffari disposta dall’articolo 2, della legge 248/2006, si applica anche agli affidamenti di servizi di ingegneria ed architettura disciplinati dal D. Leg.vo 163/2006; Ritiene che siano da considerarsi implicitamente abrogate le seguenti disposizioni del decreto legislativo 163/2006: l’ultimo periodo del comma 2, dell’art. 92, il comma 4, dell’art. 92 e l’ultimo periodo del comma 3, dell’art. 53; e) Ritiene che le stazioni appaltanti possono legittimamente determinare il corrispettivo a base d’asta utilizzando il D.M. 4 aprile 2001, attualmente in vigore; È dell’avviso che non ha rilievo la norma richiamata dal comma 12-bis, dell’articolo 4, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 1989, n. 155; Ritiene che i servizi tecnici di importo stimato inferiore a € 100.000 possano essere affidati dalle stazioni appaltanti ai sensi dell’articolo 91, comma 2, del Codice, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza e secondo la procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara, previa selezione di almeno cinque operatori economici da consultare se sussistono in tale numero soggetti idonei; al riguardo si rinvia anche alle indicazioni formulate da questa Autorità con la determinazione 19 gennaio 2006, n. 1; f) Ritiene che per i servizi tecnici di importo inferiore a € 20.000 le stazioni appaltanti possono procedere mediante affidamento diretto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 91, comma 2 e 125, comma 11, del Codice, previa indicazione dei servizi tecnici nel regolamento interno per la disciplina dell’attività contrattuale in economia. «Bollettino di legislazione tecnica» Competenze e Professione n. 1-2/2007 AZIONE DI INGIUSTIFICATO ARRICCHIMENTO Sentenza Tribunale di R. del 14 maggio 2007 Repubblica Italiana In nome del popolo italiano Tribunale di R. Il Tribunale di R. in composizione monocratica, in persona del Giudice Unico dott. M.S., ha pronunciato la seguente: Sentenza nella causa civile iscritta al n. 161 R.G.A.C. dell’anno 2000, avente ad oggetto: azione di ingiustificato arricchimento, vertente tra M.N., elettivamente domiciliato in R., presso lo studio dell’avv. A. M., dal quale è rappresentato e difeso come da procura a margine dell‘atto di citazione; Attore E Comune di R., in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in R., presso lo studio dell’avv. G.G., dal quale è rappresentato e difeso come da procura a margine della comparsa di costituzione; Convenuto Conclusioni Come da verbale di udienza del 30.1.2007 Svolgimento del Processo Con atto di citazione, ritualmente notificato in data 10.2.2000, il geometra M.N. conveniva, dinanzi a questo Tribunale, il Comune di R. esponendo che: con delibera della Giunta municipale del medesimo Comune dell’8.8.1986 gli veniva conferito, unitamente ad altri professionisti, l’incarico per la redazione di “piani di recupero nuclei abusivi” delle località P. M., F., Z., P., F. T. e N.; in esecuzione di detta delibera, effettuava il rilievo plano-altimetrico di 437 fabbricati con annesse strade pubbliche e private esistenti nel territorio ad esso assegnato; in data 4.9.1989 consegnava all’ente i rilievi, costituiti da 13 tavole; nel gennaio 1990 otteneva un anticipo di liquidazione di Lire 6 milioni; peraltro, vana si rivelava la richiesta di pagamento del saldo del compenso, dà esso inoltrata al Comune unitamente alla specifica delle competenze professionali vistata dal Consiglio Provinciale dei geometri; gli elaborati grafici da esso redatti venivano utilizzati dall‘ente nella redazione del programma pluriennale di attuazione, approvato con delibere del Consiglio comunale del 4.11.1992 e dell’1.10.1993, del piano regolatore generale, redatto dal Prof. I., approvato in data 31.10.1994, nonché nella successiva formulazione del P.R.G. approvata il 4.11.1997; con atto di citazione, notificato nei confronti del Comune di R. in data 22.7.1993, adiva l’intestato Tribunale al fine di conseguire la condanna dell’ente convenuto al pagamento del compenso ad esso spettante per la prestazione resa; peraltro, ritenuta la carenza di un valido contratto scritto, il Tribunale rigettava la domanda e la statuizione di rigetto veniva poi confermata dalla Corte di Appello di C.; sussistevano i presupposti per l’esercizio dell’azione ex art. 2041 cc.in quanto il Comune si era avvalso del lavoro da esso svolto; le somme ad esso spettanti, per la quantificazione delle quali poteva farsi riferimento alla parcella vistata dal Consiglio dell’Ordine, dovevano essere maggiorate della rivalutazione monetaria tenuto anche conto della mala fede del Comune che nonostante le reiterate richieste non aveva provveduto al pagamento delle competenze professionali cui aveva diritto. In forza di tali premesse, concludeva perché, accertato l‘espletamento da parte sua dell’attività professionale innanzi descritta, l’ente convenuto fosse condannato a pagare, in suo favore, il corrispettivo della prestazione resa, come indicato nella parcella in atti, ovvero quella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia oltre rivalutazione ed interessi, nonché di un’ulteriore somma a titolo di risarcimento dei danni da esso subiti a causa della cattiva condotta contrattuale della controparte. Costituitosi in giudizio con comparsa depositata in data 27.4.2000, il Comune di R. deduceva che: difettavano i presupposti per l’accoglimento della domanda ex art. 2041 cc.in quanto in alcuno dei documenti richiamati dall’istante (programma pluriennale di attuazione del 4.11.1992 - 1.10.1993, P.R.G. del 31.10.1994, P.R.G. del 4.11.1997) vi era traccia di elaborati a firma dello stesso; di conseguenza, non vi era la prova che l’amministrazione comunale avesse, sia pure implicitamente, riconosciuto l’utilità dell’altrui opera professionale; in ogni caso, la parcella vistata dal competente ordine professionale non poteva valere a quantificare l’indennizzo preteso dall’attore, atteso che la stessa teneva conto di un conferimento di incarico che non era mai stato rilasciato, come del resto accertato dalle sentenze rese dal Tribunale di R. e dalla Corte di Appello di C. all’esito del primo giudizio instaurato dall’attore. Concludeva, quindi, per il rigetto dell’avversa domanda. La causa veniva istruita mediante l’espletamento della prova testimoniale articolata dall’attore, nonché l’audizione di un ulteriore teste, la cui escussione veniva ordinata dal Giudice, ai sensi dell’art. 281 ter c.p.c. Quindi, con ordinanza resa in data 1.4.2006, questo Giudice disponeva l’acquisizione, agli atti del giudizio, del fascicolo d’ufficio relativo al procedimento n. 1162/98 R.G., instaurato dal M.N. con atto di citazione notificato nei confronti del Comune di R. in data 22.7.1993. Espletato tale incombente, precisate dinanzi a questo Giudice le conclusioni, la causa, all’udienza del 30.1.2007, veniva trattenuta in decisione, con la concessione dei termini di legge per il deposito degli scritti difensivi finali. Motivi della Decisione Preliminarmente il Tribunale rileva che l’azione in esame è ammissibile. In proposito giova, in punto di diritto, premettere che, per costante giurisprudenza della S.C., l’art. 23 del D.L. 3.3.1989 n. 66, convertito con Legge 29.4.1989 n. 144, prescrive al comma 3 per le province, i comuni e le comunità montane che “qualsiasi spesa è consentita esclusivamente se sussistano la deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge e divenuta o dichiarata esecutiva, nonché l’impegno contabile registrato dal ragioniere o dal segretario, ove non esista il ragioniere, sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati “, mentre il successivo comma 4 con una disposizione fortemente innovativa prevede che, in caso di acquisizione di beni e servizi 117 Competenze e Professione avvenuta in violazione dei detti obblighi, il rapporto obbligatorio intercorre “ai fini della controprestazione e per ogni effetto di legge tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura”. Tale disposizione è stata abrogata dall’art. 123 comma 1 lett. n) del D.Lgs. 25.21995 n. 77 in quanto riprodotta in termini sostanzialmente uniformi nell’art. 35 dello stesso D.Lgs., sicché non sussiste alcuna soluzione di continuità nella disciplina. In tale contesto deve riconoscersi che sia venuto meno, nell’ambito di tali enti e relativamente agli atti di acquisizione di beni e servizi, il rapporto di immedesimazione organica fra l’amministratore od il funzionario, da una parte, e la Pubblica Amministrazione, dall’altra, con la conseguente imputabilità del rapporto obbligatorio contrattuale direttamente alla persona fisica dell’amministratore o del funzionario. In altri termini al precedente regime in cui, nell’ipotesi di nullità del negozio per effetto della violazione delle norme che ne regolano la sua formazione, era consentito esperire contro la P.A. l’azione di arricchimento senza causa, oltre eventualmente a quella di responsabilità precontrattuale nei congrui casi (Cass. 12399/92; Cass. 2965/91; Cass. 4640/85), sia è sostituita, relativamente alle province, ai comuni ed alle comunità montane la nuova disciplina che conserva la validità del contratto, limitandola però, attraverso una sorta di novazione soggettiva dell’originario rapporto, fra il privato e l’amministratore od il funzionario che abbia consentito la fornitura. Infatti proprio la presenza di un soggetto ritenuto per espressa previsione di legge contrattualmente responsabile rende piuttosto problematico l’esercizio contro altro soggetto (la P.A.) dell’azione di indebito arricchimento, per sua natura sussidiaria. Si è, peraltro, precisato che, non potendosi, in difetto di espressa previsione normativa, affermare la retroattività del citato d.l. n. 66, deve ritenersi l’esperibilità dell’azione di indebito arricchimento per tutte le prestazioni ed i servizi resi alla p.a. anteriormente all’entrata in vigore di tale normativa, non difettando il requisito della sussidiarietà per il fatto che il privato può agire direttamente contro chi abbia invalidamente commissionato le opere o i servizi, atteso che la responsabilità diretta di funzionari e dipendenti pubblici è posta dall’art. 28 cost. su di un piano alternativo e paritetico (cfr. Cass. civ. sent. n. 12208/03). Ciò posto il Tribunale rileva che il richiamato art. 23 d.l. n. 66 del 1989 non possa trovare applicazione, nel caso di specie, con riferimento all’azione proposta dall’attore, atteso che, come sopra evidenziato, la suddetta norma, entrata in vigore in data 2.3.1989 (cfr. in tal senso l’art. 32 del d.l. n. 66), non opera con riguardo a prestazioni professionali eseguite in epoca anteriore. D’altro canto, alcun dubbio residua in merito al fatto che l’attività espletata dal M.N. si collochi in un arco temporale precedente al 2.3.1989. In tal senso depone, infatti, in primo luogo, il rilievo per cui la delibera del Consiglio comunale, con la quale all’odierno istante veniva conferito l’incarico posto a base della domanda, risale all‘8.8.1986. Oltre a ciò deve evidenziarsi che, come si desume dalla corrispondenza intercorsa tra le parti, il M.N. depositava, presso il Comune di R., gli elaborati tecnici, redatti nell’esecuzione della predetta delibera consiliare, in data 4.9.1989, per cui, considerata anche la complessità dell’opera eseguita, può ragionevolmente affermarsi che la stessa sia 118 n. 1-2/2007 stata resa anteriormente all’entrata in vigore del d.l. n. 66/89. Tanto premesso e venendo al merito giova, anzitutto, osservare che l’azione di indebito arricchimento, nei confronti della p.a., differisce da quella ordinaria in quanto non è sufficiente il fatto materiale dell’esecuzione di un’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, che deve essere provato dall’attore, ma è necessario che l’ente abbia riconosciuto tale utilità o in maniera esplicita o in modo implicito. Tale giudizio sull’utilità è riservato esclusivamente alla p.a. e non può essere effettuata dal G.O., il quale può solo accertare se ed in che misura l’opera o la prestazione siano state effettivamente utilizzate. Concretandosi il riconoscimento dell’utilità in una manifestazione di giudizio e non di volontà, quello esplicito non può essere adottato se non dagli organi deliberativi dell’ente, che, nel caso del Comune, sono il Consiglio e la Giunta; quello implicito può, invece, promanare tanto, come è naturale, dagli stessi organi deliberativi abilitati ad emanare il riconoscimento esplicito, quanto dagli organi rappresentativi dell’ente e, pertanto, dal Sindaco che agisca in tale qualità, ossia nella veste, che gli compete, di legale rappresentante del Comune. Peraltro, per aversi riconoscimento implicito sono indispensabili, in ogni caso, formali atti deliberativi o comportamenti posti in essere da organi rappresentativi, dai quali possa inequivocamente desumersi un effettivo giudizio positivo circa il vantaggio o l’utilità dell’opera o della prestazione seguita dal privato. Invero, il riconoscimento dell’utilità dell’opera o della prestazione eseguita dal terzo, che costituisce requisito per l’accoglimento dell’azione d’ingiustificato arricchimento nei confronti della Pubblica Amministrazione, sostituendo il requisito dell’arricchimento previsto dall’art. 2041 cc. nei rapporti interprivati, può anche risultare in modo implicito da atti o comportamenti della stessa Pubblica Amministrazione dai quali si possa desumere inequivocabilmente un effettuato giudizio positivo circa il vantaggio o l’utilità della prestazione, quindi anche in qualsiasi forma d’utilizzazione della prestazione consapevolmente attuata dalla Pubblica Amministrazione, sempre che la manifestazione di volontà sia giuridicamente rilevante, id est provenga dagli organi istituzionalmente rappresentativi (cfr. Cass. civ. sent. n. 715/94, 8070/99, 9348/02, 3811/04). Ciò premesso, osserva il Giudicante che, nella specie, sussistano i presupposti per ritenere integrati i presupposti dell’indebito arricchimento, da parte del Comune di R., in relazione alla prestazione espletata, in favore del medesimo, dal geometra M.N.. Ed invero, l’effettiva esecuzione, da parte di quest’ultimo, delle attività professionali poste a base, della domanda può ritenersi sufficientemente provata. In tal senso depone, in primo luogo, il tenore della delibera del Consiglio Comunale dell’8.8.1986, sopra richiamata, con la quale all’odierno istante veniva conferito, unitamente ad altri professionisti, l’incarico concernente “.. la progettazione dei piani di recupero dei nuclei abusivi dei seguenti comparti ... comparto 1 e 2 - P.M., F. F., S. P. - fermata T. e N. ... Incaricati: ing. Z. G. - geometra M.N. (cfr. copia delibera agli atti). In senso conforme agli assunti attori depongono, inoltre, gli elaborati grafici versati in atti dall’istante, nei quali risulta condensata l’attività dal medesimo espletata in esecuzione della richiamata delibera. n. 1-2/2007 Infine, occorre avere riguardo al tenore di due missive inviate dal Comune di R. all’odierno attore, dalle quali si desume, ancorché implicitamente, l’avvenuto espletamento dell’attività da parte dello stesso. In particolare, si intende fare riferimento alla lettera del 9.11.1988, con la quale il Dirigente del settore Urbanistica dell’Ente convenuto convocava il M.N. per una riunione, da tenersi presso l’ufficio tecnico, concernente il progetto relativo ai “piani di recupero nuclei abusivi”, nonché la missiva, datata 22.7.1989, nella quale il Sindaco del Comune di R. si rivolgeva al M.N. nei seguenti inequivoci., termini “ ... in riferimento agli accordi intercorsi nell’incontro avuto nella sede municipale il 21 c.m., la S.V. è invitata a presentare, nei termini di giorni 30 dalla presente, tutti gli elaborati tecnici di rilievo riferiti al comparto del nucleo abusivo a lei assegnato, all’ing. o arch. responsabile del comparto stesso, L’ing. o arch. incaricato di redigere il piano di recupero dovrà comunicare a questa Amministrazione l’avvenuta consegna degli elaborati nei termini sopra stabiliti e redigere a sua volta il piano entro il 30 sett. c.a.. In caso di mancato rispetto dei tempio stabiliti si procederà alla revoca degli incarichi”. D’altra parte non va neanche sottaciuto che, nel costituirsi in giudizio, il Comune non contestava l’avvenuta esecuzione della prestazione, allegata dall’attore in citazione, limitandosi ad eccepire che la stessa non fosse stata utilizzata dall’ente nella redazione ed approvazione dei vari piani indicati dallo stesso istante (il programma pluriennale di attuazione del 1992 ed i due piani regolatori generali del 1994 e del 1997). Sussiste, inoltre, a giudizio del Tribunale, anche l’ulteriore requisito, necessario per il positivo esperimento dell’azione in esame, costituito dal riconoscimento (nella spècie implicito) dell’utilità della prestazione da parte della P.A.. A conforto di tale conclusione giova, invero, richiamare gli esiti della prova testimoniale espletata in corso di causa ed, in particolare, le dichiarazioni rese dai testi G. M. e T. C., sulla cui attendibilità non vi è ragione di dubitare, essendo le medesime univoche, dotate di intrinseca logicità e provenienti da soggetti particolarmente qualificati (cfr. verbale di udienza del 14.2.2002). In particolare, il M., assessore all’urbanistica del Comune di R. all’epoca dei fatti oggetto di causa, riferiva che: nell’ambito di un progetto finalizzato alla redazione di un piano di recupero delle zone abusive, l’odierno attore redigeva delle planimetrie nelle quali erano riportate tutte le costruzioni abusive esistenti nella zona di territorio ad esso assegnata; il M.N. depositava tali planimetrie presso il Comune; era certo di ciò, in quanto estraeva copia di parte di esse di cui era ancora in possesso; le planimetrie in questione venivano utilizzate successivamente dall’ing. I. di Roma, in sede di redazione del P.R.G. approvato dal Comune; inoltre, le stesse, che contenevano la rappresentazione dello stato di fatto esistente, venivano impiegate dall’ufficio tecnico comunale, nella redazione del piano pluriennale di attuazione successivamente approvato; prima delle planimetrie redatte dal M.N., il Comune non era dotato di alcuna cartografia aggiornata delle aree in questione, in quanto l’ultimo rilievo risaliva al 1978. Peraltro, il valore probatorio della deposizione innanzi richiamata non può, ad avviso del Tribunale, essere svilito dalla considerazione per cui, lo stesso teste, a precisazione di Competenze e Professione quanto riferito, asseriva di non avere mai visto il prof. I. utilizzare le planimetrie del M.N., ne di avere dallo stesso ricevuto alcuna dichiarazione in tal senso e che, pertanto, quanto da lui dichiarato in ordine all’effettivo impiego, in sede di redazione del P.R.G., del risultato dell’opera espletata dall’odierno istante, era frutto di una sua deduzione. Infatti, il teste chiariva che tale conclusione era stata dettata dal raffronto, da esso operato, tra le planimetrie predisposte dal M.N. e quelle depositate dall’ing. I., nonché tra le prime ed il programma pluriennale di attuazione. Con riguardo a quest’ultimo strumento urbanistico precisava, altresì, che la deduzione da esso operata (circa l’utilizzo delle planimetrie del M.N.) era motivata anche dal fatto che l’arch. C. (componente dell’U.T.C, all’epoca dei fatti) gli riferiva che il progetto era stato redatto sulla base delle planimetrie esistenti presso il Comune e che le uniche planimetrie erano quelle depositate dall’odierno attore. Orbene, le precisazioni da ultimo richiamate consentono di attribuire pieni valore probatorio alla deposizione testimoniale resa dal M.. Le stesse infatti, rendono evidente che la deduzione operata dal teste non è il frutto di una valutazione soggettiva ed immotivata dei fatti, ma risulta, invece ampiamente suffragata da un’attenta e logica ricostruzione dei dati effettuata, tra l’altro, da un soggetto ampiamente qualificato sia per l’incarico rivestito (assessore all’urbanistica del Comune) che per le competenze professionali vantate (il M. è, infatti, un ingegnere). A conforto di quanto da ultimo rilevato depone, del resto, il principio, costantemente affermato dalla Cassazione, secondo cui “il giudice del merito deve negare valore probatorio decisivo soltanto alla deposizione testimoniale che si traduca in una interpretazione del tutto soggettiva o in un mero apprezzamento tecnico del fatto, senza indicare dati obiettivi e modalità specifiche della situazione concreta, tali da far uscire la percezione sensoria da un ambito puramente soggettivo, sì da trasformarla in un convincimento scaturente obiettivamente dal fatto medesimo” (cfr. Cass. civ. sent. n. 1173/94). Dichiarazioni di tenore analogo, a quelle innanzi richiamate, rendeva, altresì, anche il teste T. C., Sindaco del Comune di R. fino al 1993. Lo stesso, invero, asseriva che: l’odierno istante faceva parte di uno dei gruppi di lavoro (coordinati dall’arch. S.) incaricati di verificare tutte le strutture abusive realizzate nell’ambito del territorio comunale; la redazione di planimetrie sì rese necessaria perché agli atti del Comune vi erano dei rilievi datati e comunque insufficienti alla progettazione; si teneva costantemente informato circa l’andamento della progettazione; le planimetrie redatte dal M.N. venivano consegnate all’ing. I. ed all’arch. S. (incaricati della redazione del P.R.G.), nonché all’U.T.C. che se ne servì per redigere il piano pluriennale di attuazione del 1992; apprendeva tali circostanze dai dipendenti dell’ufficio tecnico e dall’assessore dell’epoca, avv. C.; inoltre, l’ing. I. gli riferiva di essersi avvalso, per la perimetrazione dei nuclei abusivi, degli elaborati redatti dai consulenti del Comune. Orbene, il dato per cui, quanto dichiarato dal teste, non era il frutto di una diretta percezione dei fatti, ad opera dello stesso, ma l’oggetto di informazioni al medesimo riferite da terze persone (l’ing. I., per quanto concerne la redazione del P.R.G. del 1992, ed i dipendenti dell’U.T.C. in ordine al pro- 119 Competenze e Professione gramma pluriennale di attuazione), non comporta il venir meno dell’efficacia probatoria della deposizione in esame, in quanto, come affermato in giurisprudenza, in tema di rilevanza probatoria delle deposizioni di persone che hanno solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso occorre distinguere i testimoni de relato actoris e quelli de relato in genere. I primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto . medesimo che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell’accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa. Gli altri testi, de relato in genere, depongono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata perché indiretta, ma, ciononostante può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità (cfr. Cass. civ. sent. n. 43/98). Nella specie, l’idoneità, della deposizione resa dal Caracciolo, a supportare l’assunto attoreo è data dalla valutazione della medesima alla luce del compendio istruttorio innanzi richiamato. In particolare, giova, per un verso, evidenziare la conformità delle deposizioni, rese dai testi C. e M., circa l’assenza, agli atti del Comune, di planimetrie del tipo di quelle realizzate dall’attore e, per l’altro, considerare che, nella relazione al P.R.G. redatto dal prof. G.I., si affermava che, in sede di redazione del piano, si era data attuazione alla volontà dell’amministrazione comunale espressa nella delibera dell’8.8.1986, concernente il recupero dei nuclei territoriali ; interessati da costruzioni abusive ed, a tal fine, si era operato di concerto con il coordinatore dei gruppi di lavoro incaricati della stesura dei piani di recupero (cfr. stralcio della relazione allegata al fascicolo di parte attrice). Ne, in senso contrario, giova richiamare il contenuto della deposizione resa dall’ing. V. D.S., Dirigente del Settore Opere Pubbliche del Comune, all’epoca dei fatti oggetto di causa ingegnere capo dell’ufficio tecnico. Questi, invero, nel corso della deposizione testimoniale disposta da precedente Giudicante ai sensi dell’art. 281 ter c.p.c., riferiva testualmente “non mi risulta che le planimetrie redatte dal M.N. siano state utilizzate dal Comune” (cfr. verbale di udienza del 12.1.2006). Peraltro, ad avviso del Giudicante, tale deposizione risulta scarsamente attendibile, sia perché contraddetta dal tenore delle deposizioni rilasciate dai testi innanzi richiamati, sia perché, dal tenore della stessa, non può logicamente desumersi un dato contrario all’assunto dell’attore. Ad una tale conclusione si sarebbe potuti pervenire, infatti, solo nel caso in cui il teste avesse negato che le planimetrie del M.N. fossero state utilizzate dall’ente. Viceversa, nella specie, il contenuto della deposizione induce necessariamente a ritenere che la dichiarazione del D.S. equivalga ad un’ammissione di ignoranza (nel senso di mancata conoscenza del fatto, piuttosto che, come sostenuto d,al convenuto, di negazione della verità dello stesso (il teste, invero, riferiva “non mi risulta” e non invece “escludo”). Sulla scorta degli elementi sin qui esaminati può, pertanto, affermarsi che il Comune di R., in sede di redazione del P.R.G. del 1992 nonché del programma pluriennale di attuazione predisposto 120 n. 1-2/2007 dall‘U.T.C, si sia avvalso delle planimetrie realizzate dal M.N. in esecuzione della delibera di incarico del 1986 sopra citala. Tale utilizzazione è idonea ad integrare gli estremi di un implicito riconoscimento, da parte della P.A., dell’utilità della prestazione resa dall’odierno istante, atteso che, come è pacifico tra le parti e provato dalle deposizioni rese dai testi M. e C., tanto il P.R.G. del 1992, quanto il programma pluriennale di attuazione ricevevano, poi, l’approvazione da parte dell’organo deliberativo dell’ente. In altri termini, il dato per cui il risultato della prestazione professionale espletata dall’istante sia stato posto a fondamento di due strumenti urbanistici approvati dal Comune, costituisce dimostrazione adeguata dell’avvenuto riconoscimento, implicito, dell’utilità di detta attività da parte dell’odierno convenuto. Viceversa, tale prova difetta con riferimento al P.R.G. approvato dal Comune nel 1997, (che, secondo l’assunto attore, sarebbe ugualmente basato sulle planimetrie del M.N.), posto che nessuno dei testi escussi faceva riferimento allo strumento urbanistico da ultimo richiamato. Ne discende che, in ordine al profilo da ultimo richiamato, la domanda di parte attrice non possa trovare accoglimento. Tanto premesso in ordine all’an debeatur, occorre, quindi, esaminare il profilo concernente il quantum. Al riguardo giova, anzitutto, premettere che, nella quantificazione della somma dovuta a titolo di indennità per indebito arricchimento, opera un duplice limite: occorre prendere in considerazione non l’intero arricchimento, ma solo quello che corrisponde ad un danno o un pregiudizio subito dall’altro soggetto; d’altro canto, non l’intero pregiudizio può essere ristorato, ma unicamente quello corrispondente ad un profitto o vantaggio dell’arricchito. In altri termini, la liquidazione va contenuta nella minor somma tra la locupletazione ricevuta da chi si sia avvantaggiato della prestazione senza causa e il depauperamento patrimoniale subito dal soggetto impoverito. La diminuzione patrimoniale indennizzabile è dunque soltanto quella effettiva, realmente verificatasi, senza possibilità di fare riferimento a parametri contrattuali, non utilizzabili a causa della nullità del negozio, né di equiparare la perdita alla spesa eventualmente risparmiata dal beneficiario della prestazione (cfr. Cass. civ. sent. n. 1753/87). Con particolare riferimento all’ipotesi di elaborazione di un progetto di un opera pubblica non preceduta da un valido incarico professionale conferito contrattualmente, poi, l’indennizzo dovuto a norma dell’art. 2041 cc. va liquidato, nei limiti dell’arricchimento dell’ente, con riguardo all’entità dell’effettiva perdita patrimoniale dal professionista, tenendo cioè conto delle spese anticipate per l’espletamento della prestazione e del mancato guadagno, da determinarsi eventualmente ai sensi dell’art. 1226 cc, in ragione delle utilità monetarie ricavabili dal normale svolgimento dell’attività professionale nel periodo di tempo dedicato all’esecuzione dell’opera (cfr. Cass. civ. sent. n. 7136/96). Resta invece esclusa la possibilità di un’applicazione diretta della tariffa professionale, a cui va attribuito valenza meramente indicativa, ovvero di parametro di valutazione e di limite massimo della liquidazione indennitaria (Cass. civ. sent. n. 6182/94, 7694/92). Alla luce dei principi sopra richiamati, deve, senz’altro, escludersi che, nel caso di specie, l’indennizzo spettante al M.N. possa essere liquidato nella misura richiesta di Lire n. 1-2/2007 34.242.525, atteso che detto importo corrisponde a quello indicato nella parcella, munita del parere di congruità del rispettivo ordine professionale, presentata l’odierno attore al Comune di R. in data 23.8.1991 (cfr. documentazione allegata al fascicolo di parte attrice). Viceversa, nel determinare l’importo in esame può utilizzarsi, quale parametro di riferimento, la CTU espletata nell’ambito del procedimento n. 1162/93 R.G., instaurato dall’atto di citazione notificato dall’odierno istante in data 22.7.1993, la cui acquisizione al fascicolo d’ufficio veniva disposta da questo Giudicante con ordinanza dell’1.4.2006. Preliminarmente dev’è essere disattesa l’eccezione di inutilizzabilità di detto documento, sollevata da parte convenuta. Sul punto va, infatti, osservato che la relazione innanzi richiamata veniva acquisita al fine di potere operare una corretta valutazione dell’indennizzo spettante all’attore evitando, nel contempo, per evidenti ragioni di economia processuale, di dovere disporre l’espletamento di un’ulteriore CTU. D’altro canto, non va sottaciuto che l’ammissione della consulenza può essere disposta d’ufficio dal giudice in qualunque momento del processo, sicché, anche sotto il profilo in questione, le censure di parte convenuta vanno rigettate. Ciò posto, alla luce della relazione depositata dall’ing. G. T. in data 28.12.1995, nell’ambito del procedimento sopra richiamato, le cui conclusioni possono essere condivise poiché immuni da vizi ed adeguatamente motivate, l’indennizzo da riconoscere all’attore può essere stimato nella misura di Lire 28.446.506, pari ad Euro 14.691,39. Ed invero, la somma in esame rappresenta la misura del vantaggio patrimoniale, in termini di risparmio di spesa, ricevuto dall’ amministrazione per essersi avvalsa dell’opera professionale dell’odierno istante nell’ambito del progetto di recupero dei nuclei abusivi. Alla somma da ultimo indicata, costituente debito di valore, va poi aggiunto il lucro cessante, consistente nel pregiudizio subito dal danneggiato per la ritardata corresponsione dell’importo ad esso dovuto. In particolare, come ritenuto da autorevole giurisprudenza, l’indennizzo previsto dall’art. 2041 cc. è un debito di valore - anche se l’arricchimento consiste in un risparmio di spesa e il depauperamento in attività od erogazioni - da liquidare, in via sostitutiva, con danaro, rapportato alla data dell’illecito, tenendo conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria fino alla decisione (costitutiva della liquidazione dell’obbligazione di valore, previo accertamento dei requisiti normativamente richiesti) per reintegrare il patrimonio del creditore, e riconoscendo gli interessi - di natura compensativa, in base all’art. 1499 cc, Competenze e Professione espressione di un principio generale di, equità - non accessori e non autonomi, perché non normativamente previsti non essendo l’obbligazione originariamente pecuniaria (principio di tipicità delle obbligazioni: art. 1173 cc), ma idonei come criterio di liquidazione del danno presunto fino a prova contraria, con decorrenza dalla data dell’altrui arricchimento e nei limiti di questo (art. 2041 cc.), costituito dal ritardo nell’utilizzazione, nei singoli momenti, dell’equivalente danaro, determinante diminuzione patrimoniale (cfr. in tal senso Cass. civ. sent. n. 1287/98). In applicazione dei principi sopra richiamati, pertanto, sulla somma di Euro 14.691,39 vanno riconosciuti all’attore gli interessi legali a decorrere dall’1.10.1993, (data in cui può ritenersi che si sia concretizzato l’arricchimento da parte dell’amministrazione, posto che, come è pacifico tra le parti, nella stessa l’ente convenuto approvava il programma pluriennale di attuazione per la cui redazione, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, si era avvalso delle planimetrie predisposte dal M.N.) alla data della presente pronuncia. Sulla somma complessivamente liquidata, comprensiva di capitale ed interessi dalla data innanzi indicata, debbono, poi, decorrere gli interessi legali dalla data della presente pronuncia al soddisfo. Da ultimo rileva il Tribunale che le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di R., definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, cosi provvede: a) accoglie la domanda e, per l’effetto, condanna il Comune di R., in persona del Sindaco p.t., al pagamento, in favore di M.N., della somma di Euro 14.691,39, oltre interessi legali sulla somma stessa dall’1.10.1993 alla data della presente pronuncia, oltre agli interessi legali sulla somma complessivamente liquidata da tale ultima data al soddisfo; b) condanna il Comune di R., in persona del Sindaco p.t., al pagamento, in favore di M.N., delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 3.185,97, di cui Euro 125,97 per esborsi, Euro 1.830,00 per onorario, Euro 1.230,00 per diritti, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge. R. 14.5.2007 Il Giudice Dr. M.S. Depositata in cancelleria 14 maggio 2007 Il Cancelliere F.D.S. 121 Competenze e Professione n. 1-2/2007 LAVORO IRREGOLARE NEI CANTIERI E INTERDIZIONE ALLE GARE DI APPALTO di Pietro Gremigni nche il Ministero delle infrastrutture interviene sull’art. 36-bis della cosiddetta Manovra BersaniVisco in materia di lavoro irregolare nei cantieri edili. La circolare n. 1733 del 3 novembre 2006 individua i presupposti, i limiti e le procedure per l’emanazione del provvedimento che interdice le imprese, scoperte come “irregolari” all’interno dei cantieri, a contrattare con le Pubbliche amministrazioni e a partecipare a gare pubbliche di appalto. La norma citata, infatti, prevede che i competenti uffici delle Direzioni provinciali del lavoro debbano informare tempestivamente i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture dell’adozione del provvedimento di sospensione al fine dell’emanazione da parte di questi ultimi di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le PA e alla partecipazione a gare pubbliche di durata pari alla citata sospensione nonché per un eventuale ulteriore periodo di tempo non inferiore al doppio della durata della sospensione, e comunque non superiore a 2 anni. A Le Direzioni provinciali del lavoro, una volta che hanno accertato le irregolarità nei cantieri sulla base dei presupposti individuati dallo stesso art. 36-bis della Manovra BersaniVisco, e una volta notificato al datore di lavoro il provvedimento di sospensione dell’attività, devono comunicare tale circostanza al Ministero delle infrastrutture. Quest’ultimo, tramite gli uffici competenti, è messo nella condizione di poter emanare a sua volta - nei confronti dello stesso datore di lavoro - un provvedimento che lo interdice dal contrattare altri appalti con la Pubblica amministrazione. - a una durata maggiore pari al doppio della sospensione, entro il limite massimo di 2 anni. Secondo il Ministero delle infrastrutture, però, il limite minore (stessa durata della sospensione) è un minimo vincolante nel senso che l’interdizione non potrà essere inferiore a tale termine. In secondo luogo il raddoppio dell’interdizione deve essere legato ad alcuni elementi certi, quali la recidiva, oppure ai casi più gravi che la circolare esemplifica nell’ipotesi in cui nel cantiere siano stati accertati lavoratori irregolari pari o superiori al 50% degli addetti, oppure nell’altra ipotesi di violazione delle norme di sicurezza di non lieve entità. In mancanza di ulteriori precisazioni riteniamo che di non lieve entità siano quelle violazioni punite con una sanzione penale. Il termine iniziale di interdizione coincide con la data di ricezione del provvedimento di sospensione da parte del datore di lavoro. Il termine finale è quello indicato nel predetto provvedimento di sospensione. In mancanza del termine finale, la durata del provvedimento interdittivo non può che essere pari al periodo intercorrente tra la data della sospensione stessa e quella della intervenuta revoca. In mancanza di revoca il termine finale non potrà eccedere i 2 anni. Procedura Dopo che ciascun provveditorato regionale e interregionale alle opere pubbliche ha ricevuto il provvedimento di sospensione del cantiere, avvia la fase istruttoria che culminerà nel provvedimento da emanarsi entro 45 giorni dalla data di ricezione del provvedimento di sospensione notificato dalla DPL competente. Per i procedimenti in corso alla data di pubblicazione della circolare del 3 novembre 2006 in questione, i 45 giorni decorrono da tale data e pertanto entro il 18 dicembre 2006 viene adottato o meno il provvedimento da parte degli uffici delle Ministero delle infrastrutture. Tale atto amministrativo ha natura di atto definitivo ed è pertanto impugnabile: - presso il TAR competente entro 60 giorni; - oppure con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni. Durata ed efficacia dell’interdizione Il provvedimento di interdizione potrà avere una durata pari: - alla stessa durata della sospensione disposta dalla DPL; 122 «Consulente Immobiliare» n. 1-2/2007 Condominio SCALE E ASCENSORE: GIURISPRUDENZA E METODI DI CALCOLO Due fondamentali parti comuni del condominio che provocano agli amministratori diversi problemi nella ripartizione delle spese criteri per la spartizione delle spese condominiali possono essere stabiliti dal regolamento condominiale contrattuale e cambiarli è quasi sempre impossibile. Stando così le cose, può parere strano che proprio la divisione delle spese sia l’argomento più controverso in condominio, causa di liti furiose che troppo spesso “sbarcano” in Tribunale. Il motivo è presto detto: da una parte vi sono condomini che il regolamento contrattuale non ce l’hanno, dall’altra ve ne sono altri che l’avrebbero, ma non stabilisce principi sufficientemente chiari. E, come vedremo, sia quelli fissati dal codice civile sia quelli proposti, in sede di interpretazione dalla giurisprudenza, sono sufficientemente contraddittori da lasciare ampio spazio ai litigi. Un caso da manuale è la spartizione tra condomini delle spese per le scale che, per estensione giurisprudenziale, è anche quella prevista per l’ascensore. Com’è arcinoto, almeno a chi se ne occupa, l’articolo 1124 del codice civile stabilisce che la manutenzione e la ricostruzione “sono ripartite tra i proprietari dei diversi piani a cui servono per metà in ragione del valore dei singoli appartamenti su ciascun piano, e per l’altra metà in proporzione all’altezza di ciascun piano da suolo”. Ma, a parte il fatto che effettuare questo tipo di ripartizione non è facile, dal punto di vista strettamente contabile (vedi articolo a fianco), restano alcuni punti dubbi su cui la giurisprudenza dà risposte poco lineari. Il primo è: i muri e le finestre del vano scale sono, o non sono, parte delle scale stesse? In particolare, se vengono reintonacate e dipinte, chi paga? La tesi prevalente (Cassazione, 7 maggio 1997, n. 3968), inclina per la stessa suddivisione valevole per le scale: esse infatti, comprenderebbero l’intera relativa “cassa”, di cui costituiscono “componenti essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano”. Tuttavia, sempre secondo la Cassazione, se le opere riguardano solo le pareti dei pianerottoli, e non le scale stesse, la spesa di manutenzione dei muri che delimitano sulle scale gli appartamenti va suddivisa in base ai millesimi di proprietà. Ben si vede come questa tesi sia debole, sul piano pratico, quando si debba decidere quali muri delimitano solo le scale e quali solo gli appartamenti. Più pacifico sembra invece che anche le spese di pulizia delle scale vadano ripartite per metà per millesimi e per l’altra in base al piano o comunque in base all’uso. Dove però “casca l’asino” è quando alle scale si sostituisce l’ascensore. Sicuro è il fatto che le spese di esercizio e di piccola manutenzione seguano gli stessi criteri delle scale e ne siano comunque esclusi i condomini al piano terreno, che non ne godono i vantaggi. Più incerto è il destino delle spese di adeguamento alle norme di sicurezza e di quelle di manutenzione straordinaria dell‘impianto. Per le prime la Cassazione si è espressa in maniera più univoca: l’adeguamento alle norme è componente inscindibile della proprietà condominiale delle scale, per cui lo pagano tutti, anche i condomini al pian terreno, in ragione dei millesimi di proprietà. Sulla manutenzione straordinaria l’orientamento è più ondivago. Millesimi scale o mil- I lesimi proprietà? La seconda è la tesi più accreditata, salvo ripensamenti futuri. ECCO IL VADEMECUM DEI CALCOLI Se il regolamento non stabilisce diversamente, la metà delle spese di esercizio di ascensore e scale va suddivisa tra chi li usa in base ai millesimi di proprietà, altra metà, in base al piano, come stabilisce l’articolo 1124 del codice civile. Facile a dirsi, ma a farsi? Sono tanti gli amministratori che non sanno eseguire il calcolo e si appoggiano perciò a software informatici che hanno due difetti: debbono innanzitutto essere “programmati” bene (altrimenti i risultati sono errati) e possono non tener conto di alcune importanti variabili. In effetti, la logica della ripartizione non è semplice e, soprattutto, difficile da spiegare. Una volta capita, però, il calcolo è alla portata di un bambino delle elementari e, anche con una calcolatrice tascabile, si esegue in un attimo. Vediamo. Calcolo della spesa relativa ai millesimi. Bisogna calcolare prima come suddividere la metà della spesa relativa ai millesimi di proprietà. La formula è: ½ spesa: totale millesimi = Spesa relativa ad ogni millesimo Spesa relativa ad ogni millesimo x millesimi del singolo condomino = spesa relativa al singolo condomino Un esempio. Supponiamo di voler sapere quanto spenderà il signor Rossi, che possiede 150 millesimi. Il costo totale è di 5.000 euro. La formula applicata sarà quindi: 2.500 euro (metà spesa): 1.000 (millesimi) = 2,5 (spesa relativa a 1 millesimo); 2,5 x 150 = 375 euro Condomini esclusi. Se esistono, però condomini esentati perché non si servono delle scale o dell’ascensore, occorrerà escluderli dal calcolo. Perciò bisognerà riparametrare i millesimi. Supponiamo quindi che esista un signor Verdi che ha 100 millesimi di proprietà e abita al pianterreno. Perciò i millesimi che “pagano”, da 1.000 divengono 900. La riparametrazione per il sig. Rossi (che ne possiede 150) sarà data dall’equazione: 900: 1.000= 150: x; x (millesimi riparametrati Rossi) = 1.000 x 150:900 =167 cioè sarà come se il sig. Rossi possedesse 167 millesimi, anziché 150 (perciò la sua spesa salirà da 375 euro a 417,5 euro. Calcolare per credere). Calcolo della spesa relativa al piano. Fin qui, niente di particolarmente complesso. Più difficile attribuire l’altra metà della spesa, quella relativa al livello di piano. Vanno messe in campo due variabili interdipendenti. Definiremo la prima come “numero di piano”. E la seconda come “sommatoria dei piani”. Il numero di piano è facile da identificare. È 1 per il primo piano, 2 per il secondo, 3 per il terzo, 4 per il quarto (e via elencando). Ovviamente, se il primo 123 Condominio piano non è servito dall’ascensore, che parte dal secondo in su, è il secondo che avrà attribuito il numero 1, e via procedendo. La sommatoria dei piani non è che la somma di queste cifre. Se l’edificio ha tre piani, sarà uguale a 6(1+2+3). Se l’edificio ha sette piani, sarà uguale a 28 (1+2+3+4+5+6+7). Diamo ora il calcolo della spesa che ogni piano deve sopportare: ½ spesa: sommatoria piani = Spesa base (quella per il primo piano) Spesa base x numero piano = Spesa per singolo piano. Un esempio. Supponiamo che il nostro signor Rossi abiti in un palazzo a tre piani e stia al secondo. La sommatoria piani sarà 6 e il numero piano 2. La spesa totale è sempre 5.000 euro. 2.500 euro (metà spesa): 6 = 416,67 416,67 x 2 = 833,34 euro per il secondo piano. Spesa - Piano di ciascuno. Se il signor Rossi è l’unico abitante del piano, il calcolo è già finito. Ma supponiamo che non sia così. Allo stesso secon- n. 1-2/2007 do piano abita anche il sig. Bianchi, che possiede 100 millesimi di proprietà. Cioè i millesimi totali degli abitanti del secondo piano sono 350 (150 di Rossi + 100 di Bianchi). Come andrà spartita la spesa di 833,34 euro del secondo piano, tra di loro? Ecco l’equazione generale: millesimi del singolo condomino: totale millesimi del piano = x: Spesa relativa al piano millesimi del singolo condomino x Spesa relativa al piano: totale millesimi del piano = Spesa relativa al piano del singolo condomino Nel caso di Rossi, il calcolo sarà 150 x 833,34: 350 = 357,15 euro Calcolo finale. Ovviamente per ciascun condomino andrà sommata la spesa relativa ali millesimi e quella relativa al piano: Spesa condomino = (spesa proprietà) + (spesa piano). Per signor Rossi ammonterà a 417,5 + 357,15 euro = 774,65 euro. «Italia Casa» INFILTRAZIONI IN APPARTAMENTI: RESPONSABILITÀ E PROVA DEL DANNO di Ivan Meo urtroppo capita spesso che l’appartamento del singolo condomino venga danneggiato da infiltrazioni d’acqua provocate da rottura di tubazioni condominiali o, in genere, da strutture comuni dell’edificio. L’immediata reazione del condomino in siffatte situazioni è quella di informare l’amministratore e di pensare al risarcimento dei danni che riceverà dall’assicurazione del condominio. Spesso, però, non sono facilmente individuabili le cause delle infiltrazioni verificatesi. Si spiega allora la copiosa giurisprudenza che ormai si è formata su questo tema. Avere il proprio appartamento danneggiato da infiltrazioni, infatti, comporta per il condomino, oltre che un materiale esborso per il ripristino delle parti danneggiate, anche un non indifferente disagio nelle relazioni sociali all’interno della collettività condominiale. P Quando è responsabile il condominio Salvo particolari ipotesi è il condominio che deve risarcire il danno, intendendosi per tale, preliminarmente, il dovere di provvedere immediatamente a eseguire i lavori di ripristino, oltreché al pagamento degli arredi, delle suppellettili, dei rivestimenti, qualora questi ultimi dovessero essere stati danneggiati. Tale principio si basa essenzialmente sul presupposto che il condominio è tenuto alla custodia e alla manuten1 Giudice di Pace di Monza, 5 gennaio 1999. 124 zione delle parti e degli impianti comuni dell’edifìcio talché il singolo condomino, ponendosi come terzo nei confronti del condominio stesso, può agire nei confronti di quest’ultimo per il risarcimento dei danni sofferti per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per la difettosità di parti comuni dell’edificio, dalle quali provengono le infiltrazioni d’acqua pregiudizievoli per gli ambienti di sua proprietà esclusiva. L’art. 2051 del cod. civ. Il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 2051 del codice civile («Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito») per stabilire in via generale la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa cagionati. La genericità del termine “cosa”, usato dalla legge, pone in evidenza il carattere di generalità della norma. Nella fattispecie delineata dall’art. 2051, la “cosa” non ha rilievo autonomo, ma essa è vista dalla legge come funzionalmente collegata con la sua custodia, ai fini della prevenzione del danno cagionato a terzi. Sotto il profilo della prova liberatoria, l’art. 2051, prevede - a carico del custode - l’onere di provare il caso fortuito. La mancata prova del fortuito rende responsabile il custode della cosa, rimanendo a suo carico la causa ignota che ha cagionato il danno1. L’ipotesi in questione sa- n. 1-2/ 2007 rebbe un caso di responsabilità oggettiva o, quantomeno, un caso in cui la colpa non avrebbe rilievo, essendo determinante per non rispondere del fatto, invece, la prova positiva del fortuito, alla quale non potrebbe essere equiparata la prova dell’assenza di colpa2. La responsabilità oggettiva del custode La dottrina, in seguito a una serie di pronunciamenti giurisprudenziali, sostiene da tempo che debbano considerarsi elementi caratterizzanti il giudizio di responsabilità ex art. 2051 cod. civ. solo la cosa, la nozione di custodia e il nesso causale e che, pertanto, la fattispecie non possa ricostruirsi in Condominio altro modo se non in termini di responsabilità oggettiva 3 . Una delle prime applicazioni pratiche di tale orientamento è stata accolta dal Tribunale di Venezia che, con sentenza del 28 marzo 1997, ha stabilito: «in tema di danno cagionato da cose in custodia, l’art. 2051 prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva dalla quale il custode può essere esonerato solo attraverso la dimostrazione dell’esistenza di un elemento in grado di escludere il nesso causale fra la cosa ed il fatto dannoso»4. Questa sentenza, accogliendo la ricostruzione oggettiva della fattispecie, sviluppa i presupposti già fissati da una recente pronuncia della Cassazione che, in un caso sorprendentemente Cassazione: sentenza n. 3676/2006 Il lastrico solare svolge una funzione di copertura del fabbricato e, perciò, l’obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti, con ripartizione delle spese secondo i criteri di cui all’art. 1126 cod. civ. Ne consegue che il condominio, quale custode ex art. 2051 cod. civ. - in persona dell’amministratore, rappresentante di tutti i condomini tenuti a effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario del lastrico o colui che ne ha l’uso esclusivo - risponde dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare Cassazione: sentenza n. 4759/1992 Il condominio e l’utente, in via esclusiva, di un terrazzo di proprietà condominiale sono, in qualità di custodi, responsabili in solido dei danni sofferti dal proprietario dell’appartamento sottostante per effetto delle infiltrazioni d’acqua rivenienti dal terrazzo medesimo Pretura Firenze: 13 novembre 1998 I condomini sono tenuti a eseguire la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio in mancanza della quale sono responsabili ex art. 2051 ce. degli eventi dannosi subiti dai singoli a causa dei difetti delle parti comuni Giudice di pace di Monza: 5 gennaio 1999 Il conduttore di appartamento può accedere ai vani box del condominio anche con autovettura di proprietà di un terzo da questi guidata e se il cancello automatico, non obbedendo al comando fotocellulare, urti il veicolo danneggiandolo, la responsabilità patrimoniale, non configurandosi oggettiva nel caso di danno cagionato da cosa in custodia, è, per presunzione, a carico del condominio possessore, quando esso non adempia l’onere di identificare la causa ignota, che ha impedito all’impianto telecomandato di tenere aperto il cancello Pretura Bologna: 25 settembre 1998 Posto che, in tema di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, l’art 2051 cc prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva, è ammissibile una riduzione del risarcimento a carico del custode, ai sensi dell’art. 1227 comma 1 cc, in misura corrispondente all’entità del fatto colposo del danneggiato che abbia incrementato la potenzialità lesiva del fatto della cosa Cassazione: sentenza n. 12500/1995 In caso di danno cagionato da cose in custodia, la prova posta a carico dell‘attore è limitata alla riconducibilità del danno lamentato alla «res», senza necessità di provare altresì la condotta commissiva od omissiva del custode (fattispecie relativa a macchie di umidità comparse sul soffitto di una stanza in corrispondenza del vano cucina del sovrastante appartamento). Altre sentenze: sull’argomento Tribunale Savona, 5 ottobre 2004 - Tribunale. Milano, 16 settembre 2004 - Tribunale. Roma, 25 ottobre 2005 - Cassazione, sentenza n. 5326/2005 2 Pret Bologna, 25 settembre 1998. 3 V Franzoni, Dei fatti illeciti, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, Roma, 1993, pagg. 545 e segg.; Alpa, Bessone, La responsabilità civile, Milano, 1980, pagg. 2 e segg.; Laghezza, Aguoe ed ignis, ovvero: dell’incendio, dell’allagamento e della causa ignota nell’art 2051 cod. civ., in Danno e responsabilità, 2005, pag. 1101. 4 Nel caso di specie il proprietario di un appartamento cita in giudizio il vicino, per vedersi risarcito dei danni cagionati da infiltrazioni di acqua provenienti dall’appartamento del piano superiore e cagionate dal rubinetto lasciato aperto. Il convenuto si difende affermando di aver affidato l’immobile a un’impresa di manutenzione e restauro; chiede, pertanto, di essere autorizzato alla chiamata in causa dell’impresa, oltre che della compagnia di assicurazioni che lo garantisce per tali eventi. Il Tribunale, accogliendo la domanda proposta dall’attore, condanna in solido l’impresa appaltate dei lavori e la compagnia di assicurazione al ristoro dei danni spostatosi sul versante della prova liberatoria. 125 Condominio analogo, escludeva dal giudizio di responsabilità ex art. 2051 ogni indagine sull’omissione nel controllo della cosa da parte del custode, limitandosi a valutare la prova del nesso causale fra il danno e il bene in custodia5. Proseguendo nell’ambito delle pronunce di merito si segnala quella emessa dal Tribunale di Milano del 31 dicembre 2004, secondo cui: «Il proprietario dell’appartamento nel quale sono in atto lavori di ristrutturazione dell’impianto di riscaldamento non può essere ritenuto responsabile - quale custode ex art. 2051 cod. civ. ovvero quale committente ex art. 2049 - dei danni causati da infiltrazioni di acqua nella unità immobiliare sottostante qualora, pur essendosi attivato al fine di ottenere lo svuotamento (durante l’esecuzione dei lavori commissionati) dell’impianto di riscaldamento centralizzato a opera dell’impresa incaricata della sua gestione e della sua manutenzione, quest’ultima abbia disatteso la richiesta avanzata in tal senso dall’amministratore del condominio, limitandosi a ridurre il livello dell’acqua presente nel circuito, posto che se avesse provveduto allo “svuotamento” non ci sarebbe stata alcuna fuoriuscita dalle tubazioni». In merito a questa pronuncia non si rinvengono precedenti analoghi sul caso di specie anche se sulla base di tali presupposti si è ritenuto, per esempio, che il proprietario di un edificio che provoca infiltrazioni di acqua su un muro in comune deve, oltre a rifondere i danni cagionati, provvedere a porre in essere le opere necessarie per interrompere le infiltrazioni (Trib. Savona, 5 ottobre 2004). Ancora, si è affermato che nel caso di infiltrazioni conseguite alla tracimazione dell’acqua dalla vasca da bagno per colposa disattenzione del conduttore, a rispondere dei danni derivati a terzi è esclusivamente quest’ultimo (quale custode dell’immobile), dovendosi escludere una responsabilità solidale del proprietario locatore, ipotizzabile solo nel caso di accertamento della inerenza del danno alla rottura di parti murarie dell’impianto idrico, non effettivamente controllabili dal conduttore (Trib. Milano, 16 settembre 2004). E infine, la responsabilità presuntiva del condominio, di cui all’art. 2051 cod. civ., nei confronti del singolo proprietario di un appartamento per i danni subiti a n. 1-2/2007 causa di ripetuti episodi di reflusso di acque nere, viene meno solo se il terzo responsabile dell’illecito viene individuato, poiché il fatto ignoto rimane a carico del responsabile oggettivo (Trib. Roma, 25 ottobre 2005). Spostando la nostra indagine nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, rilevante interesse assume la sentenza n. 376/2005 emessa dalla Cassazione secondo cui «posto che la responsabilità per danni da cose in custodia è di natura oggettiva, incombe sull’attore la dimostrazione del nesso eziologico fra la cosa e l’evento dannoso, mentre spetta al custode l’onere della prova liberatoria, consistente nell’individuazione di un fattore estraneo idoneo a interrompere tale nesso causale»6. In questo caso la Cassazione affronta la tematica della cosiddetta causa ignota con riferimento alla responsabilità del custode, ribadendo che la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. si fonda sul mero rapporto di custodia, con esclusione di qualunque rilevanza del comportamento del responsabile, che resta assolutamente estraneo alla fattispecie. Lo stesso ente giudicate ha ribadito con una ulteriore sentenza (la n. 5326/2005) che «in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, senza che assuma rilievo in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito» 7 . Da quanto detto possiamo concludere dicendo che: a. incombe all’attore - condomino danneggiato - la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo; b. al convenuto - il condomino che ha provocato il danno - la prova del caso fortuito; c. il condominio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno e risponde dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini. «Consulente Immobiliare» 5 Cass., sent. n. 12500/1995. 6 Fattispecie relativa a danni cagionati a un appartamento in conseguenza di infiltrazioni di acqua provenienti dall’appartamento sovrastante, allagatosi per cause ignote. 7 Fattispecie relativa alla tracimazione di acque luride dalla tazza del bagno a causa di un’occlusione del tratto terminale dell’impianto fognante. 126 n. 1-2/2007 Condominio CONSEGUENZE PENALI PER «VECCHI» ASCENSORI IN PERICOLO Incongruenze e ritardi evidenziati nell’adeguamento delle norme di sicurezza alle disposizioni europee. di Francesco Terranova Gravi difetti del sistema ascensori Qualche settimana fa - da autorevole fonte, sul principale quotidiano economico finanziario italiano - è stato lanciato un allarme1 sulle conseguenze penali (artt. 582, 589 e 590 Cod. pen.) che possono derivare dal mancato rispetto delle norme tecniche sugli ascensori (v. artt. 11 76 Cod. civ.). Ma questo grave difetto del sistema (che dipende dai costruttori e dagli operatori)2 si aggiunge a quello ab origine (che dipende dal legislatore) della carenza di dette norme, perché incomplete o, quelle esistenti, confuse e raffazzonate. I «vecchi» ascensori - Adeguamento e manutenzione Ci riferiamo ai «vecchi» ascensori, chiamando così quelli installati negli edifici prima del 25 giugno 1999, per i quali il D.M. 26 ottobre 2005 - emanato 5 anni dopo il Regolamento, D.P.R. 30 aprile 1999 n. 162 a sua volta emesso in attuazione della Direttiva comunitaria 29 giugno 1995 n. 95/16/CE sugli ascensori - ha di recente stabilito che devono essere adeguati alla norma tecnica europea UNI EN 81-803. E precisamente il D.M. 26.10.2005 consta di 4 articoli: - il 1° presenta il D.M. stesso nel senso suddetto (sua applicazione agli ascensori di cui al Reg. 99/102 e adeguamento dei «vecchi» ascensori alla norma UNI); ed il 3° e il 4° contengono qualche precisazione sul personale di controllo e sul libretto dell’impianto; - il 2° è quello propriamente dedicato agli interventi necessari per l’adeguamento tecnico degli ascensori ed i termini per la loro esecuzione. Però l’art. 2, e quindi in sostanza tutto il DM. 26.10.2005, sono destinati a rimanere lettera morta sino a quando verranno definite le modalità di svolgimento delle verifiche ed i criteri generali delle prescrizioni di adeguamento, con apposito decreto direttoriale 4 previsto entro il 28.1.20065; ma è già trascorso un anno e della sua adozione non vi sono segnali6. Codice penale Art. 582 (Lesione personale) 1. Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da 3 mesi a 3 anni. Art. 589 (Omicidio colposo) 1. Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni. Art. 590 (Lesioni personali colpose) Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a 3 mesi o con la multa fino a Lit. 600.000. Codice civile Art. 1176 (Diligenza nell’adempimento) 1. Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. 2. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Conseguenze ed osservazioni Cosicché ancora oggi i «vecchi» ascensori non sono adeguati alla norma tecnica UNI EN 81-80 mentre lo sono già invece quelli degli altri Paesi europei7. 1 Dal magistrato milanese Giulio Benedetti al convegno del 9.1 1.2006 svoltosi a Milano nell’ambito di «Lift», la principale esposizione internazionale del settore della componentistisca per ascensori, come scrive Saverio Fossati nell’articolo «Ascensori, il rischio è reato» pubblicato ne «Il Sole 24 Ore» del 13.11.2006 n. 308 in «Norme e Tributi». 2 Chiamando «operatori» i proprietari o amministratori di condominio, i manutentori ed i verificatori. [Termine, quest’ultimo, che ho proposto per indicare l’ASL (Azienda Sanitaria Locale) competente per territorio o l’ARPA (Azienda Regionale per la Protezione dell’Ambiente) o uno degli Organismi di certificazione: ved. «Quaderni di Legislazione Tecnica» 3/06, 5 - Manutenzione e verifiche di «vecchi» ascensori in edifici condominiali. 3 Considerato che costruttori ed operatori sono certo tenuti all’osservanza della norma UNI e quindi in genere (per conoscerla bene) al suo acquisto; che in Italia vi sono oltre 700.000 ascensori (fonte: Confedilizia) di cui circa l’80% (cioè oltre mezzo milione) può stimarsi che sia stato installato prima del 1999 (percentuale così ricavata in proporzione ai dati contenuti nella Introduzione all’Allegato al D.M. 16 gennaio 2006: secondo cui il 50% dei 3 milioni di ascensori oggi in uso nei Paesi europei sono stati installati più di 20 anni fa; e che la norma UNI EN 81-80 è di proprietà esclusiva dell’UNI (Ente nazionale italiano di unificazione) e costa 64 euro per ciascuna copia, si arrivava ad un totale pro UNI di diversi milioni di euro. In seguito al coro di proteste contro questa disposizione lo stesso Ministero delle Attività produttive è poi corso ai ripari emanando un secondo apposito decreto, il su citato D.M 16 gennaio 2006, che nel suo unico art. 1 ha disposto la pubblicazione nella G.U. della norma UNI EN 81-80 resa così facilmente accessibile a tutti. Va pure sottolineata l’importanza - anche per allungare la vita media degli impianti - di una buona manutenzione, come sostiene l’ANACAM (Associazione nazionale delle imprese di costruzione e manutenzione ascensori). 4 Decreto del direttore generale dello sviluppo produttivo e competitività (competenza del Ministero delle Attività produttive). 5 II «decreto direttoriale» avrebbe dovuto essere emanato, ai sensi dello stesso art. 2, e 5, entro il 60° giorno dalla entrata in vigore del D.M. 26.10.2005 (cioè dal 29.11.2005) e quindi entro il 28.1.2006. 6 È logico allora chiedersi se non conveniva - anziché procedere alla rinfusa, come si è visto - aspettare il decreto direttoriale e quindi pubblicarlo, nei termini previsti, insieme con il relativo D.M. 26.10.2005 (con un solo decreto si sarebbe evitata la maldestra manovra della norma UNI con il rattoppo del secondo D.M.). 7 Come è emerso dagli atti del Convegno «Lift». 127 Condominio Secondo un recente studio dell’ANACAM soltanto il 10% degli ascensori installati in Italia (che sono utilizzati giornalmente da oltre 35 milioni di persone) sarebbero in regola con le norme di legge sulla sicurezza degli impianti. Nella «Introduzione» allegata al DM. 16.1.2006 (ma ved. anche l’Introduzione alla norma UNI EN 81-80) si leggono le seguenti osservazioni: a) Gli ascensori esistenti sono stati installati con un livello di sicurezza adeguata all’epoca, livello che riguardo alla sicurezza è inferiore a quello odierno; devono essere perciò portati allo stato dell’arte in termini di sicurezza, senza di che il numero degli infortuni aumenterà. b) La durata della vita tende a crescere e i disabili e gli anziani o vecchi (non accompagnati) si aspettano accessi e progettazione adeguati. n. 1-2/2007 c) Il personale di servizio fisso agli ascensori e i portinai degli stabili sono sempre meno comuni e quindi è importante fornire misure di sicurezza rilevanti per il recupero di persone intrappolate. Riferimenti normativi - Dirett. CEE. 29.6.1995, n. 16, Ravvicinamento delle legislazioni relative agli ascensori. - D.P.R. 30.04.1999, n. 162, Regolamenti per l’attuazione della Direttiva 95/16/CE. - DM. 26.10.2005, Sicurezza degli ascensori installati prima della Direttiva 95/16ICE. - D.M. 16.1.2006, Regole per il miglioramento della sicurezza degli ascensori. «quaderni di legislazione tecnica» LE SOPRAELEVAZIONI NEL CONDOMINIO di Ettore Ditta ’art. 1127 cod. civ. contiene l’intera disciplina normativa su quella che viene denominata «costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio», più comunemente definita «sopraelevazione». Non esistono altre disposizioni in proposito, ma una parte importantissima delle norme regolatrici è contenuta nelle numerose sentenze emesse in proposito dalla giurisprudenza nel corso degli anni. L La sopraelevazione nel codice civile La sopraelevazione è la costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio che il proprietario dell’ultimo piano oppure il proprietario esclusivo del lastrico solare hanno il diritto di realizzare, tranne che il titolo non disponga diversamente. Il codice civile contiene la disciplina giuridica della sopraelevazione nell’art. 1127 con una serie di disposizioni piuttosto articolate ma che, comunque, non è idonea a risolvere tutti i dubbi che si presentano nella pratica. La disciplina codicistica La legge attribuisce al proprietario dell’ultimo piano e al proprietario esclusivo del lastrico solare il diritto di realizzare la sopraelevazione. Però si prevede anche che, quando viene deciso di elevare nuovi piani o nuove fabbriche al di sopra dell’ultimo piano, chi esegue la sopraelevazione deve versare agli altri condomini un’indennità compensativa, pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani (compreso quello da edificare) e detratto l’importo della quota a lui spettante; e inoltre è tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare. La sopraelevazione, tuttavia, non è ammessa quando le condizioni statiche dell’edificio non lo consentono; e inoltre gli altri condomini possono opporsi alla sopraelevazione quando quest’ultima pregiudi- 128 ca l’aspetto architettonico dell’edificio oppure diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti. Come si diceva prima, anche se la disciplina legale è dettagliata non riesce ad coprire tutte le questioni e ipotesi che si presentano in materia. Assai preziose quindi si rivelano le decisioni emesse dalla giurisprudenza e, ovviamente, soprattutto quelle emesse dalla Corte di cassazione, la quale - dopo tanti anni - ha elaborato un quadro ormai pressoché completo della disciplina regolatrice di tutti gli aspetti delle sopraelevazioni. Il diritto di eseguire la sopraelevazione L’art. 1127 cod. civ. prevede che in un edificio in condominio il proprietario dell’ultimo piano e il proprietario esclusivo del lastrico solare possono elevare nuovi piani o nuove fabbriche, a meno che il titolo (atto di acquisto oppure regolamento condominiale di tipo contrattuale) non disponga diversamente. Nella prassi non avviene quasi mai che il titolo vieti l’esercizio del diritto di sopraelevare; talvolta capita invece che il costruttore dell’edificio, a partire dalla vendita della prima unità immobiliare dell’edificio, inserisca nell’atto di acquisto un’apposita clausola che prevede che il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare hanno il diritto di eseguire la sopraelevazione senza obbligo però di corrispondere agli altri condomini alcuna indennità. In altre parole, sempre mantenendo fermi i limiti di cui si è detto prima (con riferimento al rispetto delle condizioni statiche dell’edificio, al pregiudizio dell’aspetto architettonico dell’edificio e alla notevole diminuzione dell’aria o della luce nei piani sottostanti), il sopraelevante acquista il diritto di realizzare la sopraelevazione senza essere tenuto a versare a tutti gli altri condomini l’indennità che normalmente dovrebbe versare. Chi acquista quindi un immobile e nell’atto vede una simile clausola deve ben considerare la situazione e valutare se, nella determinazione dell’atto di acquisto, si è tenuto conto anche di ciò. In realtà non è affatto cor- n. 1-2/2007 retto ritenere che sia pacifica l’esclusione dell’obbligo del pagamento dell’indennizzo agli altri condomini nel caso in cui l’atto di acquisto o il regolamento contrattuale (o entrambi) prevedono la riserva per il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare di sopraelevare senza dover versare alcun indennizzo; infatti come si vedrà a proposito dell’indennizzo - anche la più recente giurisprudenza afferma che, al fine di raggiungere questo risultato, è necessario che vi sia una espressa rinuncia degli altri condomini a percepire l’indennità e, in tal modo, si evita che il sopraelevante eluda l’obbligo previsto dalla legge e ricavi un ingiustificato guadagno, sfruttando la disattenzione oppure la superficialità degli acquirenti delle unità immobiliari dei piani inferiori. Nozione giuridica di sopraelevazione La sopraelevazione non è la costruzione oltre l’altezza precedente dell’edificio, ma la costruzione di uno o più piani nuovi (o di una o più fabbriche) sopra l’ultimo piano dell’edificio, quale che sia il rapporto con l’altezza precedente dello stesso (Cass. n. 12173 del 14 novembre 1991). Costituisce sopraelevazione, ai sensi dell’art. 1127 cod. civ., l’occupazione dell’area comune sovrastante l’ultimo piano, sia con un altro piano, sia con una nuova fabbrica, che può consistere anche in materiale diverso da cemento o laterizi, purché sia stabile e compatta (come nel caso di struttura in alluminio, immobilizzata solidamente su un terrazzo di copertura, di proprietà esclusiva) mentre è irrilevante che possa esser stata considerata dal giudice penale - per escludere il reato previsto dall’art. 17, lett. b), legge 10 del 28 gennaio 1977 pertinenza dell’appartamento (Cass. n. 5839 del 1° luglio 1997). La costruzione di un appartamento in sopraelevazione di un edificio preesistente non può essere qualificata come intervento di straordinaria manutenzione perché realizza sulla medesima superficie impegnata volumi nuovi che ne realizzano un ampliamento in ragione del quale esattamente si ravvisa nell’opera un’unità costruttiva nuova, che apporta, peraltro, una corrispondente modificazione della destinazione d’uso, esorbitante dalla manutenzione straordinaria e perciò con essa incompatibile (Cass. pen., Sez. III, n. 7314 del 10 febbraio 2000). Sebbene da un punto di vista meramente materiale la sopraelevazione possa esser considerata come una nuova costruzione - nella misura in cui, mediante la trasformazione dell’ambiente fisico realizza una nuova entità edilizia prima inesistente - in realtà essa è quella nuova costruzione realizzata non già su un’area libera, bensì con il rialzo di uno o più piani di un fabbricato già edificato, con ciò concretando una fattispecie giuridica sui generis e peculiare e, quindi, non assimilabile alla costruzione ex novo propriamente detta (Cons. Stato, Sez. V, n. 1245 del 4 novembre 1997). L’indennità di sopraelevazione L’indennità di sopraelevazione si giustifica con la maggiore utilizzazione obiettiva che il sopraelevante fa delle parti comuni, come il suolo, le fondazioni, i muri maestri, le scale, le tubazioni dell’acqua ecc. (Cass. n. 1844 del 13 febbraio 1993). Presupposti per l’indennizzo Un primo problema relativo all’obbligo di versare l’indennizzo si riferisce al fatto se la sopraelevazione debba richiedere necessariamente un innalzamento dell’originaria altezza dell’edificio oppure possa essere eseguita anche mediante modificazioni soltanto interne al sottotetto che non comportano aumento degli originari limiti strutturali delle parti dell’edificio sottostanti alla Condominio sua copertura. Alcune sentenze, per la sussistenza della sopraelevazione, esigono un aumento dell’altezza della costruzione rispetto a quella originaria. Si è affermato infatti da ultimo che, agli effetti dell’art. 1127 cod. civ., la sopraelevazione è costituita dalla realizzazione di nuove opere o nuove fabbriche che superino l’originaria altezza dell’edificio e che, pertanto, essa non è configurabile nel caso di modificazioni soltanto interne contenute negli originari limiti del fabbricato (Cass. n. 7764 del 20 luglio 1999). Nello stesso senso si possono ricordare anche: Cass. n. 10568 del 24 ottobre 1998 - l’indennizzo previsto dall’art. 1127 cod. civ. in favore di ciascun comproprietario in caso di sopraelevazione dell’edificio condominiale va corrisposto nella sola ipotesi di sopraelevazione realizzata mediante la costruzione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) sull’area sovrastante il fabbricato, con conseguente innalzamento dell’originaria altezza dell’edificio, ma non anche nel caso in cui il proprietario dell’ultimo piano apporti modificazioni soltanto interne al sottotetto - trasformandolo in unità abitativa autonoma - contenute negli originari limiti strutturali delle parti dell’edificio sottostanti alla sua copertura; Cass. n. 1498 del 12 febbraio 1998 -sussiste una sopraelevazione di edificio condominiale soggetta al relativo regime legale solo in presenza di un intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato, mentre va esclusa nel caso di lavori che, pur investendo la struttura e il modo di essere di tale copertura, non incidano sul posizionamento della stessa; Cass. n. 5164 del 10 giugno 1997 - i sottotetti, le soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili destinati a isolare il corpo di fabbrica dalla sua copertura costituiscono una pertinenza dell’intero edificio condominiale (o del suo ultimo livello) ove appartengano in via esclusiva al proprietario di questo e non danno luogo a loro volta a un piano a sé stante, essendo destinati a una funzione accessoria, quali depositi, stenditoi e camere d’aria a protezione degli alloggi sottostanti dal caldo, dal freddo e dall’umidità; con la precisazione che la ristrutturazione di locali del genere non comporta sopraelevazione, ai sensi dell’art. 1127 cod. civ., nei casi di modificazione soltanto interne, contenute negli originari limiti dell’edificio senza determinare alcun aumento della sua altezza. Ma sulla questione si è creato un contrasto nella stessa giurisprudenza della Cassazione, che in altra occasione più recente ha deciso (Cass. n. 6643 del 22 maggio 2000) che, nelle sopraelevazioni in condominio, l’art. 1127 cod. civ. prevede che il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio e il proprietario esclusivo del lastrico solare hanno il diritto di sopraelevare, con l’onere di corrispondere un’indennità agli altri condomini, non in ogni caso di sopraelevazione, intesa come pura e semplice costruzione oltre l’altezza precedente del fabbricato, bensì solo nel caso di costruzione di uno o più piani o di una o più nuove fabbriche sopra l’ultimo piano dell’edificio, indipendentemente dal rapporto con l’altezza precedente. Il contrasto giurisprudenziale, a questo punto, dovrà essere composto dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Effetti della cessione della colonna d’aria Anche a tale delicato proposito si deve registrare un contrasto giurisprudenziale. Secondo l’opinione più diffusa, qualora chi sopraeleva sia, in base al titolo, proprietario esclusivo non solo dell’ultimo piano o del lastrico solare, ma anche della colonna 129 Condominio d’aria soprastante, l’indennizzo agli altri condomini non è dovuto, perché sarebbe inconcepibile un indennizzo per l’utilizzazione di un bene che è proprio di chi lo usa a suo vantaggio mediante la realizzazione della sopraelevazione (Cass. n. 5556 del 14 ottobre 1988; prima ancora: Cass. n. 1084 del 26 marzo 1976 e n. 209 del 24 gennaio 1969). Più di recente però è stato affermato (Cass. n. 22032 del 22 novembre 2004) che, a differenza del sottosuolo, lo spazio sovrastante il lastrico solare (vale a dire la colonna d’aria) non costituisce oggetto di diritti e quindi non può neppure costituire oggetto di proprietà autonoma rispetto alla proprietà del lastrico; la proprietà della colonna d’aria va infatti intesa come diritto in capo al proprietario del lastrico di utilizzare senza alcuna limitazione lo spazio sovrastante mediante la sopraele-vazione, ma una disposizione contenuta nell’atto di vendita secondo cui il proprietario del lastrico solare (o di una porzione di esso) è proprietario anche della colonna d’aria soprastante non comporta affatto l’esonero per il proprietario dall’obbligo di corrispondere l’indennità agli altri condomini, a meno che non sia accompagnata dall’accettazione e dalla susseguente rinunzia da parte di tutti i proprietari dei piani sottostanti. In senso conforme alla sentenza n. 22032/2004, per quanto riguarda il problema della eventuale titolarità del diritto sullo spazio aereo soprastante il suolo era già stato affermato che quest’ultimo non costituisce un bene in senso giuridico e di conseguenza non può essere oggetto di diritti (Cass., Sez. Unite, n. 2084 del 4 maggio 1989); nel caso specificamente giudicato l’attribuzione dello spazio aereo a un soggetto diverso dal proprietario del suolo era stata qualificata come costituzione di un diritto di superficie sul suolo stesso. Sempre nello stesso senso, ancora prima: Cass. n. 596 del 21 febbraio 1968 - il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare, pur disponendo del diritto di sopraelevare, non ha la proprietà esclusiva della colonna d’aria sovrastante l’edificio e pertanto, in caso di sopraelevazione, deve corrispondere agli altri condomini un’indennità per il valore dell’area da occupare, che è compresa pro quota nel valore di ciascun piano o appartamento; Cass. n. 845 dell’11 aprile 1964 - il diritto di sopraelevazione appartiene al proprietario dell’ultimo piano oppure al proprietario esclusivo del lastrico solare, mentre il diritto di proprietà della colonna d’aria soprastante all’edificio appartiene ai proprietari dei piani sottostanti e trova, in caso di sopraelevazione, il suo corrispettivo nell’indennità prevista dall’ultimo comma dell’art. 1127 cod. civ La determinazione dell’indennizzo L’art. 1127 cod. civ. stabilisce che chi realizza la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante. Per la determinazione dell’indennizzo si deve fare riferimento al valore del suolo su cui deve essere effettuata la sopraelevazione e poi dividere l’importo relativo per il numero dei piani (compreso quello di nuova costruzione), detraendo infine dal quoziente ottenuto la quota che spetterebbe al condomino che ha sopraelevato (Cass. n. 1084 del 26 marzo 1976). La determinazione dell’indennità va effettuata con riferimento al momento dell’esecuzione della sopraelevazione tenendo conto inoltre della svalutazione monetaria verificatasi fino al tempo della concreta liquidazione (Cass. n. 4861 del 30 luglio 1981). L’indennità di sopraelevazione costituisce un debito 130 n. 1-2/2007 di valore soggetto alla rivalutazione monetaria (Cass. n. 9032 del 5 dicembre 1987). Per la decorrenza dei relativi interessi occorre la costituzione in mora ai sensi dell’art. 1282 cod. civ. (Cass. n. 10098 del 16 ottobre 1990). Se la sopraelevazione viene realizzata in un edificio che, pur essendo compreso in un complesso edilizio formato da più stabili, sia rivestito da connotazioni di autonomia e indipendenza rispetto agli altri fabbricati, l’indennità spetta non a tutti i partecipanti al complesso, ma esclusivamente ai proprietari degli appartamenti che si trovano nell’edificio interessato alla sopraelevazione (Cass. n. 4093 del 7 dicembre 1974). Quando un edificio viene sopraelevato di più piani in una unica operazione, l’indennità deve essere determinata dividendo il valore del suolo (su cui insiste l’edificio o la parte di esso che viene sopraelevata) per il numero complessivo dei piani (preesistenti e di nuova costruzione), moltiplicando poi il quoziente ottenuto per il numero dei piani sopraelevati e sottraendo, infine, dal prodotto così conseguito la quota che, tenuto conto del precedente stato di fatto e di diritto, sarebbe spettata al condomino che ha eseguito la sopraelevazione (Cass. n. 1300 del 5 aprile 1977). In caso di sopraelevazione eseguita su terrazzo di edificio condominiale, l’indennità spettante, ai sensi dell’art. 1127 cod. civ., ai condomini proprietari delle unità immobiliari sottostanti è correttamente calcolata in base alla superficie occupata dalla nuova fabbrica, compresa la porzione di essa già occupata da preesistenti manufatti di proprietà condominiale inglobati nella nuova costruzione, e senza tenere conto, invece, della porzione di terrazzo esterno protetta soltanto da tende o altro materiale (cosiddette pensiline), ancorché riservata a uso esclusivo del condomino sopraelevante (Cass. n. 1263 del 15 febbraio 1999). Il titolo contrario Come si detto, la sopraelevazione non è legittima nel caso in cui esista un titolo contrario, che può essere un regolamento condominiale contrattuale oppure un apposito contratto stipulato da tutti i condomini. È stato affermato che, dal momento che la facoltà di sopraelevare spetta per legge al suo titolare, solo un espressa pattuizione, costitutiva di una servitù assimilabile a quella di non edificare può vietarne l’esercizio (Cass. n. 805 del 28 gennaio 1983). Infatti il diritto di sopraelevare nuovi piani o nuove fabbriche spetta al proprietario esclusivo del lastrico solare o dell’ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi e con le limitazioni previste dall’art. 1127 cod. civ., senza necessità di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, mentre limiti o divieti all’esercizio di tale diritto, assimilabili a una servitù altius non tollendi (vale a dire di non costruire più in alto), possono esser costituiti soltanto con espressa pattuizione, che può esser contenuta anche nel regolamento condominiale, di tipo contrattuale (Cass. n. 15504 del 6 dicembre 2000). Il titolo può anche (Cass. n. 4632 del 21 maggio 1987): 1. vietare che all’ultimo piano altri manufatti vengano aggiunti a quelli preesistenti; 2. attribuire il diritto di sopraelevazione a un condomino diverso da quello considerato dall’art. 1127; 3. stabilire che il diritto debba essere esercitato dal suo titolare entro un termine stabilito a pena di decadenza. I limiti al diritto di sopraelevare La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono e in proposito è stato precisato che l’accertamento delle condizioni statiche dell’edificio non n. 1-2/2007 costituisce un limite all’esercizio del diritto, ma piuttosto un presupposto della sua esistenza (Cass. n. 1319 del 13 maggio 1973). Inoltre gli altri condomini possono opporsi all’opera, se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio oppure diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti. La nozione di «aspetto architettonico» a cui fa riferimento l’art. 1127 è diversa da quella di «decoro architettonico» prevista dall’art. 1120 cod. civ. in relazione alle innovazioni; infatti per aspetto architettonico si intende la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio, sicché l’adozione nella parte sopraelevata di uno stile diverso da quello della parte preesistente comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo percepibile da chiunque (Cass. n. 1947 del 27 aprile 1989). Inoltre i condomini possono opporsi, ai sensi dell’art. 1127, comma 3, cod. civ., alla sopraelevazione del proprietario esclusivo del lastrico solare o dell’ultimo piano di un edificio condominiale se il nuovo piano o la nuova fabbrica non soltanto ne alteri il decoro architettonico, come previsto per il divieto di innovazioni della cosa comune dall’art. 1120, comma 2, cod. civ., ma ne determini un pregiudizio economico, e cioè ne derivi una diminuzione del valore dell’immobile (Cass. n. 15504 del 6 dicembre 2000). I condomini possono opporsi alla sopraelevazione eseguita dal condomino dell’ultimo piano sul suo terrazzo a livello, o lastrico solare, che pregiudica le caratteristiche architettoniche dell’edificio e, se eseguita, ne possono chiedere la riduzione in pristino e il risarcimento del danno; ma la relativa azione, posta a tutela dei proprietari esclusivi del piano sottostante comproprietari delle parti comuni, è soggetta a prescrizione ventennale, perché il diritto soggettivo reale del condomino a far valere la non alterazione del decoro architettonico è disponibile e si prescrive per mancato esercizio ventennale, sicché il condomino che ha sopraelevato in violazione dell’obbligo previsto dal comma 3 dell’art. 1127 cod. civ. acquista, per usucapione, il diritto a mantenere la costruzione così come l’ha realizzata, diversamente dal caso in cui con essa comprometta le condizioni statiche dell’edificio, perché in questo caso non vi è un limite al suo diritto di sopraelevare, ma manca il presupposto stesso della sua esistenza, e perciò la relativa azione di accertamento negativo è imprescrittibile (Cass. n. 10334 del 19 ottobre 1998). È stato precisato che l’art. 1127 cod. civ sottopone il diritto del proprietario dell’ultimo piano alla sopraelevazione a tre limiti, dei quali il primo (condizione statica) introduce un divieto assoluto, cui è possibile ovviare se, con il consenso unanime dei condomini, il proprietario sia autorizzato all’esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo l’edificio a sopportare il peso della nuova costruzione, mentre gli altri due limiti (turbamento delle linee architettoniche, diminuzione di aria e di luce) presuppongono l’opposizione facoltativa dei singoli condomini contro interessati. Pertanto, l’art. 1127 ha carattere innovativo rispetto al corrispondente art. 12, R.D.L. 56 del 15 gennaio 1934, in quanto inibisce al proprietario dell’ultimo piano di sopraelevare se le condizioni statiche in atto dell’edificio siano sfavorevoli e la sopraelevazione richieda opere di rafforzamento e di consolidamento delle strutture essenziali (Cass. n. 2708 del 27 marzo 1996). Titolarità del diritto di sopraelevare Se esiste un proprietario esclusivo del lastrico, il diritto di sopraelevazione spetta in concreto a quest’ultimo e non al proprietario dell’ultimo piano (Cass. n. 4073 del 30 ottobre 1956). Condominio La facoltà di sopraelevare spetta anche al proprietario della terrazza a livello di proprietà esclusiva (Cass. n. 5776 del 25 ottobre 1988). In ogni caso il diritto di sopraelevazione può anche essere trasferito a un altro condomino oppure addirittura a un terzo estraneo al condominio (Cass. n. 1633 del 29 maggio 1971) il quale, una volta che ha realizzato la costruzione, acquisisce in tal modo la qualità di condomino di quell’edificio. Si deve notare peraltro che, costruendo sul suolo, il piano di proprietà (rispetto al quale opera l’accessione) si sposta verso l’alto, con l’effetto che l’accessione opera in modo autonomo relativamente a ciascun piano e il diritto di sopraelevazione spetta soltanto al proprietario dell’ultimo piano (Cass. n. 1844 del 13 febbraio 1993). Comproprietà dell’ultimo piano La facoltà di eseguire una sopraelevazione prevista dall’art. 1127 cod. civ. a favore del proprietario dell’ultimo piano, opera qualora l’ultimo piano appartenga pro indiviso a più persone - a ciascun comproprietario nei limiti della propria porzione di piano con utilizzazione dello spazio aereo sovrastante a ciascuna porzione, ma sempre col rispetto dei limiti indicati nei commi 2 e 3 dell’art. 1127 cod. civ. Casistica giurisprudenziale Attribuzione del diritto di sopraelevazione a un terzo In assenza di limitazioni contrattuali, quando il proprietario del suolo concede a un terzo il diritto di sopraelevazione, se il terzo, oltre al piano preventivato, ne eleva altri, è il costruttore - e non il proprietario del suolo - che deve considerarsi proprietario anche degli altri piani per effetto dell’espansione del dominio in virtù dell’accessione - Cass. n. 1844 del 13 febbraio 1993. Estinzione della servitù di non sopraelevazione In tema di estinzione del diritto di servitù negativa (il cui esercizio non si esplica nelle forme di un qualsivoglia comportamento positivo sul fondo servente), il non uso va identificato nella mancata osservanza dell’onere di riattivazione del diritto conseguente all’eventuale realizzazione di un fatto lesivo a opera del proprietario del fondo servente (fatto che si produce al solo verificarsi di un qualsivoglia impedimento dell’esercizio della servitù), con la conseguenza che, nella ipotesi in cui il titolare del fondo servente abbia, nonostante l’esistenza di una servitù di non sopraelevazione, edificato un ulteriore corpo di fabbrica ad altezza superiore al limite consentito, il mancato uso dello ius proibendi da parte del proprietario del fondo dominante comporta, se protratto per un periodo superiore ai vent’anni, l’estinzione per prescrizione della servitù, nei limiti segnati dalle dimensioni della costruzione eseguita e mantenuta - Cass. n. 326 del 16 gennaio 1998. Legittimazione a ricevere l’indennità Legittimato a esercitare il diritto a percepire l’indennità di sopraelevazione prevista dall’art 1127 cod. civ. deve ritenersi colui che rivestiva la qualifica di condomino al tempo della sopraelevazione od i suoi successori secondo le regole che disciplinano la successione nei diritti di credito, ma non anche colui che sia divenuto successivamente proprietario della singola unità immobiliare - Cass. n. 1263 del 15 febbraio 1999. Necessità della concessione La sopraelevazione di un edificio costituisce intervento edilizio per il quale è necessaria la concessione edili zia ed, in quanto tale, rientra nel vincolo di inedificabilità della fascia di rispetto 131 Condominio del depuratore previsto dal P.R.G. - Cons. Stato n. 2456 dell’8 maggio 2002. Poteri dell’amministratore L’amministratore è legittimato, senza necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini, a instaurare il giudizio per la demolizione della sopraelevazione dell’ultimo piano dell’edificio, costruita dal condomino in violazione delle prescrizioni e delle cautele fissate dalle norme speciali antisismiche, ovvero alterando l’estetica della facciata dell’edificio, perché tale atto, diretto a conservare l’esistenza delle parti comuni condominiali, rientra negli atti conservativi dei diritti, che, ai sensi dell’art 1130, n. 4, cod. civ. è attribuito all’amministratore - Cass. n. 13611 del 12 ottobre 2000. Realizzazione di una terrazza di pertinenza La sostituzione, a opera del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio condominiale, di una parte del tetto con terrazza di pertinenza della propria unità immobiliare e a proprio uso esclusivo costituisce alterazione della destinazione della cosa comune, in violazione dell’art. 1102 comma 1, cod. civ. e non può considerarsi insita nel più ampio diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell’ultimo piano - Trib. Piacenza 8 novembre 2000. Revisione delle tabelle millesimali La sussistenza di una sopraelevazione non implica necessariamente la revisione delle tabelle millesimali che, ai sensi dell’art 69, n. 2, disp. att cod. civ., possono essere rivedute e modificate solo quando sia stato notevolmente alterato il rapporto originario dei valori dei singoli piani o porzioni di piano - Cass. n. 9579 del 13 settembre 1991. Rapporto fra il diritto di sopraelevare e il diritto di superficie La Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto di sopraelevazione è diverso dal diritto di superficie su un edificio costruito o da costruire, attribuito a un terzo dai condomini, in quanto il primo incontra i limiti stabiliti dall’art 1127, mentre il secondo è invece soggetto solo alle condizioni previste dal contratto - Cass. n. 4078 del 12 dicembre 1975. Rispetto delle distanze La disciplina delle distanze legali tra costruzioni su fondi finitimi si applica anche alle sopraelevazioni, che rappresentano, a tutti gli effetti, nuove costruzioni, come espressamente prevedeva l’art. 571, ultimo capoverso, del codice civile abrogato - Cass. n. 5246 dell’1 1 giugno 1997. La sopraelevazione anche se di ridotte dimensioni comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti e quindi anche per la disciplina delle distanze come nuova costruzione - Cass. n. 6809 del 24 maggio 2000. In caso di sopraelevazione il criterio della prevenzione non esclude che il preveniente, al pari del prevenuto, sia obbligato al rispetto della sopravvenuta disciplina regolamentare integrativa di quella dettata dal codice civile e debba, pertanto, effettuare le sopraelevazioni del proprio fabbricato rispettando la diversa distanza legale stabilita da tale disciplina, con la conseguente esclusione del diritto a sopraelevare in allineamento con l’originaria costruzione, ove afferente a una distanza non più consentita - Cass. n. 5892 del 26 maggio 1995. Sottotetto L’utilizzazione del cosiddetto sottotetto, originariamente adibito a soffitta, come unità abitativa non può essere considerata come una forma di sopraelevazione, dal momento che in tal modo non vengono costruiti né i nuovi piani, né le nuove fabbri- 132 n. 1-2/2007 che che l’art 1127 cod. civ. prevede - Cass. n. 680 del 24 gennaio 1983. Terrazza realizzata in occasione di una sopraelevazione La terrazza realizzata in occasione della sopraelevazione di un edificio in sostituzione del tetto preesistente costituisce essa stessa una sopraelevazione con il conseguente obbligo di indennizzo, quando, oltre ad assolvere la funzione di copertura, acquisti, per struttura e ubicazione, il carattere di bene di proprietà e uso esclusivo del proprietario dell’ultimo piano ovvero sia destinata al godimento anche dei condomini estranei alla sopraelevazione Cass. n. 99 del 7 gennaio 1980. Trasformazione del tetto a spiovente in lastrico solare Circa il diritto di realizzare una sopraelevazione mediante la trasformazione del tetto a spiovente in lastrico solare, in precedenza era stato deciso che il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio può anche trasformare il tetto spiovente in lastrico solare di uso esclusivo, pagando l’indennità agli altri condomini Cass. n. 99 del 7 gennaio 1980. Successivamente invece è stato deciso che, al contrario, una sostituzione di questo tipo costituisce una alterazione della destinazione della cosa comune che comporta la violazione dell’art 1102, comma 1, cod. civ., e che non può considerarsi insita nel diritto di sopraelevazione - Cass. n. 3369 del 28 marzo 1991. La sostituzione a opera del proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale del tetto con una diversa copertura (terrazza) che, pur non eliminando l’assolvimento della funzione originariamente svolta dal tetto stesso, valga a imprimere al nuovo manufatto per le sue caratteristiche strutturali e per i suoi annessi anche una destinazione a uso esclusivo dell’autore dell’opera, costituisce alterazione della destinazione della cosa comune e non può considerarsi insita nel più ampio diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell’ultimo piano - Cass. n. 4466 del 20 maggio 1997. Trasformazione del tetto in terrazza «in trincea» L’opera risultante dalla trasformazione del tetto in terrazza «in trincea» è qualificabile come sopraelevazione ai sensi dell’art. 1127 cod. civ., perché la realizzazione della stessa comporta un’attività edificatoria riconduci-bile nell’alveo delle “nuove fabbriche” a cui si riferisce l’art. 1127 stesso - Trib. Bologna 24 giugno 1998. Terrazza a livello La terrazza a livello, anche se di proprietà esclusiva, è equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura dell’edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale è considerata anche nel regime della sopraelevazione; con la conseguenza che il regolamento condominiale può limitare il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell’appartamento a cui la terrazza afferisce soltanto se esso ha natura contrattuale - Cass. n. 7678 del 19 luglio 1999. Sopraelevazione e servitù di veduta Non costituisce aggravamento della servitù di veduta, ai sensi dell’art 1067 cod. civ., la sopraelevazione sul lastrico solare con apertura di finestre in corrispondenza dei vani di abitazione di nuova realizzazione, in quanto la trasformazione dell’affaccio occasionale dal parapetto del lastrico stesso in quello quotidiano dalle indicate finestre non determina un incremento della inspectio e della prospectio sugli appartamenti vicini, essendo al contrario la veduta meno ampia e panoramica rispetto all’originario affaccio esercitato dal parapetto del terrazzo - Cass. n. 11938 dell’8 maggio 2002. «Consulente Immobiliare » n. 1-2/2007 Condominio EVOLUZIONE DELLA FIGURA DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO di Alberto Celeste Sommario: 1. La lunga attesa. - 2. I requisiti soggettivi. - 3. Il contrasto giurisprudenziale. - 4. La tesi sostenuta. - 5. La pluralità di amministratori.- 6. La specializzazione della professione. 1. La lunga attesa. L’abbiamo aspettata per tanti anni, e alla fine è arrivata. Erano trascorsi ben 12 anni da quando il S.C. si era espresso l’ultima volta sulla questione relativa ai requisiti soggettivi inerenti alla figura dell’amministratore di condominio, in particolare se tale funzione potesse essere esercitata anche da una persona giuridica (e precisamente da una società), oppure, per contro, dovesse essere per forza svolta da una persona fisica. Curiosamente, tale questione non arriva ai giudici di legittimità in modo, per così dire, diretto, ossia attraverso la classica impugnativa davanti al tribunale (di regola, competente stante l’indeterminabilità del valore della relativa controversia) contro la delibera dell’assemblea dei condomini in cui si nominava amministratore di un determinato condominio — non il Sig. M.R., bensì — la S.r.l. R.; il ricorso per cassazione, infatti, viene spiegato nei confronti di una sentenza del giudice di pace, che accoglieva l’opposizione proposta da un condomino avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dal suo condominio, rappresentato però da una società di capitali; il difetto di legittimazione attiva in capo a quest’ultima esimeva il magistrato onorario dall’entrare nel merito della pretesa monitoria, e la relativa sentenza, essendo di importo inferiore a € 1.110,00 — e non di € 2.258,28 come erroneamente indicato nella sentenza in epigrafe, evidentemente prendendo in considerazione il limite massimo della competenza per valore ex art. 7, comma 1, c.p.c. — poteva essere impugnata per saltum in cassazione, che poteva così delibare, sotto il profilo della violazione delle norme processuali e di quelle sostanziali cui le prime facessero rinvio, sulla contestazione della capacità di stare in giudizio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 75 c.p.c. e 1129 c.c., di una società di capitali nominata, appunto, amministratore di quel condominio. In realtà, nel giudizio di opposizione davanti al giudice di pace, la questione preliminare sollevata dal condomino opponente travalicava la competenza del magistrato onorario come sopra delimitata; in altri termini, veniva in discussione la legittimità della delibera di nomina della società ad amministratore di condominio, sicché forse il suddetto giudice avrebbe fatto meglio a sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c, rimettendo le parti davanti al tribunale per la risoluzione della questione giuridica dalla cui definizione dipendeva l’esito dell’opposizione proposta davanti a lui. Il problema è che la delibera, se del caso viziata per l’illegittimità della predetta nomina, poteva configurarsi al massimo come annullabile, giammai nulla alla luce anche del recente orientamento della giurisprudenza1, e con tutta probabilità i termini per impugnarla ex art. 1137, comma 3, c.c. erano belli che scaduti; paradossalmente, se il S.C. fosse andato di contrario avviso, ossia affermando che solo una persona fisica poteva ricoprire la carica di amministratore di condominio, il decreto ingiuntivo sarebbe stato revocato, ma la società avrebbe continuato tranquillamente di fatto ad operare come amministratore di quel condominio (convocando le assemblee, riscuotendo i contributi, ecc.), non potendo la decisione assembleare relativa alla sua nomina essere vieppiù attaccata, salvo per il condomino vittorioso la necessità di impugnare volta per volta le singole delibere sollevando la questione preliminare di cui sopra oppure, più ragionevolmente, esausto dalla resistenza della maggioranza dei condomini, aspettare l’anno di durata dell’incarico ai sensi dell’art. 1129, comma 1, c.c. ed attendere ... al varco la conferma illegittima della società, impugnandone la relativa statuizione una volta per tutte. Ma queste sono altre considerazioni secundum eventum litis che possono lasciare il tempo che trovano. 2. I requisiti soggettivi. Per inquadrare correttamente la problematica affrontata dalla sentenza in rassegna, va premesso che i condomini sono completamente liberi di far cadere la scelta dell’amministratore su chiunque, avendo però sempre presente il generale interesse della comunità, con esclusione, comunque, allo stato, che sia necessario il possesso di un determinato titolo professionale, o l’iscrizione a particolari albi professionali (sono oggetto di studio e discussione varie iniziative parlamentari tese ad istituire un elenco o registro degli amministratori di condominio, la cui iscrizione dovrebbe essere subordinata a dati requisiti sia personali che professionali, oppure al superamento di un esame di idoneità). Tuttavia, se nel regolamento condominiale esistono precise indicazioni relative ai soggetti che tale funzione debbano ricoprire, l’assemblea è tenuta alla loro osservanza, e lo stesso vincolo è da ritenere che sussista per il giudice qualora sia adito per l’intervento sostitutivo di cui all’art. 1129, comma 1, c.c. In particolare, il predetto regolamento potrebbe contemplare delle incompatibilità, ossia delle situazioni ostative alla carica di amministratore — si pensi al fatto di essere apparso nel bollettino dei protesti cambiari, l’aver commesso delitti contro il patrimonio, come ad esempio l’appropriazione indebita o la truffa, e così via — che inducano a ritenere (o semplicemente sospettare) che l’espletamento del mandato da parte del soggetto designato non si svolga secondo le esigen- (1) V., per tutte, Cass., Sez. Un., 7 marzo 2005 n. 4806, in questa Rivista, 2005,1, 1116, con nota di A. CELESTE, Ribadito dalle Sezioni Unite il recente revirement della Corte di Cassazione sulla differenza tra delibere condominiali nulle e annullabili. 133 Condominio ze del condominio e non dia garanzie di serietà, correttezza e lealtà; lo stesso regolamento potrebbe prescrivere dati requisiti in capo al nominando, come essere in possesso di determinati titoli di studio (geometra, ragioniere, dottore commercialista, ecc.), o svolgere certe funzioni in relazione ai servizi che quel condominio necessita (giardiniere, custode, ecc.). In quest’ordine di concetti, appare legittimo, ad esempio, il patto con cui si stabilisca che l’amministratore debba essere sempre un condomino, in quanto la previsione di un conflitto di interessi che potrebbe sorgere in occasione dell’approvazione della relativa gestione non costituisce valido motivo per negare la possibilità di tale opzione, senza considerare che una cattiva gestione, finalizzata al proprio tornaconto, finirebbe con il provocare danni anche allo stesso condomino; se si è optato per un condomino, ovviamente, è invalida qualsiasi disposizione che contempli una qualsiasi discriminazione tra i relativi partecipanti, preferendo dati condomini (ad esempio, quelli che originariamente costituirono il condominio), oppure escludendone altri (si pensi a quelli che non raggiungono una determinata caratura millesimale). Non si esclude, inoltre, che il regolamento condominiale — specie nei condomini di non rilevanti dimensioni — possa, anche per ragioni di giustizia distributiva e di economia, stabilire l’obbligo per tutti i condomini di esercitare, a turno, le funzioni di amministratore (di solito gratuitamente); in tal caso, dubbi potrebbero sorgere qualora l’assemblea decida di confermare l’amministratore uscente, o nominare un altro condomino sovvertendo l’ordine turnario. È, infine, possibile (e talvolta auspicabile) che il regolamento imponga che sia un estraneo a ricoprire la carica di amministratore, possibilità peraltro ricavabile anche dall’art. 1106 c.c. — norma prevista per la comunione, ma applicabile al condominio in forza del rinvio di cui all’art. 1139 c.c. — che contempla l’eventualità che l’amministrazione possa essere delegata anche ad un estraneo. Stante, quindi, il silenzio della legge sul punto ed in difetto di una disposizione regolamentare ad hoc, occorre far riferimento ai concetti generali della capacità di agire, sicché la scelta deve cadere su un soggetto giuridicamente capace, maggiore di età (18 anni), che non sia dichiarato interdetto né inabilitato; ad esempio, potrebbe essere designato un soggetto privo di titoli di studio, o addirittura un analfabeta, uno straniero, con precedenti penali (anche se abbiano comportato l’applicazione della pena accessoria dell’incapacità ad assumere incarichi direttivi prevista dall’art. 2641 c.c.). Si ritiene, comunque, che l’amministratore non debba essere in lite con il condominio, né dipendente dello stesso, come ad esempio il portiere, in quanto, nel primo caso, l’evidente conflitto di interessi e, nel secondo caso, il rapporto di subordinazione precluderebbero una serena, corretta e proficua gestione del condominio. n. 1-2/2007 Dubbi potrebbero sussistere per quanto riguarda la persona del fallito, se cioè la dichiarazione di fallimento possa considerarsi causa ostativa all’assunzione della carica di amministratore di condominio; dall’insieme delle disposizioni contenute nella legge fallimentare, si può dedurre che il fallimento precluda ad un soggetto la possibilità di essere nominato amministratore di condominio (v. l’art. 42 che dispone la perdita della capacità di amministrazione dei beni a seguito dello spossessamento, nonché l’art. 48 che prevede la consegna al curatore della corrispondenza consegnata al fallito); qualificato, poi, il rapporto tra l’amministratore ed il condominio in termini di mandato, va rilevato che questo si estingue ex art. 78 l. fall, e, stante l’infungibilità della prestazione, il curatore non subentra al fallito (ad esempio, nella partecipazione alle assemblee); infine, si può applicare analogicamente il disposto dell’art. 2382 c.c., che, in tema di società per azioni, tra le cause di ineleggibilità (e di decadenza) alla carica di amministratore contempla il fallimento (oltre l’interdizione e l’inabilitazione)2. Infine, la questione relativa alla possibilità per l’impiegato statale (o di un ente pubblico) di rivestire le funzioni di amministratore di condominio è stata risolta positivamente; la situazione di incompatibilità non è stata rinvenuta nemmeno sotto il profilo della violazione degli artt. 60 ss. del d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, e successive modifiche ed integrazioni (v. oggi, per il pubblico impiego, la l. 23 dicembre 1996 n. 662), in ordine al divieto di esercizio di commercio, industria o altra professione o impieghi alle dipendenze di terzi, in quanto si è sostenuto che la trasgressione di tale divieto possa comportare l’eventuale irrogazione di sanzioni disciplinari — specie se si tratti di un’attività continuata ed organizzata che configuri un vero e proprio secondo lavoro — ma non l’invalidità dell’attività negoziale attraverso cui la trasgressione è stata realizzata3. 3. Il contrasto giurisprudenziale. La vexata quaestio ha riguardato, però, la nomina, da parte dell’assemblea dei condomini, di un amministratore-società e, sul punto, si è registrato subito un contrasto nella giurisprudenza di merito. Per la soluzione positiva4, si ritiene ammissibile l’incarico, per la cura e la gestione delle cose comuni, ad una società, in quanto il condominio è dotato di autonomia organizzativa finalizzata al perseguimento di scopi specifici, per cui i compiti dell’amministratore appaiono delineati e circoscritti dalla legge, dall’assemblea e dal regolamento; inoltre, non sussiste nella specie l’intuitus personae, potendo l’amministratore, nell’inerzia dell’assemblea, essere nominato dall’autorità giudiziaria; si aggiunge, infine, che l’elemento fiduciario non è ontologicamente incompatibile con la struttura societaria5. (2) Al riguardo, Cass., 22 ottobre 1981 n. 5527, in Giur. it., 1982, 1, 1, 1444, afferma che l’art. 1728, comma 2, c.c., il quale, per il caso di estinzione del mandato per sopravvenuta incapacità del mandatario fa carico a colui che lo rappresenta di avvertire prontamente il mandante, nonché di prendere, prima che tale provvedimento giunga a conoscenza del mandante stesso, i provvedimenti richiesti dalle circostanze, trova applicazione, per analogia, nel caso di estinzione del mandato per l’instaurarsi del fallimento od altra analoga procedura concorsuale a carico del mandatario, nel senso che i suddetti obblighi gravano sul curatore del fallimento o sugli altri organi delle procedure concorsuali assimilate. (3) In argomento, v. Cons. Stato, 23 aprile 1969 n. 125, in Foro amm., 1969,1, 2, 346; Trib. Napoli, 15 luglio 1960, in questa Rivista, 1961, 57. (4) Trib. Piacenza, 24 gennaio 1991, in Arch. toc. e cond., 1992, 158; Trib. Roma 31 maggio 1989, in Giusi, civ., 1989, I, 2484. (5) Un pò troppo semplicistica la soluzione offerta da F. LAZZARO-W. STINGARDINI, L’amministratore de! condominio, Milano, 1982, 37, secondo i quali l’art. 1105 c.c. attribuisce a tutti i partecipanti, e senza distinzioni di sorta, il diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune, sicché ben può avvenire che uno dei partecipanti, ossia un condomino, sia una società, la quale, ovviamente, agirà attraverso i suoi organi rappresentativi. 134 n. 1-2/2007 A favore dell’opposta tesi6, si afferma che l’impossibilità della nomina di una società commerciale è data dal fatto che verrebbe meno il principio personale della fiducia e della sovrapposizione di due soggetti, l’uno dipendente dal condominio e l’altro dall’assemblea della società stessa; si rileva, poi, che la mancanza dell’esatta individuazione del titolare, quale amministratore del condominio, comporta la volontà di attribuire l’incarico a tutti i partecipanti, indistintamente, promiscuamente e alternativamente, a meno che sia indicata la persona fisica che la rappresenta; da ultimo, si osserva che la normativa sul condominio presuppone che l’amministratore sia comunque una persona fisica. Il S.C. è intervenuto, nel 1994, con due sentenze in «apparente contrasto»7. In una8 si trattava di stabilire se l’amministrazione condominiale potesse essere assunta da una società di fatto tra due soggetti personificati, e la risposta è stata affermativa sul presupposto che nessuna norma pone il divieto di nominare una pluralità di amministratori con la ripartizione eventuale degli incarichi da parte dell’assemblea per una migliore organizzazione al fine di evitare conflitti nell’azione dei vari amministratori; non vi è, pertanto, preclusione alcuna a che amministratore di condominio sia una società di persone, e nella specie, nella persona dei due soci, e la pluralità di amministratori viene a configurarsi per il dettato dell’art. 1106 c.c., applicabile in materia condominiale per il richiamo di cui all’art. 1139 c.c.; peraltro, la ratio che giustifica la delega dell’amministrazione della comunione a più partecipanti, ossia la maggiore tutela degli interessi dei singoli partecipanti rimessa alla loro volontà, è valida anche in tema di condominio. Nell’altra sentenza9, si escludeva espressamente la possibilità che l’amministratore condominiale potesse essere una società di capitali, in quanto la disciplina del codice civile presuppone necessariamente l’amministratore come persona fisica, come si evince dal fatto che, in caso di richiesta, da parte di un condomino, tesa alla revoca dell’incarico qualora emergano sospetti di gravi irregolarità ai sensi del comma 3 della predetta norma, il controllo del giudice sugli atti dell’amministratore è esercitato — con la necessaria garanzia del contraddittorio — su fatti concretamente riferibili a singole persone fisiche, e, vertendosi in tema di responsabilità personale, l’amministratore non può sottrarsi richiamandosi a regole proprie di un’organizzazione sociale e presentando al giudice un soggetto che è semplice esecutore di direttive e rappresentante di interessi altrui; il fatto, poi, che la struttura societaria sia incompatibile con l’incarico di amministrare un condominio, si evince dal decisivo rilievo per cui il predetto incarico va inquadrato nell’ambito del rapporto di mandato Condominio — sia pure collettivo — che è un istituto basato essenzialmente sulla fiducia. È vero che, in generale, il mandato, pur essendo caratterizzato dall’elemento della fiducia, non è tuttavia basato necessariamente sull’intuitus personae, potendo il mandatario avvalersi dell’opera di un sostituto (v. art. 1717 c.c.), salvo che il divieto sia espressamente stabilito o si tratti di attività rientranti nei limiti di un incarico fiduciario affidato ad un determinato soggetto, conseguendone che, stante la qualificazione dell’amministratore condominiale come mandatario, deve ammettersi che questi possa, in difetto di contraria manifestazione nell’atto di nomina, delegare le proprie funzioni ad un terzo, se del caso anche con attribuzione di rappresentanza processuale, sempre che questa sia conferita unitamente alla rappresentanza sostanziale10. Ma è altrettanto vero che, nel caso dell’amministratore di condominio, si ha il conferimento di un incarico attribuito in considerazione della fiducia riposta nella singola persona designata 11 , considerando, tra l’altro, i particolari compiti affidatigli dalla legge (v., soprattutto, le attribuzioni elencate nell’art. 1130 c.c.), l’obbligo del rendiconto al termine del periodo fissato dalla legge (un anno) ed il potere della collettività di verificare il risultato della gestione, in modo da poter rinnovare la fiducia o designare altra persona reputata più idonea per capacità e professionalità, salva sempre la possibilità di revoca «in ogni tempo dall’assemblea». 4. La tesi sostenuta. Su questo acceso dibattito è intervenuta, da ultimo, la Cassazione con la sentenza in rassegna, la quale ha affermato, a chiare note, che anche una persona giuridica può essere nominata amministratore del condominio negli edifici. Il ragionamento adottato segue sostanzialmente due direttrici: da un lato, si cerca di smontare l’assunto secondo cui il mandato e, in particolare, quello collettivo conferito dai condomini all’amministratore, sia necessariamente ricollegabile ad una persona fisica, e, dall’altro, si tenta di enfatizzare la generale capacità giuridica della persona giuridica, e in particolare della società. Sotto il primo profilo, il Supremo Collegio prende le mosse da quell’indirizzo giurisprudenziale sopra delineato12 , secondo cui la disciplina del condominio sembra supporre necessariamente la figura dell’amministratore come persona fisica, per sostenere che i suesposti argomenti non appaiono convincenti. Invero, si è revocato in dubbio il nesso tra il rapporto di mandato e la fiducia e, ad un tempo, l’imputabilità della responsabilità alla sola persona fisica; d’altra parte, non ha persuaso l’asserto che la disciplina del condominio negli edi- (6) Trib. Genova, 15 ottobre 1992, in Arch. toc. e cond., 1993, 112, che ha dichiarato nulla la nomina di un amministratore condominiale non indicato con il proprio nome e cognome, ma attraverso il solo riferimento ad un dato studio immobiliare; Trib. Milano, 15 marzo 1990, id. 1991, 156; Trib. Monza, 22 dicembre 1988, in Foro pad., 1989, I, 359. (7) Così G. TERZAGO, in G.TERZAGO-A. CELESTE, L’amministratore, Milano, 2004, 23. (8) Cass., 24 dicembre 1994 n. 11155, in Giust. civ., 1995,1, 675, con nota di R. TRIOLA, ed annotata, altresì, da N. Izzo, in Con. giur., 1995, 476. (9) Cass., 9 giugno 1994 n. 5608, in Foro il., 1994, I, 3436, commentata da M. DETILLA, in Rass. locai, e cond., 1994, 660. (10) Così Cass., 22 luglio 1999 n. 7888, in questa Rivista, 2000,1, 78; sull’impossibilità di conferire legittimamente ia rappresentanza processuale separatamente da quella sostanziale, v., sul versante societario, Cass., 24 febbraio 1997 n. 1681, in Foro it., Rep., 1997, voce Procedimento civile n. 83, e Cass., 3 maggio 1990 n. 3666, id. Rep., 1990, voce cit. n. 58. (11) Da tenere distinto, comunque, la figura del sostituto autorizzato momentaneamente dall’assemblea o quella del supplente previsto dal regolamento per i casi di impedimento temporaneo dell’amministratore. (12) Cass. 5608/1994 cit., peraltro emessa prima della richiamata normativa di cui al d.lgs. 16 febbraio 1996, n. 104. 135 Condominio fici supponga necessariamente la figura dall’amministratore come persona fisica13. Al contrario, si è osservato che, in tanto può parlarsi di fiducia o di intuitus personae, in quanto si riscontrino regole della disciplina positiva dettata per il mandato che siano sorrette dall’elemento fiduciario e per conseguenza, si possano isolare specifici effetti del regime giuridico del mandato riconducibili alla fiducia e all’intuitus; ma la natura fiduciaria del mandato viene ridimensionata, se non del tutto esclusa, dal momento che gran parte delle norme, la cui ratio veniva in passato rinvenuta nella fiducia, ad una più approfondita indagine sono risultate estranee alle esigenze legate al peculiare affidamento che un soggetto riponga sull’altro, ovvero rivestono un significato diverso da quello che loro si attribuiva. Per la verità, la fiducia in senso proprio e cosa diversa dall’affidamento nel corretto adempimento dell’obbligazione dell’altra parte 14 ; in tanto ha un senso parlare di negozio intuitus personae, in quanto l’affidamento di un contraente verso l’altro divenga così intenso da giustificare la produzione di conseguenze giuridiche; al contrario, nel mandato la particolare rilevanza della persona o delle qualità del mandatario non influisce sulla disciplina, posto che il mandato, come tipo legale, non è caratterizzato dalla personalità della prestazione del mandatario. L’incedibilità inter vivos degli obblighi del mandatario, piuttosto che dal carattere personale degli obblighi stessi, dipende dell’applicazione della disciplina dettata in materia di trasferimento delle obbligazioni passive (artt. 1273 ss. e 1406 ss. c.c.); non trova giustificazione, poi, in un elemento fiduciario l’assetto dello scioglimento, in ordine a talune cause speciali di estinzione, quali la revoca o la rinuncia (art. 1722, nn. 2 e 3, c.c.) ed il fallimento (art. 78 legge fallimentare); quanto, infine, all’estinzione per morte o sopravvenuta incapacità di uno dei contraenti (art. 1722 n. 4, c.c.) e all’intrasmissibilità mortis causa del rapporto non sussiste la ratio fìduciae, poiché lo scioglimento trova la propria fonte non nella fiducia, ma nel carattere personale della valutazione dell’interesse compiuta in precedenza dal mandante. Sotto il secondo profilo, ad avviso del S.C., dal dibattito in tema di assunzione dell’ufficio di amministratore di un’associazione non riconosciuta da parte di una persona giuridica, si sono ricavati argomenti ulteriori: il sistema non conosce, infatti, disposizioni limitative della capacità o della legittimazione della persona giuridica, se non nei casi tassativamente previsti 15 ; siffatte disposizioni, per la verità, sarebbero in n. 1-2/2007 contrasto con le finalità e con l’evoluzione dell’istituto dell’amministratore di condominio, ragion per cui negare alla persona giuridica la facoltà di essere amministratore con l’addurre che le attività inerenti a tale ufficio esigono attribuiti propri dell’uomo appare del tutto infondato16. D’altra parte, si è evidenziato che, per quanto attiene all’esatto adempimento di tutte le obbligazioni, le persone giuridiche presentano coefficienti di affidabilità non minori e diversi da quelli della persona fisica. La qualità dell’oggetto sociale (laddove è prevista l’amministrazione dei condomini); la congruenza di esso rispetto alla situazione dell’ambiente e del tempo in cui l’oggetto deve essere perseguito; la razionale coordinazione degli elementi personali e patrimoniali della persona giuridica; il credito sociale derivante alla funzionalità del complesso; il modo statutario dell’elezione degli organi sociali; la pubblica stima che solitamente accompagna, di volta in volta, gli organi personali di amministrazione e di controllo: tutti questi elementi si traducono in sintesi nella valutazione di affidabilità della persona giuridica, e tutto ciò porta a collocare sul medesimo piano — per quanto concerne l’affidabilità circa l’esatto adempimento delle obbligazioni e l’imputazione della responsabilità — la persona fisica e la persona giuridica. Ancora, una visione più completa del sistema si è ricavata dalle norme, che regolano l’attività delle società concernenti l’amministrazione di immobili; non tanto dalla 1. n. 1966 del 1939, la quale prevedeva la possibilità per le società fiduciarie di assumere «l’amministrazione di beni per conto terzi », con la sola circoscritta esclusione delle attività riservate agli iscritti alle categorie professionali17 , ma soprattutto dal d. legisl. n. 104 del 1996, che, all’art. 3, prevede l’affidamento a società specializzate della gestione dei beni immobili dimessi dagli enti previdenziali e, virtualmente, della «gestione dei servizi condominiali ». Concludono i giudici di legittimità che, non esistendo alcuna disposizione di legge, la quale abbia escluso che la persona giuridica possa esercitare l’incarico di amministratore di condominio, la soluzione della questione, che non può essere decisa con una precisa disposizione di legge e nemmeno avendo riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, deve ricavarsi dai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato (v. art. 12 disp. prel.); in quest’ottica, la capacità generalizzata delle persone giuridiche deve considerarsi come principio dell’ordinamento e, nell’ambito della capacità generalizzata, in difetto di specifi- (13) In ordine al summenzionato rilievo secondo cui, in caso di richiesta di revoca dell’incarico da parte di un condominio ai sensi dell’art. 1129, 3° comma, c.c. qualora emergano sospetti di grave irregolarità, il controllo del tribunale sugli atti dell’amministratore viene esercitato, con la necessaria garanzia del contraddittorio, su fatti concretamente riferibili a singole persone fisiche, già R. TRIOLA, Il condomìnio, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, vol. VII, tomo III, Torino 2002, 392, aveva messo in guardia che, « nulla, in linea di principio, si oppone a che i sospetti di gravi irregolarità che giustificano la richiesta di revoca giudiziale dell’amministratore di condominio possano essere ravvisabili nell’attività compiuta - attraverso i suoi organi - da una società di capitali che avesse assunto tale carica». (14) Sul versante dottrinale, v. A. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, Milano 1984, 181. (15) Nel nostro ordinamento, di regola, è consentito che le persone giuridiche possano godere di una capacità che si estende a tutti i rapporti che lo stesso ordinamento provvede a disciplinare, salvo ovviamente - oltre le menzionate limitazioni tassativamente contemplate dal legislatore - quelli incompatibili con la loro particolare natura (ad esempio, unirsi in matrimonio, avere figli, adottare bambini, e, in generale, tutti i rapporti di natura familiare). (16) Anche se pò datato ma sempre attuale, v. A. CANDÌ AN, Una persona giuridica in funzione di amministratore di associazione non riconosciuta, in Temi, 1959, 324. (17) L’art. 1 della 1. 23 novembre 1939 n. 1966, sulla disciplina delle società fiduciarie e di revisione, recita: « Sono società fiduciarie e di revisione e sono soggette alla presente legge quelle che, comunque denominate, si propongono sotto forma di impresa, di assumere l’amministrazione dei beni per conto terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni ed obbligazioni »; peraltro, l’art. 199 del d. legisl. 24 febbraio 199S n. 58 (t.u. sull’intermediazione finanziaria) prevede che, fino alla riforma organica della disciplina delle società fiduciarie e di revisione, conservano vigore le disposizioni di cui alla 1. n. 1966 del 1939. 136 n. 1-2/2007 che disposizioni contrarie, si comprende la possibilità di una persona giuridica di essere nominata amministratore di condominio. 5. La pluralità di amministratori. Resta da esaminare la possibilità di nominare — non una società di capitali, ma — una pluralità di amministratori, stante che, nella società di persone, l’amministrazione e la rappresentanza, salvo patto contrario, spettano a ciascun socio disgiuntamente. Al riguardo, si è rilevato che l’unicità della persona, a cui può essere attribuita la carica dell’amministratore, riceve conferma dalla disciplina normativa, che regola la rappresentanza dei partecipanti al condominio (la norma prevista nell’art. 1131 c.c. stabilisce che, nei limiti delle attribuzioni stabilite nel precedente art. 1130 c.c., o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio); se la legge avesse previsto la possibilità di più amministratori, avrebbe però regolato anche le modalità secondo cui avrebbe dovuto procedersi all’indicazione di quello, tra gli amministratori, che avrebbe rappresentato i partecipanti nei rapporti con i terzi, per cui, in mancanza, si deve ritenere che il legislatore abbia previsto l’ipotesi di un unico amministratore18. Facendo una comparazione con le norme sulla comunione, si giunge alla stessa conclusione, stante che, in essa, è espressamente precisata la possibilità che l’amministrazione possa essere delegata non soltanto ad uno, ma anche a più partecipanti (v. art. 1106 c.c.); se, in tema di condominio, non è stata riprodotta la stessa disciplina, e la figura e le attribuzioni dell’amministratore sono regolate in modo più completo e diverso, significa che si è voluto tener conto della maggiore complessità tecnica della materia condominiale, nella quale la tutela degli interessi dei singoli partecipanti è meglio realizzata, con l’affidamento nelle capacità e nella correttezza di una persona nominata in considerazione della responsabilità personale diretta che viene ad assumere accettando l’incarico conferito19. Orbene, bisogna ammettere che l’art. 1129 c.c., nel regolare la nomina dell’amministratore - come anche gli artt. 64 e 65 disp. att. c.c. - sembrano apparentemente configurare l’amministratore designato come persona fisica unica, ma nulla esclude che le persone designate dall’assemblea possano essere più di una. Infatti, l’anzidetta pluralità comporta, in linea di principio, l’attribuzione a tutti i soggetti che amministrano della qualità di rappresentanti del condominio, anche rispetto ai terzi, essendo compito dei condomini, per una migliore organizzazione al fine di evitare i conflitti nell’azione dei vari amministratori, predisporre regole che ripartiscano le com- Condominio petenze di ciascuno con esclusiva validità nei rapporti interni20. D’altronde, la nomina di più amministratori è ispirata alla maggiore tutela degli interessi dei condomini, richiesta per la maggiore difficoltà di amministrare i grandi complessi dotati di molteplici strutture comuni e di un numero considerevole di partecipanti; si tenga conto, in proposito, che talvolta tale iniziativa è necessitata proprio dall’obiettiva impossibilità per il singolo amministratore di gestire quella recente configurazione edilizia rappresentata dal ed. supercondominio, per cui appare corretto designare più soggetti per amministrare, ad esempio, distinti corpi di fabbrica (ognuno con ingresso e scala distinta, con differenti esigenze di manutenzione e miglioramento), oppure il servizio di riscaldamento o le aree comuni, come piscine, campi da tennis, parchi giochi, ecc. (è ovvio che dovrà aversi riguardo al numero, al valore e all’importanza delle parti comuni nonché alle problematiche ad esse connesse, sicché basterà un singolo amministratore se, ad esempio, gli immobili hanno in comune soltanto una strada di accesso e poche altre cose di modesta consistenza e le attività di gestioni si rivelino occasionali e sporadiche). Sul piano pratico, la dimensione del condominio, la complessità dei servizi e la varietà delle cose comuni possono suggerire all’assemblea dei condomini la possibilità di nominare all’ufficio di amministratore più persone, immaginandosi cosi una diversa attribuzione di compiti per attività; d’altronde, se a proposito della comunione, l’art. 1106 c.c. prevede la pluralità nell’amministrazione, sembrerebbe anomala l’inattuabilità della coamministrazione in una situazione, quale quella del condominio negli edifici, in cui l’amministrazione, soprattutto negli ultimi tempi, è certamente di maggiore rilevanza e difficoltà21. 6. La specializzazione della professione. Si concludono questi brevi note con un’ultima considerazione, per così dire, di costume, che prende le mosse da un’osservazione dei giudici di legittimità fatta alla fine della sentenza in commento, perché tutti i suesposti rilievi si presentano in conformità con l’evoluzione della figura dell’amministratore. In tempi meno recenti, infatti, l’incarico di amministratore dall’assemblea veniva conferito agli stessi condomini, che avessero del tempo a disposizione, di solito, gli anziani ed i pensionati (una volta, si diceva, senza ovviamente alcuna offesa per le colf, che bastasse «fare i conti della serva»); peraltro, si aggiunge, nella motivazione della sentenza in rassegna, che «il fatto che nella prassi come amministratori del condominio normalmente siano nominate le persone fisiche si spiega con l’origine e con l’evoluzione della figura dell’amministratore, ma l’id quod plerumque accidit non risolve la questione ». (18) Contro, Cass., n. 11155 del 1994 cit. (19) Per una risposta negativa al quesito, v. App. Napoli, 16 gennaio 1962, in questa Rivista, 1962,1, 301; favorevole ad affidare l’amministrazione a più persone con compiti distinti in applicazione analogica di quanto dispone il codice civile in materia di società è, invece, App. Napoli, 10 novembre 1972, in Dir. e giur., 1974, 275. (20) In dottrina, v. E. RASCHI, Se possono essere nominati più amministratori negli edifici in condominio, in Nuovo dir., 1962, 708, che, invece, nega che possano essere nominati più amministratori con distinti incarichi, ma ammette che possa essere nominato un consiglio di amministrazione con determinazione dei poteri dei singoli membri, purché sia designato tra questi colui che, con facoltà di preminenza tra gli altri-membri, rappresenti, lui solo, il condominio, in modo da essere considerato il vero ed unico amministratore come stabilisce la legge. (21) Sulla possibilità di nominare più amministratori da parte del giudice ai sensi dell’art. 1129, comma 1, c.c., si consenta il rinvio a A. CELESTE, La volontaria giurisdizione in materia condominiale, Milano, 2000, 143. 137 Condominio Da qualche tempo, invece, l’incarico viene conferito a professionisti esperti in materia di condominio e in grado di assolvere alle numerose e gravi responsabilità ascritte all’amministratore delle leggi speciali; è ragionevole pensare — avuto riguardo al continuo incremento dei compiti — che questi possano venire assolti in modo migliore dalle società (di servizi), che nel loro ambito annoverano specialisti nei diversi rami22. La tesi sostenuta nella sentenza annotata, del resto, si pone in linea con gli altri Paesi (sia riguardo agli Stati Uniti che all’Europa, Francia in testa), dove si è passati dal professionista singolo alla società (di persone o di capitali), sempre in attesa che il legislatore metta mano alla regolamentazione della professione di amministratore di condominio (che, allo stato, risulta ancora di libero accesso a tutti, non rinvenendosi, nel nostro ordinamento, alcuna norma che imponga peculiari requisiti soggettivi o oggettivi per l’esercizio di tale attività, né che sia indispensabile l’iscrizione a particolari albi professionali). Resta da superare l’ostacolo di ordine psicologico in capo ai condomini che scelgono quell’amministratore, persona fisica, perché, guardandolo negli occhi, nutre loro più fiducia di un altro, sapendo bene che lo stesso può avvalersi, alla luce delle moderne attrezzature tecniche e di un’organizzazione multifunzionale, di una struttura societaria per l’espletamento dell’incarico affidatogli (relativamente allo «sfogo giudiziario» delle controversie, ci si dovrà abituare a citare «il condominio, in persona del suo amministratore, S.r.l. Rossi, in persona del suo legale rappresentante, Mario Rossi). Certo, una cosa è avvalersi di una società, altro è essere rappresentati dalla stessa: sarà, infatti, arduo individuare quelle persone fisiche, soci o dipendenti della società nominata amministratore di condominio — mutevoli nel tempo in relazione al loro mutevole rapporto (organico o lavorativo) con l’assetto societario — cui rapportare la valutazione della diligenza del ... buon padre di famiglia nonché correlare (ed eventualmente sanzionare) comportamenti (positivi o negativi) che il codice civile o il regolamento fanno rientrare nelle normali attribuzioni del mandatario (come curare l’osservanza del regolamento, eseguire le delibere, disciplinare l’uso delle cose e dei servizi comuni, riscuotere i contributi, erogare le spese occorrenti, rendere il conto della gestione, compiere gli atti conservativi, e quant’altro). Comunque, oramai, i condomini sono abbastanza scafati nel pretendere, nella prospettiva di generale trasparenza della relativa gestione, un conto corrente intestato al condominio separato da quell‘amministratore (ora, a fortiori, operando lo schermo societario si dovrà vietare qualsiasi confusione di patrimoni), tuttavia, occorrerà fare bene attenzione al momento del conferimento del mandato alla società, nel senso di specificare dettagliatamente le persone che, agendo in nome e per conto della medesima società, potranno effettivamente svolgere l’incarico e, quindi, individuare con precisione le loro correlative responsabilità, specie penali, alla luce della rilevanza «pubblica» che sta oggi assumendo il condominio (v., per tutte, la legislazione speciale in tema di tutela n. 1-2/2007 della salute nei luoghi di lavoro e di sicurezza nell’utilizzo degli impianti). __________ La sentenza Corte di Cassazione, Sez. Ii, 24 ottobre 2006 n. 22840 - Pres. Est. Corona P.M. Russo - Cond. Via B. (avv.ti Izzo, Sardini e Cortesi) e. Girotti e aa. Condominio - Edifici - Amministratore - Nomina - Persona giuridica Ammissibilità. Anche una persona giuridica può essere nominata amministratore del condominio negli edifici, posto che il rapporto di mandato istituito nei confronti delle persone suddette, quanto all’adempimento delle obbligazioni ed alla relativa imputazione della responsabilità, può essere caratterizzato dagli stessi indici di affidabilità, che contrassegnano il mandato conferito ad una persona fisica. (Omissis). — Motivi della decisione. — I. A fondamento del ricorso, il condominio ricorrente deduce: 1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 38, 100, 113 comma 2 e 645 c.p.c, in relazione all’art. 360 dello stesso codice. Il giudice di pace ha travalicato la propria competenza, in quanto l’accoglimento della domanda pregiudiziale di carenza della legittimazione processuale attiva si fonda sull’asserita illegittimità della deliberazione assembleare di nomina della Servicond s.r.l. ad amministratore del condominio: in questo modo la sentenza viola la competenza del giudice adito. Il giudice di pace avrebbe dovuto o sospendere il giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c, o limitarsi ad accertare l’efficacia esecutiva della delibera: senza entrare nel merito. 2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1105, 1129, 1137, 1713 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ed agli artt. 3, 41 comma 2 e 42 comma 2 Cost. La sentenza è errata laddove ritiene l’illegittimità della delibera di nomina della società Servicond ad amministratore del condominio, perché per la sua natura di persona giuridica non potrebbe rivestire la carica. Anzitutto, in virtù dell’art. 1105 c.c., che attribuisce a tutti i partecipanti il diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune, non è corretto escludere dall’amministrazione il partecipante al condominio che sia una persona giuridica. Inoltre, l’elemento fiduciario non è incompatibile con la struttura societaria, se si considera che il nostro ordinamento prevede l’amministrazione fiduciaria di beni e la gestione del condominio da parte di società. Infine, il principio impugnato si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 41 comma 2, 42 comma 2 Cost. e con l’art. 85 del Trattato CEE in tema di libera concorrenza, perché impedirebbe ai condomini di avvalersi dei servizi di una società. 3. Contraddittorietà ed inesistenza della motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Trattandosi di immobili privati non esiste alcuna ragione di pubblica utilità per limitare l’autonomia dei privati quanto alla nomina dell’amministratore del condominio. Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza, gli artt. 1131 e 1129 c.c. non pongono limiti soggettivi alla nomina di amministratore del condominio. Allo stesso tempo, la sentenza si pone in contraddizione con il provvedimento del Tribunale di Bologna in data 11-12 aprile 2000 di omologazione della società Servicond avente come oggetto l’amministrazione di condomini ed immobili in genere. II. I tre motivi vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro evidente connessione. 2.1. Preliminarmente, in ordine all’ammissibilità del ricorso, si ricorda che le sentenze del giudice di pace, quando pronunziano su una controversia di valore non superiore a 2.258,28 euro (due milioni delle vecchie lire), sono ricorri-bili per cassazione per violazione delle norme processuali e di quelle sostanziali, cui le norme processuali facciano rinvio (Cass., Sez. Un., 14 ottobre 1999 n. 716). L’ammissibilità del ricorso contro la sentenza del giudice di pace si giustifica, nella specie, in (22) Favorevoli alla possibilità che una società possa ricoprire la carica di amministratore di condominio, nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano, 18 novembre 2004, in Immobili & diritto, 2005, fase. 3, 33; App. Milano, 17 gennaio 2003, in Immobili & proprietà, 2003, fase. 5, 276; App. Milano, 11 dicembre 2002, in Arch. loc. e cond., 2003, 666, con particolare riferimento ad una società in accomandita semplice; contro, Giud. Pace Bologna, 29 luglio 2002, id. 2002, 759; Trib. Genova, 11 luglio 2001, id. 2001, 687; Trib. Pisa, 27 maggio 1996,in Toscana giur., 1997, 16. 138 n. 1-2/2007 Condominio quanto si contesta la legittimazione processuale dell’amministratore del condomi- 3.4. Dal dibattito in tema di assunzione dell’ufficio di amministratore di una nio e, perciò, deve valutarsi — ai sensi e per gli effetti del collegato disposto degli artt. 75 c.p.c. e 1129 c.c. — la capacità di stare in giudizio di una società di capitali, associazione non riconosciuta da parte di una persona giuridica, si ricavano argomenti ulteriori. che è stata nominata amministratore del condominio. 3.1. La questione di diritto, che la Corte deve risolvere per decidere la contro- Il sistema non conosce disposizioni limitative della capacità o della legittimazione della persona giuridica, se non nei casi tassativamente previsti. Siffatte versia, riguarda i requisiti soggettivi della figura dell’amministratore del condominio: più specificamente, il punto è se la funzione di amministratore possa essere disposizioni, per la verità, sarebbero in contrasto con le finalità e con l’evoluzione dell’istituto dell’amministratore di condominio, ragion per cui negare alla persona esercitata da una persona giuridica e, precisamente, da una società di capitali o, per giuridica la facoltà di essere amministratore con l’addurre che le attività inerenti a contro, debba necessariamente essere svolta da una persona fisica. La S.C. (Cass., Sez. II, 9 giugno 1994 n. 5608) ebbe ad affermare che la disci- tale ufficio esigono attributi propri dell’uomo appare del tutto infondato. D’altra parte, per quanto attiene all’esatto adempimento di tutte le obbligazioni plina del condominio sembra supporre necessariamente la figura dell’amministratore come persona fisica, evincendosi dal fatto che, in caso di richiesta di revoca le persone giuridiche presentano coefficienti di affidabilità non minori e diversi da quelli della persona fisica. dell’incarico da parte di un condomino qualora emergano sospetti di gravi irregola- La qualità dell’oggetto sociale (laddove è prevista l’amministrazione dei con- rità, il controllo del tribunale sugli atti dell’amministratore viene esercitato, con la necessaria garanzia del contraddittorio, su fatti concretamente riferibili a singole dominii); la congruenza di esso rispetto alla situazione dell’ambiente e del tempo in cui l’oggetto deve essere perseguito; la razionale coordinazione degli elementi per- persone fisiche; vertendosi in tema di responsabilità personale, l’amministratore non può sottrarsi richiamandosi a regole proprie di una organizzazione sociale e sonali e patrimoniali della persona giuridica; il credito sociale derivante alla funzionalità del complesso; il modo statutario della elezione degli organi sociali; la pub- presentando al giudice un soggetto che è semplice esecutore di direttive e rappre- blica stima che solitamente accompagna, di volta in volta, gli organi personali di sentante di interessi altrui. Tale conclusione — si aggiunge — si impone proprio considerando che l’in- amministrazione e di controllo: tutti questi elementi si traducono in sintesi nella valutazione di affidabilità della persona giuridica. Non occorre aggiungere altro per carico ad amministrare va inquadrato nell’ambito del contratto di mandato, che è un istituto basato essenzialmente sulla fiducia. collocare sul medesimo piano — per quanto concerne la affidabilità circa l’esatto adempimento delle obbligazioni e la imputazione della responsabilità — la persona 3.2. Per la verità, gli argomenti non convincono. Da più parti si revocano in dubbio il nesso tra il rapporto di mandato e la fiducia e, ad un tempo, la imputabilità della responsabilità alla sola persona fisica. D’altra parte, non persuade l’asserto che la disciplina del condominio negli edifici supponga necessariamente la figura dell’amministratore come persona fisica. Il fatto che nella prassi come amministratori del condominio normalmente siano nominate le persone fisiche si spiega con fisica e la persona giuridica. 3.5. Ancora, una visione più completa del sistema si ricava dalle norme, che regolano l’attività delle società concernenti l’amministrazione di immobili. Non tanto dalla 1. 23 novembre 1939 n. 1966, art. 1, la quale prevedeva la possibilità per le società fiduciarie di assumere l’amministrazione di beni per conto terzi, con la sola circoscritta esclusione delle attività riservate agli iscritti alle categorie profes- l’origine e con l’evoluzione della figura dell’amministratore. Ma l’id quod plerumque accidit non risolve la questione. 3.3. Dalla dottrina più accreditata si revocano in dubbio il carattere fiduciario del mandato e l’inferenza, secondo cui il mandato sarebbe un contratto intuitu personae, nel quale cioè la considerazione della persona del mandatario assumerebbe un particolare rilievo. sionali, ma soprattutto dal d. legisl. 16 febbraio 1996 n. 104, che all’art. 3 prevede l’affidamento a società specializzate della gestione dei beni immobili dimessi dagli entri previdenziali e, virtualmente, della «gestione dei servizi condominiali». Per concludere, non esistendo alcuna disposizione di legge, la quale abbia escluso che la persona giuridica possa esercitare l’incarico di amministratore di condominio, la soluzione della questione, che non può essere decisa con una preci- In tanto può parlarsi di fiducia o di intuitus personae — si osserva — in quanto si riscontrino regole della disciplina positiva dettata per il mandato che siano sorrette dall’elemento fiduciario e, per conseguenza, si possano isolare specifici effetti del regime giuridico del mandato riconducibili alla fiducia e all’intuitus. Ma la natura fiduciaria del mandato viene ridimensionata, se non del tutto esclusa, dal momento che gran parte delle norme, la cui ratio veniva in passato rinvenuta nella fiducia, ad una più approfondita indagine sono risultate estranee alle esigenze legate al peculiare affidamento, che un soggetto riponga sull’altro, ovvero rivestono un significato diverso da quello che loro si attribuiva. Per la verità, la fiducia in senso proprio è cosa diversa dall’affidamento nel corretto adempimento dell’obbligazione dell’altra parte. In tanto ha un senso parlare di negozio intuitu personae in quanto l’affidamento di un contraente verso l’altro divenga così intenso da giustificare la produzione di conseguenze giuridiche. Al contrario, nel mandato la particolare rilevanza della persona o delle qualità del mandatario non influisce sulla disciplina, posto che il mandato, come tipo legale, non è caratterizzato dalla personalità della prestazione del mandatario. L’incedibilità inter vivos degli obblighi del mandatario, piuttosto che dal carattere personale degli obblighi stessi, dipende dall’applicazione della disciplina dettata in materia di trasferimento delle obbligazioni passive (artt. 1273 ss., 1406 ss. c.c.). Non trova giustificazione in un elemento fiduciario l’assetto dello scioglimento, in ordine a talune cause speciali di estinzione, quali la revoca o la rinunzia (art. 1722 nn. 2 e 3 c.c.) ed il fallimento (art. 78 1. fall.). Quanto all’estinzione per morte o sopravvenuta incapacità di uno dei contraenti (art. 1722 n. 4 c.c..) e alla intrasmissibilità mortis causa del rapporto non sussiste la ratio fiduciae, poiché lo scioglimento trova la propria fonte non nella fiducia, ma nel carattere personale della valutazione dell’interesse compiuta in precedenza dal mandante. sa disposizione di legge e nemmeno avendo riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, deve ricavarsi dai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato (art. 12 delle disp. prel.). Orbene, la capacità generalizzata delle persone giuridiche deve considerarsi come principio generale dell’ordinamento. Nell’ambito della capacità generalizzata, in difetto di specifiche disposizioni contrarie, si comprende la possibilità di una persona giuridica di essere nominata amministratore di condominio. Ciò in conformità con l’evoluzione della figura dell’amministratore. In tempi meno recenti, invero, l’incarico di amministratore dall’assemblea veniva conferito agli stessi condomini, che avessero del tempo a disposizione: di solito, gli anziani ed i pensionati. Da qualche tempo, l’incarico viene conferito a professionisti esperti in materia di condominio e in grado di assolvere alle numerose e gravi responsabilità ascritte all’amministratore dalle leggi speciali (per tutte, le norme in materia edilizia, di sicurezza degli impianti, di obblighi tributari come sostituto d’imposta). È ragionevole pensare — avuto riguardo al continuo incremento dei compiti — che questi possano venire assolti in modo migliore dalle società (di servizi), che nel loro ambito annoverano specialisti nei diversi rami. Il ricorso deve essere accolto e la causa rimessa ad altro giudice di pace di Bologna, il quale deciderà la controversia uniformandosi al principio di diritto, secondo cui «anche una persona giuridica può essere nominata amministratore del condominio negli edifici, posto che il rapporto di mandato istituito nei confronti delle persone suddette, quanto all’adempimento delle obbligazioni ed alla relativa imputazione della responsabilità, può essere caratterizzato dagli stessi indici di affidabilità, che contrassegnano il mandato conferito ad una persona fisica». (Omissis). «Rivista Giuridica dell’Edilizia» 139 Condominio n. 1-2/2007 NUOVI E VECCHI ADEMPIMENTI FISCALI DEL CONDOMINIO di Ercole Bellante Nuovi adempimenti per gli amministratori dei condomini introdotti dall’articolo 1, comma 43, della Finanziaria 2007, che ha inserito l’articolo 25-ter al Dpr n. 600/73. La nuova incombenza consiste nell’obbligo per il condominio di effettuare, nella qualità di sostituto d’imposta, una ritenuta d’acconto del 4 per cento, con obbligo di rivalsa, sui corrispettivi dovuti per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o servizi, anche se resi a terzi o nell‘interesse di terzi, effettuate nell’esercizio di una attività d’impresa. L’obbligo della ritenuta sussiste anche se i corrispettivi delle anzidette prestazioni sono qualificabili come redditi diversi, ai sensi dell‘articolo 67, comma 1, lettera i), del Tuir. Pertanto, la ritenuta deve essere fatta anche se le prestazioni vengono rese nell’esercizio di una attività commerciale non esercitata abitualmente. A seguito di tale novità, i dati relativi ai fornitori delle prestazioni, nonché, i dati relativi ai pagamenti assoggettati alla ritenuta d’acconto, andranno dichiarati nel modello 770 che dovrà essere presentato dal condominio in qualità di sostituto d‘imposta. Le nuove disposizioni si aggiungono a quelle già previste a carico dei condomini, pertanto si ritiene utile fare un breve cenno a tutti gli adempimenti in materia fiscale attualmente in vigore. Dal 1° gennaio del 1998, per effetto della legge finanziaria 449/1997, il condominio, ai sensi del novellato articolo 23 del Dpr 600/73, è divenuto sostituto d’imposta, ragion per cui, al momento del pagamento dei compensi ai propri lavoratori dipendenti, deve effettuare una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, con diritto di rivalsa. In base al successivo articolo 24, il condominio deve effettuare analoga ritenuta sui compensi corrisposti a lavoratori con reddito assimilato a quello di lavoro dipendente e, per effetto dell’articolo 25 dello stesso Dpr, deve operare una analoga ritenuta del 20 per cento, a titolo di acconto, sui compensi, comunque denominati, corrisposti a lavoratori autonomi residenti in Italia, anche per prestazioni non esercitate abitualmente. La norma evidenzia che tale ritenuta deve essere fatta anche sui compensi corrisposti dal condominio all’amministratore dello stesso. Per i soggetti non residenti, la ritenuta è elevata al 30 per cento a titolo d’imposta. La ritenuta in argomento non va effettuata sui compensi corrisposti per prestazioni rese nell’esercizio di impresa (tranne nel caso in cui il percipiente è residente all’estero). Ma, come già visto innanzi, introducendo l’articolo 25-ter, la Finanziaria 2007 ha esteso l’obbligo alle prestazioni rese nell’esercizio di una attività di impresa, anche se non esercitate abitualmente. Le ritenute devono essere versate entro il giorno 16 del mese successivo al pagamento cui si riferiscono. Gli uffici, ai sensi dell’articolo 32, primo comma, del Dpr n. 600 del 1973 possono richiedere agli amministratori di condominio dati, notizie e documenti relativi alla gestione condominiale. Tutti i dati relativi alle ritenute fiscali effettuate (dati anagrafici e codici fiscali dei soggetti perci-pienti, importi e ritenute di acconto effettuate) dovranno essere esposti nel modello 770 che il condominio, in qualità di sostituto d’imposta, dovrà presentare, in via telematica, entro il 31 marzo (il precedente termine del 31 ottobre è stato modificato dall’articolo 37, comma 10, lettera b), del decreto legge 223 del 4 luglio 2006, con decorrenza dal 1° maggio 2007) dell’anno successivo a quello in cui sono stati corrisposti i pagamenti ed effettuate le ritenute. Parimenti, entro il 28 febbraio, anziché il 15 marzo (il nuovo termine, introdotto dal citato decreto legge, entrerà in vigore il 1° maggio 2007), bisognerà rilasciare il modello Cud, per i redditi di 140 lavoro dipendente, o assimilati a quello di lavoro dipendente, corrisposti, e le certificazioni delle ritenute fiscali effettuate agli altri soggetti. Il modello 770 deve essere inviato telematicamente con il pincode rilasciato a nome del condominio, a meno che la trasmissione non avvenga a cura di un soggetto che professionalmente svolge consulenza fiscale. In tal caso, la trasmissione del 770 avviene attraverso il sistema Entratel. La firma deve essere apposta dall’amministratore in carica che risulta dall’ultimo verbale delle assemblee al momento della presentazione della dichiarazione (circolare n. 55/E/2001). Il condominio non è, invece, tenuto a prestare assistenza fiscale ai propri dipendenti. Si rammenta ancora l’obbligo, per l’amministratore, di comunicare annualmente all’Anagrafe tributaria, attraverso la presentazione del quadro AC del modello Unico, l’ammontare dei beni e dei servizi acquistati dal condominio, nonché l’elenco dei dati identificativi dei fornitori. Ai fini della determinazione del momento di effettuazione degli acquisti, chiarisce la circolare n. 204/2000 del ministero delle Finanze, si applicano le disposizioni dell’articolo 6 del Dpr. 633/1972, che stabilisce il momento in cui, ai fini Iva, si intende eseguita l’operazione. Rimangono escluse dall’elenco, per espressa disposizione legislativa: - le forniture di acqua, energia elettrica e gas - le forniture di servizi che hanno comportato il pagamento di compensi assoggettati a ritenute alla fonte - le forniture di servizi rese da soggetti che singolarmente, nell’intero anno solare, non abbiano superato complessivamente l’importo di 258,23 euro. È utile evidenziare che, pur essendo il condominio il sostituto d’imposta, gli adempimenti sopra indicati dovranno essere posti in essere dall’amministratore che, ai sensi dell’articolo 1131 del Codice civile, lo rappresenta. Tuttavia, le disposizioni normative sopra citate pongono l’obbligo di inviare la comunicazione annuale dei dati relativi ai fornitori direttamente all’amministratore, per cui, in mancanza di questo, l’obbligo di tale comunicazione non sussiste. Ovviamente, deve trattarsi di mancanza legale dello stesso (il Codice civile impone l’obbligo dell’amministratore quando i condomini sono più di quattro). Sempre la citata circolare n. 204/2000 precisa che, se in assenza di un obbligo di legge l’amministratore viene ugualmente nominato, l’obbligo dell’invio della comunicazione sussiste. Incombe direttamente sull’amministratore l’obbligo di fornire, a richiesta degli uffici, dati, notizie e documenti relativi alla gestione condominiale. Pertanto, anche in questo caso, in mancanza di un amministratore, la richiesta da parte degli uffici non può essere avanzata. In assenza legale di un amministratore, le incombenze che fanno carico direttamente al condominio, quale sostituto d’imposta, devono essere svolte, comunque, da uno dei condomini. Appare opportuno precisare, infine, che il condominio non è un soggetto passivo d’imposta e non è tenuto, quindi, a presentare una propria dichiarazione, neanche nei casi in cui percepis a redditi per canoni relativi all’affitto di beni condominiali. In tal caso, i proventi devono essere imputati ai singoli condomini, in proporzione alle quote millesimali, e dichiarate da questi ultimi, se di importo superiore a 25,38 euro. «Italia Casa» n. 1-2/2007 Condominio IL RICORSO IN MATERIA POSSESSORIA Un problema che investe l’operato dell’amministratore per la rimozione di opere eseguite da un condomino a danno delle parti comuni di Rodolfo Cusano i sensi dell’art. 1140 del codice civile, il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto A reale. Le azioni a difesa del possesso, ossia di quel potere di fatto corrispondente all’esercizio di un diritto reale, sono espressamente previste dagli artt. 1168, 1170, 1171 e 1172 c.c. La prima norma richiamata1 e la relativa azione compete al possessore che sia stato violentemente o occultamente spogliato del possesso e può essere esercitata, entro un anno dallo spoglio ed, in ipotesi di clandestinità dello stesso entro un anno dalla sua scoperta, sia contro l’autore dell’usurpazione sia contro chi sia in possesso della cosa in quanto acquirente a titolo particolare, sempre che sia stato consapevole dell’avvenuto spoglio. L’azione è concessa al possessore indipendentemente dalla effettiva titolarità del diritto reale. È, cioè, del tutto irrilevante che il possessore non sia, o non possa provare di essere, proprietario del bene e non assume rilevanza neppure che il possesso sia stato acquistato illegittimamente, abusivamente o in mala fede2. Ciò che rileva, ai fini dell’utile esperimento dell’azione prevista dall’art. 1168 c.c. è la sussistenza dello iùs possessionis al momento del lamentato spoglio mentre non assume rilevanza accertare, chi delle due parti contendenti abbia posseduto il bene in epoca anteriore. La necessaria continuità del possesso non cessa per il fatto che l’utilizzazione del bene avvenga ad intervalli, se tale discontinuità derivi dalla stessa natura e destinazione economica della cosa e costituisca, quindi, la forma di estrinsecazione naturale della cosa3. Il potere di fatto, al contrario, non dà luogo alla reintegra quando sia dovuto alla mera tolleranza dell’avente diritto sulla cosa o del possessore. L’azione di manutenzione, prevista dal successivo art. 1170 c.c., è, invece, concessa al possessore di immobili o di universalità di mobili ed è tesa alla conservazione di una situazione possessoria in atto, assicurandone il pacifico svolgimento ed eliminando i pericoli che possano comunque minacciarne la continuazione4. Condizione, per l’esperibilità dell’azione è che il possesso sia stato acquistato in modo non violento e non clandestino e che duri da oltre un anno, in modo continuo e non interrotto. Il presupposto è la molestia o la turbativa compiuta contro il possessore. Nel caso di spoglio o turbativa posti in essere con una pluralità di atti, il termine utile per l’esperimento dell’azione possessoria decorre dal primo di essi soltanto se quelli successivi, essendo strettamente collegati e connessi, devono ritenersi prosecuzione della stessa attività; altrimenti, quando ogni atto presentando caratteristiche sue proprie - si presta ad essere considerato isolatamente, il termine decorre dall’ultimo atto5. L’esecuzione del provvedimento d’urgenza in materia possessoria, secondo la previsione dell’art. 669 duodecies c.p.c, che, dettato per i sequestri, trova applicazione, in virtù dell’art. 669 quaterdecies del codice di rito, anche ai provvedimenti possessori immediati, non dà luogo ad un processo di esecuzione forzata, bensì ad una ulteriore fase del procedimento possessorio, che è di competenza dello stesso giudice che ha emesso il provvedimento. Ne consegue che la sede in cui si fa valere il diritto al rimborso delle spese sostenute o anticipate per l’attuazione coattiva del provvedimento cautelare possessorio è il giudizio possessorio, ed il provvedimento che statuisce su tale diritto è la sentenza che definisce il merito possessorio. Pertanto, ove la parte, per la riscossione di dette spese, inizi un autonomo processo esecutivo, il giudice dell’esecuzione può rilevare di ufficio la mancanza del titolo esecutivo, con conseguente declaratoria di improcedibilità del processo, declaratoria che, essendo da ricondurre ad un difetto dell’azione da lui intrapresa, non può comportare che al creditore sia riconosciuto il diritto al rimborso delle spese del procedimento esecutivo6. Sconfinata è la bibliografia in ordine alle azioni testé richiamate, cui si rimanda per una completa indagine sul punto, dovendosi ritenere i cenni fatti, una sommaria individuazione della normativa in tema di azioni a tutela del possesso, per passare, più dettagliatamente, alla individuazione dei casi in cui, tali azioni, vengono in rilievo nell’ambito del contenzioso condominiale. In primo luogo deve essere individuata l’ampiezza del potere dell’amministratore di impedire azioni di molestia o spoglio del possesso ed, in tal senso, può affermarsi che l’azione giudiziaria contro il condomino, diretta a conseguire la rimozione di 1) Azione di reintegrazione. Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegratone del possesso medesimo. L’azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità. Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio. La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione. 2) Cassazione Civile 21 maggio 1987 n. 4625; Cassazione Civile 4 settembre 1970 n. 1193. 3) Cassazione Civile 14marzo 1988 n. 2440. 4) art 1170 - Azione di manutenzione. Chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di un’universalità di mobili può, entro l’anno dalla turbativa, chiedere la manutenzione del possesso medesimo. L’azione è data se il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato acquistato violentemente o clandestinamente. Qualora il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l’azione può nondimeno esercitarsi, decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata. Anche colui che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso, se ricorrono le condizioni indicate dal comma precedente. 5) Cassazione civile, sez. II, 29 ottobre 2003, n. 16239. 6) Cassazione civile, sez. III, 15 gennaio 2003, n. 481. 141 Condominio un’opera da questi eseguita che sia lesiva del godimento e del possesso degli altri condomini sulla cosa comune o comunque pregiudizievole della destinazione o dell’estetica della stessa, può essere esperita dall‘amministratore del condominio, senza necessità di autorizzazioni assembleari. Ciò in quanto essa integra un atto conservativo dello stato di fatto o dei diritti inerenti alle cose oggetto di comproprietà e, come tale, rientrante nei limiti delle sue attribuzioni previste dall’art. 1130 n. 4 c.c. e che, ai sensi del successivo art. 1138, non risultano derogabili neppure in sede di regolamento di condominio7. Ma a tale “libertà di manovra” dell’amministratore nell’agire in giudizio a tutela del libero possesso delle parti condominiali corrisponde un regime di responsabilità, per eventuali turbative da questi poste in essere, certamente più ampio. Ed, infatti, in caso di violazioni delle norme dettate dagli artt. 1168 e 1170 c.c., dovute a comportamenti dell’amministratore, adottati anche in forza di regolari deliberazioni condominiali, ne risponderà sia il condominio, quale ente di gestione, sia l’amministratore in proprio. In particolare, l’amministrazione di un condominio che compia un fatto di impossessamento violento o clandestino in base ad autorizzazione o delibera assembleare, deve considerarsi autore materiale dello spoglio, mentre autore morale dello stesso deve essere considerata la collettività condominiale, rappresentata dall’assemblea. Quanto alla legittimazione passiva e, cioè, alla individuazione del convenuto in giudizio per l’ottenimento del provvedimento possessorio, l’azione di reintegrazione potrà essere proposta sia contro il condominio, sia contro l’amministratore, quale autore materiale dello spoglio ovvero nei confronti di entrambi8. È opportuno ricordare, in relazione alla legittimazione passiva, che essa esiste soltanto nel caso in cui l’autore dello spoglio si trovi al momento della proposizione del ricorso, ed almeno in via presuntiva e salva prova contraria, in una situazione di fatto che gli consenta di ripristinare lo stato quo ante, non avendo alcun rilievo che la materiale disposizione della cosa permanga durante il corso del processo, e fino all’emanazione della sentenza di merito, giustificandosi la permanenza della legittimazione passiva del convenuto quantomeno al fine di far accertare l’esistenza del fatto illecito e di ottenere la sua condanna al risarcimento del danno9. Analogamente a quanto detto per la legittimazione passiva, anche quella attiva è da considerarsi sussistente sia in capo all’amministratore, sia ai singoli condomini ed, anzi, ai singoli possessori delle parti condominiali. Così, se nel condominio degli edifici non si può negare a favore dei singoli condomini la ricorrenza, sulle parti comuni dell’edificio, del possesso, quale potere sulle cose che si manifesta in una attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, con una relazione di fatto di questi con la cosa comune (“corpus possessionis”) vivificata dall’animo di 7) Cassazione civile, sez. II, 11 novembre 1986, n. 6593. 8) Cassazione civile, sez. II, 4 aprile 1987, n. 3272. 9) Cassazione civile, sez. II, 4 aprile 1987, n. 3272. 10) Cassazione civile, sez. II, 18 luglio 1984, n. 4195. 11) Pretura Busto Arsizio, 10 maggio 1994. 12) Cassazione civile, sez. II, 13 luglio 1993, n. 7691. 13) Cassazione civile, sez. III, 11 marzo 1993, n. 2947. 142 n. 1-2/2007 tenere la cosa come propria o di esercitare il diritto come se spettante ( “animus possidenti”)10, con conseguente possibilità di esperire utilmente l’azione possessoria, parimenti essa dovrà essere riconosciuta all’usufruttuario di un appartamento e finanche al conduttore, nei limiti in cui l’intervento spoliativo sia stato effettuato nell’ambito della proprietà esclusiva del singolo condomino. Almeno in tal senso la pronuncia di merito11 secondo cui integra gli estremi dello spoglio (e non della semplice molestia) e legittima l’esercizio dell’azione di reintegra nel possesso da parte del conduttore di appartamento sito in edificio munito di impianto centralizzato di riscaldamento il distacco da siffatto impianto delle tubazioni sottostanti il citato appartamento operato dall’amministratore del condominio, con conseguente interruzione dell’erogazione di energia termica, solo allorquando lo spoglio sia consistito nella manomissione della parte dell’impianto di proprietà esclusiva del singolo condomino (e, quindi, di pertinenza del conduttore istante). In via generale, insomma, nel caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini legittima gli altri o l’amministratore all’esperimento dell’azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal che possa continuare a fornire quella “utilitas” alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione12. Casi classici sono quelli relativi ad interventi sul terrazzo di copertura condominiale o ai muri perimetrali. Nel primo, con riguardo cioè al lastrico solare, cui è connaturata la funzione di copertura delle parti sottostanti dell’edificio condominiale, commette spoglio il condominio che ne muti lo stato di fatto o ne alteri la destinazione, magari con la costruzione di un gazebo oppure adibendone una parte a deposito di masserizie, cui consegua la esclusione o la riduzione apprezzabile, anche soltanto sul piano delle possibilità o modalità di esercizio (accessibilità, ispezionabilità del manufatto), le precedenti facoltà di utilizzazione e godimento del lastrico stesso - riguardato in questa specifica funzione - degli altri condomini. Ed è irrilevante, secondo la Suprema Corte13, che l’eventuale fine della immutazione sia quella di consentire o rendere più agevole allo spoliator l’utilizzazione del lastrico solare come piano di calpestio, non astrattamente incompatibile con la sua funzione di copertura. Nel condominio degli edifici, insomma, il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di tutela possessoria quando uno di essi abbia alterato e violato, senza il consenso ed in pregiudizio degli altri partecipanti, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o restringere il godimento spettante a ciascun compossessore “pro indiviso” sulla cosa medesima. Ma abbiamo detto che l’amministratore pur se agisca in for- n. 1-2/2007 za di regolare deliberazione condominiale, rimane responsabile degli atti di spossessamento, così come lo stesso condominio ed, in tal senso, ancora, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che in tema di condominio di edifici, l’apposizione di transenne tubolari ai marciapiedi comuni, le quali impediscono a taluni condomini l’accesso con i veicoli a detti marciapiedi ai quali in passato essi avevano acceduto, integra attività di spoglio e l’eccezione dell’amministratore di averlo compiuto in esecuzione di una deliberazione condominiale legittima e non impugnata (“feci sed iure feci”) non è idonea ad escludere l’“animus spoliandi”, soprattutto se, come nella specie, per lungo tempo dopo l’assunzione della deliberazione i condomini abbiano continuato ad esercitare il possesso14. In forza di tale principio, non può essere condiviso l’orientamento15 secondo cui, nel caso di innovazioni di cui all’art. 1120 comma 1 c.c., consistenti ad esempio nella collocazione di una porta sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell’ascensore e realizzate dall’amministratore del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, l’adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera condominiale che ratifichi, con la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136, comma 5 c.c., le spese relative alle eseguite innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, che precedentemente avevano reso ammissibile l’azione di manutenzione a tutela del compossesso delle parti comuni, legittima, sia pure tardivamente, sotto il profilo dell’esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall’amministratore suddetto, facendo venir meno i connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisabili, con conseguente rigetto nel merito della domanda di manutenzione come sopra proposta. Appare, infatti, di tutta evidenza come la deliberazione condominiale non possa avere una efficacia legittimante rispetto ad un comportamento vietato dalla norma in esame, non potendosi opporre l’eccezione feci sed iure feci. Rientrano nelle azioni a tutela del possesso, ma anche della proprietà e di ogni altro diritto reale di godimento, quelle previste dagli artt. 1171 e 1172 del codice civile. Esse, che sono denominate anche azioni di enunciazione, sono caratterizzate da una fase preliminare e cautelare e da un successivo giudizio di merito che riveste natura petitoria o possessoria a seconda che la domanda, alla stregua delle ragioni addotte a fondamento di essa, ossia della causa pretendi, e delle specifiche conclusioni, ossia del petitum, risulti, secondo la motivata valutazione del giudice, volta a perseguire la tutela della proprietà o del possesso. Ne consegue che la qualificazione di “azione di nunciazione”, comprendendo entrambe le fasi del giudizio, impone che, esaurita quella cautelare, quella a cognizione ordinaria abbia poi ad oggetto un accertamento, alternativamente, relativo alla proprietà o al possesso. Immediatamente va evidenziata la differenza procedimentale delle azioni in argomento con quelle possessorie precedentemente esaminate, in quanto mentre queste si articolano in una prima fase di natura cautelare, che si esaurisce con il provvedimento provvisorio, ed in una seconda che si svolge secondo le Condominio regole di un ordinario giudizio di cognizione, quelle altre (reintegrazione e manutenzione), invece, pur articolandosi in due fasi, una prima di natura sommaria avente ad oggetto l’emanazione di provvedimenti immediati ed una seconda intesa ad attuare nella sua pienezza e stabilità la tutela possessoria richiesta, prevedono un unico iter processuale, svolgendosi le due fasi davanti allo stesso giudice competente in legame funzionale fra i due momenti che fanno parte di un unico giudizio possessorio. È anche il caso di rilevare, in ordine alla differenza tra danno temuto e manutenzione del possesso, tra le quali sovente vien fatta confusione, che la prima è proponibile dal proprietario, dal titolare di altro diritto reale di godimento o dal possessore, il quale abbia ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa derivi pericolo di grave danno al bene che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso, al fine di ottenere, secondo le circostanze, dall’autorità giudiziaria che si provveda per ovviare il pericolo, mentre la seconda è istituto diverso in quanto prevede che chi è molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di una universalità di mobili può chiedere la manutenzione del possesso medesimo. Tale diversità si riverbera anche sui termini entro i quali le rispettive azioni possono essere esercitate: la prima entro l’ordinario termine prescrizionale di cui all’art. 2946 c.c., mentre per l’azione di manutenzione il termine previsto è di un anno dalla turbativa. L’azione prevista dall’art. 1170 c.c. presuppone un opus novum, una modificazione cioè dello stato dei luoghi mediante un’attività umana che può concretizzarsi oltre che in una costruzione, anche in uno scavo, un rialzo del terreno, una demolizione e via dicendo. L’opera, poi, deve essere iniziata e non ancora terminata. La reazione dell’istante, quindi, deve intervenire, con la proposizione della denuncia di nuova opera, quando la modificazione dello stato dei luoghi sia ancora in corso e, su tale momento, diversi sono gli orientamenti dottrinari. Senza affrontarli in questa sede, riteniamo assolutamente ininfluente la distinzione tra atti preparatori, equivoci ed univoci, così come tutte le considerazioni sull’elemento soggettivo dell’intenzione del nunciatus, ritenendo determinante il riscontro dell’effettivo inizio dell’opera, giacché soltanto allora l’intenzione antigiuridica, di per sé irrilevante, diviene attività antigiuridica e, come tale, rilevante per l’ordinamento. In ogni caso la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che la denuncia di nuova opera può essere proposta anche con riferimento ad opere, che pur se non immediatamente lesive, siano suscettibili di essere ritenute fonte di un futuro danno in forza dei caratteri obiettivi che esse potranno assumere se condotte a termine. Condizione dell’azione di nuova opera, pertanto, non deve necessariamente identificarsi in un danno certo o già verificatosi, ma può anche riconoscersi nel ragionevole pericolo che il danno si verifichi in conseguenza della situazione determinatasi per effetto dell’opera portata a compimento16. Ulteriore requisito per l’ammissibilità dell’azione è che vi sia il timore ragionevole che, dall’attività altrui, possa derivare un danno alla cosa che forma oggetto del diritto o del possesso, 14) Cassazione civile, sez. II, 20 aprile 1995, n. 4461. 15) Pretura Gallarate, 16 gennaio 1990. 16) Cassazione civile, sez. II, 22 gennaio 2001, n. 892. 143 Condominio evidenziando come la minaccia del danno debba riguardare la cosa. Il termine (di decadenza) per proporre l’azione è di un anno dall’inizio dell’opera o, se essa sia clandestina, dalla sua scoperta, ed, in aggiunta, la stessa non deve essere terminata. Se per la legittimazione attiva non sussistono problemi, per quella passiva è opportuno evidenziare che l’azione può essere esperita contro l’esecutore materiale dell‘opera o, più in generale, contro coloro che appaiano prima facie aver posto in essere la violazione, salvo l’accertamento delle effettive responsabilità e l’individuazione del responsabile, nel successivo giudizio di merito. Ed in tale giudizio la legittimazione passiva si individua in base alla domanda, secondo le norme generali, e quindi legittimato passivo sarà il destinatario del comando della norma invocata dall’attore, e cioè l’esecutore materiale o morale dell’opera, se il denunciante agisce in possessorio; il proprietario o il titolare di altro diritto reale se egli agisce in petitorio17. Diversa l’azione di danno temuto, prevista dall’art. 1172 c.c., la quale mira ad eliminare in radice la causa dannosa. Essa è consentita se l’interessato, sia esso proprietario, possessore o titolare di altro diritto reale, abbia ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che gli appartiene. In tale fattispecie non è richiesta una attività umana, come nell’altra azione di enunciazione ma, similmente ad essa, il procedimento si articola in due fasi le quali, sebbene strettamente connesse tra loro, rimangono distinte : la prima, a cognizione sommaria, ha natura cautelare e provvisoria e si conclude con ordinanza di conferma, modifica o revoca del provvedimento d’urgenza reso nel corso di detta fase; la seconda, a cognizione piena, dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione che si conclude con sentenza. In tema di denuncia di danno temuto, insomma, i provvedimenti temporanei ed urgenti di natura cautelare assunti ai sensi dell’art. 1172 c.c. caratterizzano ed esauriscono la fase cautelare del procedimento cui dà luogo il ricorso del denunciante che assuma in pericolo il suo diritto, mentre del tutto distinto ed autonomo rimane, rispetto ad essa, il successivo giudizio di merito a cognizione piena diretto ad accertare l’esistenza del diritto per la cui tutela erano stati chiesti quei provvedimenti. In tal caso, ove l’azione sia stata proposta a tutela del possesso, il giudizio di merito successivo alla chiusura della fase cautelare del procedimento avrà ad oggetto la verifica della ricorrenza dell’effettiva esistenza del pericolo di danno, della sua riconducibilità al comportamento del denunciato e dell’illiceità di tale comportamento mentre, nel caso essa sia stata proposta a tutela della proprietà o di altro diritto reale di godimento, l’indagine riguarderà anche l’esistenza di tale diritto. Poiché l’azione di danno temuto postula un rapporto di cosa n. 1-2/2007 a cosa - nel senso che il fondo altrui deve costituire pericolo per quello proprio - è improponibile da colui che l’esperisce a tutela di un suo diritto personale, come all’incolumità fisica18. In ambito condominiale varie sono le possibilità che si verifichino conflitti rientranti nelle fattispecie esaminate ed, in primo luogo, va detto che la norma del comma 4 dell’art. 1130 c.c. va intesa nel senso che l’amministratore, oltre a chiedere i provvedimenti cautelari, è abilitato anche a compiere tutti gli atti diretti alla conservazione della integrità delle cose comuni, con la conseguenza che il medesimo può esercitare, senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condomini sia la denuncia di nuova opera sia l’azione di danno temuto, sempre che il pericolo investa le parti comuni del fabbricato. Ed in particolare, con riguardo al danno temuto, l’azione potrà essere utilmente esperita contro l’appaltatore di lavori condominiali, nel caso di rovina del fabbricato o gravi vizi di costruzione che ne mettano in pericolo la sicurezza, senza trovare deroga per il caso in cui le opere di rifacimento dell’edificio siano state già eseguite a cura dello stesso amministratore. Interessante, poi, appare la possibilità che sia accolta, in via cautelare, la domanda di alcuni condomini diretta ad ottenere la sospensione, ai sensi dell’art. 1171 c.c., dei lavori di installazione di una stazione radio base per telefoni cellulari iniziati, senza l’autorizzazione del condominio, su porzione di lastrico solare di proprietà esclusiva di un altro condomino. La pronuncia19, in tal caso, ha considerato il deprezzamento dell’edificio conseguente alla situazione di incertezza scientifica circa gli effetti a lungo termine sulla salute delle onde elettromagnetiche irradiate da impianti del genere, nonché la invasività e il non organico inserimento dell’opera nel contesto architettonico dell‘edificio condominiale20. Ove dalle parti comuni di un condominio derivi un pericolo legittimante l’azione di danno temuto, come il distacco di intonaco dalle facciate, questo può essere obbligato anche a rimuovere le cause del danno stesso, ex art. 1172 c.c.21. Ma occorre distinguere il caso di opere ordinarie, nel qual caso potrà essere convenuto in giudizio l’amministratore, dalla richiesta di interventi urgenti implicanti opere di ristrutturazione e consolidamento del fabbricato non rientranti nell’ordinaria manutenzione di esso e quindi nelle attribuzioni sostanziali e processuali dell‘amministratore del condominio, nel qual caso la domanda dovrà essere proposta nei confronti di tutti i condomini22. Così l’amministratore del condominio, tenuto ex art. 1126 c.c. alla manutenzione della terrazza a livello di proprietà esclusiva, è legittimato passivo quanto alla denuncia di danno temuto proposta dal condomino proprietario della sottostante unità, il quale lamenti infiltrazioni causate dalle condizioni della terrazza stessa23. «Italia Casa» 17) Cassazione civile, sez. II, 6 ottobre 2000, n. 13327. 18) Cassazione civile, sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9783. 19) Pretura Bologna, 12 aprile 1999. 20) Per una organica ricostruzione degli effetti e dei rimedi all’inquinamento elettromagnetico, si veda Persico. 21) Cassazione civile, sez. III, 20 agosto 2003, n. 12211. 22) Cassazione civile, sez. II, 18 marzo 1999, n. 2484. 23) Pretura Catania, 13 dicembre 1993. 144 n. 1-2/2007 Condominio VICINI DI CASA DIVISI DAL CODICE Il testo fondamentale resta una guida anche se aumentano le leggi speciali di Saverio Fossati odici milioni di famiglie. Il popolo dei condomini rappresenta praticamente la metà degli italiani e “muove” ogni anni qualcosa come 15 miliardi di euro, in circa un milione di edifici, dai complessi enormi alle villette bifamiliari, attraverso un esercito di amministratori. C’è chi dice 100 mila, anche se i professionisti sono meno della metà. Un mondo complesso, anche sotto il profilo sociale e psicologico: è nei rapporti di vicinato che si misurano tolleranza e comprensione, ma anche isterismi e manie. La proprietà immobiliare, un traguardo che è stato (spesso con enormi sacrifici) raggiunto da una massa di famiglie in tempi relativamente brevi (di fatto in tre decenni), ha provocato più cambiamenti di quanto non si pensi. Passati in fretta dal rango subalterno ma sereno e disinteressato di inquilini a quello di proprietari assillati dai problemi e dalle spese, non tutti hanno reagito bene. E, questa considerazione, forse, spiega anche perché il Codice civile sia invecchiato: concepito per situazioni non molto diffuse (la grande proprietà e l’affitto erano, allora, le realtà più comuni anche per la upper class, grazie anche ai bassissimi costi di costruzione) e che vedevano protagoniste famiglie appartenenti a classi sociali medio-alte, il condominio è diventato un contratto di massa, un patto non molto regolamentato che tende a chiudere nel labile recinto del gentleman’s agreement la fatica e la rabbia di chi ha investito molto, forse troppo, sul traguardo casa. Molti vuoti normativi sono stati riempiti dalla giurisprudenza, che si è dovuta occupare di zerbini, tende e antenne tv. Di riforma complessiva si è molto parlato ma senza risultati concreti. D Le modifiche, finora, si sono quindi concentrate nelle leggi speciali. Ma gli interventi di questi ultimi anni hanno comunque condotto l’istituto su binari meno rugginosi, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza degli impianti, la regolarità contributiva dei dipendenti, l’impegno anti evasione. Sì, perché il condominio è diventato uno dei veicoli preferiti dal Fisco per i controlli incrociati e sugli amministratori si sono accumulati obblighi e adempimenti sempre più pesanti. Anche il risparmio energetico vede il condominio protagonista: ed è uno delle chiavi di volta della politica per la casa del Governo, espressa nella Finanziaria 2007. Ma non è la sola novità di quest’anno. Anzitutto, anche per il 2007 resta in vigore la detrazione del 36% sulle opere di recupero, comprese quelle di manutenzione ordinaria. La parte del leone è fatta da un’altra, e più cospicua detrazione del 55% delle spese sostenute per opere legate al risparmio energetico e alle fonti rinnovabili, da scontare in soli tre anni. Su 100 mila euro di spesa, se ne recuperano dall’Irpef dei singoli condomini ben 18.300 all’anno per tre anni. La Finanziaria, tuttavia, non si è limitata ai bonus ma ha anche imposto un nuovo adempimento, sempre nel quadro del contrasto; all’evasione fiscale: l’obbligo di applicare una ritenuta del 4% sul compenso (al netto di Iva) per i contratti di appalto e d’opera a favore del condominio. Sarà dovere dell’amministratore versarla all’Erario scontandola dal compenso complessivamente dovuto all’impresa. Risulterà così, tracciato dalla ritenuta e della partita Iva dell’impresa, il compenso a volte occultato. «Il Sole 24 ORE» 145 Condominio n. 1-2/2007 L’APPLICAZIONE DELLE NORME SUI RAPPORTI DI VICINATO di Ettore Ditta l codice civile contiene alcune norme finalizzate a disciplinare il settore delle distanze minime da rispettare fra gli edifici, per pozzi, cisterne, fosse e tubi, per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi, per le luci e per altri casi ancora. Un aspetto importante del settore condominiale è quello dell’applicabilità delle disposizioni codicistiche sui rapporti di vicinato. I Distanze e condominio Tenuto conto della complessità e della rilevanza delle disposizioni del codice civile in materia di distanze (riquadro 1), si pone il problema se esse trovino applicazione anche nei rapporti condominiali o, per dire meglio, nelle situazioni che vedono contrapposti due o più condomini che fanno parte dello stesso edificio. L’opinione prevalente è che le norme sulle distanze legali si applicano anche fra condomini dello stesso edificio, ma solo compatibilmente con le norme particolari dettate in materia di condominio; e quindi non possono essere applicate nei casi in cui si devono dotare gli appartamenti di proprietà esclusiva, che ne sono privi, di impianti e attrezzature indispensabili (o anche solo entrate nell’uso comune) per una più confortevole e igienica abitabilità. La verifica della compatibilità delle disposizioni sulle distanze legali con quelle previste nel settore condominiale deve quindi essere effettuata caso per caso. Anche la giurisprudenza, da tempo, risponde a tale problema in senso positivo, affermando che le norme sulle distanze legali sono applicabili nei rapporti reciproci fra condomini, in relazione alle parti immobiliari di proprietà esclusiva, qualora uno di essi, utilizzando una parte comune a vantaggio della sua proprietà, sia pure nei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., incorra nella violazione dei diritti di un altro condomino; né al riguardo sono configurabili temperamenti, alla stregua di una valutazione di compatibilità delle norme su indicate con gli interessi da considerare nei rapporti condominiali, allorché trattasi di utilizzazione che implica la violazione di una norma del regolamento condominiale predisposto dall’originario unico proprietario e recepito nei singoli atti di acquisto (Cass., sent. n. 2531, 27 aprile 1981); tale decisione si riferiva a una struttura metallica di sostegno di una tenda, realizzata su di un balcone di proprietà esclusiva di alcuni condomini - che sono stati infatti condannati a rimuoverla a seguito dell’azione giudiziaria proposta dal vicino - a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 907 cod. civ. dal balcone soprastante di un altro condomino e in violazione di una norma del regolamento condominiale, contenente il divieto di ogni modificazione dei balconi. Le distanze prescritte dall’art. 873 cod. civ. devono essere osservate anche nei rapporti fra il fondo comune, come nel caso del muro condominiale dell’edificio in comproprietà fra le parti, e quello di proprietà esclusiva di uno dei condomini (Cass., sent. n. 5390, 2 giugno 1999). Si precisa che le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio e il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose 146 comuni (art. 1102 cod. civ), cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile un’applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza dell’inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino e il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (Cass., sent. n. 9995, 9 ottobre 1998). E ancora che nell’edificio condominiale l’utilizzazione delle parti comuni con impianti a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 cod. civ. ma anche l’osservanza delle norme del codice in tema di distanze onde evitare la violazione del diritto di altri condomini sulla parte di immobile di loro esclusiva proprietà; tale disciplina tuttavia non opera nell’ipotesi dell’installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell’appartamento intesa nel senso che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l’apprestamento di accorgimenti idonei a evitare danni alle unità immobiliari altrui (Cass., sent. n. 11695, 5 dicembre 1990). E, infine, che negli edifici condominiali l’utilizzazione delle parti comuni con impianto a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 cod. civ., che comportano il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ma anche l’osservanza delle norme del codice in tema di distanze, per evitare la violazione del diritto degli altri condomini sulle porzioni immobiliari di loro esclusiva proprietà; tale disciplina, tuttavia, non opera nell’ipotesi dell’installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell’appartamento, nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l’apprestamento di accorgimenti idonei a evitare danni alle unità immobiliari altrui (Cass., sent. n. 7752, 15 luglio 1995). Le fattispecie Molte sentenze ovviamente fanno riferimento non alla sola problematica generale, ma alle varie fattispecie che si possono presentare nella pratica e che conviene prendere in esame singolarmente. Distanze fra costruzioni Ai fini dell’applicabilità delle norme sulle distanze legali alle costruzioni eseguite sulle parti comuni di un edificio in condominio, occorre distinguere tra le funzioni primarie e fondamentali attribuite a tali parti in relazione al fine per cui il condominio è stato costituito e le eventuali utilizzazioni secondarie di cui le stesse parti sono suscettibili al di fuori di un rapporto di connessione inscindibile con la struttura e la funzionalità del condominio; infatti, nel mentre deve affermarsi la prevalenza del perseguimento delle funzioni primarie delle parti comuni rispetto all’osservanza delle norme sulle distanze legali, queste norme debbono, invece, essere applicate riguardo alle utilizzazioni secondarie delle menzionate parti, quali le costruzioni, n. 1-2/2007 come per esempio una tettoia, eseguite da un condomino sul muro comune per scopi estranei alla sua funzione tipica (Cass., sent. n. 194, 6 aprile 1981). Con riferimento all’installazione di una pensilina sul muro comune attuata da altro condomino senza l’osservanza delle distanze tra costruzioni e tra costruzioni e vedute per fini di mera utilità della sua proprietà individuale, e non per una inderogabile esigenza inerente alla natura di questa, è stato deciso che nell’edificio condominiale le diverse unità immobiliari sono soggette anche alla disciplina dei rapporti di vicinato, pur con i limiti oggettivamente imposti dall’essenziale esigenza che ciascuna unità possa essere utilizzata secondo la sua natura, sicché ciascun condomino può opporsi a ogni interferenza sul bene oggetto del suo diritto esclusivo, proveniente anche da altro condomino che, al di fuori di quei limiti o da essi eccedendo, operi sul proprio bene, ovvero su parte comune dell’edificio, con attività non apprezzabile in termini di relativo uso o godimento (eventualmente oltre le facoltà consentite) secondo la sua natura, in quanto si risolve in lesione dell’altrui diritto sul bene individuo (Cass., sent. n. 5268, 5 agosto 1983). Con riferimento all’art. 22 del regolamento edilizio di Marigliano interpretato nel senso che la distanza da esso prescritta andava misurata dalle pareti e dalle sporgenze soltanto se chiuse, senza tenere conto dei balconi - è stato deciso che la disciplina delle distanze nelle costruzioni del codice civile impone al legislatore locale di non stabilire in ogni caso distanze inferiori ai tre metri, salva restando la facoltà per i regolamenti locali, purché sia rispettato l’anzidetto limite, di prevedere punti di riferimento per il computo delle distanze diversi da quelli stabiliti dal codice civile (Cass., sent. n. 6351, 22 giugno 1990). Nel giudizio instaurato per la violazione delle distanze legali tra edifici, la determinazione della misura concreta della distanza da rispettare fra le costruzioni deve essere compiuta dal giudice investito della cognizione della relativa domanda e non può essere rimessa al giudice dell’esecuzione il quale deve risolvere solo i problemi e le difficoltà che possono insorgere in sede di attuazione dell’obbligo di fare, così come imposto dal titolo, e non può in alcun modo provvedere a integrare il titolo stesso (Cass., sent. n. 7124, 25 giugno 1991). Con riferimento a una superficie al livello del cosiddetto piano di campagna, perfettamente spianata, attrezzata come campo da tennis, e i plinti, interrati nel sottosuolo, di sostegno dei pali di illuminazione del campo stesso, nonché il “cordolo” di recinzione del campo, alto 20 cm, la rete metallica intorno al campo e i pali di illuminazione del terreno di gioco - giudicati non costituenti una costruzione ai fini dell’art. 873 cod. civ., considerando in particolare che il primo per la sua modesta elevazione e gli altri per la loro struttura e consistenza non erano idonei a intercettare aria e luce e a formare quindi intercapedini vietate dal menzionato art. 873 cod. civ. - è stato affermato che l’art. 873 cod. civ., nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima di 3 metri dal confine o quella maggiore fissata nei regolamenti locali, si riferisce, in relazione all’interesse tutelato dalla norma, a opere che, oltre a possedere caratteri di immobilità e di stabile collegamento con il suolo, siano erette sopra il medesimo sporgendone stabilmente, e che, inoltre, per la loro consistenza, abbiano l’idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla salubrità del godimento della proprietà fondiaria, idoneità il cui accertamento, rimesso al giudice di merito, è indispensabile per qualificare l’opera quale costruzione ai fini dell’applicazione della norma menzionata, senza che ciò comporti deroga alla presunzione di pericolosità collegata dalla legge al mancato rispetto delle distanze legali, presupponendo tale presunzione il preventivo accertamento che il manufatto eretto a distanza inferiore Condominio a quella legale abbia i caratteri della costruzione; e che l’art. 873 cod. civ. non comprende invece né le opere completamente realizzate nel sottosuolo né i manufatti che non si elevino oltre il livello del suolo, non ricorrendo per le une o per gli altri la ragione giustificatrice della norma stessa (Cass., sent. n. 5956, luglio 1996). Il D.M. 1444 del 2 aprile 1968 (emanato in esecuzione della norma sussidiaria dell’art. 41-quinquies, legge 1150 del 17 agosto 1942, introdotto dalla legge 765 del 6 agosto 1967) - che all’art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante pure nei rapporti fra i privati (Cass., Sez. Unite, sent. n. 5889, 1 luglio 1997). I1 partecipante alla comunione non può, senza il consenso degli altri, servirsi della cosa comune dai fini dell’utilizzazione di altro immobile di sua esclusiva proprietà distinto ai fondi al servizio dei quali questa sia stata originariamente destinata, perché il relativo uso verrebbe in tal guisa a risolversi nell’imposizione di fatto di una vera e propria servitù carico della cosa comune e a favore dell’immobile in questione; con la conseguenza che l’obbligo stabilito dall’art. 905 cod. civ. di rispettare le distanze per l’apertura di vedute dirette sussiste anche nel caso in cui lo spazio tra edifici vicini sia costituito da un cortile comune la cui la presenza impone a carico dei proprietari dei fabbricati frontistanti dei limiti ancora più severi di quelli fissati dalle norme sulle distanze, in quanto l’esecuzione di nuove costruzioni (porte a piano terreno, finestre e balconi) non può alterare la destinazione del cortile consistente nel dare luce e aria agli edifici su di esso prospettanti (Cass., sent. n. 8397, 20 giugno 2000). Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi Le sentenze che hanno esaminato il nostro problema con riferimento alle distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi hanno affermato che la disposizione dell’art. 889 cod, civ. relativa alle distanze da rispettare per pozzi, cisterne, fossi e tubi è applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell’immobile, tale da essere adeguata all’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene (Cass., sent. n. 8801, 20 agosto 1999). Si precisa che in tema di condominio degli edifici l’applicabilità della norma sulle distanze prescritte dall’art. 889 cod. civ. trova limite per l’ipotesi di opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che in tale caso l’intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito, o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, con la conseguenza che queste comportano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 cod. civ.) e l’insorgere del condominio, e dall’altro lato, la costituzione in deroga (o in contrasto) al regime legale delle distanze di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, in base a uno schema assimilabile a quello dell’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia (Cass., sent. n. 139, 19 gennaio 1985). È più di recente che, in materia condominiale, le norme che regolano i rapporti di vicinato, tra le quali quella dell’art. 889 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; e che pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio 147 Condominio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la rigorosa osservanza di dette norme non sia nel singolo caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali (Cass., sent. n. 16958, 2 luglio 2006); a tale stregua, anche con riferimento ai tubi dell’impianto di riscaldamento di edifici condominiali, l’applicabilità dell’art. 889 cod. civ. è derogabile solo per incompatibilità dell’osservanza della distanza ivi indicata con la struttura stessa di tali edifici (Cass., sent. n. 13852, 9 novembre 2001). Con specifico riferimento alla collocazione di condutture igieniche sanitarie del bagno e della cucina di un appartamento a distanza legale da altra unità immobiliare è stato deciso che, allorquando nel condominio si tratti di rapporti tra le singole unità divise, le norme del codice sui rapporti di vicinato possono applicarsi solo nei limiti della compatibilità con quelle del regime condominiale e la valutazione di compatibilità deve essere eseguita dal giudice del merito con riferimento alla concreta possibilità di rispettare le distanze legali, data la struttura dell’edificio comune e lo stato dei luoghi (Cass., sent. n. 6575, 15 dicembre 1984). Canna fumaria Con riferimento all’installazione di una canna fumaria lungo il muro perimetrale dell’edificio condominiale al fine della realizzazione di un impianto di riscaldamento è stato deciso che negli edifici condominiali le norme sulle distanze legali, che non possono trovare applicazione nei rapporti fra proprietà singole e beni comuni (a tutti i condomini o ad alcuni soltanto di essi), non sono applicabili neppure nei rapporti fra proprietà singole allorché il rispetto di esse non sia compatibile con la concreta struttura dell’edificio e il condominio utilizzi una parte comune di questo a favore della sua unità immobiliare, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., per realizzare impianti indispensabili per un’effettiva abitabilità del suo appartamento secondo le esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene, nel qual caso vanno peraltro sempre rispettate sia la destinazione del bene comune sia il diritto di pari utilizzazione (anche potenziale) degli altri condomini e non vanno pregiudicati la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico dell’edificio (Cass., sent. n. 3105, 11 maggio 1981). La distanza di almeno un metro dal confine che l’art. 889, comma 2, cod. civ. prescrive per l’installazione dei tubi dell’acqua, del gas e simili si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo del vicino, in relazione alla naturale possibilità di infiltrazioni; detta norma pertanto non è applicabile alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie e agli impianti di condizionamento d’aria, che vanno soggetti alla regolamentazione di cui all’art. 890 cod. civ. e quindi posti alla distanza che nel caso concreto risulti necessaria a preservare da pregiudizi il fondo del vicino (Cass., sent. n. 12927, 3 dicembre 1991). Con riferimento all’installazione, in appoggio al muro condominiale, e in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica condominiale, è stato deciso che le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti fra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio e il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni (art. 1102 cod. civ.), vale a dire nel caso in cui l’applicazio- 148 n. 1-2/2007 ne di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile un’applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza dell’inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino e il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (Cass. civ., sent. n. 724, 23 gennaio 1995). E anche con riferimento all’installazione, in appoggio al muro condominiale e in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria di un locale di altro condomino adibito a esercizio di pizzeria è stato deciso che le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio e il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni (art. 1102 cod. civ.), vale a dire nel caso in cui sia possibile un’applicazione complementare di tali norme, mentre, in caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso delle cose comuni (Cass., sent. n. 15394, 1 dicembre 2000). Aspetti processuali Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, quali quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano tra gli atti meramente conservativi e possono, quindi, essere promossi dall’amministrazione del condominio solo qualora sia stata autorizzata dall’assemblea a norma dell’art. 1131, comma 1, cod. civ. (Cass., Sez. Unite, sent. n. 10615, 28 novembre 1996). Ciascun condomino è legittimato a ricorrere per la violazione delle distanze fra costruzioni con riguardo all’edificio condominiale, senza che sia necessaria l’integrazione del contraddittorio con la chiamata in causa degli altri condomini, trattandosi di azione a tutela del diritto di proprietà dalla quale nessun nocumento può derivare agli altri contitolari; solo nel caso in cui intervengano nel giudizio gli altri condomini aderendo alla domanda dell’attore, la sentenza che accolga tale domanda, in quanto pronunciata in contraddittorio a favore di tutti i condomini, determina un litisconsorzio necessario di natura processuale (Cass., sent. n. 2940, 11 marzo 1992). La domanda di arretramento di un edificio condominiale per violazione delle distanze legali deve esser proposta nei confronti di tutti i condomini; ma se viene invece proposta soltanto nei confronti di alcuni di essi e dell’amministratore del condominio, unitamente alla richiesta di misure cautelari per il denunciato pericolo di distacchi del rivestimento del fabbricato, e se nel corso del medesimo giudizio di primo grado, verificatisi questi ultimi, e ordinato ai convenuti di eliminare lo stato di pericolo, l’attore propone altresì domanda di risarcimento dei conseguenti danni, la nullità, dichiarata dal giudice di appello, della sentenza non definitiva di condanna all’arretramento di parti comuni dell’edificio perché emessa a contraddittorio non integro, determina la nullità anche degli atti successivi di prosecuzione del giudizio sulla domanda risarcitoria, nullità che peraltro deriva anche dalla connessione di tale domanda alla richiesta di interventi urgenti che implicano opere di ristrutturazione e consolidamento del fabbricato che non rientrano nell’ordinaria manutenzione di esso e quindi nelle attribuzioni sostanziali e processuali dell’amministratore del condominio, e perciò da proporre anch’essa nei confronti di tutti i condomini (Cass., sent. n. 2484, 18 marzo 1999). Condominio n. 1-2/2007 Riquadro 1 Le disposizioni del codice civile sulle distanze Articolo 873 In relazione alle distanze nelle costruzioni, prevede che le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di 3 metri; nei regolamenti locali tuttavia può essere stabilita una distanza maggiore. Articolo 878 In relazione al muro di cinta, prevede che il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai 3 metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall’art. 873; e aggiunge che il muro, quando è posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo d’appoggio, purché non preesista al di là un edificio a distanza inferiore ai 3 metri. Articolo 879 In relazione agli edifici non soggetti all’obbligo delle distanze o a comunione forzosa, prevede che alla comunione forzosa non sono soggetti gli edifici appartenenti al demanio pubblico e quelli soggetti allo stesso regime, né gli edifici che sono riconosciuti di interesse storico, archeologico o artistico, a norma delle leggi in materia; mentre alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma si devono osservare le leggi e i regolamenti che le riguardano. Articolo 884 In relazione all’appoggio e alle immissioni di travi e catene nel muro comune, prevede che il comproprietario di un muro comune può fabbricare appoggiandovi le sue costruzioni e può immettervi travi, purché le mantenga a distanza di cinque centimetri dalla superficie opposta, salvo il diritto dell’altro comproprietario di fare accorciare la trave fino alla metà del muro, nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, aprirvi un incavo o appoggiarvi un camino; il comproprietario può anche attraversare il muro comune con chiavi e catene di rinforzo, mantenendo la stessa distanza; in ogni caso egli è tenuto a riparare i danni causati dalle opere compiute e non può fare incavi nel muro comune, né eseguirvi altra opera che ne comprometta la stabilità o che in altro modo lo danneggi. Articolo 889 In relazione alle distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi, prevede che chi vuole aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, deve osservare la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere predette; per i tubi d’acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro diramazioni si deve osservare la distanza di almeno un metro dal confine; in ogni caso sono salve le disposizioni dei regolamenti locali. Articolo 890 In relazione alle distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi, prevede che colui che presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, vuole fabbricare forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili, o vuol collocare materie umide o esplodenti o in altro modo nocive, ovvero impiantare macchinari, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza. Articolo 891 In relazione alle distanze per canali e fossi, prevede che colui che vuole scavare fossi o canali presso il confine, se non dispongono in modo diverso i regolamenti locali, deve osservare una distanza eguale alla profondità del fosso o canale; la distanza si misura dal confine al ciglio della sponda più vicina, la quale deve essere a scarpa naturale ovvero munita di opere di sostegno; se il confine si trova in un fosso comune o in una via privata, la distanza si misura da ciglio a ciglio o dal ciglio al lembo esteriore della via. Articolo 892 In relazione alle distanze per gli alberi, prevede che colui che vuol piantare alberi presso il confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali; se invece gli uni e gli altri nulla dispongono, devono essere osservate le distanze dal confine di tre metri per gli alberi di alto fusto (che, con riguardo alle distanze, sono quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili), di un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto (che, con riguardo alle distanze, sono quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami) e di mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive e le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo; la distanza deve essere però di un metro, qualora le siepi siano di ontano, di castagno o di altre piante simili che si recidono periodicamente vicino al ceppo, e di due metri per le siepi di robinie; la distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell’albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina; tali distanze non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro. Articolo 893 In relazione alle distanze per gli alberi presso strade, canali e sul confine di boschi, prevede che per gli alberi che nascono o si piantano nei boschi, sul confine con terreni non boschivi, o lungo le strade o le sponde dei canali, si devono osservare, trattandosi di boschi, canali e strade di proprietà privata, i regolamenti e, in mancanza, gli usi locali; se gli uni e gli altri nulla dispongono, si devono osservare le distanze prescritte dall’art. 892. Articolo 895 In relazione alle distanze per gli alberi piantati a distanza non legale, prevede che se si è acquisito il diritto di tenere alberi a distanza minore di quelle sopra indicate e poi l’albero muore o viene reciso o abbattuto, il vicino non può sostituirlo, se non osservando la distanza legale stabilita dall’art. 892; ma questa disposizione non si applica quando gli alberi fanno parte di un filare situato lungo il confine. Articolo 905 In relazione alla distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi, prevede che non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo; che non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di tali opere; e che il divieto cessa nei casi in cui tra i due fondi vicini vi è una via pubblica. Articolo 906 In relazione alla distanza per l’apertura di vedute laterali od oblique, prevede che non si possono aprire vedute laterali od oblique sul fondo del vicino se non si osserva la distanza di settantacinque centimetri, la quale deve essere misurata dal più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto. Articolo 907 In relazione alla distanza delle costruzioni dalle vedute, prevede che quando si è acquisito il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di 3 metri, misurata ai sensi dell’art. 905; se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di 3 metri deve essere osservata pure dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita; se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono tali vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia. «Consulente Immobiliare» 149 Condominio n. 1-2/2007 AREE DI PERTINENZA IMMOBILIARE, L’INDENNITÀ ESPROPRIATIVA di Giovanni Turola econdo l’art. 817 cod. civ., pertinenze sono le cose destinate in modo durevole a servizio o a ornamento di un altro bene. Nel caso di cespiti immobiliari sono pertinenze di fabbricati i cortili, i giardini, gli spazi scoperti, i parcheggi ecc. La caratteristica di pertinenzialità si configura per l’esistenza di un rapporto oggettivamente funzionale con il bene principale, ma anche di un elemento soggettivo costituito dalla volontà del proprietario del compendio di destinare durevolmente la cosa accessoria al servizio del bene principale. La sussistenza di entrambe le caratteristiche (oggettiva e soggettiva) comporta l’estensione per esempio del contratto di locazione di un appartamento alla cantina a esso pertinenziale e nelle disposizioni testamentarie la traslazione all’erede dell’intero compendio, anche allorquando le relative pertinenze non siano oggetto di specifica menzione. S Il D.P.R. 327/2001 prevede criteri indennitari diversi per le aree edificabili e per le costruzioni legittimamente edificate. Più precisamente, per le aree edificabili l’indennità prevista è pari al valore venale dell’area, mediato con il reddito dominicale rivalutato (praticamente pari a zero) e con la decurtazione del 40% (art. 37). Quindi, fatto 100 il valore venale dell’area, l’indennità è pari a: (100 + 0) : 2 x (1,00 - 0,40) = 30. Per le costruzioni legittimamente edificate, e quindi anche per le relative aree, l’indennità è invece pari al relativo valore venale (100 nell’esempio) senza decurtazioni (art. 38). Ne segue immediatamente che qualora la costruzione legittimamente edificata abbia delle entità pertinenziali, l’indennità spettante a queste ultime è pari al loro valore venale senza decurtazione alcuna. Pertinenze, il valore venale Il valore venale, in alternativa denominato valore di mercato o valore in comune commercio, può essere reperito con l’ausilio di mercuriali ove si tratti di beni in esse contemplati (per esempio posti auto o box pertinenziali), o con l’ausilio di coefficienti di ragguaglio (nel caso di cantine, solai ecc.), ma è di più difficile determinazione per le aree scoperte pertinenziali quali giardini, cortili, parchi, viali di accesso e simili. In quest’ultimo caso si può ricorrere sia ai coefficienti di ragguaglio (che il mercato apprezza in una percentuale del valore unitario del bene principale), sia alle disposizioni di legge sulla valutazione delle pertinenze. È di immediata percezione, per le aree pertinenziali scoperte, che il relativo valore unitario è inversamente proporzionale alla loro estensione in rapporto alla consistenza vendibile del bene principale. I parametri sopra ricordati sono reperibili sia sulle mercuriali sia in pubblicazioni specializzate. Ove sia necessario computare indennità espropriative è sempre più opportuno riferirsi a una norma di legge, nella fattispecie la normativa sulla determinazione delle rendite catastali di cui al D.P.R. 138/1998 che indica i criteri e i coeffi- 150 cienti attribuibili alle pertinenze in relazione alla destinazione del fabbricato principale. Le mercuriali recano il valore di alcune costruzioni edilizie già comprensivo, per consuetudine di mercato, di aree pertinenziali in una certa percentuale della consistenza del bene principale. Per esempio, per i capannoni industriali vengono indicate le quotazioni per mq di superficie coperta, alla quale è però annessa (e compresa nel valore indicato) un’area pertinenziale scoperta all’incirca di pari entità. Infatti, solitamente la normativa urbanistica relativa a tali tipologie edilizie prevede che il rapporto di copertura sia contenuto nel 50% della superficie fondiaria disponibile. Pertanto in casi consimili occorre considerare che il valore dell’area pertinenziale è già compreso in quello dell’edificio per una certa consistenza (variabile da località a località in relazione alla normativa) e quindi assume valore aggiuntivo solo la superficie di area pertinenziale eccedente tali limiti. Lo stesso dicasi per le ville e villini: la quotazione riportata dalle mercuriali comprende sicuramente una certa area giardinata e/o scoperta pertinenziale, altrimenti non si potrebbe parlare di ville o villini che per loro caratteristica possiedono un’area scoperta annessa. Occorre allora stabilire qual è la consuetudine tipica del mercato nella località in termini di rapporto fra area coperta e scoperta e valutare a (eventuale) incremento del valore del compendio la sola eccedenza rispetto alla normalità. In base a quanto precede le aree cortilizie e/o giardinate pertinenziali di edifici espropriati determinate con i criteri di cui sopra - devono essere indennizzate sulla base di una percentuale del valore unitario del bene principale e tale indennità non è suscettibile di riduzione o di medie con altri valori, in quanto si tratta di aree edificate. È subito evidente che tutto ciò che fosse costruito/piantumato/connesso a dette aree pertinenziali debba essere indennizzato in base al relativo valore venale determinabile anche mediante il procedimento a costo di riproduzione vetustato. Così si dovranno riconoscere i valori afferenti asfaltature, fognature, linee elettriche interrate, sistemazioni superficiali, muri di recinzione, cancellate, illuminazione, impianti di allarme, alberature, aiuole ecc., entità tutte da valutare separatamente e da aggiungere al valore intrinseco dell’area pertinenziale. La suscettività edificatoria residua Di solito le aree pertinenziali di edifici realizzati non posseggono capacità edificatoria residua, in quanto l’intera volumetria realizzabile è stata utilizzata per la costruzione del bene principale. Le aree pertinenziali sono quindi - nella quasi totalità dei casi - “svuotate” di volumetria. In tali circostanze il relativo valore venale va valutato sulla base dei coefficienti di ragguaglio (di mercato o legali) prima ricordati. Potrebbe però sussistere una residua suscettività edificatoria propria dell’area pertinenziale. In tal caso la stessa va valutata con i consueti criteri (sinteticamente mediante i parametri metro cubo edificabile, metro quadrato edificabile, o con procedimento di trasformazione) e al risultato va applicata la normativa prima ricordata ex art. 37, D.P.R. 327/2001, tenendo però conto che la residua edificabilità - se realizzata - andrà a diminuire la consisten- n. 1-2/2007 za dell’area da considerarsi pertinenziale perché una parte della stessa dovrà essere destinata a sedime (e se del caso a pertinenza) della nuova costruzione. Aree pertinenziali e Ici In relazione a quanto sopra riportato in ordine alla normativa per il computo delle rendite catastali, qualora un’area sia catastalmente considerata pertinenziale di una costruzione (indicazioni tipiche nelle planimetrie: cortile, giardino ecc.), il relativo valore deve intendersi compreso in quello dell’edificio principale e quindi l’area pertinenziale non è suscettibile di autonoma dichiarazione ai fini Ici. Non si sono reperite norme che impongano la dichiarazione Ici per l’eventuale sussistente residua edificabilità di un’area pertinenziale. Condominio L’espropriazione della sola area pertinenziale Qualora si proceda a espropriazione di un’area pertinenziale (o di parte di essa) svuotata di volumetria e quindi di per sé inedificabile, la relativa indennità non può essere computata a termini dell’art. 40 del T.U. citato, relativo alle aree non edificabili e cioè con l’applicazione dei valori agricoli medi, bensì con i parametri prima indicati ex art. 38 e quindi senza riduzione alcuna, trattandosi di area edificata. Inoltre, in tali casi, si tratta sempre di espropriazioni parziali (il cortile o giardino rappresentano una parte del compendio inciso) per cui è applicabile sempre il criterio del valore complementare ex art. 33 del T.U. espropri: l’indennità dovrà equamente considerare il pregiudizio derivato all’intero compendio, pari alla differenza fra il valore ex ante e quello ex post dello stesso. «Consulente Immobiliare» Melissa (KR) “u paggāru = la capanna, vicino al recinto delle pecore” (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina) 151 Edilizia e urbanistica n. 1-2/2007 I SOGGETTI LEGITTIMATI ALLA RICHIESTA DEL TITOLO EDILIZIO La legittimazione del comproprietario e i poteri istruttori del comune di Giuseppe Ciaglia e Alessandra Castronuovo Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2006, n. 6017. In tema di rilascio dei titoli abilitativi, qualora i titolari dell’area oggetto dell’edificazione siano più d’uno, deve ritenersi legittimato alla richiesta del titolo edilizio anche il singolo comproprietario, se l’esistenza di un particolare rapporto con gli altri contitolari del diritto (quale, ad esempio, il legame di parentela), sia tale da far presumere l’esistenza di un sostanziale “pactum fiduciae” tra gli stessi. T.R.G.A., Sez. Bolzano, 27 febbraio 2006, n. 81. Nel nostro ordinamento, il rilascio del titolo edilizio per la realizzazione di opere che incidono sulle parti comuni di un edificio è subordinato all’assenso di tutti i comproprietari. L’esecuzione di interventi che comportano una modificazione permanente di parti comuni dell’immobile, infatti, impedendo agli altri comproprietari di usarne secondo il proprio diritto, non può che essere assentita previa acquisizione del consenso di tutti i comunisti. Ne deriva che in sede di rilascio del titolo edilizio, ben può l’amministrazione comunale, nell’esercizio dei propri poteri istruttori, esigere l’assenso degli altri comproprietari, soprattutto quando il conclamato dissidio tra essi non lascia presumere un ‘unica volontà in ordine all’intervento progettato. È necessario sostenere, infatti, che sebbene l’amministrazione comunale non sia tenuta a svolgere complesse indagini in ordine ai rapporti di diritto privato che intercorrono fra gli interessati, la sua scelta di assentire l’opera in progetto sulla base della pura e semplice conformità alla strumentazione urbanistico-edilizia, indipendentemente dal dichiarato contrasto con gli altri contitolari, implica un grave difetto istruttorio, perché non riflette la corrispondenza tra la richiesta del permesso di costruire e la titolarità del diritto che giustifica la richiesta stessa. 1. Premessa Stupisce - e deprime anche un pò - constatare che neppure su una questione certo non impegnativa sul piano dell’interpretazione giuridica, quale quella relativa all’individuazione dei soggetti legittimati alla richiesta dei titoli abilitativi all’edificazione, si possa registrare in giurisprudenza una qualche uniformità di vedute. Le fattispecie all’esame dei due giudici erano assolutamente analoghe. In entrambi i casi, infatti, il titolo edilizio era stato richiesto da uno solo dei comproprietari dell’immobile e al rilascio dello stesso si era opposto l’altro proprietario (che, per coincidenza, era in entrambi i casi, il fratello del richiedente). In entrambi i casi, poi, l’intervento richiesto era conforme alle vigenti prescrizioni urbanistico-edilizie. Opposte, però, le determinazioni dell’amministrazione. In un caso, infatti, l’amministrazione, pur riconoscendo la compatibilità dell’intervento, aveva condizionato il rilascio del titolo alla prestazione dell’assenso da parte di tutti i comproprietari. Con conseguente ricorso da parte del richiedente. Nell’altro caso, invece, il titolo edilizio richiesto era stato rilasciato dall’amministrazione comunale, nonostante uno dei comproprietari le avesse manifestato il proprio dissenso. Ad impugnare il provvedimento era, dunque, quest’ultimo. 2. Le posizioni espresse dalle sentenze in commento Opposte anche, come si è letto, le conclusioni cui pervengono i due giudici. Nel primo caso, investiti della cognizione della causa da parte del soggetto che aveva visto andare disattesa la propria domanda di concessione edilizia, i giudici alto atesini rigettano il ricorso ed accolgono la tesi prospettata dal comune. L’argomentazione si snoda attraverso due passaggi fondamentali: • Viene esaminata in primo luogo “ampiezza” dei poteri istruttori dell’amministrazione procedente: i giudici si chiedono “quanto penetrante” debba essere la verifica della p.a. in ordine all’idoneità del “titolo di legittimazione”, alla realizzazione dell’intervento richiesto (1). Pur non dovendo compiere approfondite indagini sui rapporti di diritto privato intercorrenti fra i privati, è incontestabile - a dire del T.A.R. Bolzano il potere-dovere della p.a. di verificare l’esistenza di un titolo di godimento sull’immobile che giustifichi l’esercizio dei poteri di edificazione implicati nell’intervento in progetto (tanto più, poi, che il particolare sistema tavolare adottato nella Provincia di Bolzano per la pubblicità dei diritti reali, permette un agevole riscontro della configurazione di quei diritti, senza aggravamento dell’iter procedimentale). Infine, la circostanza per cui all’amministrazione comunale già constava l’esistenza di vecchie ruggini tra i due fratelli in ordine alle eventuali modifiche da apportare all’immobile comune, non avrebbe potuto essere negletta dall’amministrazione, se non al prezzo di rendere illegittimo, per grave difetto istruttorio e motivazionale, il provvedimento rilasciato in base alla sola conformità urbanistica ed edilizia dell’opera, ma in patente contrasto con il potere-dovere dell’amministrazione di appurare la legittimazione del richiedente titolo. • Su questo genere di argomentazione si innesta, poi, la considerazione della disciplina civilistica della comunione. In particolare, l’art. 1102 del codice civile, che concerne i poteri (1) Si tenga presente, al riguardo, che l’art. 20 del T.U. dell’edilizia, sotto la rubrica “Procedimento per il rilascio del permesso di costruire”, al comma 1 testualmente dispone che: “La domanda per il rilascio del permesso di costruire, sottoscritta da uno dei soggetti legittimati ai sensi dell’art. 11, va presentata allo sportello unico corredata da un’attestazione concernente il titolo di legittimazione, [...]”; sicché, all’onere dell’istante di produrre prova della sua legittimazione alla richiesta del titolo, fanno certamente riscontro i poteri di verifica dell’amministrazione. 152 n. 1-2/2007 del comproprietario di “usare e godere della cosa comune” purché ciò non pregiudichi la facoltà degli altri comunisti di trarne godimento secondo il proprio diritto, viene “riletto” alla luce dei principi che reggono la materia edilizia. Viene per questa via affermata la necessità di assicurare la corrispondenza tra la richiesta del permesso di costruire e la titolarità del diritto che giustifica la richiesta stessa. Sulla considerazione sistematica di questi due aspetti, poi, si innesta la decisione del giudice amministrativo che ravvisa nell’intervento progettato (ristrutturazione con taglio di una parte del tetto), un uso “smodato” della cosa comune, tale da compromettere le facoltà di utilizzazione e godimento spettanti agli altri comproprietari. Antitetico, pur con minor ricchezza di argomentazioni, il risultato cui perviene il Consiglio di Stato. Ricorda il collegio come l’art. 4 della legge 29.1.1977, n. 10 - e, del tutto analogamente, l’art. 11 del testo unico - dispone(va) che “la concessione è data dal sindaco al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla”; espressione che, nel caso in cui il diritto appartenga a più titolari, è stata tradizionalmente intesa dalla giurisprudenza (2) nel senso che l’istanza può essere presentata da uno solo dei comproprietari allorché la situazione di fatto consenta di supporre l’esistenza di un pactum fiduciae tra gli stessi. E ciò, nonostante l’appellante avesse più volte manifestato la propria contrarietà all’intervento. Il Consiglio di Stato, dunque, ritiene priva di rilievo la circostanza per cui alla richiesta del titolo provveda uno soltanto dei contitolari, dovendosi il comune limitare, salvi i casi di manifesta carenza dei requisiti soggettivi di legittimazione, alla verifica del profilo oggettivo della conformità dell’intervento alle vigenti prescrizioni urbanistiche. 3. La ricostruzione del quadro di riferimento (e qualche nota a margine) La sentenza in commento offre l’occasione per svolgere alcune riflessioni sul tema della legittimazione alla richiesta ed al conseguente rilascio - del permesso di costruire. Ovviamente, le stesse considerazioni possono estendersi anche all’analogo tema dell’individuazione del novero dei soggetti legittimati alla presentazione della Dia, posto che gli articoli 11 e 23 del Testo Unico dell’edilizia, relativi rispettivamente al permesso ed alla Dia, disciplinano l’istituto della legittimazione al conseguimento dell’uno e dell’altro titolo pressoché negli stessi termini. Si partirà dalla definizione del concetto di legittimazione alla richiesta del titolo edilizio per procedere poi all’individuazione della disciplina positiva contenuta nel Testo Unico e ad una interpretazione della stessa alla luce sia dei principi che governano la materia urbanistica, sia delle disposizioni privatistiche con cui quelle norme sono destinate ad integrarsi. Edilizia e urbanistica Definizione Con l’espressione “soggetti legittimati alla richiesta del titolo edilizio” ci si riferisce al novero di quei soggetti, persone fisiche o giuridiche, pubbliche o private, in possesso dei requisiti prescritti dalla legge per chiedere ed ottenere il rilascio del titolo prescritto in relazione al tipo di intervento da realizzare. Disciplina Nel nostro ordinamento, della legittimazione alla richiesta dei titoli edilizi si occupano gli articoli 11 e 23 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”. L’art. 11 del citato T.U. dispone che: “Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chiunque abbia titolo per richiederlo”. Del pari, il successivo art. 23, nell’indicare i soggetti legittimati alla presentazione di una denuncia di inizio attività (Dia), si richiama testualmente al “proprietario dell’immobile o chiunque abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività”. L’equivalenza delle due disposizioni denuncia la chiara volontà del legislatore di disciplinare in termini analoghi la legittimazione al conseguimento sia dell’uno che dell’altro titolo. A sua volta, poi, questa circostanza riflette l’identità di funzione cui il permesso di costruire e la Dia assolvono, per essere entrambi titoli che, nel verificare la conformità dell’opera in progetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente (sia essa legislativa o di piano), abilitano all’esercizio della relativa attività di edificazione (3). 4. Diritto di proprietà, potere di edificare e titolo abilitativo Il potere di edificare è la possibilità di operare quelle trasformazioni urbanistiche e/o edilizie del territorio - non necessariamente coincidenti con trasformazioni del mondo fisico, ma giuridicamente rilevanti alla stregua della normativa edilizia - che la nostra Corte costituzionale, a partire dall’ormai nota sentenza del 30 gennaio 1980, n. 5 (4), ha riconosciuto come strettamente inerente alla proprietà del suolo oggetto dell’edificazione (5). Per meglio dire, lo ius aedificandi è una modalità attraverso la quale si esplica l’esercizio del diritto di proprietà su un immobile. Così come il proprietario di un qualunque bene può godere della cosa, usarne, trarne profitto, disporne e così via, allo stesso modo il proprietario del suolo può sfruttare la naturale vocazione dell’area a consentire l’edificazione. Mette conto ricordare, tuttavia, che il potere di edificare sul proprio suolo non è sottratto a limitazioni quantitativo-qualitative, né può esercitarsi ad ogni costo: esso trova limite nella necessità di garantire che l’attività edilizia proceda in armonia con l’interesse generale ad uno sviluppo ordinato e regolato del territorio, secondo le linee direttrici poste dalla legislazione statale e da quella regionale, nonché nell‘esigenza che sia garantita la (2) Si veda, ad es., Cons. Stato, V, 5 giugno 1991, n. 883. (3) E ciò, pur nella loro diversità strutturale, per essere l’uno, atto di assentimento preventivo della conformità urbanistico-edilizia; l’altro, atto che a quel medesimo risultato perviene per silentium. Per eventuali approfondimenti sulla natura della Dia si rinvia ai numerosi scritti pubblicati so questa rivista e, in particolare, a “La denuncia di inizio attività edilizia dopo la legge n. 80 del 2005”, pubblicato sul n. 3/2005. (4) “La facoltà di edificare inerisce al diritto di proprietà e agli altri diritti reali, i quali richiedano, per potersi esplicare, lo svolgimento di una qualche attività di edificazione. Ciò anche se il sistema normativo che disciplina l’edificabilità dei suoli demanda alla pubblica autorità la determinazione in ordine al se, al quando ed al come dell’edificazione. Ne consegue che il provvedimento sindacale di abilitazione all’esercizio del potere di costruire non è attributivo di un nuovo diritto (in specie, del diritto di edificare), ma ne presuppone l’esistenza, limitandosi esso solo a stabilire limiti, modalità e tempi per il suo esercizio” (Corte Costituzionale, 30 gennaio 1980, n. 5). (5) In argomento, Ciaglia G., “Della “compensazione urbanistica”, ovvero di come rivoluzionare l’urbanistica senza che nessuno se ne accorga”, in Riv. Giur. di Urbanistica, 3/2005, pp. 446 e ss. 153 Edilizia e urbanistica funzione sociale della proprietà di cui all’art. 42 della nostra Costituzione. Perciò la legge prescrive che l’attività di edificazione si svolga previo conseguimento di un “titolo edilizio”, vale a dire, di un provvedimento mediante il quale l’autorità amministrativa preposta alla cura dell’interesse pubblico ad uno sviluppo ordinato ed armonico del territorio, si fa carico di verificare la conformità delle opere in progetto ai principi generali della legislazione urbanistica ed alle scelte di piano espresse dalle amministrazioni locali. Rimane inteso, però, come ha ribadito la Corte Costituzionale nella sentenza citata, che lo sfruttamento della potenzialità edificatoria espressa da una certa area “inerisce” al diritto di proprietà. Ciò vuol dire, in altri termini, che rispetto ad esso il rilascio del titolo edilizio ha solo la funzione di rendere il soggetto che ne faccia richiesta “abile” al suo esercizio (essendone, però, già proprietario), ma non anche quella di attribuirgli “dall’esterno” un diritto che questi non possedeva. 5. Potere di edificare, diritti reali diversi dalla proprietà del suolo e diritti obbligatori Il criterio cui il legislatore fa ricorso per fondare la legittimazione alla richiesta e al conseguente rilascio del titolo edilizio, non attiene ad una qualche qualità personale del soggetto, quanto, piuttosto, alla particolare relazione che egli vanta rispetto al bene oggetto dell’intervento edilizio che si vuole realizzare. Ne deriva, dunque, che la legittimazione alla richiesta del titolo edilizio spetta innanzitutto al proprietario, dal momento che il potere di edificare (su cui la legittimazione si fonda) appartiene innanzitutto ed originariamente al proprietario. Si è detto, inoltre, che il potere di edificare è una modalità di esplicazione del diritto di proprietà: ebbene in quanto tale esso rappresenta un facoltà di esercizio dello stesso, che al pari di altre (facoltà di usare della cosa e goderne i frutti, racchiusi nella formula jus utendi ac fruendi, disporne, ecc.) può formare oggetto di uno specifico diritto a favore di soggetti diversi dal proprietario (diritto di uso, di godimento, di usufrutto, ecc.), vale a dire, oggetto di un diritto reale minore. Si intende dire, insomma, che il potere di edificare, in quanto facoltà (una fra le tante) connessa o discendente dal diritto di proprietà, è ammessa alla circolazione giuridica negli stessi limiti e con le stesse modalità con cui circolano le altre facoltà inerenti al medesimo (uso, usufrutto, godimento, ecc.). L’unico esempio conosciuto dal nostro diritto positivo di un diritto reale diverso dalla proprietà che abbia ad oggetto proprio la facoltà di esercitare i poteri edificatori originariamente spettanti al proprietario del suolo, è il diritto di superficie, vale a dire, il diritto “di fare e mantenere una costruzione sul suolo altrui”, della quale il superficiario acquista la proprietà (art. 52, c.c.). Accanto a questa ipotesi del tutto singolare di diritto reale, in cui la proprietà del suolo si scinde del tutto dallo ius aedifi- n. 1-2/2007 candi, ed il cui contenuto coincide completamente con l’esercizio di tutte le facoltà di edificazione originariamente spettanti al proprietario, la possibilità che alcune delle facoltà di edificazione siano attribuite a soggetto diverso dal proprietario, può dipendere dal fatto che taluni diritti reali diversi dalla proprietà e dal diritto di superficie, ed alcuni diritti obbligatori, richiedano, per potersi esplicare, l’esercizio di una qualche attività di edificazione. Si pensi, ad esempio, alla titolarità di una servitù di passaggio carrabile, che può aver bisogno di un’attività di rifacimento dell’asfalto, o comunque di manutenzione, cioè di interventi comunque rientranti nel concetto di “attività edilizia” per la quale la legge richieda il conseguimento di un titolo abilitativo. La facoltà di edificare, dunque, può appartenere anche a più soggetti contemporaneamente; essa può essere distribuita, cioè, fra il proprietario del suolo o il titolare di un diritto reale maggiore, da una parte, ed il titolare del diritto minore (reale od obbligatorio che sia), dall’altra. Ciò porta a chiedersi in che termini l’esercizio dello ius aedificandi spetti all’uno ovvero all’altro. Invero, i limiti entro i quali il titolare del diritto reale o personale di godimento può sfruttare il potenziale edificatorio espresso dall’area altrui, cioè il “quantum” di edificazione realizzabile, dipende dal contenuto del proprio diritto, così come disciplinato dalle leggi civilistiche in materia, o come configurato dalle parti nell’esercizio dei propri poteri negoziali. Non essendo possibile una rassegna di ciò che è nella disponibilità delle parti, l’analisi delle situazioni giuridiche alle quali si riconnette l’esercizio del potere di edificare e, conseguentemente, la legittimazione alla richiesta del titolo edilizio, procede di pari passo con l’esame del contenuto dei diritti reali di godimento, o di quelli obbligatori, che contemplino espressamente l’esercizio di una qualche forma di attività edilizia, ovvero richiedano, per potersi esplicare, la realizzazione di opere od interventi subordinati al conseguimento del prescritto titolo. 6. I soggetti legittimati all’esercizio dell’attività edilizia Sulla base di quanto sin qui premesso, è possibile passare ad enumerare i soggetti che possiamo considerare autorizzati, nel nostro ordinamento, a richiedere un titolo edilizio o a presentare una Dia. La schiera dei soggetti legittimati all’esercizio dell’attività edilizia, è, invero, alquanto nutrita: essa comprende, ad esempio, l’usufruttuario (6), il titolare di un diritto di abitazione e quello di un diritto d’uso, ciascuno abilitato all’esecuzione delle opere di “riparazione straordinaria”, di cui fosse sorta la necessità a causa del mancato adempimento degli obblighi di manutenzione ordinaria gravanti su di essi; ovvero, di quelle che il titolare dei diritti in parola volesse realizzare per far fronte all’inattività del proprietario (artt. 1004, 1006 e 10026, c.c.). Accanto a tali figure merita di essere menzionato l’enfiteuta, in quanto su di esso grava l’obbligo (6) “Nel caso in cui un’area sia gravata da un diritto di usufrutto, la legittimazione all’esercizio dello “ius adeificandi” e al conseguente rilascio della concessione edilizia spetta esclusivamente all’usufruttuario, sempre che l’intervento che si vuole realizzare non comporti un’alterazione della destinazione economica della cosa. Al contrario, qualora l’attività di edificazione comporti un mutamento della destinazione d’uso, la legittimazione non può che essere ravvisata congiuntamente in capo al nudo proprietario e all’usufruttuario, in quanto titolari di distinti e concorrenti diritti reali sulla cosa” (T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 30 luglio 1997, n. 306). Per l’affermazione del principio secondo cui l’esistenza di un diritto di usufrutto non esclude la legittimazione al rilascio del titolo edilizio del nudo proprietario (se non altro per quegli interventi connessi alla titolarità del diritto “maggiore”), si veda T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 12 giugno 2006 , n. 416: “Il fatto che sul bene oggetto di un intervento edilizio gravi un diritto di usufrutto non esclude, di per sé, la legittimazione alla richiesta del titolo da parte del nudo proprietario, dal momento che, ai sensi dell’art. 5.1 del regolamento edilizio del comune di Trieste, la legittimazione al rilascio della concessione edilizia spetta al soggetto che abbia la piena disponibilità giuridica dell’area in forza di un diritto reale ovvero “di altro titolo adeguato”. 154 n. 1-2/2007 di miglioramento del fondo (art. 960, c.c.), che potrebbe richiedere, per il suo adempimento, l’esecuzione di opere o interventi assoggettati al rilascio di un titolo abilitativo. Ancora: legittimati sono pure il beneficiario di un decreto di occupazione temporanea preordinata all’espropriazione, in quanto titolare del potere di iniziare i lavori dichiarati indifferibili ed urgenti; nonché il concessionario di un bene del demanio pubblico, per l’esecuzione delle opere contemplate espressamente dal disciplinare di concessione, ovvero di quelle necessarie all’esercizio della concessione stessa, o infine, per quelle di cui avesse chiesto specifica autorizzazione all’autorità preposta alla cura del bene demaniale. L’elenco dei soggetti legittimati si conclude, infine, con la menzione dell’assegnatario a riscatto di un alloggio economico e popolare; del conduttore di immobili urbani, in relazione alla facoltà riconosciutagli dall’art. 1577, comma 2 del codice civile di procedere alle riparazioni urgenti in luogo del locatore; infine, dell’affittuario di un’azienda (7), per le opere che intendesse eseguire nell’adempimento del dovere di condurre una gestione conforme all’interesse della produzione ed alle regole della buona tecnica, nonché dell’affittuario coltivatore diretto, titolare di un autonomo potere di edificare, in relazione ai miglioramenti che intendesse apportare al fondo o ai fabbricati che sorgono su di esso, ovvero del potere di provvedere alle riparazioni urgenti della casa di abitazione (artt. 14 e 16, legge 11 febbraio 1971, n. 11). In conclusione, dunque, il potere di sfruttare, in tutto o in parte, il potenziale edificatorio espresso da una data area, più che (ed oltre che) dalla proprietà dell’area, discende dal fatto di avere la disponibilità giuridica dell’immobile, a sua volta fondata su un titolo giuridicamente rilevante: esattamente, quel medesimo titolo di cui è necessario fornire una “attestazione” ai fini della documentazione da produrre a corredo della domanda di permesso di costruire (art. 20, comma 1). 7. Esclusione del “mero” possesso dal novero delle situazioni che fondano la legittimazione alla richiesta del titolo L’esclusione del semplice possesso dal novero delle situazioni giuridiche che fondano la legittimazione al rilascio del titolo, dipende dal suo essere un possesso “mero”, cioè rilevante solo in via di puro fatto perché non sorretto da un titolo giuridico sul quale riposa la legittima detenzione dell’immobile. È pur vero, in realtà, che al possessore “violentemente ed occultamente spogliato del possesso”, o anche solo “minacciato” nello stesso, il nostro ordinamento offra positiva tutela, mediante le azioni di reintegrazione (art. 1168, c.c..) e manutenzione (art. 1170, c.c..) che questi Edilizia e urbanistica può esperire a prescindere dal fatto di essere titolare, o meno, del diritto che giustifica il possesso del bene. Tuttavia, si tratta pur sempre di una situazione di fatto, tutelata per ragioni di ordine pubblico, avente natura puramente temporanea e, in finale, destinata a risultare “recessiva” a fronte al diritto del titolare (8). A fortori, il titolo non può essere rilasciato al promissario acquirente che non sia nel possesso dell’immobile, a maggior ragione laddove consti all’amministrazione che pende una controversia proprio in ordine alla validità del preliminare (9). 8. Tentativi giurisprudenziali di ricondurre il possesso non titolato tra le situazioni legittimanti la richiesta del titolo edilizio Tuttavia, vi è una particolare ipotesi di possesso cui la giurisprudenza attribuisce rilievo ai fini della legittimazione al conseguimento del titolo edilizio. Trattasi del promissorio acquirente di un immobile - immesso nel possesso del bene direttamente da parte del promittente - che intenda eseguire su di esso opere subordinate a permesso o Dia. Si sostiene che per quanto il compromesso sia solo un contratto con effetti obbligatori, il quale non vale, dunque, a trasferire la proprietà dell’immobile, il fatto che il futuro acquirente ne consegua di già il possesso - che sebbene “mero” è tuttavia trasferito da parte del legittimo proprietario, cioè a domino - insieme alla possibilità di chiedere una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. che tenga luogo del contratto infine disatteso dal promittente, tutti questi elementi, dicevo, farebbero della posizione soggettiva del promissario acquirente una situazione già rilevante sul piano giuridico, se non altro al limitato effetto di costituire titolo legittimante per il conseguimento del permesso di costruire o della Dia(10). Altra parte della giurisprudenza, invece, esclude che il promissario acquirente possa rientrare fra i soggetti legittimati, non possedendo, egli, la disponibilità giuridica dell’immobile sulla quale si basa il legittimo esercizio dello ius aedificandi, disponibilità che si manifesta in una relazione diretta ed immediata con la cosa, e che poggia su un diritto, reale o di godimento, attuale e non soltanto “opzionato”. Indubbio, pare, invece, il diritto di richiedere il titolo da parte del promissario acquirente che sia stato, in base al contratto preliminare, a ciò espressamente autorizzato, in deroga al principio che il trasferimento dello ius aedificandi si verifica soltanto con la stipulazione del definitivo(11). Va, tuttavia, rilevato che alcune sentenze della Cassazione penale hanno affermato la sussistenza di responsabilità penale in capo ai funzionari dell’amministrazione che, senza fare le dovute indagini, abbiano rilasciato il titolo al (7) “Legittimato al rilascio del titolo edilizio non è soltanto il proprietario, ma anche colui che vanti altro titolo idoneo all’esercizio di una qualche attività di edificazione. Rientra fra questi ultimi soggetti anche l’affittuario di uno stabilimento industriale, in relazione al dovere di gestire l’azienda in conformità all’interesse della produzione ed alle regole della buona tecnica che incombe su di lui, e che potrebbe richiedere l’esecuzione di opere o interventi assoggettati al previo conseguimento di un titolo abilitativo” (T.A.R. Trentino Alto Adige, 7 ottobre 2002, n. 353). (8) Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30 maggio 2001, n. 2882; T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 12 gennaio 2000, n. 45. (9) “L’amministrazione comunale, nel corso dell’istruttoria amministrativa, deve verificare che esista il titolo di proprietà dell’area per la quale è chiesta la concessione edilizia - anche se questa è sempre rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi - e se il titolo non viene provato è legittimo che il rilascio della concessione venga negato. Principio questo ribadito dall’art. 11,comma 1, t.u. sull’edilizia approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, secondo il quale “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”, (Consiglio di Stato, sez. V, 12 giugno 2003, n. 2506). (10) In questo senso già C.G.A.R., Sicilia, 26 settembre 1994, n. 309; di recente, Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2004, n. 7847. (11) “Il riferimento da parte dell’art. 11 comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 a “chi abbia titolo a richiedere” il permesso di costruire ha il significato di con- 155 Edilizia e urbanistica mero promissario acquirente in base a contratto preliminare di compravendita(12). 9. Legittimazione alla richiesta del titolo edilizio e contitolarità di un diritto: la posizione del comproprietario Di particolare interesse per la casistica giurisprudenziale cui ha dato vita, non ultime le sentenze in commento, è la questione della legittimazione all’ottenimento di un titolo edilizio del comproprietario di un immobile. È opportuno a questo punto, riprendere le fila delle argomentazioni svolte nelle due sentenze in commento, per saggiarne la validità alla luce delle considerazioni svolte fino ad ora e, soprattutto, degli orientamenti giurisprudenziali sul tema. Come già detto, il T.R.G.A. esclude la legittimazione del comproprietario sulla base di tre rilievi: l’incidenza dell’intervento edilizio su un bene di proprietà comune; il necessario consenso di tutti i comproprietari; il potere-dovere dell’amministrazione di verificare non tanto l’esistenza di un titolo idoneo a legittimare il rilascio del titolo, quanto l’insussistenza di un qualche elemento che, seppure solo potenzialmente od astrattamente, possa ostare al rilascio. In linea generale, sul piano amministrativo il comproprietario è comunque libero di realizzare autonomamente le opere che riguardino la sua unità immobiliare essendo il controllo rimesso all’amministrazione comunale finalizzato alla sola verifica del rispetto della normativa urbanistica vigente. Il problema del consenso in ordine a quegli interventi che ricadano, invece, su parti comuni di un edificio si è sempre posto sul diverso piano della tutela civilistica dei diritti comuni ed è sempre stato risolto dalla giurisprudenza (civile) nel senso della necessità del consenso di tutti i comproprietari. Le norme sulle quali poggia una tale interpretazione sono le disposizioni del codice civile che disciplinano la comunione: viene in considerazione, innanzitutto, l’art. 1102 c.c., il quale stabilisce la facoltà di ciascun comproprietario di servirsi della cosa comune, a patto che non sia modificata la destinazione della cosa.; in secondo luogo, occorre considerare l’art. 1105 c.c., che sancisce il diritto di tutti i comproprietari di concorrere all’amministrazione del bene comune. Questo quadro normativo indurrebbe a ravvisare la legittimazione alla richiesta del titolo edilizio in capo a tutti i comproprietari “congiuntamente”. Ciò, tuttavia, non può significare che la domanda per il permesso di costruire debba essere sottoscritta da tutti, né può significare che qualora ciò non avvenga, il titolo non possa essere validamente rilasciato. Al contrario: è sufficiente che all’amministrazione comunale consti la volontà concorde di tutti i contitolari, manifestata anche solo per fatti concludenti (13). Così, ad esem- n. 1-2/2007 pio, la richiesta di titolo abilitativo da parte di uno solo dei contitolari del diritto, è stata ritenuta legittima dalla seconda delle sentenze in commento, in cui la particolare situazione di fatto (nel caso di specie, la relazione di parentela esistente tra essi), lasciasse supporre l’esistenza di un pactum fiduciae, cioè un rapporto di fiducia tale da far presumere sussistente l’assenso necessario (14). Il problema, però, è un altro. Può il dissenso espresso da taluno dei comproprietari (o, eventualmente, da altro soggetto che vanti diritti su quello stesso bene), quand’anche manifestato apertamente, essere ritenuto sufficiente ad impedire il rilascio del titolo? Quali sono i poteri istruttori e di indagine di cui l’amministrazione dispone nell’esaminare quella richiesta di permesso? E quale la sede presso cui il soggetto reclamante dovrebbe rivolgersi per trovare soddisfazione alla proprie doglianze? A parere degli scriventi, la soluzione al problema è insita nel fatto che il permesso di costruire viene sempre rilasciato fatti “salvi i diritti dei terzi”, diritti che potranno essere adeguatamente tutelati presso le competenti sedi giudiziarie. Perciò, le controversie relative alla proprietà del bene immobile relativamente al quale sia stato richiesto il permesso (o presentata la Dia), fatti salvi i casi in cui la sua mancanza sia immediatamente rilevabile, devono restare fuori dalle mura dell’amministrazione comunale e svolgersi nelle più appropriate sedi giudiziarie. In tal modo si compone anche il problematico rapporto tra norme civilistiche sul regime della proprietà (e della comproprietà, o, più tecnicamente, del “condominio”) e disciplina urbanistica del rilascio dei titoli edilizi. Nel senso che, a parte i casi in cui, da parte del richiedente il permesso, vi sia evidente carenza di legittimazione, rispetto alla quale ci si dovrà limitare ad un mero riscontro formale della presenza di un titolo astrattamente valido, l’amministrazione dovrà effettuare la mera verifica della conformità del progetto alla normativa ed alla strumentazione urbanistico-edilizia vigenti. Senza spingersi in complesse indagini sulla effettiva idoneità del titolo di proprietà presentato. Anche perché, di fronte alla difficoltà, in talune situazioni, di determinare con un ragionevole grado se non di certezza, quanto meno di attendibilità, l’effettiva proprietà di un bene immobile, l’amministrazione comunale si trova del tutto sprovvista di mezzi. Non ha, infatti, quei poteri d’indagine e di decisione che sono necessari per comporre questo tipo di controversie. Se, poi, l’effettivo proprietario (o l’eventuale comproprietario pretermesso) avesse di che lamentarsi, egli troverà nel codice civile (e nel giudizio civile) la fonte del proprio diritto e la sede della sua tutela. In buona sostanza, pare del tutto illogico trasferire in capo al responsabile dell’Ufficio tecnico la responsabilità di una decisione che, nel nostro ordinamento, è rimessa al giudice civile. sentire di richiedere ed ottenere il titolo edilizio non solo al proprietario ma anche a ogni altro soggetto titolare di un diritto (non importa se reale o personale) che lo legittimi, nei confronti del proprietario dell’area e, di conseguenza, nei confronti dell’autorità, ad eseguire le previste trasformazioni urbanistico-edilizie del suolo; ciò vuol dire che anche il promissario acquirente di un terreno ha titolo a richiedere il permesso di costruire ove nel contratto preliminare di vendita tale diritto gli sia stato attribuito espressamente, in deroga al principio che il trasferimento dello “ius aedificandi” si verifica soltanto con la stipulazione del definitivo” (T.A.R. Lazio, Latina, 26 luglio 2005, n. 636). (12) “L’ufficio competente al rilascio delle concessioni edilizie deve previamente accertare che chi richiede di costruire si trovi nelle condizioni di legittimazione previste dall’art. 4 I. 28 gennaio 1977, n. 10 (ora sostituito dall’art. 11 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). Ne consegue che è configurabile il reato di cui all’art. 323 c.p. nella condotta del sindaco che, omettendo di effettuare i suddetti accertamenti, rilasci la concessione edilizia ad un soggetto non proprietario né titolare di altro diritto reale sull’area da edificare, ma soltanto parte di un contratto preliminare di vendita” (Cass. pen., sez. VI, 27 giugno 2005, n. 33047). (13) T.A.R. Campania, Napoli, sez. Il, 27 maggio 2005, n. 7295. (14) Si vedano, oltre alla sentenza in commento, anche Cons. di Stato, sez. V, 24 settembre 2003, n. 5445; ma nello stesso senso già Cons. di Stato, sez. V, 5 giugno 1991, n. 883. 156 n. 1-2/2007 Anche perché, se bastasse la mera presentazione di un esposto all’amministrazione, esibito da un comproprietario o da chiunque altri vantasse diritti, veri o presunti, sul bene, che ponesse dubbi sulla titolarità del bene per ostacolare od impedire il rilascio del permesso, troppo facile espediente si avrebbe per impedire, anche del tutto pretestuosamente, il rilascio di qualunque titolo edilizio. In definitiva, dunque, la circostanza per cui l’amministrazione comunale vanti un generale potere di verifica in ordine alla sussistenza di titolo di legittimazione idoneo “a sorreggere” l’intervento edilizio progettato, non implica che essa abbia anche il dovere incondizionato di svolgere spinose indagini volte a ricomporre le vicende privatistiche che hanno ad oggetto la proprietà dell’immobile considerato. Al contrario, il principio del divieto di aggravamento del procedimento amministrativo, operante - in virtù della sua portata generale - anche in materia di rilascio dei titoli abilitativi, permette all’amministrazione di semplificare e velocizzare l’attività di verifica, proprio attraverso la valorizzazione degli elementi documentali forniti dallo stesso interessato, di modo che, il positivo riscontro della idoneità in astratto del titolo di legittimazione a sorreggere l’intervento edilizio che si vuole realizzare, sia di per sé sufficiente a fondare la legittimità dell’assentimento preventivo dell’opera (15). Edilizia e urbanistica La stessa circostanza per cui l’art. 20 del testo unico esige che il richiedente un permesso di costruire esibisca, al momento della presentazione della domanda allo sportello unico, una “attestazione concernente il titolo di legittimazione”, conforta nell’opinione secondo cui è solo sulla base della documentazione offerta dal richiedente che occorre appurare la sua legittimazione. Di modo che, come la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto modo di esplicitare, “all’amministrazione non è richiesta un’indagine [...] che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente”; al contrario, ad essa “compete la verifica della dimostrazione di un titolo sostanziale idoneo a costituire in capo all’istante il diritto di sfruttare la potenzialità edificatoria dell’immobile, senza che a tale allegazione debba seguire un’ulteriore indagine circa le implicazioni, di ordine civilistico, del rapporto generato dalla concessione del diritto reale di godimento; tant’è vero che la concessione edilizia viene sempre rilasciata con clausola di salvezza dei diritti dei terzi, proprio al fine di lasciare impregiudicate eventuali posizioni soggettive di terzi confliggenti con l’assenso a costruire” (16). «L’Ufficio Tecnico» (15) Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2000, n. 3525. (16) Così, testualmente, Cons. Stato, sez. V, 4 febbraio 2004, n. 368. LA DIA NON DECADE SE IL COMUNE RICHIEDE ALTRI DOCUMENTI di Diego Foderini a Cassazione penale, Sez. III, con la sent. n. 33034 del 4 ottobre 2006, interviene in tema di poteri dell’amministrazione a seguito del decorso del termine di 30 giorni di astensione dall’avvenuta presentazione della denuncia di inizio attività edilizia. La sentenza chiarisce che dopo tale termine la posizione del privato si consolida e l’amministrazione può intervenire unicamente mediante l’annullamento del provvedimento tacito di assenso formatosi. I lavori eventualmente realizzati prima dell’annullamento saranno, comunque, sorretti da un titolo giuridico idoneo che escluderà la sussistenza del reato previsto nel caso di realizzazione di opere abusive. La sentenza si allinea alla giurisprudenza amministrativa del tutto maggioritaria e chiarisce che la richiesta di integrazione documentale inoltrata da parte dell’amministrazione dopo i 30 giorni non interferisce con l’efficacia del titolo abilitativo formatosi a seguito della scadenza del termine. L Gli effetti del decorso del termine di astensione II decorso del termine di astensione di 30 giorni determina la formazione tacita del provvedimento abilitativo all’esecuzione dei lavori (Cass. pen. sent. n. 33034/2006). Ne derivano le seguenti conseguenze essenziali: - il comune perderà il potere di notificare l’ordine di non eseguire i lavori anche se dovesse riscontrare l’assenza di una o più delle condizioni prescritte; - gli interessati acquisiranno il diritto a eseguire i lavori; - il comune potrà comunque intervenire mediante l’annullamento in autotutela del silenzio-assenso formatosi nonché mediante l’applicazione, nel caso, in cui i lavori abbiano avuto inizio, delle sanzioni pecuniarie e/o ripristinatorie applicabili alla tipologia di opere eseguite; - le opere eventualmente realizzate dopo la decorrenza del termine di astensione e prima dell’annullamento del silenzioassenso da parte del comune saranno comunque sorrette da un idoneo titolo giuridico che varrà a escludere la sussistenza del reato per opere abusive. Quanto sopra perché il T.U. edilizia attribuisce al dirigente dell’ufficio tecnico, in caso di riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite, il compito della notifica all’interessato dell’ordine motivato di non effettuare i lavori ma ciò solamente entro il termine di 30 giorni dall’avvenuta presentazione della denuncia di inizio attività (art. 23, comma 6, del D.P.R. 380/2001). L’effetto abilitante della denuncia, tuttavia, non è in relazione al mero decorso del tempo ma all’effettiva sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla normativa applicabile e l’ammi- 157 Edilizia e urbanistica nistrazione conserva quindi il potere di intervenire mediante l’annullamento del silenzio-assenso formatosi e di adottare i provvedimenti repressivi anche oltre il termine di astensione. La richiesta di documenti integrativi dopo il decorso del termine di astensione La sentenza n. 33034/2006 della Cassazione si allinea in gran parte all’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa. La parte maggiormente significativa della pronuncia risiede nell’affermazione che la richiesta di ulteriori documenti integrativi della documentazione allegata alla denuncia, se inoltrata successivamente al decorso dei 30 giorni di astensione o del più breve termine previsto dalla normativa regionale (com’è, per esempio, in Toscana), non interferisce con l’efficacia del titolo abilitativo formatosi a seguito della scadenza del termine. Dopo tale termine, l’unico strumento in disponibilità dell’amministrazione per intervenire sulla denuncia è infatti costituito dall’annullamento dell’assenso tacitamente formatosi. Ne discende, secondo la sentenza della Cassazione, che non sarà configuratale il reato edilizio previsto per l’esecuzione di lavori in assenza di titolo solo perché gli interessati hanno continuato i lavori dopo la richiesta di integrazione documentale inoltrata dal comune successivamente al decorso dei 30 giorni. Le concrete conseguenze piano penale Dopo i decorso dei 30 giorni il comune perderà il potere di adottare l’ordine di non eseguire i lavori ma potrà comunque annullare il silenzio-assenso formatosi e applicare le sanzioni amministrative. I lavori eventualmente eseguiti successivamente al periodo di astensione e prima dell’adozione dell’atto di annullamento da parte del comune saranno tuttavia sorretti da un idoneo titolo giuridico. Ciò varrà tra l’altro a escludere la rilevanza penale delle opere e quindi la sussistenza dei reati previsti per l’esecuzione di abusi edilizi (reati disciplinati all’art. 44 del D.P.R. 380/2001). Questo conseguenza è chiaramente affermata dalla sentenza in esame. Restano, invece, fermi i reati connessi alle eventuali false dichiarazioni rese nella denuncia o contenute nei documenti a questa allegati. n. 1-2/2007 ca tipologia di opere realizzate. Risulta, invece, ormai superata l’interpretazione che ritiene che il decorso del termine di astensione che occorre attendere prima di procedere all’esecuzione dei lavori valga non quale periodo che determina il consolidamento della posizione del privato ma piuttosto come semplice termine di massima utile a consentire alla P.A. di verificare la ritualità della denuncia, ovverosia come termine per il compimento di una verifica preliminare circa la sussistenza delle condizioni essenziali al fine del compimento dei lavori e con la conseguenza che la decorrenza dello stesso termine di astensione consente l’inizio dei lavori, senza però impedire al comune di intervenire per inibire il prosieguo dell’attività intrapresa (posizione che si ritrova, tra l’altro, in Cons. di Stato, Sez.V n. 308/2004, e Tar Puglia, Sez. II, n. 4950 del 13 novembre 2002). __________ La Sentenza Attività edilizia; Dia; notificazione; termini; decorrenza; inizio lavori; poteri della P.A. Cass. pen., Sez. III, sent. n. 33034,4.10.2006 - Pres. Postiglione, Est. Franco Svolgimento del processo Con decreto del 20 febbraio 2006 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Avellino dispose I sequestro preventivo, in relazione al reato di cui all’art. 44, lett. b), D.P.R. 380 del 6 giugno 2001, di un’area interessata ai lavori di ampliamento di un impianto di distribuzione di g.p.l, facente capo ai due indagati. Il tribunale del riesame di Avellino, con la ordinanza impugnata, respinse la richiesta di riesame osservando: a) che il responsabile comunale aveva chiesto, sia pur tardivamente, una integrazione della documentazione allegata alla denunzia di inizio attività relativa ai lavori in questione, e che i documenti richiesi non risultavano ancora prodotti; b) che quindi, nonostante il decorso del termine di trenta giorni di cui all’art 23 testo unico dell’edilizia, doveva essere ancora valutata la sussistenza delle condizioni per poter utilmente seguire la procedura di cui alla detta disposizione; c) che sussisteva il periculum in mora a nulla rilevando che i lavori fossero stati sospesi dopo la richiesta di integrazione documentale. Gli indagati propongono ricorso per cassazione deducendo: - violazione di legge e mancanza di motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari; - violazione dell’art. 23 testo unico dell’edilizia. Osservano che non sussisteva il fumus del reato contestato dal momento che era già decorso il termine di 30 giorni di cui all’art. 23 D.P.R. 380 del 6 giugno 2001. dalla data del 4 novembre 2005 in cui era stata depositata la denunzia di inizio attività. Motivi della decisione Il ricorso è fondato essendo l’ordinanza impugnata chiaramente erro- Gli effetti del decorso del termine secondo la giurisprudenza amministrativa La sentenza della Cassazione penale n. 33034/2006 risulta coerente con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa secondo la quale, del tutto analogamente (Tar Friuli Venezia Giulia, n. 18 del 30 gennaio 2001; Tar Piemonte, n. 70 del 16 gennaio 2002; Tar Puglia, Sez. III, n. 2008 dell’8 maggio 2004; Tar Campania, Napoli, Sez. II, n. 4532 del 9 aprile 2004; Tar Veneto Sez. II, n. 81 del 12 gennaio 2007): 1. l’amministrazione può esercitare il proprio potere inibitorio, mediante l’adozione della diffida a non eseguire i lavori, solamente prima del decorso del termine di astensione; 2. il decorso del termine di astensione comporta il consolidamento della posizione del privato, con la conseguenza che successivamente l’amministrazione potrà intervenire in autotutela sul provvedimento tacito formatosi con la presentazione della Dia mediante annullamento dell’autorizzazione implicita nonché, se i lavori sono già stati in tutto o in parte eseguiti, mediante adozione del provvedimento di applicazione delle sanzioni di tipo ripristinatorio o pecuniario prescritte in rapporto alla specifi- 158 nea. Dallo stesso testo dell’ordinanza si ricava, infatti, che gli odierni ricorrenti avevano regolarmente presentato al comune la denunzia di inizio attività per l’esecuzione dei lavori di ampliamento dell’impianto di distribuzione e che erano decorsi i 30 giorni previsti dall’art. 23 D.P.R. 380 del 6 giugno 2001, senza che il comune avesse effettuato alcun rilievo e soprattutto senza che avesse esercitato il potere inibitorio previsto dal comma 6 del medesimo articolo, notificando agli interessati l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento avendo riscontrato l’assenza di una o più delle condizioni stabilite. Essendo quindi decorso il termine di 30 giorni senza l’emanazione di un provvedimento inibitorio da parte del comune, si era ormai formato il provvedimento amministrativo abilitativo e quindi gli indagati erano muniti di un valido ed efficace titolo che attribuiva loro il diritto di eseguire l’intervento di cui alla denuncia di attività. Né potrebbe pensarsi che il comune abbia esercitato legittimamente il potere inibitorio dopo la scadenza del termine di 30 giorni, dal momento che deve ritenersi - conformemente del resto all’orientamento della giurisprudenza amministrativa - che alla scadenza del trentesimo giorno senza l’emanazione di un ordine dei comune di non effettuare l’intervento, da un lato, si forma il titolo abilitativo e sorge il diritto dell’interessato ad eseguire i lavori e, dall‘altro lato, viene meno il potere del comune di emanare legittimamente un provvedimento inibitorio ai sensi dell’art. 23, comma 6, D.P.R. 380 del 6 giugno 2001 (cfr. Cons. Stato, Sez. V. n. 308/2004; Sez. IV, n. 3498/2005). E difatti, il citato art. 23 prescrive al comma 1 che «il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, n. 1-2/2007 almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia... », e al comma 6 che «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento...». Il testo unico dell’edilizia, pertanto, ha espressamente collocato allo scadere del trentesimo giorno dalli ~ notificazione della Dia il termine dopo il quale l’interessato può iniziare i lavori e il termine ultimo entro il quale la P.A. può inibire l’inizio delle opere. Ciò, ovviamente, non significa che la pubblica amministrazione, allo scadere del trentesimo giorno, abbia perso ogni potere di far cessare l’esecuzione di lavori che dovessero rilevarsi illegittimi, ma solo che non può più esercitare lo specifico potere inibitorio previsto dall’art. 23 cit. Ben può invece il comune continuare ad esercitare eventualmente tutti gli opportuni poteri di autotutela, di vigilanza e sanzionatori. Ad esempio, potrebbe essere ordinata la immediata sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 27, comma 3, testa unico dell’edilizia, con conseguente eventuale configurabilità del reato di cui all’art. 44, lett. b), D.P.R. 380 del 6 giugno 2001, nel caso di prosecuzione dei lavori nonostante l’ordine di sospensione. Nel caso di specie, però, non risulta che tali poteri di autotutela e sanzionatori siano stati esercitali dal comune. Anzi, dal testo della ordinanza impugnata nemmeno risulta che sia stato - sia pure tardivamente ed illegittimamente - esercitato il potere inibitorio di cui all’art. 23, comma 6, cit. L’ordinanza impugnata, infatti, ha ritenuto illecito il comportamento degli indagati esclusivamente in base alla circostanza che il comune - peraltro oltre il termine di 30 giorni - ha richiesto una integrazione della documentazione allegala alla Dia. È però di tutta evidenza che questa semplice Edilizia e urbanistica richiesta di documentazione non poteva certamente far venir meno l’efficacia e la validità del titolo abilitativo che si era ormai formato con la scadenza del termine e far qualificare come illecito un comportamento lecitamente tenuto dagli indagati nell’esercizio del diritto loro conferito dal titolo abilitativo già formatosi. Non è quindi in alcun modo configurabile il reato ipotizzato solo perché gli indagati hanno continuato i lavori dopo la richiesta di integrazione documentale effettuata dopo che il titolo si era già formato. Per completezza deve anche osservarsi che nel ricorso i ricorrenti affermano che in data 5 gennaio 2006 il comune avrebbe emesso un ordine di sospensione dei lavori, che gli stessi allegano essere illegittimo. L’ordinanza impugnata non parla in alcun modo di questo ordine di sospensione dei lavori e deve pertanto ritenersi che il provvedimento cautelare non sia basato su questo provvedimento. In ogni modo, quand’anche questo ordine di sospensione fosse stato effettivamente emesso e dovesse ritenersi legittimo, risulta dalla stessa ordinanza impugnata, e comunque non è contestato, che gli indagati hanno eseguito tale ordine ed hanno immediatamente sospeso i lavori (l’ordinanza impugnata afferma che i lavori sono stati sospesi addirittura in conseguenza della richiesta di integrazione documentale) sicché, anche sotto questo profilo, non è allo stato configurabile il reato di cui all’art, 44, lett. b), D.P.R. 380 del 6 giugno 2001. Consegue da quanto evidenziato che devono essere annullati senza rinvio - per mancanza del fumus del reato ipotizzato - sia l’ordinanza impugnata sia il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Avellino il 20 febbraio 2006 e che va ordinata la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto. (Omissis) «Consulente Immobiliare» IL CERTIFICATO DI AGIBILITÀ COS’È E A COSA SERVE Per le nuove costruzioni o per le ristrutturazioni integrali garantisce anche la sicurezza statica e il risparmio energetico degli impianti n una casa il certificato di agibilità (noto un tempo come di abitabilità) attesta che è garantito il rispetto di certi parametri (per esempio l’altezza media dei soffitti o il rapporto tra la grandezza delle finestre e la superficie del pavimento), che rendono possibile l’abitare dei locali, senza che manchi lo spazio vitale, la luce o il ricambio d’aria. Per le nuove costruzioni o per le ristrutturazioni integrali, dal luglio 2003, però, fa anche di più: garantisce non soltanto le proporzioni minime dei locali e delle finestre, ma anche la sicurezza statica dell’edificio e la sicurezza e il risparmio energetico degli impianti. Lo stabilisce il nuovo Testo Unico dell’edilizia: le regioni possono però dettare norme diverse, in completamento o perfino in contraddizione con quelle nazionali: occorre informarsi. Il vecchio certificato di abitabilità e il nuovo di agibilità devono essere posseduti, o richiesti, per tutti i locali dove si vive o si svolge un’attività umana. Sono esclusi in genere i magazzini o i box, e inclusi invece i laboratori artigianali. In mancanza del certificato,oltre a non essere possibile l’utilizzo e oltre al rischio di sanzioni, può essere impossibile vendere ad altri l’immobile: se lo si fa comunque, l’atto è nullo, come se non fosse mai stato sottoscritto. Una scampo ci sarebbe: inserire nel rogito una clausola in cui l’acquirente si impegna ad ottenere lui l’agibilità. Tuttavia deve essere nelle condizioni di poterlo effettivamente fare. Ecco le norme nazionali per ottenere il certificato. La richiesta va presentata ai nuovi Sportelli Unici dell’Edilizia, previsti per ogni comune di una certa dimensione (mentre i comuni più piccoli possono associarsi per averne uno in condivisione). In mancanza dello Sportello unico, all’Ufficio tecnico dell’Edilizia. Insieme alla richiesta occorrerà presentare la domanda di accatastamento del- I l’edificio, la dichiarazione di conformità dell’opera al progetto, le dichiarazioni di conformità degli impianti ai sensi della sicurezza (legge 46/90) e del risparmio energetico (legge 10/91) e, se prevista, quella di conformità alla regole sul superamento delle barriere architettoniche, per permettere ai disabili di accedere all’immobile. Se l’immobile è in cemento armato, occorreranno anche certificati di collaudo statico. Se la zona è a rischio di terremoti, quello di rispondenza alle norme antisismiche. Bisogna infine chiedere anche un assenso alle Asl (Aziende sanitarie locali, ex Usi), che però è sostituibile da una semplice autocertificazione. Se i certificati ci sono tutti, ma non si presenta la domanda di agibilità, si rischia una sanzione (da 258 a 464 euro, cioè da 500 a 900 mila di vecchie lire). Entro 10 giorni dalla domanda del certificato, lo sportello comunicherà il nome del responsabile del procedimento burocratico (a cui rivolgersi in caso di dubbi). Entro 30 giorni, rilascerà il certificato stesso. Quest’ultimo termine slitta a 60 giorni se l’assenso delle Asl (le ex Usi) è sostituito da un’autocertificazione. Trascorsi inutilmente questi periodi, si applica il “silenzio-assenso” e l’agibilità si considera rilasciata. Ovviamente, tutte queste procedure burocratiche non sono alla portata del comune cittadino, che quasi sempre dovrà rivolgersi ai tecnici iscritti all’Albo (geometri, architetti, ingegneri) che gli forniscano i vari certificati. Attenzione soprattutto quindi quando si acquista un’abitazione da un’impresa di costruzioni: non è per niente detto che, al momento del versamento degli anticipi o delle prime rate l’immobile possieda già il certificato di agibilità: la cosa è impossibile, per esempio, se l’edificio è ancora in via di costruzione. «Italia Casa» 159 Edilizia e urbanistica n. 1-2/2007 IL PIANO REGOLATORE DECIDE L’EDIFICABILITÀ Un’area è fabbricabile ai fini Ici in base allo strumento urbanistico La Cassazione con la sentenza 30 novembre 2006 n. 25506 ha recepito l’interpretazione minoritaria di Massimiliano Tasini i fini Ici un’area è da ritenersi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, a prescindere dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 30 novembre 2006 n. 25506. A Il caso di specie. Una contribuente ha impugnato gli avvisi di accertamento e irrogazione sanzioni con i quali un comune ha contestato l’omessa dichiarazione agli effetti dell’Imposta comunale sugli immobili, in relazione a taluni terreni divenuti edificabili a seguito dell’adozione del nuovo piano regolatore generale, a far data dal 22 maggio 1995. La Commissione tributaria adita in primo grado, per quanto qui interessa, ha accolto in toto i ricorsi, sul rilievo che il piano regolatore, pur adottato nel 1995, è stato approvato dalla regione soltanto in epoca successiva. Il comune ha impugnato la sentenza sostenendo che il giudice avrebbe applicato erroneamente il disposto dell’art. 2, lettera b), del dlgs n. 504/1992, che definisce le aree edificabili ai fini dell’Ici. La Commissione tributaria regionale ha tuttavia respinto l’appello principale del comune, confermando la tesi che l’adozione del piano regolatore generale, non ancora approvato, non può conferire il carattere dell’edificabilità ai suoli, prima dell’approvazione definitiva. Il ricorso per Cassazione. Il comune insiste però nella sua tesi e nel ricorso alla Suprema corte invoca la violazione dell‘art. 2, lettera b), del dlgs n. 504/1992, in quanto l’adozione del piano regolatore generale sarebbe sufficiente a far considerare fabbricabili le aree per le quali sia prevista la utilizzabilità a scopo edificatorio anche prima del perfezionamento dello strumento urbanistico. La premessa alla sentenza. I giudici osservano che la questione è stata rimessa dalla Quinta sezione con ordinanza 8 marzo 2005 al primo presidente, per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni unite, avendo rilevato, nella giurisprudenza della Corte, un contrasto interpretativo, riferito al motivo di ricorso, che riguarda i criteri in base ai quali un’area deve essere definita fabbricabile ai fini fiscali, in generale, e dell’imposta comunale sugli immobili. Infatti, secondo un primo indirizzo, definito «sostanzialistico» (in quanto, realisticamente, valorizza le immediate ricadute economiche di qualunque variazione che faccia sorgere o consolidi una aspettativa di diritto), è sufficiente che un’area sia utilizzabile a scopo edificatorio in base agli stru- 160 menti urbanistici, ancorché le relative procedure non siano state perfezionate (Cass. n. 4120/2002, n. 4341/2002, n. 17513/2002, n. 13817/2003, n. 16751/2004 e n. 19750/2004). Secondo altro e diverso orientamento, definito «formalelegalistico», la qualifica di area fabbricabile, anche ai fini fiscali, presuppone che le procedure per l’approvazione degli strumenti urbanistici, siano perfezionate (Cass. n. 10406/1994, n. 15320/2000, n. 13296/2001, n. 2416/2002, n. 14024/2002, n. 2316/2003, n. 5433/2003, 21573/2004 e 21644/2004) Preso atto di tale evidente contrasto, il primo presidente ha rimesso gli atti alle Sezioni unite. D’onde la sentenza che ci occupa. La soluzione adottata. Giova al riguardo rammentare che l’Ici incide sia il possesso delle aree fabbricabili che quello dei terreni agricoli. Tuttavia, differenti sono i criteri utilizzati per determinare la base imponibile. Infatti, per le aree fabbricabili, la base imponibile è costituita dal «valore venale in comune commercio», calcolato al 1° gennaio dell’anno di imposizione, «avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche» (art. 5, comma 5, del dlgs n. 504/1992). Per i terreni agricoli, invece, «il valore è costituito da quello che risulta applicando all’ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell’anno di imposizione, un moltiplicatore pari a 75» (art. 5, comma 7, del dlgs n. 504/1992, oltre gli eventuali coefficienti di rivalutazione, ex art. 3, comma 5, della legge n. 662/1996). La Corte osserva che, nelle more del giudizio, sono intervenuti due provvedimenti legislativi, a carattere interpretativo, che incidono sulla trama normativa di riferimento. Il primo riguarda specificamente Ici, e stabilisce che «ai fini dell’applicazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, la disposizione prevista dall’articolo 2, comma 1, lettera b), dello stesso decreto si interpreta nel senso che un’area è da considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale,’ indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». La formulazione della norma ne impone una lettura tale da far ritenere edificabili le aree utilizzabili a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico, anche se manchino gli strumenti attuativi. Tuttavia, la norma non affronta il problema del valore da attribuire al piano regolatore generale, adottato, ma non ancora approvato. n. 1-2/2007 Il secondo intervento risolve tale ultima questione. Infatti, l’art. 36, comma 2, del di 4 luglio 2006 n. 223 (cosiddetta «manovra Bersani-Prodi») afferma che «ai fini dell’applicazione del decreto del presidente della repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del decreto del presidente della repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del decreto del presidente della repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». Dunque, osservano i giudici, tale seconda norma accoglie il criterio sostanzialistico, che è poi quello ritenuto corretto dal comune ricorrente per Cassazione, secondo il quale non occorre che lo strumento urbanistico, adottato dal comune, abbia perfezionato il proprio iter di formazione mediante l’approvazione da parte Edilizia e urbanistica della regione, in quanto l’adozione dello stesso urbanistico, con inserimento di un terreno con destinazione edificatoria, imprime al bene una qualità che è recepita dalla generalità dei consociati come qualcosa di già esistente e di difficile reversibilità e, quindi, è sufficiente a fare venir meno, ai fini anzidetti, la presunzione del rapporto proporzionale tra reddito dominicale risultante in catasto e valore del terreno medesimo, posto a fondamento della valutazione automatica. In sostanza, è irrilevante che il suolo sia immediatamente e incondizionatamente edificabile, perché possa farsi ricorso legittimamente al criterio di valutazione del valore venale in comune commercio. L’avvio di una procedura amministrativa a carattere urbanistico di per sé determina una «trasformazione» economica dello stesso che non consente più la valutazione, ai fini fiscali, secondo il criterio del reddito dominicale. L’altalena del legislatore La critica al legislatore. Durissimo appare il passaggio finale della sentenza, con il quale viene rilevato come «l’intervento interpretative da parte del legislatore, piuttosto che dare forza alla soluzione adottata, che sarebbe stata recepita anche in mancanza della imposizione ex auctoritate, l’ha indebolita, in quanto può apparire inutilmente e dichiaratamente di parte. Infatti, il legislatore è intervenuto quando già le Sezioni unite erano state investite del contrasto e, quindi, era imminente la rimozione del contrasto stesso da parte di un giudice terzo, nell’esercizio della specifica funzione istituzionale di garante dell’uniforme interpretazione della legge (artt. 65, comma 1, dell’rd 30 gennaio 1941, n. 12, i 374, comma 2, del codice di procedura civile)...» Leggi pro-fisco. «... Si aggiunga, poi, che, come è accaduto nel caso di specie, in materia fiscale gli interventi interpretativi sono sempre pro fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa (nell’intento di realizzare maggiori entrate). Non sono ispirati, quindi, alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi di una delle parti in causa...» Statuto ancora una volta violato. «... Ciò non facilita l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente, basato sul principio della collaborazione e della buona fede, come vorrebbe lo Statuto del contribuente (art. 10, comma 1, della legge n. 212/2000)...» Fisco e legislatore ... «Nel caso di specie, poi, non è facile distinguere l’amministrazione finanziaria, parte in causa, dal legislatore, posto che la norma interpretativa è stata approvata con decreto-legge del governo, convertito in una legge, la cui approvazione è stata condizionata dal voto di fiducia al governo. Tanto che se fosse stato diverso l’orientamento del Collegio (rispetto alla scelta i; legislativa), non ci si sarebbe potuto esimere dal valutare la compatibilità della procedura di approvazione dell’art. 36, comma 2, del di n. 223/2006, con il parametro costituzionale di cui all’art. 111 della Costituzione, che presuppone una posizione di parità delle parti nel processo, posto che, nella specie, l’amministrazione finanziaria ha avuto il privilegio di rivestire il doppio ruolo di parte in causa e di legislatore e che, in questa seconda veste, nel corso del giudizio ha dettato al giudice quale dovesse essere, prò domo sua, la corretta interpretazione della norma sub iudice...» Un intervento «inopportuno» ... «... L’intervento è apparso inopportuno anche perché la Pubblica amministrazione, anche quando è parte in causa, ha sempre l’obbligo di essere e di apparire imparziale, in forza dell’art. 97 della Costituzione» La norma interpretata dalla sentenza Art. 2, comma 1, lettera b), del dlgs n. 504/1992: «Per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi» Suprema corte e legislatore a braccetto Per la Corte di cassazione, la soluzione adottata dal legislatore appare quella «più aderente a un corretto e realistico approccio al problema in esame». Ed è una soluzione che impone di prescindere dallo «stato di avanzamento» degli strumenti urbanistici in itinere. È pertanto sufficiente l’avvio della procedura per la formazione del piano regolatore generale perché possa escludersi la regola della determinazione automatica del valore, solo applicabile ai terreni agricoli. Questo criterio è certamente di gran lunga divergente da quello affermatosi in materia urbanistica, un campo nel quale l’obiettivo è quello di garantire il corretto uso del territorio urbano, con la conseguenza che l’edificazione non è possibile se non quando gli strumenti urbanistici siano perfezionati (garantendo la compatibilità degli interessi individuali con quelli collettivi). Tuttavia, in sede di valutazione, la minore o maggiore attualità e potenzialità della edificabilità entrerà in gioco in modo rilevante ai fini di una corretta valutazione del valore venale delle stesse. «Italia Oggi» 161 Edilizia e urbanistica n. 1-2/2007 “CONDONI” E PAESAGGIO Il terzo condono edilizio negli ambiti territoriali sottoposti a vincolo paesaggistico e il cosiddetto “condono ambientale” di Roberto Banchini ui problemi interpretativi legati alla disciplina del condono edilizio negli ambiti territoriali sottoposti a vincolo paesaggistico prevista dalla legge 326/2003 (art. 32, comma 27) ha posto un punto fermo la nota sentenza della Corte Costituzionale n. 196/2004, ma restano alcuni margini di incertezza. S Quasi del tutto aperti appaiono i non pochi problemi di interpretazione e di applicazione indotti dal nuovo istituto dell’“accertamento di compatibilità paesaggistica” introdotto dalla legge 308/2004 (art. 1, commi 36-39), meglio noto con l’impropria denominazione di “condono ambientale”. Si tenta il punto su entrambe le questioni dopo il parere del Consiglio di Stato del 2005 e le modifiche al “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” introdotte dal DLgs 157/2006. Come noto, la disciplina del cosiddetto “terzo” condono edilizio (dopo i due precedenti, ex legge 47/85 ed ex art. 39 legge 724/94) è contenuta nell’art. 32 della legge 326/2003; il comma 27 di tale articolo da un lato conferma quanto previsto dall’art. 32 della legge 47/85 (riformulato, peraltro, al successivo comma 43), ovvero l’ammissibilità della sanatoria edilizia nelle aree soggette a vincolo paesistico previa acquisizione del parere favorevole dell’Amministrazione competente alla tutela del vincolo. Dall’altro, alla lett. d), indica tra le opere comunque non suscettibili di sanatoria quelle “realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela ... (omissis) dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.” Da più parti tale formulazione è stata inizialmente giudicata portatrice di una interna, insanabile contraddittorietà, fino a ravvisare profili di incostituzionalità a carico del comma 27, lett. d). L’antinomia è stata risolta dalla Corte Costituzionale secondo la quale (Sentenza n. 196 del 2004, motivazione in diritto, par. 17, sesto periodo) la normativa del 2003 ha introdotto “alcuni nuovi vincoli all’applicabilità del condono (comma 27) che si aggiungono a quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge n. 47 del 1985”: i limiti alla condonabilità previsti dalla lett. d) del comma 27 vengono cioè riconosciuti come aggiuntivi rispetto a quelli già previsti dall’art. 32 della legge 47/85. Alla luce di quanto sopra, tenendo conto anche del comma 26 dello stesso art. 32 della legge 326/2003 che fa riferimento alla classificazione degli illeciti edilizi in sei tipologie (rettificata come noto rispetto alle sette originarie categorie determinate dalla legge 47/85 e ribadite dalla legge 724/94), verrebbe 162 a delinearsi, a livello di legislazione nazionale, la seguente disciplina. Ferma restando l’obbligatorietà, ai fini del rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, del parere preventivo dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo ai sensi dell’art. 32 della legge 47/85, non sono comunque condonabili gli illeciti di tipologia 1, 2 e 3 nel caso che: • i vincoli siano stati istituiti prima dell’esecuzione delle opere • le opere, sia nel caso di assenza del titolo edilizio che di difformità da esso, non risultino conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizione degli strumenti urbanistici. È però da segnalare anche l’interpretazione più restrittiva scaturita dalla giurisprudenza penale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, Sentenze 29 gennaio 2004, n. 3350; 1° ottobre 2004, n. 1593; 21 dicembre 2004, n. 48956) secondo la quale nelle aree vincolate non sarebbero in ogni caso condonabili le tipologie di abuso numeri 1, 2 e 3, restando ammissibili alla sanatoria, sempre previo parere dell’Autorità competente, le sole tipologie di abusi “minori” numeri 4, 5 e 6. Resta da vedere se tale linea interpretativa, indubbiamente la più benefica per la conservazione del nostro paesaggio (bène primario della Nazione costituzionalmente protetto), sarà quella che troverà prevalente se non univoca applicazione. Tutto ciò per quanto riguarda la legislazione nazionale, oltre alla quale vanno considerate le limitazioni eventualmente introdotte dalle singole leggi regionali sul condono. A titolo di esempio, si ricorderà che nel Lazio, secondo l’art. 3 della LR 12/2004, non è ammessa alcuna sanatoria per abusi che interessino “immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, anche se realizzati prima dell’apposizione del vincolo”. Si tratta come noto di beni e ambiti che, ancorché individuati ai sensi della distinta legislazione di tutela ambientalenaturalistica, sono parimente tutelati “per legge” - ovvero senza necessità di specifico provvedimento da parte dell’Autorità competente - anche sotto il profilo propriamente paesaggistico ai sensi dell’art. 142, lett. f) del DLgs 42/2004 (già [ art. 1, lett. f) della legge 431/85, cosiddetta “Galasso”). Altra importante questione, visto il richiamo alla sola conformità agli strumenti urbanistici contenuto nella lett. d) del comma 27, concerne il rapporto di detti strumenti con quelli di pianificazione paesaggistica, questi ultimi come noto prevalenti e I sovraordinati rispetto ai primi. Ammettendo l’applicabilità del comma 27 lett. d) così come poc’anzi configurata sulla base del pronunciamento 196/04 della Corte Costituzionale, ci si chiede cioè se un abuso conforme alle prescrizioni n. 1-2/2007 della pianificazione urbanistica, ma non a quelle della pianificazione paesaggistica, sia condonabile. Al riguardo, il Consiglio di Stato, con parere n. 1956/2005, Sez. II del 15 giugno 2005 (in risposta ai quesiti formulati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nella maggior parte riferiti al “condono paesaggistico” - v. infra ma in parte anche al condono edilizio) si è espresso per la non condonabilità. Una interpretazione meramente letterale, osserva l’autorevole consesso, avrebbe infatti esito contraddittorio sul piano della “logicità di sistema” (presente nell’ordinamento anche anteriormente all’emanazione del DLgs 42/2004) secondo la quale la pianificazione paesaggistica è appunto sovraordinata a quella urbanistica, con obbligo per i Comuni di adeguare i propri strumenti urbanistici al Piano Paesistico. Se dunque sembra chiarita la questione appena esposta del mancato richiamo agli strumenti di pianificazione paesaggistica più spinosa e controversa, allo stato attuale, poco se non per nulla risolta resta quella concernente i rapporti tra il condono edilizio ex legge 326/2003 ed il “condono paesaggistico straordinario” ex legge 308/2004, per la quale si rimanda alle valutazioni che seguono, dedicate all’ “accertamento di compatibilità” paesaggistica. L’istituto dell’“accertamento di compatibilità paesaggistica”, noto appunto secondo l’impropria denominazione di “condono ambientale” o “condono paesaggistico”, discende dalla legge 308/2004 che l’ha introdotto secondo due forme, una “ordinaria” (art. 1, comma 36) e una “straordinaria” (art. 1, commi 37, 38, 39). Il comma 36 è direttamente intervenuto sul DLgs 42/2004, “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, modificandone gli articoli 167 e 181, contenenti i dispositivi sanzionatori in caso di violazione della normativa di tutela del paesaggio, il primo quelli amministrativi, il secondo quelli penali; i commi 37-39, pur non incidendo direttamente con modifiche nel corpo normativo del Codice, sono stati comunque congegnati in riferimento ai predetti articoli 167 e 181 (come modificati dal comma 36), e dunque risultano parimenti (se non più) interferenti con la disciplina di tutela. La laconicità delle nuove norme, specie di quelle contenute nei commi 37-39, hanno indotto sin dall’inizio molta incertezza e varie difficoltà interpretative, solo in parte chiarite dal Consiglio di Stato, con il citato Parere della Sez. II n. 1956/2005 del 15 giugno 2005 (innescato come detto da una serie di quesiti formulati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali). Più di recente, nel quadro della generale rettifica e messa a punto della Parte III del Codice (contenente appunto la disciplina di tutela dei “Beni paesaggistici”) operato dal D.Lgs 157/2006, il legislatore ha tentato di razionalizzare la materia: è così intervenuto di nuovo sugli articoli 167 e 181, già modificati dalla legge 308/2004, e ha introdotto altre conseguenti rettifiche nel corpus normativo: si veda in particolare il testo aggiunto all’art. 182, nel quale il comma 3 ter è specificamente riferito all’art. 1, commi 37-39 della legge 308/2004. Sul piano generale la novità da sottolineare fra quelle introdotte, di cui è evidente la logica in relazione al nuovo istituto dell’ “accertamento di compatibilità paesaggistica” (ma, al di fuori di tale fattispecie, foriera di conseguenze importanti sulla normale attività di tutela), è individuabile nel- Edilizia e urbanistica la soppressione, nel disposto dell’art. 167, della tradizionale alternativa tra sanzione amministrativa pecuniaria e sanzione amministrativa ripristinatoria (alternativa a suo tempo introdotta nell’ordinamento dal vecchio art. 15 della legge 1497/39), e nell’individuazione della “rimessione in pristino” come unica sanzione che l’Autorità competente è tenuta a comminare in caso di violazione della disciplina di tutela: ciò al di fuori ovviamente delle fattispecie rientranti nella procedura di accertamento della compatibilità paesaggistica, a seguito della quale invece — ovviamente in caso di esito favorevole - la sanzione non può che essere pecuniaria; tale messa a punto della norma si spiega considerando che l’originaria formulazione introdotta dall’art. 1, comma 36 della legge 308/2004 nell’art. 181 del Codice aveva contraddittoriamente mantenuto, in relazione alla procedura, il riferimento all’alternativa tra sanzione amministrativa ripristinatoria o pecuniaria. In effetti, come da più parti è stato osservato, una volta accertata e dichiarata la compatibilità paesaggistica di un’opera, come si sarebbe potuto irrogare, nell’ambito dello stesso procedimento, la sanzione della rimessione in pristino, imporre cioè la demolizione dell’opera appena valutata come compatibile? Peraltro tale contraddizione, del tutto evidente nel caso della procedura ordinaria normata dal comma 36, era in realtà - come evidenziato dal Consiglio di Stato — già sostanzialmente superata nel caso della procedura straordinaria (comma 37), visto che la norma già predeterminava l’applicazione della sola sanzione pecuniaria. Inoltre, per quanto riguarda il rapporto tra la nuova normativa e la vexata quaestio relativa all’autorizzazione “paesaggistica postuma”, è stata confermata l’inammissibilità del rilascio in sanatoria della stessa, introducendo una specifica deroga per l’istituto dell’“accertamento di compatibilità paesaggistica”, tanto ordinaria che straordinaria (art. 146, comma 12; art. 182, commi 3 bis e 3 ter). Si riporta di seguito il quadro che, alla luce di quanto sopra, è possibile allo stato attuale delineare in merito all’istituto dell’“accertamento di compatibilità paesaggistica”, come detto ancora irto di difficoltà tanto giuridiche che applicative e, presumibilmente, suscettibile di ulteriori sviluppi. Accertamento di compatibilità paesaggistica: Forma ordinaria (D.Lgs 42/2004, articoli 167 e 181 come modificati dall’art. 1 comma 36 della legge 308/2004 e poi dal D.Lgs 157/2006) In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dalla Parte III (Beni paesaggistici) - Titolo I del D.Lgs 42/2004, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese (sanzione amministrativa, art. 167), tranne nei casi seguenti, previo accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere eseguite da parte dell’Autorità amministrativa competente: a) lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica c) lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria (ai sensi art. 3 DPR 6 giugno 2001, n. 380). 163 Edilizia e urbanistica Procedura: l’Autorità competente si pronuncia sulla domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica da parte del trasgressore entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione (sanzione amministrativa, art. 167 comma 5). L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di accertamento della compatibilità paesaggistica, inoltre, non si applicano le sanzioni penali di cui al comma 1 dell’art. 181. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria (amministrativa) di cui in premessa. Sul piano penale, è da ritenere trovi applicazione il comma 1 quinquies dell’art. 181 secondo il quale “la rimessione in pristino ... da parte del trasgressore ... estingue il reato di cui al comma 1”. Nel caso dell’“accertamento di compatibilità paesaggistica” in forma ordinaria (o “a regime”, ovvero sempre attivabile da parte del cittadino per “piccoli abusi” rientranti nelle fattispecie indicate dalla norma) il quadro si presenta dunque relativamente chiarito (con riproposizione semmai dell’altra vexata quaestio relativa ai criteri estimativi per la determinazione della sanzione pecuniaria). Anche per quanto concerne il rapporto con la normativa urbanistico-edilizia, questione assai spinosa nella procedura di accertamento “straordinaria”, non sembra di dover rilevare una particolare problematicità (benché parimenti in assenza di specifici interventi chiarificatori da parte del legislatore): in caso di assenza del titolo edilizio, o di difformità da esso, stante la natura delle opere ammesse alla procedura, dovrebbe trovare agevole applicazione, una volta accertata la compatibilità con i valori paesaggistici tutelati delle opere medesime, l’art. 36 del DPR 380/2001, il cui dispositivo già prevedeva in campo edilizio-urbanistico, come noto, a determinate condizioni, una procedura di “accertamento di conformità” (già art. 13 della legge 47/85). “Accertamento di compatibilità paesaggistica”: Forma straordinaria (legge 308/2004, commi 37, 38, 39; D.Lgs 42/2004, art. 182 come modificato dal D.Lgs 157/2006) Per lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, l’accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all’autorizzazione eventualmente rilasciata, comporta l’estinzione del reato di cui all’art. 181 del D.Lgs 42/2004 (in altri termini: non trova applicazione la relativa sanzione penale) e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti condizioni: a) le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell’eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o altrimenti siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico. b) i trasgressori abbiano preventivamente pagato: • la sanzione pecuniaria di cui all’art. 167 del DLgs 42/2004 (sanzione amministrativa), maggiorata da 1/3 alla metà; 164 n. 1-2/2007 • una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata, dall’Autorità amministrativa competente all’applicazione della sanzione di cui al punto precedente, tra un minimo di 3000,00 € e 50.000,00 €. Procedura: il trasgressore presenta la domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica all’Autorità competente entro il termine perentorio del 31 gennaio 2005. L’Autorità competente si pronuncia sulla domanda, previo parere vincolante della Soprintendenza: così divenuto a seguito delle integrazioni all’art. 182 del DLgs 42/2004 operate dal DLgs 157/2006. Come si è detto vari nodi problematici emergenti da tale disciplina sono stati già in parte affrontati dal Consiglio di Stato - Sez. II nel citato Parere n. 1956/2005, sulla base dei quesiti formulati dal Ministero BBAACC; tenendo conto delle risposte rese, omettendo quelle del tutto superate dalla successiva emanazione del DLgs 157/2006 (ad es. il carattere vincolante del parere della Soprintendenza), le questioni poste all’attenzione del Consiglio e in parte ancora sul tappeto, specialmente per quanto concerne il rapporto con la normativa urbanistico-edilizia, possono così essere sintetizzate: a) se il beneficio offerto dall’accertamento di compatibilità paesaggistica (ovviamente nel caso di esito favorevole) svolga effetti esclusivamente sul piano penale, oppure anche nell’ambito amministrativo. Il Consiglio, va detto, ha a suo tempo risposto basandosi sulla formulazione ora modificata dell’art. 167, allorché in essa era ancora presente l’alternativa tra sanzione pecunaria e sanzione ripristinatoria; ha comunque già allora osservato che il richiamo alla sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 167 del DLgs 42/2004 rendeva evidente come il legislatore avesse “inteso definire, nello stesso contesto, anche l’illecito amministrativo di cui all’art. 167, predeterminando la sanzione amministrativa applicabile, con esclusione della misura ripristinatoria”. Tale univoca individuazione della sanzione applicabile quella pecuniaria — è ora, come detto, chiaramente inserita nel testo dell’art. 167 così come adeguato dal DLgs 157/2006; inoltre la nuova formulazione da quest’ultimo aggiunta all’art. 182 del Codice, sia pure con farraginosi rimandi ai dispositivi tanto dell’art. 167 che dell’art. 181, conferma che l’accertamento di compatibilità si svolge ai sensi di entrambi tali articoli, incidendo dunque sia nella sfera amministrativa che penale; b) stante la laconicità della disposizione contenuta nel comma 39, se debbano o possano valere per analogia i termini stabiliti per il “condono paesaggistico ordinario” di cui al comma 36. E inoltre se, nel caso di risposta affermativa a quanto sopra, i termini definiti come “perentori” debbano intendersi nel senso che il loro inutile decorso conduca alla insanabilità dell’abuso (silenzio-rifiuto). Il Consiglio ha risposto negativamente, osservando che la disciplina del “condono paesaggistico ordinario” (comma 36) ha carattere permanente ed è chiaramente distinta da quella a carattere transitorio del “condono paesaggistico straordinario” (commi 37-39), aggiungendo che, in mancanza di specifiche disposizioni in ordine ai tempi di definizione della procedura, è comunque possibile fare ricorso agli istituti generali stabiliti dall’ordinamento (legge 241/90 e s.m.i., legge 205/2000 in tema di ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione). n. 1-2/2007 Anche in questo caso va ricordato che il Consiglio di Stato, nell’operare la distinzione fra le due procedure, si è basato sulla formulazione ora modificata dell’art. 167 e dell’art. 181. Infatti, la differenziazione fra le due procedure evidenziata nel parere sembrerebbe, almeno in parte, rinvenuta nel fatto che al “condono paesaggistico ordinario”, contrariamente a quello “straordinario”, veniva riconosciuta “valenza limitata esclusivamente al campo penale”, “permanendo successivamente la competenza dell’Autorità amministrativa competente a valutare la sanzione amministrativa più opportuna tra rimessione in pristino e sanzione pecuniaria” (alternativa, appunto, non più presente nella norma). Il superamento di tale questione non sembrerebbe comunque sufficiente a inficiare il parere reso circa la distinzione tra le due procedure. Pertanto, allo stato attuale, l’iter procedurale dell’accertamento di compatibilità paesaggistica straordinario resta piuttosto indeterminato; c) quali siano i rapporti tra il nuovo condono paesaggistico e il generale condono edilizio di cui alla legge 269/2003 e “se le due normative debbano applicarsi distintamente. £, in subordine: se, allorquando si tratti di abusi ultimati entro il 31 marzo 2003, sia possibile una separata domanda di condono paesaggistico senza una parallela domanda, per il medesimo manufatto, di condono edilizio. Il Consiglio evidenzia come la legge 326/2003 abbia introdotto ulteriori limiti alla condonabilità degli abusi in area paesaggistica (solo abusi formali, senza contare l’interpretazione ancor più restrittiva della Cassazione) e che, pertanto, l’applicazione distinta delle due normative sembra l’unica soluzione consentita dal tenore letterale delle disposizioni, a meno di non ritenere (ma è da escludere, viene precisato) che la legge 308/2004 abbia disposto un’abrogazione tacita delle suddette previsioni limitatrici e di quelle analoghe delle numerose leggi regionali degli ultimi mesi del 2004. Il Condono edilizio, asserisce sempre il Consiglio, anche quando è relativo ad opere abusive effettuate su aree sottoposte a vincolo, è finalizzato al conseguimento del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, mentre il condono paesaggistico ha una finalità più limitata essendo diretto all’estinzione dei reati in materia paesaggistica e, contestualmente, all’estinzione dell’illecito amministrativo. In altri termini, il concetto espresso è che l’accertamento di compatibilità paesaggistica non è un condono edilizio. In merito al quesito in subordine, il parere sottolinea altresì come la concessione del condono paesaggistico e la non applicazione della sanzione ripristinatoria di cui all’art. 167 del Codice non escluda, in caso di diniego del condono edilizio (caso delle domande parallele), l’applicazione della sanzione ripristinatoria prevista dalle norme che disciplinano l’attività urbanistico-edilizia. Coerentemente con l’interpretazione sopra indicata, il Consiglio ritiene pertanto che per gli abusi relativi allo stesso manufatto ultimati entro il 31 marzo 2003 sia possibile una domanda di condono paesaggistico senza una parallela domanda di condono edilizio. Da parte nostra, osserviamo innanzitutto come la generica terminologia adottata al punto e), “le tipologie realizzate”, Edilizia e urbanistica lasci intendere la possibilità di sottoporre a procedura di valutazione paesaggistica nuove costruzioni, peraltro senza limiti di superficie e volume, e dunque di travalicare ampiamente — sia pure a condizione che sia riscontrabile una loro compatibilità con le prescrizioni del Piano Paesistico (e addirittura con totale discrezionalità di giudizio in caso di assenza del Piano!) — i severi limiti imposti al condono edilizio nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico. E quindi, per quanto deducibile e ipotizzabile sulla base di quanto fin qui illustrato, concludiamo provando a configurare tre casistiche possibili, e i relativi problemi. Abuso commesso tra il 31 marzo 2003 e il 30 settembre 2004 Non potendo sussistere parallela domanda di condono edilizio ex legge 326/2003, il relativo titolo in sanatoria non potrebbe comunque essere acquisito e, pertanto, quanto realizzato, pur essendo stato riconosciuto compatibile paesaggisticamente, resterebbe abusivo dal punto di vista urbanisticoedilizio. L’unica strada percorribile sembrerebbe quella dell’art. 36 del DPR 380/2001 (già art. 13 della legge 47/85), ma solo in caso di conformità agli strumenti urbanistici delle opere abusivamente realizzate. Abuso commesso entro il 31 marzo 2003: presentazione della sola domanda di “condono paesaggistico” Verrebbe di fatto a configurarsi la possibilità - sia pure solo dal punto di vista paesaggistico — di condonare abusi oltre i limiti imposti dalla legge 326/2003 in ambiti vincolati. Gli stessi, come nel caso precedente, non potrebbero poi che avvalersi in campo urbanistico-edilizio del citato art. 36 del DPR 380/2001, con l’eventualità di restare comunque “scoperti” dal punto di vista edilizie-urbanistico. Abuso commesso entro il 31 marzo 2003: domanda di “condono paesaggistico” + domanda di “condono edilizio” Apparentemente “garantita” dalla possibilità di avvalersi di entrambe le procedure, proprio per questo è probabilmente la casistica che si presta a prefigurare le situazioni più paradossali. Gli abusi eventualmente valutati positivamente secondo la procedura paesaggistica, disporrebbero appunto della possibilità di accedere anche alla procedura di valutazione per la sanatoria in campo edilizio-urbanistico. Ma, accogliendo il principio del carattere separato e autonomo dei due procedimenti, gli stessi abusi, paradossalmente proprio nell’ambito procedurale concernente la sanatoria edilizia ex legge 326/2003, dovrebbero soggiacere ai limiti di condonabilità dalla stessa legge stabiliti per gli abusi ricadenti negli ambiti vincolati paesaggisticamente (aggiunti come si è visto all’obbligo di acquisire preventivamente il parere ex art. 32 legge 47/85, che già di per sé prefigurerebbe l’assurdo di un parallelo o comunque ulteriore parere paesaggistico): con la forte probabilità che abusi valutabili positivamente nella prima procedura, non lo siano nella seconda. «Ponte» 165 Edilizia e urbanistica n. 1-2/2007 IL LUNGO TEMPO TRASCORSO SANA I VIZI DEL PERMESSO DI COSTRUIRE di Diego Foderini na sentenza del Tar Abruzzo afferma un principio importante per la risoluzione dei frequenti contenziosi tra vicini. Capita spesso, infatti, che al comune venga richiesto di procedere all’annullamento del permesso di costruire già rilasciato per presunti vizi di legittimità. Con la sent. 611/2006, il Tribunale afferma però che l’illegittimità del permesso non obbliga senz’altro l’amministrazione all’annullamento. A tal fine occorrono infatti specifiche ragioni di pubblico interesse, soprattutto quando dal momento del rilascio del provvedimento sia decorso un notevole lasso di tempo. La sentenza risulta coerente con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza e fornisce l’occasione per fare il punto della situazione a riguardo. U L’illegittimità da sola non basta all’annullamento Ai fini dell’annullamento del permesso di costruire da parte del comune non basta l’illegittimità ma occorre l’esistenza di un pubblico interesse concreto e attuale che sta alla stessa amministrazione verificare. Le motivazioni per l’annullamento dovranno essere tanto più forti quanto maggiore sia il tempo trascorso dal rilascio del provvedimento. Il passaggio del tempo determina infatti il consolidamento della posizione del privato e diminuisce così le possibilità di annullamento del permesso. Si tratta di un principio oramai consolidato che è stato recentemente riaffermato dal Tar Abruzzo con la sent. n. 611 del 24 luglio 2006. Nel caso deciso dal Tribunale un privato aveva chiesto e ottenuto dal comune l’accesso ai documenti relativi a una concessione edilizia rilasciata al confinante 27 anni fa, scoprendo che lo stesso ufficio tecnico comunale in fase istruttoria aveva espresso parere contrario. Chiede quindi al comune l’annullamento della concessione ma il comune respinge la richiesta con la motivazione che il tempo trascorso non giustifica l’adozione di un tale provvedimento. Si rivolge quindi al Tar che però conferma l’operato del comune affermando che l’illegittimità della concessione non obbliga senz’altro l’amministrazione all’annullamento. La sentenza è del tutto conforme all’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa (come, per esempio, Cons. Stato, Sez. V, n. 1150/2003; Tar Campania, n. 3029/2005 e n. 4077/2003; Cons. Stato, Sez. V, n. 803/1993 e n. 158/1998). Le possibilità di annullamento diminuiscono quando non solo sia trascorso un notevole lasso di tempo dal rilascio, ma il comune abbia anche adottato un comportamento tale da determinare il consolidamento dell’affidamento del privato (Cons. Stato, n. 7218/2003). Quando è possibile l’annullamento La lettura della sent. n. 611/2006 del Tar Abruzzo, non isolatamente ma nel più ampio contesto della giurisprudenza amministrativa sviluppatasi in materia, consente di comprendere quando l’annullamento di un permesso di costruire sia legittimo. Secondo tale giurisprudenza, in particolare, per l’annullamento: - è necessaria la presenza oltre che dei vizi di legittimità anche di specifiche ragioni di pubblico interesse solo nel caso in cui il notevole tempo trascorso abbia determinato il consolidamento dell’affidamento sulla sua legittimità e l’annullamento sarà pertanto legittimo anche in assenza di tali specifiche ragioni quando inter- 166 venga a breve distanza dal rilascio del provvedimento (Cons. Stato, Sez. V, n. 6454/2004); - se le opere assentite non sono state ancora avviate, l’annullamento potrà essere disposto facendo semplicemente riferimento all’illegittimità del permesso mentre quando le stesse hanno assunto una certa consistenza occorrerà un’adeguata comparazione con gli interessi privati da sacrificare (Cons. Stato, Sez. V, n. 5357/2000; Tar Campania, n. 3029/2005); - anche se è trascorso molto tempo dal rilascio, non sono necessarie specifiche ragioni di pubblico interesse quando il soggetto nei cui confronti si esercita il potere di annullamento sia in malafede (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 6454/2004, n. 2648/2000, n. 2544/2000, n. 299/1999 e n. 1382/1994). Ciò in quanto la malafede impedisce la formazione di qualunque affidamento sulla legittimità dell’atto; - non occorrono specifiche motivazioni riferite al pubblico interesse neppure per l’annullamento della concessione che sia stata rilasciata a seguito di una inesatta rappresentazione della realtà da parte del richiedente, senza che allo scopo assuma rilievo la sua buona o cattiva fede (Cons. Stato, Sez. V, n. 6454/2004 e n. 1382/1994). I riferimenti normativi I principi affermati dalla giurisprudenza in materia di annullamento del permesso di costruire risultano pienamente coerenti con quelli espressi nella legislazione vigente e contenuti nella legge 241/1990 (nel testo risultante a seguito delle modifiche e integrazioni apportate con legge 15/2005 e 80/2005). La legge 241/1990 stabilisce infatti che il provvedimento annullabile può essere annullato d’ufficio dall’amministrazione anche in assenza di un’istanza dell’interessato o di una sentenza che lo imponga, ma ciò solamente nella ricorrenza delle seguenti condizioni essenziali, contenute nell’art. 21 -nonies: - debbono sussistere ragioni di pubblico interesse. L’illegittimità non sarà dunque da sola sufficiente a giustificare l’annullamento; - è necessario tenere conto degli interessi dei destinatari e dei contro-interessati e per fare ciò occorrerà il loro coinvolgimento nel procedimento mediante la comunicazione di avvio dello stesso. Il pubblico interesse all’annullamento andrà rapportato all’interesse dei privati coinvolti per valutare se sia prevalente l’uno o gli altri; - l’annullamento deve intervenire entro un termine “ragionevole”, e quindi prima che la situazione determinatasi a seguito del provvedimento illegittimo possa ritenersi definitivamente consolidata. Le modifiche alla legge 241/1990, introdotte nel 2005, recepiscono gli orientamenti della giurisprudenza maturati anche con riferimento all’annullamento del permesso di costruire. È opportuno ricordare in proposito come le disposizioni in materia di annullabilità del provvedimento costituiscono principi generali dell’ordinamento, come tali applicabili anche alla materia dell’edilizia e dell’urbanistica (art. 29, comma 2). Quanto alle conseguenze derivanti dall’annullamento del permesso di costruire, si ricorda che queste sono disciplinate dall’art. 38 del D.P.R. 380/2001. «Consulente Immobiliare» Fisco n. 1-2/2007 VALORI CATASTALI DEGLI IMMOBILI E LORO EFFETTI FISCALI di Antonio Piccolo egli ultimi tempi il sistema di tassazione, da quello statale a quello comunale, è caratterizzato sempre più dai prelievi fiscali sui proprietari di beni immobili. È noto, del resto, che gli immobili sono facilmente individuabili dagli enti impostori e che per garantire il funzionamento dei servizi sociali e dell’apparato amministrativo occorrono consistenti entrate tributarie. Ma l’aumento del gettito tributario non deve necessariamente passare da un inasprimento delle aliquote d’imposta, essendo sufficiente anche un innalzamento del moltiplicatore catastale, come stabilito dall’art 2, comma 45, del Dl. 262/2006 (convertito, con modificazioni, dalla legge 286 del 24 novembre 2006) che qui analizzeremo. N Prima di delineare il quadro dei valori catastali degli immobili (fabbricati e terreni) e dei connessi effetti fiscali, che è poi lo scopo principale del presente scritto, è opportuno rimarcare in primo luogo che l’intero sistema di tassazione poggia su una determinazione della base imponibile basata sull’applicazione delle rendite catastali, le quali, a loro volta, sono caratterizzate dagli estimi catastali. Con provvedimento 12 maggio 2006, il Direttore dell’Agenzia del territorio ha disposto la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dei prospetti contenenti le tariffe di estimo delle unità immobiliari urbane riguardanti 904 comuni, a integrazione dei prospetti recanti le tariffe di estimo delle unità immobiliari urbane per l’intero territorio nazionale determinate con D.M. 27 settembre 1991. Tale provvedimento si aggiunge: - al D.M. 159 del 6 giugno 2002 con il quale il Ministero dell’economia e delle finanze ha rideterminato, per effetto delle decisioni delle Commissioni censuarie provinciali e della Commissione censuaria centrale, le tariffe di estimo delle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria, situate in 268 comuni (cfr. circ. min. n. 7/DPF del 19 settembre 2002; Comm. trib. prov. Campobasso, Sez. I, n. 189, 24 gennaio 2005); - alla previsione di cui al comma 335 dell’art. 1 della legge 311/2004 (Finanziaria 2005) che ha sancito la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato individuato ai sensi del D.P.R. 138/1998 e il corrispondente valore medio catastale ai fini dell’applicazione dell’ICI si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali (si veda Ag. territorio, determinazioni 30 novembre 2005 riguardanti la revisione del classamento delle unità immobiliari urbane ubicate nei comuni di Milano, Ferrara e Casale Monferrato); - alla disposizione “interpretativa” di cui all‘art. 1- quinquies del D.L. 44/2005 (convertito, con modificazioni, dalla legge 88/2005), in forza della quale l’art. 4 del R.D.L. 652/1939 (convertito, con modificazioni, dalla legge 1249/1939), limitatamente alle centrali elettriche, si interpre- ta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti a esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell’art. 10 del citato R.D.L. 652/1939, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell‘attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo (cfr. Cass., Sez. trib., n. 16824, 21 luglio 2006 e n. 13319, 7 giugno 2006). Infine, nell’ottica delle novità legislative, è utile segnalare che il termine per la presentazione delle dichiarazioni in catasto relative alle unità immobiliari di nuova costruzione, alle unità che transitano dalla categoria esente a quella soggetta a imposta in seguito alla perdita dei requisiti per godere dell’esenzione, nonché per la presentazione delle dichiarazioni relative alle mutazioni nello stato di unità immobiliari già censite, è di 30 giorni dal momento in cui si verificano gli eventi che danno luogo all’obbligo dichiarativo catastale (art. 34-quinquies del D.L. 4/2006 convertito, con modificazioni, dalla legge 80/2006; si veda Ag. territorio, circ. n. 3/T dell’11 aprile 2006). Gruppi e categorie catastali Come avvalorato esplicitamente anche dall‘autorevole interprete e dai supremi giudici di legittimità (Ag. territorio, circ. n. 1/T del 17 marzo 2003; Cass., Sez. trib., exmultis, n. 22943, 7 dicembre 2004, n. 17698, 2 settembre 2004, n. 10037, 24 giugno 2003, n. 5871, 20 aprile 2001 e n. 4509, 10 aprile 2000), la rendita catastale costituisce un parametro di riferimento per l‘individuazione della base imponibile di una serie di tributi, sia erariali, diretti e indiretti (per esempio, Irpef/Ire e imposta di registro), sia comunali (Ici). Non sembra infatti casuale che il sistema catastale continua a rappresentare un comparto dell’Amministrazione finanziaria, appartenendo quindi alla sola finanza erariale, e che i Giudici delle leggi hanno già ritenuto espressamente che «il riferimento al reddito catastale (opportunamente rivalutato secondo coefficienti di aggiornamento) costituisce, là dove esiste, un indice effettivo e concreto di rilevamento della capacità contributiva» (Corte Cost., sent. n. 586 del 23 dicembre 1987; in senso conforme, Cass., Sez. trib., n. 21576, 15 novembre 2004). Nell’economia del discorso è utile ricordare altresì che (artt. 5 e segg. del D.P.R. 1142/1949): 1. le tariffe di estimo sono valori che tengono conto del comune sul cui territorio è ubicata l’unità immobiliare urbana, della zona censuaria (generalmente unica per i comuni non aventi un numero elevato di abitanti), della categoria catastale (tipologia dell’immobile) e della classe (parametro di valutazione nell’ambito di una stessa categoria); 2. le unità immobiliari urbane sono classificate in gruppi catastali (immobili a destinazione ordinaria, speciale e particola- 167 Fisco n. 1-2/ 2007 re), all’interno dei quali i fabbricati sono distinti per categoria (confrontare allegati di cui al D.P.R. 138/1998); 3. la classe è un parametro valutativo che distingue i fabbricati, nell’ambito di una medesima categoria catastale, in funzione delle cosiddette caratteristiche intrinseche dell’immobile (livello delle rifiniture, della dotazione dei servizi e dell’ampiezza dei vani). La prima classe individua le unità immobiliari urbane a reddito inferiore, mentre l’ultima quelle a reddito più elevato; 4. la consistenza, che è espressa con unità di misura diverse per ciascuna categoria catastale, rappresenta la grandezza degli immobili a destinazione ordinaria. Le tariffe delle categorie del gruppo A sono riferite al vano utile, quelle del gruppo B al metro cubo e quelle del gruppo C al metro quadrato. La rendita catastale degli immobili a destinazione ordinaria (gruppi catastali A, B e C) si ottiene moltiplicando la tariffa di estimo per la consistenza (vani, metro quadrato o metro cubo), mentre quella relativa agli immobili a destinazione speciale e particolare (gruppi catastali D ed E) è determinata con stima diretta (art. 10 del R.D.L. 652/1939; art. 30 del D.P.R. 1142/1949), sulla base dei valori (prezzario UTE) riscontrati nel biennio 1988/1989 come stabilito espressamente dall’art. 1 del D.M. 20 gennaio 1990 (cfr. circ. min. n. 66/T del 14 marzo 1996; Cass., Sez. trib., ex multis, n. 133 del 9 gennaio 2006 e n. 1581 del 26 gennaio 2005). Infine, per completezza espositiva, è opportuno rimarcare che con circ. n. 11/T del 26 ottobre 2005 l’Agenzia del territorio, in tema di efficacia temporale delle rettifiche catastali ai fini fiscali, ha precisato, con il conforto di alcune sentenze della Corte di cassazione (Sez. trib., n. 18426 del 16 settembre 2005 e n. 15862 del 28 luglio 2005), che se il riesame del classamento catastale, scattato d’ufficio o su istanza di parte, è qualificato come esercizio della potestà di autotutela - in quanto finalizzato a eliminare incongruenze derivanti da errori di inserimento dati oppure da erronee applicazioni di regole tecniche - la “nuova” rendita attribuita ha efficacia retroattiva (ex tunc), quindi decorre dalla data dell’originario classamento e prescinde dalla data di notifica della stessa ai soggetti intestatari della partita catastale. Qualora invece il riesame del classamento catastale, posto in essere su istanza di parte, sia eseguito sulla base di elementi, circostanze o parametri valutativi nuovi, quindi sopravvenuti rispetto all’originario accertamento e per i quali non ricorre l‘obbligo della denuncia catastale (si veda Ag. territorio, circ. n. 9/T del 1° agosto 2005), l’eventuale rettifica della rendita esplica efficacia innovativa (ex nunc) poiché l’attività amministrativa di revisione non può essere qualificata in senso stretto come esercizio del potere di autotutela. GRUPPO B B/l Collegi e convitti, educandati; ricoveri; orfanotrofi; ospizi; conventi; seminari; caserme B/2 Case di cure e ospedali (compresi quelli costruiti o adattati per tali speciali scopi e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni, se non hanno fine di lucro e non rientrano pertanto nell’art. 10 R.D.L. 652/1939) B/3 Prigioni e riformatori B/4 Uffici pubblici B/5 Scuole e laboratori scientifici B/6 Biblioteche, pinacoteche, musei, gallerie, accademie che non hanno sede in edifici della categoria A/9 B/7 Cappelle e oratori non destinati all'esercizio pubblico del culto B/8 Magazzini sotterranei per depositi derrate GRUPPO C C/1 Negozi e botteghe C/2 Magazzini e locali di deposito C/3 Laboratori per arti e mestieri C/4 Fabbricati e locali per esercizi sportivi (compresi quelli costruiti o adattati per tali speciali scopi e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni, se non hanno fine di lucro e non rientrano pertanto nell’art. 10 R.D.L. 652/1939) C/5 Stabilimenti balneari e di acque curative (compresi quelli costruiti o adattati per tali speciali scopi e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni, se non hanno fine di lucro e non rientrano pertanto nell’art. 10 R.D.L. 652/1939) C/6 Stalle, scuderie, rimesse, autorimesse (quando non abbiano le caratteristiche per rientrare nell’art. 10, R.D.L. 652/1939) C/7 Tettoie chiuse o aperte Quadro generale delle consistenze Gruppo catastale A B C Unità di misura GRUPPO A Vano catastale (vano utile) Metro cubo (somma delle cubature) Metro quadrato (somma delle superfici) Quadro generale delle categorie (immobili a destinazione speciale) Cat. D/1 D/2 D/3 D/4 D/5 D/6 D/7 D/8 D/9 D/10 D/11 D/12 Tipologia Opifici Alberghi e pensioni; residence Teatri, cinematografi, sale per concerti e spettacoli e simili Case di cura e ospedali Istituti di credito, cambio e assicurazione Fabbricati e locali per esercizi sportivi Fabbricati costruiti o adattati per speciali esigenze di un'attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni (per esempio fiere, outlet, spazi espositivi, mostre, mercati e porti turistici) Fabbricati costruiti o adattati per speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni Edifici galleggianti o sospesi a punti fissi del suolo, ponti privati soggetti a pedaggio Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole (compresi quelli destinati ad attività agrituristica) Scuole e laboratori scientifici privati Posti barca in porti turistici, stabilimenti balneari Quadro generale delle categorie (immobili a destinazione particolare) Quadro generale delle categorie (immobili a destinazione ordinaria) Cat. A/1 A/2 A/3 A/4 A/5 A/6 A/7 A/8 A/9 A/10 A/11 168 Tipologia GRUPPO A Abitazioni di tipo signorile Abitazioni di tipo civile Abitazioni di tipo economico Abitazioni di tipo popolare Abitazioni di tipo ultrapopolare Abitazioni di tipo rurale Abitazioni in villini Abitazioni in ville Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici Uffici e studi privati Abitazioni e alloggi tipici dei luoghi (per esempio, rifugi alpini, baite e trulli) Cat. E/1 E/2 E/3 E/4 E/5 E/6 E/8 E/9 Tipologia Stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi e aerei Ponti comunali e provinciali soggetti a pedaggio Costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche (stazioni di servizio per la rivendita di carburanti, chioschi per bar ed edicole) Recinti chiusi per speciali esigenze pubbliche (per esempio, strutture e stand amovibili per esigenze espositive) Fabbricati costituenti fortificazioni e loro dipendenze Fari, semafori, torri per rendere d'uso pubblico l'orologio comunale Fabbricati e costruzioni nei cimiteri, esclusi i colombari, i sepolcri e le tombe di famiglia Edifici a destinazione particolare non compresi nelle categorie precedenti del gruppo E Valori catastali ai fini impositivi Come detto, gli immobili (terreni e fabbricati) sono Fisco n. 1-2/ 2007 assoggettati a diverse imposte che colpiscono il loro trasferimento per atto tra vivi (per esempio, compravendita) o mortis causa (successione ereditaria), il loro reddito (per esempio, Irpef/Ire e addizionali) e il loro possesso a titolo di proprietà o di titolarità dei diritti reali di godimento (Ici). Facsimile di relazione di stima diretta sintetica (attribuzione di rendita catastale) - Immobile situato nel comune di Milano; - Categoria catastale: D/8; - Epoca di costruzione: 1985; - Superficie lotto: mc 1.470; - Superficie coperta: mc 1.470; - Superficie sviluppata: mc 12.537. Descrizione Piano uffici uffici T I-II-III-IV Altezza (cm) 310 290 Consistenza (mc) 1.571 5.880 Valori unitari 206,00 206,00 Valori complessivi 323.626,00 1.211.280,00 uffici S1 310 1.470 144,00 211.680,00 posti macchina posti macchina S2 S3 270 225 2.753 1.683 103,00 103,00 283.559,00 173.349,00 Determinazione della relativa rendita catastale Valore costruzione (somma valori complessivi) Valore area (mq 7.631 x euro 200) Valore fabbricato (valore costruzione + valore area) Tasso di capitalizzazione adottato Rendita catastale (valore fabbricato x 2%) 2.203.494,00 1.526.200,00 3.729.694,00 2 per cento 74.593,88 (arrotondata a euro 74.590) Quadro generale delle categorie fittizie (immobili ai quali non è associabile una rendita catastale) Tipologia Cat. F/l Area urbana F/2 F/3 F/4 Unità collabenti Unità in corso di costruzione Unità in corso di definizione F/5 Lastrico solare Così, per esempio, nel caso di trasferimento immobiliare mediante compravendita le imposte applicabili sono l’imposta di registro o l’Iva (si veda art. 35 del D.L. 223/2006 convertito, con modificazioni, dalla legge 248/2006) e le Imposte ipotecaria e catastale. Sul punto non possiamo tuttavia fare a meno di sottolineare che, poiché ai fini dell’imposta di registro la base imponibile è costituita, perlomeno in linea di principio (cfr. artt. 43 e 51 del D.P.R. 131/1986; art. 1, comma 497, della legge 266/2005 e sue modificazioni; Ag. entrate, circ. n. 6/E del 13 febbraio 2006), dal valore dell’immobile dichiarato nell’atto di compravendita (valore venale in comune commercio dei beni), la determinazione del valore catastale dell’immobile stesso è rilevante solo per limitare il potere accertativo della locale Agenzia delle entrate competente. Difatti, per espressa disposizione del comma 4 dell’art. 52 del D.P.R. 131/1986, non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore a quello determinato su base catastale. Tale ultima disposizione legislativa, come noto, non trova applicazione per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria (si veda art. 36, comma 2, del D.L. 223/2006; Ag. entrate, circ. n. 28/E del 4 agosto 2006, par. 23). In questo caso, infatti, l’ufficio può procedere comunque all’accer- tamento (si veda art. 35, comma 24, del D.L. 223/2006), vale a dire alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta dovuta, nonché all’irrogazione delle sanzioni e all’applicazione degli interessi di mora. Al riguardo non è affatto superfluo rimarcare che la suddetta limitazione del potere accertativo dell’ufficio, per effetto del comma 23-ter dell’art. 35 del citato D.L. 223/2006, che ha aggiunto il comma 5-bis all’art. 52 del D.P.R. 131/1986, non si applica neanche per le cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dal comma 497 dell’art. 1 della legge 266/2005. Trattasi di «cessioni diverse da quelle che intervengono fra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze» (Ag. entrate, circ. n. 28/E del 4 agosto 2006, par. 14). A questo punto occorre trattare il tema della determinazione dei valori catastali degli immobili, che è poi l’argomento principale del presente scritto. Il prelievo fiscale sugli immobili è stato decisamente inasprito con la disposizione di cui all’art. 1-bis del D.L. 168/2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge 191/2004). Negli anni Novanta, infatti, in materia soprattutto d’imposta di registro (art. 52, comma 4, del D.P.R. 131/1986) e d’imposta sulle successioni (art. 34, comma 5, del D.Lgs. 346/1990), il legislatore aveva precluso agli uffici competenti l’esercizio del potere di rettifica del valore dichiarato degli immobili (con esclusione dei terreni edificabili), iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il cui valore o corrispettivo risultava indicato in misura non inferiore a 60 volte il reddito dominicale per i terreni e a 80 volte il reddito per i fabbricati. Con D.M. 11 novembre 1989, tali moltiplicatori sono stati elevati, rispettivamente, a 75 e a 100 volte. Il parametro catastale è stato ulteriormente modificato in occasione della revisione degli estimi del nuovo catasto edilizio urbano (ora catasto dei fabbricati) e con D.M. 14 dicembre 1991 (cfr. Cass., Sez. trib., n. 10361, 5 maggio 2006 e n. 12446, 7 luglio 2004) sono stati stabiliti i seguenti moltiplicatori: - 34 per le unità immobiliari classificate nel gruppo catastale E e per quelle classificate nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe); - 50 per le unità immobiliari classificate nel gruppo catastale D e per quelle classificate nella categoria catastale A/10 (uffici e studi privati); - 100 per le unità immobiliari classificate nei gruppi catastali A, B e C, con esclusione quindi di quelle classificate nelle categorie catastali A/10 e C/1. Successivamente il legislatore, con specifico intervento (art. 3, commi 48, 50 e 51, della legge 662/1996), ha rivalutato, con decorrenza dal 1° gennaio 1997, le rendite catastali urbane del 5% e i redditi dominicali - ai fini dei tributi diversi dalle imposte sul reddito - del 25%. Relativamente alla determinazione dei redditi dominicale e agrario ai fini delle imposte sul reddito, il coefficiente di rivalutazione è invece, rispettivamente, dell’80 e del 70%. Queste ultime rivalutazioni non si applicano per i periodi d’imposta durante i quali i terreni sono concessi in affitto per usi agricoli a giovani che non hanno ancora compiuto i 40 anni, aventi la qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale o che acquisiscano tali qualifiche entro 12 mesi dalla stipula del contratto di affitto, purché la durata del contratto stesso 169 Fisco n. 1-2/ 2007 non sia inferiore a 5 anni (art. 14, comma 3, della legge 441/1998; circ. min. n. 109/E del 24 maggio 2000). In tale scenario è poi apparsa la disposizione di cui al comma 63 dell’art. 2 della legge 350/2003 (Finanziaria 2004) che, ai soli fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, ha sancito la rivalutazione dei moltiplicatori previsti dal suddetto comma 4 dell’art. 52 del D.P.R. 131/1986 nella misura del 10%. Di conseguenza, a decorrere dal 1° gennaio 2004: - il moltiplicatore pari a 34 è divenuto 37,4; - il moltiplicatore pari a 50 è divenuto 55; - il moltiplicatore pari a 75 è divenuto 82,5; - il moltiplicatore pari a 100 è divenuto 110. Con il comma 7 del citato art. 1- bis del D.L. 168/2004 questi ultimi moltiplicatori sono stati aumentati di un ulteriore 10 per cento, rispetto alla misura stabilita prima dell‘aumento disposto dalla Finanziaria 2004, portando l‘incremento sancito dall’inizio dell’anno complessivamente a una percentuale del 20%. Di tal che, a decorrere dal 1° agosto 2004 i moltiplicatori sono: Quadro generale dei moltiplicatori catastali VALORI Al FINI DELLE IMPOSTE INDIRETTE (IMPOS TA DI REGISTRO, IMPOSTE IPOCATASTALI) Immobili Fabbricati "prima casa" Fabbricati gruppi A e C (esclusi A/10 e C/1) Fabbricati gruppo B Fabbricati A/10 e gruppo D Fabbricati C/1 e gruppo E Terreni non edificabili Moltiplicatori Moltiplicatori Moltiplicatori Moltiplicatori Rivalutazioni Moltiplicatori Fino al Dall’1.1.2004 Dall’1.8.2004 Dal 3.10.2006 Rendite redditi di 31.12.2003 Al 31.7.2004 Al 2.10.2006 catastali e rivalutazione redditi dominicali 100 110 110 110 5% 115,5 100 110 120 120 5% 126 100 110 120 140 5% 147 50 55 60 60 5% 63 34 37,4 40,8 40,8 5% 42,84 75 82,5 90 90 25% 112,5 VALORI AI FINI DELL'ICI Immobili Fabbricati gruppi A e C (esclusi A/10 e C/1) Fabbricati gruppo B Fabbricati A/10 e gruppo D Fabbricati C/1 Terreni agricoli Moltiplicatori fino al 2.10.2006 100 Moltiplicatori dal 3.102006 o dal 1.1.2007 100 Rivalutazioni Moltiplicatori Rendite catastali e diretti redditi dominicali di rivalutazione 5% 105 100 50 140 50 5% 5% 147 52,5 34 75 34 75 5% 25% 35,7 93,75 - 40,8 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale E e nella categoria catastale C/1 ; - 60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D e nella categoria catastale A/10; - 90 per i terreni non edificabili (terreni agricoli); - 110 per i fabbricati (abitativi) costituenti “prima casa”; - 120 per i fabbricati classificati nei gruppi catastali A, B e C, con esclusione delle categorie catastali A/10 e C/1 e dei fabbricati costituenti “prima casa”. 170 Per esplicita disposizione dei commi 7 e 8 del medesimo art. 1-bis del D.L. 168/2004, dunque, l’ulteriore aumento del 10% non ha trovato applicazione per gli atti relativi all’acquisto delle unità immobiliari costituenti “prima casa”, cioè per gli atti aventi a oggetto case non di lusso e relative pertinenze (unità immobiliari classificate o classificabili nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7) per i quali ricorrono le condizioni stabilite dalla nota II-bis) dell’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986 per l’applicazione dell’aliquota d’imposta di registro ridotta al 3% e delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa di 168 euro cadauna (si veda Ag. entrate, circ. n. 38/E del 12 agosto 2005). Poiché le suddette rivalutazioni sono state esplicitamente limitate alle imposte di registro, ipotecaria e catastale, restano quindi invariati i moltiplicatori relativi agli altri tributi ai quali si rende applicabile il valore catastale come, per esempio, l’Ici (art. 5, commi 2 e 7, del D.Lgs. 504/1992). Nell’economia del discorso è utile ricordare che, a decorrere dal 1° gennaio 2005, i nuovi moltiplicatori operano anche ai fini delle misure per contrastare il fenomeno delle locazioni sommerse. Difatti l’art. 52-bis del D.P.R. 131/1986 e l’art. 41-ter del D.P.R. 600/1973, introdotti, rispettivamente, dai commi 341 e 342 dell’art. 1 della legge 311/2004, sanciscono espressamente - fra l’altro - che il valore dell’immobile è determinato ai sensi del comma 4 dell‘art. 52 del D.P.R. 131/1986 e sue modificazioni (si veda Ag. entrate, circ. n. 10/E del 16 marzo 2005, risposta 10.5). Così, per esempio, ai fini delle imposte dirette (accertamento dell’Irpef/Ire) il valore dell’immobile concesso in locazione (unità immobiliare urbana classificata nella categoria A/3) dovrà essere determinato applicando alla relativa rendita catastale il moltiplicatore 120. Tali disposizioni non trovano invece applicazione in caso di contratti di locazione di fabbricati abitativi a canone “concordato”, ossia quelli stipulati o rinnovati ai sensi degli artt. 2, comma 3, e 4, commi 2 e 3, della legge 431/1998. Infine, il comma 45 dell’art. 2 del D.L. 262/2006 (convertito dalla legge 286/ 2006), con decorrenza dal 3 ottobre 2006 (entrata in vigore del provvedimento), ha disposto la rivalutazione del 40% del moltiplicatore previsto dal comma 5 dell’art. 52 del D.P.R. 131/1986, limitatamente alle rendite dei fabbricati classificati nel gruppo catastale B. In ordine a quest’ultima novella, si impongono due osservazioni, la prima delle quali è che l’innalzamento del moltiplicatore opererebbe sul coefficiente 100, vigente fino al 31 dicembre 2003, senza quindi l’incidenza della rivalutazione stabilita dal citato comma 7 dell’art. 1-bis del D.L. 168/2004. Riteniamo pertanto che il nuovo moltiplicatore per le rendite dei fabbricati classificati nel gruppo catastale B sia di 140 (100 + 40% di 100). L’altra osservazione è che la novella stessa trova applicazione nell’ambito delle singole discipline tributarie (Irpef/Ire, imposta di registro anche per trasferimenti mortis causa, imposte ipotecaria e catastale) e soprattutto in materia di Ici, per la quale si pone il dubbio sull’esatta decorrenza dell’aumento (3 ottobre 2006 o 1° gennaio 2007). Fisco n. 1-2/ 2007 MANO PESANTE SUGLI IMMOBILI COL “DECRETO FISCALE” di Franco Guazzone rmai è divenuta un’abitudine quella di anticipare i provvedimenti fiscali più rilevanti, affidandoli a un apposito decreto legge blindato, che il precedente Governo aveva già sperimentato lo scorso anno e che quello nuovo ha ripetuto, con il D.L 262 del 13 ottobre 2006, convertito dalla legge 286 del 24 novembre 2006. I provvedimenti varati con il decreto fiscale sono molteplici, ma quelli che intendiamo trattare riguardano il settore immobiliare, in particolare le disposizioni in materia di catasto, di pubblicità immobiliare e la reintroduzione della tassa di successione e donazione. O L’aggiornamento dei redditi dominicali e agrari dei terreni Contenute nell’art. 2 del D.L. 262/2006, commi dal 33 al 39, le originali modalità di aggiornamento della qualità di coltura dei terreni agricoli, la verifica dei requisiti di ruralità dei fabbricati asserviti ai fondi e la modifica dell’art. 9, comma 3-bis del D.L. 557/1993, in merito all’obbligo di possesso della qualifica di imprenditori agricoli degli utilizzatori di edifici rurali. Le qualità di coltura dei fondi, attualmente risultanti al catasto terreni, sono in gran parte superate essendo di fatto cessate da oltre un trentennio le verifiche dei tecnici catastali denominate “lustrazioni” perché effettuate ogni 5 anni, adempimento in seguito delegato agli stessi possessori, prima con l’art. 11 delle legge 154 del 13 maggio 1988 e poi con la nuova formulazione dell’art. 30 del TUIR, D.P.R. 917/1986, ma ampiamente disatteso dagli obbligati. Ora il Governo ha ritenuto di potervi provvedere mediante l’utilizzo dell’archivio gestito dall’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), che dovrà compilare le proposte di aggiornamento, utilizzando le informazioni allegate alle richieste di erogazione dei contributi agricoli PAC, previsti dal Regolamento CE n. 1782/2003 del 29 settembre 2003 del Consiglio e n. 796/2004 del 21 aprile 2004 della Commissione, nelle quali figurano indicate le colture effettivamente praticate dai richiedenti per ciascun appezzamento di terreno, identificato con un numero di foglio e particella catastale. La proposta dell’Agea, fornita in copia ai dichiaranti e redatta ai sensi dell’art. 1, comma 4 del D.M. 701/1994, assumerà il valore di notifica e i nuovi redditi dominicali e agrari entreranno in vigore al 1° gennaio dell’anno in cui viene presentata la dichiarazione. Nella fase iniziale, però, l’aggiornamento della banca dati catastale avverrà sulla base delle richieste di contribuzione presentate nel 2006, messe a disposizione dell’Agenzia del territorio dall’Agea, per cui i nuovi estimi produrranno effetti fiscali dal 1° gennaio 2006, senza dar luogo all’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 3 del D.P.R. 471/1997. A tale proposito è bene ricordare che spesso, fra colture apparentemente simili, possono rilevarsi tariffe d’estimo assai difformi, come per esempio avviene per i seminativi irrigui che hanno tariffe unitarie per ettaro, pari a circa il doppio rispetto a quelli asciutti. Fabbricati aziendali, il controllo dei requisiti di ruralità Peraltro con lo stesso mezzo, oltre alla verifica delle colture praticate, dovranno anche essere controllate le informazioni allegate alle richieste di contributi PAC relative ai fabbricati strumentali abitativi e non, asserviti al fondo agricolo, al fine di verificarne le condizioni oggettive e soggettive, che confermino il rispetto dei requisiti di ruralità richiesti dalle vigenti norme. Di conseguenza, l’Agenzia del territorio, sulla base delle informazioni dedotte dalle verifiche amministrative, dal telerilevamento (rilievi fotogrammetrici aerei o da satellite) e dal sopralluogo sul terreno, effettuate dall’Agea per le proprie finalità istituzionali, individuerà i fabbricati iscritti al catasto terreni per i quali siano venuti meno i requisiti di ruralità ai fini fiscali e quelli che non risultino dichiarati. Una volta individuati gli immobili non più in possesso dei predetti requisiti, l’Agenzia del territorio notifica agli interessati la richiesta di presentazione delle denunce al catasto fabbricati, redatte ai sensi dell’art. 1 del D.M. 701/1994, sulle quali indica, qualora sia stata accertata, la data a cui riferire la mancata presentazione della dichiarazione, che produrrà effetti fiscali a partire del 1° gennaio dell’anno successivo, in deroga alle vigenti disposizioni, ovvero da quello posteriore alla richiesta. Se l’interessato provvederà all’adempimento entro il 30 giugno 2007, non saranno applicate le sanzioni (riquadro 1). Ruralità dei fabbricati asserviti, condizioni soggettive Contenuta nell’art. 2, comma 37 del decreto, l’importante e opportuna precisazione, in merito alla qualifica dei soggetti utilizzatori dei fabbricati rurali, che integra l’art. 9, comma 3, lett. a) del D.L. 557/1993, convertito dalla legge 133/1994, disponendo che i fabbricati abitativi siano posseduti dal proprietario o titolare di altro diritto reale sul terre- Sanzioni per la ritardata presentazione delle denunce catastali In caso di ritardo nella presentazione di atti di aggiornamento del catasto terreni o fabbricati, a norma dell’art. 28 del R.D.L. 652/1939, come modificate da ultimo dall’art. 1, comma 338 della legge 331/2004, sono applicate le sanzioni da 258 a 2.066 euro, che potranno essere sanate mediante il ravvedimento operoso (art. 13, D.P.R. 472/1997) per cui: se il ritardo è entro 90 giorni, si applica la misura di un ottavo del minimo (32,25 euro); entro un anno un quinto (51,60 euro) e se si supera l’anno, 300 euro, riducibili a un quarto se versati entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di pagamento. Riquadro 1 171 Fisco no, ovvero dall’affittuario o da soggetto che ad altro titolo conduce il terreno cui l’immobile è asservito, «sempreché tali soggetti rivestano la qualifica di imprenditore agricolo, iscritti nel registro delle imprese (della Camera di commercio) di cui all’art. 8 della legge 580/1993». Peraltro, la condizione introdotta esclude da tale obbligo i familiari conviventi a carico, i coadiuvanti iscritti come tali ai fini previdenziali e, soprattutto, i titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. In particolare, viene fatto salvo il diritto dei pensionati al riconoscimento della ruralità delle abitazioni, ancorché non iscritti al predetto registro, a condizione però che il terreno abbia la dimensione di almeno un ettaro (10 mila/mq), ovvero 3 mila/mq se collocato in zona montana o se destinato a coltivazioni specializzate (coltivazioni in serra di fiori, ortaggi e funghi) e che il volume d’affari ricavato superi il 25% del reddito complessivo (rigo NI del 730 o Unico), con esclusione di redditi da pensione. Per contro, il Governo ha voluto chiaramente escludere con questa norma che i fabbricati abitativi tenuti a disposizione dai proprietari non coltivatori dei fondi (a volte prestigiose ville padronali) potessero continuare a essere censiti “legittimamente” come rurali, grazie alla precedente carente formulazione dell’art. 9 predetto, anziché essere classati con rendita da assoggettare alle imposte erariali e locali. I possessori che si trovano in tali condizioni dovranno pertanto presentare la denuncia al catasto dei fabbricati (urbani), entro il 30 giugno 2007, per evitare l’applicazione delle sanzioni (riquadro 1); in mancanza della stessa, l’Ufficio del territorio competente provvedere all’accatastamento d’ufficio, ai sensi dell’art. 1, comma 336 della legge 311/2004, con le procedure disposte dal provvedimento del 30 giugno 2005 dell’Agenzia del territorio e spese (salate) a carico degli inadempienti. Prevedendo un consistente introito dalle precedenti disposizioni, il legislatore, con il comma 39, dispone la riduzione dei trasferimenti erariali ai comuni, in misura pari al maggior gettito Ici derivato dall’applicazione delle predette norme, i cui effetti potranno essere recepiti, a nostro avviso, non prima del 2008. Si tratta di un progetto interessante, tendente a conseguire un obiettivo ambizioso in quanto, a regime, l’aggiornamento dell’archivio del catasto dei terreni, per quanto attiene le qualità di coltura, avverrebbe in buona parte automaticamente nel tempo, tramite l’incrocio dei dati presenti negli archivi dell’Agea e del Territorio, nei molti casi in cui gli operatori del settore richiederanno contributi agricoli PAC, evitando la duplicazione dell’adempimento di denuncia ai possessori e, soprattutto, le sanzioni. Più complesso, a nostro avviso, il controllo dei requisiti di ruralità dei fabbricati, in quanto i relativi dati non sono contenuti nei moduli di richiesta dei contributi in modo dettagliato, per cui i tecnici dell’Agea dovrebbero svolgere apposite indagini in luogo, circostanza che esula dalle loro normali attività, per cui o viene coinvolto il comune interessato per l’Ici o vi dovrà provvedere direttamente l’Ufficio provinciale dell’Agenzia. Di conseguenza riteniamo che da tale fonte i risultati saranno difficilmente soddisfacenti, senza un’effettiva collaborazione fra i tre enti, solo per verifica- 172 n. 1-2/2007 re l’esistenza dei presupposti per l’invio della richiesta di accatastamento. Acquisite all’archivio catastale nuove unità commerciali, terziarie e ricettive La novella era già conosciuta in quanto contenuta nella circ. n. 4 del 16 maggio 2006 dell’Agenzia del territorio, ma siccome conteneva un nuovo obbligo di denuncia per i possessori, doveva trovare la legittimità con un provvedimento legislativo, per cui la disposizione è stata inserita nell’art. 2 (commi dal 40 al 45) del D.L. 262/2006, convertito dalla legge 286/2006. In particolare, la nuova norma dispone che dovranno essere dichiarate al catasto le unità immobiliari in cui si svolgono attività autonome, esistenti nel perimetro dei grandi complessi pubblici, quali le stazioni per servizi di trasporto terrestre, marittimo, porti e aeroporti, recinti chiusi e complessi espositivi per fiere. Le motivazioni del provvedimento sono chiaramente espresse nella predetta circolare, che pone in rilievo la necessità di riconoscere a ogni unità immobiliare un proprio perimetro minimo, ancorché inserito nel più vasto ambito delle grandi strutture prevalentemente pubbliche, censite nel gruppo E, in particolare quelle iscrivibili alle categorie E/1, E/3, E/4, ma anche D/8 (iper e super market, outlet, porti privati) allorquando vi si svolga un’attività commerciale, di servizi o terziaria, produttiva di un reddito immobiliare autonomo. Si tratta, in sintesi, dei chioschi per le rivendite di giornali e bibite, caffè, ristoranti, negozi, agenzie di viaggio e bancarie, uffici postali, uffici di pubblica sicurezza, di assistenza delle Ong ecc., presenti nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti; le officine e gli impianti di lavaggio nelle aree dei distributori di carburanti; caffè, musei, sale convegni, luoghi di ristoro e ospitalità, negli impianti fieristici; officine, cantieri e depositi per imbarcazioni, nei posti turistici, dove inoltre si trovano i posti barca, mentre negli outlet sono presenti zone di ristoro, sale cinematografiche, aree di riposo, sale convegni e soprattutto negozi. Dette unità immobiliari dovranno essere dichiarate al catasto entro 9 mesi dall’entrata in vigore del decreto (29 novembre 2006), con le procedure previste dall’art. 1 del D.M. 701 del 19 aprile 1994, mediante incarico a un professionista tecnico abilitato a operare negli atti catastali (ingegneri, geometri, architetti, periti edili, dottori agronomi, periti agrari, agrotecnici), che dovranno utilizzare per la denuncia, l’apposito programma Docfa, messo a disposizione dell’Agenzia del territorio, contenente una proposta di rendita. Subito utilizzabile ai fini civilistici e fiscali, la rendita diverrà definitiva se entro 12 mesi l’Ufficio del territorio provinciale competente non provvederà alla sua rettifica, con obbligo, peraltro, di notificarne le risultanze ai possessori, ai sensi dell’art. 74 della legge 342/2000. Le modalità tecniche e operative saranno definite - entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione da un provvedimento dell’Agenzia del territorio e le rendite così definite avranno efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2007. In caso di inadempienza, l’accatastamento avverrà d’ufficio a spese dell’obbligato, al quale saranno altresì applicate le sanzioni, previste dall’art. 31 del R.D.L. 652/1939 (da 258 a 2.066 euro), che potranno essere sanate Fisco n. 1-2/ 2007 col ravvedimento operoso, di cui all’art. 13 del D.P.R. 472/1997 (riquadro 1). Peraltro, poiché il Governo ha dato per scontato che questo provvedimento non sarà facile da spiegare ai soggetti interessati, titolari delle concessioni di occupazione degli spazi o locali del complesso pubblico, ha previsto che i comuni facciano la loro parte per individuarli, utilizzando i criteri dell’art. 1, comma 336 della legge 311/2004, che dispone la notifica dell’invito a presentare la denuncia, trasmesso per conoscenza all’Agenzia del territorio competente. Gli obbligati a presentare la denuncia A questo punto è bene precisare che, in base alle vigenti disposizioni catastali, i soggetti obbligati a presentare la dichiarazione all’Agenzia del territorio, nel caso che le predette unità siano costituite da porzioni di fabbricato e risultino utilizzate in base a un regolare contratto di locazione, sono i locatori, enti o società pubbliche o private che siano. Invece, nel caso in cui le attività siano svolte su spazi concessi in diritto di superficie, come avviene per i chioschi e le edicole dei giornali, sui quali insistano i manufatti di proprietà dei concessionari, l’obbligo di denuncia spetta invece a questi ultimi. Infine, gli obbligati alla denuncia dovranno versare, entro il 30 giugno 2007, la prima rata dell’Ici, mentre l’imposta sui redditi - calcolata sulla rendita aggiornata dovrà essere dichiarata nell’Unico 2008. L’attribuzione della categoria influenzata dallo scopo di lucro Oltre agli aspetti tecnici in merito alla determinazione della categoria nel classamento dei predetti immobili, sono da considerare da parte dei professionisti incaricati anche quelli di carattere economico, come prescrive la circ. n. 4/T/2006, tra cui quello dello scopo di lucro perseguito o meno nell’attività svolta nell’unità, concetto del resto contenuto anche nelle prime istruzioni di formazione del NCEU (Min. finanze, circ. n. 134/6525 del 6 luglio 1941, istitutiva del Quadro generale delle categorie, con allegato massimario), dove accanto a ogni tipologia di unità, potenzialmente interessata, veniva indicata la categoria da assegnare, in presenza o meno della finalità di lucro. Di conseguenza, al fine di acquisire correttamente all’archivio gli immobili sopraccitati, l’Agenzia ha indicato nella circolare le fattispecie più rilevanti di unità per le quali l’assegnazione della categoria richiede la verifica di tale aspetto di carattere soggettivo, oltre a quello di tipo oggettivo e strutturale (tabella 1). Tabella 1 - Destinazioni di immobili che possono rientrare in diverse categorie a seconda della finalità perseguita Inoltre, per meglio rimarcare tale aspetto, l’Agenzia ha ripubblicato il Quadro generale delle categorie, con nota del 28 aprile 2006, dove si può rilevare che accanto ad alcune tipologie di destinazione viene precisato che sono assegnabili a condizione che vi si svolgano o meno attività con scopo di lucro (tabella 2). Tabella 2 - Quadro generale delle categorie catastali 173 Fisco n. 1-2/2007 Categorie del gruppo B, modifica del moltiplicatore Giunge, invece, inaspettato il provvedimento contenuto nel comma 45 dell’art. 2 del decreto fiscale, che dispone l’incremento del 40% del moltiplicatore da applicare alla rendita aggiornata (+5%) per determinare il valore catastale, agli effetti fiscali, dei fabbricati iscritti nelle categorie del gruppo B, in quanto quasi tutti questi immobili sono di proprietà pubblica o, comunque, risultano esenti da imposte. Si tratta infatti di collegi, convitti, seminari, caserme, orfanotrofi, ricoveri, ospedali e case di cura pubbliche, prigioni, uffici pubblici, scuole o laboratori scientifici, biblioteche, pinacoteche, musei, gallerie, magazzini sotterranei pubblici per depositi di derrate, ai quali si aggiungono le cappelle private (B/7). Con tutta probabilità la norma è stata emanata in rapporto al progetto di valorizzazione degli immobili pubblici, di cui all’art. 29 del D.L. 269/2003, convertito dalla legge 326/2003, che prevede la cessione degli immobili occupati da uffici pubblici, con il diritto di utilizzo dei medesimi in locazione per cui, in tal caso, il loro reddito diverrebbe essere tassabile ai fini delle imposte dirette, indirette e Ici. La misura dei moltiplicatori però, sarebbe diversa a seconda del tributo, in quanto -stabilito l’aumento del 40% dell’attuale 100 - dovremo applicare, alla rendita aggiornata, un moltiplicatore di 140 per l’Ici, mentre per le imposte dirette e indirette il moltiplicatore ora è 120 (art. 52, comma 5, D.P.R. 131 del 26 aprile 1986, come modificato dall’art. 1, comma 497, della legge 266 del 23 dicembre 2005), per cui dovremo utilizzare quello aggiornato di 168. Esempio Uffici pubblici della consistenza di 10 mila mc, con rendita di 24.800 euro: • valore catastale ai fini Ici 24.800 x 1,05 x 140 = 3.630.900 euro; • valore catastale ai fini delle imposte indirette 24.800 x 1,05 x 168 = 4.357.080 euro. Riduzione dei trasferimenti erariali ai comuni Anche in questo caso, con il comma 46, il decreto conclude precisando che il maggior gettito Ici, derivato dall’applicazione delle nuove disposizioni dei commi dal 40 al 45, dovrà esser detratto dagli stanziamenti erariali ai comuni beneficiari, con le modalità previste da un apposito decreto ministeriale del Ministero delle finanze, ma solo per l’importo previsto, escludendo eventualmente quello eccedente tale limite. A nostro avviso, sarebbe stato più opportuno lasciare alle amministrazioni locali una percentuale sui maggiori ricavi, sia per rendere più fattiva la loro collaborazione, sia per coprire le spese che inevitabilmente dovranno affrontare per effettuare le verifiche loro assegnate (individuazione dei soggetti obbligati alle denunce, invio degli avvisi con notifica e segnalazione degli elenchi all’Ufficio del territorio). È comunque possibile che tale norma possa essere introdotta con il provvedimento attuativo, che dovrà essere emanato dall’Agenzia entro 90 giorni. Considerazioni conclusive Le norme in commento sono assolutamente condivisibili sul piano tecnico e catastale, ma di certo troveranno sorpresi e impreparati i commercianti e gli artigiani destinatari, che si vedranno gravati da un’imposta, quella sul reddito immobiliare (oltre alle spese professionali per la denuncia), che si aggiunge al canone di concessione, circostanza che induce ad auspicare un comportamento responsabile e flessibile nei loro confronti circa i termini di presentazione delle dichiarazioni e all’applicazione delle sanzioni, in quanto non si tratta di evasori, ma contribuenti chiamati di fatto a versare tributi in precedenza non dovuti. Malito (CS) “Un Mulino: u mulinu” (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina) 174 «Consulente Immobiliare» Fisco n. 1-2/ 2007 NUOVI POTERI DEGLI UFFICI IN MATERIA DI ACCERTAMENTO AI FINI DELLE IMPOSTE DI REGISTRO, IPOTECARIA E CATASTALE. Agenzia delle Entrate - Circ. n. 6/E del 6 febbraio 2007 Sommario: Premessa; Parte Prima: L’accertamento della base imponibile; 1.1 Le novità; 1.2 La valutazione “automatica”; 1.3 Il sistema “prezzo-valore”; 1.4 L’ambito oggettivo di applicazione delle nuove norme; 1.5 Le dichiarazioni sostitutive; 1.6 Selezione degli atti da sottoporre a controllo e metodologie di valutazione; Parte seconda: L’estensione dei poteri di controllo; 2.1 Le novità; 2.2 Accessi, ispezioni e verifiche; 2.3 Inviti, richieste e questionari; 2.3.1 Richieste dirette al contribuente; 2.3.2 Richieste dirette a soggetti diversi dal contribuente; 2.4 Le indagini finanziarie; La decorrenza delle nuove norme; Tabella sinottica delle norme. ecreto legge 4 luglio 2006, n. 223 convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 Nuovi poteri degli uffici in materia di accertamento ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale. D Premessa Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha apportato significative modifiche nella disciplina normativa e ha ampliato i poteri degli uffici finanziari in materia di accertamento ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale. Si richiamano le disposizioni recanti le novità per l’accertamento del settore registro, contenute negli articoli 35 e 36. Art. 35 - comma 21 : ha integrato l’art. 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito, e ha integrato il successivo comma 498, prevedendo una specifica sanzione amministrativa in caso di occultazione, anche parziale, del corrispettivo pattuito; - comma 22: ha introdotto l’obbligo di rendere, all’atto della cessione di un immobile (anche se assoggettata ad Iva), apposite dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà circa le modalità di pagamento del corrispettivo e l’assistenza degli agenti immobiliari, ove prestata; - comma 23-ter: ha aggiunto il comma 5-bis all’articolo 52 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, rimuovendo i limiti all’accertamento di valore per le cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005; - comma 24: • ha aggiunto l’art. 53-bis al D.P.R. n. 131 del 1986, estendendo all’imposta di registro e alle imposte ipotecaria e catastale le attribuzioni e i poteri previsti per l’accertamento ai fini delle imposte dirette, disciplinati dagli articoli 31 e seguenti del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; • ha introdotto il comma 1-bis nell’art. 74 del D.P.R. n. 131 del 1986, estendendo l’applicazione delle disposizioni sanzionatorie di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, alle violazioni conseguenti alle richieste effettuate ai sensi del suddetto art. 53-bis; Art. 36 - comma 2: ha chiarito la portata della locuzione di area fabbricabile; - comma 15: ha modificato l’agevolazione prevista per i trasferimenti di immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati, limitandola a quelli diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata pubblica. Inoltre, occorre tener conto dei riflessi che hanno sull’accertamento ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, le disposizioni recate dall’art. 35, comma 8, che hanno modificato e integrato il primo comma dell’art. 10 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ampliando la platea dei trasferimenti immobiliari considerati esenti dall’Iva e come tali assoggettabili ad imposta di registro. Sulle suddette novità, i primi chiarimenti sono stati forniti con circolare n. 28 del 4 agosto 2006. Con l’approvazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), alcune delle disposizioni sopra indicate hanno subito delle modifiche, che saranno illustrate nel corso della trattazione delle singole disposizioni. A tale proposito, per fornire un quadro sinottico di tutte le modifiche normative sopra richiamate è stata predisposta la tabella allegata alla presente circolare. In questa sede si intende fare il punto sui riflessi che le norme sopra richiamate hanno sull’attività di accertamento relativa ai tributi del settore registro, onde fornire i relativi indirizzi cui gli uffici dovranno uniformarsi nello svolgimento dell’attività di accertamento. PARTE PRIMA: L’ACCERTAMENTO DELLA BASE IMPONIBILE 1.1 Le novità Il comma 23-ter dell’art. 35 del D.L. n. 223 del 2006, inserito dalla legge di conversione n. 248 del 2006, ha aggiunto il comma 5-bis all’art. 52 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (per brevità T.U.R.), ai sensi del quale “le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’art. 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni”. I commi 4 e 5 dell’art. 52 T.U.R., di cui si dispone l’inapplicabilità, prevedevano il meccanismo della cosiddetta valutazione “automatica” o “catastale”, per cui gli uffici non potevano procedere all’accertamento di valore nei casi in cui il valore o il corrispettivo degli immobili fosse stato dichiarato in misura non inferiore al valore catastale. Pertanto, per effetto della novella in argomento, viene meno il limite al potere di accertamento di valore, ad eccezione delle cessioni di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze che si rea- 175 Fisco lizzano tra privati, cioè tra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, a condizione che la parte acquirente richieda al notaio rogante l’identificazione della base imponibile con il valore catastale, indipendentemente dal corrispettivo pattuito. A partire dal 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), per escludere l’accertamento di valore in riferimento alle cessioni sopra indicate, è sufficiente che solo la parte acquirente sia una persona fisica, come meglio precisato nel paragrafo 1.3. La disposizione recata dal citato comma 23-ter, riducendo l’ambito della valutazione catastale, ripristina sostanzialmente l’accertamento del valore della base imponibile quale regola generale in materia di controlli sui valori dichiarati negli atti di cessione di immobili soggetti ad imposta di registro. Si tratta della regola enunciata al comma 1 dell’art. 52 del T.U.R., secondo la quale, se l’ufficio ritiene che il valore venale risulti superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito, provvede con lo stesso atto alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta, con gli interessi e le sanzioni. In base all’art. 71 del T.U.R., in caso di insufficiente dichiarazione di valore, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggiore imposta dovuta. Con riferimento agli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti immobiliari, l’art. 51 del medesimo testo unico precisa che, per valore, deve intendersi quello venale in comune commercio e stabilisce i criteri da seguire per la sua determinazione. 1.2 La valutazione “automatica” Prima di esaminare in dettaglio il campo di applicazione delle nuove disposizioni legislative, con i conseguenti riflessi sull’attività di controllo, appare utile riepilogare il ruolo che la valutazione automatica ha svolto nell’ambito dei controlli in materia di imposte di registro, ipotecaria e catastale, a partire dalla sua introduzione nell’ordinamento tributario. Ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 52 T.U.R., dal 1° luglio 1986 il potere di rettifica dei valori dichiarati risultava inibito qualora gli stessi fossero indicati in atto in misura non inferiore al valore catastale dell’immobile, ottenuto moltiplicando per specifici coefficienti la rendita catastale (rivalutata del 5 per cento) o, nel caso di terreni agricoli, il reddito domenicale (rivalutato del 25 per cento). Si ricorda che la misura dei coefficienti è stata variata dall’art. 2, comma 63, della legge 24 dicembre 2003, n. 350; per i soli immobili diversi dalla prima casa e relative pertinenze, la variazione è stata introdotta dall’art. 1-bis, comma 7, del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2004, n. 191; per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B dall’art. 1, comma 45 della legge 24 novembre 2006, n. 286, di conversione del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262. Successivamente, il criterio automatico è stato esteso anche agli immobili denunciati al catasto edilizio urbano ma non ancora iscritti con attribuzione di rendita, purché il contribuente dichiarasse in atto di volersi avvalere delle disposizioni di cui all’art. 12 del decreto legge n. 70 del 1988, con- 176 n. 1-2/2007 vertito dalla legge 13 maggio 1988, n. 154, e successive modificazioni. Restavano dunque sottoposti ad accertamento di valore le cessioni di aziende (con esclusione dei beni immobili trasferiti con le medesime e iscritti in catasto con attribuzione di rendita, qualora il corrispettivo fosse stato indicato in misura non inferiore a quello determinato con i parametri catastali), i trasferimenti riguardanti aree edificabili, fabbricati non censiti, nonché immobili per i quali, pur essendo possibile avvalersi della valutazione automatica, fosse stato dichiarato un valore inferiore a quello risultante dal criterio catastale. In tutti gli altri casi, la rettificabilità della base imponibile risultava preclusa, salva l’ipotesi in cui l’ufficio fosse venuto a conoscenza di corrispettivi occultati. Infatti, pur inibendo l’accertamento di valore, il criterio automatico di valutazione non implicava in alcun modo una diversa determinazione della base imponibile, che continuava ad identificarsi, ai sensi del combinato disposto degli articoli 43, comma 1, e 51 T.U.R., con il “valore del bene o del diritto alla data dell’atto”, assumendosi per tale “quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito”. Ciò implicava che, ricorrendone i presupposti, l’ufficio avrebbe provveduto a richiedere la maggiore imposta dovuta con i relativi interessi di mora e la sanzione amministrativa dal duecento al quattrocento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato, come previsto dall’art. 72 T.U.R, detratto l’importo della sanzione eventualmente irrogata ai sensi dell’art. 71. Si ricorda che, con riferimento ai terreni agricoli, il regime della valutazione automatica era stato parzialmente derogato dall’art. 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, che consentiva ai possessori di terreni edificabili e di quelli con destinazione agricola, posseduti alla data del 1° gennaio 2002, di assumere - agli effetti della determinazione delle plusvalenze tassabili ai sensi dell’art. 81, comma 1, lettere a) e b) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (oggi art. 67) - in luogo del costo o valore d’acquisto, il valore a tale data, determinato sulla base di una perizia giurata di stima, a condizione di versare sul predetto valore un’imposta sostitutiva pari al 4 per cento. La disposizione in esame è stata ultimamente estesa ai terreni posseduti al 1° gennaio 2005, ai sensi del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. Il comma 6 del citato art. 7 introduceva, come detto, un’importante deroga al sistema della valutazione automatica, stabilendo che il valore periziato per la rideterminazione del valore d’acquisto costituiva “valore normale minimo” di riferimento ai fini non solo delle imposte sui redditi, ma anche delle imposte di registro, ipotecaria e catastale. Pertanto, come precisato dalla circolare n. 15 del 1° febbraio 2002, in caso di successivo trasferimento di terreni agricoli, qualora il contribuente avesse dichiarato un valore inferiore a quello risultante dalla perizia, l’ufficio era legittimato a procedere all’accertamento di valore, pur risultando il valore dichiarato uguale o superiore a quello calcolato su base catastale. Con l’introduzione del comma 5-bis nell’art. 52 T.U.R., l’ambito di applicazione della valutazione automatica ai trasferimenti a titolo oneroso soggetti ad imposta proporzionale n. 1-2/2007 di registro ha subito una ulteriore contrazione, così come precisato nel paragrafo 1.1. Per ciò che concerne le cessioni di immobili soggette ad Iva, si ricorda che già il testo originario dell’art. 35, comma 4, del D.L. n. 223 del 2006 aveva abrogato l’art. 15 del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, che aveva esteso a tali fattispecie (per i fabbricati classificati o classificabili nei gruppi A, B e C) il principio della non rettificabilità del corrispettivo dichiarato, ove determinato in base ai parametri automatici previsti per l’imposta di registro, salvo che da atto o documento il corrispettivo risultasse di maggiore ammontare. Va sottolineato che la modifica apportata all’art. 52 T.U.R. non ha inciso sui trasferimenti a titolo gratuito o mortis causa, in quanto il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni), contiene una disciplina autonoma per i suddetti trasferimenti, ancorché analoga a quella dell’art. 52, comma 4, del T.U.R. A tale riguardo, si ricorda che la soppressione delle imposte di successione e donazione disposta dall’art. 13 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, non ha comportato l’abrogazione del relativo Testo unico, che è pertanto rimasto in vigore quale complesso di regole di applicazione per le imposte che vi fanno riferimento, ossia le imposte ipotecarie e catastali, comunque dovute per i beni immobili donati o caduti in successione. In particolare, sono rimaste in vigore le disposizioni in tema di valutazione automatica contenute nell’art. 34, comma 5, valide anche per le donazioni, in virtù del richiamo effettuato dal successivo art. 56. Peraltro, la legge 24 novembre 2006, n. 286, che ha convertito con modificazioni il decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, ha reintrodotto l’imposta sulle successioni e donazioni secondo le disposizioni del citato Testo unico, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, salvo alcuni articoli abrogati perché in contrasto con il nuovo sistema di tassazione. Risultano pertanto confermati i previgenti limiti al potere di rettifica dei valori dichiarati, ex art. 34, comma 5, sia per le successioni che per le donazioni. Si precisa, infine, che la preclusione alla rettifica del valore prevista dai commi 4 e 5 dell’art. 52 T.U.R. continua a trovare applicazione con riferimento agli atti che non costituiscono cessione di immobili, sempre che risultino valori dichiarati o corrispettivi pattuiti in misura non inferiore ai valori catastali rivalutati. È il caso, ad esempio, degli atti aventi natura dichiarativa, come le divisioni senza conguaglio. 1.3 Il sistema “prezzo-valore” A partire dal 1° gennaio 2006, data di entrata in vigore della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), con riferimento alle cessioni di immobili a titolo oneroso di seguito indicate, è stata introdotta la regola del cosiddetto “prezzo-valore”, che consente di individuare la base imponibile secondo i criteri della valutazione automatica. Precisamente, l’art. 1, comma 497, della suddetta legge ha disposto che, per le cessioni di unità abitative e relative pertinenze tra privati che non agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, la base imponibile è data dal valore catastale determinato ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 52 Fisco T.U.R., indipendentemente dal corrispettivo pattuito, purché l’acquirente ne faccia richiesta, con dichiarazione resa al notaio e recepita nell’atto. Con riferimento alla medesima fattispecie, l’art. 35, comma 21, del D.L. n. 223 del 2006 ha modificato il comma 497, prevedendo che il corrispettivo deve essere obbligatoriamente indicato in atto. È stato altresì modificato il successivo comma 498, prevedendo che in caso di occultazione, anche parziale, del corrispettivo pattuito, le imposte sono dovute sull’intero importo di quest’ultimo e si applica una sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato, detratto l’importo della sanzione eventualmente irrogata ai sensi dell’art. 71 del D.P.R. n. 131 del 1986. Si evidenzia che per “imposta già applicata” deve intendersi l’imposta di registro (con le connesse imposte ipotecaria e catastale) già versata all’origine sul valore catastale rivalutato, considerata l’irrilevanza del “corrispettivo dichiarato” ai fini della tassazione in sede di registrazione. La disposizione in esame, come disposto dal comma 23 dell’art. 35, trova applicazione per gli atti pubblici formati e le scritture private autenticate a decorrere dal secondo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto, cioè dal 6 luglio 2006. Si precisa, inoltre, che la sanzione prevista dall’art. 72 T.U.R. continua a valere per le cessioni immobiliari diverse da quelle che, ai sensi dell’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005, hanno beneficiato della regola del prezzovalore. Come anticipato nel paragrafo 1.1, il sistema del “prezzo valore” sopra illustrato è stato modificato dalla legge finanziaria per il 2007. In particolare il comma 309 dell’unico articolo ha sostituito nel comma 497, art. 1 della legge n. 266 del 2005 e successive modificazioni, le parole “per le sole cessioni fra persone fisiche” con le seguenti: “e fatta salva l’applicazione dell’art. 39, primo comma, lettera d), ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche”. In virtù di tale modifica, a partire dal 1° gennaio 2007 la regola del “prezzo-valore” viene estesa a tutte le compravendite di abitazioni e relative pertinenze soggette all’imposta di registro, nelle quali la parte acquirente sia una persona fisica che non agisca nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, chiunque sia il venditore (vale a dire persona fisica o persona giuridica), a condizione che l’acquirente eserciti l’opzione di volersi avvalere della suddetta regola. 1.4 L’ambito oggettivo di applicazione delle nuove norme Per effetto dell’aggiunta del comma 5-bis all’art. 52 T.U.R., l’accertamento di valore si estende alla generalità degli atti di cessione di immobili per i quali non ricorrano i presupposti previsti dall’art. 1, comma 497 della legge n. 266 del 2005 e successive modificazioni. Si riepilogano gli atti di cessione di immobili sottoponibili ad accertamento di valore ex primo comma art. 52 T.U.R., fino alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2007 (cioè dal 4 luglio 2006 fino al 31 dicembre 2006): 177 Fisco • cessioni di immobili in cui anche una sola delle parti sia persona fisica che agisce nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali; • cessioni di immobili in cui anche una sola delle parti non sia persona fisica; • cessioni di immobili nelle quali, pur sussistendo i requisiti oggettivi e soggettivi stabiliti nel comma 497, art. 1, legge 266 del 2005, non sia stata espressa la dichiarazione di volersi avvalere della regola del “prezzo-valore”; • cessioni di terreni; • cessioni di fabbricati non abitativi (uffici, negozi, opifici, ecc.); • cessioni di pertinenze relative a fabbricati non abitativi; • cessioni di immobili facenti parte di compendi aziendali; • conferimenti in società; • divisioni con conguaglio (a meno che non torni applicabile, in presenza di immobili abitativi, la regola del “prezzovalore”); • rinunce a diritti reali immobiliari con efficacia traslativa. In forza delle modifiche introdotte dalla legge finanziaria per il 2007, in vigore dal 1° gennaio, le prime due fattispecie dell’elencazione sopra riportata sono sostituite con le seguenti: •cessioni di immobili in cui la parte acquirente sia persona fisica che agisce nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali; • cessioni di immobili in cui la parte acquirente non sia persona fisica. Va inoltre ricordato che, ai sensi del comma 116 della legge finanziaria per il 2007, risultano assoggettabili ad accertamento di valore, ove la base imponibile non sia determinabile in modo automatico, le assegnazioni di immobili ai soci da parte delle società non operative individuate al comma 111. Per quanto riguarda gli immobili trasferiti nell’ambito di una cessione di azienda, gli stessi sono suscettibili di accertamento di valore in base al nuovo comma 5-bis dell’art. 52 T.U.R., rientrando nell’ambito delle cessioni di immobili diverse da quelle disciplinate dall’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005. Infatti, pur essendo l’azienda una “universitas rerum”, cioè un’entità funzionalmente organizzata in un complesso unitario, è legittimo considerare, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, la cessione dei beni immobili distintamente da quella degli altri beni, onde applicare le aliquote differenziate previste dalla tariffa, parte prima, del T.U.R., nonché per imputare le passività in proporzione al valore dei vari beni aziendali. Del resto, in base a considerazioni analoghe, era stata a suo tempo ritenuta legittima l’estensione alle cessioni di azienda dei criteri che, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 52 T.U.R., limitavano l’accertamento di valore per gli immobili iscritti o iscrivibili in catasto con attribuzione di rendita. Infatti, la circolare n. 87 del 29 dicembre 1990 aveva chiarito che, agli effetti dell’imposta di registro, la cessione di un’azienda non è considerata unitariamente, in quanto ai diversi beni, sia mobili che immobili, facenti parte del patrimonio aziendale, sono applicabili le aliquote stabilite per gli atti portanti trasferimento dei beni medesimi, sempreché per essi siano stati indicati distinti corrispettivi (diversamente, all’intero valore dell’atto si applica l’aliquota del bene con 178 n. 1-2/2007 tassazione più elevata). Per quanto riguarda i terreni edificabili, va evidenziato che l’art. 36, comma 2, del D.L. n. 223 del 2006 ha chiarito il concetto di “area fabbricabile” ai fini fiscali, eliminando le preesistenti incertezze interpretative. In base alla definizione fornita dalla norma in esame - che, come precisato dalla circolare n. 28 del 4 agosto 2006, ha natura interpretativa “un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. In merito ai terreni edificabili compresi in piani urbanistici particolareggiati, va ricordato che il D.L. n. 223 aveva abrogato la registrazione agevolata introdotta dall’art. 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, consistente nel pagamento dell’imposta di registro nella misura dell’1% e delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa, a condizione che entro cinque anni dall’acquisto fosse avvenuta l’utilizzazione edificatoria dell’area. L’art. 36, comma 15, della legge di conversione ha ripristinato l’agevolazione in esame, limitandola però, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto, alle compravendite di aree sulle quali sia possibile realizzare programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata pubblica, comunque denominati, effettuati in accordo con le amministrazioni comunali per la definizione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione. L’art. 1, comma 306 della legge finanziaria per il 2007 ha modificato ulteriormente la suddetta disposizione in riferimento all’oggetto dei trasferimenti, sostituendo le parole “edilizia residenziale convenzionata pubblica” con le seguenti: “edilizia residenziale convenzionata”. La modifica in esame ha effetto per gli atti pubblici formati e per le scritture private autenticate a decorrere dal 1° gennaio 2007. 1.5 Le dichiarazioni sostitutive Il comma 22 dell’articolo 35 del D.L. n. 223 del 2006 ha introdotto nuovi adempimenti a carico delle parti che pongono in essere cessioni di beni immobili. In primo luogo, è fatto obbligo alle parti di rendere, all’atto della cessione dell’immobile, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo (ad esempio, numero e data dell’assegno bancario, con l’indicazione della banca emittente o trattaria). Pare opportuno precisare che il disposto normativo è da ritenere riferibile non solo al saldo versato al momento del rogito, ma anche alle somme corrisposte in precedenza, come l’acconto o la caparra confirmatoria. Si ricorda che, ai sensi del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, importi superiori a 12.500 euro non possono essere pagati in contanti. Inoltre, ciascuna delle parti ha l’obbligo di dichiarare, con la medesima modalità, se si è avvalsa di un mediatore e, in caso affermativo, dovrà indicare le eventuali spese sostenute per le suddette attività di mediazione, con le analitiche modalità di pagamento e il numero di partita Iva o il codice fiscale dell’agente immobiliare. n. 1-2/2007 Con riferimento alla figura del mediatore il comma 48, articolo unico, della legge finanziaria per il 2007, ha previsto l’obbligo di dichiarare ulteriori dati identificativi, nonché il numero di iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione e della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di riferimento per il titolare ovvero per il legale rappresentante o mediatore che ha operato per la stessa società. In caso di assenza dell’iscrizione a ruolo di agenti di affari in mediazione ai sensi della legge 3 febbraio 1989, n. 39, il notaio è obbligato ad effettuare una specifica segnalazione al competente Ufficio locale. In caso di omessa, incompleta o mendace indicazione dei predetti dati, si applica la sanzione amministrativa da 500 euro a 10.000 euro e, ai fini dell’imposta di registro, i beni trasferiti vengono assoggettati ad accertamento di valore ai sensi dell’art. 52, comma 1, T.U.R.. Si ricorda che, come sancito dall’art. 76 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, chiunque rilascia dichiarazioni mendaci è punito ai sensi del codice penale e dalle leggi speciali in materia. Considerata la portata generale della disposizione recata dal comma 22 dell’art. 35, che investe tutte le cessioni di immobili a titolo oneroso, anche se assoggettate ad Iva, ne discende che la preclusione dell’accertamento di valore viene meno anche con riferimento alle vendite di abitazioni tra privati di cui all’art. 1 comma 497 della legge 266 del 2005, qualora sia stata commessa una delle violazioni indicate nel presente paragrafo. In tal caso, la base imponibile non è più costituita dal valore catastale dell’immobile trasferito, bensì dal valore effettivo dello stesso. Circa la decorrenza delle disposizioni concernenti le dichiarazioni sostitutive, si ricorda che ai sensi del comma 49, articolo unico, della legge finanziaria per il 2007, il richiamato comma 22, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della suddetta legge finanziaria, trova applicazione con riferimento ai pagamenti effettuati a decorrere dal 4 luglio 2006. 1.6 Selezione degli atti da sottoporre a controllo e metodologie di valutazione. La rimozione del limite alla potestà di rettifica dei valori comporterà verosimilmente un ampliamento della platea degli atti da controllare ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, anche per effetto delle disposizioni dei commi da 8 a 10 sexies dell’art. 35 del decreto legge n. 223 del 2006, come modificato dalla legge di conversione, che hanno comportato il passaggio al regime di esenzione dall’Iva di alcune tipologie di cessioni di immobili effettuate da imprese, in precedenza comprese tra le operazioni imponibili, individuate nella circolare n. 27 del 4 agosto 2006. La legge finanziaria per il 2007, con il comma 330, che ha modificato l’art. 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, ha ristretto il novero delle operazioni esenti, ripristinando il regime di imponibilità Iva per le cessioni di fabbricati avvenute oltre il termine di quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dei lavori di ripristino, effettuate dalle imprese che li hanno costruiti o ristrutturati, a condizione che gli stessi fabbricati siano stati locati per un periodo non inferiore a quattro anni in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata. Fisco In merito alle suddette cessioni, si evidenzia che il controllo del valore ai sensi dell’art. 52 T.U.R., da effettuare entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell’imposta proporzionale di registro, non esaurisce l’attività di accertamento dell’ufficio. Infatti sarà necessaria anche la verifica del rispetto degli adempimenti previsti dalle disposizioni normative riguardanti la disciplina propria dell’Iva e delle imposte sui redditi. L’ampliamento degli atti suscettibili di valutazione, alla luce del nuovo assetto normativo, richiederà una mirata selezione degli atti da controllare. Ciò, unitamente ad un adeguato utilizzo degli strumenti istruttori – per i quali si fa rinvio alla parte seconda della presente circolare – al fine di conferire un elevato grado di efficacia e sostenibilità alla pretesa tributaria. In attesa dell’emanazione del provvedimento del Direttore dell’Agenzia previsto dal comma 307 della legge finanziaria per il 2007, gli uffici potranno avvalersi, con riferimento ai trasferimenti di fabbricati, dei valori indicati nella banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio, privilegiando, ai fini del controllo, gli atti in cui risultino indicati valori che si discostano per difetto dalle quotazioni riportate nella suddetta banca dati. Per le aree fabbricabili, gli uffici potranno fare riferimento alle determinazioni di valore eventualmente adottate dai comuni con proprio decreto, ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo del 15 dicembre 1997, n. 446. Si sottolinea che le predette indicazioni non devono essere assunte quale unico fondamento della rettifica del valore dichiarato in atto, ma possono essere utili per l’avvio di più approfondite analisi sulla base di altri elementi disponibili o acquisibili mediante un corretto utilizzo dei poteri di controllo. PARTE SECONDA: L’ESTENSIONE DEI POTERI DI CONTROLLO 2.1 Le novità Il comma 24 dell’art. 35 del decreto legge n. 223 del 2006 ha introdotto il nuovo articolo 53-bis nel D.P.R. n. 131 del 1986, che estende i poteri di controllo previsti per le imposte sui redditi dal D.P.R. n. 600 del 1973, in particolare negli articoli 32 e 33, anche ai fini dell’imposta di registro, nonchè delle imposte ipotecaria e catastale previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347. Fino all’entrata in vigore del citato decreto legge n. 223, gli uffici, al fine di reperire atti, dati e notizie rilevanti per l’accertamento dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, potevano avvalersi dei poteri istruttori disciplinati dai seguenti articoli del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131: • comma 4 dell’articolo 51, concernente la possibilità di compiere accessi, ispezioni e verifiche per il controllo dei valori dichiarati negli atti aventi per oggetto aziende o diritti reali su di esse; • articolo 63, riguardante le richieste di atti e notizie, necessarie ai fini dell’applicazione dell’imposta, ai soggetti obbligati a richiedere la registrazione e ai dirigenti dei pubblici uffici; • articolo 68, disciplinante la presentazione quadrimestrale del repertorio degli atti compiuti, ricevuti o autenticati dai pubblici ufficiali. 179 Fisco Si illustrano di seguito i poteri derivanti dall’applicazione delle disposizioni degli articoli 32 e 33 del citato D.P.R. n. 600 del 1973. 2.2 Accessi, ispezioni e verifiche Ai sensi del numero 1) del primo comma dell’art. 32 del citato D.P.R. 600 del 1973, gli uffici, per l’adempimento dei loro compiti, possono procedere all’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche a norma del successivo art. 33, il quale richiama espressamente le disposizioni in materia di Iva di cui all’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. È da notare che il comma 4 dell’art. 51 T.U.R. già prevedeva, con riferimento alle cessioni di aziende e di diritti reali su di esse, la possibilità per gli uffici, oltre che di avvalersi degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte, anche di procedere ad accessi, ispezioni e verifiche, con un richiamo generico alle disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto. L’innovazione in esame consente ai funzionari dell’Amministrazione Finanziaria, muniti di apposita autorizzazione, di eseguire accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi ove viene esercitata un’attività commerciale, agricola, artistica o professionale, quando l’attività stessa abbia riflessi sull’imposta di registro. Tali poteri istruttori saranno pertanto finalizzati, oltre che all’accertamento di valore per le cessioni di aziende, anche: - al controllo relativo alla sussistenza dei requisiti per la fruizione di agevolazioni fiscali; - al controllo concernente gli obblighi formali e sostanziali previsti in materia di imposta di registro. Ad esempio, si potrà accedere nei locali nei quali si esercita attività di intermediazione immobiliare, per acquisire dati e notizie riguardanti le mediazioni svolte, raffrontandole con le dichiarazioni sostitutive rese in atto dalle parti contraenti. Tale attività consentirà di rilevare l’eventuale omessa registrazione delle scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della conclusione di affari di intermediazione immobiliare, obbligo posto a carico degli stessi agenti dal comma 46, articolo unico, della legge finanziaria per il 2007. In particolare potrà essere accertata la mancata registrazione e l’ammontare effettivo del corrispettivo e del canone pattuito, in riferimento a contratti preliminari di compravendite immobiliari e a contratti di locazione di fabbricati. Si ricorda che la stessa legge finanziaria ha altresì previsto la solidarietà degli agenti immobiliari al pagamento dell’imposta per le scritture private sopra citate. Continuando l’esemplificazione, si potranno effettuare accessi presso i fondi rustici, per verificare che non sia mutata la destinazione agricola dei terreni o delle relative pertinenze, qualora nel trasferimento degli stessi l’imprenditore agricolo, in quanto tale, abbia beneficiato delle agevolazioni previste per il settore agricolo (piccola proprietà contadina, imprenditore agricolo professionale, compendio unico, ecc.). L’art. 33, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, prevede altre tipologie di accesso effettuabili presso altre Amministrazioni dello Stato per rilevare direttamente i dati e le notizie previste dal numero 5) del precedente art. 32, nonché presso aziende ed istituti di credito e l’Amministrazione 180 n. 1-2/2007 postale, allo scopo di rilevare direttamente informazioni e notizie nei casi espressamente previsti. In via generale si raccomanda la tempestività nell’esecuzione degli accessi rispetto alla data di registrazione degli atti, nei casi in cui, per la natura del bene trasferito (ad esempio cessioni di azienda), operazioni successive, effettuate dal cessionario, compromettano la possibilità di motivare adeguatamente la rettifica della base imponibile con riferimento alla data della cessione. Con riferimento al potere di accesso, va infine sottolineato che valgono i limiti posti dall’art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972. Pertanto, l’accesso in luoghi diversi da quelli indicati nel primo comma del suddetto articolo può essere eseguito previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, solo in caso di gravi indizi di violazione della normativa che disciplina i tributi in argomento. 2.3 Inviti, richieste e questionari I successivi numeri del primo comma dell’articolo 32 del D.P.R. 600 del 1973, consentono agli uffici di richiedere informazioni ed acquisire documenti, sia nei confronti del contribuente sia nei confronti di soggetti terzi. Si sottolinea come questa possibilità risulti innovativa nell’ambito dell’accertamento ai fini dell’imposta di registro, soprattutto in relazione all’ampliamento dei soggetti che possono essere interpellati per l’acquisizione di informazioni rilevanti ai fini dell’accertamento. 2.3.1 Richieste dirette al contribuente II potere degli uffici di richiedere dati e notizie direttamente ai contribuenti, rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti è disciplinato dai numeri 2), 3), 4) e 6-bis) del primo comma dell’art. 32. In forza di tali disposizioni, gli uffici possono: • invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire personalmente o per mezzo di rappresentanti, per fornire dati e notizie; • invitare i contribuenti, sempre indicandone il motivo, ad esibire o trasmettere atti e documenti; • inviare ai contribuenti questionari per la richiesta di dati e notizie di carattere specifico, con l’invito a restituirli compilati e firmati. Ai sensi della lettera a), comma 32, dell’art. 37 del D.L. n. 223 del 2006, tali questionari possono essere recapitati anche ad altri soggetti con i quali il contribuente ha intrattenuto o intrattiene rapporti; • richiedere, previa autorizzazione del Direttore Centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate o del Direttore Regionale della stessa, ai soggetti sottoposti ad accertamento, ispezione o verifica, una dichiarazione che specifichi natura, numero ed estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con le aziende ed istituti di credito, con la società Poste Italiane S.p.a. e con tutti gli altri intermediari finanziari e le società fiduciarie, in corso o estinti da non più di cinque anni dalla data della richiesta. Nell’esercizio dei poteri istruttori sopra illustrati è necessario tener conto di quanto disposto dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 4, (“Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”), che impone di non richiedere documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche. In tali casi gli uffici potranno richiedere ai contri- n. 1-2/2007 buenti i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Parimenti accerteranno d’ufficio i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare ai sensi dell’art. 18 della legge 7 agosto 1990, n. 241, commi 2 e 3. 2.3.2 Richieste dirette a soggetti diversi dal contribuente I restanti punti dell’articolo 32, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 disciplinano la richiesta di informazioni a soggetti diversi dal contribuente, rilevanti ai fini dell’accertamento nei confronti di quest’ultimo. In particolare, gli uffici possono: • richiedere informazioni agli organi e alle Amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, alle società ed enti di assicurazione ed alle società ed enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi; • richiedere ai soggetti indicati nell’art. 13 del D.P.R. n. 600 del 1973 - ossia i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili - dati, notizie e documenti relativi ad attività svolte in un determinato periodo di imposta con i loro clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo; • invitare ogni altro soggetto ad esibire o trasmettere atti o documenti fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi; • richiedere agli amministratori di condominio negli edifici dati, notizie e documenti relativi alla gestione condominiale; • richiedere copia o estratti di atti e documenti depositati presso i notai, i procuratori del registro, i conservatori dei registri immobiliari e gli altri pubblici ufficiali (potere analogo a quello già previsto dall’art. 63 del T.U.R.). Per quanto riguarda il potere di richiedere dati, notizie e documenti alle banche, alla società Poste Italiane S.p.A. e agli altri intermediari finanziari, si fa rinvio al successivo paragrafo 2.4. Si ricorda che la lettera b) del comma 24 dell’art. 35 del D.L. n. 223 del 2006 ha novellato l’art. 74 T.U.R., aggiungendovi il comma 1-bis. Tale disposizione prevede l’applicazione, in materia di violazioni conseguenti alle richieste formulate ai sensi del nuovo art. 53-bis, delle sanzioni tributarie non penali di cui al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. In forza di tale rinvio, risultano applicabili le lettere b) e c) del primo comma dell’art. 11 del decreto legislativo n. 471, sopra citato, che prevedono la sanzione amministrativa da euro 258,23 ad euro 2.065,83 per le seguenti violazioni: • mancata restituzione dei questionari inviati al contribuente o a terzi nell’esercizio dei poteri di verifica ed accertamento o la loro restituzione con risposte incomplete o non veritiere; • inottemperanza all’invito a comparire e a qualsiasi richiesta fatta dagli uffici nell’esercizio dei poteri loro conferiti. 2.4 Le indagini finanziarie Un’attenzione particolare merita il numero 7), dell’art. 32, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, che a seguito dell’introduzione dell’art. 53-bis T.U.R., si estende anche ai controlli ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale. In forza delle modifiche apportate dall’art. 1, commi 402 e 403, della legge 30 dicembre 2004 n. 311 (legge finanzia- Fisco ria per il 2005), al sopra citato art. 32, sono stati notevolmente ampliati il numero e la quantità degli elementi informativi accessibili da parte degli uffici. In particolare: • è stata ampliata la tipologia dei soggetti ai quali è possibile richiedere informazioni, previa autorizzazione del Direttore Centrale dell’accertamento per gli uffici centrali, e del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate per gli uffici locali, prevedendo, oltre alle banche e alla società Poste italiane s.p.a, anche tutti gli intermediari finanziari, fra i quali le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio e le società fiduciarie; • sono stati ridotti i tempi di risposta telematica previsti per gli intermediari, da 60 giorni a 30 giorni, con una possibile proroga di ulteriori 20 giorni per giustificati motivi; • è stato esteso l’ambito oggettivo di indagine a qualsiasi rapporto intrattenuto ed operazione effettuata. In virtù di tali poteri, dal 1° gennaio 2005, con efficacia riferita anche alle annualità di imposta pregresse, gli uffici possono richiedere agli operatori finanziari qualsiasi tipo di dati, notizie ed informazioni relative ad operazioni poste in essere con il contribuente, sempreché rilevanti agli effetti delle indagini finanziarie. In forza del numero 2) del primo comma dell’art. 32 del citato D.P.R. n. 600 del 1973 gli uffici possono rivolgere tale attività di indagine anche nei confronti di soggetti terzi rispetto al soggetto accertato, al fine di reperire informazioni circa le transazioni intercorse tra le parti o l’utilizzo del terzo quale interposto dell’operazione. Precisato quanto sopra, occorre ricordare che il comma 14bis dell’art. 2 del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, ha fissato al 1° gennaio 2006 l’obbligo per gli operatori finanziari di rilevare il codice fiscale dei soggetti con i quali hanno intrattenuto qualsiasi rapporto di natura creditizia o finanziaria. Pertanto, per periodi di imposta anteriori al 1° gennaio 2006, ai sensi dell’art. 2, comma 14-ter del citato D.L. n. 203 del 2005, gli uffici possono richiedere agli operatori finanziari, oltre alle operazioni annotate nei conti, qualsiasi notizia e informazione in loro possesso riguardante operazioni poste in essere dal contribuente e non transitate in un conto (come assegni circolari, bonifici per cassa, acquisto di valuta estera, ecc.), purché di importo superiore ad euro 12.500, la cui rilevazione è imposta dal decreto legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197. Il suddetto limite di euro 12.500 non vale invece per le operazioni annotate in un conto. I commi 4 e 5 dell’art. 37 del D.L. n. 223 del 2006 hanno previsto l’istituzione dell’Anagrafe dei rapporti di conto e di deposito. In attesa della implementazione della suddetta anagrafe – la quale non comprende le operazioni “extra-conto”è disponibile per gli uffici, nel portale F.I.S.C.O. all’interno dell’area “controllo sostanziale”, la procedura “indagini finanziarie”, con la quale è possibile procedere, sulla base della prevista autorizzazione, alla richiesta telematica di informazioni agli intermediari creditizi e finanziari su di un contribuente specifico. La risposta, da ricevere sempre telematicamente, permette di osservare determinate movimentazioni sulle disponibilità monetarie e finanziarie del soggetto sottoposto ad accertamento. Al riguardo si fa rinvio alle specifiche istruzioni, contenute nella “Guida operativa”, presente all’interno della procedura. 181 Fisco Si evidenzia, come peraltro precisato nella circolare n. 32 del 19 ottobre 2006, che le indagini finanziarie, pur realizzando un’importante attività istruttoria, non costituiscono uno strumento di applicazione automatica, ma richiedono una successiva elaborazione e valutazione. Gli uffici pertanto, avvalendosi del potere di cui al numero 2 dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, instaureranno un contraddittorio con il contribuente, al fine di confermare le presunzioni desunte in sede istruttoria prima di utilizzare, ai fini dell’accertamento, le informazioni reperite in seguito alle indagini finanziarie, fermo restando che la mancata instaurazione del contraddittorio non degrada la presunzione legale “relativa” a presunzione semplice. Per quanto concerne gli aspetti operativi, la decorrenza e gli aspetti sanzionatori, si fa rinvio alla sopra richiamata circolare n. 32 del 2006. Quanto all’utilizzo del potere di indagine in esame con specifico riferimento all’imposta di registro e alle relative imposte ipotecaria e catastale, si evidenzia che lo stesso potrà risultare particolarmente utile ai fini dell’accertamento degli atti di compravendita immobiliare. Infatti, monitorando le movimentazioni “in conto” ed “extra-conto” delle parti contraenti in prossimità della data di stipula dell’atto di compravendita e raffrontandole con gli elementi riportati nelle dichiarazioni sostitutive richiamate nel paragrafo 1.5, è possibile acquisire validi elementi di prova circa il corrispettivo effettivamente pagato, legittimando il potere di rettifica della base imponibile dichiarata dai contribuenti e l’applicazione delle sanzioni amministrative. Gli uffici, nel rispetto del principio di proficuità comparata dell’attività accertativa, dovranno utilizzare tale procedura nei casi in cui - avendo riscontrato una significativa incongruenza tra il corrispettivo dichiarato e il valore in comune commercio - sia fondatamente ipotizzabile l’evasione fiscale. Tale potere di indagine può essere rivolto anche a soggetti terzi, non interessati all’attività di controllo, con particolare riguardo a coloro che sono legati al contribuente da vincoli familiari, qualora l’ufficio, anche mediante presunzioni, purchè gravi, precise e concordanti, abbia motivo di ritenere che le movimentazioni finanziarie dei terzi possano essere imputate ad una delle parti contraenti dell’atto. LA DECORRENZA DELLE NUOVE NORME Con riferimento alla decorrenza delle nuove disposizioni del D.L. n. 223 del 2006 riguardanti l’accertamento della base n. 1-2/ 2007 imponibile (art. 35, comma 23-ter) e l’ampliamento dei poteri di controllo degli uffici (art. 35, comma 24), si precisa quanto segue. Relativamente alla prima disposizione, introdotta dalla legge di conversione n. 248 del 2006, i limiti all’accertamento di valore ex commi 4 e 5 dell’art. 52 T.U.R. continuano a valere per gli atti pubblici formati, le scritture private autenticate e le scritture private registrate prima del 12 agosto 2006, giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della ricordata legge di conversione. Infatti, pur non essendo espressamente prevista la decorrenza della disposizione introdotta dal comma 23-ter dell’art. 35, si ritiene che la medesima non possa essere applicata retroattivamente, considerato che, prima della riforma in argomento, l’indicazione di un valore non inferiore a quello automatico aveva un’inequivocabile efficacia preclusiva del potere di rettifica del valore dichiarato, per cui non può ignorarsi l’affidamento oggettivo riposto dal contribuente nel previgente sistema normativo. Con riferimento agli atti pregressi, anche laddove rimane inibito il potere di esprimere un giudizio estimativo, gli uffici hanno peraltro la possibilità di controllare la veridicità del corrispettivo dichiarato avvalendosi dei mezzi istruttori previsti in materia di imposte sui redditi, estesi al settore registro dall’art. 35, comma 24 del D.L. n. 223, esposti nella parte seconda della presente circolare. La possibilità per gli uffici di avvalersi, con riferimento agli atti per i quali non sono ancora scaduti i termini per la rettifica del valore o per l’accertamento del corrispettivo occultato, delle disposizioni concernenti le indagini finanziarie, nonché degli altri strumenti istruttori previsti dagli artt. 32 e 33 del D.P.R. n. 600 del 1973, discende dalla natura procedimentale delle stesse. Con particolare riguardo alle indagini finanziarie, si ricorda che la circolare n. 32 del 19 ottobre 2006, avente ad oggetto le nuove disposizioni riguardanti le indagini finanziarie, ha precisato che tali disposizioni hanno carattere procedimentale in quanto “non hanno mutato né il profilo sostanziale dei singoli ambiti impositivi né, tanto meno, quello sanzionatorio, laddove l’espansione della