Carbone e Siderurgia Di Paganelli Alberto 5. Carbone, Carbon Fossile, Coke Due differenti fattori consentirono, a partire dal 1780 circa di produrre carbon fossile a prezzi sempre più bassi: • Lo sviluppo delle infrastrutture (Canali, strade e ferrovia) e, di conseguenza, la riduzione del costo dei trasporti; • Il ricorso sempre più massiccio alla macchina a vapore per pompare l’acqua ai pozzi più profondi delle miniere. L’accresciuta disponibilità di carbon fossile, diede notevole impulso a diverse produzioni industriali (oltre al tessile, la produzione di birra la produzione di mattoni, la vetreria ecc.) Che poterono così abbandonare una volta per sempre l’arcaica fonte energetica costruita dal carbone di legna. Carbone Miniere di carbone fossile Carbone e Siderurgia L’impegno del carbone fossile penetrò invece lentamente nella lavorazione siderurgica dei minerali ferrosi: non perché fino ad alte temperature non fossero apprezzabili (era infatti possibile produrre ghisa in luogo del semplice ferro), ma perché il risparmio sui costi del combustibile veniva controbilanciato dalle difficoltà di lavorare i materiali ferrosi. Bisogna sapere ciò che si estrae dalle miniere di ferro non è, in genere un minerale allo stato puro, ma un minerale grezzo nel quale le molecole del ferro si prestano combinate con altre sostanze. Occorre dunque riprodurre questo generale genericamente ferroso a un metallo contenuto effettivo, necessaria è un’operazione chimica, possibile ad altre temperature, e dunque nell’altoforno. Ma, per ottenere queste altre temperature nell’altoforno, è necessario disporre di carbone abbondante e di buona qualità, cioè ricco di carbonio puro: qualità posseduta dal carbone vegetale, migliore dei carboni fossili, e soprattutto dal coke. La fusione del carbone Le applicazioni della macchina a vapore Locomotiva e macchina a vapore Fin dall’inizio, sfruttando il movimento alternativo del pistone, la macchina a vapore poté essere applicata con ottimi risultati al funzionamento delle pompe delle miniere. In seguito, grazie ai miglioramenti progressivi a cui fu sottoposta, essa fu adibita anche a molte altri usi per esempio di muovere dei carichi sui veicoli a ruote in modo da far risalire il carbone dal fondo dalle miniere. La prima applicazione fatta in questo campo si ebbe nel 1807 in Belgio: un motore a vapore fissato all’esterno dalla maniera faceva risalire, con corde e catene, i carrelli che, con i loro carichi di carbone, scorrevano sui binari. Macchina a vapore di James Watt Nel giro di pochi anni, si colse la straordinaria versatilità macchina di Watt: essa comincia a sostituire l’energia idraulica dei mulini, liberando le attività industriali dalla necessità di essere collocate nei pressi di un corso d’acqua sufficientemente rapido. Macchine e meccanismi trassero dalla macchina a vapore la loro forza motrice: telai meccanici, torni, frese e presse cominciarono a essere azionati da un sistema di ingranaggi, a vapore di produzione. Nel 1800 funzionava in Gran Bretagna 1000 macchine a vapore: nel 1810 erano 5000, nel 1850 oltre 30.000 Macchina a vapore di James Watt nel 1810. Il futuro della macchina di Watt sarebbe consistito, tuttavia, nell’impegno di vapore ad altra pressione. Watt si era sempre rifiutato di ricorrere a tale impiego, temendo il rischio di esplosioni. Nel 1803 (quando il brevetto di Watt era scaduto da qualche anno) Arthur Woolf brevettò un vapore di macchina che utilizzava vapore immerso ad altra pressione. Fu poi l’inglese Richard Trevithick (1771-1833), all’inizio dell’Ottocento, il primo a costruire macchine a vapore ad altra pressione. Navi e Treni a Vapore I vantaggi della macchina ad alta pressione erano evidenti. Essa non solo presentava un ottimo rapporto peso/potenza, contenendo un rendimento maggiore e minori consumi, ma, soprattutto era molto meno voluminosa e pesante delle precedenti; poteva quindi essere installata sui mezzi di trasporto. Ciò portò a un enorme rivoluzione nei trasporti: il primo battello a vapore fu costruito nel 1807 dallo statunitense Robert Fulton; poco dopo sarà la volta della locomotiva di Stephenson. Nave e la Locomotiva a Vapore Gli impieghi delle macchine a vapore nel 1800. La tabella mette in luce la diffusione e il modo di impiego della macchina a vapore di Watt nei suoi primi vent’anni circa di utilizzo. Il primo campo nel quale le macchine a vapore vennero impiegate fu il pompaggio dell’acqua nelle miniere. Già nel 1800, però, l’uso maggiore della macchina a vapore avveniva nelle fabbriche: qui grazie al suo moto rotatorio, essa era impiegata come “motore primario” per far muovere le altre macchine utensili. Un ultimo impiego delle macchine di Watt era infine quello del funzionamento dei mantici (in particolare degli altiforni). . TIPO DI MACCHINA QUANTITA’ Rotativo 308 Pompaggio 164 Produzione di aria per insufflazione 24 TOTALE 496 La macchina a vapore di James Watt La macchina a vapore di James Watt Fu lo scozzese di James Watt, a partire dal 1765, a risolvere il problema dopo aver trasformato radicalmente i principi su cui fino ad allora ero basate le macchine atmosferiche. Nel 1769 egli depositò un brevetto per un nuovo metodo per diminuire il consumo di vapore e di combustibile nella macchina a vapore. Analizzando il funzionamento della macchina di Newcomen, Watt si rese conto che, poiché il vapore veniva fatto condensare dal cilindro, il calore del vapore di nuova immissione veniva in parte assorbito dal cilindro stesso, che si era raffreddato insieme al vapore che condensava. Per ovviare a questa dispersione di calore, Watt apportò alla macchina di Newcomen una decisiva innovazione: invece di raffreddare e, alternativamente, riempire di vapore caldo il cilindro con materiale refrattario, in modo che esso mantenesse costantemente la stessa temperatura del vapore; inoltre aggiunse una camera di considerazione del vapore separata dal cilindro. Queste modifiche fecero si che, a differenza della macchina di Newcomen, in quella di Watt fosse la pressione del vapore a compiere lavoro utile e non la pressione atmosferica. I risultati ottenuti erano davvero notevoli, perché si dimezzava l’energia impiegata per produrre il vapore. Macchina a Vapore Qualche anno dopo, nel 1781, Watt risolse un inconveniente del suo dispositivo. La macchina a vapore, infatti, produceva un modo alternato, ma nell’industria è quasi sempre richiesto un moto rotatorio per azionare ingranaggi, ruote e altro. In un primo momento venne usato un sistema piuttosto complesso e costoso, consistente nell’usare la macchina a vapore per pompare acqua che azionava a sua volta le ruote idrauliche. In seguito fu introdotto un sistema di trasmissione a catena. Watt invento, inoltre, un sistema detto a doppio effetto: il vapore immesso all’una o all’altra estremità del cilindro agiva alternativamente su entrambe le facce del pistone, lavorando sia nella fase di considerazione depressione del vapore, sia in quella dell’immissione del vapore nel cilindro, perché il movimento del pistone non ha tempi morti. Infine la macchina fu dotata di una valvola di regolazione, comandata di un meccanismo a retroazione (noto ancor oggi come regolatore di Watt): un regolatore automatico dell’immissione del vapore, così da mantenere costante la velocità di rotazione del volano al variare del carico. Trasformando il proprio congegno da macchina ad azione semplice a macchina a doppio effetto, a parità di consumi, la potenza di raddoppiava. A partire dal 1774 si cominciarono a vendere numerosi esemplari della nuova macchina: il grande vantaggio che essa rappresentava i consumi ridotti (circa un terzo rispetto alle macchine di New Comen,) che le fecero diffondere inizialmente nelle miniere di stagno della Cornovaglia, dove il prezzo del carbone era elevato. Per il momento la potenza media di queste macchine (circa 15 Hp1) non superava di molto quella dei mulini ad acqua in uno all’epoca (circa 10 HP); la loro vera superiorità consisteva nel fatto di essere svincolate da una fonte di energia incostante e molto localizzata come l’acqua. New Comen 1. Il Tessile, un settore in forte espansione. L’INDUSTRIA TERRESTRE INGLESE Il Tessile, Un Settore in Forte Espansione. L’incremento demografico del Settecento provocò una generale crescita della domanda che investì tutti i settori produttivi, quelli relativi ai beni di consumo di prima necessità: anzitutto, come è ovvio, in seconda battuta, il settore tessile. Fu proprio nel settore tessile nel corso del secolo si registrano numerosi invenzioni, atte ad aumentare la produzione e a diminuire i costi. Nel Settecento la produzione tessile costituiva il fiore all’occhiello delle manifatture inglesi. Già all’inizio del Secolo XVIII un quarto del totale delle esportazioni britanniche era rappresentato da tessuti di lana 2. Le quattro fasi della produzione tessile Canapa La produzione della lana avveniva in Inghilterra in base al cosiddetto putting out dometic system; un mercanteimprenditore forniva la materia prima (la lana greggia) al produttore diretto, che di solito era anche il proprietario dei mezzi di produzione, e ritirava il proprietario dei mezzi di produzione, e ritirava il prodotto finito (il panino di lana) che poi vendeva sul mercato del cittadino. Fermiamoci ora a considerare in che modo avviene la produzione tesile. Quasi tutti i tipi di tessuto (lana, cotone, ecc.) richiedono una procedura che possiamo suddividere in quattro fasi: La preparazione: la materia prima grezza viene scelta, pulita e pettinata, così che le fibre siano parallele; La filatura, in cui le fibre vengono tirate e ritorte per formare il filo; La vera e propria tessitura: un filo viene disposto nel senso della lunghezza (ordito) e un altro filo (la trama) viene fatto passare alternativamente sopra e sotto i fili dell’ordito, così da formare un intreccio; Da ultimo la finitura. A seconda dei tessuti, essa può comprendere la follatura (per i panni), la pulitura, la cimatura la tintura e la stampatura. La semplice ricostruzione delle procedure ci aiuta a evidenziare che il passaggio tra la filatura e la tessitura può costruire un punto delicato nella catena produttiva. Non si può infatti tessere più materiale fin quanto non sia filato: ebbene, nel putting out system settecentesco i filai erano molto più affilati degli utensili tradizionali per filare. 6 Anche la tessitura del cotone si meccanizza Anche la tessitura del cotone si meccanizza Se un primo momento la meccanizzazione dell’industria cotoniera riguardò solo il procedimento della filatura, più avanti vennero brevettate due macchine per la tessitura. Il primo telaio meccanico fu creato da Edmund Cartwright nel 1787. Esso era tuttavia pesante e difficile da manovrare: lo stabilimento che ne introdusse l’impiego falli nel volgere di due anni. Nel 1791 fu nuovamente introdotto in un’industria di Manchester, ma lo stabilimento venne incendiato dai lavoratori che temevano la concorrenza della nuova macchina. Bisognò pertanto attendere l’inizio del XIX secolo perché il telaio meccanico conoscesse un impiego efficiente e generalizzato. Nel 1805 il francese Joseph - Marie Jacquard brevettò un telaio per la tessitura di stoffe operate a disegni anche molto complessi che adottava un sistema veramente innovativo. Il passaggio dei fili della tra era infatti regolato da un cartone forato, secondo un principio simile a quello dei nostri computer. Si trattava, in buona sostanza, di un sistema binario, per il quale ciascun ago che portava un filo di colore diverso rispondeva al comando del codice foro: si passa i non foro: non si passa. Telaio Colori La meccanizzazione delle manifatture laniere Anche la manifattura delle fatture laniere. Ben presto la produzione di tessuti di cotone superò quella dei tessuti di lana e lino, i cui metodi di lavorazione erano più antiquati. In virtù di questo successo, le tecnologie impiegate per il cotone furono gradualmente applicate anche al resto dell’industria tessile. Intorno al 1800-1810 anche la filatura della lana cominciò a essere realizzata con i sistemi meccanici. Ciò accade nelle nuove manifatture laniere che, come si è visto, stavano sostituendo le arcaiche produzioni a domicilio. Tuttavia i numerosi stabilimenti continuarono a utilizzare i metodi tradizionali: la meccanizzazione e non ebbe l’effetto risultò dunque più graduale e non ebbe l’effetto esplosivo che aveva avuto nella produzione cotoniera. ↑ Industria di cotone, di Frederick, Robinson, 1923-1924 circa. Collezione privata. La rivoluzione industriale. Con tali premesse, la diffusione delle fabbriche tessili nei centri urbani segui un ritmo rapidissimo. Nel 1780 l’Inghilterra contava 20 filande; nel 1788 questo numero era già salito a 150. Agli inizi dell’Ottocento risultano concentrati in 600 officine ben 5 milioni di fusi meccanici. Queste nuove filande a vapore sorte nei centri urbani costruirono il primo, vero modello di moderna fabbrica industriale. Abbiamo osservato in precedenza come, già sul finire del Settecento l’impianto delle nuove manifatture tessili avesse di fatto cancellato il vecchio sistema produttivo del lavoro a domicilio. Le prime di queste nuove manifatture erano sorte vicino ai corsi d’acqua, in modo da fratturare l’energia idraulica. Ma una nuova rivoluzione era in visita nel primo ventennio dell’Ottocento. L’applicazione della macchina a vapore (ideata in un contesto del tutto indipendente, quello delle miniere e dell’estrazione del carbone) alle filatrici maniche e, poco più tardi, ai telai per la tessitura, suggerì infatti il trasferimento delle manifatture dai centri del territorio ruale alle città, ovvero ai luoghi più prossimi alle grandi vie di comunicazione ai centri di smercio. Tra l’altro proprio nelle città si stava concentrando la manodopera necessaria per fare funzionare l’officina. A rendere disponibile tale manodopera per il lavoro in fabbrica erano gli effetti della recente rivoluzione agricola,che stava espellendo dalle campagne inglesi centinaia di migliaia di famiglie contadine. Una quantità di fattori economici e sociali, s’intrecciava per rendere “necessaria che portava un filo di colore diverso rispondeva al comando del cartone secondo il colore foro si passa/ non foro: non si passa. L’approvvigionamento degli Stati Uniti Le vie aree degli Stati Uniti Non ci si potrebbe spiegare fino in fondo le regioni di questo sviluppo delle manifattura del cotone se non ragionassimo anche sulle prime condizioni di approvvigionamento della materia prima. Verso il 1780 la Gran Bretagna acquistava il 50% del fabbisogno nell’Impero ottomano; il restante 70 per cento proveniva dalle Antille inglesi, da quelli francesi e dal Brasile. Intorno al 1800 la situazione del mercato appariva già molto diversa, (grazie al contributo offerto della manodopera di schiavi neri) nelle ex colonie britanniche del Nord America; verso il 1800 esse già fornivano alle industre inglesi un terzo circa della materia prima necessaria; questa cifra raddoppiò entro il 1815. In tal modo venne risolto alla radice il problema di reperire la quantità necessaria di cotone grezzo: tra rivoluzione industriale e schiavismo esiste un modo che viene troppo spesso dimenticato o sottovalutato. Nuove macchine per filare il cotone Nuove macchine Infatti i tessuti in cottone sono più leggeri ed economici di quelli della lana; inoltre l’applicazione delle procedure di meccanizzazione al cotone era decisamente più agevole, perché il di cotone è più omogeneo e resistente rispetto al filo di lana e quindi si presta meglio alla lavorazione industriale. Specie all’inizio del processo di meccanizzazione, quando il movimento delle macchine risultava ancora poco fluido e omogeneo, questo aspetto costituì un elemento decisivo a favore del cotone. Per tutti questi motivi,la domanda di tessuti in cotone crebbe notevolmente nell’arco del Settecento. Nuove macchine per filare il cotone Infine un contributo non secondario lo forni la nova moda dell’abbigliamento, che nel Settecento era in evoluzione: cresceva infatti, anche tra persone di reddito meno elevato, la domanda d’indumenti interni (biancheria intima e camicie) a costo relativamente basso. D’altro canto, la varietà di colori e disegni stampati che caratterizzava i tessuti in cotone affascinava anche gli appartamenti alle classi agiate. Macchine per filare il cotone La Lotta dei lanieri contro il cotone La Lavandaia di Giacomo Cenuti La lavandaia Lo sviluppo di un’industria cotoniera era però guardato con molto sospetto dai potenti produttori di lana. Essi erano impegnati soprattutto a mantenere la propria posizione di forza contro la minaccia proveniente dall’importazione delle pregiate stoffe di cotone indiane. L’India deteneva infatti un semi-monopolio nella fabbricazione ed esportazione dei tessuti, realizzati dagli artigiani dei villaggi e importati in Inghilterra dalla compagnia delle Indie Orientali. Su pressione delle lanieri, le autorità inglesi cominciarono a tassare i prodotti tessili indiani per difendere l’industria laniera nazionale, meno apprezzata. Ma la storia era in marcia e i lanieri si trovarono in una posizione di retroguardia, alla lunga perdente. Dopo la metà del secolo, la loro forza s’indebolì man mano, con il risultato che, nel giro di qualche decennio, si assistette a un forte sviluppo della manifatturiera di cotone. La manifatturiera del cotone Lo discorso in modo inequivocabile, i numeri. Nel periodo 1770-1815 le importazioni di cotone grezzo in Inghilterra crebbero di oltre 20 volte, passando da circa 1960 a oltre 43 400 tonnellate. Questo alle esportazioni, verso il 1775 l’industria cotoniera in inglese forniva solo una piccola frazione, rispetto all’enorme contribuito dell’industria laniera: i tessuti di cotone esportati erano il 5% dei tessuti di lana, a equivalenti a 240mila sterline delle esportazioni di lana. Ma dopo il 1780, la crescita delle esportazioni del cotone fu impetuosa le 350 mila di sterline del 1780 divennero 1,6 milioni nel 1790 e 5,4 milioni nel 1800 del valore totale delle esportazioni britanniche, mentre quelli di lana, pur cresciuti in valore assoluto, erano minuti al 18% delle esportazioni totali. La lotta tra le corporazioni laniere e la Compagnia delle Indie Orientali segnò un punto a favore delle prime nel 1721, allorché si proibì per legge l’importazione di questo tipo di merci dall’India. Gli imprenditori della lana si convinsero, a quel punto, che non era necessario impegnarsi sul versante dell’innovazione tecnica e che la protezione politica fosse più che sufficiente al proprio mantenimento e alla propria crescita. Campagna delle Indie Orientali