Zona dell’Alto Sebino Parrocchia di Lovere Corso biblico in 6 incontri 1) Introduzione generale alla Bibbia e all’Antico Testamento 2) Pentateuco e Libri storici 3) Libri profetici e sapienziali 4) Introduzione al Nuovo Testamento 5) Sinottici e Atti degli Apostoli 6) Giovanni, Paolo e Lettere cattoliche 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 1/17 4) Introduzione al Nuovo Testamento Bibliografia di riferimento: - PENNA, R., La formazione del Nuovo Testamento nelle sue tre dimensioni, San Paolo, Cinisello B. 2011. - EBNER, M., SCHREIBER, S., (edd.), Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2012. - AA. VV., Atlante della Bibbia, Edizioni Paoline, Roma 1983. - SERAFINI F., PEREGO G., ABC delle mappe bibliche – piccolo atlante biblico per accompagnare la lettura e lo studio della Bibbia, San Paolo, Cinisello B. 2006. 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 2/17 Dove eravamo rimasti? ROMANI ASMONEI SELEUCIDI La situazione storico-politica tra l’A.T. ed il N.T. FINO ALLA NASCITA DI GESU’ Antioco IV Epifane SACCHEGGIA IL TEMPIO DI GERUSALEMME, 168 a.C. RIVOLTA dei Maccabei (cfr 1-2 Maccabei) Giuda Maccabeo PURIFICA E RICONSACRA IL TEMPIO, 164 a.C. Simone Maccabeo, 140 a.C. sommo sacerdote e Re dei Giudei. Giovanni Ircano, 134 a.C. presa e devastazione di Samaria. Inizia la dinastia Asmonea. 64 a.C. Pompeo entra in Gerusalemme, profana il Tempio, la Siria è Provincia romana. 37 a.C. Erode il Grande è nominato dai Romani re dei Giudei. Il suo regno comprende quasi tutta la Palestina (in giallo sulla carta); ristruttura ed amplia il Tempio. Durante il suo regno nascono Giovanni il Battista e Gesù (cfr Mt 2). Alla sua morte (4 d.C.) il territorio, con il benestare dei Romani, è diviso tra i suoi 3 figli: Archelao, Erode Antipa e Filippo. 3/17 La situazione AL TEMPO DI GESU’ Archelao: etnarca di Giudea, Samaria, ROMANI Idumea, deposto nel 6 d.C. e sostituito in seguito da una serie di Procuratori romani che risiedevano a Cesarea M. ed andavano a Gerusalemme solo per le grandi feste giudaiche. Dal 26 al 36 d.C. fu Procuratore Ponzio Pilato. Erode Antipa: tetrarca di Galilea e Perea fino al 39 d.C., risiedeva a Tiberiade, tenne un comportamento antireligioso (Erodiade, uccisione del Battista, processo di Gesù Lc 23,612), esiliato da Caligola. Filippo: tetrarca in Transgiordania nord fino al 34 d.C., risiedeva a Cesarea di Filippo; pochi giudei nel suo territorio, muore senza eredi. Il potere legislativo e giudiziario era detenuto dai Romani; limitatamente a questioni di culto era riconosciuta la funzione legislativa e giudiziaria del Sinedrio (70 membri, tribù di Levi) e l’autorità del Sommo Sacerdote (discendente di Aronne, Kohen). 4/17 Fatti principali DALLA RISURREZIONE DI GESU’ ROMANI Nel 34 d.C. Erode Agrippa, nipote di Erode il Grande, succede a Filippo in Transgiordania; a lui poi viene data da Caligola anche la parte di Erode Antipa ed infine regna anche sulla parte del Procuratorato romano, riunificando tutto il regno del nonno dal 41 al 44 d.C.. Pio giudeo, lodato da scribi e farisei, perseguita la comunità cristiana di Gerusalemme (morte di Giacomo di Zebedeo, prigionia di Pietro cfr At 12,1-3). Alla sua morte (cfr At 12,20-23) tutta la regione passa sotto Procuratori romani, dipendenti dal Governatore di Siria. Con due di essi, Felice (dal 52 d.C. cfr At 24,1-26) e Porcio Festo (dal 60 d.C.), ebbe a che fare Paolo durante il suo processo. (cfr At 25). Dal 60 d.C. aumenta l’odio dei Giudei verso la dominazione romana. Nel 67 d.C. insurrezione a Gerusalemme degli Zeloti e conseguente reazione romana. Nella lotta tra due fazioni (Zeloti ribelli e Sadducei filoromani) la comunità cristiana, neutrale, si rifugia a Pella (Transgiordania). Nel 70 d.C. assedio di Gerusalemme da parte di Tito che poi brucia il Tempio e fa deportare a Roma i capi della resistenza. L’ultima distruzione del Tempio segna la fine del centro visibile del giudaismo che però continua; viene in luce il movimento farisaico guidato dagli scribi nella ricostruzione delle comunità. Il culto non ha più il suo centro nel Tempio ma nelle sinagoghe. Nel 132-135 seconda rivolta contro i Romani, sotto Adriano, guidata da Bar Koshiba. Dopo la sconfitta dei ribelli e la morte di Bar Koshiba sulle rovine di Gerusalemme è fondata dai Romani Aelia Capitolina con un tempio di Giove ed il divieto di ingresso per i giudei. Con questo decreto inizia la diaspora. Il giudaismo in età neotestamentaria Alcuni orientamenti chiave • Il giudaismo della diaspora Anche prima della distruzione del Tempio del 70 d.C. gli Ebrei erano più numerosi nella diaspora che in terra d’Israele. Comunità sparse in tutto il bacino del Mediterraneo, in contatto con l’ellenismo e con una progressiva perdita della lingua ebraica e aramaica. Convivenza tranquilla fino alla rivolta maccabica che spinse ad una ripresa di coscienza della propria individualità di popolo separato dagli ambienti non giudaici per restare fedele all’eredità dei padri. Giudei stimati ma anche derisi e avversati, perseguitati dai pagani, mai a casa loro però sempre fedeli all’unico Dio e a Israele come popolo eletto. I LXX: traduzione greca della Bibbia ebraica, esigenza del culto sinagogale per dimenticanza della lingua originaria, poi abbandonata perché usata dalle comunità cristiane che si diffondevano rapidamente. Nascono nuove traduzioni nel II – III sec. d.C. (Aquila, Teodozione, Simmaco). Filone Alessandrino (25 a.C.): esegeta e “teologo” del giudaismo della diaspora, studioso e interprete della Torah con fondamenti greci, esegesi sistematica, metodo allegorico in chiave etica e psicologica. Non ebbe molta influenza nella comunità sinagogale, ma fu modello per i cristiani di Alessandria e la teologia di Origene e Clemente Alessandrino. Giuseppe Flavio (37 d.C.): proviene dal giudaismo palestinese, vive nella diaspora, apologo del giudaismo, non esprime originalità ma le idee correnti del giudaismo sinagogale. Storico, scrive le Antiquitates Iudaicae in 20 libri, dalla creazione alla guerra giudaica, che contengono molti dati sul giudaismo ai tempi Il giudaismo in età neotestamentaria - segue • La tradizione orale Ai tempi di Gesù il canone ebraico era praticamente già chiuso, anche se formalmente la delimitazione definitiva avviene tra il I e II sec. d.C. Tuttavia la Torah, in quanto ricevuta e trasmessa, non era composta solamente dalla parte scritta ma anche da una parte orale (tradizione dei Padri), fondata e verificata sulla lettura esegetica del Pentateuco ed insegnata dai Rabbi non meno che la Torah scritta. Questa parte orale, di interpretazione della Scrittura, costituisce l’Halaka (spiegazione dei precetti) e l’Haggada che la completa con esempi vivaci ed ampliamenti). Tale materiale, arricchitosi nel tempo anche per la sempre nuova casistica, veniva tramandato oralmente e imparato per ripetizione da parte degli scribi. Verso la metà del I sec. d.C. si iniziò a vagliare, raccogliere e trascrivere la tradizione orale; questo processo di ordinamento, che durò circa un secolo, confluì poi nella Mishna (dottrina da apprendersi) in 63 trattati di diverso argomento. Nel V sec. d.C., per il continuo aumentare della casistica e di molteplici tradizioni fu composto il Talmud (palestinese più breve e babilonese più completo) riconosciuto in tutto il mondo giudaico come redazione definitivamente valida della dottrina rabbinica e delle molteplici scuole (soprattutto Hillel e Shammai): contiene 613 comandamenti (248 precetti e 365 divieti). 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 7/17 Il giudaismo in età neotestamentaria – segue • Gli scribi: fin dai tempi di Esdra, erano coloro che sapevano scrivere e tramandare la tradizione e l’interpretazione della Torah. Saggi e dottori della legge, risolvono questioni teologiche e giuridiche ed hanno alto compito ed alta reputazione presso il popolo. Compiuti studi lunghi ed approfonditi presso un maestro, in comunità di vita, l’allievo viene ordinato scriba a sua volta e può diventare Rabbi. Dal II sec. d.C. sono ricordati nomi illustri: Hillel (maestro di Gamaliele che lo fu di Paolo) e Shammai. Sopravvissero alla distruzione del Tempio, nonostante perdite gravissime durante le rivolte giudaiche. • I farisei: da pherushim (separati), si tengono lontani da contatti che possono compromettere la purità, si ritengono la comunità santa di Dio. Il movimento si origina in epoca maccabica, per preservare il giudaismo dall’irruzione della cultura ellenistica. Sono i pii ebrei fedeli alla Torah, sempre contro gli occupanti ma non con comportamenti violenti o di guerra aperta. Per seguire scrupolosamente i precetti (purità, decime, opere devote, digiuni) si chiudono in comunità, dirette dagli scribi, ponendosi a modello dei fedeli. Molto influenti e con grande reputazione presso il popolo, seguono la Torah scritta ed anche la tradizione degli antichi (con cavilli e scappatoie), credono nella resurrezione dai morti e nella speranza messianica. Influenti anche nel Sinedrio, avranno grande rilievo nella dottrina sinagogale e cultuale dopo la distruzione del Tempio. 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 8/17 Il giudaismo in età neotestamentaria – segue • I sadducei: aristocrazia sacerdotale (discendenza da Sadoq) costituita da membri di famiglie influenti gerosolimitane (Sadociti). In maggioranza nel Sinedrio, contrastati da farisei e zeloti, avevano un’autorità legata al diritto (ereditaria) e dottrinale: osservanti rigorosi della sola Torah scritta, non credevano a angeli, demoni, resurrezione, non cercavano casistiche raffinate. In politica posizioni moderate-conservatrici, concilianti con le rivolte ma anche allineati al potere per la loro presenza in ruoli eminenti (Sommi sacerdoti) e cariche pubbliche fin dal tempo degli Asmonei ed anche con i Romani. Mal sopportati dal popolo, scompaiono con il Tempio. • Gli zeloti: da zelotai (zelanti) sono sostanzialmente farisei che, fin dal tempo del censimento della Giudea del 6 d.C., sotto la guida di Giuda il Galileo si staccano dalla comunità farisaica per sdegno e fermo amore alla libertà. Unica guida e signore per loro è Dio (no imposte, no imperatore, lotta armata per la libertà). Forzano l’avvento del Regno con la violenza e attentati, fomentano disordini e raccolgono molte adesioni tra il popolo. Anime delle rivolte giudaiche scompaiono completamente con la repressione imperiale romana. 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 9/17 Il giudaismo in età neotestamentaria – segue • Gli esseni: • La comunità di Qumran: da hasajja (pii) oppure assaya (guaritori), mai nominati nel N.T. ma solo dagli storici (Giuseppe Flavio). Farisei ancora più osservanti ma senza vita pubblica: vivevano appartati nei villaggi in comunità strette, no matrimonio o solo per procreare, no proprietà privata, preghiera, lavoro nei campi, silenzio, gerarchia e regole rigide. Una comunità anche sulle rive del Mar Morto (Qumran?). ci sono moltissimi punti di contatto fra le fonti classiche che parlano degli Esseni ed i documenti ritrovati a Qumran (dal 1947). I membri della comunità praticavano la comunione totale dei beni in una organizzazione di tipo monastico, con celibato e noviziato, avevano una dottrina propria per un cammino di ascesi e conversione personale, celebravano un culto ininterrotto secondo un calendario liturgico diverso da Gerusalemme. Credevano in un destino immutabile dipendente dalla volontà di Dio e nell’immortalità dell’anima. Attendevano 2 Messia (idea classica del Messia davidico + idea di un Messia sacerdotale come mediatore tra Dio e popolo), preceduti da un profeta che inaugurasse i tempi messianici. A Qumran si arriva a una delle dottrine messianiche sicuramente più complete, più elaborate e complesse di tutto il giudaismo, si passa da un messianismo di tipo politico ad un’attesa di tipo trascendente. . 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 10/17 Il giudaismo in età neotestamentaria – segue • L’attesa messianica Fuori da Qumran il messianismo giudaico è molto complesso e molto meno sistematizzato. Semplificando: inizialmente il Messia risponde a una visione di tipo nazionale, appartiene al popolo di Israele, è un discendente di Davide, salverà il suo popolo dai nemici politici. Con il tempo l’idea dell’unzione del Messia si sviluppa e diventa una figura sempre più caricata di poteri soprannaturali perché l’unzione è consacrazione da parte di Dio stesso. Si arriva anche, nel giudaismo più recente, dal 70 d.C. in poi, a parlare di preesistenza del Messia. Egli viene eletto dall’inizio e siede accanto a Dio prima di mostrarsi sulla terra. Inoltre, con l’ampliarsi dei confini politici, si allarga anche la prospettiva verso la salvezza universale: salvati sono i buoni, che appartengano a Israele o no. In ogni caso prova e tribolazioni finali contrassegneranno l’attesa e la venuta del Messia; Elia è identificato come il precursore; la venuta del Messia sarà dopo un periodo di penitenza di Israele. Nell’attesa messianica manca completamente l’idea di un Messia sofferente (i canti del servo di Iahvè di Isaia non rientrano nell’attesa messianica); infatti uno dei problemi che gli evangelisti devono affrontare è proprio il problema della sofferenza di Gesù. 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 11/17 Il giudaismo in età neotestamentaria – segue • Movimento e letteratura apocalittica Cercano risposte alla domanda: quando Dio attuerà le sue promesse? L’apocalittica, che si sviluppa tra il II sec. a.C. e il II d.C., è un tentativo di risposta al problema della sofferenza presente, che è in netto contrasto con le promesse di Dio. La letteratura apocalittica (apocalypsis=svelamento), di tipo esoterico, era intesa per gruppi di pii, per coloro che erano in grado di comprendere, per comunità di osservanti rigorosi della Torah che guardavano con speranza ad un rivolgimento universale che trasformasse tutto, secondo una struttura di tipo dualistico: questo mondo passa, l’altro viene; le sciagure presenti preannunciano la svolta verso la redenzione; Dio attuerà un nuovo mondo (nuovo eone), senza più fine, dove i pii avranno salvezza; solo Dio conosce il tempo, i pii possono riconoscerne i segni. Nell’apocalittica ricorre la figura di un salvatore messianico (Figlio dell’uomo), inviato da Dio per eliminare il dolore, la malattia, la morte, vincere Satana e restaurare il Paradiso (cfr Dn 10). Anche le prime comunità cristiane attendevano come vicina la venuta del Signore ma c’è diversità tra l’apocalittica giudaica e quella cristiana: la centralità cristologica. Il Messia, colui che deve venire, è il Crocifisso e Risorto: non serve più attendere passivamente ma rispondere personalmente ed annunciare il suo vangelo. Questa rilettura degli scritti messianici da parte dei cristiani ebbe come conseguenza il rifiuto, da parte delle comunità sinagogali dopo la distruzione del Tempio, dei libri apocalittici, per distinguersi dai cristiani. Nell’A.T. rimangono alcune sezioni negli scritti più recenti (Daniele, Zaccaria, Isaia) mentre esistono varie Apocalissi apocrife e gli scritti di Qumran. Dal Vangelo orale al Vangelo scritto La tradizione kerigmatica nei discorsi missionari degli Atti degli Apostoli e in 1Cor 15 Nei Vangeli, sia per quanto per quanto riguarda il contenuto che la forma, distinguiamo ciò che è proprio di Gesù (Gesù storico) e ciò che è proprio della Chiesa. Tradizione kerigmatica: alcuni discorsi in Atti 2; 3; 10; 13 hanno in comune uno schema, come un primo abbozzo del vangelo (primo annuncio). Secondo la critica letteraria Luca ha redatto col proprio stile questi discorsi, che però hanno anche un linguaggio e una struttura (annuncio e contenuto) che rimandano a una tradizione precedente: - il primo discorso di Pietro alla folla nel giorno di Pentecoste; - parole di Pietro dopo la guarigione di uno storpio alla porta Bella; - parole di Pietro in casa di Cornelio, seguito dalla pentecoste dei pagani; - il discorso di Paolo nella sinagoga di Antiochia. I motivi per cui questi discorsi suscitano interesse: - la funzione narrativa, - lo stile particolare, - il medesimo schema. Per essi Luca si sarebbe rifatto alla tradizione kerigmatica apostolica del primo annuncio cristiano che, soprattutto se rivolto agli Ebrei, toccava una serie di punti che erano imprescindibili: 1 - introduzione; 2 - elemento geografico, anziché storico: Galilea e Giudea. In genere “…incominciando dalla Galilea…” ed il collegamento con il Battesimo predicato da Giovanni; 13/17 3 - riferimento all’azione potente in Gesù in parole ed opere, per dimostrare che Gesù è realmente l’inviato di Dio; 4 - l’essere testimoni di ciò che è accaduto in Gerusalemme; 5 - innalzamento di Gesù alla destra di Dio, o glorificazione di Gesù, o ruolo di giudice di Gesù ed effusione dello Spirito. 6 - argomento delle apparizioni con valore apologetico, per testimonianza diretta. Anche in 1 Cor 11,23-25 e 1Cor 15 compare un annuncio kerigmatico, stavolta rivolto ai cristiani, che indica quanto la tradizione sia fondamentale nell’esperienza del cristianesimo, come lo era per il giudaismo. Paolo sottolinea l’antichità, quindi l’autorevolezza della tradizione: è un kerigma davvero originario per due passaggi chiave, l’Eucaristia e la resurrezione dei morti. Paolo vuole dire che il Vangelo non è invenzione sua, ma che egli a sua volta lo ha ricevuto dalla tradizione orale, che è la catena ininterrotta che va da maestro a discepolo ed è garanzia. Altri aspetti: 1 - diversità di taglio perché l’annuncio è rivolto ad uditori diversi: gentili, giudei, greci, cristiani; 2 - intento apologetico: l’intenzione è quella di dimostrare che le accuse rivolte ai cristiani e rivolte a Gesù stesso non sono fondate. Conclusione: sicuramente alla base di questi annunci c’è una tradizione molto antica, che è la tradizione kerigmatica. Da questo nucleo si passò a una tradizione più complessa che approfondiva i diversi temi contenuti in sintesi nel primo annuncio Il Nuovo Testamento è quindi un testimone della tradizione orale e in Lc 1,1 viene esplicitato: la modalità è proprio quella rabbinica e la relazione tra tradizione orale e scritta è inscindibile, garantita dalla testimonianza oculare. Esempio: i loghia, le mnemotecniche di Mt 5 (parole gancio, formule introduttive simili), da valutare nella lingua originale e secondo gli usi del tempo. 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 14/17 • 5 criteri di storicità dei Vangeli: 1. 2. 3. 4. 5. molteplice attestazione discontinuità (o imbarazzo) conformità spiegazione necessaria stile • Tradizione orale viva, fedele, controllata - La tradizione orale è una tradizione viva perché subisce adattamenti di vario tipo (linguistico, sociale, culturale, ecclesiale). - La tradizione orale è una tradizione fedele sia al senso che alla lettera, privilegiando, di volta in volta, l’uno o l’altro. Forma o messaggio adattati sono garanzia di fedeltà al Gesù storico (non si tratta cioè di trasmissione ingenua ma pensata). - La tradizione orale è una tradizione controllata: in Gal 2 leggiamo che Paolo va a sottoporre il suo Vangelo ai capi della Chiesa di Gerusalemme, per non trovarsi nel rischio di correre o di aver corso invano, con un gesto di sottomissione, di obbedienza, per essere in comunione con gli Apostoli. In At 8,14-15 leggiamo che Pietro e Giovanni vanno dai Samaritani per verificare l’annuncio fatto. In At 11,22-24 Barnaba si reca ad Antiochia per lo stesso motivo. In Gv 21,24 si parla di testimonianza vera e verificata. 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 15/17 • Dalla tradizione orale alla redazione scritta I concetti di fedeltà e controllo non sottintendono l’idea di replica identica e stabile ma piuttosto quella di vitalità dinamica. La vitalità dei Vangeli, proprio perché fedele e controllata, dipende allora dai suoi portatori, da coloro che lo hanno annunciato e dalle scuole che hanno raccolto le diverse tradizioni: - i discepoli di Giovanni Battista; - le tradizioni sui miracoli conservate nei luoghi in cui questi erano avvenuti e legate alla tradizione locale; - le tradizioni particolari ricordate nella comunità di Giovanni il cui Vangelo ha un andamento e un aspetto completamente diverso da quello dei Sinottici; - il Vangelo di Marco probabilmente collegato con la testimonianza di Pietro; - il Vangelo di Matteo, che viene identificato con Levi; - Giacomo, Paolo, Barnaba. Questa vitalità, legata ai comunicatori e alle diverse comunità, diviene allora anche diversificazione, ma l’importante, per i primi cristiani, era sapere che i Vangeli avevano un fondamento nella testimonianza oculare. 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 16/17 Lo studio della formazione del Vangelo scritto • La domanda di fondo è ora: come si sono formati i Vangeli? L’esegesi approccia il testo o con metodo diacronico (secondo il criterio storicotemporale, più antico) o con metodo sincronico (analisi e interpretazione del testo nella sua forma attuale, più moderna). L’esegesi storico-critica si occupa del passaggio dal Vangelo orale al Vangelo scritto che diventa oggetto di studio mediante diversi tipi di approcci: 1 2 3 4 - Critica Critica Critica Critica delle forme (Gunkel, generi letterari, Sitz im Leben) delle fonti (fine del ‘700, Wellhausen, analogia con il Pentateuco) della redazione (importanza del ruolo del redattore finale) della tradizione (storia dei vari stadi di formazione del testo) Nella storia dell’esegesi compare prima la critica delle fonti, poi quella delle forme e infine della redazione e tradizione ma, in ordine logico di studio, la critica delle forme viene prima, poi interviene la critica delle fonti e infine la critica della redazione e tradizione. Importante ricordare che, prima di ogni studio esegetico, bisogna porre tutto lo studio filologico previo (paleografia e linguistica) dei testimoni del N.T. (papiri e codici): la critica testuale. E’ questa che consegna un testo all’esegeta perché senza una certezza di lettura non c’è esegesi solida. 2014 Prof.ssa Marialaura Mino 17/17