transizione manuale
Chi ha dato
al dolore
Questa
voce,
figli edell’uomo
fratelli,il èsuo
fracarattere
le piùsovrumano,
misteriose
oggetto di rispetto, di cura, e di culto, è Cristo paziente, il grande fratello
e le più benefiche che abbiano attraversato
di ogni povero, di ogni sofferente. V’è di più: Cristo non mostra
il quadro
soltanto la dignità
del dolore;della
Cristovita
lanciaumana.
una vocazione al dolore.
Mons. Luigi Novarese
Gesù chiama il dolore ad uscire dalla sua disperata inutilità
e a diventare, se unito al suo,
fonte positiva di bene,
fonte non solo delle
più sublimi virtù
che vanno dalla pazienza
all’eroismo e alla sapienza,
ma altresì alla capacità
espiatrice, redentrice,
beatificante propria
della Croce di Cristo.
(Paolo VI,
27 marzo 1964)
Mons. Luigi Novarese
Il segreto di questa trasformazione di valori, che
da una negatività assoluta acquista valori insondabili,
Vivendo con Lui
si diventa
tralci uniti alla vite;
tralci che,
necessariamente
producono
i frutti della pianta,
a cui sono
intimamente uniti
(cfr Gv 15, 5).
come insondabile nella Sua carità
infinita è il Cuore di Gesù Cristo,
sta nell’unire la propria
sofferenza a quella di Gesù,
vivendo con Lui in grazia.
Mons. Luigi Novarese
“Ricordi ognuno di noi questa ineffabile possibilità.
Le nostre sofferenze diventano buone,
diventano preziose.
Nel cristiano si inizia un’arte strana
e stupenda: quella di “saper soffrire”,
quella di far servire il proprio dolore
alla propria ed alla altrui redenzione.
Giunio
Tinarelli
Angiolino
Bonetta
(Servo di Dio)
(Servo di Dio)
Angela Negri
Anna Fulgida
Bartolacelli
Fausto
Gei
Cristiano
Pavan
Margherita
Quaranta
Mario
Capone
Giunio
Tinarelli
(Servo di Dio)
La sera del 26 maggio 1938,
Giunio – che cammina
ormai trascinandosi
faticosamente
e procede piano piano –
arrivato sul Ponte Romano,
a 200 metri dalla casa di Lina,
vede che la ragazza
sta uscendo con la sorella.
La ragazza gli passa accanto
e fa finta di non riconoscerlo.
È la fine: una coltellata
al cuore per il giovane infermo.
Giunio Tinarelli
Giunio ne soffre
profondamente
ma ha la forza
di saper scorgere
anche in questo
abbandono
la misteriosa
volontà
del Signore.
Giunio Tinarelli
Il dottore
che lecomincia
cure
Il bel disse
giovanotto
che si a
potevano
fare
nonun
erano
molte
incurvarsi
come
vecchietto,
e così pure
la speranza
riabilitazione
a camminare
condi
estremo
sforzo,
perché sembrava
il midollo
non ce laleso
fa più
a stare spinale.
dritto.
Giunio Tinarelli
Quante volte aveva
chiesto al Signore
di poter usare liberamente
almeno le braccia e invece…
anche queste sono bloccate
Una crisi di pianto
disperato gli scoppia nel
petto, una ribellione cieca
lo porta alla rivolta
contro tutto e contro tutti.
Giunio Tinarelli
INTERROGATIVI DI FRONTE AL DOLORE
«Vede, don Peppino, come il Signore mi ha voluto umiliare?
Che cosa ho fatto di male?
Perché non mi ha lasciato le braccia libere,
almeno per farmi le mie pulizie intime
senza dipendere dagli altri?»
Giunio Tinarelli
LA SPERANZA CERTA
Dopo il primo momento di smarrimento Giunio mette a frutto i semi di bene
della sua giovinezza – si abbandona completamente alla volontà di Dio:
«Nella volontà del Signore è la mia gioia e la mia pace»
Giunio Tinarelli
Il suo “Si” di pieno abbandono
alla volontà del Signore
trasforma la vita di Giunio che, a poco a poco,
ritrova il gusto di una preghiera continua,
fiduciosa e trasformante e fa rinascere in lui
il bisogno del nutrimento spirituale.
La devozione alla Madonna
è il suo conforto più grande.
Giunio Tinarelli
«Per me la migliore ricchezza
è la sofferenza,
la quale mi permette
di tanto in tanto di depositare
nella Banca del Signore
parte delle mie sofferenze
con la speranza di poterle
prelevare quando il Signore
mi chiamerà per la vita eterna.»
Giunio Tinarelli
Angiolino
Bonetta
(Servo di Dio)
Finite le elementari, si apre un capitolo nuovo nella
vita di Angiolino. Sono le pagine completamente
sconosciute del dolore. Tempo di prova, tempo di
mistero, tempo di grazia.
Angiolino Bonetta
Una sofferenza martellante
al ginocchio destro,
un gonfiore sospetto
e certe fitte acute di dolore
in forma intermittente…
Angiolino Bonetta
Angiolino avverte
ben presto che
la prova delle lacrime
è anche un’occasione
di purificazione,
di intercessione,
di redenzione.
Angiolino Bonetta
L’INVOCAZIONE
DI ANGIOLINO
NEL MOMENTO
DEL DOLORE
«Signore,
ti ho offerto tutto
per i poveri peccatori;
ma ora… aiutami!
Aiutami!».
Angiolino Bonetta
Nei primi giorni,
dopo l’amputazione della gamba
e la dimissione dall’ospedale,
ad Angiolino non mancano
la paura di esporsi,
né le umiliazioni e i groppi sullo stomaco.
Ma presto prende confidenza
con le stampelle…
a chi gli chiede mestamente
cosa gli è successo,
indicando il moncone della gamba
risponde sorridendo:
«Me l’han mangiata i topi!»
Angiolino Bonetta
Nella preghiera, nell’amore alla Madonna,
nel calore dell’Eucaristia,
Angiolino trova la forza
per continuare a sorridere,
a fare del bene,
ad irradiare gioia
e speranza.
Angiolino Bonetta
Angiolino sente il sorriso della Madonna
soprattutto nelle ore di dolore,
nei momenti di solitudine.
Sono le occasioni in cui la recita del Rosario
gli riaccende il cuore e gli riporta la gioia di sempre.
Angiolino Bonetta
Angela Negri
«Vedevo la sofferenza
come un limite,
come un ostacolo,
un impedimento alla vita, alla gioia.
Sentivo la mia vita inutile, vuota».
Angela Negri
«L’incontro con la madre Chiesa,
con il Suo messaggio, il suo programma di Lourdes
e di Fatima e con i realizzatori di questo programma
e la mia adesione al Centro Volontari della Sofferenza
trasformarono completamente la mia vita».
Angela Negri
«Prima di conoscere
e amare il Maestro
io sono stata
una povera ragazzina infelice,
terribilmente infelice.
Io conoscevo che sapore amaro
ha il dolore quando non se ne
comprende il valore e il senso».
Angela Negri
DILANIATA TRA IL LEGAME D’AFFETTO
PER LA PROPRIA FAMIGLIA
E LA CHIAMATA ALLA VITA RELIGIOSA
«Con il corpo sono a Roma, ma solo con il corpo; l’anima è a Re!
Ho vergogna di tutto ciò, ho vergogna del mio amore e vorrei
nasconderlo ma non posso».
Angela Negri
Angela si sforza di
mostrarsi sempre
allegra,anche quando
non le mancano
le sofferenze interiori;
sofferenze che nascono
anche dai suoi
scoraggiamenti
e dai suoi difetti
non sempre facilmente
superabili.
Con umiltà lei lo riconosce. Di fronte
alle frequenti debolezze e miserie della vita
comunitaria esprime ripetutamente la sua
ripugnanza e ribellione per le stupidaggini di cui
è circondata la vita delle suore.
Angela Negri
Non mancano momenti
di crisi e di inquietudine.
Soprattutto a causa della pesante
responsabilità e dello scoraggiamento
che nasce dalle sue pretese limitazioni
e dal suo impedimento nel camminare.
Angela Negri
«La tentazione di cedere le armi
e abbandonare
il mio campo di battaglia
mi tormenta sempre.
Ma cerco di combatterla e ignorarla.
Preferisco morire lavorando per
l’Opera della Madonna
che vivere in pace senza nessun
fastidio fuori di essa».
Angela Negri
«Ho imparato e imparo ogni giorno
che la vera gioia scaturisce dalla sofferenza
o, meglio, dall’amore che accetta
di soffrire per potersi
donare totalmente.
Ogni dono d’amore richiede
un sacrificio
e ogni sacrificio
fatto per amore
porta gioia».
Angela Negri
«La Madonna è
il mio unico rifugio,
la soluzione di tutti
i miei problemi,
di tutte le mie crisi
e in fondo penso che
anche se non so
far nulla, se
non so amare,
se non so soffrire,
se non so capire
neanche me stessa».
Angela Negri
UNA SPERANZA CERTA
«La Croce è solo un passaggio;
la gioia è una dimora».
Angela Negri
Anna Fulgida
Bartolacelli
«Le mie ossa erano come
di vetro e si fratturavano
ad ogni piccolo movimento,
riattaccandosi poi
spontaneamente.
Cominciò anche per me
un duro Calvario;
si può immaginare
quanta sofferenza procuravano
queste fratture in un essere
così vivace come ero io».
Anna Fulgida Bartolacelli
Durante gli esercizi spirituali a Re, Anna dice:
«Man mano che passavano i giorni e meditavo
sulle parole che mi venivano dette
capivo sempre più e sempre meglio
il valore della sofferenza
sul piano spirituale e soprannaturale.
e l’apporto che ciascuno di noi, anche se sofferente
o invalido o impedito, anche se isolato dagli altri
e dal mondo, anche se è immobile fisicamente nei suoi
movimenti e scarsamente adatto ad un lavoro proficuo
economicamente, può dare alla realizzazione del bene comune.
Anna Fulgida Bartolacelli
Per la prima volta in vita mia,
nonostante le sofferenze e i disagi di
una vita intera vissuta nella più
avvilente condizione di invalidità, mi
sentivo veramente felice e realizzata».
Anna Fulgida Bartolacelli
Fausto
Gei
«Ecco mamma.
Questo è il libretto
universitario;
l’Università mi ha chiuso
le porte.
Ho la sclerosi a placche!
È una malattia letale.
Non so quanto durerò!»
Fausto Gei
Lui, ammalato, sofferente, bisognoso di tutto e di tutti percepisce con
chiarezza,ai piedi dell’Immacolata davanti alla Grotta di Massabielle,
la sua singolare vocazione: essere consolatore dei fratelli nel dolore.
«Ciò che non posso fare come medico, lo farò come ammalato!»
Fausto Gei
«Benché la sofferenza molte volte
mi voglia schiacciare con il suo peso,
non voglio essere un vinto e desidero
che il mio spirito trionfi sempre»
Fausto Gei
Credo di aver trovato
il segreto della felicità.
Nonostante la limitazione fisica che mi affligge
sono sempre sereno
perché sono sempre contento di tutto.
Fausto Gei
Non mancano anche a Fausto momenti di defaillance
e giornate di scoraggiamento.
Anche in famiglia: l’ambiente nel quale
l’ipersensibilità dei malati è più facilmente sottoposta
al duro logoramento della routine.
Molte volte mi lascio colpire
da uno stato di avvilimento,
perché mi sento molto solo».
Fausto Gei
«Non dobbiamo scoraggiarci nei momenti di abbattimento
perché tali stati negativi
non persistono a lungo.
Se riusciremo ad offrire alla Vergine
anche questi momenti
tanto dolorosi, quella sarà
la migliore risposta
alle sue richieste presentate
a Lourdes e a Fatima».
Fausto Gei
«Non amo la sofferenza,
ma l’accetto volentieri
perché vedo in essa
l’attuazione
della volontà di Dio.
Soffrire è il più intimo
incontro con Cristo
e la piena partecipazione
al suo amore».
Fausto Gei
«Accettate la malattia come
un mezzo di salvezza.
Non abbandonatevi
a inutili lamentele.
Un’offerta fatta a Dio,
per essere completa,
deve essere generosa
e senza rimpianti».
Fausto Gei
Cristiano
Pavan
Nonostante
tutto l’amore,
la tenerezza
e la premurosa
assistenza con le quali
Cristiano è assistito,
il suo cuore è dilaniato
dall’asprezza della prova
e nulla vale a fargli ritornare sulle labbra
le risate scoppiettanti dell’infanzia perduta.
Cristiano Pavan
Cristiano,
dopo ripetute
e prolungate
giornate di sofferenza
per un martellante
mal di testa e per la paralisi
diventata ormai irreversibile,
continua a dibattersi
Penosamente tra disperazione
e speranza.
Sono gli anni difficili della croce, e
cadono proprio all’inizio
dell’età ingrata dell’adolescenza.
Cristiano Pavan
La riscoperta della fede lo rende avido
della parola di Dio, gli ridona serenità interiore,
Gli fa gustare “il sapore di Cristo”
attraversala preghiera.
Cristiano Pavan
Specialmente attraverso
quella prolungata e dolce preghiera
della corona del Rosario
che è tipica degli ammalati:
perché sembra fatta apposta
per cullare le lunghe notti insonni
dei sofferenti, per spalancare,
anche davanti agli occhi
dei ciechi, la raffigurazione vivente
dei “misteri” di Cristo,
per ritmare momenti di distensione
e di pace nei cuori più afflitti,
per far sentire,
nella propria,
la mano di una Mamma
del Cielo che
non abbandona mai.
Cristiano Pavan
«Ringrazio la Mamma che,
anche nei momenti più oscuri,
mi ha fatto sentire
la sua dolce presenza.
Quanto è buona!»
Cristiano Pavan
Margherita
Quaranta
Il dramma della malattia sconvolge la giovinezza di Margherita e della famiglia.
Si tratta di una malattia reale, grave, dolorosa, martirizzante anche se
inafferrabile nelle sue radici e talvolta strana nelle sue manifestazioni.
Margherita Quaranta
«Vivo talvolta momenti difficili: la natura insorge ribelle,
la giovinezza reclama i suoi diritti,il mondo sembra attraente,
la salute appare allora un bene prezioso, indispensabile.
Soprattutto mi fa paura e suscita ribellione questo lento peggiorare,
questo morire ogni giorno un poco, senza neppure sapere il perché»
Margherita Quaranta
Dopo le prime settimane
di interna ribellione
Margherita compie quella grande scelta
che, nonostante tante lacrime e qualche
ritorno di fiamma
circa la misteriosità dei suoi mali,
manterrà per tutta la vita:
bisogna gettarsi
tra le braccia
dell’Amore.
Margherita Quaranta
Margherita vive terribili momenti di notte dello spirito
soprattutto a causa degli scrupoli.
Una delle inquietudini interiori che maggiormente fanno soffrire
Margherita è il timore di fingere di essere ammalata, appunto
perché i medici non riescono a definire chiaramente in lei
alcuna malattia organica di gravità eccezionale.
Margherita Quaranta
perché non cambierei
nulla della mia vita in quanto son certa,
per me, che il meglio sta
«Soffro
nel
volontà di Dio.
perfare
la la
malattia,
soffro
Non so trovare parole
per
peresprimere
le rinunce,
il
desiderio
lamio
solitudine,
di abbandono
l’inattività
e di amore».
che il male
mi impone
e tuttavia
non posso dirmi
infelice,
anche se
non sento gioia,
Margherita Quaranta
Sostegno primario,
nel suo cammino misto
di lacrime e angosce,
di passione ecclesiale
e di apostolato tra i sofferenti,
di straordinaria capacità
di comprendere e generosità
nel donare,
è la forza che scaturisce in lei
dall’Eucaristia,
il grande amore
della sua vita.
Margherita Quaranta
I dubbi che l’hanno tormentata
durante tutta la vita,
si fanno vivi con prepotenza.
Sofferenze terribili,
causate da una osteoporosi
diffusa in tutto il corpo;
soffriva per il dover dipendere
dagli altri in ogni più piccolo
movimento e necessità:
non riusciva più
a fare niente da sola.
Margherita Quaranta
«Dio è amore. Ad ogni si dell’uomo,
corrisponde una nuova pazzia di Dio.
Dio è chino sempre, su ciascuno di noi,
su di me in particolare.
Margherita Quaranta
L’essere stata chiamata a compatire,
patire con Lui, vuol certo dire
che mi prepara una gloria
meravigliosa in Cielo».
Margherita Quaranta
Mario
Capone
Anche la malattia
più nera è sempre
una vocazione del Cielo.
Mario – già per natura
tanto riflessivo,
delicato e intimista,
nel decennio
del suo Calvario
di malattia coglie
in pieno la profonda
verità delle parole
pronunciate
da Giovanni Paolo II
agli ammalati:
Mario Capone
«La vostra sofferenza presente
non è inutile e tantomeno assurda.
Questa vostra misteriosa vocazione
alla sofferenza è una vocazione all’amore»
Mario Capone
Da persona colta,
intelligente,
interiormente libera
sente la “fatica”
del voto di obbedienza,
ma vi aderisce
per amore
di Dio
e della Comunità…
Mario Capone
«È nel profondo
del nostro Io
che nasce il Si
della nostra vocazione.
Col Si esprimiamo
tutta la nostra persona,
cosciente, libera
e responsabile
nei confronti di Dio.
Ciascuno di noi
ha una propria originalità:
non siamo fatti in serie…
io non ho paura: amo!»
Mario Capone
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Testimoni e seminatori di speranza