Credo che faccia parte di ognuno di noi un’amicizia con qualche animale, ed io non faccio eccezione, anche perché, per fortuna per me, ho sempre abitato in campagna. Avrò avuto dieci anni quando, in una tiepida mattina di maggio, al “mini zoo” di famiglia, portai una civetta a far compagnia al piccolo corvo che già avevo. La trovai che era piccola e impaurita, quando la presi nella mano sentivo il suo cuoricino battere forte ma, ben presto, imparò ad avere fiducia in me, comprese che non le avrei fatto alcun male e anche il suo piccolo cuore si quietò. Si abituò anche ad essere messa in gabbia assieme al corvo per dormire e non si fecero mai alcun male. Quando andavo per funghi mi seguivano, docili e tranquilli, anche se quel furbacchione d’un corvo faceva scorpacciate di funghi buoni, senza lasciarmene neppure uno, e come li conosceva! Lasciava sempre quelli velenosi senza toccarli minimamente, sotto gli occhi incuriositi e pazienti della civettina che aspettava per tornare a casa. Ormai mi seguivano ovunque, anche quando andavo al bar: si accovacciavano vicini su un ramo d’albero e mi aspettavano per far ritorno poi tutti assieme. Mi godevo queste compagnie considerate “insolite”, ma era davvero un piacere sapersi seguiti da questi amici saltellanti e gioiosi e sperimentai quanto potessero essere tenere e affettuose queste creature, così diverse ma anche sorprendentemente simili, per molti aspetti, a noi. Erano ormai i miei compagni inseparabili e mi muovevo spesso con la civetta poggiata sulla spalla e il corvo che ci seguiva; di tanto in tanto si allontanavano per un breve volo, ritornando puntuali a pranzo sul davanzale della mia finestra. Una sera la civetta non trovò la strada e si rintanò sul campanile, restando all’addiaccio tutta la notte, quando la trovai la mattina era intirizzita dal freddo, parve felice di appoggiarmisi contro per scaldarsi e, almeno mi parve, con la promessa di non allontanarsi più. Ma non andò così, i suoi voli divennero sempre più lunghi, cominciando dapprima a non tornare per giorni, finché non ne seppi più nulla: la natura le aveva rivolto il suo richiamo e lei andò, certamente per vivere all’aria aperta, libera e felice, forse, ma anche di assecondare l’affetto di qualche suo simile. Il corvo, invece, restò con me per almeno quindici anni, svolazzando anche lui senza tornare per giorni, ma poi rientrava, finché un giorno se ne andò definitivamente, anche lui per seguire la sua natura. Non ebbi mai alcun male da queste creature e mi insegnarono che basta il rispetto della loro libertà e poche briciole di cibo per averli vicini, e che sanno ricambiare con tanto affetto le attenzioni e le cure che si rivolgono loro. Poi…bisogna amarli tanto da lasciarli andare, senza tentare egoisticamente di trattenerli vicini, quando vogliono seguire la via che la natura ha già tracciato per loro! Dio ha dato loro il volo e il cielo perché siano liberi e felici: la loro vicinanza con gli esseri umani… è solo tanta fortuna per noi!