Il percorso dei Giusti. La memoria del bene, patrimonio dell’umanità .. “...Odòs anw katw mia kai wuth...” …la via in giù e la via in su sono una e la medesima.. Eraclito – K60 ... ... Ide gar anqrwpous oion en katageiw oikhsei sphlaiwdei, anapeptamenhn pros to fws thn eisodon ecoush makran para pan to sphlaion, en tauth ek paidwn ontas en desmois kai ta skelh kai tous aucenas wste menein te autous eis te to prosqen monon oran, kuklw de tas kefalas upo tou desmou adunatous periagein “… dentro una dimora sotterranea a forma di caverna , con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatanati gambe e collo, sì da dover restar fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena di volgere attorno il capo …” Platone, La Repubblica st.514, rr2-ss Catene forgiate dal pregiudizio, saldate al preconcetto, vincolate in uno sterile connubio all’ignoranza e alla bassa sensibilità, pongono in essere una realtà di asservimento all’empietà, condannano le ali dell’intelletto a non dispiegarsi, a non poter conoscere i voli della rettitudine e della giustizia Orchestrine che suonano. Prigionieri con la divisa a strisce. Lavori forzati. Esecuzioni. Camere a gas. Auschwitz. L’orrore di un secolo fatto luogo. Basta varcare il cancello con la <<ARBEIT MACHT FREI>> che un pugno colpisce lo stomaco e alla testa arriva una vertigine lunga,forte. Non sparirà, per molto tempo. I fantasmi del passato tornano a vivere. Il lager era la fine, ovattata dall’omertà, di un sentiero che cominciava dalla negazione dell’uguaglianza tra uomini e che lungo il percorso, vittime di impietosi carnefici, l calpestava la libertà e la dignità di essere uomo. Il lager era una zona grigia, dai contorni non definiti, che insieme congiungeva i due campi dei padroni e dei servi. Possedeva una struttura interna incredibilmente complicata e albergava in sé quanto bastava per confondere il nostro bisogno di giudicare. Il lager era un urto per la sorpresa che portava con sé. Il mondo in cui ci si sentiva precipitati era sì terribile ma anche indecifrabile: non era conforme ad alcun modello, il nemico era intorno ma anche dentro, Il “noi” perdeva i suoi confini, i contendenti non erano due, non si distingueva una frontiera ma molte e confuse, forse innumerevoli, ma fra ciascuno e ciascuno. Ai nuovi arrivati si rasavano i capelli, che venivano utilizzati per confezionare stoffe pregiate e richiestissime, mentre con le pelli tatuate si rivestivano paralumi e si confezionavano oggetti. Chi lavorava aveva una vita media di tre mesi, sei al massimo. In teoria poteva contare su 350 gr. di pane al giorno, un litro di zuppa vegetale, 20 gr. di carne quattro volte la settimana. Ma non era neppure così perché gran parte del cibo veniva rubato dalle SS. Il peso medio degli internati era di 30-40 kg., meno della metà del normale. Nel linguaggio del Lager mangiare si dice ”Fressen”, come per gli animali, le prigioniere sono ”immondizia”, chi è ridotto in fin di vita è “musulmano”, chi è ucciso con iniezioni di cianuro è “schizzato” Questo era il destino di un ebreo deciso dal sadico gioco di un’arbitraria dicotomia che imponeva l’uniformità, concedeva il bene placido all’empietà. Questo era il destino di un ebreo deciso dalla perversa logica del nazional socialismo diretta da un imbianchino di nome Adolf Hitler che una volta, in una birreria, disse: “Se un giorno andrò al potere la prima cosa che farò sarà distruggere il popolo ebraico” Rapidamente quella birreria si trasformò nel III Reich Gli Ebrei erano allora in Germania una ristretta minoranza: circa 500 mila su una popolazione di 60milioni di abitanti. Ma, diversamente da quanto accadeva nei paesi dell’Europa orientale erano concentrati in prevalenza nelle grandi città (quasi 200mila nella sola Berlino) e pur non facendo parte della classe dirigente tradizionale, occupavano le zone medio-alte. Erano per lo più commercianti, liberi professionisti (un terzo dei medici e degli avvocati nelle grandi città erano ebrei), intellettuali, artisti; parecchi avevano posizioni di prestigio nell’alta finanza. Per i nazisti “Ebreo” era chiunque con tre o due nonni ebrei appartenesse alla comunità ebraica al 15 settembre 1935, chiunque fosse sposato con un ebreo al 15 settembre 1935, chiunque discendesse da un matrimonio o da una relazione extra-coniugale al 15 settembre 1935. Secondo il piano della “ liquidazione” nazista, ogni singolo Ebreo doveva essere eliminato fisicamente In modo rapido, sistematico, organizzato, venne pianificato lo sterminio brutale, ingiustificato, dei nove decimi del popolo ebraico, ma anche dell’intera civiltà … Un genocidio dell’umanità … … della razionalità … ….quel silenzio che opprimeva le coscienze individuali fu vinto dall’incalzante avanzare dei giusti, anche di coloro che furono le vittime più innocenti dell’ “Olocausto”…. In qualsiasi momento della storia vi sono Trentasei Giusti al mondo. Essi sono nati giusti, non possono ammettere l’ingiustizia. È per amor loro che Dio non distrugge il mondo. Nessuno sa chi sono e men che meno lo sanno loro stessi. Ma sanno riconoscere le sofferenze degli altri e se le prendono sulle spalle. “Rendere odio per odio, moltiplica l’odio, aggiunge oscurità più profonda ad una notte già senza stelle. La tenebra non può scacciare la tenebra, solo la luce può farlo; l’odio non può scacciare l’odio, solo l’amore può farlo. Io oggi voglio dire che io ho ancora dei sogni, perchè so che nella vita non bisogna mai cedere. Ecco perché io ho ancora il sogno che un giorno gli uomini si rizzeranno in piedi e si renderanno Conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli, che le bambine e i bambini potranno unire le loro mani e passeggiare come fratello e sorella Questa mattina ho ancora il sogno che un giorno ogni uomo rispetterà la dignità e il valore della personalità umana nella convinzione che tutti gli uomini creati sono uguali… Ora è il momento di tradurre la giustizia in una realtà per tutti i figli di Dio…” Martin L. King, I have a dream “Le leggi si possono cambiare o migliorare, ma non violare, poiché altrimenti verrebbe meno la vita in società. Socrate Là dove la legge sia asservita e senza autorità, in quello stato io vedo prossima la rovina; là dove invece essa regna sovrana sui governanti e dove i governanti sono della legge servitori, là io vedo fiorire la salvezza…. Platone, Legislazione Nell’inafferrabilità di un silenzio, soffocato nel buio di una sterile prigione in cui le vittime sono solo l’anima ed il cuore; nell’imperscrutabilità di un destino, celato dall’infecondità dell’animo umano, tra illuse speranze e, amari progetti, tra il gelido sole e la buia luna, tra l’alternarsi di tristi e insoddisfacenti aurore, si celebra il rito del sacrificio delle vittime della Shoah Erano in 15 mila. Non ne sono sopravvissuti nemmeno 100. Avevano un’età compresa tra i 12 e i 16 anni. Bambini. Anime strappate alla vita, sorrisi rubati all’innocenza, soffocati dal latente rumore della violenza. Occhi ingenui che vivono nel buio di una notte eterna, chiusi per sempre nel grigio agghiacciante di una vita appena cominciata e già finita. Nascosti nelle penombre di un lager, disillusi di vivere nella realtà fittizia di un eterno nascondino, respirano la cenere della fine, inconsapevoli del destino a cui devono necessariamente attendere per l’arbitrario volere di chi è incatenato ai legacci dei propri pregiudizi. Piccole mani prematuramente invecchiate dalla fatica, piccoli cuori segnati dalle cicatrici del dolore troppo presto conosciuto. Bambini. Costretti ad essere adulti. Proprio come gli adulti. Stessa identica sofferenza. Potranno per sempre correre negli utopici prati della nostra memoria, echi delle loro risate risuoneranno nelle nostre parole. Per sempre giusti, come solo giusta può essere la loro innocenza Incontaminata, la loro vita non ancora sbocciata e già finita Miei cari genitori, se il cielo fosse carta e tutti i mari del mondo inchiostro, non potrei descrivervi le mie sofferenze e tutto ciò che vedo intorno a me. I miei piedi sanguinano perché ci hanno portato via le scarpe… Tutto il giorno lavoriamo quasi senza mangiare e la notte dormiamo sulla terra (ci hanno portato via anche i nostri mantelli). Ogni notte soldati ubriachi vengono a picchiarci con bastoni di legno e il mio corpo è pieno di lividi come un pezzo di legno bruciacchiato. A volte ci gettano qualche carota cruda e ci si batte per averne un pezzetto, persino qualche foglia. L’altro giorno due ragazzi sono scappati, allora ci hanno messo in fila e ogni quinto della fila veniva fucilato. Io non ero il quinto, ma so che non uscirò vivo da qui. Dico addio a tutti, cara mamma, caro papà, mie sorelle e miei fratelli, e piango… Lettera scritta in yiddish da un ragazzo di 14 anni nel campo di concentramento di Pustkow “Mi trovavo dal fotografo: come ogni ragazzina di 16 anni ero vanitosa. Quando il fotografo mi fece cenno di aggiustarmi i capelli dietro l’orecchio sinistro mi sentii turbata …”. L’orecchio sinistro di un ebreo tradiva, secondo gli scienziati della razza nazional-socialista, l’origine antisemitica degli ebrei. Per questa ragione le fotografie dei passaporti degli ebrei dovevano essere fatte in modo da rendere visibile l’orecchio sinistro. È una stella a sei punte a costituire il limite della libertà di un essere umano. È una stella a sei punte che, come un marchio indelebile, stabilisce il destino di anime giuste gettandole nel buio e nell’incertezza di un domani in bilico tra vita e morte, proiettandole in un mondo di odio e nefandezza, in cui non c’è spazio per la loro purezza, ed il fiore dell’ingenuità viene reciso dal germe della violenza. Anche i bambini tedeschi erano bambini: anime egualmente pure, giuste, ingenue, innocenti, trascinate dagli insensati pregiudizi e dalle folli convinzioni dei loro insegnanti, dei loro educatori, dei loro stessi genitori, a percorrere i bui sentieri dell’ingiustizia e a gettare le basi per la creazione di un mondo lontano da quello magico e fatato che anima i sogni dei bambini. “Il piccolo Franz è andato a raccogliere i funghi nel bosco con la madre. Dopo mezz’ora di ricerca, torna dalla madre esultando per i numerosi funghi trovati ma timoroso che ve ne siano anche di velenosi. La mamma, dolcemente, lo rassicura e coglie l’occasione per impartirgli un “prezioso” insegnamento morale. Strada facendo, infatti, dice: “Guarda Franz, come accade per i funghi nel bosco, lo stesso accade per le persone della terra. Ci sono funghi buoni e persone buone, esistono funghi cattivi e persone cattive. E da queste persone bisogna guardarsi… E sai chi sono queste persone cattive, questi funghi velenosi dell’umanità? Sono gli ebrei. Gli ebrei sono persone cattive. Sono come funghi velenosi. E così come spesso è difficile distinguere i funghi velenosi da quelli commestibili, è altrettanto difficile riconoscere gli ebrei come furfanti e delinquenti. Come i funghi velenosi si presentano con vari colori, così anche gli ebrei riescono a rendersi irriconoscibili assumendo gli aspetti più strani… anche se fingono, anche se si mostrano gentili sono ebrei e rimangono ebrei, sono velenosi per il nostro popolo.” (da “NAZISMO E SOCIETÀ TEDESCA 1933-1945) “Gli ebrei sono la nostra rovina… non c’è differenza tra ebreo ed ebreo… ogni ebreo è nemico del nostro popolo… gli ebrei sono messaggeri del nemico tra noi… non hanno alcun diritto a comportarsi come se avessero i nostri stessi diritti… gli ebrei portano la responsabilità della guerra… con il trattamento che noi infliggiamo loro, non facciamo alcun torto… sbarazzarsi definitivamente di loro è affare del governo…” Joseph Goebbes Tanti giusti che rappresentano un’infanzia tradita, ma anche tanti adulti, vite mature, si sono ribellati all’egida del Nazismo. Esiste un luogo a Gerusalemme, sul monte delle rimembranze, che prende il nome di “parco dei Giusti”, dove migliaia di piante ricordano i nomi di tutti coloro che aiutarono gli ebrei durante gli anni dell’ “Olocausto”. Tra questi Oskar Schindler. Ragioniere alto, biondo, elegante, nonostante avesse sulla giacca un grande distintivo del partito nazista, riusciva ancora a distinguere tra bene e male. Aveva contatti con alti ufficiali nazisti con i quali bevevo per corromperli, ai quali procurava sigarette altre suppellettili di lusso difficilmente reperibili in quegli anni. Scosso dal forte orrore provato di fronte al terrore provocato dai nazisti, cominciò a boicottare questo sistema, avvertì gli ebrei dell’imminente saccheggio dei loro appartamenti nella via Josefa e la via Izaak; riuscì in quattro settimane a liberare trecento donne dall’inferno di Auschwitz. Venuto a sapere che moltissimi ebrei viaggiavano da giorni da una stazione all’altra senza cibo né acqua, prese in mano i documenti di spedizione e inserì Zwittan, la sua città natale liberando così i sopravvissuti che vennero accuditi da sua moglie. Riuscì a salvare 1200 ebrei da morte sicura nelle camere a gas di Auschwitz. Il nome di Giorgio Perlasca non va a collocarsi e disperdersi nella mischia di coloro che assistettero come muti spettatori al consumarsi di una tragedia come la Shoah, ma al contrario il suo contributo fu fondamentale per contrastare lo sterminio degli ebrei messo in atto dalla follia della Germania nazista. Italiano di famiglia borghese, Perlasca, dopo l’occupazione tedesca dell’Ungheria, si finse un ambasciatore spagnolo e così poté lavorare incessantemente per fornire agli ebrei assistenza, cibo e documenti falsi. Un uomo comune che mise più volte a repentaglio la propria vita per salvare quella altrui senza lasciarsi intimidire dalle prime avvisaglie di pericolo. Perlasca con la sua semplicità riuscì a salvare migliaia di ebrei da morte certa. Nel 1987 fu riconosciuto “giusto fra i giusti” dall’istituto Yad Vashem di Gerusalemme. E giusto fra i giusti fu anche don Francesco Repetto, un nome non molo comune designa un uomo sensibile e coraggioso. Egli si adoperò enormemente per nascondere e difendere gli ebrei, alloggiandoli presso conventi e privati, fino ad organizzare la fuga verso la Svizzera. La sua attività d’aiuto lo rese un ricercato, condizione che lo costrinse a trascorrere l’ultimo periodo della guerra da clandestino. Giusti di cui non conosciamo i volti, di cui ignoriamo lo sguardo hanno mosso passi silenziosi nel cammino delle nostre libertà, hanno agito nel buio di un’epoca dilaniata da furori e basse ideologie, da odio e cinismo, un’epoca dipinta da feroce crudeltà le cui radici affondano nella nera terra, germogliano nel sangue della guerra… Hanno affrontato la morte giorno per giorno, faccia a faccia, pur di seguire la strada della giustizia, pur di non annullare l’essenza del bene. Anche a costoro va riconosciuto l’appellativo di giusti perché tali sono stati… persone le cui caratterizzazioni rappresentano ritratti di semplicità, uomini e donne che non si sono fregiati dell’attributo e del valore di eroe, professando modestia, rettitudine, umiltà, ma dimostrandosi eroi nelle loro azioni… degli eroi sconosciuti sacrificatisi per liberare dai macigni dell’insensatezza l’impervio e tortuoso sentiero della giustizia, eroi che ora riusciamo a chiamare per nome. A San Donato Val di Comino, provincia di Frosinone, furono confinati una ventina di ebrei e slavi. Queste persone nel 1940 entrarono a far parte della comunità San Donatese e vi vissero per ben quattro anni. Fra di loro c’erano Reich, una valente attrice di Berlino, Mila Michalloivic, moglie di un alto magistrato iugoslavo fatto prigioniero nel nord-Italia per la sua politica anti-nazista ed anti-fascista, Greta Bloch, che raccontava a tutti di aver avuto una relazione sentimentale con lo scrittore Kafka dalla quale era nato un figlio, Enrico Levi, impresario teatrale; e sua moglie Gabriella, ballerina ungherese e il loro figlio Italo, Leon ebreo polacco, il medico Marco Tenenmbaum (oggi vive a Roma), sua moglie Ulla, ostretica e la loro figlioletta Katia, Sidona e Rosa Myler la quale racconta: “’Ci portarono da San Donato a Fossoli e di qui in vagone piombato ci portarono in Germania. Ci fecero scendere ad una stazione dal nome tragico: Auschwitz. E qui all’ingresso del campo (erano tantissimi) adottarono una tattica curiosa facevano entrare i deportati a coppie Greta Bloch ed io eravamo vicine, ci tenevamo per mano. Un tedesco ci smistava. Uno a destra uno a sinistra: non c’era disegno logico: sembrava che volessero semplicemente alloggiarci in baracche lontane l’una dall’altra. Invece chi andava a sinistra (come capitava a me per puro caso) entrava in un baraccamento. Chi andava a destra, finiva subito nelle camere a gas. Alla povera Greta dissero: “A destra”. Quasi tutti si integrarono molto bene nella comunità sandonatese, svolgendo qualsiasi tipo di lavoro circondati dalla solidarietà della popolazione incurante dei pericoli a cui andava incontro aiutandoli. Il sussidio governativo era di 50 lire al mese per la pigione, 8 a persone per il bisogno personale. Il podestà Gaetano Marini, il responsabile dell’ufficio anagrafe, Donato Coletti, Maddalena Mazzola, Rosario De Ruberis, Carmela Cardarelli e Pasqualina Perella misero a rischio la loro stessa vita per salvare dai campi di concentramento gli ebrei confinati a San Donato. Impiegati del comune, tra il 1943 e il 1944 falsificarono il documento di identità a tanti ebrei, procurandone loro un altro, nuovo e fittizio, con generalità italiane. La trovata filò liscia per lungo tempo e molti ebrei riuscirono a sfuggire alla cattura. I ricordi di quei giorni sono ancora vivi, soprattutto nella memoria di Pasqualina Perella oggi 84enne, allora impiegata pro-tempore al comune di San Donato. “Gli ebrei, disperati, venivano a chiederci aiuto al comune e anche a casa. Noi allora rilasciavamo a ciascuno di loro, donne e uomini, documenti falsi per farli risultare cittadini italiani. In pochi giorni ne compilammo tanti e tutti presso gli uffici municipali. Si trattava di tesserini verdi, senza foto, i quali annotavamo semplicemente le generalità. Ricordo che ad una donna ebrea attribuii lo stesso nome e cognome di mia sorella. Grazie a questo espediente salvammo tanti ebrei. Io allora avevo appena 21 anni e mi resi conto di quanto avevo rischiato solo successivamente anche se mio padre spesso mi avvertiva del pericolo che stavo correndo. Falsificare i documenti per aiutare gli ebrei, però, a noi veniva naturale e spontaneo. Poi i tedeschi scoprirono il tutto, forse per alcune rivelazioni fatte proprio da un’ebrea innamorata di un capitano tedesco. Io e una collega d’ufficio fummo convocate al comando. Mi dissero che se non mi fossi presentate avrebbero fucilata tutta la mia famiglia. Mi mostrarono un tesserino chiedendomi se la calligrafia fosse la mia e io risposi di sì. Mi ordinarono di tornare al comando il lunedì successivo. Durante le notti non dormivo per paura che mi venissero a prelevare da un momento all’altro. Arrivò quel famoso lunedì ma per fortuna arrivarono anche gli alleati. Ho rischiato grosso, sono salva per miracolo.” La vittima di questa solidarietà fu solo uno, Vincenzo Piselli, il quale fu arrestato dai Tedeschi e deportato a Dachau, dove trovò la morte nei forni crematori. Nel maggio del 1944 i tedeschi riuscirono a scovarne molti e a trasferirli nei campi di concentramento. I deportati furono: Enrico Levi, moglie e figli, Samuel Stein e la moglie Edith, Osvaldo Adler e la moglie Geltrude, Ignazio Gross, Rosa Myler, Clara Buxman, Margherita Reich, Margherita Bettman. Gli altri riuscirono a salvarsi perché, fortunatamente, quando i tedeschi scoprirono il tutto era troppo tardi: a impedire la loro rivalsa fu lo sfondamento del fronte di Cassino da parte degli alleati. Ulla Tenenbaum evitò il triste destino comune agli ebrei grazie alla generosità di una donna del posto, Costanza Rufo. In un punto del vasto “giardino dei giusti” spiccano 15 alberi di ulivo. Al centro si erige una lapide sulla quale è inciso il nome di Costanza Rufo. Attraverso il suo gesto rischioso e carico di coraggio, l’eroina di San Donato Val di Comino, salvò la vita di Ulla. Per farla sfuggire alla cattura dei tedeschi la nascose in un grosso cesto che avvolse con un lenzuolo e che coprì con un po’ di letame per confondere gli odori. Grazie all’aiuto di un abitante del luogo, Costanza si mise il cesto sulla testa e si incamminò par oltre 1 km, trasportando così la donna in periferia e quindi fuori dalla portata dei tedeschi. Ursula,detta Ulla, poté così salvarsi dalla deportazione nei campi di concentramento e raggiungere suo marito che si era nascosto nella casa di un contadino. In seguito la famiglia Tanenmbaum, aiutata dalla fortuna, riuscì a raggiungere Roma, evitando tutti i posti di blocco, e infine a sopravvivere alla guerra. Costanza è morta alcuni anni fa, ma il suo ricordo è ancora vivo. A piantare, nei primi anni 90, i 15 ulivi sono stati i coniugi Tanenmbaum, che attualmente vivono a Roma. Gli alberi non rappresentano solo un simbolo, ma un vero monumento in onore di chi, durante il periodo di persecuzioni, salvò la vita agli ebrei. Donatina Leone, figlia di Costanza custodisce nella sua casa foto e ricordi di quel giorno. Conserva anche una bambola con un cesto in testa, oggi simbolo dell’atto di coraggio della madre. Costanza Rufo, Pasqualina Perella, la comunità sandonatese hanno scelto di sacrificare la propria sicurezza, le proprie certezze per perseverare nel nobile proposito di celebrare la giustizia, i valori della libertà ed uguaglianza. “Conosce il Signore la vita dei buoni, la loro eredità durerà per sempre. Non saranno confusi nel tempo della sventura e nei giorni della fame saranno saziati” (Salmo 37, 33 La sorte del giusto e dell’empio) “…Porgi l’orecchio al mio grido, non essere sordo alle mie lacrime, poiché io sono un forestiero, uno straniero come tutti i miei padri…” (Salmo 39, 3 L’uomo è nulla davanti a Dio) Per te e per i tuoi figli le ceneri di Auschwitz volgano di ammonimento affinché l’orrore industrialmente, burocraticamente e legalmente organizzato non debba più ripetersi, affinché non si lascino svanire nell’oblio le empie nefandezze che hanno macchiato la coscienza umana, affinché gli eredi del male non si impadroniscano della verità per cancellare le vergogne di un quotidiano omicidio di massa, affinché il frutto orrendo dell’odio non dia nuovo seme, né domani né mai. Tra breve non avremo che documenti, rapporti, libri sulla vicenda più violenta sofferta dal genere umano nel continente più civilizzato del pianeta. I legami con quei tempi affidati alle carte, si allenteranno mano a mano. Non è sempre “giusta” la memoria. A volte è scomoda dolore imbarazzante. Meglio adattarla se non è possibile nasconderla. Meglio occultarla se non è possibile distruggerla. Dimenticare il male commesso da generazioni sempre più lontane nello scorrere degli anni può essere un modo per liberarsi da oscure angosce di corresponsabilità storiche o anche di troppa dolorosa compassione per il sacrificio di così tanti innocenti. Ma dimenticare il male può generare il pericolo che ritorni sul nostro cammino per dividerci ancora una volta tra carnefici e vittime. Ricordando come furono separati i nostri avi e genitori, finanche nei vincoli familiari, saremo più decisi a vigilare che la nostra fraternità umana sia pronta a reagire contro qualsiasi antico o inedito regime di apartheid. E avremo orgoglio e più rispetto per noi stessi. Con la memoria ci abitueremo a defatalizzare la storia, a liberarla dai miti di forze irrazionali e dal potere di forze irrazionali e dal potere di suggestione di uomini superiori, che decidono irresistibilmente dei destini collettivi. Occorre riflettere sul significato del dovere di ricordare affinché non si limiti ad essere passiva memoria, bensì, trasformazione, una nuova condizione mentale che induca a sentire e a pensare diversamente. “Non si tratta soltanto di <<memoria dovuta>>. Dopo Auschwitz possiamo crearci una coscienza nazionale solo attingendo alle tradizioni migliori della storia, non accettandola passivamente ma acquisendola criticamente, in caso contrario, non potremo avere stima di noi stessi né aspettarcene da altri. L’era nazista sarà un ostacolo insormontabile, quanto più pacatamente riusciremo a vederla come il filtro attraverso il quale deve passare una sostanza culturale adottata con deliberazione e consapevolezza”. (J. Habernas) Sarebbe doveroso, affinché la brutta storia non si ripeta, correlare la responsabilità del popolo tedesco con la “memoria dovuta”, sia per trovare una chiave di interpretazione insolita attraverso la quale ridefinire le cause dell’evento, sia per esaltare più incisivamente la questione dei giusti in contrapposizione all’ingiustizia sociale di un’intera nazione. Sappiamo che da spettatori muti e assenti tutti hanno taciuto davanti al flagello degli innocenti, non assumendosi la responsabilità di intervenire per frenare l’insanabile follia. Come poterono i capi della Germania nazista organizzare il massacro degli ebrei senza incontrare alcuna resistenza da parte dei loro stessi connazionali? Che gli Ebrei venissero deportati era noto. Si dichiarava di volerli “risistemare” e molti tedeschi non cercarono di saperne di più: forse per paura, forse per prudenza, forse perché ciò rientrava nella logica della guerra. È vero che il governo tedesco non proclamò mai cosa stesse facendo; ma è certo che tutti in Germania sapevano che gli Ebrei venivano deportati. Inoltre la politica di Hitler si servì della complicità dei Tedeschi, sia civili che soldati, per realizzare un pangermanesimo attraverso l’estirpazione degli elementi “contaminatori” e il mito del sangue puro. “…Paura e indifferenza producevano un’incallita complicità o una penosa passività […] dopo la guerra Warner non Tippelskirch, del ministro degli esteri, spigò di non aver mai protestato contro l’uccisione degli Ebrei in Russia, perché “non far nulla” e che i suoi superiori, Erdmannsdorff, Wormann e Weizsacer, erano ugualmente “impotenti”, essi aspettavano semplicemente “un cambiamento di regime”. A chi gli chiedeva se fosse giusto aspettare e nel frattempo mandare migliaia di persone a morire, Tippelskirch rispose: “domanda difficile”. R. A. C. Parker L’aspetto del genocidio che più sconvolge e turba è la facilità e la naturalezza con cui i tedeschi - realizzatori diretti o indiretti compresero e condivisero il motivo per cui si chiedeva loro di ammazzare tutti gli Ebrei. Proviamo a immaginare cosa accadrebbe oggi se un governo occidentale decidesse di sterminare un popolo intero chiedendo la collaborazione di un gruppo numeroso ed eterogeneo di cittadini: questo progetto verrebbe accolto come il delirio di un pazzo. Negli anni del nazismo le cose non andarono così: l’antisemitismo dei Tedeschi, sia realizzatori sia spettatori, era tale che quando fu loro comunicato che si dovevano uccidere gli Ebrei, non furono né sorpresi né increduli, ma, al contrario, compresero. Ai loro occhi l’annientamento di un popolo intero, quello ebraico, aveva senso. Erano fieri di quelle imprese e dello zelo con cui si dedicavano al mestiere del genocidio. D’altra parte sembra altrettanto misterioso il motivo per cui le nazioni europee, le nazioni del mondo, gli stati uniti d’america, difensori della democrazia, la chiesa cattolica e luterana,la comunità ebraica non siano intervenuti per portare a termine una tragedia umana. Più difficile risulta cercare la responsabilità nel contesto internazionale, la concomitanza di una molteplicità di concause e la difficoltà delle nazioni di ingerirsi nella politica nazionale di ogni singolo stato, renderebbe ardua e poco efficace l’indagine sino ad oggi la responsabilità dello sterminio degli Ebrei è stata attribuita ai vertici della macchina burocratica e militare del nazismo e al suo primo artefice. “Va respinto il tentativo di spostare l’equilibrio del giudizio dal momento e dal regine nazional-socialista nel loro complesso alla persona e alla personalità isolate di Adolf Hitler, tentativo che raggiunge soltanto l’obiettivo di scaricare sulla figura del Fuhrer ogni personalità per l’instaurazione del regime nazista e tradisce in tal modo l’intento politico (di assoluzione o di alibi a favore dei corresponsabili) che spesso è all’origine di siffatte interpretazioni. È questa infatti la sostanza di tutta la materialistica prodotta dagli exesponenti del governo e del regime nazista di parte della letteratura neonazista e anche di buona della storiografia conservatrice. Contro questa deformazione occorre ribadire con energia che un’analisi reale delle origini e della natura del nazional-socialismo va portata sul terreno diretto delle strutture politiche ed economiche della Germania moderna e in particolare del III reich”. E. Collotti Il giudizio del Collotti giustifica la necessità di indirizzare la ricerca anche verso la base sociale per comprendere le abitudini, i pensieri, le paure che hanno indotto il popolo tedesco ad assistere in silenzio o collaborando alla tragedia dell’”olocausto”. Questa memoria renderebbe un servizio maggiore all’umanità, consentendo di riconoscere quegli stessi profili psicologici, le medesime logiche comportamentali che sono stati responsabili diretti o indiretti del genocidio e prevenire il ripetersi del tragico evento,permettendo di verificare se esistono elementi di difformità con la nostra società;in caso contrario acquisiremmo la consapevolezza che un rischio di un ricorso sarebbe ancora grande. “Erano fatti della nostra stessa stoffa, esseri umani, medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi; salvo eccezioni, non erano diversi da noi, avevano il nostro stesso viso”. Primo Levi Guardiamoci dalle nostre inclinazioni al male. “Dobbiamo ricordare il massacro di sei milioni di Ebrei avvenuto nel nostro secolo, al centro della cristianissima Europa”. Giovanni Paolo II, Pensaci uomo la storia siamo noi Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli. F. Nietzsche, La gaia scienza Realizzato dalla classe IIA del Liceo Classico “N. Turriziani” di Frosinone Coordinamento: Prof.ssa Wilma Mancini, Docente di Storia e Filosofia Capogruppo: alunna Giulia Corsini