Il percorso dei Giusti. La memoria del bene,
patrimonio dell’umanità
..
“...Odòs anw katw mia kai wuth...”
…la via in giù e la via in su sono una e la
medesima..
Eraclito – K60
...
... Ide gar anqrwpous oion en
katageiw oikhsei
sphlaiwdei, anapeptamenhn
pros to fws thn eisodon
ecoush makran para pan to
sphlaion, en tauth ek
paidwn ontas en desmois kai ta
skelh kai tous aucenas
wste menein te autous eis te to
prosqen monon
oran, kuklw de tas kefalas
upo tou desmou
adunatous periagein
“… dentro una dimora
sotterranea a forma di caverna ,
con l’entrata
aperta alla luce e ampia quanto
tutta la larghezza della caverna,
pensa di vedere degli uomini che
vi stiano dentro fin da fanciulli,
incatanati gambe e collo, sì da
dover restar fermi e da poter
vedere
soltanto in avanti, incapaci, a
causa della catena di volgere
attorno il capo …”
Platone, La Repubblica st.514, rr2-ss
Catene forgiate dal pregiudizio, saldate al preconcetto,
vincolate in uno sterile connubio all’ignoranza
e alla bassa sensibilità,
pongono in essere una realtà di asservimento all’empietà,
condannano le ali dell’intelletto
a non dispiegarsi,
a non poter conoscere i voli della rettitudine
e della giustizia
Orchestrine che suonano.
Prigionieri con la divisa a strisce.
Lavori forzati.
Esecuzioni.
Camere a gas.
Auschwitz.
L’orrore di un
secolo fatto luogo.
Basta varcare il
cancello con la
<<ARBEIT MACHT
FREI>>
che un pugno
colpisce lo stomaco
e alla testa arriva
una vertigine lunga,forte.
Non sparirà, per molto tempo.
I fantasmi del passato tornano a vivere.
Il lager era la fine, ovattata dall’omertà, di un sentiero
che cominciava dalla negazione dell’uguaglianza tra uomini
e che lungo il percorso, vittime di impietosi carnefici,
l
calpestava la libertà e la dignità di essere uomo.
Il lager era una zona grigia, dai contorni non definiti,
che insieme congiungeva i due campi
dei padroni e dei servi. Possedeva una struttura interna
incredibilmente complicata e albergava in sé
quanto bastava per confondere il nostro bisogno di giudicare.
Il lager era un urto per la sorpresa che portava con sé.
Il mondo in cui ci si sentiva precipitati era sì terribile
ma anche indecifrabile:
non era conforme ad alcun modello,
il nemico era intorno ma anche dentro,
Il “noi” perdeva i suoi confini,
i contendenti non erano due,
non si distingueva una frontiera ma molte e confuse,
forse innumerevoli, ma fra ciascuno e ciascuno.
Ai nuovi arrivati si rasavano i capelli, che venivano utilizzati
per confezionare stoffe pregiate e richiestissime,
mentre con le pelli tatuate si rivestivano paralumi e
si confezionavano oggetti.
Chi lavorava aveva una vita media di tre mesi,
sei al massimo. In teoria poteva contare su 350 gr. di pane
al giorno, un litro di zuppa vegetale,
20 gr. di carne quattro volte la settimana.
Ma non era neppure così perché gran parte del cibo veniva
rubato dalle SS. Il peso medio degli internati era di 30-40 kg.,
meno della metà del normale.
Nel linguaggio del Lager mangiare si dice ”Fressen”, come per
gli animali, le prigioniere sono ”immondizia”,
chi è ridotto in fin di vita è “musulmano”,
chi è ucciso con iniezioni di cianuro è “schizzato”
Questo era il destino di un ebreo
deciso dal sadico gioco
di un’arbitraria dicotomia che
imponeva l’uniformità,
concedeva il bene placido
all’empietà.
Questo era il destino di un ebreo
deciso dalla perversa logica del
nazional socialismo diretta da un
imbianchino di nome Adolf Hitler
che una volta, in una birreria, disse:
“Se un giorno andrò al potere la
prima cosa che farò sarà
distruggere il popolo ebraico”
Rapidamente quella birreria si trasformò nel III Reich
Gli Ebrei erano allora in Germania una ristretta minoranza: circa
500 mila su una popolazione di 60milioni di abitanti.
Ma, diversamente da quanto accadeva nei paesi
dell’Europa orientale
erano concentrati
in prevalenza
nelle grandi città
(quasi 200mila
nella sola Berlino)
e pur non
facendo parte
della classe dirigente
tradizionale,
occupavano le
zone medio-alte.
Erano per lo più commercianti, liberi professionisti (un terzo dei
medici e degli avvocati nelle grandi città erano ebrei), intellettuali,
artisti; parecchi avevano posizioni di prestigio nell’alta finanza.
Per i nazisti “Ebreo” era chiunque
con tre o due nonni ebrei
appartenesse alla comunità ebraica
al 15 settembre 1935,
chiunque fosse sposato con un ebreo
al 15 settembre 1935,
chiunque discendesse da un matrimonio
o da una relazione
extra-coniugale al 15 settembre 1935.
Secondo il piano della “ liquidazione” nazista,
ogni singolo Ebreo doveva
essere eliminato fisicamente
In modo rapido, sistematico,
organizzato,
venne pianificato lo sterminio brutale,
ingiustificato,
dei nove decimi del popolo ebraico,
ma anche dell’intera civiltà
… Un genocidio dell’umanità …
… della razionalità …
….quel silenzio che opprimeva le
coscienze individuali fu vinto
dall’incalzante avanzare dei giusti, anche di
coloro che furono le vittime più innocenti
dell’ “Olocausto”….
In qualsiasi momento della storia vi sono
Trentasei Giusti al mondo.
Essi sono nati giusti, non possono ammettere l’ingiustizia.
È per amor loro che Dio non distrugge il mondo.
Nessuno sa chi sono e men che meno lo sanno loro stessi.
Ma sanno riconoscere le sofferenze degli altri
e se le prendono sulle spalle.
“Rendere odio per odio, moltiplica l’odio, aggiunge oscurità
più profonda ad una notte già senza stelle. La tenebra non può
scacciare la tenebra, solo la luce può farlo;
l’odio non può scacciare l’odio, solo l’amore può farlo.
Io oggi voglio dire che io ho
ancora dei sogni, perchè so che
nella vita non bisogna mai cedere.
Ecco perché io ho ancora
il sogno che un giorno gli uomini
si rizzeranno in piedi e si renderanno
Conto che sono stati creati per vivere
insieme come fratelli, che le
bambine e i bambini
potranno unire le loro mani e
passeggiare come fratello e sorella
Questa mattina ho ancora il sogno
che un giorno ogni uomo rispetterà la dignità e il valore
della personalità umana nella convinzione che tutti gli uomini creati
sono uguali… Ora è il momento di tradurre la giustizia in una realtà
per tutti i figli di Dio…”
Martin L. King, I have a dream
“Le leggi si possono cambiare
o migliorare, ma non violare, poiché
altrimenti verrebbe meno la vita
in società.
Socrate
Là dove la legge sia asservita e senza
autorità, in quello stato io vedo
prossima la rovina; là dove invece
essa regna sovrana sui governanti
e dove i governanti sono della
legge servitori, là io vedo
fiorire la salvezza….
Platone, Legislazione
Nell’inafferrabilità di un silenzio, soffocato
nel buio di una sterile prigione in cui
le vittime sono solo l’anima ed il cuore;
nell’imperscrutabilità di un destino, celato
dall’infecondità dell’animo umano, tra illuse
speranze e, amari progetti, tra il gelido sole e
la buia luna, tra l’alternarsi di tristi e
insoddisfacenti aurore, si celebra il rito del
sacrificio delle vittime della Shoah
Erano in 15 mila.
Non ne sono sopravvissuti nemmeno 100.
Avevano un’età compresa tra i 12 e i 16 anni.
Bambini.
Anime strappate alla vita, sorrisi rubati all’innocenza,
soffocati dal latente rumore della violenza.
Occhi ingenui che vivono nel buio di una notte eterna,
chiusi per sempre nel grigio agghiacciante di una vita
appena cominciata e già finita.
Nascosti nelle penombre di un lager, disillusi di vivere nella realtà
fittizia di un eterno nascondino, respirano la cenere della fine,
inconsapevoli del destino a cui devono necessariamente attendere
per l’arbitrario volere di chi è incatenato ai legacci dei propri
pregiudizi. Piccole mani prematuramente invecchiate dalla fatica,
piccoli cuori segnati dalle cicatrici del dolore troppo presto conosciuto.
Bambini.
Costretti ad essere adulti. Proprio come gli adulti.
Stessa identica sofferenza.
Potranno per sempre correre negli utopici prati della nostra memoria,
echi delle loro risate risuoneranno nelle nostre parole.
Per sempre giusti, come solo giusta può essere la loro innocenza
Incontaminata, la loro vita non ancora sbocciata e già finita
Miei cari genitori,
se il cielo fosse carta e tutti i mari del mondo inchiostro,
non potrei descrivervi le mie sofferenze e tutto ciò che
vedo intorno a me. I miei piedi sanguinano perché ci hanno
portato via le scarpe…
Tutto il giorno lavoriamo quasi senza mangiare e la notte
dormiamo sulla terra (ci hanno portato via anche i nostri
mantelli). Ogni notte soldati ubriachi vengono a picchiarci
con bastoni di legno e il mio corpo è pieno di lividi come un
pezzo di legno bruciacchiato.
A volte ci gettano qualche carota cruda e ci si batte per
averne un pezzetto, persino qualche foglia.
L’altro giorno due ragazzi sono scappati, allora ci hanno messo
in fila e ogni quinto della fila veniva fucilato.
Io non ero il quinto, ma so che non uscirò vivo da qui.
Dico addio a tutti, cara mamma, caro papà, mie sorelle e miei
fratelli, e piango…
Lettera scritta in yiddish da un ragazzo di 14 anni nel campo di
concentramento di Pustkow
“Mi trovavo dal fotografo: come
ogni ragazzina di 16 anni ero
vanitosa.
Quando il fotografo mi fece
cenno di aggiustarmi i capelli
dietro l’orecchio sinistro mi sentii
turbata …”.
L’orecchio sinistro di un ebreo
tradiva, secondo gli scienziati
della razza nazional-socialista,
l’origine antisemitica degli ebrei.
Per questa ragione le fotografie
dei passaporti degli ebrei
dovevano essere fatte in modo da
rendere visibile l’orecchio sinistro.
È una stella a sei punte a costituire il limite della libertà di un
essere umano. È una stella a sei punte che, come un marchio
indelebile, stabilisce il destino di anime giuste gettandole nel
buio e nell’incertezza di un domani in bilico tra vita e morte,
proiettandole in un mondo di odio e nefandezza, in cui non c’è
spazio per la loro purezza, ed il fiore dell’ingenuità viene reciso
dal germe della violenza.
Anche i bambini tedeschi erano bambini: anime egualmente
pure, giuste, ingenue, innocenti, trascinate dagli insensati
pregiudizi e dalle folli convinzioni dei loro insegnanti, dei loro
educatori, dei loro stessi genitori, a percorrere i bui sentieri
dell’ingiustizia e a gettare le basi per la creazione di un mondo
lontano da quello magico e fatato che anima i sogni dei
bambini.
“Il piccolo Franz è andato a raccogliere i funghi nel bosco con la madre. Dopo
mezz’ora di ricerca, torna dalla madre esultando per i numerosi funghi trovati
ma timoroso che ve ne siano anche di velenosi. La mamma, dolcemente, lo
rassicura e coglie l’occasione per impartirgli un “prezioso” insegnamento
morale. Strada facendo, infatti, dice: “Guarda Franz, come accade per i funghi
nel bosco, lo stesso accade per le persone della terra. Ci sono funghi buoni e
persone buone, esistono funghi cattivi e persone cattive. E da queste persone
bisogna guardarsi… E sai chi sono queste persone cattive, questi funghi
velenosi dell’umanità? Sono gli ebrei. Gli ebrei sono persone cattive. Sono
come funghi velenosi. E così come spesso è difficile distinguere i funghi
velenosi da quelli commestibili, è altrettanto difficile riconoscere gli ebrei
come furfanti e delinquenti. Come i funghi velenosi si presentano con vari
colori, così anche gli ebrei riescono a rendersi irriconoscibili assumendo gli
aspetti più strani… anche se fingono, anche se si mostrano gentili sono ebrei e
rimangono ebrei, sono velenosi per il nostro popolo.”
(da “NAZISMO E SOCIETÀ TEDESCA 1933-1945)
“Gli ebrei sono la nostra rovina… non c’è differenza
tra ebreo ed ebreo… ogni ebreo è nemico del
nostro popolo… gli ebrei sono messaggeri del
nemico tra noi… non hanno alcun diritto a
comportarsi come se avessero i nostri stessi diritti…
gli ebrei portano la responsabilità della guerra…
con il trattamento che noi infliggiamo loro, non
facciamo alcun torto… sbarazzarsi definitivamente
di loro è affare del governo…”
Joseph Goebbes
Tanti giusti che rappresentano un’infanzia tradita, ma anche
tanti adulti, vite mature, si sono ribellati all’egida del
Nazismo.
Esiste un luogo a Gerusalemme, sul monte delle
rimembranze, che prende il nome di “parco dei Giusti”,
dove migliaia di piante ricordano i nomi di tutti coloro che
aiutarono gli ebrei durante gli anni dell’ “Olocausto”.
Tra questi Oskar Schindler. Ragioniere alto, biondo, elegante,
nonostante avesse sulla giacca un grande distintivo del partito nazista,
riusciva ancora a distinguere tra bene e male. Aveva contatti con alti
ufficiali nazisti con i quali bevevo per corromperli, ai quali procurava
sigarette altre suppellettili di lusso difficilmente reperibili in quegli
anni. Scosso dal forte orrore provato di fronte al terrore provocato dai
nazisti, cominciò a boicottare questo sistema, avvertì gli ebrei
dell’imminente saccheggio dei loro appartamenti nella via Josefa e la
via Izaak; riuscì in quattro settimane a liberare trecento donne
dall’inferno di Auschwitz. Venuto a sapere che moltissimi ebrei
viaggiavano da giorni da una stazione all’altra senza cibo né acqua,
prese in mano i documenti di spedizione e inserì Zwittan, la sua città
natale liberando così i sopravvissuti che vennero accuditi da sua
moglie. Riuscì a salvare 1200 ebrei da morte sicura nelle camere a gas
di Auschwitz.
Il nome di Giorgio Perlasca non va a collocarsi e disperdersi
nella mischia di coloro che assistettero come muti spettatori
al consumarsi di una tragedia come la Shoah, ma al
contrario il suo contributo fu fondamentale per contrastare
lo sterminio degli ebrei messo in atto dalla follia della
Germania nazista. Italiano di famiglia borghese, Perlasca,
dopo l’occupazione tedesca dell’Ungheria, si finse un
ambasciatore spagnolo e così poté lavorare incessantemente
per fornire agli ebrei assistenza, cibo e documenti falsi. Un
uomo comune che mise più volte a repentaglio la propria
vita per salvare quella altrui senza lasciarsi intimidire dalle
prime avvisaglie di pericolo. Perlasca con la sua semplicità
riuscì a salvare migliaia di ebrei da morte certa. Nel 1987 fu
riconosciuto “giusto fra i giusti” dall’istituto Yad Vashem di
Gerusalemme.
E giusto fra i giusti fu anche don Francesco Repetto, un
nome non molo comune designa un uomo sensibile e
coraggioso. Egli si adoperò enormemente per nascondere e
difendere gli ebrei, alloggiandoli presso conventi e privati,
fino ad organizzare la fuga verso la Svizzera. La sua attività
d’aiuto lo rese un ricercato, condizione che lo costrinse a
trascorrere l’ultimo periodo della guerra da clandestino.
Giusti di cui non conosciamo i volti, di cui ignoriamo lo sguardo
hanno mosso passi silenziosi nel cammino delle nostre libertà,
hanno agito nel buio di un’epoca dilaniata da furori e basse
ideologie, da odio e cinismo, un’epoca dipinta da feroce crudeltà
le cui radici affondano nella nera terra, germogliano nel sangue
della guerra…
Hanno affrontato la morte giorno per giorno, faccia a faccia, pur
di seguire la strada della giustizia, pur di non annullare l’essenza
del bene. Anche a costoro va riconosciuto l’appellativo di giusti
perché tali sono stati… persone le cui caratterizzazioni
rappresentano ritratti di semplicità, uomini e donne che non si
sono fregiati dell’attributo e del valore di eroe, professando
modestia, rettitudine, umiltà, ma dimostrandosi eroi nelle loro
azioni… degli eroi sconosciuti sacrificatisi per liberare dai macigni
dell’insensatezza l’impervio e tortuoso sentiero della giustizia, eroi
che ora riusciamo a chiamare per nome.
A San Donato Val di Comino, provincia di Frosinone, furono
confinati una ventina di ebrei e slavi. Queste persone nel 1940
entrarono a far parte della comunità San Donatese e vi vissero per
ben quattro anni. Fra di loro c’erano Reich, una valente attrice di
Berlino, Mila Michalloivic, moglie di un alto magistrato
iugoslavo fatto prigioniero nel nord-Italia per la sua politica
anti-nazista ed anti-fascista, Greta Bloch, che raccontava a tutti
di aver avuto una relazione sentimentale con lo scrittore Kafka
dalla quale era nato un figlio, Enrico Levi, impresario teatrale; e
sua moglie Gabriella, ballerina ungherese e il loro figlio Italo,
Leon ebreo polacco, il medico Marco Tenenmbaum (oggi vive a
Roma), sua moglie Ulla, ostretica e la loro figlioletta Katia,
Sidona e Rosa Myler la quale racconta:
“’Ci portarono da San Donato a Fossoli e di qui in vagone
piombato ci portarono in Germania. Ci fecero scendere ad una
stazione dal nome tragico: Auschwitz. E qui all’ingresso del
campo (erano tantissimi) adottarono una tattica curiosa
facevano entrare i deportati a coppie Greta Bloch ed io
eravamo vicine, ci tenevamo per mano. Un tedesco ci smistava.
Uno a destra uno a sinistra: non c’era disegno logico: sembrava
che volessero semplicemente alloggiarci in baracche lontane
l’una dall’altra. Invece chi andava a sinistra (come capitava a
me per puro caso) entrava in un baraccamento. Chi andava a
destra, finiva subito nelle camere a gas. Alla povera Greta
dissero: “A destra”.
Quasi tutti si integrarono molto bene nella comunità
sandonatese, svolgendo qualsiasi tipo di lavoro circondati dalla
solidarietà della popolazione incurante dei pericoli a cui andava
incontro aiutandoli. Il sussidio governativo era di 50 lire al mese
per la pigione, 8 a persone per il bisogno personale. Il podestà
Gaetano Marini, il responsabile dell’ufficio anagrafe, Donato
Coletti, Maddalena Mazzola, Rosario De Ruberis, Carmela
Cardarelli e Pasqualina Perella misero a rischio la loro stessa vita
per salvare dai campi di concentramento gli ebrei confinati a San
Donato. Impiegati del comune, tra il 1943 e il 1944 falsificarono il
documento di identità a tanti ebrei, procurandone loro un altro,
nuovo e fittizio, con generalità italiane. La trovata filò liscia per
lungo tempo e molti ebrei riuscirono a sfuggire alla cattura. I
ricordi di quei giorni sono ancora vivi, soprattutto nella memoria
di Pasqualina Perella oggi 84enne, allora impiegata pro-tempore
al comune di San Donato.
“Gli ebrei, disperati, venivano a chiederci aiuto al comune e anche a casa. Noi
allora rilasciavamo a ciascuno di loro, donne e uomini, documenti falsi per farli
risultare cittadini italiani. In pochi giorni ne compilammo tanti e tutti presso
gli uffici municipali. Si trattava di tesserini verdi, senza foto, i quali
annotavamo semplicemente le generalità. Ricordo che ad una donna ebrea
attribuii lo stesso nome e cognome di mia sorella. Grazie a questo espediente
salvammo tanti ebrei. Io allora avevo appena 21 anni e mi resi conto di quanto
avevo rischiato solo successivamente anche se mio padre spesso mi avvertiva
del pericolo che stavo correndo. Falsificare i documenti per aiutare gli ebrei,
però, a noi veniva naturale e spontaneo. Poi i tedeschi scoprirono il tutto,
forse per alcune rivelazioni fatte proprio da un’ebrea innamorata di un
capitano tedesco. Io e una collega d’ufficio fummo convocate al comando. Mi
dissero che se non mi fossi presentate avrebbero fucilata tutta la mia famiglia.
Mi mostrarono un tesserino chiedendomi se la calligrafia fosse la mia e io
risposi di sì. Mi ordinarono di tornare al comando il lunedì successivo. Durante
le notti non dormivo per paura che mi venissero a prelevare da un momento
all’altro. Arrivò quel famoso lunedì ma per fortuna arrivarono anche gli alleati.
Ho rischiato grosso, sono salva per miracolo.”
La vittima di questa solidarietà fu solo uno, Vincenzo Piselli, il
quale fu arrestato dai Tedeschi e deportato a Dachau, dove trovò la
morte nei forni crematori.
Nel maggio del 1944 i tedeschi riuscirono a scovarne molti e a
trasferirli nei campi di concentramento. I deportati furono: Enrico
Levi, moglie e figli, Samuel Stein e la moglie Edith, Osvaldo Adler e
la moglie Geltrude, Ignazio Gross, Rosa Myler, Clara Buxman,
Margherita Reich, Margherita Bettman. Gli altri riuscirono a
salvarsi perché, fortunatamente, quando i tedeschi scoprirono il
tutto era troppo tardi: a impedire la loro rivalsa fu lo sfondamento
del fronte di Cassino da parte degli alleati. Ulla Tenenbaum evitò il
triste destino comune agli ebrei grazie alla generosità di una donna
del posto, Costanza Rufo.
In un punto del vasto “giardino dei giusti” spiccano 15 alberi di ulivo. Al
centro si erige una lapide sulla quale è inciso il nome di Costanza Rufo.
Attraverso il suo gesto rischioso e carico di coraggio, l’eroina di San
Donato Val di Comino, salvò la vita di Ulla. Per farla sfuggire alla cattura
dei tedeschi la nascose in un grosso cesto che avvolse con un lenzuolo e
che coprì con un po’ di letame per confondere gli odori. Grazie all’aiuto
di un abitante del luogo, Costanza si mise il cesto sulla testa e si
incamminò par oltre 1 km, trasportando così la donna in periferia e
quindi fuori dalla portata dei tedeschi. Ursula,detta Ulla, poté così salvarsi
dalla deportazione nei campi di concentramento e raggiungere suo
marito che si era nascosto nella casa di un contadino. In seguito la
famiglia Tanenmbaum, aiutata dalla fortuna, riuscì a raggiungere Roma,
evitando tutti i posti di blocco, e infine a sopravvivere alla guerra.
Costanza è morta alcuni anni fa, ma il suo ricordo è ancora vivo. A
piantare, nei primi anni 90, i 15 ulivi sono stati i coniugi Tanenmbaum,
che attualmente vivono a Roma. Gli alberi non rappresentano solo un
simbolo, ma un vero monumento in onore di chi, durante il periodo di
persecuzioni, salvò la vita agli ebrei.
Donatina Leone, figlia di Costanza custodisce nella sua casa
foto e ricordi di quel giorno. Conserva anche una bambola con
un cesto in testa, oggi simbolo dell’atto di coraggio della
madre. Costanza Rufo, Pasqualina Perella, la comunità
sandonatese hanno scelto di sacrificare la propria sicurezza, le
proprie certezze per perseverare nel nobile proposito di
celebrare la giustizia, i valori della libertà ed uguaglianza.
“Conosce il Signore la vita dei buoni, la loro eredità durerà
per sempre. Non saranno confusi nel tempo della sventura e
nei giorni della fame saranno saziati”
(Salmo 37, 33 La sorte del giusto e dell’empio)
“…Porgi l’orecchio al mio grido, non essere sordo alle mie
lacrime, poiché io sono un forestiero, uno straniero come
tutti i miei padri…”
(Salmo 39, 3 L’uomo è nulla davanti a Dio)
Per te e per i tuoi figli le ceneri di Auschwitz volgano di
ammonimento affinché l’orrore industrialmente,
burocraticamente e legalmente organizzato non debba più
ripetersi, affinché non si lascino svanire nell’oblio le empie
nefandezze che hanno macchiato la coscienza umana, affinché gli
eredi del male non si impadroniscano della verità per cancellare le
vergogne di un quotidiano omicidio di massa, affinché il frutto
orrendo dell’odio non dia nuovo seme, né domani né mai.
Tra breve non avremo che documenti, rapporti, libri
sulla vicenda più violenta sofferta dal genere umano nel
continente più civilizzato del pianeta. I legami con quei
tempi affidati alle carte, si allenteranno mano a mano.
Non è sempre “giusta” la memoria. A volte è scomoda
dolore imbarazzante. Meglio adattarla se non è
possibile nasconderla. Meglio occultarla se non è
possibile distruggerla.
Dimenticare il male commesso da generazioni sempre più lontane
nello scorrere degli anni può essere un modo per liberarsi da
oscure angosce di corresponsabilità storiche o anche di troppa
dolorosa compassione per il sacrificio di così tanti innocenti.
Ma dimenticare il male può generare il pericolo che ritorni sul
nostro cammino per dividerci ancora una volta tra carnefici e
vittime. Ricordando come furono separati i nostri avi e genitori,
finanche nei vincoli familiari, saremo più decisi a vigilare che la
nostra fraternità umana sia pronta a reagire contro qualsiasi antico
o inedito regime di apartheid. E avremo orgoglio e più rispetto per
noi stessi. Con la memoria ci abitueremo a defatalizzare la storia, a
liberarla dai miti di forze irrazionali e dal potere di forze
irrazionali e dal potere di suggestione di uomini superiori, che
decidono irresistibilmente dei destini collettivi.
Occorre riflettere sul significato del dovere di ricordare affinché
non si limiti ad essere passiva memoria, bensì, trasformazione,
una nuova condizione mentale che induca a sentire e a pensare
diversamente.
“Non si tratta soltanto di <<memoria dovuta>>. Dopo Auschwitz
possiamo crearci una coscienza nazionale solo attingendo alle
tradizioni migliori della storia, non accettandola passivamente
ma acquisendola criticamente, in caso contrario, non potremo
avere stima di noi stessi né aspettarcene da altri. L’era nazista sarà
un ostacolo insormontabile, quanto più pacatamente riusciremo
a vederla come il filtro attraverso il quale deve passare una
sostanza culturale adottata con deliberazione e consapevolezza”.
(J. Habernas)
Sarebbe doveroso, affinché la brutta storia non si ripeta,
correlare la responsabilità del popolo tedesco con la
“memoria dovuta”, sia per trovare una chiave di
interpretazione insolita attraverso la quale ridefinire le cause
dell’evento, sia per esaltare più incisivamente la questione dei
giusti in contrapposizione all’ingiustizia sociale di un’intera
nazione.
Sappiamo che da spettatori muti e assenti tutti hanno
taciuto davanti al flagello degli innocenti, non assumendosi
la responsabilità di intervenire per frenare l’insanabile follia.
Come poterono i capi della Germania
nazista organizzare il massacro degli ebrei
senza incontrare alcuna resistenza da
parte dei loro stessi connazionali?
Che gli Ebrei venissero deportati era
noto. Si dichiarava di volerli “risistemare”
e molti tedeschi non cercarono di
saperne di più: forse per paura, forse per
prudenza, forse perché ciò rientrava nella
logica della guerra. È vero che il governo
tedesco non proclamò mai cosa stesse
facendo; ma è certo che tutti in
Germania sapevano che gli Ebrei
venivano deportati. Inoltre la politica di
Hitler si servì della complicità dei
Tedeschi, sia civili che soldati, per
realizzare un pangermanesimo attraverso
l’estirpazione degli elementi
“contaminatori” e il mito del sangue
puro.
“…Paura e indifferenza producevano un’incallita complicità
o una penosa passività […] dopo la guerra Warner non
Tippelskirch, del ministro degli esteri, spigò di non aver mai
protestato contro l’uccisione degli Ebrei in Russia, perché
“non far nulla” e che i suoi superiori, Erdmannsdorff,
Wormann e Weizsacer, erano ugualmente “impotenti”, essi
aspettavano semplicemente “un cambiamento di regime”. A
chi gli chiedeva se fosse giusto aspettare e nel frattempo
mandare migliaia di persone a morire, Tippelskirch rispose:
“domanda difficile”.
R. A. C. Parker
L’aspetto del genocidio che più sconvolge e turba è la facilità e
la naturalezza con cui i tedeschi - realizzatori diretti o indiretti compresero e condivisero il motivo per cui si chiedeva loro di
ammazzare tutti gli Ebrei. Proviamo a immaginare cosa
accadrebbe oggi se un governo occidentale decidesse di
sterminare un popolo intero chiedendo la collaborazione di un
gruppo numeroso ed eterogeneo di cittadini: questo progetto
verrebbe accolto come il delirio di un pazzo.
Negli anni del nazismo le cose non andarono così: l’antisemitismo dei
Tedeschi, sia realizzatori sia spettatori, era tale che quando fu loro comunicato
che si dovevano uccidere gli Ebrei, non furono né sorpresi né increduli, ma, al
contrario, compresero. Ai loro occhi l’annientamento di un popolo intero,
quello ebraico, aveva senso. Erano fieri di quelle imprese e dello zelo con cui si
dedicavano al mestiere del genocidio.
D’altra parte sembra altrettanto misterioso il motivo per cui le nazioni
europee, le nazioni del mondo, gli stati uniti d’america, difensori della
democrazia, la chiesa cattolica e luterana,la comunità ebraica non siano
intervenuti per portare a termine una tragedia umana. Più difficile risulta
cercare la responsabilità nel contesto internazionale, la concomitanza di una
molteplicità di concause e la difficoltà delle nazioni di ingerirsi nella politica
nazionale di ogni singolo stato, renderebbe ardua e poco efficace l’indagine
sino ad oggi la responsabilità dello sterminio degli Ebrei è stata attribuita ai
vertici della macchina burocratica e militare del nazismo e al suo primo
artefice.
“Va respinto il tentativo di spostare l’equilibrio del giudizio dal
momento e dal regine nazional-socialista nel loro complesso alla
persona e alla personalità isolate di Adolf Hitler, tentativo che
raggiunge soltanto l’obiettivo di scaricare sulla figura del Fuhrer ogni
personalità per l’instaurazione del regime nazista e tradisce in tal
modo l’intento politico (di assoluzione o di alibi a favore dei
corresponsabili) che spesso è all’origine di siffatte interpretazioni. È
questa infatti la sostanza di tutta la materialistica prodotta dagli exesponenti del governo e del regime nazista di parte della letteratura
neonazista e anche di buona della storiografia conservatrice. Contro
questa deformazione occorre ribadire con energia che un’analisi
reale delle origini e della natura del nazional-socialismo va portata
sul terreno diretto delle strutture politiche ed economiche della
Germania moderna e in particolare del III reich”.
E. Collotti
Il giudizio del Collotti giustifica la necessità di indirizzare la ricerca
anche verso la base sociale per comprendere le abitudini, i
pensieri, le paure che hanno indotto il popolo tedesco ad assistere
in silenzio o collaborando alla tragedia dell’”olocausto”. Questa
memoria renderebbe un servizio maggiore all’umanità,
consentendo di riconoscere quegli stessi profili psicologici, le
medesime logiche comportamentali che sono stati responsabili
diretti o indiretti del genocidio e prevenire il ripetersi del tragico
evento,permettendo di verificare se esistono elementi di
difformità con la nostra società;in caso contrario acquisiremmo la
consapevolezza che un rischio di un ricorso sarebbe ancora
grande.
“Erano fatti della nostra stessa stoffa, esseri umani, medi,
mediamente intelligenti, mediamente malvagi; salvo
eccezioni, non erano diversi da noi, avevano il nostro stesso
viso”.
Primo Levi
Guardiamoci dalle nostre inclinazioni al male.
“Dobbiamo ricordare il massacro di sei milioni di Ebrei
avvenuto nel nostro secolo, al centro della cristianissima
Europa”.
Giovanni Paolo II, Pensaci uomo la storia siamo noi
Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come
ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto
di più sacro e più possente il mondo possedeva fino ad oggi,
si è dissanguato sotto i nostri coltelli.
F. Nietzsche, La gaia scienza
Realizzato dalla classe IIA
del Liceo Classico “N. Turriziani”
di Frosinone
Coordinamento: Prof.ssa Wilma Mancini,
Docente di Storia e Filosofia
Capogruppo: alunna Giulia Corsini
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Il percorso dei giusti