ERATOSTENE ARCHIMEDE GALILEO GALILEI ISAAC NEWTON CHARLES DARWIN KONRAD LORENZ GLI SCIENZIATI DELL’ATOMO ALBERT EINSTEIN RITA LEVI MONTALCINI Scegli con chi iniziare….. Sappiamo tutti che la terra è rotonda, cioè che ha la forma di una sfera; oggi esistono anche le fotografie riprese dalle sonde spaziali a dimostrarlo. Inoltre sappiamo che la lunghezza della circonferenza del globo terrestre, misurata all’equatore, è di circa 40000 chilometri. Ma se non sapessi già queste cose, come potrei fare per scoprirle? Saprei dimostrare che la terra è rotonda? Saprei misurare le sue dimensioni? Non è necessario usare strumenti complicati, satelliti artificiali o raggi laser…………è sufficiente fare qualche semplice osservazione e misurazione, e usare la matematica, E’ probabile che fin dall’antichità fossero noti due fenomeni empirici. Dall’osservazione del fatto che una nave scompare sotto l’orizzonte si può dedurre che la superficie della terra è curva; se fosse piatta, infatti, la nave dovrebbe rimanere sempre visibile rimpicciolendosi soltanto man mano che si allontana. Inoltre la forma curva dell’ombra che si taglia sulla luna in occasione delle eclissi rafforza la stessa conclusione, se si suppone ( come è ragionevole ) che si tratti dell’ombra proiettata dal nostro pianeta. Queste osservazioni e questi ragionamenti dovevano essere familiari agli antichi Greci, che sapevano viaggiare per mare e guardavano il cielo notturno molto più di quanto facciamo noi ( dopotutto non avevano la televisione, le discoteche e l’inquinamento luminoso……..) Eratostene di Cirene era uno studioso greco che in Egitto dirigeva la grande e famosa biblioteca di Alessandria, nel terzo secolo avanti Cristo. Egli era persuaso che la terra fosse rotonda, e in Egitto notò qualcosa che lo convinse ancora di più; si trattava di un fenomeno piuttosto curioso………….. Nella città di Siene ( odierna Assuan ) a mezzogiorno del 21 giugno il sole si specchia nell’acqua dei pozzi e gli edifici verticali non fanno alcuna ombra; in quel momento dell’anno, cioè, il sole illumina Siene con raggi perfettamente verticali; Nello stesso giorno, alla stessa ora, nella città di Alessandria ( che si trova sul Mediterraneo, quasi 800 km più a nord ) gli edifici invece hanno un’ombra; quindi ad Alessandria i raggi del sole sono inclinati. Eratostene capì che anche questa osservazione indica che la terra è sferica. Ma non solo: si rese conto che una semplice misura avrebbe permesso di calcolare le dimensioni del globo terrestre. Quale fu la brillante intuizione di Eratostene? Se la superficie terrestre è curva, e in un certo luogo i raggi del sole arrivano verticalmente ( come a Siene, dove un bastone non fa ombra ), allora in un altro luogo posto più a nord, sullo stesso meridiano, i raggi del sole devono arrivare inclinati rispetto alla perpendicolare ( come ad Alessandria, dove il bastone avrà un’ombra). Eratostene misurò l’angolo tra i raggi del sole e la verticale ad Alessandria e conosceva la distanza tra Siene ed Alessandria. Verifichiamolo con l’aiuto del disegno: l’angolo misurato da Eratostene è uguale all’angolo formato, al centro della terra, dai due raggi che partendo dal centro della terra raggiungono le due città ( sono angoli alterni interni). Dallo schema si riconosce che l’angolo è contenuto nell’angolo giro ( 360° ) tante volte quante la distanza Alessandria - Siene è contenuta nella lunghezza dell’intera circonferenza terrestre. Basta quindi risolvere una semplice proporzione per trovare la circonferenza terrestre! CIRCONFERENZA TERRESTRE : DISTANZA TRA DUE CITTA’ = 360° ANGOLO : MISURATO Proprio in questo modo Eratostene calcolò la circonferenza terrestre, trovando un valore pari a circa 39690 km. Egli ottenne così la prima misurazione scientifica delle dimensioni del nostro pianeta. Il suo risultato è vicinissimo al valore effettivo, che oggi conosciamo con estrema precisione. La storia di Eratostene dimostra quindi che si possono fare scoperte importanti anche senza ricorrere a laboratori pieni di sofisticate attrezzature tecnologiche. Archimede nacque nel 287 a. C. a Siracusa, che era una colonia greca. Egli fu uno dei più grandi geni scientifici dell’antichità. Aveva grande passione per la matematica, e in questo campo fece numerose scoperte importanti. Fu il primo per esempio a calcolare fino alla seconda cifra decimale il valore del numero , cioè il rapporto tra la lunghezza di una circonferenza e quella del suo diametro. Per calcolare Archimede fece il seguente ragionamento: La lunghezza della circonferenza è certamente compresa tra il perimetro di un poligono regolare a essa circoscritto e il perimetro dello stesso poligono regolare ad essa inscritto Al crescere del numero dei lati del poligono, il suo perimetro approssima sempre più da vicino la lunghezza della circonferenza. Archimede riuscì a calcolare il perimetro dei poligoni regolari inscritti e circoscritti, e ottenne così il valore = 3,14 Con un metodo simile dimostrò poi che l’area di un cerchio di raggio r è pari a r2. In seguito riuscì a dimostrare che una sfera inscritta in un cilindro ha un volume che è uguale a due terzi del volume del cilindro. Poiché l’altezza del cilindro è due volte il raggio della sfera, il suo volume è pari a (2r)X(r2) = 2r3. Il volume della sfera è due terzi di questo, ed è dunque dato da 4/3 r3. Archimede era molto fiero di questa scoperta, e volle avere sulla propria tomba la raffigurazione di un cilindro e una sfera. Archimede era anche un bravo sperimentatore e a lui dobbiamo molte leggi della statica, la parte della fisica che studia l’equilibrio. Osservò per esempio che in una bilancia a due bracci, pesi uguali posti a distanze uguali sono in equilibrio, mentre pesi diversi posti a distanze uguali si inclinano dalla parte dove c’è il peso maggiore. Inoltre scoprì che, quando le distanze dal fulcro sono diverse, i due pesi sono in equilibrio a distanze inversamente proporzionali ai pesi stessi. Per esempio la grossa pietra sulla destra è equilibrata dal peso a sinistra, che è tre volte minore, perché il braccio sinistro è tre volte più grande del destro. In una leva come questa, se si vuole sollevare la pietra di 10 cm bisogna abbassare l’altra di 30 cm. Ciò significa che il lavoro meccanico ( cioè il prodotto dell’intensità della forza per lo spostamento dell’oggetto a cui la forza è applicata ) nella leva è lo stesso sia a sinistra sia a destra dove la forza, cioè il peso della pietra, è tre volte maggiore. P : R = br : bp Qualcosa di simile si verifica nella carrucola: se essa ha una sola puleggia, per sollevare un oggetto occorre applicare una forza pari al suo peso. Se invece si aumenta il numero delle pulegge, si può sollevare lo stesso peso impiegando una forza minore. In tal caso, però, la fune dovrà scorrere per una distanza maggiore. Perché certi oggetti galleggiano nell’acqua, mentre altri vanno a fondo? E più in generale, perché ogni oggetto quando si trova immerso nell’acqua pesa di meno? Si dice che entrando nella vasca da bagno, e vedendo traboccare l’acqua, Archimede abbia avuto un’improvvisa intuizione e abbia gridato “eureka!”, che in greco significa “ho trovato!”. Aveva capito quello che oggi chiamiamo “principio di Archimede”: un oggetto che si immerge, e sposta così un certo volume di acqua, riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del volume d’acqua spostato. Per esempio prendiamo il caso di una pietra che pesa 3 kg e ha un volume pari a un litro. Quando è immersa essa sposta un litro d’acqua, che pesa 1 kg; perciò il peso della pietra immersa è ridotto di un kg. Il principio di Archimede permette di prevedere se un oggetto starà a galla o andrà a fondo, a seconda della sostanza di cui è fatto. Se la sostanza ha una densità ( o, in modo equivalente, un peso specifico) maggiore di quello dell’acqua, l’oggetto andrà a fondo; in caso contrario starà a galla. S = spinta di Archimede ps = peso specifico del corpo immerso V = volume del liquido spostato Gerone, re di Siracusa, aveva fatto realizzare una corona d’alloro tutta d’oro. Sospettava che l’orafo l’avesse ingannato e avesse mescolato l’oro con l’argento, che è un metallo meno prezioso. Come poteva si scoprire se l’orafo era stato onesto? Per trovare la risposta, Archimede usò probabilmente una bilancia a cui appese la corona e una pepita d’oro dello stesso peso. L’argento è meno denso dell’oro, quindi se la corona è fatta di una lega di oro e argento essa avrà una densità minore, e perciò volume maggiore, rispetto alla pepita. Quando è immersa nell’acqua, la corona riceverà allora una spinta verso l’alto maggiore rispetto a quella che riceve la pepita, e la bilancia non sarà più in equilibrio. Archimede mise le sue conoscenze scientifiche al servizio del re Gerone anche in occasione dell’assedio di Siracusa da parte dei Romani guidati da Marcello. A quanto pare riuscì a rovesciare alcune navi della flotta romana, usando macchine da guerra basate sui principi della leva e della carrucola multipla. Inventò anche gli specchi ustori, che concentravano la luce del sole fino a dar fuoco al legno delle navi nemiche. I Romani conquistarono infine Siracusa nel 212 a. C., quando Archimede aveva ormai 75 anni. Marcello aveva dato ordine che egli fosse risparmiato, ma durante il saccheggio della città un soldato romano non riconobbe il vecchio uomo di scienze e lo uccise. Nel Medioevo e nel Rinascimento le persone istruite, che erano in piccola minoranza, non avevano molto interesse per la scienza. Si pensava che tutto ciò che c’è da conoscere sulla natura fosse già stato scoperto da Aristotele, il grande filosofo greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo. Aristotele era stato un brillante osservatore e classificatore dei fenomeni naturali e classificatore dei fenomeni naturali e degli esseri viventi, ma non aveva effettuato esperimenti per mettere alla prova le proprie intuizioni. In alcuni casi le ipotesi di Aristotele erano sbagliate, tuttavia esse si tramandano nei secoli come verità assolute, senza che nessuno osasse metterle in discussione. Alla fine del Cinquecento però Galileo Galilei introdusse il metodo sperimentale. Egli diventò così il primo scienziato nel senso moderno del termine, e diede uno scossone alla visione aristotelica del mondo. Nato a Pisa nel 1564, il giovane Galileo studiò medicina, ma il corpo umano non lo interessava molto; preferiva investigare la dinamica, ovvero le caratteristiche e le cause del movimento degli oggetti. Pare che un giorno durante la Messa nel duomo di Pisa, Galileo abbia notato un lampadario che oscillava, messo in movimento da chi aveva acceso le candele. Al passare del tempo le oscillazioni diventavano sempre più piccole. Galileo decise di controllare come cambiava il loro periodo, cioè il tempo impiegato per un’oscillazione completa, avanti e indietro. All’epoca non esistevano cronometri, e Galileo usò le pulsazioni del cuore per misurare gli intervalli di tempo. Con sorpresa si accorse che i tempi non cambiavano del dell’oscillazione l’ampiezza fosse qualunque candeliere. Ripetè poi l’esperimento a casa, facendo oscillare un sasso appeso a una corda. Ebbe così conferma di ciò che aveva misurato nel duomo, ma scoprì anche qualcosa in più. Il periodo del pendolo non dipende dall’ampiezza dell’oscillazione, ma non dipende neppure dal peso del sasso utilizzato. L’unico modo per cambiare il periodo di un pendolo è variare la lunghezza della sua corda. Galileo raccomandò ai medici di usare un pendolo di lunghezza fissa per misurare le pulsazioni cardiache. Questo apparecchio chiamato pulsometro era un prototipo degli orologi a pendolo, che nei secoli successivi sarebbero diventati comuni in tutte le case. Dunque in un pendolo, sotto l’azione della forza di gravità, una pietra leggera e una pietra pesante impiegano lo stesso tempo per raggiungere la posizione più bassa. Galileo si convinse allora che anche in caso di caduta libera da una stessa altezza le due pietre dovevano impiegare lo stesso tempo per raggiungere il suolo. Aristotele però aveva detto che gli oggetti pesanti cadono più rapidamente di quelli leggeri, Chi aveva ragione? Per stabilirlo ci voleva un esperimento. Secondo la leggenda, Galileo lasciò cadere dalla torre pendente di Pisa due sfere di dimensioni uguali, una di legno e una ,molto più pesante di ferro: gli spettatori increduli poterono verificare che le due sfere toccavano terra in tempi uguali. Dunque tutti gli oggetti in caduta libera,qualunque sia il loro peso,accelerano verso il suolo nello stesso modo. L’esperimento di Galileo fu ripetuto sulla luna durante la missione Apollo 15 dall’astronauta David Scott, qui ritratto dal suo compagno d’avventura Alan Bean Un oggetto che cade si muove verso il basso con velocità sempre crescente. Galileo voleva misurare le caratteristica di questo moto accelerato e trovarne una descrizione matematica. Ma il movimento è troppo rapido, e senza l’aiuto di una macchina fotografica è impossibile osservare i dettagli. Galileo allora ebbe l’idea di rallentare la caduta facendo scivolare una pallina su un piano inclinato, e misurò le distanze percorse dalle palline al variare dell’intervallo di tempo trascorso dalla sua partenza. Per misurare l’intervallo di tempo usò un orologio ad acqua, aprendo e chiudendo un rubinetto posto al fondo di una botte: la quantità d’acqua uscita dal rubinetto è infatti direttamente proporzionale alla durata dell’apertura del rubinetto. In questo modo Galileo scoprì che quando si cade da fermi, la distanza percorsa è proporzionale al quadrato del tempo trascorso. Galileo verificò che ciò accade qualunque sia l’inclinazione del piano. Ne dedusse che il risultato deve valere anche nel casolimite di un piano verticale, cioè di una caduta libera della pallina. Aveva scoperto la legge del moto di caduto dei gravi. s = ½ g t2 Nel 1609 Galileo venne a sapere dell’invenzione di uno strumento che permetteva di vedere ravvicinati oggetti anche molto distanti. Riuscì costruire un cannocchiale e lo usò per osservare la luna, i pianeti e le stelle. Nel 1610 pubblicò i risultati di queste osservazioni nel volumetto illustrato Sidereus Nuncius ( Il messaggero delle stelle ). Le scoperte astronomiche di Galileo lo resero famoso, ma gli procurarono anche molti guai. Secondo la tradizione aristotelica, infatti, tutto l’universo ruota intorno alla terra. Ma nel 1543 l’astronomo polacco Niccolò Copernico aveva proposto un modello diverso del cosmo, nel quale la Terra e gli altri pianeti ruotano invece intorno al sole. La chiesa cattolica considerava il modello copernicano un’eresia. E quando Galileo lo sostenne, sulla base delle nuove osservazioni fatte con il cannocchiale, finì sotto processo. Il 22 giugno1633 davanti alla Santa Inquisizione Galileo dovette abiurare, cioè rinnegare tutte le affermazioni precedenti, dichiarando di credere invece alla dottrina della Chiesa. Ebbe così salva la vita ma fu mandato al confino in una villa di Arretri, vicino a Firenze. Qui passò i suoi ultimi anni e morì nel 1642. Isac Newton nacque a Woolsthorpe, una cittadina della campagna inglese, alla fine del 1642. A diciannove anni iniziò gli studi universitari in una delle accademie più prestigiose, il Trinity College di Cambridge. Ma nel 1665 l’università dovette essere chiusa a causa di un’epidemia di peste. Newton allora dovette ritornare a casa, nel suo paese natale, dove studiò e lavorò tantissimo. Molte idee scientifiche che egli sviluppò in seguito nacquero proprio nel corso di quell’anno passato in isolamento. Per studiare la luce solare, Newton fece un forellino nello scuro di una finestra. Così la stanza buia veniva attraversata da un sottile fascio di luce, che Newton fece passare attraverso un prisma di vetro. Un paio di metri oltre il prisma mise uno schermo e vide che l’immagine del forellino non era una macchia bianca, ma una striscia di luce che conteneva tutti i colori dell’arcobaleno. Poi fece passare i singoli fasci di luce colorata attraverso un secondo prisma, e vide che la luce colorata non subiva nessun altro tipo di scomposizione. Newton scoprì così che la luce bianca è il risultato della sovrapposizione di fasci di luce colorata, e che la forma più semplice della luce è quella colorata. Nel 1684, convinto dall’astronomo Halley (che ha dato il nome a una cometa), Newton scrisse il tratto intitolato “I principi matematici dalla filosofia naturale”, che ancora oggi è giudicato l’opera più importante della scienza moderna. Qui Newton spiegò per la prima volta come il moto degli oggetti, o corpi, dipende dalle forze che agiscono su di essi. Lo fece enunciando le tre leggi della dinamica: La prima legge della dinamica, o principio inerzia, afferma che un corpo rimane nel suo stato di quiete, o di moto rettilineo uniforme, se la forza totale che agisce su quel corpo è nulla ; La seconda legge della dinamica, o legge fondamentale F = mxa, spiega in che modo la velocità di un corpo cambia quando è costretto a mutare il suo stato di moto: l’ accelerazione a di un corpo, cioè la variazione della velocità del corpo nell’unità di tempo, è proporzionale all’intensità della forza F che agisce sul corpo ed è inversamente proporzionale alla massa m del corpo; La terza legge della dinamica, infine, è nota come principio di azione e reazione: afferma che se un corpo agisce su un altro corpo con una certa forza, allora anche il secondo corpo agisce sul primo con una forza uguale e contraria. Questa legge della dinamica è sorprendente, e lo era ancora di più per i contemporanei di Newton. Se il sole attira la Terra, ragionava Newton, allora anche la Terra deve attirare il Sole con una forza di uguale intensità e di verso opposto. Intorno al 1670, utilizzando i risultati dell’astronomo Klepero, Newton aveva ricavato la formula matematica che descrive la forza con cui il sole attrae i pianeti. Egli potè così enunciare la legge della gravitazione universale: due corpi qualsiasi si attraggono con una forza proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato dalle loro distanze. La forza di attrazione diminuisce cioè di 4 volte ogni volta che la distanza tra i due corpi raddoppia. Immagina di essere sulla cima di una montagna. Se spari un proiettile con un cannone in direzione orizzontale, il proiettile dopo aver percorso un certo spazio cadrà a terra con una traiettoria curva come nella figura a), tratta da un disegno di Newton Se lanci il proiettile con più forza esso avrà una velocità iniziale più alta, e prima di cadere a terra percorrerà una distanza maggiore come nella figura b) Portando agli estremi questo ragionamento, Newton comprese che se il proiettile viene lanciato con una velocità sufficientemente alta, esso non ricadrà più al suolo come in figura c) ma inizierà a orbitare in torno alla terra, proprio come i pianeti in torno al sole. Quindi secondo le intuizioni di Newton la forza di attrazione gravitazionale spiega sia perché un corpo cade, sia perché un pianeta ruota intorno al sole: si tratta dunque di una forza universale. Questa legge, applicata l’attrazione che il sole e la luna esercitano sulle acque degli oceani, permise a Newton di prevedere l’altezza delle maree. Nel 1669, per i suoi grandi meriti, Newton fu nominato professore di matematica a Cambridge e qualche anno più tardi si trasferì a Londra, dove divenne Governatore della Zecca inglese. anche in questo lavoro Newton mise a frutto il suo ingegno. I falsari inglesi a quei tempi limavano i bordi delle monete d’oro e d’argento per raccogliere il metallo prezioso; poi rimettevano in circolazione le monete alleggerite, il cui valore effettivo era perciò diminuito. Per combattere questa pratica Newton introdusse la zigrinatura del contorno delle monete: così se un falsario avesse limato il metallo, avrebbe rovinato la zigrinatura rendendo immediatamente visibile la truffa e quindi impossibile lo smercio delle monete falsate. Oggi Newton è giustamente ricordato come un grande matematico, fisico e pioniere della scienza moderna, ma in realtà il percorso della sua ricerca fu tutt’altro che lineare. Nel seicento non era ancora chiaro quale fosse il metodo migliore per interrogare la natura e scoprirne i segreti. Così per oltre trent’anni Newton si dedicò all’alchimia e alla magia, accumulando un fallimento dopo l’altro. La sua personalità inquieta e tormentata era dovuta anche a frequenti malattie; forse provocate dalle sostanze nocive e velenose usate nei suoi esperimenti. Charles Darwin nacque il 12 febbraio 1809 a Shrewsbury, una cittadina dell’Inghilterra meridionale, in una famiglia di appassionati studiosi dei fenomeni naturali. Il nonno Erasmus Darwin era un famoso zoologo e nel suo libro Zoonomia aveva presentato nuove idee e ipotesi a proposito dell’evoluzione. Fin da bambino Charles era affascinato dalla natura e collezionava minerali, conchiglie e insetti. Un giorno voleva catturare un bel coleottero, ma aveva già le mani piene: ebbene, ci teneva così tanto che lo portò a casa tenendolo tra le braccia. All’università Darwin studiò medicina e teologia, ma non era molto interessato a questa materia. Fu invece fortemente influenzato dalle idee di scienziati come Charles Lyell, il fondatore dalla moderna geologia. Lyell in particolare sosteneva che la terra è molto antica ed evolve con cambiamenti graduali che richiedono tempi lunghissimi. A 22 anni il giovane Charles Darwin colse l’occasione di imbarcarsi come naturalista a bordo del Beagle, una nave della marina militare che doveva fare il giro del mondo. Durante questo lungo viaggio,durato quasi 5 anni, Darwin osservò molti fenomeni naturali che descrisse poi in libri pubblicati dopo il suo ritorno in Inghilterra. Per esempio: trovò in Sudamerica molti fossili di animali sconosciuti in Europa spiegò la formazione degli atolli corallini ipotizzando che i coralli crescono mentre l’isola che circondano lentamente affonda studiò il modo in cui gli insetti impollinano i fiori di orchidea 1. Il Beagle salpò dall’Inghilterra il 27 dicembre del 1831; toccò le isole Canarie e di Capo Verde e approdò in Brasile dove iniziò a collezionare esemplari di molti nuovi tipi di animali e piante. 2. Nel primo anno esplorò la foresta tropicale poi via terra raggiunse Buenos Aires, dove una guerra civile lo bloccò fino al 1833. Esplorando l’interno visitò molti bacini di rocce sedimentarie ricche di fossili 1. 2. 3. Nel marzo del 1834 il Beagle potè ripartire, visitò le isole Falkland e poi passò lo stretto di Magellano. Darwin esplorò così il Cile dove il 20 febbraio 1835 assistette al terremoto che distrusse la città di Valdivia. Poi visitò l’interno, attraversando le Ande ed ebbe così modo di constatare che gli animali della costa occidentale del Sudamerica sono molto diversi da quelli della costa orientale. 1. 2. 3. 4. Il 15 settembre 1835 il Beagle fece rotta verso le isole Galapagos, dove rimase per circa un mese. 5. Il viaggio continuò poi verso Tahiti e la Nuova Zelanda. Nel 1836 il viaggio di ritorno toccò l’Australia, Sumatra e l’isola Mauritius. Passato il Capo di Buona Speranza, dopo una nuova sosta in Brasile, il Beagle approdò in Inghilterra il 2 ottobre 1836. La tappa fondamentale del viaggio di Darwin fu la visita alle isole Galàpagos, che si trovano sperdute nell’oceano pacifico, a ovest dell’odierno Ecuador. Queste isole erano (e sono tuttora) un paradiso naturale un “laboratorio” ideale in cui osservano le caratteristiche di specie che vivono isolate dal resto del mondo. Darwin in particolarmente studiò attentamente i fringuelli. Sulle diverse isole ne trovò 13 specie, molto simili tra loro ma differenti per la forma e le dimensioni del becco: il becco sembrava essersi “adattato” all’ambiente per raccogliere e sminuzzare il particolare tipo di cibo disponibile, che era diverso su ciascuna isola. Nel tentativo di spiegare queste osservazioni, Darwin immaginò che: in passato un gruppo di fringuelli appartenenti a un singola specie doveva essere arrivato alla Galàpagos dal sud America; successivamente in questa specie si erano prodotte varietà caratterizzate da becchi diversi; ciascuna varietà aveva poi dato origine a un nuova specie, adatta a nutrirsi di un particolare tipo di cibo. Nel 1838 Darwin fu ispirato da un libro dell’economista Thomas Malthus. Secondo Malthus l’enorme crescita delle popolazioni umane avrebbe prima o poi fatto nascere una competizione tra gli uomini per procurarsi risorse come il cibo, le terre da coltivare o l’acqua. Darwin applicò questa ipotesi a tutto il mondo vivente, introducendo il concetto di lotta per l’esistenza : gli organismi sono continuamente in competizione per le risorse naturali; se non sono in grado di ottenere risorse sufficienti dall’ambiente, muoiono e non lasciano discendenti Per ottenere un cane dal muso corto come il mastino, per esempio, si incrociano due cani con il muso un po’ più corto del normale: è allora probabile che i loro cuccioli avranno il muso corto. Se si incrociano tra loro i cuccioli, la nuova cucciolata avrà il muso ancora più corto, e così via. Questo è un esempio di selezione artificiale, cioè realizzata dall’uomo. Darwin ipotizzò che la selezione naturale fosse sempre all’opera in natura. Nella lotta per l’esistenza, gli organismi che casualmente nascono con caratteristiche più adatte all’ambiente in cui vivono hanno maggiore probabilità di sopravvivere e di riprodursi; passano così ai figli le proprie caratteristiche, e queste a lungo andare (cioè dopo molte generazioni) diventano dominanti nella popolazione. Su questa base, nel 1859, Darwin presentò nel libro L’origine delle specie la sua teoria dell’evoluzione per selezione naturale. La teoria fu subito contrastata dalla Chiesa, perché la Bibbia non parla di evoluzione o di selezione naturale. Fu invece accolta con entusiasmo dalla maggior parte dei colleghi di Darwin, che da tempo cercavano di spiegare scientificamente l’origine e le trasformazioni delle specie viventi, senza ricorrere a principi soprannaturali. Galapagos in spagnolo significa testuggini . Nelle isole con vegetazione più fitta le testuggini hanno un carapace (la corazza) molto chiuso, che le protegge quando attraversano i cespugli. Nelle isole più aride il carapace è più aperto, così la testuggine può allungarsi alla ricerca di cibo tra rovi e cactus. Intorno all’anno 1800 i chimici francesi Lavoisier e Proust scoprirono le leggi che regolano la formazione dei composti nelle reazioni chimiche. Per spiegare queste leggi l’inglese John Dalton propose la teoria atomica, secondo cui ogni elemento chimico è costituito da moltissimi atomi identici, ciascuno dei quali ha in sé tutte le proprietà dell’elemento. Gli atomi dovevano essere particelle molto piccole, invisibili anche al microscopio, con dimensioni dell’ordine di 10-10m (un decimo di milionesimo) e prive di carica elettrica. In greco atomo significa “invisibile”: per Dalton infatti gli atomi erano i costituenti ultimi della materia, privi di qualsiasi struttura interna. Nel 1870 il chimico russo Dimitri Ivanovic Mendeleev basò su questo teoria la sua classificazione dei diversi tipi di atomi: il risultato era riassunto nella tabella periodica che permette di spiegare tutti i fenomeni chimici allora conosciuti. Alla fine dall’ottocento però i francesi Pierre e Marie Curie scoprirono che gli atomi di alcune elementi chimici possono trasformati spontaneamente in atomi di tipo diverso. Tra questi atomi “speciali “ c’è il radio, e il fenomeno fu chiamato radioattività. Gli atomi radioattivi emettono corpuscoli chiamati particelle alfa (se carichi positivamente) o particella beta (se carichi negativamente). La radioattività quindi dimostra che l’atomo non è indivisibile, ma contiene particelle più piccole dotate di carica elettrica. Poiché però complessivamente l’atomo è neutro, al suo interno devono esserci particelle con cariche elettriche positive e negative che si compensano a vicenda. Negli stessi anni il fisico inglese Joseph John Thomson, facendo esperimenti con i tubi catodici, aveva identificato gli elettroni, che sono particelle più piccole degli atomi, sono cariche negative e hanno proprietà simili alle particelle beta. Thomson concluse che l’atomo contiene elettroni, e propose il primo modello per la struttura interna dell’atomo: una specie di “panettone” sferico, fatto di una sostanza dotata di carica elettrica positiva, al cui interno sono distribuite “uvette” corrispondenti agli elettroni. Nel 1911 il fisico neozelandese Ernest Rutherford eseguì un esperimento destinato a rivoluzionare la nostra conoscenza dell’atomo. Utilizzò una sorgente radioattiva come “cannone” per sparare particelle alfa contro lamine d’oro sottilissime, spesse poche centinaia atomi. Per il modello di Thomson i “proiettili” dovevano subire una piccola deviazione, a causa della forza elettrica di repulsione tra le particelle alfa e la carica positiva distribuita negli atomi dell’oro. Rutherford scoprì invece con meraviglia che la maggior parte della particelle alfa oltrepassava lamina d’oro senza deviare, ma alcune rimbalzavano come se avessero colpito un solido impenetrabile. Rutherford propose allora un nuovo modello dell’atomo, secondo cui: la carica elettrica positivo è concentrata in un nucleo centrale piccolissimo, che ha un raggio di circa 10 -14 m (un centesimo di miliardesimi di millimetro): gli elettroni orbitano intorno al nucleo, a un distanza pari a diecimila volte il raggio del nucleo stesso. Secondo questo “modello planetario”, in cui gli elettroni orbitano intorno al nucleo come i pianeti intorno al sole, gli atomi quindi sono quasi del tutto vuoti. Ciò spiega i risultato dell’esperimento di Rutherford: la maggior parte delle particelle alfa passa nello spazio vuoto tra il nucleo e gli elettroni, e quindi attraversa gli atomi indisturbati; in qualche occasione però le particelle colpiscono il nucleo, e allora rimbalzano. Nel modello di Rutherford c’è un problema: il moto degli elettroni è accelerato, perché la direzione della loro velocità cambia mentre orbitano intorno al nucleo. Secondo le leggi dalla fisica tradizionale, una particella carica accelerata perde energia: gli elettroni perciò cadrebbero sul nucleo in un tempo brevissimo, e gli atomi sarebbero instabili. Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr propose allora due nuove ipotesi: nell’atomo gli elettroni possono muoversi soltanto su orbite che si trovano a particolari distanze dal nucleo; su ciascun orbita l’elettrone ha una particolare energia, che resta sempre costante nonostante il moto sia accelerato. Nel modello di Bohr il raggio e l’energia delle orbite degli elettroni sono grandezze quantizzate: invece di variare con continuità, cioè, possono assumere soltanto alcuni valori. Questo modello è stato confermato da moltissimi esperimenti ed è il fondamento della teoria quantistica, la migliore descrizione che oggi abbiamo del mondo subatomico. Su di essa, in particolare, si basa il funzionamento di tutte le apparecchiature elettroniche che usiamo ogni giorno. Tra il 1920 e il 1935 i fisici riuscirono a identificare le particelle che formano il nucleo degli atomi: i protoni, con carica positiva, e i neutroni, elettricamente neutri. La loro massa è quasi 2000 volte maggiore di quella dell’elettrone, e sono tenuti insieme da una forza nucleare che fa da collante per il nucleo, impedendo che si spezzi a causa della repulsione elettrica tra i protoni. Fotografia di traiettorie di particelle subatomiche eseguite con un acceleratore di particelle Dopo la Seconda guerra mondiale sono stati costruiti grandi acceleratori nei quali le particelle subatomiche vengono fatte scontrare tra loro a grandissima velocità. Si è riusciti così a “spezzare” i neutroni e i protoni, scoprendo che sono formati da particelle ancora più piccole, i quark, che oggi sono il principale oggetto di studio della fisica delle altre energie. Konrad Lorenz fin da piccolo aveva mostrato una grande curiosità per gli animali, le loro attività e il loro comportamento. Visse poi in una grande villa con giardino (ad Alterber, un paese austriaco sulle rive del Danubio) dove allevava con grande amore e pazienza animali di ogni genere, dai piccoli anfibi fino alle grandi oche selvatiche. Su questi animali fece osservazioni molto particolareggiate, che gli permisero di capirne a fondo i comportamenti. Per questa ragione Lorenz è considerato il padre dell’etologia, cioè la scienza che studia i comportamenti degli animali. Lorenz era convinto della validità della teoria dell’evoluzione di Darwin, secondo cui l’uomo e gli altri animali hanno origini comuni; studiando il comportamento degli animali, egli mirava perciò anche a comprendere meglio quello degli uomini. Una delle idee di base che contraddistinguono gli studi di Lorenz è che per capire a fondo gli animali e studiarne il comportamento è necessario osservarli in libertà. Gli animali che allevava di solito vivevano liberamente in giardino, in soffitta o addirittura in casa, e mantenevano normali rapporti con il loro habitat. Lorenz poteva così osservarne il comportamento in condizioni naturali. Una specie che lo interessava particolarmente era la taccola, uno degli uccelli più evoluti, che vive in grandi gruppi e ha una vita sociale molto complessa. Per osservare questi uccelli da vicino e capire meglio i rapporti che esistono tra i diversi individui, lo scienziato decise di allevarne una colonia nella sua soffitta. Costruì una grande voliera dove pose alcuni piccoli di taccola. Non appena essi furono in grado di volare li lasciò liberi, facendoli rientrare nella voliera solo per la notte. Per riconoscere ogni singolo individuo Lorenz contrassegnò gli animali fissando alle zampe degli anelli colorati. In questo mondo, nell’arco di molti anni, riuscì a identificare e a capire molti aspetti del comportamento sociale di questi animali: il linguaggio usato per comunicare con gli altri individui della propria colonia, o colonie diverse; i rapporti tra i membri di una stessa colonia, e l’ordine gerarchico, per cui alcuni animali dominano su altri; le modalità di formazione delle coppie, che in questa specie rimangono unite per tutta la vita. Secondo gli etologi, le azioni compiute dagli animali sono dettate da : Comportamenti innati, cioè puramente istintivi, che si manifestano indipendentemente dalle esperienze fatte nel corso della vita; Comportamenti appresi, quelli cioè che i piccoli imparano dai genitori o da altri individui della stessa specie. Per studiare questi comportamenti, Lorenz prelevava le uova dal nido di numerose specie di uccelli e le faceva schiudere in un’incubatrice: poteva così osservare giovani uccelli che non erano mai stati a contatto con animali adulti, riconoscendo immediatamente i comportamenti che si sviluppano in modo istintivo. Nel caso delle taccole, per esempio, Lorenz scoprì che il modo di trattare e curare la prole dipende da un meccanismo innato: le taccole cresciute in un ambiente artificiale, infatti, sanno accudire i piccoli in modo identico alle taccole osservate in natura; questi animali però non sanno riconoscere i nemici. Quindi per le taccole la capacità di riconoscere i nemici non è un comportamento innato, ma appreso. Per altri uccelli invece anche questo meccanismo è innato: la gazza, il pettirosso e le anatre fuggono immediatamente alla vista di un gatto o di una volpe, anche se sono stati allevati in assenza di individui adulti della propria specie. In un esperimento rimasto famoso, Lorenz prese le uova deposte da un’oca selvatica e le divise in due gruppi: le uova del primo gruppo furono lasciate alla madre, che le covò fino alla schiusa; le altre uova vennero poste nell’incubatrice. Alla nascita dei pulcini, Lorenz scoprì che quelli del primo gruppo seguivano la loro madre naturale, mentre quelli del secondo gruppo seguivano lo sperimentatore, cioè Lorenz stesso: credevano che lui fosse la loro mamma! Questo esperimento dimostrò che per le oche selvatiche il legame con la madre non è istintivo: esso dipende infatti dall’esperienza che i piccoli hanno al momento della schiusa. Lorenz chiamò questo fenomeno imprinting, parola inglese che significa impressione, impronta.. L’imprinting quindi è un processo di apprendimento che avviene nei primissimi istanti della vita; in particolare, le piccole oche appena nate seguono come madre il primo animale che vedono. Ciò che è innato in questi uccelli è l’insieme degli stimoli usati per identificare la madre: essi infatti scelgono come guida qualsiasi oggetto, purchè sia in movimento ed emetta un qualunque tipo di suono. Lorenz osservò inoltre che il fenomeno dell’imprinting è irreversibile: i piccoli nati nell’incubatrice continuano a seguire il primo animale che hanno visto alla nascita, anche se subito dopo vengono ricongiunti con la vera madre. Per queste scoperte Konrad Lorenz ha ricevuto il premio Nobel nel 1973. Quando nacque il suo primo bambino Lorenz possedeva molti animali, che vivevano liberamente in casa e nel giardino; tra questi c’erano alcuni corvi,due grossi pappagalli e alcune scimmie. Per evitare che gli animali potessero far male al neonato, costruì una gabbia in cui tenere la carrozzina Albert Einstein nacque il 14 marzo 1879 a Ulm, in Germania, in una famiglia di origine ebraica. Da bambino imparò a suonare il violino, una passione che gli sarebbe rimasta per tutta la vita. A scuola Albert sopportava male l’autoritarismo degli insegnanti e la disciplina da loro imposta; per tutta la vita non ebbe mai troppa simpatia per i sistemi scolastici tradizionali e per le autorità in generale. Dopo il diploma fu ammesso al politecnico di Zurigo. Fu un periodo difficile: l’azienda del padre era fallita e Einstein doveva guadagnarsi da vivere dando lezioni private, mentre preparava gli esami con grande fatica. Ma proprio in questi anni studiò opere fondamentali per le sue successive scoperte e strinse amicizie importanti con i compagni di corso, come il matematico Marcel Grossmann. Dopo la laurea, grazie alla raccomandazioni del padre di Grossmann, Einstein trovò lavoro all’Ufficio Brevetti di Berna. Rimase comunque in contatto con il mondo della ricerca: amava riflettere sui problemi irrisolti della fisica di quel tempo e inviava i risultati dei suoi studi alle riviste scientifiche. Nel 1905, in un solo anno, pubblicò diversi lavori destinati a rivoluzionare completamente la fisica. Uno di questi lavori, che valse poi a Einstein il premio Nobel, diede inizio alla moderna fisica quantistica che è alla base del funzionamento di tutti gli strumenti elettronici, che usiamo ogni giorno, dalla televisione al computer al telefonino. Un altro lavoro del 1905 presentava la prima parte della TEORIA DELLA RELATIVITA’ Einstein fu il primo a capire che la velocità della luce c è una costante universale, cioè ha lo stesso valore (circa 300000 km al secondo) per chiunque la osservi. Secondo la teoria della relatività, gli intervalli di tempo e le distanze tra i punti dello spazio non sono grandezze assolute: cambiano a seconda di chi li osserva, cioè a seconda del sistema di riferimento che viene usato. Il cambiamento però è percettibile soltanto quando gli osservatori si muovono uno rispetto all’altro a velocità altissima, paragonabile a c. Per questa ragione, nella vita di tutti i giorni non ce ne accorgiamo. Ma Einstein dimostrò anche che le leggi della fisica non sono relative: esse rimangono le stesse per tutti gli osservatori. Tra le conseguenze di questo fatto c’è anche la famosa EQUIVALENZA TRA LA MASSA E L’ENERGIA riassunta nella formula E = mc2. Questa formula è alla base di tutte le applicazioni delle reazioni nucleari, dalla produzione di energia alle bombe atomiche. Nei ricordi di Einstein il primo miracolo che stimolò la sua curiosità per i fenomeni naturali avvenne quando a cinque anni il padre gli regalò una bussola da tasca. L’osservazione di quella forza misteriosa e invisibile che fa muovere l’ago lasciò nel bambino Albert un impressione durevole e profonda. Il secondo miracolo fu la lettura a dodici anni di un libro regalatogli da uno zio che spesso lo intratteneva ponendogli quesiti matematici. Si trattava di un manualetto di geometria euclidea, del quale Einstein disse:”la chiarezza e la certezza logica del suo contenuto mi fecero un’impressione indescrivibile.” Poi Einstein ebbe, per usare le sue parole, “la più felice intuizione della mia vita”: capì che una accelerazione causata dalla gravità è del tutto equivalente a un’accelerazione causata da una forza. Se ad esempio un razzo ci spinge verso l’alto con una forte accelerazione, il nostro peso aumenta proprio come se ci trovassimo fermi su un pianeta molto più massiccio della terra. Su questo principio di equivalenza Einstein fondò la seconda parte della sua teoria, la relatività generale, che spiega il mistero dell’azione a distanza della forza di gravità. Secondo Einstein infatti la presenza di oggetti deforma lo spazio, un po’ come una pallina pesante, posata su un telo, lo deforma creando un avvallamento. Se a una certa distanza si aggiunge un’altra pallina, i due avvallamenti tendono a unirsi formando un unico avvallamento più profondo. Allora le due palline si muovono,avvicinandosi, perché si sono attratte reciprocamente. Per Einstein la forza di gravità funziona in modo simile;le masse influenzano la geometria dello spazio, deformandolo, e la deformazione fa sì che le masse si attraggano a vicenda. Sempre secondo la teoria della relatività la luce trasporta energia, che equivale alla massa: ma allora la luce deve essere attratta da qualsiasi corpo dotato di massa. Se questo è vero, quando un raggio di sole proveniente da una stella lontana passa vicino al sole, l’attrazione gravitazionale del sole dovrebbe curvarlo, cambiandone la direzione. Questa previsione del tutto nuova venne confermata nel 1919 ed…Einstein fu famoso in tutto il mondo. Nei ricordi di Einstein il primo miracolo che stimolò la sua curiosità per i fenomeni naturali avvenne quando a cinque anni il padre gli regalò una bussola da tasca. L’osservazione di quella forza misteriosa e invisibile che fa muovere l’ago lasciò nel bambino Albert un’impressione durevole e profonda. Il secondo miracolo fu la lettura a dodici anni di un libro regalatogli da uno zio che spesso lo intratteneva ponendogli quesiti matematici. Si trattava di un manualetto di geometria euclidea, del quale Einstein disse:”la chiarezza e la certezza logica del suo contenuto mi fecero un’impressione indescrivibile.” Einstein divenne professore all’università di Berlino ma nel 1932, quando era ormai imminente la salita al potere di Hitler, lasciò la Germania e si trasferì negli Stati Uniti. Nel corso della seconda guerra mondiale, insieme ad altri scienziati, firmò una lettera al presidente Roosvelt in cui si sottolineavano le possibili applicazioni militari dell’energia nucleare: forse i nazisti stavano lavorando alla produzione di nuove, terribili armi. Anche in seguito alla lettera, Roosvelt diede inizio al Progetto Manhattan che avrebbe condotto alla costruzione della bomba atomica, poi usata alla fine della guerra in Giappone. Tuttavia Einstein non fu certo un militarista; al contrario prese spesso posizioni anticonformiste sui temi politici e sociali, causando scandalo con i suoi pronunciamenti pacifisti e di sostegno alla disobbedienza civile. Ancora nell’aprile del 1955, pochi giorni prima di morire, con la sua ultima lettera Einstein aderiva a un manifesto che invitava a rinunciare definitivamente alla produzione di armi nucleari. Rita Levi Montalcini è sicuramente tra gli scienziati italiani più importanti del secolo passato. Ha ottenuto risultati brillanti ed è stata anche capace di divulgarli, cioè di spiegarli al grande pubblico per farne comprendere l’importanza. Divenuta famosa, ha usato la sua autorevolezza per difendere la libertà della ricerca scientifica e per incoraggiare molti giovani a dedicarvisi. Le scoperte di Rita Levi Montalcini hanno gettato luce sui meccanismi che permettono lo sviluppo del nostro cervello. Oggi in tutto il mondo molti ricercatori stanno continuando i suoi studi, con l’obbiettivo di trovare presto una cura per alcune terribili malattie che colpiscono il nostro sistema nervoso. Nata a Torino nel 1909 da un padre ingegnere e da una madre pittrice, Rita Levi Montalcini si è laureata in medicina nel 1936. Tra i suoi compagni di studi c’erano Salvatore Luria e Renato Dulbecco, anch’essi destinati a diventare grandi scienziati. Nel 1938 il regime fascista di Mussolini, imitando sciaguratamente l’esempio dl nazismo tedesco, introdusse le leggi razziali che impedivano agli ebrei di assumere incarichi pubblici. Rita Levi Montalcini fu così costretta a lasciare la carriera universitaria, ma non per questo rinunciò alla ricerca: fino al 1943 condusse segretamente esperimenti in un laboratorio costruito nella sua camera. Nel 1943 lasciò Torino per andare a vivere clandestinamente a Firenze, collaborando come medico con l’esercito degli Alleati. Alla fine della guerra ritornò a Torino e riprese la carriera universitaria, ma pochi anni dopo si trasferì nel Missouri, dove sarebbe rimasta fino al 1977. Proprio nei laboratori americani Rita Levi Montalcini ha fatto nel 1951 la sua scoperta più importante, identificando una molecola che fa crescere le cellule nervose, chiamata NGF dalle iniziali di nerve growth factor, che significa “fattore di crescita dei neuroni”. La scoperta dell’NGF ha permesso di fare enormi progressi nello studio del sistema nervoso e per questo Rita Levi Montalcini ha ricevuto nel 1986 il premio Nobel per la medicina. Ritornata in Italia ha ricevuto molti altri riconoscimenti, è stata nominata senatore a vita nel 2001, ha scritto numerosi libri sull’evoluzione e sul funzionamento del cervello. Ha creato la fondazione IL FUTURO DEI GIOVANI, che raccoglie fondi per permettere a giovani ricercatori di effettuare ricerche sul sistema nervoso, e ha promosso l’apertura a Roma di un nuovo importante centro di ricerca in questo campo, che porta il suo nome. Nel frattempo Rita Levi Montalcini non ha mai trascurato la ricerca: a novant’anni frequentava ancora il suo laboratorio di Milano, partecipando attivamente al lavoro. Il fattore di crescita neuronale è una piccola proteina costituita da due unità di 118 aminoacidi ciascuna, unite da legami chimici covalenti. Questa molecola si lega a proteine che sono presenti con funzione di recettori sulla membrana delle cellule nervose: quando le tocca, i neuroni dell’embrione vengono stimolati e si sviluppano meglio, aumentando la velocità di crescita delle proprie strutture. Il ruolo dell’NGF è simile a quello della scheda telefonica nei telefoni pubblici: soltanto dopo averla inserita nell’apposita fessura puoi effettuare la telefonata. Analogamente soltanto quando l’NGF è entrato dentro il suo recettore la cellula si attiva e sintetizza le proteine necessarie per la propria crescita. Cultura di Neuroni del cervello Il fattore di crescita neuronale è anche in grado di prevenire il danneggiamento delle cellule nervose adulte, per esempio nel caso d’ingresso di sostanze tossiche nell’organismo. Inoltre esso vieta che i neuroni muoiano se viene temporaneamente a mancare l’irroramento sanguigno del tessuto nervoso, come nel caso di un breve arresto cardiaco. Queste scoperte fanno sperare che sia possibile usare l’NGF per curare malattie molto gravi in cui il sistema nervoso centrale viene danneggiato. Tra queste le più diffuse sono il morbo di Alzheimer e il morbo di Parkinson, che di solito attaccano le persone anziane: la morte dei neuroni fa perdere progressivamente il controllo dei movimenti e l’uso della ragione, fino a causarne la morte. Globuli rossi Ma le ricerche hanno dimostrato che il fattore di crescita neuronale è importante, oltre che per il sistema nervoso, anche per il sistema immunitario che difende il nostro organismo dagli attacchi dei batteri e dei virus. Infatti l’NGF : fa aumentare il ritmo di produzione delle cellule destinate alla difesa dell’organismo; rende più robuste le difese immunitarie stimolando le cellule a produrre sostanze tossiche per i microrganismi, oppure a fagocitarli; contribuisce a formare la memoria immunitaria, cioè il meccanismo grazie al quale il nostro corpo impara a riconoscere i microbi intrusi e a combatterli efficacemente quando li ha individuati. Infine si sa che l’NGF influenza la produzione delle cellule del sangue e che è coinvolto anche nelle reazioni allergiche. Molti ricercatori credono che l’NGF abbia anche altri ruoli, ancora da scoprire; ma già ora le prospettive per una sua applicazione in campo medico sono numerose e di grande rilievo.