L’Africa tra emergenze e migrazioni a cura di Immacolata Caruso e Bruno Venditto Africa Invito al dialogo Dalla cultura dell’emergenza all’emergenza della cultura Comune di Vico Equense- Napoli Sala Conferenze SS. Trinità 9 dicembre 2011 ore 16 L’Africa in cifre Percentuale terre emerse:20 Abitanti:900 milioni, 14% del totale mondiale Percentuale della popolazione sotto i 25 anni di età: 71 Tasso di crescita della popolazione urbana: 3,5 % l'anno Città più popolosa: Lagos, Nigeria (16,9 milioni di abitanti) Paese più popoloso: Nigeria (131 milioni di abitanti) Numero di rifugiati : 15 milioni (circa) Lingue: Più di 2000 Musulmani: 358 milioni Cristiani: 410 milioni Governi democratici: 19 (su 53 Paesi) Reddito: il 50 % degli africani vive con meno di un dollaro al giorno Paese più ricco: Mauritius, con un PIL annuale pro capite 12.800 milioni di dollari Paese più povero:Sierra Leone, Burundi, Malawi, Somalia, tutti con un PIL pro capite di 600 dollari. Alcuni dati di contesto: i trend positivi Negli ultimi dieci anni l'Africa ha registrato un progresso considerevole nei settori della governance democratica, la crescita economica e la fornitura di servizi sociali di base. Prima della crisi economica che ha colpito il continente nel 2008, la regione vantava tassi di crescita impressionanti. Molti paesi sono stati in grado di valorizzare questa tendenza, destinando somme considerevoli ai servizi sociali di base e facendo progressi verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM). Così, sebbene l'Africa sub-sahariana rimanga la regione con il maggior numero di persone che vivono in estrema povertà, il tasso di povertà è sceso rapidamente dal 1990. Nell’Africa sub-sahariana si è anche riusciti a ridurre del 17,4% tra il 2001 e il 2008 il numero di adulti e bambini infettati da HIV / AIDS, e l'accesso alla terapia antiretrovirale è stata estesa in molti paesi. La regione continua a mostrare progressi generali sulla parità di genere e l'empowerment delle donne. In particolare, si prevede che la parità di genere nell'istruzione primaria sarà realizzata nella maggior parte dei paesi africani entro il 2015. Il numero di posti occupati dalle donne in parlamento è aumentato in almeno 31 paesi. Le ricadute delle crisi attuali a livello globale: crisi economica e finanziaria e cambiamento climatico Oggi, la crisi economica e finanziaria globale sta minacciando di invertire molti di questi progressi. La crisi rischia di aggiungere tra i 7 milioni (stima della Banca Mondiale) e 16 milioni (ONU stima DESA) di individui all’insieme di persone che vivevano al di sotto di 1,25 dollari al giorno nell’ Africa sub-sahariana nel 2009. In pratica, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale stimano che il tasso di povertà dell'Africa sub-sahariana sarà pari al 38% entro il 2015, piuttosto che al 36% previsto se non ci fosse stata la crisi. Inoltre, l’ Africa sub-sahariana che, a livello globale, potrebbe essere considerata come l’area a più basse emissioni di anidride carbonica, si distingue, invece, per essere la regione più colpita dal cambiamento climatico, fatto che inasprisce le sfide ambientali ed energetiche che la regione deve affrontare. In particolare, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico stima che entro il 2020, 75-250.000.000 persone in tutta l'Africa saranno costretti ad affrontare la scarsità d'acqua con un conseguente riduzione delle colture pluviali che in alcuni paesi africani raggiungerebbe il 50% entro il 2020. Se, poi, la temperatura superasse i due gradi Celsius nell'Africa sub-sahariana come da scenari previsionali, altri 600 milioni di persone nella regione sarebbero costretti ad affrontare la fame, nuove epidemie di malattie trasmesse dalle zanzare, nonché ulteriori perdite per l'agricoltura fino a 26 miliardi di US $ entro il 2060 Emergenza Corno D’Africa A ciò si aggiunge,l’attuale emergenza nel Corno d’Africa, una delle regioni al mondo a maggiore insicurezza alimentare (più del 40% della popolazione soffre di scarsità di cibo). La crisi colpisce prioritariamente le zone rurali in di Somalia, Kenya, Etiopia, Gibuti ma si espande, oltre al Corno d’Africa, anche in Uganda, Sud Sudan ed in Tanzania Oltre che dalle frequenti siccità, da decenni la popolazione di tali aree, in particolare in Somalia e Sud Sudan, è impoverita da un’economia paralizzata dalle guerre e dai conflitti. Tra le cause immediate povertà endemiche, violenza diffusa, inefficacia di autorità pubbliche a cui vanno aggiunte responsabilità più generali, come l’incapacità delle istituzioni internazionali a risolvere i casi di conflitto e le sperequazioni commerciali mondiali. Il convergere di queste cause rende la situazione del Corno d’Africa, soprattutto in Somalia, un’emergenza complessa “perfetta”, che va affrontata con molta serietà e con la partecipazione di tutti, se si vuole diminuire il rischio che essa si ripresenti alche in altre regioni, in Africa o altrove. L’Africa è il continente con la popolazione più «mobile» del mondo Le migrazioni sono senza dubbio uno degli aspetti maggiormente rappresentativi delle nuove tendenze globali del ventunesimo secolo. Troppo spesso, però, quando si parla di migrazione verso l’Occidente ricco, si trascura il fatto che essa è solo una piccola frazione rispetto ai consistenti flussi migratori interni al continente africano. La complessità e la varietà degli spazi migratori, ma soprattutto l'eterogeneità dei flussi composti da una grande varietà di attori tra i quali, migranti economici, lavoratori transfrontalieri, rifugiati e clandestini, contribuiscono a rendere il fenomeno migratorio all'interno del continente dinamico, diversificato e al contempo assai complesso da decifrare. Flebili confini politici per un fenomeno informale e poco documentato In generale, le migrazioni interne al continente sono innanzi tutto milioni di uomini che si muovono silenziosi e discreti, percorrendo chilometri a piedi attraverso i paesaggi sconfinati dell’Africa, non per fuggire in un paese europeo, ma per trovare "fortuna", o molto più semplicemente, terre da coltivare, percorsi di transumanza o più in generale un lavoro, in un altro paese africano. Sono cadute, così, “di fatto” le barriere geografiche in aree e regioni dove popoli e tribù da sempre hanno posto i loro insediamenti sociali e culturali, in passato sventrati da rigidi regimi coloniali, oggi segnati da nuove frontiere politico-economiche o neocolonialiste In particolare, poi, il contesto attuale di crescita demografica (la popolazione africana raddoppia in media ogni 25 anni) e di trasformazione sociale, di crisi economica, politica, ambientale sta accrescendo sempre più l'intensità dei flussi migratori, interessando e coinvolgendo negli spostamenti, più o meno temporanei, uomini, donne, abitanti delle zone rurali e delle zone urbane, ma anche individui altamente specializzati e laureati. La maggior parte delle migrazioni interne africane, tuttavia, non avviene su base volontaria ma esse sono spesso forzate da elementi esterni contingenti, tra cui la povertà, i numerosi conflitti e le catastrofi naturali Si tratta quindi di migrazioni tra paesi poveri, di confine, tra paesi consumati da guerre e fame che si collocano nel più ampio quadro delle migrazioni sud-sud, caratterizzate da massicci flussi migratori tra le aree più povere e meno sviluppate del pianeta Molti di questi già flebili confini rischiano però di scomparire, o di trasformarsi in linee ridisegnate e tracciate su nuove mappe cartografiche a causa di devastanti mutamenti climatici che stanno sconvolgendo i quadri geo-ambientali di intere aree continentali L’Africa, un continente fortemente a rischio: alcuni dati Oltre il 35% della superficie si trova in aree esposte a rischi ambientali significativi (report Columbia University- Norwegian geotechnical institute,World Bank) 10 milioni di persone negli ultimi 20 anni sono state sfollate, a causa dell'espansione dei deserti e dei dissesti idrogeologici (rapporto Unep) e nel 2050, secondo le ultime stime dell’Acnur, saranno oltre 150 milioni i possibili profughi dell’Africa. Tra le strategie adottate dagli eco-rifugiati vi è proprio la migrazione temporanea. In alcuni paesi dell'Africa occidentale, in particolare Mali, Burkina Faso, Niger e Togo, gli uomini più anziani lasciano il gruppo per cercare lavoro in città nei periodi di siccità. In Etiopia, invece, questa forma di esodo è adottata soprattutto dai giovani. Nelle regioni rurali, quando la siccità è particolarmente grave e ogni opzione di adattamento è esaurita, famiglie e villaggi interi traversano le frontiere, vincendo tutti gli ostacoli Alto il numero di rifugiati e sfollati interni, oltre due milioni e 500mila persone, secondo i dati dell' UNHCR La maggior parte sono i profughi della regione dei grandi laghi e del Corno d'Africa Vivono nei campi profughi in Congo, Sudan, Uganda e Somalia, o in misura minore in Costa d’Avorio, Chad, Kenya ed Etiopia. Una parte consistente dell'esodo somalo si concentra poi verso lo Yemen, sulle cui coste nel 2007 sono approdate circa 30mila persone in fuga dalla guerra. Questi drammi umanitari hanno evidenziato di fatto a livello internazionale la mancanza di qualsiasi riconoscimento per la nuova categoria dei “rifugiati ambientali” e l'assenza di un qualsiasi piano d’intervento efficace per affrontare quelle che sono ormai emergenze sempre più frequenti. L’evoluzione delle diverse tipologie di migranti negli ultimi trenta anni Dagli anni ’80 in avanti, le migrazioni africane si sono diversificate e sono diventate anche più spontanee, senza seguire lo schema classico della migrazione solo per lavoro. E così, fino agli anni Novanta, soprattutto nelle regioni dell’Africa del Sud flussi ingenti di masse, per lo più composte da gente alla ricerca di condizioni di vita migliori, erano costituite prevalentemente da lavoratori non specializzati provenienti da Botswana, Lesotho, Swaziland, Mozambico e Malawi diretti verso le miniere sudafricane. Nello stesso tempo spostamenti di massa sono stati causati dalle guerre civili che hanno insanguinato per decenni diversi paesi quali il Sud Africa (fino all’abbattimento del regime razziale di Pretoria), l’Angola e il Mozambico, nonché, in tempi più recenti dalle crisi politiche interne in Liberia, Zimbabwe, Repubblica democratica del Congo e Somalia Una grande mobilità è dovuta poi alla desertificazione progressiva e/o ai disastri nautrali come quelli avvenuti in Monzambico dove, dopo le alluvioni devastanti del 2000 che hanno causato oltre un milione di rifugiati, nel marzo 2001 piogge torrenziali hanno provocato gravi inondazioni mettendo in fuga circa 400mila persone Permane inoltre la tipologia prevalente dello spostamento finalizzato alla ricerca di lavoro che però al contrario di quanto accaduto precedentemente riguarda da un lato ingressi crescenti di lavoratori altamente specializzati con importanti innesti di manodopera qualificata provenienti da Botswana, Zambia, Namibia e Sudafrica, e dall’altro un aumento del cosiddetto fenomeno del “brain drain”che vede coinvolti persone con un’ alta formazione alla ricerca di condizioni di vita e riconoscimenti professionali migliori in altri continenti. Queste ultime due categorie rappresentano entrambe preoccupanti emorragie per quei paesi che vedono di fatto emigrare il sostrato attivo e produttivo della popolazione a cui affidare una ripresa dei sistemi economici locali. Le nuove forme di mobilità nei mercati globali Fenomeni nuovi che anno contribuito ad accelerare e a centrifugare i flussi migratori, tanto da rendere il mosaico delle migrazioni interne e internazionali ancora più complesso e frammentato. È per questo ancora necessario interrogarsi sulle ragioni di fondo delle partenze, avendo cura di considerare le scelte dei migranti come opzioni non calate in un contenitore vuoto, nel quale le strategie si sarebbero semplicemente dipanate secondo le volontà degli individui, ma inserite all’interno delle maglie talora imposte dalle modificazioni dell’economia alle classi rurali, artigiane, operaie ed oggi anche ai nuovi migranti intellettuali. Un’interpretazione di questo tipo rende possibile un confronto tra le migrazioni storiche e quelle contemporanee, che evidenzi tanto la continuità di alcuni spostamenti, quanto le profonde modificazioni legate alla globalizzazione dei mercati. Si tratta anche in questo contesto geografico di massicci movimenti di popoli in gran parte riconducibili a nuove prospettive lavorative, visto che la creazione di mercati regionali di scambio comune ha reso più agevoli gli spostamenti nelle aree stesse. Numerosi paesi di emigrazione sono diventati progressivamente paesi di immigrazione, la componente femminile ha assunto un molo centrale e autonomo, soprattutto per ciò che concerne la gestione del commercio informale; mentre il settore formale, in particolare le attività di vendita ambulante e di assistenza domestica, rappresentano un tratto determinante delle odierne migrazioni economiche. Alcuni esempi Studiosi e ricercatori provenienti da Nigeria e Ghana sono ancora allettati dalle università sudafricane, statunitensi ed europee, mentre commercianti di professione provenienti da Costa d’Avorio, Senegal e Mali vanno in cerca di nuovi mercati fuori dai confini, verso la Francia e il Regno Unito, per poi ritornare solo in minima parte (circa il 4%) nei paesi di provenienza. Sono, invece, soprattutto le aree regionali di confine tra stati poveri come Gambia, Guinea Bissau e Guinea, ma soprattutto quelle comprese tra Ghana, Benin e Togo ad offrire una continua migrazione transfrontaliera riconducibile agli scambi commerciali. Si tratta non solo di generi di sussistenza, prodotti di uso quotidiano, ma anche di commercio raffinato di stoffe e tessuti usati comunemente nell’abbigliamento africano, i cosiddetti pagnes, che hanno creato da decenni una tipologia migratoria specifica (interna e di migrazione tutta femminile) Esemplificative in tal senso sono le nuove “Golden Ladies” del Golfo di Guinea, intraprendenti manager donne, che lasciano mariti e figli per commerciare partite tessili milionarie e rinverdire così i fasti delle celebri e ricchissime “Nana Benz” di Lomé degli anni Settanta-Ottanta. Le migrazioni femminili africane interne tuttavia si identificano troppo frequentemente anche con il traffico illecito: da Ghana, Mali e Sierra Leone vengono reclutate giovani donne allettate da nuove false prospettive di vita e di guadagni in Europa. Le potenti organizzazioni criminose nigeriane al contempo amministrano anche il traffico interno di bambini dal Togo e Mali per lavorare come piccoli schiavi nelle piantagioni della Costa d’Avorio o come servi domestici in Gabon. Migrazione di transito Solo una piccola parte dei migranti economici e dei richiedenti asilo politico africani ha come meta l'Europa La chiusura delle frontiere operata dai paesi europei e da alcuni paesi del Nord Africa in seguito alla cosiddetta primavera araba ha costretto milioni di migranti a modificare le tradizionali rotte e i progetti migratori con ulteriori gravi conseguenze. Aumento della migrazione di transito Il percorso migratorio spesso non è definito dall’inizio del viaggio, ma si modifica durante il cammino obbligando i migranti a scegliere nuove destinazioni e vie diverse per raggiungerle Tali alternative sono condizionate dalle risorse disponibili e dai controlli a cui il migrante va incontro Ciò determina, oltre che un’incertezza sui tempi di durata dell’intero processo migratorio, anche una moltiplicazione delle rotte prescelte Tre rotte principali: La rotta dell’Africa occidentale La rotta dell’Africa settentrionale ed orientale La rotta del Mediterraneo orientale Spesso coincidono con: I percorsi utilizzati per gli ingressi illegali in Europa Le antiche vie carovaniere utilizzate dai nomadi dall’interno alla costa Gli effetti delle migrazioni nei paesi di transito dall’Africa all’Europa La migrazione di transito non rappresenta una modalità, quanto piuttosto una fase del processo migratorio Ai migranti in transito si aggiungono quelli che eleggono gli stessi paesi di transito a meta finale del loro viaggio e i rifugiati Il dato più evidente è la commistione fra i migranti in transito e quelli irregolari (migranti in attesa di permesso di soggiorno, rifugiati in attesa di documenti, clandestini), che provoca nei paesi interessati una serie di effetti imprevisti. Il tempo necessario ai migranti in transito per poter raggiungere una nuova destinazione e ai rifugiati per ottenere un documento di riconoscimento del loro status, fa sì che permangano nel paese di prima accoglienza per un periodo più lungo del previsto Essi entrano, spesso in maniera illegale, nel mercato del lavoro locale, confondendosi con gli immigrati in attesa di permesso di soggiorno, a loro volta alla ricerca di occupazione Finiscono per assimilarsi ed essere considerati come un unico blocco di immigrati irregolari Tale blocco s’inserisce in economie già deboli (alti tassi di disoccupazione, infrastrutture sociali già sovraccariche ed apparati amministrativi e legali inadeguati La loro presenza è, nel complesso, considerata come sgradita dalle autorità, e talvolta percepita come indesiderabile dalle popolazioni locali Considerazioni conclusive In Africa vivono 900 milioni di persone, circa il 14% della popolazione mondiale, ma in essa viene prodotto solo il 2% della ricchezza planetaria e l’1% del commercio mondiale. Il reddito medio dei suoi abitanti è 20 volte inferiore a quello medio dell’Unione europea. Dei 32 Paesi del mondo con l’indice di sviluppo umano più basso, 30 appartengono all’Africa sub-sahariana, dove i poveri e i sottoalimentati rappresentano il 40% della popolazione. Eppure il continente africano è ricco di risorse naturali e gli africani sono portatori di culture, storie, abilità e tradizioni ricchissime e molto diverse tra loro (in Africa si parlano più di 2000 lingue). Ma le risorse continuano a essere causa di conflitti e di sfruttamento della popolazione, che spesso si innestano con divisioni etniche e religiose. Tutto questo è anche causa di migrazioni, spostamenti interni, dalle aree rurali a quelle urbane, corridoi migratori tra Paesi confinanti, migrazioni verso l’Europa e i Paesi occidentali che aggravano le condizioni delle popolazioni. “L’Africa quindi non è un continente povero ma impoverito” A fronte di ciò si ribadisce la necessità di azioni cooperative a livello internazionale e nazionale di assistenza allo sviluppo, ma soprattutto si riporta in primo piano il problema della corretta elaborazione e applicazione dei processi d’integrazione, processi che oggi non possono affatto prescindere da interventi ben strutturati e tarati a livello locale attraverso la partecipazione di tutti gli attori coinvolti, governativi e non, e, in primo luogo, della stessa società di accoglienza. Le cose sulle due rive erano chiare a metà, apparivano e sparivano, fra la luce ed il buio. T. Salih, “La stagione della migrazione a Nord”, 1992 Grazie per l’attenzione [email protected] [email protected]