Monza e Milano: vicende parallele Gertrude: la monaca di Monza La signora: Quando nacque la nostra infelice, il principe, volendo darle un nome che risvegliasse immediatamente l’idea del chiostro, la chiamò Gertrude. Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi che le diedero in mano; poi santini che rappresentavano monache. Quando i genitori e il fratello primogenito solevano lodare l’aspetto prosperoso della fanciullona, le dicevano: «Ce madre badessa!». Se qualche volta la Gertrude trascorreva a qualche atto un po’ arrogante e imperioso, le si diceva: «Queste maniere non ti convengono: quando sarai madre badessa, allora comanderai a bacchetta, farai alto e basso». Dal Vero storico al verosimile Il contesto storico è quello reale del ‘600 a Milano sotto la dominazione spagnola Con la realtà storica si intreccia la vicenda degli umili che è invece verosimile Così Manzoni riesce a introdurre negli atti e nelle parole dei personaggi immaginari il suo sentimento morale e religioso senza commettere falsi storici TEMI Il tema più significativo è quello su cui poggia il messaggio manzoniano, si riferisce alla visione religiosa della vita, in cui domina il leit-motiv del romanzo, ossia l'opera della Provvidenza di Dio nella storia e nelle umane vicende. Insieme con la scelta di porre gli umili a protagonisti della storia, rappresenta sicuramente l'elemento di grande novità del romanzo. Il pensiero religioso L'idea religiosa dominante è quella di provvidenza Il dolore che gli uomini soffrono a causa delle ingiustizie non può mai essere disperato se si ripone fiducia nella provvidenza divina. Chi vuole compiere il male è visto non con disprezzo ma con ironia, perché chi ha fede sa che il corso della storia non può essere modificato dalle singole azioni negative degli uomini. Ovviamente per Manzoni gli uomini non devono attendere passivamente la realizzazione del bene, ma devono combattere perché il disegno provvidenziale si realizzi Tra i disegni provvidenziali vi è l’uguaglianza di tutti gli uomini e la fine delle oppressioni La Storia dell’800 mostra invece che molti popoli sono afflitti perché sottomessi Combattere per ridurre queste ingiustizie e realizzare così il piano divino in terra diventa moralmente auspicabile La Chiesa Insieme alla concezione della Provvidenza, le istituzioni ecclesiastiche hanno ovviamente una grande importanza nelle vicende del romanzo. Manchevoli sono tuttavia i ministri della Chiesa chiamati a testimoniare la parola di Dio nel mondo, perciò il clero è rappresentato in una dimensione assai variegata che riproduce la diversificazione sociale, infatti vi sono al suo interno personaggi borghesi e nobili, figure positive che aiutano i protagonisti e altre negative che, per malvagità o paura, sono complici dei soprusi La Chiesa è dunque formata da uomini e donne soggetti all'errore e vittime delle passioni mortali al pari di tutti gli altri. Il ruolo della Chiesa Fra Cristoforo Cardinale Borromeo Don Abbondio Il coraggio La santità La viltà Religioso convinto. Rispetto per I valori cristiani. Non si abbandonano gli umili ma si difendono dai soprusi dei potenti Aiuta i protagonisti, simboleggia un Cristianesimo puro. E’ dipinto come un vero santo, pio, umile, caritatevole, altruista, disponibile e pacato. Esempio del prelato mediocre che trascura la propria missione per paura e per quieto vivere e diviene un aiutante dell’oppressore I personaggi religiosi Don Abbondio Fra Cristoforo La monaca di Monza Il cardinal Borromeo Cardinal Borromeo e Innominato Cap. I Don Abbondio Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato con un cuor di leone. Ma, fin da' primi suoi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que' tempi, era quella d'un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d'esser divorato. La forza legale non proteggeva in alcun conto l'uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui. Non già che mancassero leggi e pene contro le violenze private.[…] Il nostro Abbondio non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Cap. IV Fra Cristoforo Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant'anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s'alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire un non so che d'altero e d'inquieto; e subito s'abbassava, per riflessione d'umiltà. La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del volto, alle quali un'astinenza, già da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d'espressione. Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso. Fra Cristoforo scioglie Lucia dal voto Cap. IX La monaca di Monza Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un'impressione di bellezza, ma d'una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non d'inferiore bianchezza; un'altra benda a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo d'un nero saio. Ma quella fronte si raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli neri si ravvicinavano, con un rapido movimento. Due occhi, neri neri anch'essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un'investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d'un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio d'un pensiero nascosto, d'una preoccupazione familiare all'animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti. Le gote pallidissime scendevano con un contorno delicato e grazioso, ma alterato e reso mancante da una lenta estenuazione. Le labbra, quantunque appena tinte d'un roseo sbiadito, pure, spiccavano in quel pallore: i loro moti erano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni d'espressione e di mistero. La grandezza ben formata della persona scompariva in un certo abbandono del portamento, o compariva sfigurata in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute per una donna, non che per una monaca. Nel vestire stesso c'era qua e là qualcosa di studiato o di negletto, che annunziava una monaca singolare: la vita era attillata con una certa cura secolaresca, e dalla benda usciva sur una tempia una ciocchettina di neri capelli; cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre corti, da quando erano stati tagliati, nella cerimonia solenne del vestimento. Gertrude La giustizia negata nei Promessi sposi È uno dei temi portanti del romanzo, dal momento che l'intera vicenda prende avvio da un sopruso esercitato da un nobile ai danni di due poveri contadini Se ne ha subito un esempio quando vengono presentati i due bravi incaricati di minacciare don Abbondio La giustizia non protegge i poveri e i contadini dalle prepotenze dei signori, ma il sistema giudiziario è fin troppo sollecito a mettersi in moto per colpire in modo cieco e spietato i personaggi umili, quando vi siano buoni motivi per mostrare quella forza e quell'efficacia di cui esso è normalmente privo Lo stesso Renzo sperimenta di persona la corruzione dilagante nelle attività legali quando si reca dall'avvocato Azzeccagarbugli, cap. III E’ ancora Renzo a sperimentare questo lato negativo della giustizia, diventando vittima di un procedimento sommario in seguito al tumulto di S. Martino a Milano Renzo dall’Azzeccagarbugli Addio monti …. Ironia Attraverso le vicende del romanzo l'autore critica l'arretratezza e l'inefficienza del sistema giudiziario dell'Italia del XVII secolo. Il romanziere rivolge la sua attenzione a tutti gli abusi e le storture nell'applicazione della legge, di cui c'erano molti esempi ancora nell'Italia del XIX secolo e che erano stati oggetto della trattatistica dell'Illuminismo cui Manzoni si rifà in modo dichiarato. L'idea di fondo è che occorrono profonde riforme del sistema giudiziario che assicurino più ampie garanzie ai cittadini. Anche se alla giustizia terrena (imperfetta e sempre soggetta all'errore) viene sempre contrapposta quella divina, infallibile e inesorabile, che ripartirà equamente premi e castighi nell'Aldilà come anche nelle vicende di questo mondo, ad esempio nell'immane tragedia della peste (in cui, com'è noto, muoiono gran parte dei personaggi negativi del romanzo). Nobiltà e potere nei Promessi sposi Manzoni non rinuncia a rivolgere un'aspra critica ai membri dell'aristocrazia, accusati di condurre una vita dissipata che li porta a compiere abusi e ingiustizie, spesso in nome di una concezione di decoro e onore nobiliare: il suo bersaglio è soprattutto l'aristocrazia feudale che nel XVII-XVIII secolo godeva di ampi privilegi e sottoponeva le popolazioni contadine a vessazioni e soprusi, benché il romanziere rivolga lo sguardo anche alla nobiltà del suo tempo. Il rappresentante più tipico di questa nobiltà improduttiva che vive sulle spalle delle classi più umili è naturalmente don Rodrigo. Nobiltà e potere nei Promessi sposi Le cose non sono diverse quando si parla di una famiglia aristocratica di più alto rango e grado sociale rispetto a quella di Rodrigo e Attilio, vale a dire la casata del principe padre di Gertrude che obbliga la figlia a farsi monaca contro la sua volontà: tutto nasce dalla preoccupazione del nobile che teme di danneggiare il patrimonio di famiglia assegnando una dote per il matrimonio della figlia, per cui decide in modo irrevocabile il suo destino prima che venga al mondo e, in seguito, ricorre ad ogni sotterfugio per costringerla a prendere il velo pur in assenza di una vera vocazione. La cultura del Seicento È uno degli aspetti per i quali l'autore critica maggiormente il XVII secolo, giudicato un'epoca dominata da ignoranza e superstizione in molti campi del sapere e dal carattere vacuo e frivolo degli studi in generale, come emerge fin dall‘Introduzione con l'imitazione del manoscritto secentesco I grandi flagelli del ‘600 Carestia e peste La peste del 1630 È la terribile epidemia che si scatenò nel Nord Italia tra il 1630 e il 1631, decimando la popolazione e infuriando con particolare virulenza nella città di Milano. E’ descritta nelle pagine finali del romanzo, in particolare nei cap. XXXI-XXXII interamente occupati da una digressione storica che ricostruisce la diffusione del morbo e le sue drammatiche conseguenze (la descrizione è rimasta giustamente celebre ed è ricordata tuttora come uno dei momenti più alti della sua opera letteraria). L'epidemia si propagò facilmente anche grazie allo stato di povertà e privazione in cui il popolo si trovava dopo due anni di terribile carestia, e in seguito a movimenti di truppe e saccheggi avvenuti nell'ambito della guerra per la successione di Mantova, che vedeva la Spagna opposta alla Francia. Don Rodrigo ammalato di peste La caccia agli untori La paura per il contagio che mieteva vittime sempre più numerose in città fece nascere nella moltitudine nuovi pregiudizi e iniziò così a diffondersi l'assurda credenza che alcuni uomini spargessero appositamente unguenti venefici per propagare la peste, personaggi immaginari noti col nome famigerato di untori: tale diceria non era alimentata solo dalla superstizione e dall'ignoranza popolare, ma trovava conferma anche nelle teorie di molti "dotti" del tempo e si rifaceva a fatti simili che, si narrava, erano avvenuti in altri paesi d'Europa in occasione di analoghe pestilenze La vicenda narra dell'intentato processo a Milano, durante la peste, contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio pestilenziale tramite misteriose sostanze, in seguito ad un'accusa infondata - da parte di una "donnicciola" del popolo, Caterina Rosa. Il processo, svoltosi storicamente nell'estate del 1630, decretò sia la condanna capitale di due innocenti, Guglielmo Piazza (commissario di sanità) e Gian Giacomo Mora (barbiere), sia la distruzione della casa-bottega di quest'ultimo. Come monito venne eretta sulle macerie dell'abitazione del Mora la "colonna infame", che dà il nome alla vicenda. Solo nel 1778 la Colonna Infame, ormai divenuta una testimonianza d’infamia non più a carico dei condannati, ma dei giudici che avevano commesso un'enorme ingiustizia, fu abbattuta. Nel castello sforzesco (Milano) se ne conserva la lapide Altro tema: la libertà Spicca poi il tema del rapporto fra libertà e condizionamento, in cui si innestano i motivi dell'amore, degli affetti, della paura. La libertà è il valore su cui si incardina la morale cristiana, ma viene cancellata da disvalori, primo fra tutti il conformismo (come quello di don Abbondio e di Gertrude) Importante è anche il tema del contrasto fra ideale e reale, ossia fra come dovrebbe essere la società e come, invece, di fatto è. Ecco, allora, comparire i motivi della violenza nell'ambito sociale, politico, della mancanza di moralità che nasce dal mancato rispetto delle più elementari norme evangeliche. Lucia al castello dell’Innominato Il pessimismo manzoniano emerge nella constatazione della presenza del male, dell'irrazionalità dell'agire umano, della forza dirompente degli egoismi in contrasto. Per chi ha fede nella Provvidenza il succedersi dei fatti però acquista un senso, una logica. Naturalmente Dio non è colui che punisce i malvagi e premia i buoni, come un giustiziere. Il suo giudizio e la sua opera riescono per la maggior parte delle volte insondabili agli uomini che devono accettare i fatti con umiltà e fiducia. Non consiste nel rito delle nozze, ma in quella sorta di "decalogo" con cui Renzo, ormai marito, padre e imprenditore di successo, attua un bilancio di quei due anni travagliati e avventurosi. Constata che si è fatto una dura esperienza di vita che lo mette in grado di dare buoni consigli ai figli, quando cresceranno. Invece Lucia osserva che, per quanto la riguarda, non si è mai messa nei guai, ma «son loro che son venuti a cercar me». Allora, insieme, gli sposi giungono alla conclusione che, di fronte alle tribolazioni, bisogna confidare in Dio e sperare che le sofferenze migliorino la vita Il sugo di tutta la storia Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta. Cap. XXXVIII Attualità del romanzo Disuguaglianze sociali i problemi Criminalità organizzata Difficoltà economiche della Società Ambiguità Dei politici Ambizione E potere guerre sono rimasti invariati Puntiglio E ipocrisia Il romanzo sociale La stagione del romanzo storico "classico", alla Scott, fu breve: nel giro di pochi decenni, il romanzo tornò a soffermarsi sul presente, rappresentando la società borghese contemporanea, o assunse la fisionomia del romanzo sociale o ebbe una dominante funzione politica o abbandonò qualsiasi autentico impegno storico. Nell' Ottocento un canale importante per la diffusione delle opere narrative fu la stampa quotidiana: molti scrittori, anche di alto livello, pubblicavano i loro racconti e romanzi su giornali, prima di raccoglierli in volume. Si costituisce anche un sottogenere di romanzo "popolare", che viene pubblicato a dispense o a puntate sul quotidiano. Il romanzo popolare ha caratteristiche del tutto particolari: la pubblicazione a puntate e l' amplissimo pubblico a cui era destinato imponevano regole precise come, innanzi tutto, la creazione di un clima di suspense tra un episodio e l'altro che suscitasse nel lettore il desiderio di conoscere il seguito della storia