Giornalino mensile della Fisac/Cgil San Paolo Banco di Napoli
SPAZIO LIBERO
Numero 16 – Settembre 2005
RUBRICHE:
Editoriale
Mondo filiali
Attualità
C’era una volta
Cinema e
cultura
Flash
Anno II
EDITORIALE
STRESS “POSITIVO”
Gli editoriali dei mesi scorsi hanno tentato di affrontare più volte il problema dello stress e
delle sue ricadute sulla salute dei lavoratori, prendendo spunto dal clima teso e pesante
vissuto quotidianamente in rete ( non solo) a causa delle esasperate pressioni commerciali.
E’ stato giusto partire anche da lontano mettendo in evidenza i mutamenti strutturali avvenuti
nell’organizzazione del lavoro di molte aziende.
Sarebbe però forse il caso di guardare nello specifico il nostro settore : il problema è che in
pratica i vari protocolli sulla banca etica sembrano essere solo lettera morta e il
comandamento che capillarmente viene inviato nelle filiali è comunque vendere, vendere,
vendere. Questa è la percezione delle cose e su questa percezione si misura l’orientamento
concreto dei lavoratori e la natura del loro stress (posti come sono tra la necessità di
raggiungere gli obiettivi e quella di evitare contenziosi, non solo giuridici, con la clientela).
Per lo specifico sindacale ormai il tema della salute è divenuto terreno rivendicativo e non è il
caso di ricordare che ci sono precise sentenze della giurisprudenza che riconoscono il
legame tra patologie, anche cardiocircolatorie, e stress da lavoro. Ma quel che si è notato
soprattutto è che su questi argomenti l’azienda ha i nervi molto scoperti, perché discutere
di queste cose significherebbe mettere in discussione il clima che permea la catena di
comando che tiene insieme l’organizzazione del lavoro nella nostra azienda (che non è la
sola a motivare in questo modo per carità, ma questo non scusa nessuno).
La stessa nozione di stress positivo rimessa in circolazione attraverso improvvide interviste non
è un incidente di percorso, ma il perno su cui si fonda la retorica che confonde la
propaganda con la motivazione formativa: si fanno fare lezioni magistrali da psicologi che
insegnerebbero a gestire lo stress (si veda la convention sullo Small Business del 23 Aprile
a Palazzo Albergati), ma non si attua una politica seria che riduca quest’ultimo, dal
momento che non si sa per quale ideologia autopunitiva lo stress dovrebbe essere una
conseguenza di un “peccato originale” non meglio specificato e come tale parte di una tara
incancellabile.
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EDITORIALE
Segue: Stress “positivo”
Di contro all’imperativo commerciale la funzione sociale del credito e l’eticità
diventano invece fantasmi con cui riempirsi la bocca nelle feste comandate, ma
non si radicano in una sensibilizzazione dell’operatore a vedere non il bisogno che
possiamo indurre nell’utente ma l’esigenza che oggettivamente questo ha e che
noi possiamo eventualmente soddisfare. Alla fine l’operatore al di là dei successi
a breve legati alla vendite si trova a gestire rapporti di fiducia che rischiano di non
durare nel tempo e questa è un’ulteriore causa di frustrazione e di tensione.
Il problema è che tutto questo (l’eticità, la funzione sociale del credito) viene
percepito non come modalità concreta d’azione, ma come mero vincolo esterno,
che si frappone all’esigenza pura e semplice della vendita per la vendita. Questa
mentalità (cultura?) a volte, unita all’idea che il dividendo sia l’unica base della
tenuta occupazionale nell’azienda (errore analogo alla confusione tra infezione,
stato febbrile e altezza della colonnina di mercurio) vede ritardi anche
nell’elaborazione sindacale e per quanto guardando i documenti prodotti sembra
che tutto sia stato detto (sia pure in un linguaggio per cui le responsabilità non
sono di persone in carne ed ossa, ma sono ascrivibili a situazioni del tutto
impersonali), in realtà tutto ciò non è ancora sufficiente per, non solo denunciare,
ma rendere intimamente coscienti i lavoratori della loro condizione e soprattutto
per normare comportamenti e situazioni. Ciò deve generare quegli interventi
sindacali adeguati a questo scenario, approfittando degli spazi esistenti: un banco
di prova sarà necessariamente il contratto integrativo prossimo venturo….
MONDO FILIALI
E SE, ANZICHE’ VECCHIO O NUOVO, FOSSE….CORRETTO?
Tra le tante cose raccontate in azienda ai poli, agli incontri, ai briefing , o
quant’altro, sta facendo molto parlare la storiella del “vecchio” e del “nuovo”
direttore o, meglio, del modo nuovo o vecchio di interpretarne il ruolo.
Il vecchio è quello che scrupolosamente si attiva al fine di raggiungere gli obiettivi,
ma una volta raggiuntoli crede di avere tagliato il traguardo, si ritiene
soddisfatto e quindi si ferma.
Il nuovo è quello che, raggiunti gli obiettivi, non si acquieta, ma spinto da “furore
sacro”, va in extra\over\super budget, per la sorti magnifiche e progressive
della banca (e dei capi mercato).
Quello che appare preoccupante non è tanto la carenza, ormai evidente, di offrire
spunti motivazionali efficaci, seri, per fare bene il lavoro e dunque raggiungere
così gli obiettivi: del resto la rassegnazione dei più che neanche provano, non
dico a criticare, ma a ribattere, è la prova più evidente di un “encefalogramma
piatto” , cosa che dovrebbe preoccupare un buon gestore di persone.
Ma quel che appare più preoccupante è che nessuno più accenni alle qualità
intrinseche di un buon direttore, la prima delle quali è - non certamente esser
nuovo o vecchio - la correttezza: correttezza verso i colleghi, correttezza verso
i clienti e dalla risultante delle prime due deriva la correttezza verso l’azienda.
Pasolini, nell’esaminare il fenomeno del consumismo affermava: un tempo il
cittadino doveva essere onesto, laborioso, buon padre di famiglia e da ciò ne
derivava il prestigio sociale; oggi l’importante è che compri e consumi, tutto il
resto non conta, anzi se è disinvolto è meglio e da ciò ne deriva il prestigio
sociale.
Parafrasando Pasolini, oggi un direttore poco importa se sia corretto verso i
colleghi e negli impegni verso la clientela, anzi questi sono vincoli, lacci;
l’importante è che, per l’extra budget, venda, venda e ancora venda.
LA MIA AMICA BIANCA, OVVERO, TRA DIRITTO E IPOCRISIA
attualità
Bianca è una mia cara amica di liceo, ragazza sensibile, laureata in legge, dipendente di un
ente pubblico.
Subito dopo la laurea, a 24 anni, ha concepito Marco: troncò con il padre di Marco perché,
pur avendo fatto consapevolmente insieme il più grande atto d’amore, questi non
sapeva se voleva così bene a lei da desiderare la costituzione di una famiglia; il giorno
dopo tale dichiarazione Bianca non ha voluto più saperne e si è assunta,
orgogliosamente, l’intero onere dell’educazione di Marco, rifiutando qualsiasi contributo
materiale del padre.
A trent’anni Bianca ha conosciuto Luigi: quarantenne, dipendente di una ditta privata,
divorziato, padre di due figli Luca e Marina, i quali, ancorché affidati alla madre,
intorno, rispettivamente, ai 16 e 15 anni hanno scelto di vivere con lui, e Bianca è
entrata nella vita di Luigi proprio quando è accaduta questa svolta.
Dopo un anno, l’affiatamento dei cinque, Bianca, Luigi, Luca, Marina e Marco era completo
e tutti insieme hanno deciso di metter su casa.
Per Bianca, che si appoggiava alla madre vedova, si trattava di passare dal curare
materialmente solo se stessa, a curare e organizzare la vita a cinque persone, non
volendo, né potendo più gravare sulla madre.
Sempre conseguente con le sue scelte, Bianca si assumeva in pieno le cure della nuova
famiglia, che andava a sistemarsi in un bell’appartamento, acquistato - rigorosamente con un mutuo.
Bianca è divenuta in breve il centro di gravità del nuovo nucleo: i ragazzi si rivolgevano a
lei dai compiti (ha ottima cultura) alle difficoltà adolescenziali; Marco, il piccolino,
vedeva nella madre la naturale interlocutrice dei suoi bisogni; Luigi, sfruttato in
azienda, trovava un sorriso ad accoglierlo quando rientrava la sera alle nove a casa e,
attraverso quel sorriso, trovava la forza di relazionarsi con intensità ed amore con
Marina e Luca, ma soprattutto con Marco, che aveva trovato in lui la figura paterna che
mancava.
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attualità
Segue: “LA MIA AMICA BIANCA, OVVERO, TRA DIRITTO E IPOCRISIA”
La quotidianità ha accompagnato questa famiglia per sette anni, con i ragazzi ormai grandi
all’università, Marco alla scuola dell’obbligo, Bianca e Luigi alle prese con casa e lavoro,
fino a quando Luigi è morto per infarto.
L’impossibilità per Bianca di accedere alla reversibilità della pensione, non essendosi mai
sposata con Luigi, ha portato la distruzione dell’intera famiglia: casa venduta per far
fronte al mutuo non più pagabile, Marina e Luca tornati con la madre naturale per
impossibilità al mantenimento, Bianca e Marco in affitto in periferia.
Questo è accaduto perché in Italia, patria del diritto, non esiste, come invece dappertutto
in Europa, il Patto Civile di Solidarietà, affinché le coppie che hanno deciso di stare
insieme possano godere, oltre che della condivisione dei sentimenti, anche della
condivisione dei diritti e delle conseguenti garanzie fiscali, sanitarie, di lavoro e
previdenziali.
Quando, si è sollevato, giorni or sono, il problema si è scatenata la fiera dell’ipocrisia dei
paladini della famiglia, che hanno gridato allo scandalo e alla sovversione contro Dio e
la Patria.
Ma, credo, che su questo versante il Paese sia più avanti di un Follini o di un Mastella
qualsiasi (o di uno spocchioso commentatore de “L’Osservatore Romano” che pretende
di rappresentare l’alto Magistero delle Chiesa) e, credo, sia solidale con Bianca.
E, statene certi, la mia amica Bianca non s’arrenderà: dopo essersi assunta tutti i doveri di
una famiglia, riuscirà ad ottenerne anche i diritti e a dare il lieto fine a questa storia.
L’AUTUNNO CALDO
C’era una volta
Proprio in questi giorni di settembre iniziava, nel 1969, quello che sarà in seguito chiamato
“Autunno Caldo”, con scioperi in tutte le grandi fabbriche del paese.
Si trattò di un insieme di lotte sociali, politiche e sindacali che partivano dai luoghi di lavoro e
che sorpresero, per intensità e modalità di espressione, proprio la sinistra tradizionale.
Dopo aver tirato la carretta e stretto la cinghia dalla ricostruzione fino ad allora, la classe
lavoratrice esigeva quanto gli spettava: più salario, più diritti sui luoghi di lavoro, ma,
uscendo dai luoghi di lavoro, anche possibilità di accesso migliori alla scuola per i propri figli,
sanità degna di questo nome, una politica della casa che eliminasse le baracche.
Diritti sociali per essere considerati veri cittadini, fuori e dentro i luoghi di lavoro.
Fu capacità del movimento sindacale dare consapevolezza e organicità a queste vitali spinte dal
basso, che ebbero il merito di scuotere dalle fondamenta la società perché scossero dalle
fondamenta le coscienze.
Il movimento infatti si propagò agli studenti che avvertivano anche loro le maglie troppo strette
della scuola e della famiglia, chiedendo “non un posto nella società”, ma “una società dove
abbia senso avere un posto”, ridiscutendo dunque radicalmente le istituzioni fondanti della
società, appunta scuola e famiglia.
Mentre le lotte dei lavoratori incidevano fortemente sul lato dei diritti, le lotte degli studenti,
spesso convergenti con quelle degli operai, incidevano anche sul lato del costume: l’ipocrisia
e la rigidità di una morale, non religiosa, ma clericale, soprattutto in campo sessuale,
venivano contestate; era nata la “Contestazione” studentesca.
Il tutto si inseriva in una società profondamente mutata dal dopoguerra, in cui tutto appariva
inadeguato e dove la contraddizione tra una struttura sociale dinamica e un involucro
politico statico da una lato, e la ineguale distribuzione del benessere dall’altro,
necessitavano della ricerca di nuovi equilibri.
Contro i nuovi equilibri, pezzi dello Stato ben presto crearono la “strategia della tensione”.
Tante le conquiste, tante le illusioni di quel periodo irripetibile, che ha riempito biblioteche
intere, ma che ha soprattutto mutato per sempre la società italiana.
Ibrahim Ferrer - il Nat King Cole della canzone latina
Ci sono artisti che quando vivono sembrano immortali. Quando muoiono diventano
immortali. E’ la cifra della loro capacità di suscitare emozioni.
Ibrahim Ferrer, il cantante dei “Buena Vista Social Club” il gruppo musicale cubano dei
“superabuelos” (i super-nonni) che emerse con clamore universale alla fine degli anni ’90
del secolo scorso è certamente uno di questi.
Assieme al grande Compay Segundo, Ferrer ha avuto la capacità di catturare immediatamente
la simpatia e il favore del pubblico non solo per la sua grande bravura nel canto o per la
sua simpatia ma soprattutto perché la sua parabola di vita artistica è emblematica di come
si può risorgere dal dimenticatoio e diventare universalmente noti.
Già esponente della canzone cubana degli anni 50 assieme al celeberrimo Beny Morè (per
intenderci il “Domenico Modugno” della canzone cubana, soprannominato “il Barbaro del
Ritmo”) si era specializzato nell’interpretare soprattutto boleros tra cui la magnifica “Dos
Gardenias” ma il cambio delle mode musicali, con l’avvento dei ritmi “salsa” non
propriamente idonei al suo registro di canto, lo avevano costretto a lasciare il canto e a
lavorare nella difficile e dura realtà della “revoluciòn cubana” come lustrascarpe!
La competenza e la curiosità intellettuale e musicale di Ry Cooder (che lo definì “il Nat King
Cole” di Cuba per il timbro vocale ma soprattutto per il modo di cantare) lo ha riportato,
con la riscoperta dell’originario “son” cubano dei Buena Vista Social Club, al canto ed ad
una fama questa volta universale.
Il merito enorme dei musicisti come Ferrer e degli altri dei “Buena Vista” è stato però
soprattutto riportare alla luce capolavori della canzone che sono musicalmente “cubani”
ma che hanno un respiro di “poesia” universalmente accettato. Le canzoni che canta
Ibrahim Ferrer possiedono una lirismo incredibile, tanto che si apparentano con l’armonia
specifica della “melodia poetica-musicale” della canzone classica napoletana mantenendo i
ritmi ballabili tipici della musica “son” (e di quella “afro”) cubana.
Un mixing perfetto che non poteva non suscitare ammirazione e successo in tutto il mondo.
Con la sua dipartita il mondo musicale perde un grande protagonista e noi ci sentiamo più
tristi perché perdiamo un cantante che allietava (e che allieterà con i dischi prodotti
ultimamente) i momenti nei quali sentiremo il bisogno di ascoltare “grande musica”.
Cinema e cultura
FLASH
Riceviamo e, volentieri, pubblichiamo
MANIE !
Un giovane Direttore SanPaolo/Banco decide finalmente, dopo aver conseguito l’extra budget, di
prendersi una vacanza nel Mar dei Caraibi. Purtroppo però, la nave affonda e l'uomo si ritrova
su di un'isola deserta.
Nessuna persona, nessun riferimento, niente di niente, solo banane e noci di cocco.
Dopo circa quattro mesi, mentre è disteso sulla spiaggia, stanco e disperato, vede una canoa, con a
bordo la più bella e sensuale donna che abbia mai visto in vita sua, che sta remando verso di
lui. Incredulo, il Direttore le chiede da dove arrivi e come abbia fatto a giungere fino a lì.
Vengo dall'altra parte dell'isola - risponde lei - e sono arrivata sull'isola dopo che la mia nave ha
fatto naufragio.
Sei stata veramente fortunata ad avere con te una barca - risponde il Direttore
Oh... questa? - replica la donna - l'ho fatta con materiali che ho trovato sull'isola: i remi sono i rami
dell'albero della gomma, ho intrecciato la parte inferiore con i rami delle palme, ed i lati e la
chiglia li ho fatti da un albero di eucalipto.
Ma... ma è impossibile - balbetta lui - non avevi attrezzi a disposizione!
Oh, quello non era un problema. Dall'altra parte dell'isola c'è un insolito strato di roccia alluvionale.
Ho scoperto che dandogli fuoco e portandolo ad una certa temperatura, si trasforma in duttile
ferro forgiabile. Ho usato quello per costruire gli attrezzi, e gli attrezzi per procurarmi il
materiale per la barca.
Il ragazzo è sbalordito. Remiamo fino al mio posto - dice la donna.
Così, dopo pochi minuti, attraccano ad un piccolo molo e, con fare da marinaio esperto, la donna
lega la barca con una corda di canapa intrecciata, mentre il Direttore a momenti non cade in
acqua dallo stupore.
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FLASH
Segue: Manie !
Infatti, oltre al molo, di fronte a lui c'è un sentiero in pietra che porta ad un delizioso bungalow dipinto
in blu e bianco. Una volta entrati, la donna dice con malizia: Non è molto, ma io la chiamo casa.
Perché non ci sediamo e prendiamo un drink?
Oh no, grazie - risponde stizzito - non ne posso assolutamente più di altro latte di cocco!
Ma non è cocco. Ho un alambicco! Cosa ne dici di una pina-colada?
Provando a nascondere il sempre maggiore stupore, ed imbarazzo, l'uomo accetta di buon grado.
Quindi iniziano a parlare, ed una volta che si sono raccontati le loro storie la donna annuncia
ammiccante:
Sto andando a mettermi qualcosa di più comodo. Perché non vai di là a farti una doccia ed a raderti?
C'è un rasoio nell'armadietto.
Senza fare altre domande, l'uomo si reca nel bagno, dove oltre ad una doccia, trova anche il rasoio,
fatto con un manico in osso e due superfici smerigliate tenute insieme e funzionanti grazie ad un
qualche meccanismo.
Questa donna è incredibile, meravigliosa. Chissà quale sarà la prossima sorpresa? Quando ritorna, la
donna è stesa sul letto, e non indossa nient'altro che dei fiori strategicamente posizionati, mentre
nella stanza si spande il profumo delle gardenie. Lei lo invita a sederle accanto.
Dimmi - inizia lei avvicinandosi al Direttore - siamo stati qui fuori per molto tempo. Tu sei stato solo,
io sono stata sola. Sono sicura che c'è qualcosa che vorresti fare adesso, e che non hai potuto
fare per tutti questi mesi.
Adesso puoi... - ed una luce brilla nei suoi occhi.
Il Direttore non può credere a quello che sta sentendo. Il suo cuore comincia a battere forte, si sente
veramente fortunato.
Vuoi....... vuoi dire che......... dopo tutto questo tempo............... vuoi dire........... che............posso
realmente ....................................... controllare la mia e-mail da qui???
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