POESIA AL BONAZZI IL LIGUAGGIO DEI FIORI NEL MITO, NELLA STORIA, NELLA POESIA FEBBRAIO 2012 Hanno Collaborato: Gabriella Caponi – Lilia Foglietta Giovagnoni – Antonietta Gargiulo – Guglielmo Giovagnoni – Fausto Minciarelli – Dina Raddi – Paola Zanetti. IL LINGUAGGIO DEI FIORI Il linguaggio dei fiori detto anche florigrafia, ha radici lontane. Ricco oltre ogni immaginazione è il patrimonio mitologico, che dai greci e dai romani si allarga ad abbracciare miti asiatici e mediorientali: Nel mondo Greco vi sono molti miti relativi ai fiori: ne citiamo due,che hanno maggiormente ispitato la fantasia dei poeti. Il mito di Narcisso, giovinetto famoso per la sua bellezza e la sua crudeltà.Disdegnava Infatti,tutti coloro che si avvicina= vano a lui per amore. Per punizione divina,si innamorò della sua stessa immagine riflessa in una fonte: tormentato dall’amore, volle seguirla e lasciatosi scivolare in acqua, morì annegato. Delle ninfe trovarono nel punto in cui il giovinetto cadde un magnifico fiore che venne chiamato Narciso. Esistono diverse versioni di questo mito; la più conosciuta è quella del poeta romano Ovidio (43 a.C. - 18 circa d.C.), nel terzo libro del poema epico intitolato 'Le Metamorfosi' (8 d.C.). % Il mito di Giacinto è forse meno conosciuto, ma altrettanto interessante e molto caro a molti poeti antichi, tra i quali Plinio, Virgilio e Teocrito. Giacinto era un giovinetto bellissimo molto amico del dio Apollo; un giorno che i due si esercitavano nel lancio del disco, Zefiro geloso deviò con un soffio di vento la traiettoria del disco lanciato da Apollo che colpì Giacinto uccidendolo. Da suo sangue Apollo fece nascere il fiore che si chiamò Giacinto. Questo mito era collegato a quello di Fetonte,il giovane che volle guidare il carro del sole, ma perso il controllo venne folgorato da Giove e cadde morto nel fiume Eridano che oggi si chiama Po. Entrambi i miti sono riconducibili alla doppia azione del sole (Apollo) che con i raggi delicati della primavera favorisce la nascita dei fiori e successivamente con la vampa dell’estate ne affretta l’appassimento e la morte. % In tutte le epoche i fiori sono stati portatori di un linguaggio emozionale non espresso verbalmente: nel Rinascimento i fiori venivano raffigurati simbolicamente nei quadri per comunicare determinati messaggi. Il giglio ad esempio rappresentava la purezza e, non a caso, lo si trova in molte Annunciazioni. Nel Seicento, nelle nature morte con protagonisti oggetti inanimati, i fiori rappresentano la bellezza caduca e la fragilità dell'apparenza. Nel Settecento si diffuse l'opera completa: "Il linguaggio dei fiori", un libro in versi di provenienza persiana portato in Europa da Carlo II° di Svezia. Nell'Ottocento, il secolo romantico per eccellenza, il fiore viene usato come ambasciatore di comunicazioni amorose, ma non solo. Anche oggi un omaggio floreale può celare un messaggio segreto. Interessante è scoprire come per i sacerdoti aztechi e per il popolo tutto esprimersi attraverso la fragranza e la bellezza del fiore era la via per sublimare e superare la natura effimera della vita umana. La poesia, infatti, era detta "In Xochitl in Cuicatl", il fiore e il canto, dove il canto era quello musicale degli uccelli, ma era anche "poesia", in quanto non veniva mai declamata, bensì cantata ed accompagnata da musica e ballo. "In Xochitl in Cuicatl" rivela la spiritualità che i popoli di lingua nàhuati del Messico preispanico riconoscevano all'opera poetica, "la parola fiorita", il veicolo attraverso il quale il Dio, tramite il poeta, univa la terra al cielo. Contributo di Gabriella Caponi La Viola odorata, conosciuta più comunemente con il nome di viola mammola, è originaria dell’Europa e molto comune anche in Italia. I fiori, dall’inconfondibile profumo, crescono spontaneamente ai bordi dei boschi o sui greti semi-ombrosi dei torrenti. Nel linguaggio dei fiori la Viola, timida e soave è il simbolo dell'amore romantico ed anche dell'umiltà e della modestia La viola è sempre stata uno dei fiori più apprezzati da tutti i popoli e in tutti i tempi. sia per l'aspetto estetico sia per il suo delicato profumo. infatti molti poeti l'hanno esaltato e inserito nelle proprie opere come uno dei fiori più belli e delicati ed altrettanto ricorrente è la rappresentazione del fiore in dipinti e decorazioni perché pur nella sua semplicità, infonde all'osservatore uno strano fascino. Viola d'ammore di Totò Pe nun me scurdà 'e te aggio piantato dint'a nu vase argiento,na violetta cu 'e llacreme 'e chist'uocchie l'aggio arracquata e ll'aggio mise nomme:"Oh mia diletta!". E songhe addeventato 'o ciardiniere 'e chesta pianta...simbolo d'ammore "Oh dolce violetta del pensiero... ...he mise na radice int'a stu core!". Contributo di Gabriella Caponi Veronica (o L’ederella) Prima che pur la primula, che i crochi, che le viole mammole, fiorisci tu, qua e là, veronica, coi pochi petali lisci. Su le covette, sotto l’olmo e il pioppo, vai serpeggiando, e sfoggi la tua veste povera sì, sbiadita sì, ma, troppo, vedi, celeste. Per ogni luogo prodighi, per ogni tempo, te stessa, e chiami a te leggiera ogni passante per la via, che sogni la primavera. Ti guarda e passa. Tu non sei viola! Di sempre sei! Non hai virtù che piaccia! La gente passa, e tutti una parola gettano: Erbaccia! Tu non odori, o misera, e non frutti; né buona mai ti si credé, né bella mai ti si disse, pur tra i piedi a tutti, sempre, ederella! Giovanni Pascoli Contributo di Gabriella Caponi I narcisi Vagavo solo, come una nuvola che galleggia in alto sopra le valli e le colline, quando tutto d’un tratto vidi una folla, una moltitudine di dorati narcisi; accanto al lago, sotto gli alberi, fluttuanti e danzanti nella brezza.. Continui come le stelle che splendono e scintillano nella Via Lattea, si stendevano in una linea infinita lungo il margine della baia: diecimila ne vidi subito, scuotere le loro teste in vivace danza. Le onde ballavano al loro fianco, ma loro superavano le scintillanti onde in allegria: un poeta non poteva che essere felice, in una così gioconda compagnia. Li fissavo e fissavo, ma pensavo poco alla ricchezza che quello spettacolo mi aveva portato. Poiché spesso, quando nel mio giaciglio,sdraiato, in vagabonda e pensierosa maniera, essi balenano a quell’occhio introspettivo, che è la beatitudine della solitudine; allora, il mio cuore si colma di piacere e danza con i narcisi. William Wordsworth (poeta inglese 1770-1850) Contributo di Dina Raddi Fammi un quadro del sole – Posso appenderlo in camera mia e fingere di scaldarmi mentre gli altri lo chiamano “Giorno”! Disegna per me un pettirosso –su un ramocosì sognerò di sentirlo cantare e quando nei frutteti cesserà il cantoch’io deponga l’illusione. Dimmi se è vero che fa caldo a mezzogiornose sono i ranuncoli che “volano” o le farfalle che “fioriscono”. E poi, sfuggi il gelo sopra i prati e la ruggine sugli alberi. Dammi l’illusione che questi due –ruggine e gelonon debbano arrivare mai! 1860 Emily Dickinson Emily Dickinson Nacque il 10 dicembre 1830 ad Amherst, nel Massachusetts, e vi morì nel 1886. Molto legata al padre, ricevette un’educazione libera e assai completa, ma a soli 23 anni scelse di ritirarsi nella solitudine totale, in una segregazione assoluta, fatta del più ostinato silenzio, interrotto solo dalla voce delle sue poesie e della sua fitta corrispondenza. Contributo di Paola Zanetti Un bel giorno sarà estateSignore con l’ombrellino signori a zonzo col bastone e bambine con le loro bambole coloriranno il pallido paesaggio come fosse un luminoso fascio di fiori, sebbene sprofondato in Pario appare oggi il villaggio. I lillà, curvi per gli anni, Oscilleranno carichi di porporaL’ape non disprezzerà l’antica Melodia degli antenati. Le rose selvatiche arrossiranno Nella palude, l’astro Sulla collina riprenderà l’immortale forma e le genziane dell’antico accordo S’orneranno di gale Finché l’estate piegherà il suo miracolo Come fanno le donne con le vesti E i preti con i paramentiA Sacramento consumato. 1862 Emily Dickinson Contributo di Paola Zanetti "L' aquilone" C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole. Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie che al ceppo delle quercie agita il vento. Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visita le chiese di campagna, ch'erbose hanno le soglie: un'aria d'altro luogo e d'altro mese e d'altra vita: un'aria celestina che regga molte bianche ali sospese... sì, gli aquiloni! È questa una mattina che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera tra le siepi di rovo e d’albaspina. Le siepi erano brulle, irte; ma c'era d'autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e la lucertola il capino mostrava tra le foglie aspre del fosso. Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza la sua cometa per il ciel turchino. Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza. S'inalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano. S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo petto del bimbo e l'avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo. % Più su, più su: già come un punto brilla lassù lassù... Ma ecco una ventata di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla? Sono le voci della camerata mia: le conosco tutte all'improvviso, una dolce, una acuta, una velata... A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni! e te, sì, che abbandoni su l'omero il pallor muto del viso. Sì: dissi sopra te l'orazïoni, e piansi: eppur, felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni! Tu eri tutto bianco, io mi rammento. solo avevi del rosso nei ginocchi, per quel nostro pregar sul pavimento. Oh! te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore il più caro dei tuoi cari balocchi! Oh! dolcemente, so ben io, si muore la sua stringendo fanciullezza al petto, come i candidi suoi pètali un fiore ancora in boccia! O morto giovinetto, anch'io presto verrò sotto le zolle là dove dormi placido e soletto... Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle! Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale, ti pettinò co' bei capelli a onda tua madre... adagio, per non farti male Giovanni Pascoli Contributo di Guglielmo Giovagnoni Il gelsomino notturno E s'aprono i fiori notturni, nell'ora che penso a' miei cari. Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari. Da un pezzo si tacquero i gridi: là sola una casa bisbiglia. Sotto l'ali dormono i nidi, come gli occhi sotto le ciglia. Dai calici aperti si esala l'odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala. Nasce l'erba sopra le fosse. Un'ape tardiva sussurra trovando già prese le celle. La Chioccetta per l'aia azzurra va col suo pigolio di stelle. Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala; brilla al primo piano: s'è spento . . . È l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l'urna molle e segreta, non so che felicità nuova. Giovanni Pascoli Contributo di Guglielmo Giovagnoni RONDO’ DI PRIMAVERA Mille emozioni voglio affidare a questo foglio bianco. Mille emozioni donate dai verdi adornati di rosa sfumati, di giallo e di bianco, accarezzati dal sole. Mille emozioni donate dagli azzurri delle acque increspate dalla brezza, tra i riflessi del sole. Mille emozioni donate dal sorriso di un bimbo, tra minuscoli fiori bianchi e blu. “Di me non ti scordar” sembra sussurrarci la bellezza sulla via del ritorno, illuminati dal sole. Lilia Foglietta Giovagnoni Perugia, 31 marzo 2008 ARCHI DI ROSE Rosse, d’amore. Arancio, di desiderio. Gialle, di tradimento. Rosa, di comprensione. Segreti che sbocciano a rivelare vellutati profumi. In un angolo la più antica, la più profumata: preziosa essenza che il maggio di una volta, sapeva donare. Lilia Foglietta Giovagnoni Perugia, 12 maggio 2008 La Capinera Il tempo si cambia: stasera vuol l'acqua venire a ruscelli. L'annunzia la capinera tra li àlbatri e li avornielli: tac tac. Non mettere, o bionda mammina, ai bimbi i vestiti da fuori. Restate, che l'acqua è vicina: udite tra i pini e gli allori: tac tac. Anch'essa nel tiepido nido s'alleva i suoi quattro piccini: per questo ripete il suo grido, guardando il suo nido di crini: tac tac. Già vede una nuvola a mare: già, sotto le goccie dirotte, vedrà tutto il bosco tremare, covando tra il vento e la notte: tac tac. Giovanni Pascoli Contributo di Antonietta Gargiulo Portami il girasole Portami il girasole ch'io lo trapianti nel mio terreno bruciato dal salino, e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti del cielo l'ansietà del suo volto giallino. Tendono alla chiarità le cose oscure, si esauriscono i corpi in un fluire di tinte: queste in musiche. Svanire è dunque la ventura delle venture. Portami tu la pianta che conduce dove sorgono bionde trasparenze e vapora la vita quale essenza; portami il girasole impazzito di luce. (Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1925) Contributo di Fausto Minciarelli "Il girasole“ Grandi e colorati di un giallo inteso, così sono i girasoli, splendidi fiori pieni di gioia, rivolti verso il sole cercano calore e luce, un po' come gli uomini che di calore e luce vivono, nel girasole vedo te, la tua allegria, la tua voglia di fare, ma sopratutto la tua luce negli occhi, girasole vuol dire estate, quindi mare, sole e... per me te, il mio colorato girasole. Rosella Ardesia Poetessa contemporanea. Di se stessa ha detto:”Sono una persona sensibile, ma con un carattere molto forte, la vita spesso mi ha messo alla prova, ma ho superato tutto con tenacia.” Contributo di Fausto Minciarelli (Simon Wiesenthal era deportato nel lager di Leopoli (Polonia); mentre lavorava all’aperto con la sua squadra, ebbe questa immagine dei girasoli.) Mentre ci riconducevano al lager, […] a un crocicchio la nostra colonna si fermò improvvisamente. Cercai di scorgere, sopra le teste degli altri, il motivo di quella brusca fermata, ma non riuscii a vedere niente. Forse era un carro che attraversava la strada: in fondo mi era indifferente. Ed ecco, a sinistra, lungo la strada, vidi un cimitero militare (tedesco). Anche qui c’era un recinto di filo spinato, ma non molto alto. Il filo era teso tra radi cespugli e arbusti bassi, ma attraverso i rami si scorgevano chiaramente le tombe disposte su file regolari. E su ogni tomba stava, ritto come un soldato, un girasole. Guardavo come incantato. Sembrava che i fiori captassero come specchi i raggi del sole riflettendoli nel buio delle fosse. Il mio sguardo passava dal girasole giù alla tomba, e mi parve che penetrasse il terreno e e scendesse nella fossa e davanti a me non vidi più girasoli, non vidi più cimitero, ma un periscopio. Farfalle variopinte svolazzavano di fiore in fiore: portavano forse messaggi da una tomba all’altra? Sussurravano forse qualcosa a ogni fiore, che poi lo risussurrava di sotto? Sì, certo era così: i morti ricevevano luce e messaggi. E improvvisamente invidiai i soldati morti. Ognuno aveva il suo girasole, che lo teneva come unito al mondo, aveva le farfalle che venivano sulla sua tomba. Ma per me non ci sarebbero stati girasoli. Sarei finito in una fossa scavata in fretta, su un mucchio di cadaveri, sotto altri mucchi di cadaveri. Nessun girasole avrebbe portato luce in queste tenebre e le farfalle sarebbero volate lontano. (Da: Simon Wiesenthal, Il girasole, Aldo Garzanti Editore 1970, pp. 16-17) Contributo di Fausto Minciarelli FINE