L’OSPEDALETTO DI
S. ANTONIO DI RANVERSO
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Claudia Sponton – Piano di diffusione delle Lavagne Interattive Multimediali- 2009/2010 – Scuola Secondaria di I grado Giacomo Jaquerio – Buttigliera Alta - TO
Le fondazioni dei monaci Antoniani erano
destinate all'accoglienza dei viaggiatori e dei
pellegrini ed in particolare alla cura dei malati.
Infatti, accanto ad ogni fondazione, spesso è
testimoniata la presenza dell'ospedale.
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Solitamente questo era un edificio spartano che comprendeva una cucina con la
mensa, i dormitori, una cappella e alcuni locali di servizio.
Con il tempo la cura dei malati divenne prevalente, tanto che dall'hospitale medievale
è derivato l'attuale significato di ospedale.
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A Ranverso l'antico ospedale sorgeva staccato dal monastero ed è stato purtroppo distrutto da un incendio.
Tutto quello che resta è la bella facciata costruita nel 1400. Ha la forma a capanna ed è coronata da pinnacoli e
cuspidi sormontate dal simbolo del TAU.
Il portale centrale è ornato da un’alta ghimberga, con una ricca decorazione in cotto, estesa anche ai pinnacoli.
Alla parte interna della facciata agli inizi del XX secolo è stato addossato un rustico, mentre nel luogo in cui era
situato il fabbricato dell’ospedale è stata costruita una cascina nei primi decenni del XVIII secolo.
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Anche l'abbazia di Ranverso ospitava pellegrini e curava gli infermi senza chiedere
ricompensa alcuna.
Gli antoniani applicavano sulla cute dolente dell’ammalato
un impacco preparato facendo uso del grasso animale,
estratto dai maialini selvatici, irsuti e nerastri, che
popolavano le foreste valsusine, ma che erano anche allevati
dai monaci i quali vi apponevano sulla groppa, come segno
di riconoscimento, una Tau impressa con il fuoco.
I contadini dei dintorni donavano spesso ai monaciinfermieri il frutto delle loro fatiche e in particolare i
maiali, come testimoniano gli affreschi della chiesa.
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L’ordine degli Antoniani aveva ottenuto il permesso di allevare maiali, che erano nutriti a
spese della comunità e circolavano liberamente nel paese, nutriti e rispettati da tutti, perché
erano riconoscibili dal campanello che portavano al collo.
Il maialino con la campanella era conosciuto come u porcu d'u Santu e si alimentava con gli
scarti delle tavole degli abitanti del paese, svolgendo così anche un servizio ecologico.
Secondo una leggenda del veneto, la notte del 17 gennaio, ricorrenza della morte del Santo,
gli animali acquisiscono la facoltà di parlare. Durante questo evento i contadini si tenevano
lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio.
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