I.Kant
(1724-1804)
Critica
della
ragion pura
(1781)
I problemi della conoscenza
e la fine della metafisica.
Dai primi decenni del '700, le posizioni preminenti nella
cultura europea sono acquisite dalla Francia e
dall'Inghilterra. Il movimento illuministico annovera fra
i suoi primi rappresentanti Montesquieu, che nel 1721,
ventisette anni prima dello Spirito delle leggi, pubblica
le Lettere persiane, opera estremamente critica verso
l'antico regime e verso la cultura tradizionale. In
Inghilterra si diffonde invece il pensiero di Locke,
favorevole, da un punto di vista politico, ad un nuovo
assetto costituzionale della monarchia, ed orientato, nel
campo filosofico, ad un superamento della metafisica.
In questo panorama, la cultura tedesca sembra passare in
secondo piano: la Germania occupa in Europa una
posizione più defilata, in quanto è priva di quell'unità
nazionale che consente invece alla Francia e
all'Inghilterra di essere protagoniste a tutti i livelli della
storia europea e, quindi, mondiale.
Nel più potente degli stati di questa Germania divisa, la
Prussia, nasce nel 1724 da una modesta famiglia di
artigiani Immanuel Kant. Educato in un clima di
rigorosa religiosità luterana, frequenta la facoltà
filosofica di Königsberg, la sua città, e, dopo un breve
periodo in cui esercita l'insegnamento privato come
precettore presso famiglie nobili, inizia la carriera
accademica nello stesso ateneo.
Kant si forma su:
- razionalismo metafisico (Leibniz, Spinoza, Cartesio)
che riconosce alla ragione il potere di cogliere il
sovrasensibile oltrepassando ogni dato d'esperienza;
- cultura scientifica del tempo, che aveva in Newton il
suo maestro;
- illuminismo. Questi ultimi due orientamenti di
pensiero sono decisamente contrari alla metafisica
razionalistica. Dalla cultura scientifica Kant accoglie il
profondo desiderio di un rigore sistematico, mentre
della cultura illuministica recepisce, in forza della
propria estrazione borghese, l'istanza della libertà
umana, che lo porterà, nel 1789, a parteggiare
idealmente per la Rivoluzione francese.
Sia la cultura scientifica che quella illuministica
hanno il loro centro di gravità nel concetto di
Ragione che, intervenendo su un materiale a lei
esterno (i dati dell'esperienza), lo ordina per
trarne una conoscenza rigorosa, vera e
universale.
Come ha insegnato Locke, l’intelletto non è
semplicemente passivo o semplicemente attivo:
nella conoscenza entrano in gioco sia elementi
esterni sia elementi che appartengono alla
ragione stessa (apriori o trascendentali).
Dunque:
…il compito della ragione consiste
nell’assumersi nuovamente il più grave
dei suoi uffici, cioè la conoscenza di sé, e
di erigere un tribunale che la garantisca
nelle sue pretese legittime, ma condanni
quelle che non hanno fondamento, non
arbitrariamente, ma secondo le sue
eterne e immutabili leggi; e questo
tribunale non può essere se non la critica
della ragione pura stessa. (Kant, Critica
della ragione pura, Prefazione, I)
Critica: esame dei limiti e delle possibilità della
ragione umana in ambito conoscitivo;
Ragione: l’insieme della facoltà che ci
permettono di rielaborare i dati
dell’esperienza attraverso le proprie forme a
priori (spazio, tempo e categorie).Possiamo
considerare la Ragione come un vero e proprio
«sistema operativo», un software che elabora
e ordina i dati sensibili;
Pura: la Ragione viene analizzata a prescindere
dall’esperienza empirica, solo nel suo
funzionamento e nelle sue modalità operative.
Per comprendere questa nuova impostazione delle
possibilità e dei limiti della facoltà razionale,
occorre esaminare l'inizio della prefazione alla
prima edizione della Critica della ragion pura:
La ragione umana, in una specie delle sue
conoscenze, ha il destino particolare di essere
tormentata da problemi che non può evitare,
perché le son posti dalla natura della stessa
ragione, ma dei quali non può trovare la
soluzione, perché oltrepassano ogni potere della
ragione umana.
Si configura così una divisione all'interno della
facoltà razionale tra potere della ragione e
problemi della ragione.
Il potere della ragione è quello della scienza della
natura di tipo newtoniano, e nella Critica della
ragion pura Kant rifonda la base del conoscere
considerando che della realtà fenomenica si
può dare una scienza solo sulla base
dell'essenziale apporto di criteri soggettivi, di
forme a priori della mente.
Poteri e problemi della ragione sono bene
riassunti da una celebre immagine kantiana:
Al punto in cui siamo giunti abbiamo non solo percorso il
territorio dell’intelletto puro, considerandone
accuratamente ogni parte, ma l’abbiamo altresì
misurato, assegnando il suo posto a ogni cosa. Ma
questo territorio è un’isola che la natura ha racchiuso
in confini immutabili. E’ il territorio della verità [...]
circondato da un ampio e tempestoso oceano, in cui
ha la sua sede più propria la parvenza, dove
innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci, in corso di
liquefazione, creano a ogni istante l’illusione di nuove
terre e, generando sempre nuove ingannevoli
speranze nel navigante che si aggira avido di nuove
scoperte, lo sviano in avventurose imprese che non
potrà né condurre a buon fine né abbandonare una
volta per sempre.
Pur dichiarandosi un «innamorato deluso» dalla
metafisica, Kant riconosce che si tratta di un «anelito
perenne» che porta l’uomo a trascendere
continuamente l’orizzonte dell’empiria:
La ragione umana, anche senza il pungolo della semplice
vanità dell'onniscienza, è perpetuamente sospinta da
un proprio bisogno verso quei problemi che non
possono in nessun modo esser risolti da un uso
empirico della ragione [...] e così in tutti gli uomini una
qualche metafisica è sempre esistita e sempre esisterà,
appena che la ragione s'innalzi alla speculazione.
L’indagine kantiana si svolge lungo due percorsi paralleli,
rivolgendosi da un lato alle scienze (matematica e fisica),
dall’altro alla metafisica:
Poiché queste scienze [la matematica e la fisica] sono
effettivamente date, conviene di certo domandarsi
come siano possibili; infatti, che esse siano possibili è
dimostrato dalla loro realtà. Quanto alla metafisica, il
suo cattivo andamento fino ad oggi, unito al fatto che
nessuna delle metafisiche fin qui offerte si può dire che
realmente sussista rispetto al suo scopo essenziale, fa
dubitare chiunque, a ragione, della sua possibilità.
Tuttavia, anche questa specie di conoscenza deve in certo
senso esser considerata come data, e la metafisica,
anche se non come scienza, è tuttavia reale come
disposizione naturale.
Da qui, le quattro domande fondamentali a cui la Critica
della ragione pura darà risposta:
Le quattro domande base:
• “Com’è possibile la matematica pura?”
• “Com’è possibile la fisica pura?”
• “Com’è possibile la metafisica in
quanto disposizione naturale?”
• “Com’è possibile la metafisica come
scienza?”
La dottrina kantiana dei giudizi
Una volta individuate le domande a cui rispondere, Kant inizia
l’analisi da quelle discipline la cui verità e scientificità è
indubitabile.
L’ipotesi di fondo della Critica della Ragione Pura (CRP) è la
seguente:
[…] sebbene ogni conoscenza cominci con l’esperienza, non
perciò essa deriva tutta dall’esperienza. Infatti potrebbe
essere benissimo che la nostra stessa conoscenza empirica
fosse un composto di ciò che noi riceviamo dalle
impressioni e di ciò che la nostra facoltà di conoscere vi
aggiunge da sé […] aggiunta che noi propriamente non
distinguiamo bene da quella materia che ne è il
fondamento, se prima un lungo esercizio non ci abbia resi
attenti ad essa, e non ci abbia scaltriti alla distinzione.
Il giudizio è l'attribuzione di un predicato a un
soggetto; con tale attribuzione viene affermato
qualcosa con pretesa di verità.
Dunque, il problema di come noi conosciamo le
cose coincide, dal punto di vista logico, con il
problema del criterio con il quale si
connettono soggetto e predicato.
Tale connessione - secondo Kant - può essere di
due tipi: analitica o sintetica. Ad ognuna di
queste connessioni corrisponde un
atteggiamento gnoseologico diverso,
razionalista o empirista.
Il giudizio analitico
Il giudizio analitico è quello in cui ciò che il predicato
esprime è già compreso nel concetto del soggetto,
come nell'esempio tutti i corpi sono estesi. Essendo il
predicato implicito nel concetto stesso di corpo, il
giudizio non fa altro che esplicitare il contenuto
concettuale del soggetto (perciò Kant lo chiama anche
giudizio esplicativo o tautologico).
Il giudizio analitico è a priori, poiché è vero a prescindere
dalla verifica empirica: un corpo viene pensato
necessariamente come esteso. Il giudizio analitico è
dunque universale e necessario (il suo contrario non
può essere pensato senza contraddizione).
Il giudizio sintetico
Nel giudizio sintetico il predicato contiene qualcosa che
non è compreso nel concetto del soggetto, come
nell'esempio tutti i corpi sono pesanti. La pesantezza
non è un elemento che si trovi necessariamente nel
concetto generale di corpo: è infatti possibile
pensare il corpo anche senza il peso (nella fisica
aristotelica, per esempio, il peso non era una
caratteristica di tutti gli elementi).
Il predicato, nel giudizio sintetico, è collegato al
soggetto in forza dell'esperienza: i giudizi sintetici
sono dunque a posteriori e, in quanto tali, non
hanno universalità e necessità.
Il giudizio sintetico a priori
Dunque: né il giudizio analitico (razionalismo) né quello
sintetico a posteriori (empirismo) soddisfano i requisiti
della conoscenza scientifica.
Il giudizio analitico, infatti, è universale e necessario, ma può
solo chiarire ciò che è già conosciuto, non produce nuove
conoscenze; il giudizio sintetico, d'altro lato, è estensivo
del sapere, ma è privo di necessità.
La conoscenza deve invece essere sintetica, cioè comprensiva
di elementi empirici, e razionalmente fondata: la forma del
giudizio che la caratterizza è allora quella del giudizio
sintetico a priori, in cui il predicato non è già compreso nel
concetto del soggetto, e tuttavia è collegato a esso in modo
universale e necessario.
Kant riflette su
come i filosofi
del passato
abbiano
analizzato il
sapere
scientifico, in
particolar modo
confuta il
pensiero di
empiristi e
razionalisti
EMPIRISTI
RAZIONALISTI
Principi fondamentali
della scienza: GIUDIZI
SINTETICI A
POSTERIORI
Principi fondamentali
della scienza: GIUDIZI
ANALITICI A PRIORI
Giudizi in cui il predicato
dice qualcosa di nuovo
rispetto al soggetto,
attraverso l’esperienza
Giudizi che vengono
enunciati senza bisogno di
ricorrere all’esperienza
I vari giudizi scientifici sono giudizi sintetici a
priori.
Ad esempio, la proposizione il calore dilata i
metalli, pur essendo formulata in virtù
dell'esperienza, è un giudizio sintetico a priori.
In altre parole, i giudizi sintetici a priori
rappresentano la spina dorsale della scienza,
ovvero l'elemento che le conferisce stabilità e
universalità.
Scienza = Esperienza + Forme a priori (cioè le
modalità operative della Ragione)
Matematica e geometria sono
scienze sintetiche apriori
Nel giudizio sintetico a priori 7+5=12, il concetto di 12 è
aggiunto alla nozione di 7 e di 5 in base alla mia
capacità di contare, cioè di aggiungere quantità a
quantità.
Nel giudizio la retta è la linea più breve fra due punti io
aggiungo la nozione più breve alla retta in base ad
concetto quantitativo che posseggo già prima.
Lo stesso si può applicare a tutti i giudizi della scienza,
anche di tipo diverso, per esempio dato un punto A
esterno ad una retta R esiste una e una sola retta R1
passante per A e parallela a R. L’esistenza di una e una
sola retta parallela a R passante per A non è implicita
nell’idea di un punto esterno ad una retta R, eppure si
deduce a priori, senza bisogno di ricavarla da una
concreta situazione empirica.
La rivoluzione copernicana
Kant elabora, dunque, una nuova teoria della conoscenza,
intesa come sintesi di materia e forma.
Per materia della conoscenza si intende la molteplicità
caotica e mutevole (il molteplice spazio-temporale) delle
impressioni sensibili che provengono dall'esperienza
(elemento empirico o a posteriori).
Per forma si intende l'insieme delle modalità operative fisse
attraverso cui la mente umana ordina, secondo
determinati rapporti, tali impressioni (elemento razionale
o a priori).
La conoscenza è il risultato delle operazioni che le forme
apriori e soggettive dell’intelletto umano svolgono sul
materiale sensibile.
Finora si è creduto che ogni nostra
conoscenza debba regolarsi sugli
oggetti; ma tutti i tentativi, condotti
a partire da questo presupposto, di
stabilire, tramite concetti, qualcosa a
priori intorno agli oggetti, onde
allargare in tal modo la nostra
conoscenza, sono andati a vuoto. E’
venuto il momento di tentare una
buona volta, anche nel campo della
metafisica, il cammino inverso,
muovendo dall’ipotesi che siano gli
oggetti a dover regolarsi sulla nostra
conoscenza […] Le cose stanno qui né
più né meno che per i primi pensieri
di Copernico: il quale […] si propose
di indagare se le cose non
procedessero meglio facendo star
fermi gli astri e ruotare lo spettatore.
Come Copernico, per spiegare i moti celesti, aveva
ribaltato i rapporti tra lo spettatore e le stelle, e
quindi tra la terra e il sole, così Kant, per
spiegare la scienza, ribalta i rapporti tra
soggetto e oggetto, affermando che non è la
mente che si modella passivamente sulla realtà
- realismo gnoseologico - bensì è la realtà che
viene modellata (e conosciuta) sulla base delle
forme a priori attraverso cui la percepiamo.
In ciò consiste il carattere trascendentale della
filosofia kantiana:
Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si
occupa non di oggetti, ma del nostro modo di
conoscenza degli oggetti, in quanto questa
deve essere possibile a priori.
Kant ritiene che la mente filtri attivamente i
dati empirici attraverso le forme che essa
possiede naturalmente (come un paio di
lenti colorate filtrerebbero la luce del sole)
e che risultano comuni a ogni soggetto
pensante. Come tali, queste forme sono a
priori rispetto all'esperienza e sono fornite
di validità universale e necessaria, in
quanto tutti le possiedono e le applicano
allo stesso modo.
La mente kantiana è simile
a un software che
elabora la molteplicità
dei dati che gli vengono
forniti dall'esterno,
mediante una serie di
programmi fissi, che ne
rappresentano gli
immutabili codici di
funzionamento. Per cui,
pur mutando
incessantemente le
informazioni (= le
impressioni sensibili),
non mutano mai i loro
schemi di ricezione (= le
forme a priori).
Ma se in noi esistono determinate forme a priori
universali e necessarie (che per Kant, come vedremo,
sono lo spazio e il tempo e le 12 categorie) attraverso
cui ordiniamo i dati della realtà, si spiega perché
possiamo formulare dei giudizi sintetici a priori intorno
a essa senza timore di essere smentiti dall'esperienza.
Noi possiamo asserire con certezza che ogni evento, anche
in futuro, dipenderà da cause o sarà nello spazio e nel
tempo, in quanto non possiamo percepire le cose se
non attraverso la causalità (una delle categorie) e
mediante lo spazio e il tempo. In conclusione,
[…] noi tanto conosciamo a priori delle cose
quanto noi stessi poniamo in esse.
Il trascendentale: un chiarimento
Kant condivide con il razionalismo l'esigenza di una
fondazione a priori della conoscenza: trascendentale
indica allora l'elemento dell'a priori che fonda la
conoscenza oggettiva. Non si tratta però di "verità
innate“ (si ricadrebbe così nella tradizionale
impostazione razionalistica), ma solo di strumenti
operativi della mente.
Trascendentale si oppone a empirico, perché si riferisce
a ciò che non ha origine dall'esperienza sensibile; si
oppone anche a trascendente, perché indica una
modalità di conoscere che, pur essendo a priori, si
realizza solo in rapporto con l'esperienza.
Con il punto di vista trascendentale ci si sposta da
un'indagine sulle cose a un'indagine sul nostro modo
di conoscere le cose.
Si tratta allora di operare un rovesciamento di tale
prospettiva, assumendo l'ipotesi che gli oggetti
debbano regolarsi sulla nostra conoscenza: questa è la
rivoluzione copernicana compiuta da Kant.
Ciò vuol dire che non esiste prima un oggetto del quale
poi noi facciamo esperienza, ma che il modo in cui si
costituiscono gli oggetti dell'esperienza è determinato
dalle funzioni trascendentali della ragione. È a queste
condizioni che l'esperienza stessa è possibile.
Excursus sul software del nostro cervello:
Il cervello umano ha un eccellente software di
simulazione. Gli occhi non gli forniscono una
fotografia fedele della realtà esterna o un film
assolutamente preciso di quanto avviene nel tempo. Il
cervello elabora un modello e lo aggiorna in
continuazione attraverso impulsi in codice viaggianti
lungo il nervo ottico; ma sempre di un’elaborazione di
tratta. E le illusioni ottiche ce lo rammentano. Una
vasta classe di illusioni, di cui il cubo di Necker è un
tipico esempio, si forma perché i dati sensoriali che
l’encefalo riceve sono compatibili con due modelli
alternativi di realtà.
(R.Dawkins, L’illusione di Dio)
Il cubo di Necker e le sue due possibili interpretazioni
I segnali sensoriali non sono adatti a ottenere
percezioni immediate e certe; cosicché per
vedere gli oggetti si rende necessario che sia
l’intelletto a formulare una serie di congetture.
Una distinzione importante:
Il fenomeno è la realtà quale ci appare tramite le
forme a priori che sono proprie della nostra
struttura conoscitiva. Il fenomeno è una
rappresentazione, poiché è sì un oggetto, e un
oggetto reale, ma reale soltanto nel rapporto con
il soggetto conoscente;
la cosa in sé (o noumeno, «cosa pensata») è la
realtà considerata indipendentemente da noi e
dalle forme a priori mediante le quali la
conosciamo. Come tale, la cosa in sé costituisce
una «x sconosciuta», che rappresenta tuttavia il
necessario correlato dell'«oggetto per noi» o
fenomeno.
Le facoltà della conoscenza
Kant articola la conoscenza in tre facoltà principali: Ogni
nostra conoscenza scaturisce dai sensi, da qui va
all'intelletto, per finire nella ragione.
La sensibilità è la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati
intuitivamente attraverso i sensi e tramite le forme a
priori di spazio e tempo.
L'intelletto è la facoltà attraverso cui pensiamo i dati
sensibili tramite i concetti puri o categorie.
La ragione (in senso speciale) è la facoltà attraverso cui,
procedendo oltre l'esperienza, cerchiamo di spiegare
globalmente la realtà mediante le idee di anima, mondo
e Dio.
L’estetica trascendentale
Nell'Estetica Kant studia la sensibilità e le sue
forme a priori.
Kant considera la sensibilità:
- recettiva perché essa non genera i propri
contenuti ma li accoglie, per intuizione, dalla
realtà esterna o dall'esperienza interna;
- attiva, in quanto organizza il materiale delle
sensazioni (le intuizioni empiriche) tramite lo
spazio e il tempo, che costituiscono le forme a
priori (le intuizioni pure) della sensibilità.
Per Kant, lo spazio non è una caratteristica inerente agli
oggetti o al loro rapporto, ma la condizione soggettiva
della sensibilità, sotto la quale soltanto ci è possibile
l'intuizione esterna:
Per mezzo del senso esterno [lo spazio], noi ci
rappresentiamo gli oggetti come fuori di noi e come
tutti assieme nello spazio. In questo, sono determinati,
o determinabili, la loro forma, la loro grandezza e i
loro rapporti reciproci […] Lo spazio non è un concetto
empirico, proveniente da esperienze esterne. Infatti,
affinché certe sensazioni siano riferite a qualcosa fuori
di me e io possa rappresentarmele come esterne e una
accanto all’altra – deve già esserci a fondamento la
rappresentazione di spazio.
In altri termini: Ieri Meredith e Cristina stavano discutendo in un corridoio
dell’ospedale.
Il «corridoio» è un concetto empirico: la conversazione si sarebbe
potuta tenere anche nell’atrio, o in un’altra stanza, o all’aperto, etc;
ma il fatto che la conversazione si sia tenuta «da qualche parte»
NON è un concetto del genere. Non può esistere alcuna
conversazione che non avvenga in un determinato luogo, non si può
immaginare che non ci sia lo spazio: questo intende Kant quando
afferma che lo spazio è una rappresentazione necessaria e apriori.
Analogamente, il tempo non è altro che la forma del
senso interno, cioè dell'intuizione di noi stessi e del
nostro stato interno […] il tempo non può essere
intuito esternamente, allo stesso modo che lo spazio
non può essere intuito come qualcosa in noi: il tempo
è la forma in cui il soggetto intuisce le proprie
modificazioni interne.
Facendo riferimento al precedente esempio, se «ieri» è
un concetto empirico, non può esserlo il fatto che la
conversazione tra Meredith e Cristina si deve essere
svolta prima, dopo o durante altri avvenimenti. Anche
il tempo, come lo spazio, è una rappresentazione
necessaria e apriori che il pensiero non può eliminare
e di cui non può fare a meno.
Tuttavia, siccome le cose esterne vengono comunque
interiorizzate nel momento in cui le percepiamo e
ce le rappresentiamo interiormente, esse si
dispongono parimenti in una successione
temporale. Così anche lo spazio ci è dato
interiormente nel tempo, in modo che il tempo si
configura come l’intuizione pura di tutti i fenomeni,
la forma fondamentale attraverso cui noi
percepiamo tutto ciò che è possibile percepire.
Pertanto, se non ogni cosa è nello spazio, ad esempio
i sentimenti, ogni cosa è però nel tempo, in quanto
tutti i fenomeni in generale, ossia tutti gli oggetti
dei sensi, cadono nel tempo.
Mentre Newton aveva concepito lo
spazio e il tempo come assoluti,
considerando questo un requisito
necessario per l'esistenza stessa
di una scienza fisica, Kant ritiene
che lo spazio e il tempo non sono
già dati, precedentemente alla
sensazione, non fanno parte
dell’esperienza, non sono
proprietà delle cose ma forme a
priori dell'intuizione attraverso le
quali si dà l'esperienza del mondo
fenomenico.
Matematica e Geometria
La geometria è la scienza che dimostra sinteticamente a
priori le proprietà delle figure mediante l'intuizione pura di
spazio, stabilendo ad esempio, senza ricorrere
all'esperienza del mondo esterno, che tra le infinite linee
che uniscono due punti la più breve è la retta, che due
parallele non chiudono uno spazio, che in una
circonferenza il raggio è minore del diametro, etc…
Analogamente, l'aritmetica è la scienza che determina
sinteticamente a priori la proprietà delle serie numeriche,
basandosi sull'intuizione pura di tempo e di successione,
senza la quale lo stesso concetto di numero non sarebbe
mai sorto. In quanto a priori, la matematica è anche
universale e necessaria, immutabilmente valida per tutte le
menti pensanti.
L'analitica trascendentale
Nell'Estetica trascendentale Kant ha condotto a termine
l'indagine delle forme pure della sensibilità; nella
sezione seguente, l'Analitica trascendentale, estende
tale esame alla conoscenza intellettuale.
Se nella sfera della sensibilità avevamo a che fare con
intuizioni, ora siamo di fronte ai concetti dell'intelletto.
Intuizioni e concetti sono le due grandi fonti della
conoscenza, che si costituisce proprio nel loro
ineliminabile rapporto:
Senza sensibilità, nessun oggetto ci verrebbe dato e
senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I
pensieri senza intuizioni sono vuoti, le intuizioni senza
concetti sono cieche.
Che cosa sono i concetti?
Kant sostiene che le intuizioni sono delle affezioni (ossia
qualcosa di passivo), mentre i concetti sono delle
funzioni, ovvero delle operazioni attive, che consistono
nell'ordinare o nell'unificare diverse rappresentazioni
sotto una rappresentazione comune.
Ad esempio quello di «corpo» è un concetto, in quanto
sotto di esso si trovano raccolte altre rappresentazioni.
I concetti possono essere
- empirici, cioè costruiti con materiali ricavati
dall'esperienza;
- puri, cioè contenuti a priori nell'intelletto (attenzione:
NON innati!!!).
Le Categorie
I concetti puri si identificano con le categorie, cioè con
quei concetti basilari della mente che rappresentano le
supreme funzioni unificatrici dell'intelletto.
Tuttavia, a differenza delle categorie aristoteliche, che
hanno un valore ontologico e gnoseologico al tempo
stesso, essendo simultaneamente forme dell'essere e
del pensiero, le categorie kantiane hanno una portata
esclusivamente gnoseologico-trascendentale, in
quanto rappresentano dei modi di funzionamento
dell'intelletto, che non valgono per la cosa in sé, ma
solo per il fenomeno.
Schematicamente:
La conoscenza esige che sia posto un legame, una
connessione fra i dati dell'intuizione sensibile. Ma
questa connessione non può consistere in
un'associazione delle percezioni operata dal soggetto (è
questa la posizione dell'empirismo): essa deve infatti
avere carattere oggettivo, cioè valere necessariamente
per tutti.
Kant, in primo luogo, individua le funzioni dell'intelletto,
intendendo per funzione l'unità dell'operazione che
ordina le diverse rappresentazioni sotto una
rappresentazione comune.
Il filo conduttore per l'individuazione di tali funzioni è
offerto dall'analisi dei giudizi.
Nel giudizio, le rappresentazioni vengono poste in
connessione secondo determinate regole che
corrispondono ad altrettante funzioni a priori
dell'intelletto; Kant ritiene quindi possibile risalire dalla
rassegna e dall'esame dei diversi tipi di giudizio ai
corrispondenti concetti puri dell'intelletto che, come si
è detto, Kant, rifacendosi ad Aristotele, chiama
categorie.
Attraverso le categorie l'intelletto istituisce fra gli oggetti
la connessione necessaria alla formulazione del giudizio.
Solo per mezzo delle categorie è possibile unificare la
molteplicità spazio-temporale nell’unità del concetto:
cioè, conoscere.
Le categorie sono concetti che prescrivono leggi a priori ai
fenomeni, e perciò alla natura come insieme di tutti i
fenomeni…le leggi esistono non nei fenomeni, ma solo
relativamente al soggetto al quale i fenomeni ineriscono, in
quanto esso ha un intelletto; così come i fenomeni non esistono
in sé, ma solo relativamente al soggetto medesimo, in quanto
esso è dotato di sensi […] i fenomeni sono solamente
rappresentazioni di cose, le quali restano ignote per quel che
possono essere in se stesse. E come semplici rappresentazioni, i
fenomeni non sottostanno ad altra legge di unificazione di
quella che loro prescrive la facoltà unificatrice. Dunque,
le rappresentazioni sono unificate in un io, e
l’”oggetto” di cui parla Kant nella CRP non è
altro che la materia della sensibilità unificata
dalla soggettività trascendentale.
L’unificazione dei fenomeni non è dunque negli oggetti, e
non può essere considerata come qualcosa di attinto
da essi per via di percezione, ma è soltanto una
funzione dell’intelletto, il quale non è altro che la
facoltà di unificare a priori e di sottoporre all’unità
della appercezione il molteplice delle rappresentazioni
date; ed è questo il principio supremo di tutta la
conoscenza umana. Ovvero:
l'unificazione del molteplice non deriva dalla molteplicità
stessa, che è sempre qualcosa di passivo, ma da
un'attività sintetica che ha la sua sede nell'intelletto,
centro mentale unificatore che Kant, per meglio
sottolineare come esso non si identifichi con la psiche di
questa o di quella persona, ma con l'identica struttura
mentale che accomuna gli uomini, denomina con
l'espressione «io penso».
L’unità sintetica della coscienza (io penso) è dunque una
condizione oggettiva di ogni conoscenza, della quale non
soltanto io stesso ho bisogno per conoscere un oggetto, ma
alla quale deve sottostare ogni intuizione per divenire
oggetto per me, poiché in ogni altro modo, e senza questa
sintesi, il molteplice non si unificherebbe in una coscienza.
La Deduzione Trascendentale (cioè la dimostrazione della
legittimità delle categorie):
- l'attività dell‘io penso si attua tramite i giudizi, i quali, come
sappiamo, sono i modi concreti con cui il molteplice
dell'intuizione viene pensato;
- ma i giudizi si basano sulle categorie, che sono le diverse
maniere di agire dell'io penso, ovvero le dodici funzioni
unificatrici in cui si concretizza la sua attività sintetica;
- di conseguenza, gli oggetti non possono assolutamente venir
pensati senza per ciò stesso venire categorizzati.
Quando Kant parla di «io penso» intende il
principio formale di unificazione del pensiero, che
è condizione di possibilità della conoscenza del
mondo, sia della conoscenza ordinaria, sia di
quella scientifica.
Lo schematismo trascendentale
Si pone tuttavia un altro problema.
Kant afferma l'eterogeneità fra sensibilità e intelletto;
sappiamo anche che la conoscenza non può che essere
sintesi fra intuizione e concetto.
Come è possibile questa relazione fra rappresentazioni
eterogenee?
Come è possibile, per esempio, l'applicazione della
categoria di causalità ai fenomeni, dal momento che
questa è un concetto puro dell'intelletto, che non può
trovarsi nei fenomeni stessi? Per risolvere questa
difficoltà, Kant sviluppa la dottrina dello schematismo
trascendentale.
In ogni riconduzione d’un oggetto sotto un concetto, la
rappresentazione del primo deve essere omogenea con
quella del secondo […] Ma i concetti puri dell’intelletto,
paragonati alle intuizioni empiriche, sono affatto
eterogenei […] Ora, com’è possibile la riconduzione di
queste sotto di quelli, e quindi l’applicazione della
categoria ai fenomeni? Ci deve essere un terzo termine,
il quale deve essere omogeneo da un lato con la
categoria e dall’altro con il fenomeno, e che rende
possibile l’applicazione di quella a questo.
Il giunto tra percezione e pensiero è lo schema, ciò che
rende possibile l’applicazione del concetto. Cos’è lo
schema di un concetto? Ecco l’esempio di Kant:
Quando io pongo l’uno dietro l’altro cinque punti, questa è
un’immagine del numero cinque. Quando invece io penso
soltanto a un numero in genere, che può essere cinque oppure
cento, tale pensiero contiene la rappresentazione di un metodo
per offrire un’immagine di una certa quantità (ad esempio
mille) anziché contenere l’immagine stessa. In quest’ultimo
caso, infatti, difficilmente io potrei dominare e confrontare con
il concetto l’immagine. Io chiamo dunque schema di questo
concetto la rappresentazione di un universale procedimento con
cui l’immaginazione procura ad un concetto la sua immagine.
Nessuna immagine sarebbe mai adeguata al concetto di
triangolo in generale. L’immagine non potrebbe in nessun caso
accedere all’universalità per cui il concetto vale per ogni
triangolo, sia esso rettangolo o di altro genere. Lo schema del
triangolo non può mai esistere in alcun luogo che non sia il
pensiero […]
Lo schema di cane non coincide con l'immagine sensibile
e particolare di questo o quel cane, ma si identifica con
una regola in base alla quale la mia immaginazione è
posta in grado di delineare in generale la figura di un
quadrupede, senza tuttavia chiudersi entro una
particolare raffigurazione offertami dall'esperienza o
in una qualsiasi immagine che io possa
rappresentarmi in concreto. Altri esempi:
- schema del concetto di sostanza: la permanenza del
reale nel tempo;
- schema del concetto di causa: il reale a cui, una volta
che esso sia posto, segue sempre qualche altra cosa;
- schema del concetto di necessità: l’esistenza di un
oggetto in ogni tempo.
Il noumeno come concetto-limite
Le categorie, costituendo la facoltà logica di unificare il molteplice
della sensibilità, funzionano solo in connessione con le intuizioni
spazio-temporali cui si applicano.
Considerate di per sé, cioè senza essere riempite di dati provenienti
dal senso esterno o interno, sono «vuote».
Questo fa sì che esse risultino operanti solo in relazione al fenomeno,
intendendo per quest'ultimo l'oggetto proprio della conoscenza
umana, che è sempre sintesi di un elemento materiale e di uno
formale.
Di conseguenza, il conoscere, per Kant, non può estendersi al di là
dell'esperienza, in quanto una conoscenza che non si riferisca a
un'esperienza possibile non è conoscenza, ma un vuoto pensiero
che non conosce nulla, un semplice gioco di rappresentazioni.
Questo principio postula una distinzione tra pensare e conoscere.
Il noumeno, la cosa in sé, più che essere una realtà, è
per noi un concetto, e precisamente un concettolimite, una sorta di promemoria che serve ad
arginare le nostre pretese conoscitive.
Il noumeno
- circoscrive le pretese della sensibilità,
rammentandoci che ciò che ci viene dato
nell'intuizione spazio-temporale non è la realtà in
assoluto;
- circoscrive le arroganze dell'intelletto, ricordandoci
che esso non può conoscere le cose in sé, ma
soltanto pensarle nella loro possibilità, sotto forma
di x ignote.
Quindi il concetto di noumeno non è altro che
un concetto limite, per circoscrivere le pretese
della sensibilità ed è quindi soltanto di uso
negativo. Esso non è però introdotto
arbitrariamente, ma si connette alla
limitazione della sensibilità, senza tuttavia
essere in grado di porre alcunché di positivo
al di fuori del dominio che le è proprio.
Il mondo delle cose in sé è dunque del tutto
sottratto, in quanto privo di contenuto oggettivo,
alla conoscenza.
Resta ora da considerare perché si dia nei fatti il
tentativo di produrre conoscenza anche di
questo mondo, e che cosa accada quando ciò
avviene: è questo il compito della Dialettica
trascendentale.
Successivamente, Kant continuerà la sua riflessione
sul mondo noumenico, considerando in che
modo esso sia esplorabile attraverso le categorie
della ragione pratica, nell'orizzonte della morale.
Il grande smascheramento:
la dialettica trascendentale
Nella Dialettica trascendentale Kant conduce
l'esame dei fondamenti della metafisica e del
suo eventuale diritto a proporsi come sapere
scientifico.
Per Dialettica trascendentale Kant intende l'analisi
e lo smascheramento dei ragionamenti fallaci
della metafisica.
Nonostante la sua infondatezza, la metafisica
rappresenta tuttavia un'esigenza naturale e
inevitabile della mente umana, di cui la filosofia
critica intende chiarire la genesi profonda.
Al punto in cui siamo giunti abbiamo non solo percorso il
territorio dell’intelletto puro, considerandone
accuratamente ogni parte, ma l’abbiamo altresì
misurato, assegnando il suo posto a ogni cosa. Ma
questo territorio è un’isola che la natura ha racchiuso
in confini immutabili. E’ il territorio della verità [...]
circondato da un ampio e tempestoso oceano, in cui
ha la sua sede più propria la parvenza, dove
innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci, in corso di
liquefazione, creano a ogni istante l’illusione di nuove
terre e, generando sempre nuove ingannevoli
speranze nel navigante che si aggira avido di nuove
scoperte, lo sviano in avventurose imprese che non
potrà né condurre a buon fine né abbandonare una
volta per sempre.
Ricerca della totalità e illusioni della ragione
Il problema che la ragione mira a risolvere è quello della
totalità: Ogni singola esperienza è solo una parte di tutta la
sfera dell‘esperienza: la totalità assoluta di ogni esperienza
possibile non è in se stessa un'esperienza e tuttavia è un
problema necessario per la ragione.
L'intelletto umano è finito, limitato; l'esperienza che è nelle sue
possibilità è necessariamente circoscritta. Tuttavia, è una
caratteristica costitutiva del pensiero quella di voler afferrare
la totalità, il Tutto.
Per esempio, posta una connessione causale tra un certo
numero di fenomeni, la ragione tenta di risalire a una causa
ultima, a ciò che sia condizione senza essere a sua volta
condizionato: perciò Kant chiama la ragione facoltà
dell'incondizionato.
Il principio supremo per mezzo del quale la ragione cerca di
unificare i risultati dell'intelletto si basa sull'idea di
incondizionato e consiste nell'affermare che, se è dato il
condizionato, ossia ciò che è conosciuto dall'intelletto,
deve essere data anche l'intera serie delle sue condizioni,
la quale di per sé è incondizionata. Questo principio è
l'esigenza di un principio legittimo della ragione, cioè
quella di ricondurre la molteplicità del condizionato, vale a
dire del mondo dell'esperienza, alla massima unità
possibile; quando, tuttavia, tale principio viene scambiato
per una conoscenza oggettiva, cioè per la conoscenza di
una realtà incondizionata, esso si rivela illusorio, perché
tale realtà non ci è mai stata data nell'esperienza e
dunque non può mai costituire l'oggetto di un concetto
puro.
In questo caso [quando l’intelletto procede oltre i propri confini] si
tratta di una illusione assolutamente inevitabile come è
inevitabile che il mare ci appaia più alto in lontananza che alla
spiaggia, poiché nel primo caso lo vediamo attraverso raggi più
alti che nel secondo; oppure meglio ancora , come non c’è
astronomo in grado di far sì che la luna non gli appaia più
grande nel suo sorgere, anche se egli non cade vittima di tale
parvenza. La dialettica trascendentale si appagherà quindi dello
svelamento della parvenza dei giudizi trascendentali, e nel
contempo di premunirci dal cadere vittima del suo inganno.
Tuttavia essa non sarà mai in grado di operare il dissolvimento
di questa parvenza facendo sì che essa cessi di presentarsi. In
effetti qui siamo innanzi a una inevitabile illusione naturale,
riposante come tale su principi soggettivi, da essa scambiati per
oggettivi […] Esiste dunque una dialettica naturale e inevitabile
della ragione pura […]
Kant ritiene che questo voler procedere oltre i dati
esperienziali derivi dalla nostra innata tendenza
all'incondizionato e alla totalità. In altre parole, la
nostra ragione, mai paga del mondo fenomenico, che è il
campo del condizionato e del relativo, è irresistibilmente
attratta verso il regno dell'assoluto e quindi verso una
spiegazione globale e onnicomprensiva di ciò che esiste:
[…] si tratta di una dialettica inscindibilmente connessa
con l’umana ragione sicché, anche dopo il chiarimento
della sua infondatezza, non cesserà per questo di
sedurre la nostra ragione traendola continuamente in
errori momentanei, che dovranno sempre venir
nuovamente rimossi.
Le tre idee della metafisica
Se l'intelletto operava mediante le categorie l'unificazione
del molteplice intuito, la ragione opera invece con idee;
l'idea - termine che Kant assume esplicitamente da
Platone - è definita così:
Intendo per idea un concetto necessario della
ragione, al quale non è dato trovare un oggetto
adeguato nei sensi. I nostri concetti puri razionali
ora esaminati [anima, mondo e Dio] son dunque
idee trascendentali. Essi son concetti della ragion
pura; considerano infatti ogni conoscenza
sperimentale come determinata da una totalità
assoluta di condizioni. Non sono escogitati ad
arbitrio, ma dati dalla natura della stessa ragione,
e si riferiscono quindi necessariamente all'uso
intero dell'intelletto. Essi infine sono trascendenti e
sorpassano i limiti di ogni esperienza […] nel cui
ambito quindi non è possibile che si riscontri un
oggetto adeguato all’idea trascendentale.
Tre sono le idee alle quali il tentativo di raggiungere la
totalità incondizionata mette capo e a cui
corrispondono tre pseudoscienze:
l'idea di anima, cioè l’idea della «totalità delle condizioni
di un dato fenomeno psichico» (psicologia razionale);
l'idea di mondo, cioè l’idea della «totalità delle condizioni
di un dato fenomeno fisico» (cosmologia razionale);
l'idea di Dio, cioè l’idea della «totalità delle totalità»
(teologia razionale).
Anima, mondo e Dio sono i grandi campi di indagine della
metafisica dogmatica con cui Kant vuole fare
definitivamente i conti.
L'idea di anima
La metafisica afferma che l’anima è una sostanza che permane
identica a se stessa nel tempo, che è distinta da ogni altro
oggetto. Questa dottrina — secondo Kant — è fallace, perché si
fonda su paralogismi, ossia su ragionamenti errati.
La radice di tali errori consiste nel fatto che il soggetto, l'Io penso,
che è la funzione unificatrice delle rappresentazioni, viene
trasformato arbitrariamente in una sostanza sussistente di per
sé, in un'anima.
Questa trasformazione avviene applicando la categoria di sostanza
all'Io penso, che non è un oggetto, ma l'unità della coscienza,
ovvero proprio la condizione di applicabilità delle categorie.
Quella che è una condizione logico-trascendentale della
conoscenza viene così trasformata in una realtà, nell'oggetto di
una conoscenza che si rivela però inevitabilmente illusoria.
L'idea di mondo
La cosmologia razionale si fonda sull'idea di mondo,
inteso come totalità delle condizioni dei fenomeni (si
tratta dunque di cosa ben diversa dalla natura, che è
la connessione dei fenomeni oggetto di
un'esperienza possibile).
L'illusorietà del tentativo della ragione di conoscere il
mondo come totalità è dimostrata dal fatto che esso
conduce ad antinomie, cioè a coppie di proposizioni
in contraddizione fra loro e tuttavia egualmente
dimostrabili.
Kant individua quattro antinomie:
PRIMA ANTINOMIA
TESI
ANTITESI
Il mondo ha un suo inizio nel tempo e, rispetto allo
spazio, è delimitato entro precisi confini.
II mondo non ha né inizio né confini nello spazio,
ma è infinito, così rispetto al tempo come rispetto
allo spazio
SECONDA ANTINOMIA
TESI
ANTITESI
Nel mondo ogni sostanza composta consta di parti
semplici, e in nessun luogo esiste qualcosa che non
sia o il semplice o ciò che ne risulta composto.
Nessuna cosa composta, nel mondo, consta di parti
semplici; e in nessuna parte del mondo esiste
alcunché di semplice.
TERZA ANTINOMIA
TESI
ANTITESI
La causalità delle leggi della natura non è l'unica da
cui sia possibile far derivare tutti i fenomeni del
mondo. Per la loro spiegazione si rende necessaria
l'ammissione anche d'una causalità per libertà.
Non c'è libertà alcuna, ma nel mondo tutto accade
esclusivamente in base a leggi di natura.
QUARTA ANTINOMIA
TESI
Del mondo fa parte qualcosa che, o come suo
elemento o come sua causa, costituisce un essere
assolutamente necessario.
ANTITESI
In nessun luogo, né nel mondo, né fuori del mondo,
esiste un essere assolutamente necessario che ne
sia la causa.
Al tempo stesso, tuttavia, queste affermazioni antitetiche
sono altrettanti tentativi di risolvere quattro naturali e
inevitabili problemi della ragione:
• Ha il mondo un inizio e un limite nel tempo e nello
spazio?
• La materia è infinitamente divisibile o discreta?
• È possibile la libertà, o tutto ciò che avviene è
causalmente determinato?
• Esiste una causa ultima, necessaria dei fenomeni?
Kant nega che si possa dare risposta a queste domande,
che non hanno un riscontro possibile nell'esperienza.
L'idea di Dio
Nel concetto di Dio la ragione esprime l'ideale di un essere supremo,
originario, perfetto; la totalità di tutte le realtà possibili, della
quale ogni singola realtà non è che la determinazione.
L'illusione della ragione consiste nel trasformare questo concetto
ideale in una realtà, supponendo che corrisponda a esso l'oggetto
di un Essere onnipotente, onnisciente, eterno, laddove la totalità
assoluta non è e non potrà mai essere oggetto di un'esperienza
possibile.
Risulta quindi dall'impianto stesso del criticismo kantiano che non si
possa dare di Dio una conoscenza teoretica; ma Kant si propone
anche di dimostrare l'impossibilità delle tradizionali prove
dell'esistenza di Dio, che egli raggruppa sotto tre titoli: la prova
ontologica; la prova cosmologica; la prova fisico-teologica.
Contro la prova ontologica (S.Anselmo e Cartesio):
l’argomento istituisce una relazione illegittima tra
existentia in mente e existentia in re.
Contro la prova cosmologica (Aristotele, S.Tommaso e la
prova ex causa e ex contingentia): poiché tutte le cose
del mondo sono contingenti, l’assolutamente
necessario si deve trovare al di fuori del mondo. Ma la
causalità ha senso solo nel mondo sensibile.
Contro la prova teleologica (o fisico-teologica, come dice
Kant: S.Tommaso e la prova ex fine): l’ordine e il
finalismo della natura possono al massimo portarci a
provare l’esistenza di un «architetto del mondo», che a
sua volta richiederebbe un ulteriore, superiore,
fondamento (è lo stesso argomento che gli
evoluzionisti contrappongono alla teoria del «progetto
intelligente»…)
Dunque, tutte le prove sono confutate da Kant…
In conclusione, dalla dialettica trascendentale
emerge un verdetto inappellabile contro la
metafisica tradizionale:
La metafisica, come disposizione naturale della
ragione, è reale, ma [...] è anche dialettica e
ingannatrice. Se, dunque, vogliamo da essa
prendere i princìpi [...] non possiamo mai
trarne fuori una scienza, ma soltanto una vana
arte dialettica, in cui una scuola può sorpassare
l'altra, ma nessuna può mai procacciarsi un
legittimo e durevole consenso.
(Prolegomeni)
Fine del viaggio: la funzione regolativa delle idee
Le idee della ragion pura possono avere, secondo Kant, un
uso regolativo, indirizzando la ricerca intellettuale verso
quell'unità totale che rappresentano.
Infatti ogni idea è una regola che spinge la ragione a dare al
suo campo d'indagine, che è l'esperienza, non solo la
massima estensione, ma anche la massima unità
sistematica.
Le idee, cessando di valere dogmaticamente come realtà,
varranno in questo caso problematicamente, come
condizioni che impegnano l'uomo nella ricerca naturale
e come spinta verso l’assoluto: dove termina la CRP si
pongono le basi della Critica della Ragione Pratica…
…to be continued…
By Lucio Celot
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Critica della Ragione Pura