Nazım Hikmet L’uomo, il poeta…. Bir insan, bir ozan… Nazim Hikmet 24 Eylül 1945 En güzel deniz: henüz gidilmemiş olanıdır… En güzel çocuk: henüz büyümedi. En güzel günlerimiz: henüz yaşamadıklarımız. Ve sana söylemek istediğim en güzel söz: henüz söylememiş olduğum sözdür… Nazım Hikmet-Saat 21-22 Şiirleri Il più bello dei mari è quello che non abbiamo ancora navigato Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto… (24 settembre 1945) Programma 3 giugno 2003 Inizio dei lavori h: 18.0 - Saluto delle autorità turche e italiane h: 19.0 - Un uomo, un poeta, fra presente passato e futuro” Interventi del professore Baykar Sivazliyan,di Fadll Albeetar, di Carlo Alberto Augieri, Maurizio Nocera e Hanife Guven Poesie in lingua originale lette dagli studenti della Facoltà di Lingue straniere a cura di Hanife Guven h: 21,00 Apertura della personale di Rosanna Gesualdo “…Il più bello dei nostri giorni non lo abbiamo ancora vissuto” “En guzel gunlerimiz: henuz yasamadiklarmiz” - Raggio Verde, via Federico D’Aragona, 4 – 73100 Lecce Degustazioni di prodotti della gastronomia turca Programma 4 giugno 2003 H. 18.00 - Intervento del professore Giovanni Invitto h: 18,30 “Nazim Hikmet inedito in Italia” a cura di Maurizio Nocera h: 19,30 Omaggio dai Poeti del Sud ad Hikmet Interventi di Giuseppe Conte, Elio Coriano, Antonio Errico, Livio Romano, Michele Caccamo. Conclusioni dei relatori Coordinerà le serate Stefano Donno Nel corso del convegno è prevista la proiezione di materiale video messo a disposizione della Fondazione Nazim Hikmet di Istanbul Profilo biografico di un Poeta Nazim Hikmet nacque nella greca Salonicco nel 1902. Figlio di un console dell’impero Ottomano e nipote di Nazim pascià, governatore a Salonicco, Hikmet si iscrisse a 15 anni all’Accademia della Marina. A 17 anni cominciò a pubblicare le sue prime poesie di impegno civile. Gli anni della sua giovinezza coincisero con quelli della lotta per il rinnovamento della Turchia. Allontanato dalla nave scuola dove prestava servizio, cercò di raggiungere l’Anatolia dove Kemal Ataturk, leader dei Giovani Turchi, andava riunendo i contadini esasperati dalle intollerabili condizioni di vita e la parte più avanzata della borghesia turca. Sono nato nel 1902/ non sono più tornato/ nella città natale/non amo i ritorni indietro/quando avevo tre anni/abitavo Alep/con mio nonno pascià/a 19 anni studiavo a Mosca/ all’università comunista/a 49 ero a Mosca di nuovo/ospite del comitato centrale/del partito comunista e dall’età di 14 anni/faccio il poeta Le poesie di Hikmet, lette nel corso dei comizi kemalisti, divennero presto famose in tutto il paese, procurando l’odio e le persecuzioni delle autorità. Dopo la vittoria di Kemal Ataturk, Hikmet si trasferì ad Ankara dove svolse intensa attività politica culturale. La prima volta che Nazim sentì parlare di marxismo fu a Bolu, in Anatolia, dove si recò a insegnare l’alfabeto ai contadini: un impiegato gli fece leggere dei testi marxisti. Nazim decise di andare nell’Unione Sovietica e con due amici raggiunse Trebisonda e da lì, clandestinamente, su una barca da pesca, Batum. Alla fine del 1921 era a Mosca, dove si iscrisse all’Università comunista dei lavoratori dell’Oriente. Alcuni conoscono bene le varie specie delle piante altri quelle dei pesci/io conosco le separazioni/alcuni enumerano a memoria i nomi/delle stelle io le nostalgie/ho dormito in prigioni e anche in alberghi di lusso/ho sofferto la fame compreso lo sciopero della fame/e non c’è quasi pietanza/che non abbia assaggiata/quando avevo trent’anni hanno chiesto/la mia impiccagione L’Unione Sovietica in quegli anni era il centro della cultura rivoluzionaria mondiale. Majakovskij, Chlebnikov ed Esenin producevano le loro poesie più belle. Chagall affrescava gli uffici pubblici e il Teatro di stato. Eisenstein preparava il suo primo film Sciopero. Meyerhold riempiva i teatri e Tairov spersonalizzava gli attori con trucchi irreali e costumi di fantascienza. Da tutti gli angoli dell’Unione Sovietica accorreva una massa sconfinata di giovani per conoscere il teatro della rivoluzione, il nuovo cinema, la nuova poesia, la nuova pittura, il nuovo modo di fare pubblicità. Hikmet si entusiasmò anche lui. Scrisse versi di rovente polemica contro l’arte pura. /a 48 mi hanno proposto per la medaglia della Pace/ e me l’hanno data/a 36 ho traversato in sei mesi/i quattro metri quadrati/di cemento/della segregazione cellulare/a 59 sono volato/da Praga all’Avana/in diciotto ore/ero di guardia davanti alla bara di Lenin nel ’24/e il mausoleo che visito sono i suoi libri/han provato a strapparmi dal mio Partito/non ci sono riusciti/ e non sono rimasto schiacciato/sotto gli idoli crollati/ Nel 1924, dopo aver portato anche lui sulla sua spalla la bara di Lenin, arricchito di grandi esperienze, tornò nel suo paese per lottare con il suo popolo. Ataturk aveva dato il colpo finale al dominio del clero abolendo il califfato e sembrava che, vittorioso su tutta la linea, volesse garantire almeno le libertà formali sul piano politico. Ma al primo pretesto (il tentativo di insurrezione rurale dello sceicco Said) scatenò di nuovo la repressione contro i partiti d’opposizione e i sindacati statali. Mandò messaggi anche ad Hikmet per indurlo a un colloquio, ma il poeta rifiutò ogni compromesso e organizzò l’attività politica illegale per il partito comunista turco; condannato a 15 anni di carcere in contumacia, visse nascosto vicino a Smirne in una tipografia clandestina. Nel ’51 con un giovane compagno/ho camminato verso la morte/nel ’52 col cuore spaccato ho atteso la morte/per quattro mesi sdraiato sul dorso/ sono stato pazzamente geloso delle donne ch’ho amato/non ho invidiato nemmeno Charlot/ho ingannato le mie donne/non ho sparlato degli amici/dietro le loro spalle/ ho bevuto ma non son stato un bevitore/ho sempre guadagnato il mio pane/ Alla fine del 1925 ritornò in Urss e riprese gli studi all’Università. Nel 1931 volle nuovamente fare ritorno in Turchia, e qui venne ri-arrestato sotto l’imputazione di propaganda comunista ma la sua ferma autodifesa, la sua fama crescente e l’eco negativa suscitata dal processo costrinsero i giudici ad assolverlo. Nel 1932, subito dopo la pubblicazione di un nuovo libro, le autorità lo accusarono di complotto contro il governo e al processo il pubblico ministero chiese contro di lui la pena di morte. La condanna fu invece di 5 anni,ridotti da una successiva amnistia concessa da Ataturk. Durante il periodo di prigione nacquero alcune tra le sue liriche più belle. Nel 1936, mentre i Spagna si combatteva per la libertà, pubblicò Alle porte di Madrid. Ne seguì un nuovo arresto. Col sudore della mia fronte/che felicità/ mi sono vergognato per gli altri e ho mentito/ho mentito per non far pena agli altri/ma ho anche mentito/senza nessun motivo/ho viaggiato in treno in aeroplano in macchina/i più non possono farlo/sono stato all’Opera/ i più non ci vanno non sanno/nemmeno cosa sia/ Quando nel 1938 morì Kemal Ataturk e la situazione in Turchia divenne ancora più grave per i democratici, Hikmet fu condannato a 28 anni di carcere ancora per propaganda comunista nell’esercito. Fu allora che le sue poesie cominciarono ad uscire misteriosamente dal carcere, a circolare clandestinamente in Turchia, arrivando all’estero, e cominciare ad essere tradotte in lingue straniere. La madre Aiscè Jelilè, vecchia e malata, andava in carcere e imparava a memoria lunghi brani del poema Panorami umani, che poi riscriveva e diffondeva, girando per le vie di Istanbul con un cartello su cui c’era scritto “Liberate Nazim Hikmet”. E dal ’21 non sono entrato/in certi luoghi frequentati dai più/la moschea la sinagoga la chiesa/il tempio i maghi le fattucchiere/ma mi è capitato/di far leggere la mia sorte/nei fondi di caffè/le mie poesie sono pubblicate/in trenta o quaranta lingue/nella mia lingua turca sono proibite/ Un comitato creato dal poeta francese Tristan Tzata si adoperò allora per la sua liberazione facendo conoscere all’Europa e al mondo la sua poesia e la sua sorte: ma Hikmet, nonostante fosse tormentato da una gravissima forma di angina pectoris, dovette rimanere in carcere per altri 12 anni. In carcere scrisse il poema Zoia, dedicato alla giovane partigiana sovietica uccisa dai tedeschi, e la madre del poeta, appreso a memoria il poema nei colloqui in carcere, lo diffuse nel paese, dove divenne presto popolare. Finalmente nel 1950 il governo turco gli concesse la libertà vigilata. Il cancro non l’ho ancora avuto/non è necessario che l’abbia/non sarò il primo ministro/d’altronde non ne ho voglia/anche se non ho fatto la guerra/non sono sceso nei ricoveri nel mezzo della notte/non ho camminato per le vie/sotto gli alberi in picchiata/ma verso i sessant’anni mi sono innamorato/ L’anno successivo alla sua liberazione Hikmet espatriò e tornò in Unione Sovietica, a Mosca, dove gli fu data una casa nella zona degli scrittori, a Peredelkino appena un po’ fuori dalla città, dove continuò senza soste la lotta per la libertà e il progresso del suo paese. Eletto membro del Consiglio mondiale della pace, partecipò attivamente alla lotta politica e alla lotta contro la guerra. Sebbene avesse subito un secondo attacco di cuore nel 1952, Hikmet viaggiò molto durante il suo esilio, visitando non solo l’Europa orientale ma anche Roma, Parigi, L’Avana, Pechino e l’Africa. Ha scritto: Ho viaggiato per tutta l’Europa, l’Asia e l’Africa con il mio sogno. In una parola compagni/anche se oggi a Berlino sono sul punto di crepar di tristezza/posso dire di aver vissuto /da uomo/e quanto vivrò ancora/e quanto vedrò ancora/chi sa. Autobiografia – Berlino, gennaio 1962 Solo gli americani non mi hanno dato il lasciapassare. Privato della sua cittadinanza turca nel 1959, Hikmet scelse di diventare cittadino della Polonia, spiegando di avere ereditato i suoi occhi blu e i suoi capelli rossi da un antenato polacco che era stato un rivoluzionario del XVII secolo. Nel 1959 si risposò con Vera, una giovane sovietica. Ha scritto Joyce Lussu: “Morì il 3 giugno 1963, a Mosca, al numero 6 della via Pescianaya, dove aveva un appartamento con Vera. Lei lo trovò accasciato accanto alla porta che dava sul pianerottolo, appoggiato allo stipite: stava uscendo per andare a comprare i giornali e fare due passi al sole. Il viso era tranquillo. L’infarto era stato folgorante; il primo infarto lo aveva colpito 20 anni prima, nel carcere di Bursa, in Anatolia. Gli dispiaceva morire. Ma siccome morire è indispensabile, si era augurato una morte rapida e decisa come le azioni della sua vita. Fu composto nella bara aperta, con molti fiori e molti onori. Rimase col viso scoperto e col suo abito migliore, secondo la costumanza russa, fino a che non fu calato nella fossa.” Pochi giorni prima di morire, maggio 1963, aveva scritto la sua ultima poesia, Il mio funerale. Il mio funerale maggio1963 Il mio funerale partirà dal nostro cortile? Come mi farete scendere dal terzo piano? La bara nell’ascensore non c’entra e la scala è tanto stretta. Il cortile sarà, forse, pieno di sole, di piccioni forse nevicherà, i bambini giocheranno strillando forse sull’asfalto bagnato cadrà la pioggia e al solito ci saranno i bidoni per l’immondezza. Se mi tirano su nel furgone col viso scoperto, come usa qui, forse mi cadrà in fronte qualcosa di un piccione, porta fortuna, che ci sia o no la fanfara, i bambini accorreranno i bambini sono sempre curiosi dei morti. La finestra della nostra cucina mi seguirà con lo sguardo Il nostro balcone mi accompagnerà col bucato steso. Sono stato felice in questo cortile, pienamente felice. Vicini miei del cortile, vi auguro lunga vita, a tutti. Il più bello dei nostri giorni non lo abbiamo ancora vissuto… personale di Rosanna Gesualdo Raggio Verde, Lecce via Federico D’Aragona dal 3 al 10 giugno 2003 Tradurre i versi del grande poeta turco in immagini semplici ed efficaci, cariche della stessa potenza espressiva dei versi, non era impresa facile. Ma Rosanna Gesualdo ci è riuscita. Le grafiche realizzate per la mostra, che ha per titolo proprio uno dei versi di Hikmet, visualizzano il percorso di Nazim,il suo esilio, la sua coerenza di uomo e di intellettuale mai sceso a compromessi, il suo grande amore per la vita, la solitudine, la sua inossidabile speranza. C’è sempre un giorno più bello da vivere. Un mare più bello da navigare. Un figlio da crescere. Il meglio dell’esistenza è nel futuro. Nei tramonti rosa dove smarrire lo sguardo, nell’aria tersa dell’alba da respirare ancora…nei deserti da attraversare, nei luoghi nuovi da raggiungere, terre lontane ma non straniere. Non è mai estranea la terra dei propri sogni. Quattordici grafiche, realizzate su fogli di fortuna, giornali, semplici pezzi di carta perché l’esule scrive ovunque. Dove capita, perché nulla gli appartiene: Né la terra che calpesta, né quello che lo circonda. Eppure tutto può appartenergli nel momento in cui lascia parlare il suo cuore. Una scelta, rivela Rosanna Gesualdo. Non si inventa nulla di nuovo ma si può far rivivere ciò che è parte della memoria di ognuno di noi. Mi piace lavorare sulle cose degli altri. Suggerisce un senso di continuità. Attesta, probabilmente, anche la condivisione, l’incontro di pensieri e di latitudini diverse…la magia dell’arte che non ha confini né ideologici, né geografici e riesce a far convivere le diversità. Materie povere anche per l’allestimento: scatole di cartone che diventano supporti. Sassi come i tanti pensieri che viaggiano su barchette di carta…in fondo ciò che è davvero importante, non è fuori ma dentro. Dentro le cose…dentro ogni anima. E dentro c’è posto per la tristezza “perché non ci si può saziare del mondo” come dell’amore. E la vita, nonostante tutto, non si smette mai di amare. Via via sbiadiscono i colori come quei sogni che si dileguano nel cielo rosa della giovinezza per finire nelle ombre grigie dei ricordi. La nostalgia accompagna il nostro desiderio di vivere che non sfuma però con il passar del tempo. E se il tempo “è il peggiore degli aguzzini”, l’arte è l’unica che può riuscire a beffarlo. Nell’arte si realizza il sogno di eternità dell’uomo. Il cuore di Nazim smise di battere quarant’anni fa. Ma è anche vero che il cuore di Nazim continua a battere. Ancora oggi. Batte forte come quando tredicenne scrisse “l’incendio” . Batte ancora con tutto il vigore delle sue poesie. Lui rivive ogni volta che qualcuno, in un qualsiasi angolo del mondo, dà voce alle sue liriche. Lui rivive, oggi, anche nelle immagini che hanno ispirato i suoi versi. Lo sguardo segue il lirismo delle grafiche che lasciano affiorare il dolore ma chi lo percepisce non ne resta angosciato. Perché c’è il respiro del poeta tra le sfumature di grigio perla e di rosa. Tra le sequenze in bianco e nero delle vie, nella scia del traghetto che porta lontano. C’è l’amarezza e la solitudine ma la certezza che “il più bello dei nostri giorni non lo abbiamo ancora vissuto” . Antonietta Fulvio