R. Jakobson, La poesia contemporanea russa (1921)
“La letterarietà [è] ciò che di una data opera fa un’opera
letteraria. Finora gli storici della letteratura hanno soprattutto
scimmiottato la polizia che, quando deve arrestare una
determinata persona, agguanta per ogni eventualità chiunque e
qualsiasi cosa si trovi nell’appartamento e anche chi per caso si
trovi a passare nella strada accanto. Così anche per gli storici
della letteratura tutto faceva brodo: costume, psicologia, politica,
filosofia. Invece della scienza della letteratura si ebbe un
conglomerato di discipline rudimentali. Pareva che si
dimenticasse che queste categorie rientrano, ognuna, nella
scienza corrispondente, storia della filosofia, storia della cultura,
psicologia ecc., e che queste ultime possono naturalmente
utilizzare anche i monumenti letterari come documenti difettosi,
di seconda scelta”.
Vladimir Nabokov: Introd. a Lezioni di letteratura:
“Quando si legge, bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non
c’è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se
viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del
libro. Se si parte invece da una generalizzazione preconfezionata, si
comincia dalla parte sbagliata e ci si allontana dal libro prima
ancora di avere cominciato a capirlo. Non c’è niente di più noioso e
di ingiusto verso l’autore che mettersi a leggere, per esempio,
Madame Bovary, con l’idea preconcetta che sia una denuncia della
borghesia. Non dimentichiamo che l’opera d’arte è sempre la
creazione di un mondo nuovo; per prima cosa, dovremmo quindi
studiare questo mondo nuovo il più meticolosamente possibile,
come se fosse qualcosa che avviciniamo per la prima volta e che
non ha alcun rapporto immediato con i mondi che già conosciamo.
Una volta studiato attentamente questo mondo nuovo, allora
soltanto possiamo analizzarne i legami con altri mondi, con altri
settori della conoscenza”.
Mario Lavagetto, Eutanasia della critica (2005)
“Molti anni fa, studente dell’ultimo anno di liceo, andai con
alcuni compagni di classe a sentire una lezione di Ungaretti su
Leopardi all’Università di Roma. Eravamo pieni di febbrili
aspettative e uscimmo sconcertati e delusi: il vecchio poeta
aveva debuttato leggendo (meravigliosamente) Alla luna.
Arrivato alla fine della sua lettura era rimasto in silenzio, con
istrionica impassibilità, per qualche minuto, poi aveva
borbottato: ‘È meraviglioso… non c’è niente, proprio niente da
dire’ e aveva letto e riletto ripetute volte il testo fino a quando il
tempo della lezione fu completamente esaurito”.
Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
Nota alla fine del romanzo: “Per evitare ogni riferimento alla vita
privata l’autore ha inventato una cittadina, Verrières, e quando ha
avuto bisogno di un vescovo, di una giuria, di una corte d’Assise li
ha ambientati sullo sfondo di Besançon, dove non è mai stato”
Stendhal, Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli :
“Verrières è una delle più graziose cittadine della Franca Contea,
costruita sul declivio di una collina, in mezzo a macchie di grandi
castagni. Ai piedi di questa collina, verso mezzogiorno, scorre il
Doubs, uno dei fiumi più pittoreschi della Francia. Dal lato nord la
città è protetta da una delle montagne del Giura. […]
Verrières, in questo libro, è un luogo immaginario, che l’autore ha
scelto come tipo delle città di provincia”
Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
Georges Blin, Stendhal et les problèmes du roman (1954):
“Per convincerci che la sua Verrières esiste, o, se vogliamo, che
è preesistita al dramma che vi si è svolto, la pone come
sussistente alla data in cui la storia viene raccontata, la descrive
non come era ma come è, il che, fin dall’inizio, tende a smentire
che ci si trovi in presenza di un romanzo [...]. In questo modo,
siamo indotti a mettere tra parentesi il carattere chimerico e
ipotetico del tempo in cui la storia si iscrive”.
Stendhal: Contro la descrizione
Lettera a Balzac, 16 ott. 1840: “Da un anno mi dicono che ogni
tanto bisogna rilassare il lettore descrivendo il paesaggio, i vestiti.
Sono cose che mi hanno tanto annoiato negli altri! Tenterò”.
Ricordi d’egotismo (1832): [Dopo avere rappresentato una riunione
mondana in un salotto]: “Ho dimenticato di descrivervi il salotto.
Sir Walter Scott e i suoi imitatori avrebbero saggiamente
cominciato di lì, ma io ho orrore della descrizione materiale. La
noia di doverla fare m’impedisce di scrivere romanzi”.
“Sostenevo che un buon terzo dei meriti di Scott si doveva a un
segretario che gli abbozzava le descrizioni di paesaggi dal vero. Lo
trovavo, come lo trovo adesso, debole nella rappresentazione delle
passioni, nella conoscenza del cuore umano”
Walter Scott e la Princesse de Clèves (1830): “L’abito e il collare di
rame di un servo del Medioevo sono più facili da descrivere dei
moti del cuore umano”.
Stendhal: Contro la descrizione
Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli:
“Walter Scott aveva messo di moda il medioevo; si era sicuri del
successo impiegando due pagine a descrivere la vista che si godeva
dalla camera dell’eroe, altre due pagine a descrivere come egli
vestiva e altre due pagine ancora a descrivere la forma della
poltrona su cui egli sedeva. Stanco di tutto questo medioevo, delle
ogive e dei vestiti del ‘400, S[tendhal] osò raccontare un fatto
avvenuto nel 1830 e lasciare il lettore in un’assoluta ignoranza a
proposito dei vestiti che portano la signora di Rênal e la signorina
de La Mole”.
Stendhal: Alcune opere precedenti al Rosso e il nero
- Storia dell’arte: Histoire del peinture en Italie (scritto 18131815, ed. 1817)
- Biografie: Vie de Haydn, de Mozart e de Métastase (ed. 1815);
Vie de Rossini (ed. 1823)
- Memorie di viaggio: Rome, Naples et Florence (ed. 1917,
prima volta in cui usa lo pseudonimo Stendhal); Promenades
dans Rome (1828-29, ed. 1829)
- Trattato sull’amore: De l’amour (1919-22, ed. 1922)
- Saggistica e critica letteraria: Racine et Shakespeare (ed. 1823
& 1825)
- Un solo romanzo: Armance (1826-27, ed. ago. 1827)
Stendhal: La genesi del Rosso e il nero
Fine 1829: Stendhal si trova in viaggio nel sud della Francia, e
qui legge il resoconto di un processo nella “Gazette des
Tribunaux”:
– Si tratta di un fatto di sangue avvenuto a Brangues, una
cittadina nel dip. dell’Isère;
– L’imputato si chiama Antoine Berthet, un figlio di artigiano, ex
seminarista, che viene assunto come precettore in una casa di
ricchi borghesi; e qui, a quanto pare, diventa l’amante della
padrona di casa;
– In seguito a una serie di avvenimenti, spara un colpo di pistola
all’ex amante, nella chiesa della cittadina, durante una funzione
religiosa;
– Riconosciuto colpevole, viene condannato a morte e
ghigliottinato a Grenoble il 23 febbraio 1828.
Stendhal: La genesi del Rosso e il nero
In questo periodo, Stendhal sta vivendo una tormentata storia
d’amore con la cugina di Delacroix, Alberthe de Rubempré.
– In dicembre, rientrato a Parigi, scopre che la donna lo ha
tradito con un suo amico (il barone de Mareste)
– Inizia a scrivere un romanzo, Julien (titolo provvisorio)
– Il libro viene scritto di getto in pochissimo tempo, e nei
primi mesi del 1830 è pronto per la pubblicazione
– Esce nel novembre 1830 con il titolo: Il rosso e il nero.
Cronaca del XIX secolo
Stendhal: La genesi del Rosso e il nero
Stendhal, Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli
“Una cosa farà stupire il lettore. Questo non è un romanzo.
Tutto ciò che vi si racconta è realmente accaduto nel 1826 nei
dintorni di Rennes. In quella città l’eroe è stato giustiziato per
aver tirato due colpi di pistola contro la sua prima amante, dei
cui figli era stato precettore, e che, con una sua lettera, gli
aveva impedito di sposare la sua seconda amante, una ragazza
molto ricca. S[tendhal] non ha inventato nulla”.
Erich Auerbach, Mimesis.
Il realismo nella letteratura occidentale (1946)
“Stendhal nei suoi scritti realistici descriveva soprattutto la realtà
che gli si faceva incontro: ‘Je prends au hasard ce qui se trouve sur
ma route’, dice egli [nei Ricordi d’Egotismo]. Questo metodo, già
noto a Montaigne, è il migliore per sottrarsi all’arbitrio delle
proprie costruzioni e per abbandonarsi alla realtà quale ci è posta
dinanzi. Ma la realtà in cui egli s’imbatteva era tale da non potersi
rappresentare senza un continuo riferimento ai mutamenti violenti
dell’immediato passato e senza tentar presagi sugli imminenti
mutamenti del futuro; tutte le figure e tutte le azioni umane
appaiono nella sua opera su un mutevole sfondo storico, politico e
sociale. […] Stendhal è il fondatore di quel moderno realismo serio
che non può rappresentare l’uomo se non incluso entro una realtà
politica e sociale ed economica continuamente evolventesi, come
accade oggi in qualunque romanzo o film” (230-31).
Stendhal: La ricerca della “verità”
Ricordi di Egotismo: “Ora, prima di tutto, voglio essere vero”
(49). “[…] mi viene la tentazione di esagerare alcuni tratti contro
questi pidocchi della specie umana. Ma resisto, significherebbe
essere infedele alla verità” (108).
Vita di Henry Brulard: “Ritengo di poter garantire solo per i
seguenti meriti: 1° dipingere in modo somigliante la natura, che
mi appare nitidissima in ceri momenti; 2° sono sicuro della mia
perfetta buona fede, della mia adorazione per il vero; 3° del
piacere che provo a scrivere, piacere che rasentava la follia nel
1817” (278).
Diario: “[La verità] è per me come un dipinto ricoperto d’una
mano di calce: ogni tanto una particella di calce cade e io mi
avvicino all’agognata verità” (497)
Stendhal: La ricerca della “verità”
Lettera a Balzac (16 ott. 1840), che aveva scritto una recensione
elogiativa della Certosa di Parma:
“La base della mia malattia è questa: mi sembra lo stile di J.J.
Rousseau o di Mme Sand dica un mucchio di cose che non
bisogna dire, e spesso molte falsità. Ecco: ho detto la grande
parola.
Spesso rifletto un quarto per collocare un aggettivo prima o dopo
il suo sostantivo. Cerco di raccontare: 1° con verità; 2° con
chiarezza ciò che succede nel mio cuore”.
Cfr. anche l’epigrafe del Rosso e il nero: “La verità, l’aspra
verità”.
Stendhal: “Il romanzo è uno specchio”
Shakespeare, Hamlet (III, 2): “suit the action to the word, the
word to the action; with this special o'erstep not the modesty of
nature: for any thing so overdone is from the purpose of playing,
whose end, both at the first and now, was and is, to hold, as
'twere, the mirror up to nature; to show virtue her own feature,
scorn her own image, and the very age and body of the time his
form and pressure”.
“Accorda l'azione alla parola, la parola all'azione, con questa
particolare avvertenza, di non andare mai oltre la moderazione
della natura. Perché ogni eccesso in questo è lontano dallo scopo
del teatro, il cui fine, agli inizi come ora, è stato sempre ed è di
porgere, diciamo, uno specchio alla natura; di mostrare alla virtù
il suo volto, al vizio la sua immagine, e all’epoca stessa, alla
sostanza del tempo, la loro forma e impronta”.
Stendhal: “Il romanzo è uno specchio”
Racine et Shakespeare: Esprime la sua ammirazione per
Goldoni, dicendo che è stato uno “specchio della natura”.
Premessa ad Armance: Parla di due autori di una commedia
(Picard e Mazères, Trois Quartiers) rappresentata a Parigi nel
1827: “Hanno presentato al pubblico uno specchio. È colpa loro
se davanti allo specchio sono passate facce brutte? Di che partito
è uno specchio?”
Promenades dans Rome: Parla di Bandello e lo elogia per avere
scritto delle novelle in cui sono rappresentati “come in uno
specchio i costumi del XV secolo”.
Histoire de la peinture en Italie: Sottolinea che il pittore non
deve “esagerare gli effetti della natura”, e il suo stile deve essere
“soltanto uno specchio limpido”.
Stendhal: “Il romanzo è uno specchio”
Lettera a Lamartine:
“Benché io stimi molto i pittori che mirano al bello ideale, come
Raffaello e il Correggio, sono tuttavia ben lungi dal disprezzare
quei pittori che vorrei definire pittori-specchi, quelli che [...]
riproducono esattamente la natura così come farebbe uno
specchio [...]. Riprodurre esattamente la natura, senza arte, come
uno specchio, è il merito di molti olandesi, e non è un merito da
poco; trovo che sia delizioso soprattutto nel paesaggio [...].
Questi pittori-specchi, in tutti i generi, sono infinitamente
preferibili alle persone comuni che vogliono seguire Raffaello”.
Stendhal: “Il romanzo è uno specchio”
Lettera a Salvagnoli: “Prima di venir a parlare del romanzo di
Stendhal, è necessario dire che la Francia gaia, divertente, un po’
libertina, ch’è stata dal 1715 al 1789 il modello dell’Europa, non
esiste più: niente le rassomiglia meno della Francia grave,
morale, tetra, che ci han lasciato in eredità i seguiti, le
congregazioni e il governo borbonico dal 1814 al 1830. Poiché è
estremamente difficile, in fatto di romanzi, dipingere dal vero e
non copiare dai libri, nessuno, prima di Stendhal, aveva osato
descrivere questi costumi così poco attraenti”.
“Nessuno aveva descritto con tanta cura i costumi adottati dai
francesi in conseguenza dei diversi governi che hanno gravato su
loro durante il primo terzo del diciannovesimo secolo. Un giorno
questo romanzo, come quelli di Walter scott, sarà specchio di
tempi antichi”.
Stendhal: Il conflitto con la realtà
Erich Auerbach, Mimesis: “La società che lo circondava divenne
per lui un problema, la consapevolezza d’esser diverso dagli
altri, fino allora sentita spensieratamente e con orgoglio, gli
s’imponeva ora come una necessità urgente con cui fare i conti, e
come la forma stessa della sua esistenza. Il realismo letterario di
Stendhal nacque dal suo disagio entro il mondo postnapoleonico,
dalla coscienza di non appartenervi e di non avervi un posto”
(227-28).
Stendhal: Il conflitto con la realtà
Vita di Henry Brulard : “Ero dunque un gran sornione incattivito,
fino a quando nella biblioteca [...] scoprii un Don Chisciotte in
traduzione francese, un volume illustrato. [...] Don Chisciotte mi
fece morire dal ridere. Si tenga presente che dopo la morte di mia
madre non avevo più riso. Ero vittima di un’educazione
aristocratica e religiosa severissima. [...] Si giudichi quale fu
l’effetto del Don Chisciotte in mezzo a tanta cupa tristezza!
La scoperta di quel libro, letto all’ombra del secondo tiglio del
viale, seduto dove l’aiuola scendeva di un piede sotto il livello del
prato, segna, forse, il periodo più bello della mia vita.
Chi lo crederebbe? Mio padre, vedendomi scoppiare a ridere,
veniva a sgridarmi, minacciava di sequestrarmi il libro, cosa che ha
fatto più di una volta [...].
Disturbato anche nella lettura del Don Chisciotte, mi nascondevo
tra i carpini, un gazebo naturale all’estremità orientale del giardino
chiuso (boschetto), recinto da mura [...].
Stendhal: Il conflitto con la realtà
Trovai un Molière corredato di stampe: le illustrazioni mi parvero
ridicole e compresi solo l’Avare [...]. Il nonno fu felicissimo del
mio entusiasmo per Don Chisciotte, che io gli raccontai [...]. Mi
prestò, ma all’insaputa di sua figlia Séraphie, l’Orlando furioso
[...]. L’Ariosto formò il mio carattere: mi innamorai alla follia di
Bradamante, che immaginavo come una florida ragazza di
ventiquattro anni, dalle grazie di una bianchezza abbagliante.
Mi facevano orrore tutti i particolari borghesi e vili di cui si è
servito Molière per far conoscere il suo pensiero. Quei particolari
mi ricordavano troppo la mia vita infelice. [...] Tutto quanto è vile e
mediocre nel tipo borghese mi ricorda Grenoble; tutto ciò che mi
ricorda Grenoble mi fa orrore; no, orrore è troppo nobile; mi dà la
nausea. [...] Tutto ciò che è vile e mediocre senza alcuna
compensazione, tutto ciò che è nemico del più piccolo slancio di
generosità, tutto ciò che gode della rovina di chi ama la patria o è
generoso: ecco cosa rappresenta per me Grenoble” (pp. 105-108).
Stendhal: Il conflitto con la realtà
“Forse è solo un caso che io non sia rimasto malvagio, ma
soltanto disgustato, per il resto della mia vita, dai gesuiti e dagli
ipocriti di ogni specie. [...] Tutti i particolari che costituiscono la
vita di Chrysale [il protagonista delle Femmes savantes] mi
fanno orrore. Se mi si concede un’immagine nauseante quanto
la mia sensazione, è come l’odore delle ostriche per un uomo
che abbia fatto una tremenda indigestione di ostriche.
Tutti i fatti che compongono la vita di Chrysale vengono
rimpiazzati, in me, dal romanzesco. Credo che questa macchia
sul mio telescopio sia stata utile ai personaggi dei miei romanzi;
c’è una sorta di bassezza borghese che non possono proprio
avere” (113-14).
Stendhal: Il conflitto con la realtà
“Distolgo lo sguardo e la memoria da tutto ciò che è vile; Mi
lascio coinvolgere, come a dieci anni, quando leggevo l’Ariosto,
da qualsiasi racconto d’amore, di foreste (i boschi e il loro vasto
silenzio), di generosità. [...] distolgo lo sguardo dal carattere di
Chrysale di Molière [...]. La conversazione del vero borghese
sugli uomini e la vita, nient’altro che una collezione di dettagli
squallidi, mi getta in uno spleen profondo quando, per motivi di
convenienza, sono costretto ad ascoltarla un po’ a lungo.
Ecco svelato il segreto della mia avversione per Grenoble
verso il 1816, che allora non riuscivo a spiegarmi. [...] Questo
difetto, l’avversione per Chrysale, forse mi ha mantenuto
giovane” (235-36).
Stendhal: Il conflitto con la realtà
Annotazione del 4 gen. 1821: “È necessario che
l’immaginazione apprenda i diritti di ferro della realtà”.
La figura dell’”eroe”
Cfr. Mario Praz, La crisi dell’eroe nel romanzo vittoriano
(1952)
Emile Zola, Gustave Flaubert (1875): “Fatalmente, il
romanziere uccide gli eroi, se accetta solo il corso ordinario
dell’esistenza comune. Per eroi, intendo i personaggi che
grandeggiano oltre misura, i fantocci trasformati in colossi.
[…] Al contrario, gli uomini rimpiccioliscono e rientrano nei
ranghi quando si ha l’unica preoccupazione di scrivere
un’opera vera, ponderata, che sia il processo verbale fedele di
un’avventura qualunque. […] La bellezza dell’opera non sta
più nell’ingigantimento di un personaggio […]; sta nella verità
indiscutibile del documento umano, nella realtà assoluta di
dipinti in cui tutti i dettagli occupano il loro posto, e soltanto
quello”.
La figura dell’”eroe”
Erich Auerbach, Mimesis: “Julien Sorel è assai più ‘eroe’ che i
personaggi di Balzac o magari di Flaubert” (235).
René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca (1962)
“Don Chisciotte ha rinunciato, in favore di Amadigi, alla
prerogativa fondamentale dell’individuo: non sceglie più gli
oggetti del suo desiderio, ma è Amadigi che deve scegliere per
lui. Il discepolo si precipita verso gli oggetti che gli indica, o che
sembra indicargli, il modello di ogni cavalleria. Chiameremo
questo modello il mediatore del desiderio. […] Nella maggior
parte delle opere di finzione, i personaggi desiderano in modo
più semplice di Don Chisciotte. Non c’è il mediatore, ma ci sono
solo il soggetto e l’oggetto […] il desiderio è sempre spontaneo.
Può sempre essere rappresentato da una semplice linea retta che
collega il soggetto e l’oggetto. / La linea retta è presente, nel
desiderio di Don Chisciotte, ma non è l’essenziale. Al di sopra di
questa linea, c’è il mediatore che si irraggia al tempo stesso
verso il soggetto e verso l’oggetto. La metafora spaziale che
esprime questa triplice relazione è evidentemente il triangolo”
Mediatore
(Amadigi)
Soggetto
(Don Chisciotte)
Oggetto
(Gloria cavalleresca)
Schema del desiderio triangolare
René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca (1962)
“Il desiderio secondo l’Altro si ritrova nei romanzi di Flaubert.
Emma Bovary desidera attraverso le eroine romantiche di cui è
piena la sua immaginazione. Le opere mediocri che ha divorato
durante la sua adolescenza hanno distrutto in lei qualunque
spontaneità”.
René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca (1962)
“Un terzo romanziere, Stendhal, insiste allo stesso modo sul
ruolo della suggestione e dell’imitazione nella personalità dei
suoi eroi. Mathilde de la Mole prende i suoi modelli dalla storia
della sua famiglia. Julien Sorel imita Napoleone. Il Memoriale di
Sant’Elena e i Bollettini della Grande Armata rimpiazzano i
romanzi cavallereschi e le stravaganze romantiche. […] La storia
qui non è che una forma di letteratura; suggerisce a tutti questi
personaggi stendhaliani dei sentimenti, e soprattutto dei desideri,
che essi non proverebbero spontaneamente. […] Stendhal
designa con il termine vanità tutte queste forme di ‘copia’, di
‘imitazione’. Il vanitoso non può tirare fuori i propri desideri da
se stesso; li prende in prestito da qualcun altro. Il vanitoso è
quindi fratello di Don Chisciotte e di Emma Bovary. E in
Stendhal ritroviamo il desiderio triangolare” (18-19).
Mediatore
(Napoleone)
(Antenati)
Soggetto
(Julien)
(Mathilde)
Oggetto
(Successo, Seduzione, Scalata sociale)
(Vita eroica e appassionata)
Vanità
Franco Moretti, Il romanzo di formazione (1987)
“Una vita esemplare […] è alla radice dell’immaginazione
ottocentesca. Il generale Bonaparte, il soldato della rivoluzione,
il liberatore che antepone il merito al censo e l’entusiasmo al
calcolo – l’imperatore Napoleone, l’unto del pontefice, il despota
che tratta gli uomini come strumenti e fa tacere la pubblica
opinione. Sarà ovvio, ma senza Napoleone anche la storia
letteraria sarebbe stata tutt’altra, perché non avremmo avuto
l’eroe romanzesco che domina un intero secolo: l’eroe
ambizioso, dinamico, ambiguo. Ambiguo, soprattutto: duplice,
diviso, contraddittorio, e proprio per questo sentito come
esemplare. Egli è il rappresentante naturale di un’epoca in cui
l’esistenza diviene davvero […] ‘problematica’” (84).
György Lukács, La polemica tra Balzac e Stendhal
“[Stendhal] condensa i tratti caratteristici delle singole epoche
nelle biografie dei personaggi di un dato tipo. (Nel Rosso e il
nero fa rivivere la restaurazione, nella Certosa di Parma
l’assolutismo dei piccoli stati italiani, in Lucien Leuwen la
monarchia di luglio). […] Nel destino di questi eroi deve
rispecchiarsi la meschinità, la turpe abiezione di tutta l’epoca: di
un’epoca, in cui per i grandi e puri discendenti degli eroici
periodi della borghesia, della rivoluzione e dell’era napoleonica,
non c’è più posto”.
Peter Brooks, Trame (1984)
“La parola ‘mostro’ […] evoca una serie di riferimenti ai vari
momenti in cui Julien si vede come il plebeo in rivolta,
l’usurpatore, l’ipocrita, il seduttore, […] colui che, mostro
com’è, viola e contesta l’ordine costituito, le classificazioni e le
regole esistenti” (72).
“Questa parola (‘mostro’) ricorre in non poche occasioni nel
testo. In particolare viene usata per stigmatizzare l’ingratitudine,
specie verso figure dotate di autorità paterna, oppure per indicare
trasgressioni di natura erotica, o usurpazioni, conflitti di classe
[…]. Il mostro è dunque il fuori posto, l’abnorme,
l’inclassificabile, il trasgressivo, il seduttivo, il desiderante”
(87).
Christopher Prendergast, The Order of Mimesis: Balzac,
Stendhal, Nerval, Flaubert (1986)
“I momenti decisivi del romanzo sono, precisamente, momenti
a-tipici. In effetti, […] si potrebbe dire che la massa di materiale
strettamente ‘mimetico’ in Le Rouge et le Noir (la
rappresentazione della realtà sociale contemporanea attraverso
una serie di tipi interconnessi: i borghesi di Verrières, gli
aristocratici del salotto de la Mole) esista soprattutto per
evidenziare, per contrasto, le azioni e le esperienze che
sovvertono i modelli di ‘realtà’ illustrati e incarnati da questi
diversi tipi sociali. Ovviamente, tali azioni sono sopratutto
trasgressioni dei codici morali, stimolate da impulsi e desideri
proibiti o non riconosciuti da questa società: il delitto di Julien,
l’adulterio di Louise, la passione di Mathilde. […]
Christopher Prendergast, The Order of Mimesis: Balzac,
Stendhal, Nerval, Flaubert (1986)
Julien non solo offende, ma anche sorprende la sua società, e le
due cose sono profondamente interconnesse. Di qui,
l’importanza nel testo del motivo dell’imprévu, il modo in cui
Julien […] ripetutamente elude e disturba il ‘sistema di
probabilità interiorizzato’ degli altri personaggi, ai quali appare
di conseguenza […] come singulier: strano, non collocabile,
infinitamente più complesso e misterioso del semplice stereotipo
dell’ambizioso parvenu” (124).
Il romanzo di formazione
Coordinate storico-letterarie, alcuni esempi:
• Germania (Bildungsroman): Christoph Martin Wieland,
Agathon (1766); Goethe, Gli anni di apprendistato di Wilhelm
Meister (1795-96)
• Francia: Stendhal, Il rosso e il nero (1830); Balzac, Illusioni
perdute (1837-43); Flaubert, L’educazione sentimentale (1869)
• Inghilterra: Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio (1813);
Charlotte Brontë, Jane Eyre (1847); Dickens, David Copperfield
(1849-50), Grandi speranze (1860); George Eliot, Il mulino sulla
Floss (1860)
• Italia: Ippolito Nievo, Le Confessioni d’un italiano (1867
postumo)
Il romanzo di formazione
1) Romanzo dell’”uomo in divenire”
Michail Bachtin, L’autore e l’eroe. Teoria letteraria e scienze
umane: “Accanto a questo tipo dominante ce n’è un altro […]
che dà l’immagine dell’uomo in divenire. In opposizione
all’unità statica qui si dà l’unità dinamica dell’immagine
dell’eroe. […] Il tempo s’immette nell’interno dell’uomo,
penetra nella sua immagine, mutando sostanzialmente il
significato di tutti i momenti del suo destino e della sua vita.
Questo tipo di romanzo può essere designato nel senso più
generale come romanzo del divenire dell’uomo” (208).
Il romanzo di formazione
1) Romanzo dell’”uomo in divenire”
Michail Bachtin, Estetica e romanzo: “A questo [cioè al romanzo
in cui compare un eroe già formato, che vive una serie di
avventure e deve superare una serie di prove] il nuovo romanzo
contrappone il divenire dell’uomo, da una parte, e una certa
duplicità, la non integrità dell’uomo vivo, la mescolanza di bene
e di male, di forza e di debolezza, dall’altra. La vita con i suoi
eventi non serve più da pietra di paragone e da mezzo di prova
dell’eroe bell’e pronto […]: adesso la vita coi suoi eventi,
illuminata dall’idea di formazione, si svela come esperienza del
protagonista, come scuola, come ambiente, che per la prima
volta modellano e formano il carattere del protagonista e la sua
concezione del mondo” (200).
Il romanzo di formazione
2) Tra “poesia del cuore” e “prosa della vita reale”
Hegel, Estetica (1836-38): “Una delle collisioni più comuni e
più adatte per il romanzo è il conflitto della poesia del cuore con
la prosa contrastante dei rapporti e l’accidentalità delle
circostanze esterne” (II,1223).
“Come individui con i loro fini soggettivi dell’amore,
dell’onore, dell’ambizione e con i loro ideali di un mondo
migliore, [gli eroi dei romanzi moderni] stanno di contro a
quest’ordine sussistente ed alla prosa della realtà che pone loro
difficoltà da ogni parte […]”.
Il romanzo di formazione
2) Tra “poesia del cuore” e “prosa della vita reale”
“Questi nuovi cavalieri [li definisce così perché li considera
incarnazioni moderne degli eroi cavallereschi, in un contesto
storico completamente cambiato] sono in particolare dei giovani
che devono scontrarsi con il corso del mondo, il quale si realizza al
posto dei loro ideali, e che ritengono una disgrazia che vi siano
famiglia, società civile, Stato, leggi, professioni ecc., perché queste
sostanziali relazioni della vita si oppongono crudelmente con le
loro barriere agli ideali e al diritto infinito del cuore. Si tratta
dunque di aprire una breccia in quest’ordine delle cose, di mutare il
mondo, oopure di tagliarsi a suo dispetto per lo meno una fetta di
cielo sulla terra […]. Ma queste lotte nel mondo moderno non sono
altro che l’apprendistato, l’educazione dell’individuo alla realtà
esistente, ed acquistano così il loro vero senso” (I,663-54).
Il romanzo di formazione
3) Il problema della “socializzazione”
Hegel, Estetica: “Infatti la fine di tale apprendistato consiste nel
fatto che il soggetto mette giudizio, tende a fondersi, insieme con
i suoi desideri e opinioni, con i rapporti sussistenti e la loro
razionalità, si inserisce nella concatenazione del mondo e vi
acquista un posto adeguato. Per quanto uno possa essere venuto
a lite con il mondo ed esserne stato respinto, alla fine per lo più
trova la fanciulla adatta e un posto qualsiasi, si sposa e diviene
un filisteo come gli altri: la donna si occupa del governo della
casa, i figli non mancano, la moglie adorata che prima era
l’unica, un angelo, si comporta più o meno come tutte le altre,
l’impiego dà fatica e noia, il matrimonio le croci domestiche, e
insomma subentra, come d’uso, l’amaro risveglio” (I,664).
Il romanzo di formazione
3) Il problema della “socializzazione”
F. Jameson, L’inconscio politico (1981): “Il singolo testo
narrativo, o la singola struttura formale, deve essere compresa
come risoluzione immaginaria di una contraddizione reale” (84).
Il romanzo di formazione
3) Il problema della “socializzazione”
Franco Moretti, Il romanzo di formazione: “Con esso [il
Bildungsroman] cerchiamo di indicare una delle più armoniose
soluzioni mai offerte a un dilemma connaturato alla civiltà
borghese moderna: il conflitto tra l’ideale dell’’autodeterminazione’ e le esigenze, altrettanto imperiose, della
‘socializzazione’. Da due secoli a questa parte, infatti, le società
occidentali hanno riconosciuto al singolo il diritto a sceglier da
sé la sua etica e la sua idea di ‘felicità’; a immaginare e
progettare in libertà il proprio destino. Diritti enunciati nei
proclami e incisi nelle costituzioni: ma non per questo
universalmente realizzabili. Perché si danno, come è ovvio,
aspirazioni in contrasto fra loro […]”
Il romanzo di formazione
3) Il problema della “socializzazione”
“Come dunque far coabitare la tensione verso l’individualità,
che è il necessario frutto di una cultura dell’autodeterminazione,
con la tensione, opposta, alla normalità, che è il portato
altrettanto inevitabile del meccanismo della socializzazione?”
(17-18).
Il romanzo di formazione
3) Il problema della “socializzazione”
“[Nel Bildungsroman] non c’è conflitto tra individualità e
socializzazione, autonomia e normalità, interiorità e
oggettivazione. La formazione dell’individuo come individuo in
sé e per sé coincide senza crepe con la sua integrazione sociale
in qualità di semplice parte di un tutto” (18).
“Autosviluppo e integrazione sono percorsi complementari e
convergenti, al cui punto d’incontro e di equilibrio si colloca
quella piena e duplice epifania del senso che è la “maturità”.
Raggiunta la quale, il racconto ha realizzato il suo scopo e può
senz’altro finire” (21).
Romanzi “per cameriere” e “da salotto”
Stendhal, Lettera al conte Salvagnoli: “Tutte le donne in Francia
leggono dei romanzi, ma non tutte hanno lo stesso grado di
educazione; di qui la distinzione fra i romanzi per cameriere
(domando scusa della crudezza di questo termine, inventato,
credo, dai librai) e i romanzi da salotto”.
Romanzi “per cameriere” e “da salotto”
Stendhal, Lettera al conte Salvagnoli: “I romanzi per cameriere
hanno generalmente il formato in dodicesimo e sono pubblicati
da Pigoreau. È questi un libraio di Parigi, che, prima della crisi
economica del 1831, aveva guadagnato un mezzo milione
facendo piangere i begli occhi delle provinciali. Perché […] i
romanzi in dodicesimo di Pigoreau, nei quali l’eroe è sempre un
uomo perfetto e di una rara bellezza, e ha corpo ben fatto e occhi
sporgenti, sono molto più letti in provincia dei romanzi in ottavo,
publicati da Levavasseur o da Gosselin, a cui gli autori han
cercato di dare dignità letteraria. […] A Parigi, a Rouen e in
qualche città del nord della Francia, che è più progredito del
mezzogiorno, il romanzo per cameriere non varca le soglie dei
salotti. Quell’eroe sempre perfetto, quelle donne infelici,
innocenti e perseguitate, rappresentano per i parigini quanto si
può immaginare di più insipido”.
Romanzi “per cameriere” e “da salotto”
Stendhal, Lettera al conte Salvagnoli: “Nei romanzi per
cameriere, poco importa che gli avvenimenti siano assurdi,
troppo ben calcolati per far emergere l’eroe, in una parola
romanzeschi, come si dice con intenzione di scherno. Le piccole
borghesi di provincia non domandano all’autore che delle scene
straordinarie, che le facciano piangere a calde lacrime […]. Le
signore di Parigi invece […] sono maledettamente severe per gli
avvenimenti straordinari. Appena un avvenimento ha l’aria
d’essere troppo ben calcolato per far brillare l’eroe, buttano via il
libro e ne giudicano ridicolo l’autore. / È dunque difficile, per
via di queste esigenze opposte, fare un romanzo che sia letto
ugualmente nelle stanze delle borghesi di provincia e nei salotti
di Parigi”
Novel e romance
• Termine ing. novel (e sp. novela)
– Deriva dall’italiano novella
– Viene usato per designare i romanzi scritti a partire dal
Settecento, caratterizzati da un bisogno di verosimiglianza
e di realismo
• Il vecchio termine romance viene riservato ai testi narrativi
scritti in precedenza, caratterizzati da inverosimiglianza e da
atmosfera idealizzata, avventurosa, fiabesca, meravigliosa
ecc.
In base a questa distinzione
• I romanzi greci, i romanzi cortesi, cavallereschi, pastorali
ecc. = romance;
• I romanzi “moderni” di Richardson, Balzac, Manzoni,
Tolstoj ecc. = novel
Novel e romance
William Congreve, prefazione a Incognita (1691): “I romances
sono costituiti in genere dall’amore costante e dal coraggio
invincibile di eroi, eroine, re e regine, mortali d’alto rango e simili.
Ivi il linguaggio sublime, gli eventi miracolosi e le imprese
impossibili sorprendono ed elevano il lettore a una vertigine di
delizia che lo lascia a terra quando interrompe la lettura e lo irrita al
pensiero di essersi fatto divertire e trasportare, coinvolgere e
angosciare dalle peripezie che ha letto, ossia successi di cavalieri,
sventure di damigelle e simili, quando non può non essere convinto
che si tratta di menzogne. I romanzi [novels] sono di natura più
familiare: ci vengono vicini e rappresentano intrighi in atto, ci
dilettano con casi ed eventi singolari ma non del tutto inconsueti o
senza precedenti che, non allontanandosi troppo dalla credibilità, ci
rendono più accessibile il piacere. I romances suscitano maggior
meraviglia, i romanzi maggior diletto”.
Novel e romance
Clara Reeve, Lo sviluppo del romance attraverso le epoche, i
paesi e i costumi (1785):
“Euprhasia La parola Novel [...] significa qualcosa di nuovo.
All’inizio fu usata per distinguere queste opere dal Romance,
benché in seguito siano stati confusi insieme e spesso scambiati
l’uno con l’altro.
Sophronia Ma come tracci la linea di distinzione, in modo da
separarli efficacemente, e da scongiurare ulteriori sbagli?
Novel e romance
Clara Reeve, Lo sviluppo del romance attraverso le epoche, i
paesi e i costumi (1785):
Euprhasia Tenterò di fare questa distinzione [...]. Il Romance
è una favola eroica, che tratta di persone e cose favolose. – Il
Novel è una rappresentazione della vita e dei costumi reali, al
tempo in cui è stato scritto. Il Romance descrive, con un
linguaggio alto e raffinato, ciò che non mai accaduto né è
probabile che accada. – Il Novel fornisce una relazione familiare
di quelle cose che passano tutti giorni davanti ai nostri occhi, che
potrebbero accadere ai nostri figli, o a noi stessi; e la sua
perfezione consiste nel rappresentare ogni scena in modo così
semplice e naturale, facendola apparire così probabile, da darci
l’illusione (almeno finché leggiamo) che tutto sia reale, fino a
provare le gioie o le sofferenze delle persone nella storia, come
se fossero le nostre”
Il romanzo sotto accusa
Pierre Nicole, Lettere sull’eresia immaginaria (1664-65):
“Non solo [...] i Romanzi rendono lo spirito mal disposto a tutte le
opere di religione e di pietà, ma lo disgustano in qualche modo da tutte
le azioni serie e ordinarie. Dato che non vi si rappresentano che
galanterie e avventure eccezionali, e dato che i discorsi che vi si fanno
sono lontanissimi da quelli che sono abituali nelle faccende serie, ecco
che leggendoli si assume insensibilmente una disposizione d’animo
tutta romanzesca; ci si riempie la testa di eroi e di eroine; e le donne
soprattutto, leggendo le adorazioni che vi si rendono a quelle del loro
sesso [...], s’imprimono così a fondo nella fantasia quel genere di vita,
che le piccole incombenze del loro ménage diventano loro
insopportabili; e quando tornano a casa loro, con la testa svaporata e
imbottita di queste follie, trovano che in casa tutto è sgradevole, e più di
tutto i loro mariti, che essendo occupati negli affari non sempre sono in
umore di omaggiare con quelle compiacenze ridicole che si offrono alle
donne [...] nei Romanzi e nella vita romanzesca”.
Il romanzo sotto accusa
Denis Diderot, Elogio di Richardson di Diderot (1762):
“Per romanzo [roman] si intendeva fino a oggi un tessuto di
avvenimenti chimerici e frivoli, la cui lettura era pericolosa per
il gusto e per i costumi. Vorrei proprio che si trovasse un altro
nome per le opere di Richardson, che elevano lo spirito, che
toccano l’anima, che traspirano da ogni parte l’amore del bene,
e che pure vengono chiamati romanzi [romans]”.
Alessandro Manzoni, Fermo e Lucia (1823):
Definisce il romanzo “il genere proscritto della letteratura
italiana moderna”.
Il romanzo sotto accusa
Gotthard Heidegger, Mitoscopia romantica: ovvero Discorso sul
cosiddetto romanzo (1698): Sostiene che i romanzi devono essere
considerati “come un vacuo fiume d’inchiostro su carta straccia. [...] Con
artificiose rivoluzioni, invenzioni di ogni genere, con espressioni
impetuose e macchinazioni divertenti i romanzi turbano l’animo del
lettore, suscitano in lui ogni sorta di bramosia, di inquietudine, di lascivia
e concupiscenza, gli impegnano totalmente il cervello, gli fanno fare un
bagno turco di passioni, ne minano la salute, ne fanno un malinconico e
un pusillanime; l’appetito se ne va, il sonno diminuisce [...]. Finora i
romanzi sono stati avversati perché si riteneva che non fossero altro che
paccottiglia pagana, fatta per sciupare tempo prezioso. D’ora in poi
bisogna considerarli anche come menzogne, come favole. Poiché [...] è
senza dubbio molto importante aver ben presente che chi legge romanzi
legge delle menzogne. [...] Non ci sono forse state proibite le menzogne,
non solo quelle che potremmo dire noi, ma anche quelle che amavamo?
Non ci hanno forse messo in guardia dalle favole, e precisamente da
quelle storie per vecchierelle, storie sciocche e interminabili, che si
chiamano appunto romanzi?”
“Questo non è un romanzo”
Marivaux, La vie de Marianne (1731-41): [Narrato in prima
persona dalla protagonista, che nelle prime pagine dice]
“A quindici anni non sapevo ancora se il sangue da cui
provenivo era nobile o meno, se ero bastarda o legittima. Questo
inizio sembrerebbe annunciare un romanzo: e tuttavia non è un
romanzo che io racconto; io dico la verità per come l’ho appresa
da coloro che mi hanno cresciuta”.
Defoe, Moll Flanders (1722), prefazione: “Oggi il mondo è così
invaso da romanzi e da racconti d’avventure che è difficile per
una storia di cronaca esser presa per vera”
Balzac, Papà Goriot (1834): “Dopo aver letto le segrete sventure
di Papà Goriot, cenerete con appetito attribuendo all’autore la
vostra ipersensibilità, tacciandolo di esagerazione, accusandolo
di fare poesia. Ah! sappiatelo; questo dramma non è una
finzione, né un romanzo. All is true, è così vero che ciascuno
può riconoscerne gli elemeni intorno a sé, forse nel proprio
cuore”.
“Questo non è un romanzo”
La Vie de Marianne, preceduta da un’“avvertenza” di colui che
ha trovato e pubblicato il quaderno con le memorie di Marianne:
“Visto che si potrebbe sospettare che questa storia sia stata
fatta apposta per divertire il pubblico, credo di dover avvertire
che lo ho avuta da un amico che l’ha realmente trovata, [...] e
che non vi ho avuto altra parte che di averne ritoccato alcuni
passi troppo confusi e troppo trascurati. In realtà, se fosse una
storia semplicemente inventata, con tutta evidenza non avrebbe
avuto la forma che invece ha. [...] Insomma, ecco la sua opera
per come è, solo con qualche correzione di singole parole”.
Novel e romance
Novel e romance intesi
• Non solo come generi letterari storicamente
determinati (es. romanzo cavalleresco, romanzo
borghese)
• Ma anche come modi di narrazione e di
rappresentazione, che possono manifestarsi in epoche e
in generi diversi
• Novel  Modo mimetico-realistico
• Romance  Modo romanzesco
Northrop Frye, Anatomia della critica (1957)
Distingue tre tipi di rappresentazione letteraria:
1) Mito: tratta di entità ed eventi soprannaturali, lontani
dall’esperienza umana
2) Romance:
“Il mito si trova dunque a una estremità del disegno letterario
e il realismo dall’altra; nel mezzo c’è l’intera area del
romance, termine con il quale vogliamo indicare non il
genere storico [...], ma la tendenza [...] a trasporre il mito in
una direzione umana, e tuttavia, in contrasto con il
“realismo”, a creare dei moduli convenzionali secondo i quali
la narrazione tende verso una direzione idealizzata”
3) Realismo o modo mimetico: rappresentazione verosimile
dell’esperienza quotidiana
Northrop Frye, Anatomia della critica (1957)
Distingue tre tipi di rappresentazione letteraria:
1) Mito: Tratta di dèi e demoni
2) Romance: Tratta di eroi
3) Modo mimetico: Tratta di uomini
Northrop Frye, Anatomia della critica (1957)
“Il romance è tra tutte le forme letterarie quella che più si
avvicina alla rappresentazione del sogno o soddisfazione dei
desideri umani”
Tradotto in termini onirici, [...] è la ricerca di una soddisfazione
della libido o io desiderante che liberi l’io stesso dalle ansie
della realtà, pur continuando a contenere tutta questa realtà”
“L’elemento di perenne fanciullezza tipico del romance è
sottolineato dalla sua straordinariamente persistente nostalgia,
della sua ricerca di un’immaginaria età dell’oro attraverso il
tempo e lo spazio”
“Il modo del romance presenta un mondo idealizzato: nel
romance gli eroi sono coraggiosi, le eroine bellissime, i malvagi
cattivissimi, e si tiene ben poco conto delle frustrazioni, delle
ambiguità, e delle difficoltà della vita comune”
Northrop Frye, Anatomia della critica (1957)
Figure, trame e imagery del romance:
• Personaggi: cavaliere, vecchio saggio, bambino innocente,
donna angelica ecc.
• Animali tipici: pecora, cavallo, cane ecc.
• Immagine del giardino segreto e incantato (archetipo
dell’Eden)
• Immagini acquatiche: fiumi, fontane, ruscelli, laghi ecc.
• Luoghi tipici: torre, castello, foresta, isola ecc.
• Schemi narrativi ricorrenti: avventura, viaggio, ricerca ecc.
Stendhal, De l’amour (1822)
Distinzione tra quattro tipologie di amore:
1) L’amore-passione è l’amore disinteressato, spontaneo, di
colui che si abbandona ai propri impulsi, senza fare calcoli o
pianificare strategie di seduzione o di corteggiamento.
Stendhal, De l’amour (1822)
Distinzione tra quattro tipologie di amore:
2) L’amore-gusto è una forma di galanteria, un amore
regolato dal codice delle buone maniere.
De l’amour: “È un quadro questo dove tutto, persino le
ombre,deve essere tinteggiato di rosa, in cui non deve
comparire nulla di spiacevole per nessuna ragione, sotto pena
di mancare di pratica del mondo, di buone maniere, di finezza
ecc. Un uomo di rango sa in anticipo tutti i procedimenti che
deve usare e incontrare nelle diverse fasi di questo amore; e
poiché niente è qui passione e imprevisto, questo sentimento
ha spesso più delicatezza dell'amore vero perché è sempre
provvisto di molta intelligenza; [...] e mentre l'amorepassione
ci trasporta al di là di ogni nostro interesse, l'amore-gusto sa
sempre conformarvisi”.
Stendhal, De l’amour (1822)
Distinzione tra quattro tipologie di amore:
3) L’amore fisico, che è l’amore dei sensi, finalizzato a
soddisfare i bisogni del corpo.
De l’amour: “A caccia, si trova una bella contadina fresca che
fugge nel bosco. Tutti conoscono l'amore fondato su questo
tipo di piaceri. Per quanto arido e misero ne sia il carattere, si
incomincia così a sedici anni”.
Stendhal, De l’amour (1822)
Distinzione tra quattro tipologie di amore:
4) L’amore di vanità (o di testa, o cerebrale), è un
sentimento artificioso, convenzionale, che si basa sul calcolo
e su una pianificazione consapevole dei propri
comportamenti amorosi, in un rapporto in cui il partner è
considerato quasi come un avversario.
De l’amour: “L'immensa maggioranza degli uomini,
soprattutto in Francia, desidera una moglie alla moda, come
si possiede un bel cavallo, in quanto cosa necessaria al lusso
di un giovanotto. La vanità, più o meno lusingata, più o meno
eccitata, fa nascere degli slanci. Qualche volta è
accompagnata dall'amore fisico ma non sempre; spesso non
c'è neppure il piacere fisico. [...]
Stendhal, De l’amour (1822)
“Il caso più fortunato di questa piatta relazione è quello in cui
il piacere fisico è accresciuto dall'abitudine. I ricordi fanno
allora assomigliare questa relazione all'amore; c'è il puntiglio
dell'amor proprio e la tristezza quando si è lasciati ; e, presi
alla gola da idee da romanzo, ci si crede innamorati e
malinconici, poiché la vanità aspira a reputarsi grande
passione. [...] In questa passione, al contrario della maggior
parte delle altre, il ricordo di ciò che si è perduto sembra
sempre al di sopra di ciò che ci si può attendere
dall'avvenire”.
Madame de Rênal
Lettera a Salvagnoli: “Madame de Rênal è una donna
adorabile, come ce ne sono molte in provincia. […] è una di
quelle donne che non sanno di esser belle, che non si curano
di saperlo, che considerano il marito come il primo uomo del
mondo, […] dolci, modeste, caste, che vivono ritirate,
occupandosi unicamente della casa e della famiglia. […]
Donne deliziose, senza gioia, senza tristezza, senza gloria,
che spesso muoiono senza aver conosciuto l’amore”.
Madame de Rênal
De l’amour: “Il piacere fisico, essendo nella natura, è
conosciuto da tutti, ma non occupa che un posto subordinato
agli occhi delle anime tenere e appassionate. Così, se è vero
che esse hanno dei lati ridicoli in società, e se spesso la gente
di mondo, coi suoi intrighi, le rende infelici, in compenso
esse conoscono gioie per sempre inaccessibili ai cuori che
palpitano solo per la vanità o per il denaro. Alcune donne
virtuose e tenere non hanno quasi idea dei piaceri fisici; esse
vi si sono raramente esposte, se si può parlare così, e anche in
quel caso gli slanci dell'amore-passione hanno quasi fatto
loro dimenticare i piaceri del corpo”.
Mathilde de la Mole
Lettera a Salvagnoli: “Nel salotto brilla la signorina de La Mole,
parigina di diciannove anni, figlia del marchese. È destinata al
giovane marchese di Croisenois, […] che ha sessantamila franchi
di rendita e sarà un giorno duca. […] Ma la signorina de La Mole
lo trova insipido. [A questo punto capita Julien] E, nella sua
immensa vanità, ella s’impunta a voler turbare il cuore di Julien.
Ma egli a sua volta, guidato dall’orgoglio, tanto sa fare che la
signorina de La Mole si mette davvero in puntiglio. […] Infine, la
signorina de La Mole, che avrà un milione di dote […]
l’orgogliosa signorina de La Mole amerà il segretario, il
domestico di suo padre! E perché? Perché Julien, a forza
d’orgoglio, s’è comportato, per puro caso, proprio nel modo che
occorreva per esasperare la vanità della signorina de La Mole.
Due o tre volte, seriamente e non per scherzo, è stato sul punto di
piantarla. Ecco il segreto per farsi amare dalle parigine del giorno
d’oggi”
“Il mio romanzo è finito”
Le Rouge et le Noir, parte II, cap. XXXIV: “Le soir, lorsqu'elle apprit
à Julien qu'il était lieutenant de hussards, sa joie fut sans bornes. On
peut se la figurer par l'ambition de toute sa vie, et par la passion qu'il
avait maintenant pour son fils. Le changement de nom le frappait
d'étonnement. ‘Après tout, pensait-il, mon roman est fini, et à moi
seul tout le mérite. J'ai su me faire aimer de ce monstre d'orgueil,
ajoutait-il en regardant Mathilde; son père ne peut vivre sans elle, et
elle sans moi’.”
Cfr. Walter Scott, Waverley (1814), cap. LX: “These reveries he was
permitted to enjoy, undisturbed by queries or interruption;--and it was
in many a winter walk by the shores of Ullswater, that he acquired a
more complete mastery of a spirit tamed by adversity than his former
experience had given him; and that he felt himself entitled to say
firmly, though perhaps with a sigh, that the romance of his life was
ended, and that its real history had now commenced. He was soon
called upon to justify his pretensions by reason and philosophy”.
“Il mio romanzo è finito”
Tzvetan Todorov, La grammatica del racconto (in Poetica della
prosa, 1971):
“L’intreccio minimale completo consiste nel passaggio da un
equilibrio a un altro. Un racconto ideale inizia con una
situazione stabile, che una forza qualunque viene a turbare. Ne
risulta uno stato di squilibrio; mediante l’azione di una forza
diretta in senso opposto, l’equilibrio viene ristabilito; il secondo
equilibrio è simile al primo, ma i due non sono mai identici” (56)
“Il mio romanzo è finito”
Manzoni, I promessi sposi (cap. XXXIII):
[Mentre sta seguendo in parallelo le vicende di vari personaggi,
spostandosi dall’uno all’altro,] Il narratore ammette che la storia
di Renzo, “non sarebbe mai stata intralciata con [quella di don
Rodrigo], se lui non l’avesse voluto per forza; anzi si può dire di
certo che non avrebbero avuto storia né l’uno né l’altro”.
“Il mio romanzo è finito”
Peter Brooks, Trame: “La trama del racconto è una deviazione o
una trasgressione rispetto alla norma, uno stato di errore e di
irregolarità, il solo stato “raccontabile”” (p. 92)
“La trama si pone come una sorta di divergenza o devianza [...].
Perché la trama inizia (o deve dare l’illusione di iniziare) al
momento in cui la storia, [...] ubbidendo a qualche stimolo, passa
da uno stato di quiescenza a uno stato di “narrabilità”, a una
condizione di tensione, di inquietudine, che esige appunto di essere
raccontata. [...] La narrazione che segue viene mantenuta in uno
stato di tensione, come una prolungata deviazione rispetto alla
quiete della “normalità”, del non-raccontabile, finché giunge alla
quiescenza terminale della conclusione” (p. 113).
“La devianza è condizione necessaria perché la vita sia
raccontabile, e la normalità manca di qualsiasi interesse, di
qualsiasi energia” (148)
“Il mio romanzo è finito”
Franco Moretti, Il romanzo di formazione:
“[In Stendhal] La gioventù non è un tragitto teleologico che si
concluda con una superiore maturità; il senso immanente al
mondo così com’è non può essere condiviso dal protagonista né
renderlo felice; la tensione verso l’autonomia si contrappone ai
dettami della socializzazione. Se un finale convincente deve
trasmetterci una sensazione di quiete, equilibrio, integrazione
sistematica dei vari elementi di un’opera, qui essi sono ormai
così conflittuali, sdoppiati ed eterogenei da renderlo
inconcepibile. Eppure anche questi romanzi, come tutti, a un
certo punto devono finire. E allora, se non possono concludersi
all’insegna della connessione e dell’armonia – finiscano
decisamente al modo opposto. Finiscano male” (131)
Un enigma narrativo
Nota di Lucien Leuwen in cui Stendhal definisce il romanziere
“il cane del suo eroe”: “il miglior cane da caccia può solo far
passare la selvaggina a tiro del fucile del cacciatore. Se lui non
spara, il cane non può farci nulla”.
Un enigma narrativo
Brooks, Trame:
“Il colpo di pistola che Julien spara contro Madame de Rênal
[…] appare gratuito, arbitrario, per nulla motivato. Ormai
fidanzato a Mathilde de la Mole […], adorato dalla ragazza che a
sua volta è adorata dal padre, questo abile tessitore d’intrighi
[…] non dovrebbe avere alcuna difficoltà a trovare il modo di
riparare il danno arrecato alla sua reputazione dalla lettera
accusatoria di madame de Rênal. […] il modo in cui Stendhal
distrugge il suo stesso romanzo, e poi gli ‘taglia la testa’, appare
un vero e proprio scandalo” (71).
Un enigma narrativo
Gérard Genette, Verosimiglianza e motivazione: [Al tentato
omicidio] “Stendhal ha voluto deliberatemente [...] attribuire,
con il suo rifiuto di qualunque spiegazione, quell’individualità
selvaggia che costituisce l’imprevedibilità delle grandi azioni – e
delle grandi opere. L’accento di verità, a mille miglia da ogni
genere di realismo, non si separa qui dal sentimento violento di
un’arbitrarietà pienamente assunta, e che trascura di
giustificarsi” (77).
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