R. Jakobson, La poesia contemporanea russa (1921) “La letterarietà [è] ciò che di una data opera fa un’opera letteraria. Finora gli storici della letteratura hanno soprattutto scimmiottato la polizia che, quando deve arrestare una determinata persona, agguanta per ogni eventualità chiunque e qualsiasi cosa si trovi nell’appartamento e anche chi per caso si trovi a passare nella strada accanto. Così anche per gli storici della letteratura tutto faceva brodo: costume, psicologia, politica, filosofia. Invece della scienza della letteratura si ebbe un conglomerato di discipline rudimentali. Pareva che si dimenticasse che queste categorie rientrano, ognuna, nella scienza corrispondente, storia della filosofia, storia della cultura, psicologia ecc., e che queste ultime possono naturalmente utilizzare anche i monumenti letterari come documenti difettosi, di seconda scelta”. Vladimir Nabokov: Introd. a Lezioni di letteratura: “Quando si legge, bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non c’è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del libro. Se si parte invece da una generalizzazione preconfezionata, si comincia dalla parte sbagliata e ci si allontana dal libro prima ancora di avere cominciato a capirlo. Non c’è niente di più noioso e di ingiusto verso l’autore che mettersi a leggere, per esempio, Madame Bovary, con l’idea preconcetta che sia una denuncia della borghesia. Non dimentichiamo che l’opera d’arte è sempre la creazione di un mondo nuovo; per prima cosa, dovremmo quindi studiare questo mondo nuovo il più meticolosamente possibile, come se fosse qualcosa che avviciniamo per la prima volta e che non ha alcun rapporto immediato con i mondi che già conosciamo. Una volta studiato attentamente questo mondo nuovo, allora soltanto possiamo analizzarne i legami con altri mondi, con altri settori della conoscenza”. Mario Lavagetto, Eutanasia della critica (2005) “Molti anni fa, studente dell’ultimo anno di liceo, andai con alcuni compagni di classe a sentire una lezione di Ungaretti su Leopardi all’Università di Roma. Eravamo pieni di febbrili aspettative e uscimmo sconcertati e delusi: il vecchio poeta aveva debuttato leggendo (meravigliosamente) Alla luna. Arrivato alla fine della sua lettura era rimasto in silenzio, con istrionica impassibilità, per qualche minuto, poi aveva borbottato: ‘È meraviglioso… non c’è niente, proprio niente da dire’ e aveva letto e riletto ripetute volte il testo fino a quando il tempo della lezione fu completamente esaurito”. Stendhal, Il rosso e il nero (1830) Nota alla fine del romanzo: “Per evitare ogni riferimento alla vita privata l’autore ha inventato una cittadina, Verrières, e quando ha avuto bisogno di un vescovo, di una giuria, di una corte d’Assise li ha ambientati sullo sfondo di Besançon, dove non è mai stato” Stendhal, Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli : “Verrières è una delle più graziose cittadine della Franca Contea, costruita sul declivio di una collina, in mezzo a macchie di grandi castagni. Ai piedi di questa collina, verso mezzogiorno, scorre il Doubs, uno dei fiumi più pittoreschi della Francia. Dal lato nord la città è protetta da una delle montagne del Giura. […] Verrières, in questo libro, è un luogo immaginario, che l’autore ha scelto come tipo delle città di provincia” Stendhal, Il rosso e il nero (1830) Georges Blin, Stendhal et les problèmes du roman (1954): “Per convincerci che la sua Verrières esiste, o, se vogliamo, che è preesistita al dramma che vi si è svolto, la pone come sussistente alla data in cui la storia viene raccontata, la descrive non come era ma come è, il che, fin dall’inizio, tende a smentire che ci si trovi in presenza di un romanzo [...]. In questo modo, siamo indotti a mettere tra parentesi il carattere chimerico e ipotetico del tempo in cui la storia si iscrive”. Stendhal: Contro la descrizione Lettera a Balzac, 16 ott. 1840: “Da un anno mi dicono che ogni tanto bisogna rilassare il lettore descrivendo il paesaggio, i vestiti. Sono cose che mi hanno tanto annoiato negli altri! Tenterò”. Ricordi d’egotismo (1832): [Dopo avere rappresentato una riunione mondana in un salotto]: “Ho dimenticato di descrivervi il salotto. Sir Walter Scott e i suoi imitatori avrebbero saggiamente cominciato di lì, ma io ho orrore della descrizione materiale. La noia di doverla fare m’impedisce di scrivere romanzi”. “Sostenevo che un buon terzo dei meriti di Scott si doveva a un segretario che gli abbozzava le descrizioni di paesaggi dal vero. Lo trovavo, come lo trovo adesso, debole nella rappresentazione delle passioni, nella conoscenza del cuore umano” Walter Scott e la Princesse de Clèves (1830): “L’abito e il collare di rame di un servo del Medioevo sono più facili da descrivere dei moti del cuore umano”. Stendhal: Contro la descrizione Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli: “Walter Scott aveva messo di moda il medioevo; si era sicuri del successo impiegando due pagine a descrivere la vista che si godeva dalla camera dell’eroe, altre due pagine a descrivere come egli vestiva e altre due pagine ancora a descrivere la forma della poltrona su cui egli sedeva. Stanco di tutto questo medioevo, delle ogive e dei vestiti del ‘400, S[tendhal] osò raccontare un fatto avvenuto nel 1830 e lasciare il lettore in un’assoluta ignoranza a proposito dei vestiti che portano la signora di Rênal e la signorina de La Mole”. Stendhal: Alcune opere precedenti al Rosso e il nero - Storia dell’arte: Histoire del peinture en Italie (scritto 18131815, ed. 1817) - Biografie: Vie de Haydn, de Mozart e de Métastase (ed. 1815); Vie de Rossini (ed. 1823) - Memorie di viaggio: Rome, Naples et Florence (ed. 1917, prima volta in cui usa lo pseudonimo Stendhal); Promenades dans Rome (1828-29, ed. 1829) - Trattato sull’amore: De l’amour (1919-22, ed. 1922) - Saggistica e critica letteraria: Racine et Shakespeare (ed. 1823 & 1825) - Un solo romanzo: Armance (1826-27, ed. ago. 1827) Stendhal: La genesi del Rosso e il nero Fine 1829: Stendhal si trova in viaggio nel sud della Francia, e qui legge il resoconto di un processo nella “Gazette des Tribunaux”: – Si tratta di un fatto di sangue avvenuto a Brangues, una cittadina nel dip. dell’Isère; – L’imputato si chiama Antoine Berthet, un figlio di artigiano, ex seminarista, che viene assunto come precettore in una casa di ricchi borghesi; e qui, a quanto pare, diventa l’amante della padrona di casa; – In seguito a una serie di avvenimenti, spara un colpo di pistola all’ex amante, nella chiesa della cittadina, durante una funzione religiosa; – Riconosciuto colpevole, viene condannato a morte e ghigliottinato a Grenoble il 23 febbraio 1828. Stendhal: La genesi del Rosso e il nero In questo periodo, Stendhal sta vivendo una tormentata storia d’amore con la cugina di Delacroix, Alberthe de Rubempré. – In dicembre, rientrato a Parigi, scopre che la donna lo ha tradito con un suo amico (il barone de Mareste) – Inizia a scrivere un romanzo, Julien (titolo provvisorio) – Il libro viene scritto di getto in pochissimo tempo, e nei primi mesi del 1830 è pronto per la pubblicazione – Esce nel novembre 1830 con il titolo: Il rosso e il nero. Cronaca del XIX secolo Stendhal: La genesi del Rosso e il nero Stendhal, Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli “Una cosa farà stupire il lettore. Questo non è un romanzo. Tutto ciò che vi si racconta è realmente accaduto nel 1826 nei dintorni di Rennes. In quella città l’eroe è stato giustiziato per aver tirato due colpi di pistola contro la sua prima amante, dei cui figli era stato precettore, e che, con una sua lettera, gli aveva impedito di sposare la sua seconda amante, una ragazza molto ricca. S[tendhal] non ha inventato nulla”. Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946) “Stendhal nei suoi scritti realistici descriveva soprattutto la realtà che gli si faceva incontro: ‘Je prends au hasard ce qui se trouve sur ma route’, dice egli [nei Ricordi d’Egotismo]. Questo metodo, già noto a Montaigne, è il migliore per sottrarsi all’arbitrio delle proprie costruzioni e per abbandonarsi alla realtà quale ci è posta dinanzi. Ma la realtà in cui egli s’imbatteva era tale da non potersi rappresentare senza un continuo riferimento ai mutamenti violenti dell’immediato passato e senza tentar presagi sugli imminenti mutamenti del futuro; tutte le figure e tutte le azioni umane appaiono nella sua opera su un mutevole sfondo storico, politico e sociale. […] Stendhal è il fondatore di quel moderno realismo serio che non può rappresentare l’uomo se non incluso entro una realtà politica e sociale ed economica continuamente evolventesi, come accade oggi in qualunque romanzo o film” (230-31). Stendhal: La ricerca della “verità” Ricordi di Egotismo: “Ora, prima di tutto, voglio essere vero” (49). “[…] mi viene la tentazione di esagerare alcuni tratti contro questi pidocchi della specie umana. Ma resisto, significherebbe essere infedele alla verità” (108). Vita di Henry Brulard: “Ritengo di poter garantire solo per i seguenti meriti: 1° dipingere in modo somigliante la natura, che mi appare nitidissima in ceri momenti; 2° sono sicuro della mia perfetta buona fede, della mia adorazione per il vero; 3° del piacere che provo a scrivere, piacere che rasentava la follia nel 1817” (278). Diario: “[La verità] è per me come un dipinto ricoperto d’una mano di calce: ogni tanto una particella di calce cade e io mi avvicino all’agognata verità” (497) Stendhal: La ricerca della “verità” Lettera a Balzac (16 ott. 1840), che aveva scritto una recensione elogiativa della Certosa di Parma: “La base della mia malattia è questa: mi sembra lo stile di J.J. Rousseau o di Mme Sand dica un mucchio di cose che non bisogna dire, e spesso molte falsità. Ecco: ho detto la grande parola. Spesso rifletto un quarto per collocare un aggettivo prima o dopo il suo sostantivo. Cerco di raccontare: 1° con verità; 2° con chiarezza ciò che succede nel mio cuore”. Cfr. anche l’epigrafe del Rosso e il nero: “La verità, l’aspra verità”. Stendhal: “Il romanzo è uno specchio” Shakespeare, Hamlet (III, 2): “suit the action to the word, the word to the action; with this special o'erstep not the modesty of nature: for any thing so overdone is from the purpose of playing, whose end, both at the first and now, was and is, to hold, as 'twere, the mirror up to nature; to show virtue her own feature, scorn her own image, and the very age and body of the time his form and pressure”. “Accorda l'azione alla parola, la parola all'azione, con questa particolare avvertenza, di non andare mai oltre la moderazione della natura. Perché ogni eccesso in questo è lontano dallo scopo del teatro, il cui fine, agli inizi come ora, è stato sempre ed è di porgere, diciamo, uno specchio alla natura; di mostrare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, e all’epoca stessa, alla sostanza del tempo, la loro forma e impronta”. Stendhal: “Il romanzo è uno specchio” Racine et Shakespeare: Esprime la sua ammirazione per Goldoni, dicendo che è stato uno “specchio della natura”. Premessa ad Armance: Parla di due autori di una commedia (Picard e Mazères, Trois Quartiers) rappresentata a Parigi nel 1827: “Hanno presentato al pubblico uno specchio. È colpa loro se davanti allo specchio sono passate facce brutte? Di che partito è uno specchio?” Promenades dans Rome: Parla di Bandello e lo elogia per avere scritto delle novelle in cui sono rappresentati “come in uno specchio i costumi del XV secolo”. Histoire de la peinture en Italie: Sottolinea che il pittore non deve “esagerare gli effetti della natura”, e il suo stile deve essere “soltanto uno specchio limpido”. Stendhal: “Il romanzo è uno specchio” Lettera a Lamartine: “Benché io stimi molto i pittori che mirano al bello ideale, come Raffaello e il Correggio, sono tuttavia ben lungi dal disprezzare quei pittori che vorrei definire pittori-specchi, quelli che [...] riproducono esattamente la natura così come farebbe uno specchio [...]. Riprodurre esattamente la natura, senza arte, come uno specchio, è il merito di molti olandesi, e non è un merito da poco; trovo che sia delizioso soprattutto nel paesaggio [...]. Questi pittori-specchi, in tutti i generi, sono infinitamente preferibili alle persone comuni che vogliono seguire Raffaello”. Stendhal: “Il romanzo è uno specchio” Lettera a Salvagnoli: “Prima di venir a parlare del romanzo di Stendhal, è necessario dire che la Francia gaia, divertente, un po’ libertina, ch’è stata dal 1715 al 1789 il modello dell’Europa, non esiste più: niente le rassomiglia meno della Francia grave, morale, tetra, che ci han lasciato in eredità i seguiti, le congregazioni e il governo borbonico dal 1814 al 1830. Poiché è estremamente difficile, in fatto di romanzi, dipingere dal vero e non copiare dai libri, nessuno, prima di Stendhal, aveva osato descrivere questi costumi così poco attraenti”. “Nessuno aveva descritto con tanta cura i costumi adottati dai francesi in conseguenza dei diversi governi che hanno gravato su loro durante il primo terzo del diciannovesimo secolo. Un giorno questo romanzo, come quelli di Walter scott, sarà specchio di tempi antichi”. Stendhal: Il conflitto con la realtà Erich Auerbach, Mimesis: “La società che lo circondava divenne per lui un problema, la consapevolezza d’esser diverso dagli altri, fino allora sentita spensieratamente e con orgoglio, gli s’imponeva ora come una necessità urgente con cui fare i conti, e come la forma stessa della sua esistenza. Il realismo letterario di Stendhal nacque dal suo disagio entro il mondo postnapoleonico, dalla coscienza di non appartenervi e di non avervi un posto” (227-28). Stendhal: Il conflitto con la realtà Vita di Henry Brulard : “Ero dunque un gran sornione incattivito, fino a quando nella biblioteca [...] scoprii un Don Chisciotte in traduzione francese, un volume illustrato. [...] Don Chisciotte mi fece morire dal ridere. Si tenga presente che dopo la morte di mia madre non avevo più riso. Ero vittima di un’educazione aristocratica e religiosa severissima. [...] Si giudichi quale fu l’effetto del Don Chisciotte in mezzo a tanta cupa tristezza! La scoperta di quel libro, letto all’ombra del secondo tiglio del viale, seduto dove l’aiuola scendeva di un piede sotto il livello del prato, segna, forse, il periodo più bello della mia vita. Chi lo crederebbe? Mio padre, vedendomi scoppiare a ridere, veniva a sgridarmi, minacciava di sequestrarmi il libro, cosa che ha fatto più di una volta [...]. Disturbato anche nella lettura del Don Chisciotte, mi nascondevo tra i carpini, un gazebo naturale all’estremità orientale del giardino chiuso (boschetto), recinto da mura [...]. Stendhal: Il conflitto con la realtà Trovai un Molière corredato di stampe: le illustrazioni mi parvero ridicole e compresi solo l’Avare [...]. Il nonno fu felicissimo del mio entusiasmo per Don Chisciotte, che io gli raccontai [...]. Mi prestò, ma all’insaputa di sua figlia Séraphie, l’Orlando furioso [...]. L’Ariosto formò il mio carattere: mi innamorai alla follia di Bradamante, che immaginavo come una florida ragazza di ventiquattro anni, dalle grazie di una bianchezza abbagliante. Mi facevano orrore tutti i particolari borghesi e vili di cui si è servito Molière per far conoscere il suo pensiero. Quei particolari mi ricordavano troppo la mia vita infelice. [...] Tutto quanto è vile e mediocre nel tipo borghese mi ricorda Grenoble; tutto ciò che mi ricorda Grenoble mi fa orrore; no, orrore è troppo nobile; mi dà la nausea. [...] Tutto ciò che è vile e mediocre senza alcuna compensazione, tutto ciò che è nemico del più piccolo slancio di generosità, tutto ciò che gode della rovina di chi ama la patria o è generoso: ecco cosa rappresenta per me Grenoble” (pp. 105-108). Stendhal: Il conflitto con la realtà “Forse è solo un caso che io non sia rimasto malvagio, ma soltanto disgustato, per il resto della mia vita, dai gesuiti e dagli ipocriti di ogni specie. [...] Tutti i particolari che costituiscono la vita di Chrysale [il protagonista delle Femmes savantes] mi fanno orrore. Se mi si concede un’immagine nauseante quanto la mia sensazione, è come l’odore delle ostriche per un uomo che abbia fatto una tremenda indigestione di ostriche. Tutti i fatti che compongono la vita di Chrysale vengono rimpiazzati, in me, dal romanzesco. Credo che questa macchia sul mio telescopio sia stata utile ai personaggi dei miei romanzi; c’è una sorta di bassezza borghese che non possono proprio avere” (113-14). Stendhal: Il conflitto con la realtà “Distolgo lo sguardo e la memoria da tutto ciò che è vile; Mi lascio coinvolgere, come a dieci anni, quando leggevo l’Ariosto, da qualsiasi racconto d’amore, di foreste (i boschi e il loro vasto silenzio), di generosità. [...] distolgo lo sguardo dal carattere di Chrysale di Molière [...]. La conversazione del vero borghese sugli uomini e la vita, nient’altro che una collezione di dettagli squallidi, mi getta in uno spleen profondo quando, per motivi di convenienza, sono costretto ad ascoltarla un po’ a lungo. Ecco svelato il segreto della mia avversione per Grenoble verso il 1816, che allora non riuscivo a spiegarmi. [...] Questo difetto, l’avversione per Chrysale, forse mi ha mantenuto giovane” (235-36). Stendhal: Il conflitto con la realtà Annotazione del 4 gen. 1821: “È necessario che l’immaginazione apprenda i diritti di ferro della realtà”. La figura dell’”eroe” Cfr. Mario Praz, La crisi dell’eroe nel romanzo vittoriano (1952) Emile Zola, Gustave Flaubert (1875): “Fatalmente, il romanziere uccide gli eroi, se accetta solo il corso ordinario dell’esistenza comune. Per eroi, intendo i personaggi che grandeggiano oltre misura, i fantocci trasformati in colossi. […] Al contrario, gli uomini rimpiccioliscono e rientrano nei ranghi quando si ha l’unica preoccupazione di scrivere un’opera vera, ponderata, che sia il processo verbale fedele di un’avventura qualunque. […] La bellezza dell’opera non sta più nell’ingigantimento di un personaggio […]; sta nella verità indiscutibile del documento umano, nella realtà assoluta di dipinti in cui tutti i dettagli occupano il loro posto, e soltanto quello”. La figura dell’”eroe” Erich Auerbach, Mimesis: “Julien Sorel è assai più ‘eroe’ che i personaggi di Balzac o magari di Flaubert” (235). René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca (1962) “Don Chisciotte ha rinunciato, in favore di Amadigi, alla prerogativa fondamentale dell’individuo: non sceglie più gli oggetti del suo desiderio, ma è Amadigi che deve scegliere per lui. Il discepolo si precipita verso gli oggetti che gli indica, o che sembra indicargli, il modello di ogni cavalleria. Chiameremo questo modello il mediatore del desiderio. […] Nella maggior parte delle opere di finzione, i personaggi desiderano in modo più semplice di Don Chisciotte. Non c’è il mediatore, ma ci sono solo il soggetto e l’oggetto […] il desiderio è sempre spontaneo. Può sempre essere rappresentato da una semplice linea retta che collega il soggetto e l’oggetto. / La linea retta è presente, nel desiderio di Don Chisciotte, ma non è l’essenziale. Al di sopra di questa linea, c’è il mediatore che si irraggia al tempo stesso verso il soggetto e verso l’oggetto. La metafora spaziale che esprime questa triplice relazione è evidentemente il triangolo” Mediatore (Amadigi) Soggetto (Don Chisciotte) Oggetto (Gloria cavalleresca) Schema del desiderio triangolare René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca (1962) “Il desiderio secondo l’Altro si ritrova nei romanzi di Flaubert. Emma Bovary desidera attraverso le eroine romantiche di cui è piena la sua immaginazione. Le opere mediocri che ha divorato durante la sua adolescenza hanno distrutto in lei qualunque spontaneità”. René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca (1962) “Un terzo romanziere, Stendhal, insiste allo stesso modo sul ruolo della suggestione e dell’imitazione nella personalità dei suoi eroi. Mathilde de la Mole prende i suoi modelli dalla storia della sua famiglia. Julien Sorel imita Napoleone. Il Memoriale di Sant’Elena e i Bollettini della Grande Armata rimpiazzano i romanzi cavallereschi e le stravaganze romantiche. […] La storia qui non è che una forma di letteratura; suggerisce a tutti questi personaggi stendhaliani dei sentimenti, e soprattutto dei desideri, che essi non proverebbero spontaneamente. […] Stendhal designa con il termine vanità tutte queste forme di ‘copia’, di ‘imitazione’. Il vanitoso non può tirare fuori i propri desideri da se stesso; li prende in prestito da qualcun altro. Il vanitoso è quindi fratello di Don Chisciotte e di Emma Bovary. E in Stendhal ritroviamo il desiderio triangolare” (18-19). Mediatore (Napoleone) (Antenati) Soggetto (Julien) (Mathilde) Oggetto (Successo, Seduzione, Scalata sociale) (Vita eroica e appassionata) Vanità Franco Moretti, Il romanzo di formazione (1987) “Una vita esemplare […] è alla radice dell’immaginazione ottocentesca. Il generale Bonaparte, il soldato della rivoluzione, il liberatore che antepone il merito al censo e l’entusiasmo al calcolo – l’imperatore Napoleone, l’unto del pontefice, il despota che tratta gli uomini come strumenti e fa tacere la pubblica opinione. Sarà ovvio, ma senza Napoleone anche la storia letteraria sarebbe stata tutt’altra, perché non avremmo avuto l’eroe romanzesco che domina un intero secolo: l’eroe ambizioso, dinamico, ambiguo. Ambiguo, soprattutto: duplice, diviso, contraddittorio, e proprio per questo sentito come esemplare. Egli è il rappresentante naturale di un’epoca in cui l’esistenza diviene davvero […] ‘problematica’” (84). György Lukács, La polemica tra Balzac e Stendhal “[Stendhal] condensa i tratti caratteristici delle singole epoche nelle biografie dei personaggi di un dato tipo. (Nel Rosso e il nero fa rivivere la restaurazione, nella Certosa di Parma l’assolutismo dei piccoli stati italiani, in Lucien Leuwen la monarchia di luglio). […] Nel destino di questi eroi deve rispecchiarsi la meschinità, la turpe abiezione di tutta l’epoca: di un’epoca, in cui per i grandi e puri discendenti degli eroici periodi della borghesia, della rivoluzione e dell’era napoleonica, non c’è più posto”. Peter Brooks, Trame (1984) “La parola ‘mostro’ […] evoca una serie di riferimenti ai vari momenti in cui Julien si vede come il plebeo in rivolta, l’usurpatore, l’ipocrita, il seduttore, […] colui che, mostro com’è, viola e contesta l’ordine costituito, le classificazioni e le regole esistenti” (72). “Questa parola (‘mostro’) ricorre in non poche occasioni nel testo. In particolare viene usata per stigmatizzare l’ingratitudine, specie verso figure dotate di autorità paterna, oppure per indicare trasgressioni di natura erotica, o usurpazioni, conflitti di classe […]. Il mostro è dunque il fuori posto, l’abnorme, l’inclassificabile, il trasgressivo, il seduttivo, il desiderante” (87). Christopher Prendergast, The Order of Mimesis: Balzac, Stendhal, Nerval, Flaubert (1986) “I momenti decisivi del romanzo sono, precisamente, momenti a-tipici. In effetti, […] si potrebbe dire che la massa di materiale strettamente ‘mimetico’ in Le Rouge et le Noir (la rappresentazione della realtà sociale contemporanea attraverso una serie di tipi interconnessi: i borghesi di Verrières, gli aristocratici del salotto de la Mole) esista soprattutto per evidenziare, per contrasto, le azioni e le esperienze che sovvertono i modelli di ‘realtà’ illustrati e incarnati da questi diversi tipi sociali. Ovviamente, tali azioni sono sopratutto trasgressioni dei codici morali, stimolate da impulsi e desideri proibiti o non riconosciuti da questa società: il delitto di Julien, l’adulterio di Louise, la passione di Mathilde. […] Christopher Prendergast, The Order of Mimesis: Balzac, Stendhal, Nerval, Flaubert (1986) Julien non solo offende, ma anche sorprende la sua società, e le due cose sono profondamente interconnesse. Di qui, l’importanza nel testo del motivo dell’imprévu, il modo in cui Julien […] ripetutamente elude e disturba il ‘sistema di probabilità interiorizzato’ degli altri personaggi, ai quali appare di conseguenza […] come singulier: strano, non collocabile, infinitamente più complesso e misterioso del semplice stereotipo dell’ambizioso parvenu” (124). Il romanzo di formazione Coordinate storico-letterarie, alcuni esempi: • Germania (Bildungsroman): Christoph Martin Wieland, Agathon (1766); Goethe, Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1795-96) • Francia: Stendhal, Il rosso e il nero (1830); Balzac, Illusioni perdute (1837-43); Flaubert, L’educazione sentimentale (1869) • Inghilterra: Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio (1813); Charlotte Brontë, Jane Eyre (1847); Dickens, David Copperfield (1849-50), Grandi speranze (1860); George Eliot, Il mulino sulla Floss (1860) • Italia: Ippolito Nievo, Le Confessioni d’un italiano (1867 postumo) Il romanzo di formazione 1) Romanzo dell’”uomo in divenire” Michail Bachtin, L’autore e l’eroe. Teoria letteraria e scienze umane: “Accanto a questo tipo dominante ce n’è un altro […] che dà l’immagine dell’uomo in divenire. In opposizione all’unità statica qui si dà l’unità dinamica dell’immagine dell’eroe. […] Il tempo s’immette nell’interno dell’uomo, penetra nella sua immagine, mutando sostanzialmente il significato di tutti i momenti del suo destino e della sua vita. Questo tipo di romanzo può essere designato nel senso più generale come romanzo del divenire dell’uomo” (208). Il romanzo di formazione 1) Romanzo dell’”uomo in divenire” Michail Bachtin, Estetica e romanzo: “A questo [cioè al romanzo in cui compare un eroe già formato, che vive una serie di avventure e deve superare una serie di prove] il nuovo romanzo contrappone il divenire dell’uomo, da una parte, e una certa duplicità, la non integrità dell’uomo vivo, la mescolanza di bene e di male, di forza e di debolezza, dall’altra. La vita con i suoi eventi non serve più da pietra di paragone e da mezzo di prova dell’eroe bell’e pronto […]: adesso la vita coi suoi eventi, illuminata dall’idea di formazione, si svela come esperienza del protagonista, come scuola, come ambiente, che per la prima volta modellano e formano il carattere del protagonista e la sua concezione del mondo” (200). Il romanzo di formazione 2) Tra “poesia del cuore” e “prosa della vita reale” Hegel, Estetica (1836-38): “Una delle collisioni più comuni e più adatte per il romanzo è il conflitto della poesia del cuore con la prosa contrastante dei rapporti e l’accidentalità delle circostanze esterne” (II,1223). “Come individui con i loro fini soggettivi dell’amore, dell’onore, dell’ambizione e con i loro ideali di un mondo migliore, [gli eroi dei romanzi moderni] stanno di contro a quest’ordine sussistente ed alla prosa della realtà che pone loro difficoltà da ogni parte […]”. Il romanzo di formazione 2) Tra “poesia del cuore” e “prosa della vita reale” “Questi nuovi cavalieri [li definisce così perché li considera incarnazioni moderne degli eroi cavallereschi, in un contesto storico completamente cambiato] sono in particolare dei giovani che devono scontrarsi con il corso del mondo, il quale si realizza al posto dei loro ideali, e che ritengono una disgrazia che vi siano famiglia, società civile, Stato, leggi, professioni ecc., perché queste sostanziali relazioni della vita si oppongono crudelmente con le loro barriere agli ideali e al diritto infinito del cuore. Si tratta dunque di aprire una breccia in quest’ordine delle cose, di mutare il mondo, oopure di tagliarsi a suo dispetto per lo meno una fetta di cielo sulla terra […]. Ma queste lotte nel mondo moderno non sono altro che l’apprendistato, l’educazione dell’individuo alla realtà esistente, ed acquistano così il loro vero senso” (I,663-54). Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” Hegel, Estetica: “Infatti la fine di tale apprendistato consiste nel fatto che il soggetto mette giudizio, tende a fondersi, insieme con i suoi desideri e opinioni, con i rapporti sussistenti e la loro razionalità, si inserisce nella concatenazione del mondo e vi acquista un posto adeguato. Per quanto uno possa essere venuto a lite con il mondo ed esserne stato respinto, alla fine per lo più trova la fanciulla adatta e un posto qualsiasi, si sposa e diviene un filisteo come gli altri: la donna si occupa del governo della casa, i figli non mancano, la moglie adorata che prima era l’unica, un angelo, si comporta più o meno come tutte le altre, l’impiego dà fatica e noia, il matrimonio le croci domestiche, e insomma subentra, come d’uso, l’amaro risveglio” (I,664). Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” F. Jameson, L’inconscio politico (1981): “Il singolo testo narrativo, o la singola struttura formale, deve essere compresa come risoluzione immaginaria di una contraddizione reale” (84). Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” Franco Moretti, Il romanzo di formazione: “Con esso [il Bildungsroman] cerchiamo di indicare una delle più armoniose soluzioni mai offerte a un dilemma connaturato alla civiltà borghese moderna: il conflitto tra l’ideale dell’’autodeterminazione’ e le esigenze, altrettanto imperiose, della ‘socializzazione’. Da due secoli a questa parte, infatti, le società occidentali hanno riconosciuto al singolo il diritto a sceglier da sé la sua etica e la sua idea di ‘felicità’; a immaginare e progettare in libertà il proprio destino. Diritti enunciati nei proclami e incisi nelle costituzioni: ma non per questo universalmente realizzabili. Perché si danno, come è ovvio, aspirazioni in contrasto fra loro […]” Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” “Come dunque far coabitare la tensione verso l’individualità, che è il necessario frutto di una cultura dell’autodeterminazione, con la tensione, opposta, alla normalità, che è il portato altrettanto inevitabile del meccanismo della socializzazione?” (17-18). Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” “[Nel Bildungsroman] non c’è conflitto tra individualità e socializzazione, autonomia e normalità, interiorità e oggettivazione. La formazione dell’individuo come individuo in sé e per sé coincide senza crepe con la sua integrazione sociale in qualità di semplice parte di un tutto” (18). “Autosviluppo e integrazione sono percorsi complementari e convergenti, al cui punto d’incontro e di equilibrio si colloca quella piena e duplice epifania del senso che è la “maturità”. Raggiunta la quale, il racconto ha realizzato il suo scopo e può senz’altro finire” (21). Romanzi “per cameriere” e “da salotto” Stendhal, Lettera al conte Salvagnoli: “Tutte le donne in Francia leggono dei romanzi, ma non tutte hanno lo stesso grado di educazione; di qui la distinzione fra i romanzi per cameriere (domando scusa della crudezza di questo termine, inventato, credo, dai librai) e i romanzi da salotto”. Romanzi “per cameriere” e “da salotto” Stendhal, Lettera al conte Salvagnoli: “I romanzi per cameriere hanno generalmente il formato in dodicesimo e sono pubblicati da Pigoreau. È questi un libraio di Parigi, che, prima della crisi economica del 1831, aveva guadagnato un mezzo milione facendo piangere i begli occhi delle provinciali. Perché […] i romanzi in dodicesimo di Pigoreau, nei quali l’eroe è sempre un uomo perfetto e di una rara bellezza, e ha corpo ben fatto e occhi sporgenti, sono molto più letti in provincia dei romanzi in ottavo, publicati da Levavasseur o da Gosselin, a cui gli autori han cercato di dare dignità letteraria. […] A Parigi, a Rouen e in qualche città del nord della Francia, che è più progredito del mezzogiorno, il romanzo per cameriere non varca le soglie dei salotti. Quell’eroe sempre perfetto, quelle donne infelici, innocenti e perseguitate, rappresentano per i parigini quanto si può immaginare di più insipido”. Romanzi “per cameriere” e “da salotto” Stendhal, Lettera al conte Salvagnoli: “Nei romanzi per cameriere, poco importa che gli avvenimenti siano assurdi, troppo ben calcolati per far emergere l’eroe, in una parola romanzeschi, come si dice con intenzione di scherno. Le piccole borghesi di provincia non domandano all’autore che delle scene straordinarie, che le facciano piangere a calde lacrime […]. Le signore di Parigi invece […] sono maledettamente severe per gli avvenimenti straordinari. Appena un avvenimento ha l’aria d’essere troppo ben calcolato per far brillare l’eroe, buttano via il libro e ne giudicano ridicolo l’autore. / È dunque difficile, per via di queste esigenze opposte, fare un romanzo che sia letto ugualmente nelle stanze delle borghesi di provincia e nei salotti di Parigi” Novel e romance • Termine ing. novel (e sp. novela) – Deriva dall’italiano novella – Viene usato per designare i romanzi scritti a partire dal Settecento, caratterizzati da un bisogno di verosimiglianza e di realismo • Il vecchio termine romance viene riservato ai testi narrativi scritti in precedenza, caratterizzati da inverosimiglianza e da atmosfera idealizzata, avventurosa, fiabesca, meravigliosa ecc. In base a questa distinzione • I romanzi greci, i romanzi cortesi, cavallereschi, pastorali ecc. = romance; • I romanzi “moderni” di Richardson, Balzac, Manzoni, Tolstoj ecc. = novel Novel e romance William Congreve, prefazione a Incognita (1691): “I romances sono costituiti in genere dall’amore costante e dal coraggio invincibile di eroi, eroine, re e regine, mortali d’alto rango e simili. Ivi il linguaggio sublime, gli eventi miracolosi e le imprese impossibili sorprendono ed elevano il lettore a una vertigine di delizia che lo lascia a terra quando interrompe la lettura e lo irrita al pensiero di essersi fatto divertire e trasportare, coinvolgere e angosciare dalle peripezie che ha letto, ossia successi di cavalieri, sventure di damigelle e simili, quando non può non essere convinto che si tratta di menzogne. I romanzi [novels] sono di natura più familiare: ci vengono vicini e rappresentano intrighi in atto, ci dilettano con casi ed eventi singolari ma non del tutto inconsueti o senza precedenti che, non allontanandosi troppo dalla credibilità, ci rendono più accessibile il piacere. I romances suscitano maggior meraviglia, i romanzi maggior diletto”. Novel e romance Clara Reeve, Lo sviluppo del romance attraverso le epoche, i paesi e i costumi (1785): “Euprhasia La parola Novel [...] significa qualcosa di nuovo. All’inizio fu usata per distinguere queste opere dal Romance, benché in seguito siano stati confusi insieme e spesso scambiati l’uno con l’altro. Sophronia Ma come tracci la linea di distinzione, in modo da separarli efficacemente, e da scongiurare ulteriori sbagli? Novel e romance Clara Reeve, Lo sviluppo del romance attraverso le epoche, i paesi e i costumi (1785): Euprhasia Tenterò di fare questa distinzione [...]. Il Romance è una favola eroica, che tratta di persone e cose favolose. – Il Novel è una rappresentazione della vita e dei costumi reali, al tempo in cui è stato scritto. Il Romance descrive, con un linguaggio alto e raffinato, ciò che non mai accaduto né è probabile che accada. – Il Novel fornisce una relazione familiare di quelle cose che passano tutti giorni davanti ai nostri occhi, che potrebbero accadere ai nostri figli, o a noi stessi; e la sua perfezione consiste nel rappresentare ogni scena in modo così semplice e naturale, facendola apparire così probabile, da darci l’illusione (almeno finché leggiamo) che tutto sia reale, fino a provare le gioie o le sofferenze delle persone nella storia, come se fossero le nostre” Il romanzo sotto accusa Pierre Nicole, Lettere sull’eresia immaginaria (1664-65): “Non solo [...] i Romanzi rendono lo spirito mal disposto a tutte le opere di religione e di pietà, ma lo disgustano in qualche modo da tutte le azioni serie e ordinarie. Dato che non vi si rappresentano che galanterie e avventure eccezionali, e dato che i discorsi che vi si fanno sono lontanissimi da quelli che sono abituali nelle faccende serie, ecco che leggendoli si assume insensibilmente una disposizione d’animo tutta romanzesca; ci si riempie la testa di eroi e di eroine; e le donne soprattutto, leggendo le adorazioni che vi si rendono a quelle del loro sesso [...], s’imprimono così a fondo nella fantasia quel genere di vita, che le piccole incombenze del loro ménage diventano loro insopportabili; e quando tornano a casa loro, con la testa svaporata e imbottita di queste follie, trovano che in casa tutto è sgradevole, e più di tutto i loro mariti, che essendo occupati negli affari non sempre sono in umore di omaggiare con quelle compiacenze ridicole che si offrono alle donne [...] nei Romanzi e nella vita romanzesca”. Il romanzo sotto accusa Denis Diderot, Elogio di Richardson di Diderot (1762): “Per romanzo [roman] si intendeva fino a oggi un tessuto di avvenimenti chimerici e frivoli, la cui lettura era pericolosa per il gusto e per i costumi. Vorrei proprio che si trovasse un altro nome per le opere di Richardson, che elevano lo spirito, che toccano l’anima, che traspirano da ogni parte l’amore del bene, e che pure vengono chiamati romanzi [romans]”. Alessandro Manzoni, Fermo e Lucia (1823): Definisce il romanzo “il genere proscritto della letteratura italiana moderna”. Il romanzo sotto accusa Gotthard Heidegger, Mitoscopia romantica: ovvero Discorso sul cosiddetto romanzo (1698): Sostiene che i romanzi devono essere considerati “come un vacuo fiume d’inchiostro su carta straccia. [...] Con artificiose rivoluzioni, invenzioni di ogni genere, con espressioni impetuose e macchinazioni divertenti i romanzi turbano l’animo del lettore, suscitano in lui ogni sorta di bramosia, di inquietudine, di lascivia e concupiscenza, gli impegnano totalmente il cervello, gli fanno fare un bagno turco di passioni, ne minano la salute, ne fanno un malinconico e un pusillanime; l’appetito se ne va, il sonno diminuisce [...]. Finora i romanzi sono stati avversati perché si riteneva che non fossero altro che paccottiglia pagana, fatta per sciupare tempo prezioso. D’ora in poi bisogna considerarli anche come menzogne, come favole. Poiché [...] è senza dubbio molto importante aver ben presente che chi legge romanzi legge delle menzogne. [...] Non ci sono forse state proibite le menzogne, non solo quelle che potremmo dire noi, ma anche quelle che amavamo? Non ci hanno forse messo in guardia dalle favole, e precisamente da quelle storie per vecchierelle, storie sciocche e interminabili, che si chiamano appunto romanzi?” “Questo non è un romanzo” Marivaux, La vie de Marianne (1731-41): [Narrato in prima persona dalla protagonista, che nelle prime pagine dice] “A quindici anni non sapevo ancora se il sangue da cui provenivo era nobile o meno, se ero bastarda o legittima. Questo inizio sembrerebbe annunciare un romanzo: e tuttavia non è un romanzo che io racconto; io dico la verità per come l’ho appresa da coloro che mi hanno cresciuta”. Defoe, Moll Flanders (1722), prefazione: “Oggi il mondo è così invaso da romanzi e da racconti d’avventure che è difficile per una storia di cronaca esser presa per vera” Balzac, Papà Goriot (1834): “Dopo aver letto le segrete sventure di Papà Goriot, cenerete con appetito attribuendo all’autore la vostra ipersensibilità, tacciandolo di esagerazione, accusandolo di fare poesia. Ah! sappiatelo; questo dramma non è una finzione, né un romanzo. All is true, è così vero che ciascuno può riconoscerne gli elemeni intorno a sé, forse nel proprio cuore”. “Questo non è un romanzo” La Vie de Marianne, preceduta da un’“avvertenza” di colui che ha trovato e pubblicato il quaderno con le memorie di Marianne: “Visto che si potrebbe sospettare che questa storia sia stata fatta apposta per divertire il pubblico, credo di dover avvertire che lo ho avuta da un amico che l’ha realmente trovata, [...] e che non vi ho avuto altra parte che di averne ritoccato alcuni passi troppo confusi e troppo trascurati. In realtà, se fosse una storia semplicemente inventata, con tutta evidenza non avrebbe avuto la forma che invece ha. [...] Insomma, ecco la sua opera per come è, solo con qualche correzione di singole parole”. Novel e romance Novel e romance intesi • Non solo come generi letterari storicamente determinati (es. romanzo cavalleresco, romanzo borghese) • Ma anche come modi di narrazione e di rappresentazione, che possono manifestarsi in epoche e in generi diversi • Novel Modo mimetico-realistico • Romance Modo romanzesco Northrop Frye, Anatomia della critica (1957) Distingue tre tipi di rappresentazione letteraria: 1) Mito: tratta di entità ed eventi soprannaturali, lontani dall’esperienza umana 2) Romance: “Il mito si trova dunque a una estremità del disegno letterario e il realismo dall’altra; nel mezzo c’è l’intera area del romance, termine con il quale vogliamo indicare non il genere storico [...], ma la tendenza [...] a trasporre il mito in una direzione umana, e tuttavia, in contrasto con il “realismo”, a creare dei moduli convenzionali secondo i quali la narrazione tende verso una direzione idealizzata” 3) Realismo o modo mimetico: rappresentazione verosimile dell’esperienza quotidiana Northrop Frye, Anatomia della critica (1957) Distingue tre tipi di rappresentazione letteraria: 1) Mito: Tratta di dèi e demoni 2) Romance: Tratta di eroi 3) Modo mimetico: Tratta di uomini Northrop Frye, Anatomia della critica (1957) “Il romance è tra tutte le forme letterarie quella che più si avvicina alla rappresentazione del sogno o soddisfazione dei desideri umani” Tradotto in termini onirici, [...] è la ricerca di una soddisfazione della libido o io desiderante che liberi l’io stesso dalle ansie della realtà, pur continuando a contenere tutta questa realtà” “L’elemento di perenne fanciullezza tipico del romance è sottolineato dalla sua straordinariamente persistente nostalgia, della sua ricerca di un’immaginaria età dell’oro attraverso il tempo e lo spazio” “Il modo del romance presenta un mondo idealizzato: nel romance gli eroi sono coraggiosi, le eroine bellissime, i malvagi cattivissimi, e si tiene ben poco conto delle frustrazioni, delle ambiguità, e delle difficoltà della vita comune” Northrop Frye, Anatomia della critica (1957) Figure, trame e imagery del romance: • Personaggi: cavaliere, vecchio saggio, bambino innocente, donna angelica ecc. • Animali tipici: pecora, cavallo, cane ecc. • Immagine del giardino segreto e incantato (archetipo dell’Eden) • Immagini acquatiche: fiumi, fontane, ruscelli, laghi ecc. • Luoghi tipici: torre, castello, foresta, isola ecc. • Schemi narrativi ricorrenti: avventura, viaggio, ricerca ecc. Stendhal, De l’amour (1822) Distinzione tra quattro tipologie di amore: 1) L’amore-passione è l’amore disinteressato, spontaneo, di colui che si abbandona ai propri impulsi, senza fare calcoli o pianificare strategie di seduzione o di corteggiamento. Stendhal, De l’amour (1822) Distinzione tra quattro tipologie di amore: 2) L’amore-gusto è una forma di galanteria, un amore regolato dal codice delle buone maniere. De l’amour: “È un quadro questo dove tutto, persino le ombre,deve essere tinteggiato di rosa, in cui non deve comparire nulla di spiacevole per nessuna ragione, sotto pena di mancare di pratica del mondo, di buone maniere, di finezza ecc. Un uomo di rango sa in anticipo tutti i procedimenti che deve usare e incontrare nelle diverse fasi di questo amore; e poiché niente è qui passione e imprevisto, questo sentimento ha spesso più delicatezza dell'amore vero perché è sempre provvisto di molta intelligenza; [...] e mentre l'amorepassione ci trasporta al di là di ogni nostro interesse, l'amore-gusto sa sempre conformarvisi”. Stendhal, De l’amour (1822) Distinzione tra quattro tipologie di amore: 3) L’amore fisico, che è l’amore dei sensi, finalizzato a soddisfare i bisogni del corpo. De l’amour: “A caccia, si trova una bella contadina fresca che fugge nel bosco. Tutti conoscono l'amore fondato su questo tipo di piaceri. Per quanto arido e misero ne sia il carattere, si incomincia così a sedici anni”. Stendhal, De l’amour (1822) Distinzione tra quattro tipologie di amore: 4) L’amore di vanità (o di testa, o cerebrale), è un sentimento artificioso, convenzionale, che si basa sul calcolo e su una pianificazione consapevole dei propri comportamenti amorosi, in un rapporto in cui il partner è considerato quasi come un avversario. De l’amour: “L'immensa maggioranza degli uomini, soprattutto in Francia, desidera una moglie alla moda, come si possiede un bel cavallo, in quanto cosa necessaria al lusso di un giovanotto. La vanità, più o meno lusingata, più o meno eccitata, fa nascere degli slanci. Qualche volta è accompagnata dall'amore fisico ma non sempre; spesso non c'è neppure il piacere fisico. [...] Stendhal, De l’amour (1822) “Il caso più fortunato di questa piatta relazione è quello in cui il piacere fisico è accresciuto dall'abitudine. I ricordi fanno allora assomigliare questa relazione all'amore; c'è il puntiglio dell'amor proprio e la tristezza quando si è lasciati ; e, presi alla gola da idee da romanzo, ci si crede innamorati e malinconici, poiché la vanità aspira a reputarsi grande passione. [...] In questa passione, al contrario della maggior parte delle altre, il ricordo di ciò che si è perduto sembra sempre al di sopra di ciò che ci si può attendere dall'avvenire”. Madame de Rênal Lettera a Salvagnoli: “Madame de Rênal è una donna adorabile, come ce ne sono molte in provincia. […] è una di quelle donne che non sanno di esser belle, che non si curano di saperlo, che considerano il marito come il primo uomo del mondo, […] dolci, modeste, caste, che vivono ritirate, occupandosi unicamente della casa e della famiglia. […] Donne deliziose, senza gioia, senza tristezza, senza gloria, che spesso muoiono senza aver conosciuto l’amore”. Madame de Rênal De l’amour: “Il piacere fisico, essendo nella natura, è conosciuto da tutti, ma non occupa che un posto subordinato agli occhi delle anime tenere e appassionate. Così, se è vero che esse hanno dei lati ridicoli in società, e se spesso la gente di mondo, coi suoi intrighi, le rende infelici, in compenso esse conoscono gioie per sempre inaccessibili ai cuori che palpitano solo per la vanità o per il denaro. Alcune donne virtuose e tenere non hanno quasi idea dei piaceri fisici; esse vi si sono raramente esposte, se si può parlare così, e anche in quel caso gli slanci dell'amore-passione hanno quasi fatto loro dimenticare i piaceri del corpo”. Mathilde de la Mole Lettera a Salvagnoli: “Nel salotto brilla la signorina de La Mole, parigina di diciannove anni, figlia del marchese. È destinata al giovane marchese di Croisenois, […] che ha sessantamila franchi di rendita e sarà un giorno duca. […] Ma la signorina de La Mole lo trova insipido. [A questo punto capita Julien] E, nella sua immensa vanità, ella s’impunta a voler turbare il cuore di Julien. Ma egli a sua volta, guidato dall’orgoglio, tanto sa fare che la signorina de La Mole si mette davvero in puntiglio. […] Infine, la signorina de La Mole, che avrà un milione di dote […] l’orgogliosa signorina de La Mole amerà il segretario, il domestico di suo padre! E perché? Perché Julien, a forza d’orgoglio, s’è comportato, per puro caso, proprio nel modo che occorreva per esasperare la vanità della signorina de La Mole. Due o tre volte, seriamente e non per scherzo, è stato sul punto di piantarla. Ecco il segreto per farsi amare dalle parigine del giorno d’oggi” “Il mio romanzo è finito” Le Rouge et le Noir, parte II, cap. XXXIV: “Le soir, lorsqu'elle apprit à Julien qu'il était lieutenant de hussards, sa joie fut sans bornes. On peut se la figurer par l'ambition de toute sa vie, et par la passion qu'il avait maintenant pour son fils. Le changement de nom le frappait d'étonnement. ‘Après tout, pensait-il, mon roman est fini, et à moi seul tout le mérite. J'ai su me faire aimer de ce monstre d'orgueil, ajoutait-il en regardant Mathilde; son père ne peut vivre sans elle, et elle sans moi’.” Cfr. Walter Scott, Waverley (1814), cap. LX: “These reveries he was permitted to enjoy, undisturbed by queries or interruption;--and it was in many a winter walk by the shores of Ullswater, that he acquired a more complete mastery of a spirit tamed by adversity than his former experience had given him; and that he felt himself entitled to say firmly, though perhaps with a sigh, that the romance of his life was ended, and that its real history had now commenced. He was soon called upon to justify his pretensions by reason and philosophy”. “Il mio romanzo è finito” Tzvetan Todorov, La grammatica del racconto (in Poetica della prosa, 1971): “L’intreccio minimale completo consiste nel passaggio da un equilibrio a un altro. Un racconto ideale inizia con una situazione stabile, che una forza qualunque viene a turbare. Ne risulta uno stato di squilibrio; mediante l’azione di una forza diretta in senso opposto, l’equilibrio viene ristabilito; il secondo equilibrio è simile al primo, ma i due non sono mai identici” (56) “Il mio romanzo è finito” Manzoni, I promessi sposi (cap. XXXIII): [Mentre sta seguendo in parallelo le vicende di vari personaggi, spostandosi dall’uno all’altro,] Il narratore ammette che la storia di Renzo, “non sarebbe mai stata intralciata con [quella di don Rodrigo], se lui non l’avesse voluto per forza; anzi si può dire di certo che non avrebbero avuto storia né l’uno né l’altro”. “Il mio romanzo è finito” Peter Brooks, Trame: “La trama del racconto è una deviazione o una trasgressione rispetto alla norma, uno stato di errore e di irregolarità, il solo stato “raccontabile”” (p. 92) “La trama si pone come una sorta di divergenza o devianza [...]. Perché la trama inizia (o deve dare l’illusione di iniziare) al momento in cui la storia, [...] ubbidendo a qualche stimolo, passa da uno stato di quiescenza a uno stato di “narrabilità”, a una condizione di tensione, di inquietudine, che esige appunto di essere raccontata. [...] La narrazione che segue viene mantenuta in uno stato di tensione, come una prolungata deviazione rispetto alla quiete della “normalità”, del non-raccontabile, finché giunge alla quiescenza terminale della conclusione” (p. 113). “La devianza è condizione necessaria perché la vita sia raccontabile, e la normalità manca di qualsiasi interesse, di qualsiasi energia” (148) “Il mio romanzo è finito” Franco Moretti, Il romanzo di formazione: “[In Stendhal] La gioventù non è un tragitto teleologico che si concluda con una superiore maturità; il senso immanente al mondo così com’è non può essere condiviso dal protagonista né renderlo felice; la tensione verso l’autonomia si contrappone ai dettami della socializzazione. Se un finale convincente deve trasmetterci una sensazione di quiete, equilibrio, integrazione sistematica dei vari elementi di un’opera, qui essi sono ormai così conflittuali, sdoppiati ed eterogenei da renderlo inconcepibile. Eppure anche questi romanzi, come tutti, a un certo punto devono finire. E allora, se non possono concludersi all’insegna della connessione e dell’armonia – finiscano decisamente al modo opposto. Finiscano male” (131) Un enigma narrativo Nota di Lucien Leuwen in cui Stendhal definisce il romanziere “il cane del suo eroe”: “il miglior cane da caccia può solo far passare la selvaggina a tiro del fucile del cacciatore. Se lui non spara, il cane non può farci nulla”. Un enigma narrativo Brooks, Trame: “Il colpo di pistola che Julien spara contro Madame de Rênal […] appare gratuito, arbitrario, per nulla motivato. Ormai fidanzato a Mathilde de la Mole […], adorato dalla ragazza che a sua volta è adorata dal padre, questo abile tessitore d’intrighi […] non dovrebbe avere alcuna difficoltà a trovare il modo di riparare il danno arrecato alla sua reputazione dalla lettera accusatoria di madame de Rênal. […] il modo in cui Stendhal distrugge il suo stesso romanzo, e poi gli ‘taglia la testa’, appare un vero e proprio scandalo” (71). Un enigma narrativo Gérard Genette, Verosimiglianza e motivazione: [Al tentato omicidio] “Stendhal ha voluto deliberatemente [...] attribuire, con il suo rifiuto di qualunque spiegazione, quell’individualità selvaggia che costituisce l’imprevedibilità delle grandi azioni – e delle grandi opere. L’accento di verità, a mille miglia da ogni genere di realismo, non si separa qui dal sentimento violento di un’arbitrarietà pienamente assunta, e che trascura di giustificarsi” (77).