Seneca, nella sua indagine scientifica, si chiede anche se sia il cosmo intero a ruotare attorno alla terra, oppure il contrario. Inoltre, afferma che ci furono alcuni studiosi che sostenevano che noi vediamo l’alba e il tramonto del sole non per via di un moto del cosmo, bensì perché siamo noi, sulla terra, a girare. Infatti Seneca prende esempio dalle teorie di Aristarco di Samo e Eraclide Pontico proprio riguardo alla teoria eliocentrica. “Fuerunt enim qui dicerent nos esse quos rerum natura nescientes ferat, nec caeli motu fieri ortus et occasus, nos ipsos oriri et occidere” “Ci furono, infatti, coloro che dissero che noi siamo portati in circolo dalla terra pur non sapendolo, ma l’alba e il tramonto non ci appaiono per un movimento del cielo, bensì siamo noi (muovendoci) a far sorgere e tramontare (il sole)”. (Seneca, Naturales questiones, VII, 2, 3) Seneca riferisce le ipotesi di alcuni pitagorici, tra cui anche Anassagora, i quali affermano che la Terra si muove, o cade, continuamente nello spazio infinito. Riprende, perciò, quest’idea dicendo che, tuttavia, questo moto discendente non possa essere notato da noi che siamo sulla terra, poiché lo spazio in cui la Terra cade è infinito. Perciò non c’è niente in cui questa possa imbattersi durante il suo percorso. “Hoc quidam de terra dixerunt, cum rationem nullam invenirent propter quam pondus in aere staret; fertur, inquiunt, semper, sed non apparet an cadat, quia infinitum est in quod cadit”. “Alcuni dissero questo della Terra, non trovando nessuna ragione per cui il suo peso stesse nell’atmosfera; si muove, dicono, sempre, ma non è evidente se cade poiché c’è l’infinito in ciò in cui cade.” (Seneca, Naturales questiones, VII, 14, 3-4) Secondo Artemidoro, il numero dei pianeti è enorme; afferma che potrebbero apparire stelle nuove con luce più intensa delle stelle normali. Riporta anche altre teorie riguardanti le stelle nuove e il moto degli astri. Infatti Artemidoro riteneva che spesso alcune stelle sono per noi sconosciute a causa del loro moto, che le porta a volte più lontano e a volte più vicino alla Terra. In altri casi, le stelle “nuove” uniscono la loro luce a quella di altre stelle, diffondendo una luce e un calore maggiore rispetto a quelli delle stelle normali. “Ergo intercurrunt quaedam stellae, ut ait, nobis novae, quae lumen suum constantibus misceant et maiorem quam stellis mos est porrigant ignem.” “Quindi, vagano in mezzo (a queste) altre stelle, come disse, per noi nuove, che uniscono la loro luce a quelle che vediamo costantemente e diffondono un fuoco maggiore rispetto a ciò che è uso per le stelle.” (Seneca, Naturales questiones, VII, 13, 1) Per i testi: Seneca, Naturales questiones Per le immagini: • web.tiscalinet.it • www.cosmobit.it • digilander.libero.it Autori: Giulia Greco Letizia Troiani Alberto Imbaglione