IL VIAGGIO di PLINIO IL VECCHIO Sarà una mia opinione, ma la prima lettera contiene alcune informazioni che mi fanno ritenere che i fatti non andarono proprio così come ci vennero descritti da Plinio il Giovane Sarà mia convinzione, ma cosa volete farci siamo in democrazia Di Aniello Langella WWW.VESUVIOWEB.COM LE LETTERE DI PLINIO e L’eruzione del 79 dopo Cristo Prima Parte Le lettere in latino tradotte in italiano Il testo originale e le traduzioni correnti maggiormente accreditate. Seconda parte Le lettere di Plinio. Osservazioni e dati storici. Terza parte Le lettere di Plinio. Osservazioni e dati storici. Quarta parte Immagini del viaggio di Plinio il Vecchio. Disegni dell’autore. Quinta parte Le tappe del viaggio. Disegni dell’autore. Sesta parte Una storia e un viaggio impossibile. Disegni dell’autore. WWW.VESUVIOWEB.COM MISENO ERCOLANO POMPEI STABIA WWW.VESUVIOWEB.COM Il Giovane scrive che lo zio aveva appena “fatto colazione”. Osserva il Vesuvio e resta sorpreso da quei fenomeni della natura, mai osservati prima di allora. Mentre raccoglie le idee gli arriva il messaggio. L’sos di Retina nobildonna che abitava quelle sponde. Retina città o Retina matrona, nel nostro “VIAGGIO” importa poco. Plinio il Vecchio, lui è l’Ammiraglio della Flotta. Ordina di partire. Forse salparono più di una nave. E si diressero tutte verso Ercolano (?). Intanto il Vesuvio era nella fase critica e vomitava verso il cielo una quantità spaventosa di lapilli, cenere e bombe vulcaniche. Lui, il Giovane, scrivendo a Tacito, omette tutta la descrizione dei fatti geologici in questa prima lettera. Eppure un vulcano in eruzione nessuno lo aveva visto prima d’ora. Non ci informa (nella seconda) in che anno avvenne l’eruzione, a che ora e quanto durò. Ma si dimentica anche di dirci i nomi delle città costiere. Le navi passano davanti a Megaride. Intanto la nube sul Vesuvio è minacciosa e nera. Lampi dall’alto e il mare inizia a muoversi con gran tumulto. La nube si allarga e il FUNGO che sovrasta la vetta del Vesuvio è grande ormai. Ma l’Ammiraglio prosegue la sua affannosa corsa in salvataggio dei popoli costieri. “Siamo prossimi, Ammiraglio,…”. Gli urlò la vedetta di prua. “E’ pericoloso”, gridò sudando e tremando il timoniere. “Anch’io ho paura”, pensò tra sé l’Ammiraglio, “ma un fenomeno così spettacolare non l’avevo mai visto”. “Avviciniamoci ancora un po’, ma state attenti al cambio del vento,…”. Urlò Plinio. Erano passati circa 50 minuti da quando erano partiti e la nube sul Vesuvio si era ingigantita. “Ammiraglio, Ammiraglio, a dritta due barche cariche di gente che urla chiedendo aiuto”. Gridò il nocchiero. “Fateli accostare devo parlare con loro”. Così fecero e salirono a bordo due dei rappresentanti delle piccole imbarcazioni salpare poc’anzi da Ercolano. “Ditemi, raccontatemi, per Zeus, cosa accade laggiù”. Chiese imperiosamente l’Ammiraglio”. E intanto il mare minaccioso sbatteva le fiancate delle navi che parevano fuscelli nell’oceano. “La città, la gente, il mare,…Ammiraglio ci aiuti,…il Vesuvio ha distrutto le case e molti sono sulla spiaggia che cercano di scappare”. Disse uno dei fuggiaschi. E Plinio che in quel momento venne preso dalla visione spaventosa della nube che avanzava ebbe solo il tempo di dare ordini e di continuare il viaggio in soccorso di quei disperati. Dunque la missione era di salvataggio di quella popolazione. Le navi proseguirono e gli ercolanesi scampati si diressero verso Napoli. Retina era passata in secondo ordine. Occorreva evidentemente salvare la gente e non un singolo individuo. Più andavano avanti e più le navi venivano sbalzate dalle onde. Sulle tughe bagnate la cenere aveva composto una melma scivolosa e insidiosa. Ora erano proprio sotto la nube orribile e Plinio non esitò a incitare la ciurma nel proseguire. Una delle navi che partecipava valla missione, tuttavia si fermò a raccogliere i fuggiaschi fin qui giunti su piccole imbarcazioni. Furono proprio questi uomini che rientrati poi a Miseno raccontarono ogni cosa. Erano ormai prossime a Ercolano ed erano trascorse circa 2 ore dalla partenza. L’agghiacciante spettacolo del Vesuvio in fiamme, i rumori assordanti ed i boati che salivano dal profondo del mare, gelavano il sangue nelle vene. La costa pullulava di gente che stendeva le braccia, brandiva assi di legno, accendeva fuochi. Una massa di poveri disperati pronti a gettarsi in mare qualora fosse stato necessario. “Andiamo ad aiutarli,…li prenderemo tutti, per Zeus”. Urlò Plinio. D’un tratto il fondo del mare si sollevò e sembrava quasi che le navi si arenassero. La pioggia di ceneri e lapilli continuava implacabile e l’aria carica di polveri faceva tossire qualcuno ogni tanto. Il cielo era ormai coperto e del sole si intravedeva solo il bagliore spento dalla caligine. Era impossibile attraccare a Ercolano. La costa sembrava come sollevata ed il mare sembrava rigettarli indietro. Neppure a Sora era possibile attraccare. Provarono a impostare la rotta con vento favorevole verso Oplonti. Ma anche qui sulla sponda un tempo amena di Oplonti non era possibile attraccare. Tanti fuochi e tanta gente dall’arenile chiamava le navi di Plinio. Un tormento fu quella visione. L’impossibilità di soccorrere quei disgraziati rendeva l’Ammiraglio e tutta la ciurma nervosi, sempre più impauriti e soprattutto inermi. “A Pompei certamente entreremo nel porto, vedrete,…” Disse l’Ammiraglio. Ma davanti alla Petra Herculis il mare sembrava impazzito. Onde altissime e fragorose coprivano lo scoglio dove Zeus aveva un tempietto. Pompei quasi non si vedeva tanto era coperta dalla oscurità della pioggia di cenere e lapilli. E intanto il Vesuvio rombava con tuoni potentissimi e ritmava il cupo suono con boati cadenzati che squassavano il mare, le navi e le membra degli uomini. “Il porto di Pompei non ci vuole”. Disse Plinio. “Non ci resta che dirigerci verso Stabia dove il mare sembra più calmo”. Così fecero e orientarono le prue in quella direzione a favor di vento. Una breve e concitata sosta per raccogliere altri fuggiaschi disperati e alcune barchette di pescatori. Molti a bordo di queste imbarcazioni riuscirono a salvarsi dirigendosi verso Napoli. La nube cupa e mortale aveva invaso ogni cosa e l’aria era diventata irrespirabile. Dalla prua della nave ammiraglia si potevano vedere bagliori di fuochi lungo le sponde di Stabia e tante, tantissime erano le imbarcazioni che scappavano cariche di disperati. Non riuscirono, tuttavia ad attraccare neppure a Stabia. Il mare agitato con onde altissime aveva preso il possesso delle navi partite da Miseno. Gli uomini esausti, infreddoliti dall’adrenalina più che dal freddo avevano perso ogni speranza e ormai non era possibile governare i timoni. L’aria irrespirabile. Il cielo nero e minaccioso aveva fatto sprofondare quel tratto di costa nella notte più buia. In balia delle onde, del maremoto, delle esalazioni di gas, preda della natura, le navi di Plinio, abbandonate al loro destino si infransero sulle sponde tra Pompei e Stabia,…e nulla si seppe più di loro. IL VIAGGIO DELLA MORTE Questa è un’ipotesi. Un’opinione, una lettura critica delle due lettere che non convincono in molti punti. Se è vero che Plinio il Vecchio ricevette quella lettera da Retina e se è vero che egli mosse in suo soccorso con le navi partendo da Miseno, E’ VEROSIMILE CHE I FATTI ANDARONO COSI’ COME VE LI HO DESCRITTI. Di Aniello Langella