Il Home Page Le opere adottate Tre personaggi… La storia I personaggi L’album e il diario Via Santa Chiara porta alle Rigaste Redentore, all'inizio delle quali incontriamo un palazzetto cinquecentesco che funge da ingresso all'area archeologica del Teatro Romano (EPOCA ROMANA), notevole complesso edificato agli inizi del I secolo a.C., al termine della prima fase di urbanizzazione romana. Come per i teatri greci, l'invaso della cavea era stato ricavato dalla pendenza del colle ed era stata edificata una struttura monumentale che gradatamente saliva fino in cima alla collina, sulla quale sorgeva un tempio (ove ora è Castel San Pietro). Preliminare alla costruzione del teatro fu la realizzazione di un muraglione d'argine fra Ponte Pietra, a monte e Ponte Postumio (EPOCA ROMANA), oggi scomparso, a valle. Dietro l'argine si innalzava l'edificio scenico, a tre ordini, alto quanto la cavea, in modo tale da nasconderla completamente alla vista dalla strada. Ne facevano parte anche il muro rettilineo ('postscaenium') ed il fondale fisso ('frons scaene'), con tre nicchie ed altrettante porte d'accesso al palcoscenico e decorato con statue ed architetture su tre piani. Panorama della città dal museo Home page Le opere adottate Tre personaggi… La storia I personaggi L’album e il diario La cavea, semicircolare, con gradinate in pietra, poggiava sulla collina nella parte centrale, mentre lateralmente era sostenuta da volte a botte su muri radiali, ben conservati sul lato orientale. Divisa in due settori sovrapposti, con due livelli di gallerie retrostanti, la cavea era accessibile da due scalinate e da alcuni vomitoria. Seguivano tre terrazze, un tempo chiuse da pareti ornate di semicolonne e nicchioni. La prima terrazza, oggi occupata dai chiostri del convento di San Girolamo, conserva i resti di un ninfeo; la seconda è suddivisa in quattro nicchioni semicircolari ed uno rettangolare; la terza, sopra il piano dell'orchestra, è composta da un nicchione mediano in un ordine di semicolonne con capitelli tuscanici, quattro finestre e una porta a doppia incorniciatura. Sopra, sorgeva il tempio, di incerta consacrazione, di cui si rinvennero le fondamenta durante l'erezione della caserma austriaca. Gli scavi nell'area monumentale, iniziati nel 1757 dall'abate Fontana, continuarono nel 1834-61 con Andrea Monga, archeologo dilettante che acquistò e demolì le case edificate sul teatro, fino a liberare gran parte dell'antico complesso. Gli interventi di recupero proseguirono poi con Gherardo Ghirardini nel 1904-12, Antonio Avena nel 1931-39, fino alle ultime sistemazioni del 1970-71. Vennero risparmiati nell'opera di demolizione, il convento dei Gerolimini (S. Girolamo), ora sede del Museo archeologico e la chiesetta trecentesca dei Ss. Siro e Libera (EPOCA PALEOCRISTIANA), fondata nel 920. La facciata con tetto a capanna presenta un portale ogivale sormontato da protiro pensile affrescato del XIV secolo. La decorazione pittorica è attribuita ad artista veronese del 1366. La scalinata a due rampe con balaustra venne aggiunta nel 1697-1703. L'interno conserva un coro ligneo settecentesco di Andrea Kraft e Rodolfo Siut ed il sepolcro del pittore Giambettino Cignaroli. Dall'ultima fila di gradoni del Teatro Romano si sale con l'ascensore al Museo Archeologico, allestito ed inaugurato da Antonio Avena nel 1924 Home page Le opere adottate Tre personaggi… La storia I personaggi L’album e il diario All'interno dell'ex convento quattrocentesco di san Girolamo. Nella prima sala sono esposti vasi greci ed italici, due mosaici pavimentali provenienti da una villa romana di Negrar, una vera da pozzo con baccanti del I sec. d.C., sculture romane, tra cui Torso di generale con corazza, e testa di personaggio di dinastia giulio–claudio della prima metà del I sec. d.C.. Nel corridoio sono disposti altri ritratti marmorei, fra cui quello del commediografo greco Menandro. Le tre sale successive conservano bronzetti romani (l'Erma femminile bifronte del II sec. d.C.), etruschi, italici, ellenistici, vetri romani, lucerne, vasi in terracotta ed il ritratto del Pestrino d'epoca tardo augustea. Nel refettorio sono conservati mosaici con figurazioni dionisiache e statue drappeggiate per la maggior parte di provenienza veronese, fra cui una figura femminile seduta, di destinazione sacra, forse Afrodite, copia romana del II secolo d.C. di un originale greco. Nel chiostro quattrocentesco sono collocate iscrizioni funerarie romane rinvenute in città. Da qui si accede poi alla chiesetta gotica del convento, edificata nel 1432. Sull'altare è collocato un trittico tardo quattrocentesco con Vergine e Bambino tra i santi Pietro e Giacomo della scuola di Antonio Badile. Nelle lunette dell'abside sono raffigurati Cristo in trono, i santi Pietro Paolo e Girolamo, mentre sull'arco sono dipinte le figure degli Evangelisti, tutti attribuiti a Leonardo Attavanti. Esternamente, è dipinta una Annunciazione di Francesco Caroto del 1508. Da una scala si scende nell'ultima sala, detta delle iscrizioni sacre, in cui sono esposti un mosaico proveniente da una villa romana in piazza Bra, raffigurante Dioniso, frammenti architettonici ed are votive. Da un foro nel pavimento si scorge la grande intercapedine scavata nella roccia per isolare il Teatro dalle infiltrazioni d'acqua. Home page Le opere adottate Tre personaggi… La storia I personaggi L’album e il diario La cavea, semicircolare, con gradinate in pietra, poggiava sulla collina nella parte centrale, mentre lateralmente era sostenuta da volte a botte su muri radiali, ben conservati sul lato orientale. Divisa in due settori sovrapposti, con due livelli di gallerie retrostanti, la cavea era accessibile da due scalinate e da alcuni vomitoria. Seguivano tre terrazze, un tempo chiuse da pareti ornate di semicolonne e nicchioni. La prima terrazza, oggi occupata dai chiostri del convento di San Girolamo, conserva i resti di un ninfeo; la seconda è suddivisa in quattro nicchioni semicircolari ed uno rettangolare; la terza, sopra il piano dell'orchestra, è composta da un nicchione mediano in un ordine di semicolonne con capitelli tuscanici, quattro finestre e una porta a doppia incorniciatura. Sopra, sorgeva il tempio, di incerta consacrazione, di cui si rinvennero le fondamenta durante l'erezione della caserma austriaca. Gli scavi nell'area monumentale, iniziati nel 1757 dall'abate Fontana, continuarono nel 1834-61 con Andrea Monga, archeologo dilettante che acquistò e demolì le case edificate sul teatro, fino a liberare gran parte dell'antico complesso. Gli interventi di recupero proseguirono poi con Gherardo Ghirardini nel 1904-12, Antonio Avena nel 1931-39, fino alle ultime sistemazioni del 1970-71. Vennero risparmiati nell'opera di demolizione, il convento dei Gerolimini (S. Girolamo), ora sede del Museo archeologico e la chiesetta trecentesca dei Ss. Siro e Libera (EPOCA PALEOCRISTIANA), fondata nel 920. La facciata con tetto a capanna presenta un portale ogivale sormontato da protiro pensile affrescato del XIV secolo. La decorazione pittorica è attribuita ad artista veronese del 1366. La scalinata a due rampe con balaustra venne aggiunta nel 1697-1703. L'interno conserva un coro ligneo settecentesco di Andrea Kraft e Rodolfo Siut ed il sepolcro del pittore Giambettino Cignaroli. Dall'ultima fila di gradoni del Teatro Romano si sale con l'ascensore al Museo Archeologico, allestito ed inaugurato da Antonio Avena nel 1924 La famiglia A Roma, così come ad Atene, è necessario distinguere il ruolo della moglie da quello della concubina. La padrona di casa era spesso incaricata dal marito della cura della domus, compito nel quale era aiutata da un vasto numero di schiavi. Il decoro e le preoccupazioni di casta obbligavano una signora ad uscire con le sue domestiche, con dame di compagnia (comites) e con un cavaliere servente (custos) . Questa prigione mobile che la segue dappertutto non ha nulla da invidiare all'harem monogamo o "gineceo" in cui le signore greche, preoccupate dalla loro reputazione, esigevano di essere chiuse a chiave dal marito durante la notte. Nel caso in cui la donna rimanesse vedova, il parentado si affrettava a trovarle un custos; essa era piena di pretendenti che aspiravano alla sua eredità. Nella famiglia il pater familias ha il ruolo di padre, proprietario e, a casa sua, gran sacerdote, capofamiglia il cui potere è sacro e, comunque sia, illimitato per quanto riguarda i suoi figli, sui quali ha diritto di vita e di morte; questo vale anche per sua moglie, nonostante limitazioni introdotte nel Basso Impero. La potenza dello stato restrinse la libertà della donna nelle sue capacità di azione e, principalmente, nel matrimonio. L'impronta di tale restrizione sarà così forte che nel secolo XVI la maggior età (che un tempo era raggiunta a dodici anni per le ragazze e quattordici per i ragazzi) si trova ricondotta alla stessa età fissata a suo tempo da Roma: ossia venticinque anni sia per i ragazzi che per le ragazze. I figli ritenuti minorenni sino ai venticinque anni, soggiacciono alla potestà paterna, e si afferma sempre di più la tendenza della proprietà a diventare monopolio del padre. Torna all’universo bambino La Bulla La parola bulla è Latino per "bolla", e per derivazione per un numero di oggetti di quella forma -- inclusa una borchia come sulle porte bronzee del Pantheon. Il significato più frequente della parola comunque si applica alla bulla praetexta, un pendente indossato dai bambini come collana. Dapprima solo dai bambini patrizi e l'ornamento era d'oro; sicuramente il suo significato doveva essere stato: "Tocca questo bambino con un dito, e avrai a che fare con gente potente." Più tardi ogni bambino nato libero ne indossò una: la bulla plebea era in cuoio. Quando il bambino o bambina raggiungeva un'età apparentemente non precisa, ma tradizionalmente durante i Liberalia del mese di Marzo seguente il dodicesimo anno d'età per le bambine e il quattordicesimo per i bambini, la bulla era deposta con una grande cerimonia; i ragazzi lasciavano anche la toga praetexta ed indossavano la toga virilis. La bulla era in quella occasione dedicata ai Lares. Almeno due esempi della bulla praetexta si possono vedere sull' Ara Pacis a Roma. Torna all’universo bambino Universo femminile romano Le acconciature Lo specchio Tutto per il trucco Una ricostruzione possibile Torna all’universo femminile Universo maschile romano Il ritratto L’imperatore Il gesto carismatico Le armi La corazza I calzari L’universo bambino romano La nascita La famiglia La bulla I giocattoli L’istruzione I GIOCHI DEI PICCOLI Sin dalla prima infanzia, per i bambini romani il gioco era considerato un diritto e anche una forma di attività formativa prima dell'inizio dell'avventura scolastica. Gran parte delle attività ludiche dei bambini era improntata sull'imitazione delle imprese dei grandi e nei giochi di gruppo questo dava spazio all'inventiva dei piccoli, i quali si improvvisavano attori e mettevano in scena vere e proprie parate militari ( infatti la preferenza era data all'imitazione di gesta belliche ) nelle quali ognuno interpretava un personaggio dal grande imperatore al soldato semplice. I ragazzini delle classi sociali più basse si divertivano con giocattoli costrutiti in materiali vari; come il legno, modellato in modo da farlo diventare una barca, un animale, un carrettino; oppure modellando il fango ed essiccandolo; sempre con il fango i bambini costruivano capanne o fortezze militari, proprio come fanno tutt'oggi i loro coetanei costruendo castelli di sabbia sulle nostre spiagge Bambola con arti snodabili Come i maschi, si è detto che imitavano le gesta dei loro colleghi adulti dello stesso sesso, le femmine logicamente giocavano ad imitare la figura materna, e lo facevano di solito con il classico giocattolo che ha caratterizzato e caratterizzerà per sempre il gioco delle bambine di ogni tempo ed età: le bambole (pupae). A noi sono giunti molti esemplari trovati nelle tombe di ragazze morte ancora in giovane età; alcune erano bambole con arti snodabili e fornite di vestiti e mobili Cavallino di terracotta per la casa prorio come alcune bambole moderne. Torna all’universo bambino IL MONDO DI GIOVE Figlio di CRONOS (il Tempo), salvato dalle fauci del padre dalla madre REA (detta anche CIBELE), il piccolo Giove viveva in una grotta del monte IDA, dove la capra AMALTEA gli offriva il latte, le api spontaneamente portavano alle sue labbra il miele e i sacerdoti di Cibele ( i CURETI o CORIBANTI ) facevano terribilmente risuonare armi e scudi, battendoli fra loro con gran forza ogni volta che il piccolo piangeva, perché Cronos non lo udisse e non si accorse dell’inganno di cui era stato vittima. Le NINFE dei boschi alle quali Rea aveva affidato il piccolo Giove lo vegliavano mentre dormiva in una culla d’oro affinché Cronos non potesse trovare il figlio né in cielo, né in Terra, né in mare. Oltre al latte della capra Amaltea, per farlo crescere forte e vigoroso a Giove venivano offerti come cibo l’AMBROSIA portata dalle colombe e il NETTARE portato ogni giorno da un’aquila. Quest’ultima era la bevanda sacra che concede l’immortalità e l’eterna giovinezza. La ninfa ADRASTEIA gli donò a Giove una palla d’oro perché potesse giocare come ogni altro fanciullo. Fin dall’adolescenza Zeus si dedicò a vari giochi di forza e al lancio dei fulmini che venivano fabbricati per lui dai CICLOPI. Un giorno, mentre si stava esercitando in una serie di giochi particolarmente violenti, spezzò senza volere un corno dalla buona capra Amaltea, che venne curata dalla ninfa MELISSA. Per farsi perdonare , Iddio raccolse il corno spezzato, lo riempì di fiori e frutti e lo donò alla ninfa, promettendo che ne sarebbe sempre scaturito tutto ciò che il suo possessore avesse desiderato: è questa la CORNUCOPIA ( o corno dell’abbondanza,) che simboleggia la fertilità del suolo. Per sempre grato alla capra Amaltea, che l’aveva nutrito, Zeus, quando divenne Signore degli Dei ne immortalò l’immagine creando la COSTELLAZIONE DEL CAPRICORNO. Raggiunta la maturità , il Dio si presentò al cospetto del padre , lo costrinse a vomitare i suoi cinque fratelli che aveva divorato, poi, dopo una lunga guerra si impadronì del trono, diventando re degli dei al suo posto. A NETTUNO assegnò il regno del mare, dei laghi e dei fiumi; a PLUTONE il regno dei morti dentro le tenebre della Terra, e a DEMETRA ( Cerere ), dea delle messi, il dominio delle terre: GIUNONE divenne invece sua sposa ed ebbe con lui il dominio del cielo e il governo defli Dei e deglio uomini. Oltre ad essere re degli Dei, Giove, come già si è detto, era anche re degli uomini. Egli rappresentava per loro la Giustizia, la Fede, ed era considerato il custode delle eterne leggi dell’ universo e di tutto ciò che di sacro vi è sulla Terra nei rapporti dei cittadini fra loro e verso lo Stato.Tuttavia egli doveva spesso intervenire sulla Terra per punire i trasgressori delle leggi umane e divine, assicuratrici dell’ ordine e della giustizia. Così avvenne, per esempio, quando PROMETEO rapì dall’officina di Vulcano una favilla di fuoco (allora riservato agli Dei) per farne dono agli uomini, affinché potessero giovarsene per plasmare i metalli e vincere con le arti le difficoltà della vita. La punizione di Giove fu terribile: Prometeo fu legato con catene di ferro ad una rupe del Caucaso, dove ogni giorno un’aquila scendeva su di lui a rodergli il fegato, che sempre rinasceva ad eternare la sua pena. La collera di Giove era poi terribile contro coloro che non rispettavano i giuramenti , che tradivano l’ ospite ,l’amico o la Patria, che opprimevano i deboli, o che condannavano gli innocenti. TORNA AI MITI I miti collegati ai personaggi • Venere • Giove • Marte • Cupido Piace pensare che il messaggio di Botticelli volesse essere proprio questo: Venere che vince Marte, l’amore che sconfigge la violenza, la pace che s’impone sulla guerra. Il Mondo di Marte ARES, figlio di Zeus e di Era, era dio - o meglio, demone - della guerra. Benché membro della famiglia divina dell'Olimpo, egli reca ancora evidenti tracce dei miti demoniaci preomerici, legati alla Terra. Gli altri dei, compreso il padre Zeus, lo snobbano per il suo carattere turbolento e litigioso. Quando nella lotta fra Greci e Troiani, alla quale Ares partecipò a fianco di questi ultimi, sia pure senza motivi ideali, Diomede con l'aiuto di Atena ferì Ares, questi, prorompendo per il dolore in un urlo pari di nove o diecimila combattenti al grido, quando appiccan la zuffa (Iliade, V) risale all'Olimpo per lagnarsi con Zeus, ma non trova comprensione. Zeus infatti lo apostrofa: Fazioso incostante, e a me fra tutti i Celesti odioso. E risse e zuffe e discordia e battaglie, ecco le care tue delizie! e, in modo poco galante, aggiunge: Trasfuso in te conosco di tua madre Giunon l'intollerando inflessibile spirito, a cui mal posso pur colle dolci riparar. (Iliade, V). TORNA AI MITI IL MONDO DI CUPIDO Cupido, dio dell'amore, il cui nome deriva dal verbo latino cupere, "bramare", era considerato nella mitologia romana il figlio di Venere e Vulcano. Lo scrittore latino Apuleio racconta nell'Asino d'oro che il giovane dio si innamorò della bellissima fanciulla Psiche. In altre storie viene descritto come ragazzo dispettoso che si diverte a colpire uomini e dei con le proprie frecce d'argento per farli innamorare perdutamente. A Cupido corrisponde Eros nella mitologia greca ed in origine egli è figlio del Caos, l'abisso buio e silenzioso da cui nacquero tutte le cose, e personificazione dell'armonia. In seguito viene visto come giovane bello ed affascinante accompagnato da Imero, "desiderio", e Foto, "bramosia", ed in epoca più tarda è descritto sempre vicino alla madre Afrodite. Nelle raffigurazioni artistiche il dio viene rappresentato come giovane fanciullo nudo e alato con spesso in mano arco e frecce magiche, a volte bendato per ricordare la cecità dell'amore. TORNA AI MITI IL MONDO DI VENERE Dea della bellezza e dell’amore, AFRODITE o VENERE ( che era chiamata CIPRINIA, CITEREA e PAFIA per il culto speciale che aveva in Cipro, a Citera e a Pafo ) nacque dalla evanescente spuma del mare, in un bel mattino di sole e di colori . Quel giorno l’Olimpo fu in festa. Gli dei stupirono all’apparire di tanta bellezza, ma GIUNONE e MINERVA, fin dal primo momento, sentirono nel cuore il morso della gelosia: capivano istintivamente che da quel momento la loro supremazia sarebbe stata messa in forse da una ben pericolosa rivale. Nessuno, infatti, riusciva a resistere al suo potere: tutti, uomini e animali, persino le piante, a primavera obbedivano al suo dolce richiamo. Anche lei, però, restava spesso e volentieri vittima dei suoi dolci inganni e del suo capriccioso figlio EROS (Cupido), il piccolo dio alato che con le sue frecce d’oro colpiva il cuore di tutti, gli uomini e Dei, facendo nascere in ciascuno, con quell’invisibile ferita, la passione d’amore. Il primo che amò fu ADONE, bellissimo cacciatore, che ebbe il malaugurato destino di essere assalito un giorno da un feroce cinghiale e di rimanerne ferito a morte, versando larghi fiotti di sangue dalle crudeli ferite che avevano lacerato il suo corpo gentile. La dea, impietosita, volle che le sue spoglie, ogni primavera, ritornassero a vivere e a fiorire sotto l’aspetto della anemone, il fiore dall’intenso colore porporino. Dopo Adone, Venere fu sposa di ANCHISE, principe troiano. Da questo matrimonio nacque ENEA, l’eroe che avrebbe condotto i superstiti della distruzione di Troia nella nuova sede assegnata dagli dei, il Lazio, dove i suoi discendenti avrebbero fondato Roma. Ad Anchise il matrimonio con una dea non portò molta fortuna: avendo osato vantarsi di quelle nozze con una immortale, che gli paralizzò le membra fin che visse. Dopo Anchise fu la volta di Vulcano, l’affumicato e zoppo dio dei fabbri al quale Venere andò sposa solo per volere dell’onnipotente GIOVE, che, su richiesta dello stesso VULCANO (anzi, per un suo ricatto), fu indotto a costringere lei, la più bella tra le dee, a sposare il più brutto degli Dei. Anche Venere, come le altre Dee, era inesorabile nelle sue vendette e puniva inflessibilmente chiunque osasse ribellarsi alle sue leggi. Un famoso esempio della crudeltà di Venere è il mito di NARCISO. Più benigna fu invece verso uno scultore di nome PIGMALIONE che ,dopo aver severamente punito per la sua mancanza di amore verso le donne, lasciò vivere felicemente Tra i figli di Venere ricordiamo anche IMENE, dio delle nozze, in onore del quale giovani e giovinette cantavano inni durante le cerimonie solenni dello sposalizio. TORNA AI MITI L’istruzione nell’antica Roma Il materiale – il calendario Corredo di uno scolaro romano composta da stili, calamai e vasetti. Giovane con stilus Piccolo abaco per imparare a contare Con l' istituzione delle scuole pubbliche, venne creato un calendario scolastico che era determinato da quello religioso. L' anno scolastico iniziava a marzo e vi erano delle vacanze nei giorni festivi e ogni nove giorni (nundinae); veniva effettuata una sosta nei mesi più caldi dell' estate. Per quanto riguarda gli orari, le lezioni iniziavano al mattino, con una sosta verso mezzogiorno e venivano riprese nel pomeriggio . Le classi erano composte sia di maschi che di femmine fino all' età di dodici anni, dopo erano essenzialmente formate di soli maschi e di ricca famiglia, mentre le femmine che verso l' età di quattordici anni erano già considerate in età da marito potevano continuare gli studi soltanto per mezzo di insegnanti privati Torna all’universo bambino I personaggi in cerca d’autore……. Sinone : donna patrizia di Verona, moglie di Flavio generale romano e madre di Marcello di 16 anni. Come donna romana, sebbene patrizia, soffre per la dura condizione femminile del suo tempo;la sua dea protettrice è Venere; Flavio Giulio Gavio: Generale Romano , marito di Sinone e padre di Marcello suo primogenito, stanziato a Verona con la famiglia . Devoto marito e generale valoroso. Protetto da Marte e Giove; Marcello Giulio Gavio : figlio di Sinone e di Flavio. Da poco ha indossato la toga virilis diventando con pieno diritto cittadino romano. Protetto da Cupido ; Satirus: simboleggia i vari aspetti della natura e si diverte a cambiare i destini degli uomini. Dispettoso e irriverente è lo spirito che crea il caos e questo lo appaga. La sua risata l’abbiamo sentita spesso…. . Protetto da Dioniso. Dove correva cupido con quell’aria birichina!!! Aria di GUAI Tre personaggi in cerca d’autore, per non parlare del quarto! Piccole storie create dalla terza C ispirate alle opere del museo Torna al menu Marcello racconta: Io son Cupido ma, non vi sbagliate,non sono il putto del profano amore,Eros non sono. Io mi chiamo Amore platonico di voi ch’ancor sognate danzar nei prati ninfe inghirlandate. Io son Cupido che scaglia il furore sfonda porte chiuse dentro il cuore che s’aprono su vene inesplorate; la mia saetta incendia la Bellezza, nella marmorea Gloria fa la breccia, avvampa Storia e ne squaglia l’asprezza, d’ermetica Poesia scioglie la treccia.Mal non vi fa. E’ come una carezza,non discosta te il petto alla mia freccia. Mi piacciono molto queste parole che inneggiano all’amor platonico. Non so chi le abbia scritte,forse sono state scritte in un tempo non mio, ma per me ormai il tempo non esiste e appartengo all’infinito. Ricordo però il mio amore per una fanciulla che vedo passare con la madre, magra e pallida , bella e gentile che è entrata nei miei sogni. Il dardo di Cupido mi ha colpito e ho 16 anni. Ho ricevuto oggi 17 marzo la toga virilis durante una cerimonia vicino al nuovo anfiteatro di Verona. In quella occasione vedo mio padre prima che parta per una campagna di conquista. La mamma e le mie sorelle sono a casa e penso che mi sarebbe piaciuto condividere con loro questo momento, ma alle donne non è permesso partecipare a tali eventi. La tunica bianca con il bordo porpora mi fa sentire diverso e sono consapevole che oggi lascio il mio mondo di bambino per quello degli adulti. Dopo la cerimonia ho il permesso di tornare a casa da solo. Mio padre mettendomi la mano sul capo sorride . Il sorriso di mio padre è prezioso e raro . Le strade di Verona sono sempre piene di gente e il foro, la piazza del mercato, chiassoso e animato. Mi piace farmi vedere con la mia toga da uomo e senza veramente sperarci cerco tra la gente quella ragazza magra che cupido ha fatto entrare nella mia vita. Sulle bancarelle ogni tipo di merce di tutti i colori e mille odori si mescolano nell’aria tersa di un giorno quasi primavrile a Verona nel I sec. dopo Cristo. Una vecchia fruttivendola che conosce mia madre mi ha regalato una mela rossa e con ingordigia la mordo quando mi trovo di fronte il mio sogno, da sola senza la madre e guarda me. Il boccone di mela mi va di traverso e comincio a tossire mentre strabuzzo occhi e me la prendo con gli dei ! Ma lei preoccupata per il mio stato di salute si avvicina e con delicatezza mi batte sulla schiena con una forza che mi stupisce. Mia dottoressa, mia salvatrice, in un attimo ha saputo risolvere il mio problema e sorride e chiede come sto. Non è frequente poter conoscere giovani donne e poter parlare con loro, ma a me è accaduto e con la ragazza dei miei sogni. O cupido come farò a sdebitarmi con te per questo momento divino! Capii che Cupido ha scagliato due frecce perché anche lei aveva negli occhi l’ardore dell’amore. Non riuscivo a parlare e dico solo che sta bene, ma voglio regalarle qualcosa e non possiedo niente. Senza riflettere mi sfilo dal collo la bulla d’oro che mi hanno messo al collo da bambino e gliela porgo sussurandole qualcosa che non ricordo perché il cuore pulsa fortissimo e la testa sembra annebbiata dolcemente. Il suo sguardo è severo ma caldo e il suo grazie accompagnato da un timido cenno della testa. Si chiama Amore o almeno la chiamo così perché mi sono dimenticato di chiedere il suo nome. La vedo allontanarsi confusa e si gira verso di me quando la sua figura è ormai troppo lontana per vedere ancora i suoi occhi verdi. La città da quel momento è sparita e torno a casa con le ali di cupido e il cuore trionfante. La toga e l’amore nello stesso giorno , troppe emozioni per un sedicenne anche se dell’impero romano. Entro nel vestibolo mi viene incontro una delle mie sorelle Egle che mi bacia annunciandomi che nostro padre partiva la sera stessa per combattere a fianco dell’Imperatore. Mia madre è nel peristilio vicino ad una fontana adornata da un faunetto dal sorriso beffardo. Mia madre mi chiama con un cenno della mano e mi guarda orgogliosa vedendomi con quella tunica che mi rende adulto e i capelli corti. I suoi sorrisi sono preziosi come quelli di mio padre ma molto meno rari; questa volta però negli occhi brilla una luce malinconica che ben cela. E’ preoccupata per mio padre che parte verso l’ignoto. L’abbraccio come non si conviene ad un novello togato ma mi concedo un’ultima volta da bambino. Appoggiata ad uno sgabello la lorica di mio padre pronta e lucidata. E’ la lorica da sfilata, la più ricca di decorazioni, da usare dopo la vittoria per il trionfo. Mi piace molto, specialmente la decorazione sul dorso costituita da un bellissimo grifone e tralci vegetali. Ci passai sopra le dita per sentire il rilievo che un ignoto artigiano ha tanto abilmente realizzato. Per un attimo dimentico la fanciulla e penso alla partenza di mio padre e al giorno in cui l’avrei accompagnato in una delle sue campagne di conquista. Non sarei mai stato come lui, non avrei mai potuto eguagliarlo in coraggio e forza. Non ho visto mio padre quella sera , parte senza salutarmi come sempre e io sono nella mia cubicola con gli occhi sbarrati perché l’eccitazione della giornata mi impedisce di dormire, ma sogno lo stesso. Nei giorni che seguono, grazie alla mia maggiore indipendenza, posso rivedere spesso la mia dolce Elena di cui ormai so tutto e passeggiare con lei seguendo l’Adige che cristallino e frizzante come le nostre risate ci rende quei momenti unici luccicando al sole. Ma le cose belle durano sempre poco, come i sogni. Elena è una plebea e Satirus, un nostro servo fedele e impiccione ci vede e corre da mia madre a raccontarle quale terribile azione ho compiuto e come ho ingannato tutti accompagnandomi ad una donna non degna della mia gentes. Cupido mi ha forse abbandonato . Vengo richiamato dagli anziani e dal mio maestro Properzio grande letterato. E’ momento terribile e non posso dire nulla a mia discolpa , sto a testa bassa sperando di riuscire a sopravvivere mentre satirus se la ride . Io voglio rivedere Elena , mentre tutti mi sciorinano le loro prediche io voglio solo rivedere Elena. In assenza di mio padre è lo zio Gaio a decretare la mia punizione. Si decide di mandarmi lontano da Verona e rinchiuso in una durissima scuola per giovani patrizi ribelli come me. Nella mia cubicola stravolto maledico Satirus e la sua odiosa solerzia ma sono deciso a salutare la mia Elena per l’ultima volta. Mia madre mi chiama e sebbene si mostri infuriata e severa so che mi capisce. La mamma conosce l’amore e io lo albergo dentro di me come lei. La imploro di poter vedere Elena per l’ultima volta e lei non sa negarmelo raccomandandomi di farlo di nascosto da tutti. La bacio radioso e scappo seguito da un ormai lontano : “mi raccomando Marcello!” Il cielo è arancione e rosso quando raggiungo il ponte dove trovo la felicità con Elena e lei è lì appoggiata al parapetto a guardare il tramonto con aria malinconica. La fine della giornata decreta la fine del nostro idillio e guardandola negli occhi belli e profondi gli dico addio tra le lacrime e le giuro eterno amore. Non sono mai riuscito a strappare dal mio cuore la freccia di Cupido e il ricordo del suo bel viso ha scaldato le mie giornate future. Elena mi porge la bulla che le ho regalato nel nostro primo incontro e io stringo la sua bella mano e gliela riconsegno per sempre. Tenendoci per mano come due ombre nel sole godiamo di questi momenti intensamente e anche quando divento adulto e ho altri amori e figli e ferite di guerra il ricordo di Elena scalda il mio cuore e una stilla di sangue esce da questa ferita causata dalla freccia di Cupido. Satirus ha distrutto un momento felice ma senza volerlo lo ha reso eterno. elmo principes gladio Che sguardo aveva prima della battaglia. A cosa pensava…. lorica Flavio Racconta:‘ Su Bellona portami l'elmo, e tu Paura preparami il carro; il Dio Spavento porrà il morso ai veloci destrieri.' “Ubi tu Gaius, ego Gaia” è questa la formula che suggella il matrimonio e che Sinone ha pronunziato con tanta dolcezza vestita di una candida tunica e un mantello colorato di amaranto. I suoi capelli acconciati e legati con nastri e sul capo un velo rosso acceso che scende a coprire metà del bel viso. Feliciter! Talassio! Talassio gridano amici e parenti. Ricordo con vivezza e sorrido guardando Marcello il mio primogenito ormai adulto che riceve la toga virilis. Marcello non ha l’animo del guerriero, è troppo sensibile ma ho intenzione di rafforzare il suo spirito con allenamenti virili e forgiarlo come si addice ad un giovane romano. Oggi 17 marzo però devo partire, L’Imperatore mi ha convocato urgentemente e in pochi giorni devo raggiungerlo. E’ la mia decima campagna di guerra. E’ doloroso lasciare la mia Sinone , la mia compagna e madre dei miei figli. Ho ordinato un suo ritratto ad uno scultore greco voglio che sia per i Veronesi una dea Venere come lo è per me. Lei ha di certo pensato a tutto per la mia partenza e la mia lorica da parata è sicuramente lucida. Quella corazza mi accompagna sempre e mi porta fortuna. Il grifone, custode di Apollo, sbalzato sul torso ha un significato davvero particolare per me. Il mio imperatore ne ha uno uguale sulla sua Lorica. Marcello mi chiede di andare a casa da solo e capisco che vuole farsi vedere subito da sua madre con la sua nuova toga e i capelli corti. Mi ricordo la sua nascita con grande emozione. Quando l’ho preso fra le braccia e l’ho tenuto ritto sopra la testa riconoscendolo come mio figlio e membro della famiglia e quando dopo nove giorni ho appeso al tenero collo la bulla d’oro, un medaglione con dentro un amuleto ereditato da mio padre. Devo organizzare la mia partenza e ordinare ai miei uomini più fidati di preparare i cavalli e il carro con i bagagli. Satirus mi accompagna sempre ma Sinone non ama questo mio servo dai capelli ispidi e il piccolo naso arricciato, non si fida di lui, lo considera dispettoso; eppure Satirus mi accompagna fin da quando bambino ho preso la mia toga virilis. Ma è vero che egli in più occasioni, senza volere, ha scatenato la gelosia di Sinone per via di alcune confidenze da lui riportate che mi facevano apparire colpevole di chissà quali tradimenti. E’ quanto ho penato per consolare Sinone e dimostrargli la mia buona fede; gli ordino di comprare del materiale che mi serve nel viaggio e passando dal nuovo anfiteatro di Verona dove si svolgono incredibili spettacoli, raggiungo la mia casa dove trovo Sinone . Sinone è sempre più bella e ringrazio Marte e Giove per avermi donato un fiore dell’Olimpo. La sera è triste se precede una partenza di cui non si conosce il ritorno. Cerco di scherzare con lei raccontandole la bella cerimonia di Marcello e le accarezzo con tenerezza i morbidi riccioluti capelli. So che è triste ma non vuole rovinare i pochi momenti che possiamo condividere prima della partenza. Siamo soli e una fievole luce della candela illumina il suo bel viso vibrando. Le parole sembrano inutili e l’abbraccio appassionato cercando di nascondere la commozione. Lascio la casa con la morte nel cuore e non saluto nemmeno i miei figli, non ho il coraggio. Forse sto diventando vecchio e le mischie feroci delle battaglie non rappresentano più per me la ragione unica della mia vita. SINONE RACCONTA: Sinone Raccona : Son io Venere Urània, questo dite, son io che raffiguro lo splendore, son io lo specchio del celeste Amore, la più lontana dal regno di Dite. Voi mi chiamate Venere Afrodite, il mirto è la mia pianta ed il colore ch’amo di più dipinto è dalle aurore quando le lunghe notti son finite. Io son la donna che dirige il coro delle tre Grazie e irradia le fiammelle, che veste la mantella del decoro che cinge il grembo delle verginelle; nei miei giardini cresce il Pomo d’Oro, son Venere Uranìe, dea delle stelle. La bellezza per le donne romane è importante e ogni mezzo è lecito per apparire ancora più attraenti. La vita è interamente dedicata agli altri e per gli altri si deve essere sempre al meglio. Almeno noi donne patrizie, più fortunate delle donne plebee la cui bellezza sfiorisce ben presto cancellata da fatica, botte e parti. La mia condizione femminile oggi 17 marzo mi pesa di più del solito perchè mio figlio Marcello riceve per i suoi 16 anni la toga virilis e io non sono con lui. A noi donne è preclusa la partecipazione alla vita pubblica. Questo giorno non l’ho mai scordato. Mio marito Flavio parte per una delle sue campagne di conquista in luoghi sempre più lontani e sconosciuti per la gloria dell’Impero romano. Flavio mi ama e questa situazione per una donna anche se patrizia è rara perché i matrimoni sono decisi dai genitori senza che i due sposi si vedano prima. Ma Venere mi ha aiutato regalandomi un uomo buono e generoso. Penso a questo mentre nel peristilio godo della frescura delle piante vicino alla fontanella col satiro e considero quali ordini dovrei dare ai servi per l’imminente partenza e a quanto sarebbe durato questo nuovo distacco. Flavio ha ordinato un mio ritratto ad uno scultore greco bravissimo e durante la sua assenza ho posato affinchè i miei lineamenti siano trasposti nella pietra da abili mani d’artista. La mia testa è stata montata in un bellissimo corpo ammantato e sdraiato allo stile di Fidia il grande maestro greco. Chi più dei greci mostrano attitudine alla forma plastica?. E’ un grande onore per me e un giorno i miei figli hanno ricordato la propria madre come una Venere. Ma i miei occhi non possono che fissare la lorica trionfale di Flavio appoggiata ad uno sgabello insieme al paludamentum pronti per seguire il suo proprietario. Ma ecco la luce dei miei occhi entrare di corsa con la sua fiammante toga nuova. Sorrido e dimentico per un attimo i miei affanni di moglie. Marcello il mio primogenito torna dalla cerimonia e orgoglioso si mostra nel suo nuovo aspetto da uomo. Ha una strana luce negli occhi, mi sembra diverso, raggiante. Mi abbraccia come da bambino e lo sento caldo , tremante. Tanta eccitazione per la toga? Mi racconta ogni cosa mentre Egle la mia secondogenita ascolta affascinata le storie di un universo a lei proibito. La sera arriva implacabile e l’addio è dolce e amaro con la stessa intensità. Siamo soli e Flavio sorride pensando alla cerimonia di Marcello e traspare il suo orgoglio di padre e la sua mano che ha ucciso tanti nemici mi accarezza con una delicatezza sorprendente. Fingiamo tutte e due che nulla possa cambiare e non vogliamo guastare le poche ore che ci restano da condividere prima che lui indossi la penula per il lungo viaggio. Prego Marte che lo salvaguardi e come sempre col suo carro lo riporti a casa presto. Tra noi sono finite le parole e ci abbracciamo per non sentire la paura. Marcello è diventato stranamente vivace in contrasto alla sua naturale riservatezza e mi chiedo quale ragione lo rende cosi irrequieto; usce spesso e in casa sembra sfuggire ai miei sguardi interlocutori. Non è come suo padre, un guerriero, è troppo sensibile, delicato anche se caparbio e molto intelligente come ripete il suo maestro Properzio. Dopo aver indossato la tunica di seta e la palla per uscire mi fermo perché vedo arrivare affannato Satirus il nostro servo e inchinandosi davanti a me comunica con la sua voce roca e sbiascicante che ha visto Marcello accompagnarsi in città sul ponte nuovo ad una giovane plebea di nome Elena verso cui mostra dedizione amorosa. Ecco scoperto l’arcano! Eros ha colpito con il suo dardo infuocato le povere tenere carni di Marcello. Trattengo a stento un sorriso di tenerezza per l’ardire sorprendente del mio timido figlio per assumere il ruolo di madre severa. Satirus ci è fedele ma provo verso questo servo un certo disagio e sospetto che ami seminare zizzania, forse sono i suoi occhi che hanno una luce strana. Marcello certo paga per la sua azione e tremo al pensiero di quando il padre saprà. Il fratello di Flavio, Gaio Giulio convoca gli anziani e in assenza di Flavio decide il destino di Marcello. Non sono presente quando mio figlio viene duramente richiamato e gli viene ordinato di allontanarsi da Verona per raggiungere una speciale e dura scuola. Sono angosciata e aspetto che Marcello mi raggiunga per affogare nel mio petto il suo dolore. Forse potrò alleviare le sue sofferenze. L’ho fatto chiamare e dovrò mostrarmi dura come si addice ad una madre romana. Marcello sembra sereno e mi stupisce, non si getta piangente tra le mie braccia ; mi chiede con forza di rivedere per l’ultima volta Elena , la fanciulla plebea. Non so bene perché lo accontento, vado contro i miei principi ma il suo amore è puro, un sentimento cristallino che forse non proverà più. Non faccio in tempo a dire “Mi raccomando Marcello” che lui guizza via come un fulmine. Satirus ghigna in un angolo e spero non crei altri problemi al povero Marcello. Anche mio figlio parte e non potrò far nulla per fermarlo e quel tramonto rosso fuoco segna due dolorosi distacchi. Venere è con me e protegge i miei cari. Una lacrima solca il mio viso ma sono sola e posso finalmente piangere. Lo stesso guizzo nello sguardo…… Lorica Durante le guerre puniche le corazze dei soldati romani erano di due tipi: chi si pagava da solo l’equipaggiamento poteva permettersi la casacca di maglia di ferro lunga fino alla coscia, dotata di due spallacci anch’essi metallici; se l’equipaggiamento era fornito dallo stato, la corazza si riduceva a due placche quadrate di bronzo, di circa 30 centimetri di lato, fissate al petto e alla schiena da corregge di cuoio. Si pensa che fra gli hastati prevalesse la corazza di tipo economico e fra i triarii, più anziani e spesso più ricchi, quella più costosa; tra i principes probabilmente erano diffusi entrambi i tipi. TORNA ALL’UNIVERSO UOMO Gladio Nel III secolo a.C. i romani vennero in contatto con gli Iberici e ne apprezzarono talmente le spade da adottarne l’uso nelle legioni. La spada spagnola (gladius hispaniensis) era un’arma lunga circa 60 centimetri e veniva forgiata in un acciaio migliore di quello italico; aveva una lama a forma di foglia che si allargava leggermente verso la punta e risultava molto maneggevole nello scontro ravvicinato, perché poteva essere usata sia di taglio che di punta. Era l’arma più importante dell’equipaggiamento del legionario che, scagliati i suoi pila, la usava nello scontro corpo a corpo. TORNA ALL’UNIVERSO UOMO Non era previsto !!! Il quarto personaggio: il satiro dispettoso Soggettive della Terza C dal Museo Archeologico di Verona Diario fotografico Come tutti i battesimi anche questo al museo è tradizionalmente bagnato Sentiamo strane presenze attorno a noi! Saliamo in alto verso la meta Sogniamo o siam desti! All’interno delle sale ci sentiamo come osservati, eppure eravamo venuti per osservare! Passiamo all’azione ma….ci sentiamo sempre scrutati , eppure ci sono solo statue … affascinati dalla magica atmosfera del museo che ci ispirava avventure fantastiche Chissà quanti tesori si nascondono in questo museo Solo tesori d’Arte però! Clicca sulla divinità che senti più tua e scopri il tuo profilo cupido satiro venere zeus marte Home page Clicca sopra l’immagine se ne vuoi saperne di più 1 5 2 6 3 7 8 4 9 10 Scheda di analisi per la lettura critica Museo archeologico “Teatro romano” Verona Collocazione nella sala n. Eseguita il Da Munari Elisa e Consolini Marianna CARTA DI IDENTITA’ Soggetto Figura femminile Titolo Statua iconica del tipo della pudicizia Autore / Attribuzione Arte romana di derivazione greca Cronologia Inizi II secolo d.C. Collocazione originaria Piazza del Duomo, Verona Altre eventuali collocazioni / Tecnica e materiali Statua a tutto tondo; marmo bianco saccaroide Dimensioni Altezza: 164 cm; Larghezza: 49 cm Stato di conservazione e restauri Buono, vi sono delle parti mancanti; nessun restauro Notizie storiche Fonti Eventuali confronti Eventuali parti mancanti Eventuali iscrizioni Curiosità,aneddoti, notizie sul restauro Testa, piede sinistro, mano sinistra Era coperta da una patina bronzea, nella cavità del collo veniva appoggiata una testa – ritratto La nostra galleria Non solo opere d’arte! Abbiamo voluto raccogliere in questa sezione tutti gli schizzi realizzati da noi . Alcuni rappresentano l’opera intera e altri dei particolari.Divertitevi a collegare il disegno alla rispettiva opera. Non sempre sarà facile! Home page Le opere adottate Tre personaggi… La storia I personaggi L’album e il diario Il progetto “Atelier museo” : un museo per aula ringrazia il Museo Archeologico di Verona per la disponibilità e l’appoggio nello svolgimento delle attività, ringrazia la Dott.ssa Margherita Bolla per la sempre gentile presenza e cortesia con cui ha seguito tutte le fasi del progetto, ringrazia l’archeologa Gilda per la grande professionalità con cui ha guidato la classe a scoprire mondi lontani. La classe III C – le insegnanti Daniela Baldo e Manuela Pasquotto.