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Le opere adottate
Tre personaggi…
La storia
I personaggi
L’album e il diario
Via Santa Chiara porta alle Rigaste Redentore, all'inizio delle quali incontriamo un
palazzetto cinquecentesco che funge da ingresso all'area archeologica del Teatro
Romano (EPOCA ROMANA), notevole complesso edificato agli inizi del I secolo
a.C., al termine della prima fase di urbanizzazione romana. Come per i teatri greci,
l'invaso della cavea era stato ricavato dalla pendenza del colle ed era stata edificata una
struttura monumentale che gradatamente saliva fino in cima alla collina, sulla quale
sorgeva un tempio (ove ora è Castel San Pietro). Preliminare alla costruzione del teatro
fu la realizzazione di un muraglione d'argine fra Ponte Pietra, a monte e Ponte
Postumio (EPOCA ROMANA), oggi scomparso, a valle. Dietro l'argine si innalzava
l'edificio scenico, a tre ordini, alto quanto la cavea, in modo tale da nasconderla
completamente alla vista dalla strada. Ne facevano parte anche il muro rettilineo ('postscaenium') ed il fondale fisso ('frons scaene'), con tre nicchie ed altrettante porte
d'accesso al palcoscenico e decorato con statue ed architetture su tre piani.
Panorama della
città dal museo
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Tre personaggi…
La storia
I personaggi
L’album e il diario
La cavea, semicircolare, con gradinate in pietra, poggiava sulla collina nella parte
centrale, mentre lateralmente era sostenuta da volte a botte su muri radiali, ben
conservati sul lato orientale. Divisa in due settori sovrapposti, con due livelli di
gallerie retrostanti, la cavea era accessibile da due scalinate e da alcuni vomitoria.
Seguivano tre terrazze, un tempo chiuse da pareti ornate di semicolonne e
nicchioni. La prima terrazza, oggi occupata dai chiostri del convento di San
Girolamo, conserva i resti di un ninfeo; la seconda è suddivisa in quattro nicchioni
semicircolari ed uno rettangolare; la terza, sopra il piano dell'orchestra, è composta
da un nicchione mediano in un ordine di semicolonne con capitelli tuscanici,
quattro finestre e una porta a doppia incorniciatura. Sopra, sorgeva il tempio, di
incerta consacrazione, di cui si rinvennero le fondamenta durante l'erezione della
caserma austriaca. Gli scavi nell'area monumentale, iniziati nel 1757 dall'abate
Fontana, continuarono nel 1834-61 con Andrea Monga, archeologo dilettante che
acquistò e demolì le case edificate sul teatro, fino a liberare gran parte dell'antico
complesso. Gli interventi di recupero proseguirono poi con Gherardo Ghirardini nel
1904-12, Antonio Avena nel 1931-39, fino alle ultime sistemazioni del 1970-71.
Vennero risparmiati nell'opera di demolizione, il convento dei Gerolimini (S.
Girolamo), ora sede del Museo archeologico e la chiesetta trecentesca dei Ss. Siro e
Libera (EPOCA PALEOCRISTIANA), fondata nel 920. La facciata con tetto a
capanna presenta un portale ogivale sormontato da protiro pensile affrescato del
XIV secolo. La decorazione pittorica è attribuita ad artista veronese del 1366. La
scalinata a due rampe con balaustra venne aggiunta nel 1697-1703. L'interno
conserva un coro ligneo settecentesco di Andrea Kraft e Rodolfo Siut ed il sepolcro
del pittore Giambettino Cignaroli. Dall'ultima fila di gradoni del Teatro Romano si
sale con l'ascensore al Museo Archeologico, allestito ed inaugurato da Antonio
Avena nel 1924
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Tre personaggi…
La storia
I personaggi
L’album e il diario
All'interno dell'ex convento quattrocentesco di san Girolamo. Nella prima sala sono
esposti vasi greci ed italici, due mosaici pavimentali provenienti da una villa romana di
Negrar, una vera da pozzo con baccanti del I sec. d.C., sculture romane, tra cui Torso di
generale con corazza, e testa di personaggio di dinastia giulio–claudio della prima metà
del I sec. d.C.. Nel corridoio sono disposti altri ritratti marmorei, fra cui quello del
commediografo greco Menandro. Le tre sale successive conservano bronzetti romani
(l'Erma femminile bifronte del II sec. d.C.), etruschi, italici, ellenistici, vetri romani,
lucerne, vasi in terracotta ed il ritratto del Pestrino d'epoca tardo augustea. Nel refettorio
sono conservati mosaici con figurazioni dionisiache e statue drappeggiate per la
maggior parte di provenienza veronese, fra cui una figura femminile seduta, di
destinazione sacra, forse Afrodite, copia romana del II secolo d.C. di un originale greco.
Nel chiostro quattrocentesco sono collocate iscrizioni funerarie romane rinvenute in
città. Da qui si accede poi alla chiesetta gotica del convento, edificata nel 1432.
Sull'altare è collocato un trittico tardo quattrocentesco con Vergine e Bambino tra i santi
Pietro e Giacomo della scuola di Antonio Badile. Nelle lunette dell'abside sono
raffigurati Cristo in trono, i santi Pietro Paolo e Girolamo, mentre sull'arco sono dipinte
le figure degli Evangelisti, tutti attribuiti a Leonardo Attavanti. Esternamente, è dipinta
una Annunciazione di Francesco Caroto del 1508. Da una scala si scende nell'ultima
sala, detta delle iscrizioni sacre, in cui sono esposti un mosaico proveniente da una villa
romana in piazza Bra, raffigurante Dioniso, frammenti architettonici ed are votive. Da
un foro nel pavimento si scorge la grande intercapedine scavata nella roccia per isolare
il Teatro dalle infiltrazioni d'acqua.
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Tre personaggi…
La storia
I personaggi
L’album e il diario
La cavea, semicircolare, con gradinate in pietra, poggiava sulla collina nella parte
centrale, mentre lateralmente era sostenuta da volte a botte su muri radiali, ben
conservati sul lato orientale. Divisa in due settori sovrapposti, con due livelli di
gallerie retrostanti, la cavea era accessibile da due scalinate e da alcuni vomitoria.
Seguivano tre terrazze, un tempo chiuse da pareti ornate di semicolonne e
nicchioni. La prima terrazza, oggi occupata dai chiostri del convento di San
Girolamo, conserva i resti di un ninfeo; la seconda è suddivisa in quattro nicchioni
semicircolari ed uno rettangolare; la terza, sopra il piano dell'orchestra, è composta
da un nicchione mediano in un ordine di semicolonne con capitelli tuscanici,
quattro finestre e una porta a doppia incorniciatura. Sopra, sorgeva il tempio, di
incerta consacrazione, di cui si rinvennero le fondamenta durante l'erezione della
caserma austriaca. Gli scavi nell'area monumentale, iniziati nel 1757 dall'abate
Fontana, continuarono nel 1834-61 con Andrea Monga, archeologo dilettante che
acquistò e demolì le case edificate sul teatro, fino a liberare gran parte dell'antico
complesso. Gli interventi di recupero proseguirono poi con Gherardo Ghirardini nel
1904-12, Antonio Avena nel 1931-39, fino alle ultime sistemazioni del 1970-71.
Vennero risparmiati nell'opera di demolizione, il convento dei Gerolimini (S.
Girolamo), ora sede del Museo archeologico e la chiesetta trecentesca dei Ss. Siro e
Libera (EPOCA PALEOCRISTIANA), fondata nel 920. La facciata con tetto a
capanna presenta un portale ogivale sormontato da protiro pensile affrescato del
XIV secolo. La decorazione pittorica è attribuita ad artista veronese del 1366. La
scalinata a due rampe con balaustra venne aggiunta nel 1697-1703. L'interno
conserva un coro ligneo settecentesco di Andrea Kraft e Rodolfo Siut ed il sepolcro
del pittore Giambettino Cignaroli. Dall'ultima fila di gradoni del Teatro Romano si
sale con l'ascensore al Museo Archeologico, allestito ed inaugurato da Antonio
Avena nel 1924
La famiglia
A Roma, così come ad Atene, è necessario distinguere il ruolo della moglie
da quello della concubina. La padrona di casa era spesso incaricata dal
marito della cura della domus, compito nel quale era aiutata da un vasto
numero di schiavi. Il decoro e le preoccupazioni di casta obbligavano una
signora ad uscire con le sue domestiche, con dame di compagnia (comites) e
con un cavaliere servente (custos) . Questa prigione mobile che la segue
dappertutto non ha nulla da invidiare all'harem monogamo o "gineceo" in cui
le signore greche, preoccupate dalla loro reputazione, esigevano di essere
chiuse a chiave dal marito durante la notte. Nel caso in cui la donna
rimanesse vedova, il parentado si affrettava a trovarle un custos; essa era
piena di pretendenti che aspiravano alla sua eredità.
Nella famiglia il pater familias ha il ruolo di padre, proprietario e, a casa
sua, gran sacerdote, capofamiglia il cui potere è sacro e, comunque sia,
illimitato per quanto riguarda i suoi figli, sui quali ha diritto di vita e di
morte; questo vale anche per sua moglie, nonostante limitazioni introdotte
nel Basso Impero. La potenza dello stato restrinse la libertà della donna
nelle sue capacità di azione e, principalmente, nel matrimonio. L'impronta di
tale restrizione sarà così forte che nel secolo XVI la maggior età (che un
tempo era raggiunta a dodici anni per le ragazze e quattordici per i
ragazzi) si trova ricondotta alla stessa età fissata a suo tempo da Roma:
ossia venticinque anni sia per i ragazzi che per le ragazze. I figli ritenuti
minorenni sino ai venticinque anni, soggiacciono alla potestà paterna, e si
afferma sempre di più la tendenza della proprietà a diventare monopolio
del padre.
Torna all’universo bambino
La Bulla
La parola bulla è Latino per "bolla", e per derivazione per un
numero di oggetti di quella forma -- inclusa una borchia come sulle
porte bronzee del Pantheon.
Il significato più frequente della parola comunque si applica alla
bulla praetexta, un pendente indossato dai bambini come collana.
Dapprima solo dai bambini patrizi e l'ornamento era d'oro;
sicuramente il suo significato doveva essere stato: "Tocca questo
bambino con un dito, e avrai a che fare con gente potente." Più
tardi ogni bambino nato libero ne indossò una: la bulla plebea era in
cuoio.
Quando il bambino o bambina raggiungeva un'età
apparentemente non precisa, ma tradizionalmente durante i
Liberalia del mese di Marzo seguente il dodicesimo anno d'età per
le bambine e il quattordicesimo per i bambini, la bulla era deposta
con una grande cerimonia; i ragazzi lasciavano anche la toga
praetexta ed indossavano la toga virilis. La bulla era in quella
occasione dedicata ai Lares.
Almeno due esempi della bulla praetexta si possono vedere sull'
Ara Pacis a Roma.
Torna all’universo bambino
Universo femminile romano
Le acconciature
Lo specchio
Tutto per il trucco
Una ricostruzione possibile
Torna all’universo femminile
Universo maschile romano
Il ritratto
L’imperatore
Il gesto carismatico
Le armi
La corazza
I calzari
L’universo bambino romano
La nascita
La famiglia
La bulla
I giocattoli
L’istruzione
I GIOCHI DEI PICCOLI
Sin dalla prima infanzia, per i bambini romani il gioco era
considerato un diritto e anche una forma di attività formativa
prima dell'inizio dell'avventura scolastica. Gran parte delle attività
ludiche dei bambini era improntata sull'imitazione delle imprese
dei grandi e nei giochi di gruppo questo dava spazio all'inventiva
dei piccoli, i quali si improvvisavano attori e mettevano in scena
vere e proprie parate militari ( infatti la preferenza era data
all'imitazione di gesta belliche ) nelle quali ognuno interpretava un
personaggio dal grande imperatore al soldato semplice.
I ragazzini delle classi sociali più basse si divertivano con
giocattoli costrutiti in materiali vari; come il legno, modellato in
modo da farlo diventare una barca, un animale, un carrettino;
oppure modellando il fango ed essiccandolo; sempre con il fango i
bambini costruivano capanne o fortezze militari, proprio come
fanno tutt'oggi i loro coetanei costruendo castelli di sabbia sulle
nostre spiagge
Bambola con arti snodabili
Come i maschi, si è detto che imitavano le gesta dei loro
colleghi adulti dello stesso sesso, le femmine
logicamente giocavano ad imitare la figura materna, e lo
facevano di solito con il classico giocattolo che ha
caratterizzato e caratterizzerà per sempre il gioco
delle bambine di ogni tempo ed età: le bambole (pupae).
A noi sono giunti molti esemplari trovati nelle tombe di
ragazze morte ancora in giovane età; alcune erano
bambole con arti snodabili e fornite di vestiti e mobili
Cavallino di terracotta
per la casa prorio come alcune bambole moderne.
Torna all’universo bambino
IL MONDO DI GIOVE
Figlio di CRONOS (il Tempo), salvato dalle fauci del padre dalla madre REA (detta anche CIBELE), il piccolo Giove viveva in una
grotta del monte IDA, dove la capra AMALTEA gli offriva il latte, le api spontaneamente portavano alle sue labbra il miele e i
sacerdoti di Cibele ( i CURETI o CORIBANTI ) facevano terribilmente risuonare armi e scudi, battendoli fra loro con gran forza
ogni volta che il piccolo piangeva, perché Cronos non lo udisse e non si accorse dell’inganno di cui era stato vittima.
Le NINFE dei boschi alle quali Rea aveva affidato il piccolo Giove lo vegliavano mentre dormiva in una culla d’oro affinché Cronos
non potesse trovare il figlio né in cielo, né in Terra, né in mare.
Oltre al latte della capra Amaltea, per farlo crescere forte e vigoroso a Giove venivano offerti come cibo l’AMBROSIA portata
dalle colombe e il NETTARE portato ogni giorno da un’aquila. Quest’ultima era la bevanda sacra che concede l’immortalità e l’eterna
giovinezza. La ninfa ADRASTEIA gli donò a Giove una palla d’oro perché potesse giocare come ogni altro fanciullo.
Fin dall’adolescenza Zeus si dedicò a vari giochi di forza e al lancio dei fulmini che venivano fabbricati per lui dai CICLOPI. Un
giorno, mentre si stava esercitando in una serie di giochi particolarmente violenti, spezzò senza volere un corno dalla buona capra
Amaltea, che venne curata dalla ninfa MELISSA. Per farsi perdonare , Iddio raccolse il corno spezzato, lo riempì di fiori e frutti e
lo donò alla ninfa, promettendo che ne sarebbe sempre scaturito tutto ciò che il suo possessore avesse desiderato: è questa la
CORNUCOPIA ( o corno dell’abbondanza,) che simboleggia la fertilità del suolo. Per sempre grato alla capra Amaltea, che l’aveva
nutrito, Zeus, quando divenne Signore degli Dei ne immortalò l’immagine creando la COSTELLAZIONE DEL CAPRICORNO.
Raggiunta la maturità , il Dio si presentò al cospetto del padre , lo costrinse a vomitare i suoi cinque fratelli che aveva divorato,
poi, dopo una lunga guerra si impadronì del trono, diventando re degli dei al suo posto.
A NETTUNO assegnò il regno del mare, dei laghi e dei fiumi; a PLUTONE il regno dei morti dentro le tenebre della Terra, e a
DEMETRA ( Cerere ), dea delle messi, il dominio delle terre: GIUNONE divenne invece sua sposa ed ebbe con lui il dominio del
cielo e il governo defli Dei e deglio uomini.
Oltre ad essere re degli Dei, Giove, come già si è detto, era anche re degli uomini. Egli rappresentava per loro la Giustizia, la
Fede, ed era considerato il custode delle eterne leggi dell’ universo e di tutto ciò che di sacro vi è sulla Terra nei rapporti dei
cittadini fra loro e verso lo Stato.Tuttavia egli doveva spesso intervenire sulla Terra per punire i trasgressori delle leggi umane e
divine, assicuratrici dell’ ordine e della giustizia. Così avvenne, per esempio, quando PROMETEO rapì dall’officina di Vulcano una
favilla di fuoco (allora riservato agli Dei) per farne dono agli uomini, affinché potessero giovarsene per plasmare i metalli e vincere
con le arti le difficoltà della vita.
La punizione di Giove fu terribile: Prometeo fu legato con catene di ferro ad una rupe del Caucaso, dove ogni giorno un’aquila
scendeva su di lui a rodergli il fegato, che sempre rinasceva ad eternare la sua pena.
La collera di Giove era poi terribile contro coloro che non rispettavano i giuramenti , che tradivano l’ ospite ,l’amico o la Patria, che
opprimevano i deboli, o che condannavano gli innocenti.
TORNA AI MITI
I miti collegati ai personaggi
•
Venere
•
Giove
•
Marte
•
Cupido
Piace pensare che il messaggio di Botticelli volesse essere proprio questo: Venere
che vince Marte, l’amore che sconfigge la violenza, la pace che s’impone sulla
guerra.
Il Mondo di Marte
ARES, figlio di Zeus e di Era, era dio - o meglio, demone - della
guerra. Benché membro della famiglia divina dell'Olimpo, egli
reca ancora evidenti tracce dei miti demoniaci preomerici,
legati alla Terra. Gli altri dei, compreso il padre Zeus, lo
snobbano per il suo carattere turbolento e litigioso. Quando
nella lotta fra Greci e Troiani, alla quale Ares partecipò a
fianco di questi ultimi, sia pure senza motivi ideali, Diomede
con l'aiuto di Atena ferì Ares, questi, prorompendo per il
dolore in un urlo pari di nove o diecimila combattenti al grido,
quando appiccan la zuffa (Iliade, V) risale all'Olimpo per
lagnarsi con Zeus, ma non trova comprensione. Zeus infatti lo
apostrofa: Fazioso incostante, e a me fra tutti i Celesti odioso.
E risse e zuffe e discordia e battaglie, ecco le care tue delizie!
e, in modo poco galante, aggiunge: Trasfuso in te conosco di tua
madre Giunon l'intollerando inflessibile spirito, a cui mal posso
pur colle dolci riparar. (Iliade, V).
TORNA AI MITI
IL MONDO DI CUPIDO
Cupido, dio dell'amore, il cui nome deriva dal verbo latino cupere, "bramare", era
considerato nella mitologia romana il figlio di Venere e Vulcano.
Lo scrittore latino Apuleio racconta nell'Asino d'oro che il giovane dio si innamorò
della bellissima fanciulla Psiche.
In altre storie viene descritto come ragazzo dispettoso che si diverte a colpire
uomini e dei con le proprie frecce d'argento per farli innamorare perdutamente.
A Cupido corrisponde Eros nella mitologia greca ed in origine egli è figlio del Caos,
l'abisso buio e silenzioso da cui nacquero tutte le cose, e personificazione
dell'armonia.
In seguito viene visto come giovane bello ed affascinante accompagnato da Imero,
"desiderio", e Foto, "bramosia", ed in epoca più tarda è descritto sempre vicino
alla madre Afrodite.
Nelle raffigurazioni artistiche il dio viene rappresentato come giovane fanciullo
nudo e alato con spesso in mano arco e frecce magiche, a volte bendato per
ricordare la cecità dell'amore.
TORNA AI MITI
IL MONDO DI VENERE
Dea della bellezza e dell’amore, AFRODITE o VENERE ( che era chiamata CIPRINIA, CITEREA e PAFIA per il culto speciale che
aveva in Cipro, a Citera e a Pafo ) nacque dalla evanescente spuma del mare, in un bel mattino di sole e di colori .
Quel giorno l’Olimpo fu in festa. Gli dei stupirono all’apparire di tanta bellezza, ma GIUNONE e MINERVA, fin dal primo momento,
sentirono nel cuore il morso della gelosia: capivano istintivamente che da quel momento la loro supremazia sarebbe stata messa in
forse da una ben pericolosa rivale.
Nessuno, infatti, riusciva a resistere al suo potere: tutti, uomini e animali, persino le piante, a primavera obbedivano al suo dolce
richiamo.
Anche lei, però, restava spesso e volentieri vittima dei suoi dolci inganni e del suo capriccioso figlio EROS (Cupido), il piccolo dio
alato che con le sue frecce d’oro colpiva il cuore di tutti, gli uomini e Dei, facendo nascere in ciascuno, con quell’invisibile ferita, la
passione d’amore.
Il primo che amò fu ADONE, bellissimo cacciatore, che ebbe il malaugurato destino di essere assalito un giorno da un feroce
cinghiale e di rimanerne ferito a morte, versando larghi fiotti di sangue dalle crudeli ferite che avevano lacerato il suo corpo
gentile. La dea, impietosita, volle che le sue spoglie, ogni primavera, ritornassero a vivere e a fiorire sotto l’aspetto della anemone,
il fiore dall’intenso colore porporino.
Dopo Adone, Venere fu sposa di ANCHISE, principe troiano. Da questo matrimonio nacque ENEA, l’eroe che avrebbe condotto i
superstiti della distruzione di Troia nella nuova sede assegnata dagli dei, il Lazio, dove i suoi discendenti avrebbero fondato Roma.
Ad Anchise il matrimonio con una dea non portò molta fortuna: avendo osato vantarsi di quelle nozze con una immortale, che gli
paralizzò le membra fin che visse.
Dopo Anchise fu la volta di Vulcano, l’affumicato e zoppo dio dei fabbri al quale Venere andò sposa solo per volere dell’onnipotente
GIOVE, che, su richiesta dello stesso VULCANO (anzi, per un suo ricatto), fu indotto a costringere lei, la più bella tra le dee, a
sposare il più brutto degli Dei.
Anche Venere, come le altre Dee, era inesorabile nelle sue vendette e puniva inflessibilmente chiunque osasse ribellarsi alle sue
leggi. Un famoso esempio della crudeltà di Venere è il mito di NARCISO.
Più benigna fu invece verso uno scultore di nome PIGMALIONE che ,dopo aver severamente punito per la sua mancanza di amore
verso le donne, lasciò vivere felicemente
Tra i figli di Venere ricordiamo anche IMENE, dio delle nozze, in onore del quale giovani e giovinette cantavano inni durante le
cerimonie solenni dello sposalizio.
TORNA AI MITI
L’istruzione nell’antica Roma
Il materiale – il calendario
Corredo di uno scolaro
romano
composta da stili,
calamai e vasetti.
Giovane con stilus
Piccolo abaco per
imparare a
contare
Con l' istituzione delle scuole pubbliche, venne
creato
un
calendario
scolastico
che
era
determinato da quello religioso. L' anno scolastico
iniziava a marzo e vi erano delle vacanze nei
giorni festivi e ogni nove giorni (nundinae); veniva
effettuata una sosta nei mesi più caldi dell'
estate. Per quanto riguarda gli orari, le lezioni
iniziavano al mattino, con una sosta verso
mezzogiorno e venivano riprese nel pomeriggio .
Le classi erano composte sia di maschi che di
femmine fino all' età di dodici anni, dopo erano
essenzialmente formate di soli maschi e di ricca
famiglia, mentre le femmine che verso l' età di
quattordici anni erano già considerate in età da
marito potevano continuare gli studi soltanto per
mezzo di insegnanti privati
Torna all’universo bambino
I personaggi in cerca d’autore…….
Sinone : donna patrizia di Verona, moglie di Flavio generale
romano e madre di Marcello di 16 anni. Come donna romana,
sebbene patrizia, soffre per la dura condizione femminile
del suo tempo;la sua dea protettrice è Venere;
Flavio Giulio Gavio: Generale Romano , marito di Sinone e
padre di Marcello suo primogenito, stanziato a Verona con la
famiglia . Devoto marito e generale valoroso. Protetto da
Marte e Giove;
Marcello Giulio Gavio : figlio di Sinone e di Flavio. Da poco
ha indossato la toga virilis diventando con pieno diritto
cittadino romano. Protetto da Cupido ;
Satirus: simboleggia i vari aspetti della natura e si diverte a
cambiare i destini degli uomini. Dispettoso e irriverente è lo
spirito che crea il caos e questo lo appaga. La sua risata
l’abbiamo sentita spesso…. . Protetto da Dioniso.
Dove correva cupido con quell’aria birichina!!!
Aria di GUAI
Tre personaggi in cerca d’autore, per non parlare del
quarto!
Piccole storie create dalla terza C ispirate alle opere
del museo
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Marcello racconta:
Io son Cupido ma, non vi sbagliate,non sono il putto del profano amore,Eros non
sono. Io mi chiamo Amore platonico di voi ch’ancor sognate danzar nei prati
ninfe inghirlandate. Io son Cupido che scaglia il furore sfonda porte chiuse
dentro il cuore che s’aprono su vene inesplorate; la mia saetta incendia la
Bellezza, nella marmorea Gloria fa la breccia, avvampa Storia e ne squaglia
l’asprezza, d’ermetica Poesia scioglie la treccia.Mal non vi fa. E’ come una
carezza,non discosta te il petto alla mia freccia.
Mi piacciono molto queste parole che inneggiano all’amor platonico. Non so
chi le abbia scritte,forse sono state scritte in un tempo non mio, ma per me
ormai il tempo non esiste e appartengo all’infinito. Ricordo però il mio
amore per una fanciulla che vedo passare con la madre, magra e pallida ,
bella e gentile che è entrata nei miei sogni. Il dardo di Cupido mi ha colpito
e ho 16 anni. Ho ricevuto oggi 17 marzo la toga virilis durante una cerimonia
vicino al nuovo anfiteatro di Verona. In quella occasione vedo mio padre
prima che parta per una campagna di conquista. La mamma e le mie sorelle
sono a casa e penso che mi sarebbe piaciuto condividere con loro questo
momento, ma alle donne non è permesso partecipare a tali eventi. La tunica
bianca con il bordo porpora mi fa sentire diverso e sono consapevole che
oggi lascio il mio mondo di bambino per quello degli adulti.
Dopo la cerimonia ho il permesso di tornare a casa da solo. Mio padre
mettendomi la mano sul capo sorride . Il sorriso di mio padre è prezioso e
raro . Le strade di Verona sono sempre piene di gente e il foro, la piazza
del mercato, chiassoso e animato. Mi piace farmi vedere con la mia toga
da uomo e senza veramente sperarci cerco tra la gente quella ragazza
magra che cupido ha fatto entrare nella mia vita. Sulle bancarelle ogni
tipo di merce di tutti i colori e mille odori si mescolano nell’aria tersa di
un giorno quasi primavrile a Verona nel I sec. dopo Cristo. Una vecchia
fruttivendola che conosce mia madre mi ha regalato una mela rossa e con
ingordigia la mordo quando mi trovo di fronte il mio sogno, da sola senza
la madre e guarda me. Il boccone di mela mi va di traverso e comincio a
tossire mentre strabuzzo occhi e me la prendo con gli dei ! Ma lei
preoccupata per il mio stato di salute si avvicina e con delicatezza mi
batte sulla schiena con una forza che mi stupisce. Mia dottoressa, mia
salvatrice, in un attimo ha saputo risolvere il mio problema e sorride e
chiede come sto. Non è frequente poter conoscere giovani donne e poter
parlare con loro, ma a me è accaduto e con la ragazza dei miei sogni. O
cupido come farò a sdebitarmi con te per questo momento divino! Capii
che Cupido ha scagliato due frecce perché anche lei aveva negli
occhi l’ardore dell’amore. Non riuscivo a parlare e dico solo che sta bene,
ma voglio regalarle qualcosa e non possiedo niente. Senza riflettere mi
sfilo dal collo la bulla d’oro che mi hanno messo al collo da bambino e gliela
porgo sussurandole qualcosa che non ricordo perché il cuore pulsa
fortissimo e la testa sembra annebbiata dolcemente. Il suo sguardo è
severo ma caldo e il suo grazie accompagnato da un timido cenno della
testa. Si chiama Amore o almeno la chiamo così perché mi sono
dimenticato di chiedere il suo nome. La vedo allontanarsi confusa e si gira
verso di me quando la sua figura è ormai troppo lontana per vedere ancora
i suoi occhi verdi. La città da quel momento è sparita e torno a casa con
le ali di cupido e il cuore trionfante. La toga e l’amore nello stesso giorno ,
troppe emozioni per un sedicenne anche se dell’impero romano. Entro nel
vestibolo mi viene incontro una delle mie sorelle Egle che mi bacia
annunciandomi che nostro padre partiva la sera stessa per combattere a
fianco dell’Imperatore. Mia madre è nel peristilio vicino ad una fontana
adornata da un faunetto dal sorriso beffardo. Mia madre mi chiama con
un cenno della mano e mi guarda orgogliosa vedendomi con quella tunica
che mi rende adulto e i capelli corti. I suoi sorrisi sono preziosi come
quelli di mio padre ma molto meno rari; questa volta però negli occhi brilla
una luce malinconica che ben cela. E’ preoccupata per mio padre che parte
verso l’ignoto. L’abbraccio come non si conviene ad un novello togato ma mi
concedo un’ultima volta da bambino.
Appoggiata ad uno sgabello la lorica di mio padre pronta e lucidata. E’ la
lorica da sfilata, la più ricca di decorazioni, da usare dopo la vittoria per
il trionfo. Mi piace molto, specialmente la decorazione sul dorso
costituita da un bellissimo grifone e tralci vegetali. Ci passai sopra le
dita per sentire il rilievo che un ignoto artigiano ha tanto abilmente
realizzato. Per un attimo dimentico la fanciulla e penso alla partenza di
mio padre e al giorno in cui l’avrei accompagnato in una delle sue
campagne di conquista. Non sarei mai stato come lui, non avrei mai potuto
eguagliarlo in coraggio e forza. Non ho visto mio padre quella sera , parte
senza salutarmi come sempre e io sono nella mia cubicola con gli occhi
sbarrati perché l’eccitazione della giornata mi impedisce di dormire, ma
sogno lo stesso.
Nei giorni che seguono, grazie alla mia maggiore indipendenza, posso
rivedere spesso la mia dolce Elena di cui ormai so tutto e passeggiare con
lei seguendo l’Adige che cristallino e frizzante come le nostre risate ci
rende quei momenti unici luccicando al sole. Ma le cose belle durano
sempre poco, come i sogni. Elena è una plebea e Satirus, un nostro servo
fedele e impiccione ci vede e corre da mia madre a raccontarle quale
terribile azione ho compiuto e come ho ingannato tutti accompagnandomi
ad una donna non degna della mia gentes. Cupido mi ha forse abbandonato
. Vengo richiamato dagli anziani e dal mio maestro Properzio grande
letterato. E’ momento terribile e non posso dire nulla a mia discolpa , sto
a testa bassa sperando di riuscire a sopravvivere mentre satirus se la
ride . Io voglio rivedere Elena , mentre tutti mi sciorinano le loro
prediche io voglio solo rivedere Elena. In assenza di mio padre è lo zio
Gaio a decretare la mia punizione. Si decide di mandarmi lontano da
Verona e rinchiuso in una durissima scuola per giovani patrizi ribelli come
me. Nella mia cubicola stravolto maledico Satirus e la sua odiosa solerzia
ma sono deciso a salutare la mia Elena per l’ultima volta. Mia madre mi
chiama e sebbene si mostri infuriata e severa so che mi capisce. La
mamma conosce l’amore e io lo albergo dentro di me come lei. La imploro
di poter vedere Elena per l’ultima volta
e lei non sa negarmelo
raccomandandomi di farlo di nascosto da tutti. La bacio radioso e scappo
seguito da un ormai lontano : “mi raccomando Marcello!”
Il cielo è arancione e rosso quando raggiungo il ponte dove trovo la
felicità con Elena e lei è lì appoggiata al parapetto a guardare il
tramonto con aria malinconica. La fine della giornata decreta la fine
del nostro idillio e guardandola negli occhi belli e profondi gli dico
addio tra le lacrime e le giuro eterno amore. Non sono mai riuscito a
strappare dal mio cuore la freccia di Cupido e il ricordo del suo bel
viso ha scaldato le mie giornate future. Elena mi porge la bulla che le
ho regalato nel nostro primo incontro e io stringo la sua bella mano e
gliela riconsegno per sempre. Tenendoci per mano come due ombre nel
sole godiamo di questi momenti intensamente e anche quando divento
adulto e ho altri amori e figli e ferite di guerra il ricordo di Elena
scalda il mio cuore e una stilla di sangue esce da questa ferita causata
dalla freccia di Cupido. Satirus ha distrutto un momento felice ma
senza volerlo lo ha reso eterno.
elmo
principes
gladio
Che sguardo
aveva prima della
battaglia.
A cosa pensava….
lorica
Flavio Racconta:‘
Su Bellona portami l'elmo, e tu Paura preparami il carro; il Dio Spavento
porrà il morso ai veloci destrieri.'
“Ubi tu Gaius, ego Gaia” è questa la formula che suggella il matrimonio e che
Sinone ha pronunziato con tanta dolcezza vestita di una candida tunica e un
mantello colorato di amaranto. I suoi capelli acconciati e legati con nastri e
sul capo un velo rosso acceso che scende a coprire metà del bel viso.
Feliciter! Talassio! Talassio gridano amici e parenti. Ricordo con vivezza e
sorrido guardando Marcello il mio primogenito ormai adulto che riceve la
toga virilis. Marcello non ha l’animo del guerriero, è troppo sensibile ma ho
intenzione di rafforzare il suo spirito con allenamenti virili e forgiarlo come
si addice ad un giovane romano. Oggi 17 marzo però devo partire,
L’Imperatore mi ha convocato urgentemente e in pochi giorni devo
raggiungerlo. E’ la mia decima campagna di guerra. E’ doloroso lasciare la
mia Sinone , la mia compagna e madre dei miei figli. Ho ordinato un suo
ritratto ad uno scultore greco voglio che sia per i Veronesi una dea Venere
come lo è per me. Lei ha di certo pensato a tutto per la mia partenza e la
mia lorica da parata è sicuramente lucida. Quella corazza mi accompagna
sempre e mi porta fortuna. Il grifone, custode di Apollo, sbalzato sul torso
ha un significato davvero particolare per me. Il mio imperatore ne ha uno
uguale sulla sua Lorica.
Marcello mi chiede di andare a casa da solo e capisco che vuole farsi
vedere subito da sua madre con la sua nuova toga e i capelli corti. Mi
ricordo la sua nascita con grande emozione. Quando l’ho preso fra le
braccia e l’ho tenuto ritto sopra la testa riconoscendolo come mio figlio e
membro della famiglia e quando dopo nove giorni ho appeso al tenero collo
la bulla d’oro, un medaglione con dentro un amuleto ereditato da mio
padre. Devo organizzare la mia partenza e ordinare ai miei uomini più
fidati di preparare i cavalli e il carro con i bagagli. Satirus mi accompagna
sempre ma Sinone non ama questo mio servo dai capelli ispidi e il piccolo
naso arricciato, non si fida di lui, lo considera dispettoso; eppure Satirus
mi accompagna fin da quando bambino ho preso la mia toga virilis. Ma è
vero che egli in più occasioni, senza volere, ha scatenato la gelosia di
Sinone per via di alcune confidenze da lui riportate che mi facevano
apparire colpevole di chissà quali tradimenti. E’ quanto ho penato per
consolare Sinone e dimostrargli la mia buona fede; gli ordino di comprare
del materiale che mi serve nel viaggio e passando dal nuovo anfiteatro di
Verona dove si svolgono incredibili spettacoli, raggiungo la mia casa dove
trovo Sinone . Sinone è sempre più bella e ringrazio Marte e Giove per
avermi donato un fiore dell’Olimpo.
La sera è triste se precede una partenza di cui non si conosce il ritorno.
Cerco di scherzare con lei raccontandole la bella cerimonia di Marcello e
le accarezzo con tenerezza i morbidi riccioluti capelli. So che è triste ma
non vuole rovinare i pochi momenti che possiamo condividere prima della
partenza. Siamo soli e una fievole luce della candela illumina il suo bel viso
vibrando. Le parole sembrano inutili e l’abbraccio appassionato cercando
di nascondere la commozione.
Lascio la casa con la morte nel cuore e non saluto nemmeno i miei figli, non
ho il coraggio. Forse sto diventando vecchio e le mischie feroci delle
battaglie non rappresentano più per me la ragione unica della mia vita.
SINONE RACCONTA:
Sinone Raccona :
Son io Venere Urània, questo dite, son io che raffiguro lo splendore,
son io lo specchio del celeste Amore, la più lontana dal regno di Dite.
Voi mi chiamate Venere Afrodite, il mirto è la mia pianta ed il colore
ch’amo di più dipinto è dalle aurore quando le lunghe notti son finite.
Io son la donna che dirige il coro delle tre Grazie e irradia le
fiammelle, che veste la mantella del decoro che cinge il grembo delle
verginelle; nei miei giardini cresce il Pomo d’Oro, son Venere Uranìe,
dea delle stelle.
La bellezza per le donne romane è importante e ogni mezzo è lecito per
apparire ancora più attraenti. La vita è interamente dedicata agli altri e per
gli altri si deve essere sempre al meglio. Almeno noi donne patrizie, più
fortunate delle donne plebee la cui bellezza sfiorisce ben presto cancellata
da fatica, botte e parti. La mia condizione femminile oggi 17 marzo mi pesa
di più del solito perchè mio figlio Marcello riceve per i suoi 16 anni la toga
virilis e io non sono con lui. A noi donne è preclusa la partecipazione alla vita
pubblica. Questo giorno non l’ho mai scordato. Mio marito Flavio parte per
una delle sue campagne di conquista in luoghi sempre più lontani e
sconosciuti per la gloria dell’Impero romano.
Flavio mi ama e questa situazione per una donna anche se patrizia è
rara perché i matrimoni sono decisi dai genitori senza che i due sposi
si vedano prima. Ma Venere mi ha aiutato regalandomi un uomo buono
e generoso. Penso a questo mentre nel peristilio godo della frescura
delle piante vicino alla fontanella col satiro e considero quali ordini
dovrei dare ai servi per l’imminente partenza e a quanto sarebbe
durato questo nuovo distacco. Flavio ha ordinato un mio ritratto ad
uno scultore greco bravissimo e durante la sua assenza ho posato
affinchè i miei lineamenti siano trasposti nella pietra da abili mani
d’artista. La mia testa è stata montata in un bellissimo corpo
ammantato e sdraiato allo stile di Fidia il grande maestro greco. Chi
più dei greci mostrano attitudine alla forma plastica?. E’ un grande
onore per me e un giorno i miei figli hanno ricordato la propria
madre come una Venere. Ma i miei occhi non possono che fissare la
lorica trionfale di Flavio appoggiata ad uno sgabello insieme al
paludamentum pronti per seguire il suo proprietario. Ma ecco la luce
dei miei occhi entrare di corsa con la sua fiammante toga nuova.
Sorrido e dimentico per un attimo i miei affanni di moglie.
Marcello il mio primogenito torna dalla cerimonia e orgoglioso si
mostra nel suo nuovo aspetto da uomo. Ha una strana luce negli occhi,
mi sembra diverso, raggiante. Mi abbraccia come da bambino e lo
sento caldo , tremante. Tanta eccitazione per la toga? Mi racconta
ogni cosa mentre Egle la mia secondogenita ascolta affascinata le
storie di un universo a lei proibito. La sera arriva implacabile e l’addio
è dolce e amaro con la stessa intensità. Siamo soli e Flavio sorride
pensando alla cerimonia di Marcello e traspare il suo orgoglio di padre
e la sua mano che ha ucciso tanti nemici mi accarezza con una
delicatezza sorprendente. Fingiamo tutte e due che nulla possa
cambiare e non vogliamo guastare le poche ore che ci restano da
condividere prima che lui indossi la penula per il lungo viaggio. Prego
Marte che lo salvaguardi e come sempre col suo carro lo riporti a casa
presto. Tra noi sono finite le parole e ci abbracciamo per non sentire
la paura. Marcello è diventato stranamente vivace in contrasto alla
sua naturale riservatezza e mi chiedo quale ragione lo rende cosi
irrequieto; usce spesso e in casa sembra sfuggire ai miei sguardi
interlocutori. Non è come suo padre, un guerriero, è troppo sensibile,
delicato anche se caparbio e molto intelligente come ripete il suo
maestro Properzio.
Dopo aver indossato la tunica di seta e la palla per uscire mi fermo
perché vedo arrivare affannato Satirus il nostro servo e inchinandosi
davanti a me comunica con la sua voce roca e sbiascicante che ha visto
Marcello accompagnarsi in città sul ponte nuovo ad una giovane plebea
di nome Elena verso cui mostra dedizione amorosa. Ecco scoperto
l’arcano! Eros ha colpito con il suo dardo infuocato le povere tenere
carni di Marcello. Trattengo a stento un sorriso di tenerezza per
l’ardire sorprendente del mio timido figlio per assumere il ruolo di
madre severa. Satirus ci è fedele ma provo verso questo servo un
certo disagio e sospetto che ami seminare zizzania, forse sono i suoi
occhi che hanno una luce strana. Marcello certo paga per la sua azione
e tremo al pensiero di quando il padre saprà.
Il fratello di Flavio, Gaio Giulio convoca gli anziani e in assenza di
Flavio decide il destino di Marcello. Non sono presente quando mio
figlio viene duramente richiamato e gli viene ordinato di allontanarsi
da Verona per raggiungere una speciale e dura scuola. Sono
angosciata e aspetto che Marcello mi raggiunga per affogare nel mio
petto il suo dolore. Forse potrò alleviare le sue sofferenze. L’ho
fatto chiamare e dovrò mostrarmi dura come si addice ad una madre
romana. Marcello sembra sereno e mi stupisce, non si getta piangente
tra le mie braccia ; mi chiede con forza di rivedere per l’ultima volta
Elena , la fanciulla plebea. Non so bene perché lo accontento, vado
contro i miei principi ma il suo amore è puro, un sentimento cristallino
che forse non proverà più. Non faccio in tempo a dire “Mi
raccomando Marcello” che lui guizza via come un fulmine. Satirus
ghigna in un angolo e spero non crei altri problemi al povero Marcello.
Anche mio figlio parte e non potrò far nulla per fermarlo e quel
tramonto rosso fuoco segna due dolorosi distacchi. Venere è con me
e protegge i miei cari. Una lacrima solca il mio viso ma sono sola e
posso finalmente piangere.
Lo stesso guizzo nello sguardo……
Lorica
Durante le guerre puniche le corazze dei soldati romani
erano di due tipi: chi si pagava da solo l’equipaggiamento
poteva permettersi la casacca di maglia di ferro lunga fino
alla coscia, dotata di due spallacci anch’essi metallici; se
l’equipaggiamento era fornito dallo stato, la corazza si
riduceva a due placche quadrate di bronzo, di circa 30
centimetri di lato, fissate al petto e alla schiena da
corregge di cuoio.
Si pensa che fra gli hastati prevalesse la corazza di tipo
economico e fra i triarii, più anziani e spesso più ricchi,
quella più costosa; tra i principes probabilmente erano
diffusi entrambi i tipi.
TORNA ALL’UNIVERSO UOMO
Gladio
Nel III secolo a.C. i romani vennero in contatto con gli
Iberici e ne apprezzarono talmente le spade da
adottarne l’uso nelle legioni. La spada spagnola (gladius
hispaniensis) era un’arma lunga circa 60 centimetri e
veniva forgiata in un acciaio migliore di quello italico;
aveva una lama a forma di foglia che si allargava
leggermente verso la punta e risultava molto
maneggevole nello scontro ravvicinato, perché poteva
essere usata sia di taglio che di punta.
Era l’arma più importante dell’equipaggiamento del
legionario che, scagliati i suoi pila, la usava nello scontro
corpo a corpo.
TORNA ALL’UNIVERSO UOMO
Non era previsto !!! Il quarto personaggio:
il satiro dispettoso
Soggettive della Terza C dal Museo
Archeologico di Verona
Diario fotografico
Come tutti i battesimi anche questo al museo è
tradizionalmente bagnato
Sentiamo strane
presenze attorno
a noi!
Saliamo in alto verso la meta
Sogniamo o siam
desti!
All’interno delle sale ci sentiamo come osservati,
eppure eravamo venuti per osservare!
Passiamo all’azione ma….ci sentiamo sempre
scrutati , eppure ci sono solo statue …
affascinati dalla magica atmosfera del museo
che ci ispirava avventure fantastiche
Chissà quanti tesori si
nascondono in questo
museo
Solo tesori d’Arte
però!
Clicca sulla divinità che senti più tua e scopri il tuo profilo
cupido
satiro
venere
zeus
marte
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Scheda di analisi per la
lettura critica
Museo archeologico “Teatro romano” Verona
Collocazione nella sala n.
Eseguita il
Da Munari Elisa e Consolini Marianna
CARTA DI IDENTITA’
Soggetto
Figura femminile
Titolo
Statua iconica del tipo della pudicizia
Autore
/
Attribuzione
Arte romana di derivazione greca
Cronologia
Inizi II secolo d.C.
Collocazione originaria
Piazza del Duomo, Verona
Altre eventuali collocazioni
/
Tecnica e materiali
Statua a tutto tondo; marmo bianco saccaroide
Dimensioni
Altezza: 164 cm; Larghezza: 49 cm
Stato di conservazione e restauri
Buono, vi sono delle parti mancanti; nessun
restauro
Notizie storiche
Fonti
Eventuali confronti
Eventuali parti mancanti
Eventuali iscrizioni
Curiosità,aneddoti, notizie sul
restauro
Testa, piede sinistro, mano sinistra
Era coperta da una patina bronzea, nella cavità
del collo veniva appoggiata una testa – ritratto
La nostra galleria
Non solo opere d’arte!
Abbiamo voluto raccogliere in questa sezione
tutti gli schizzi realizzati da noi . Alcuni
rappresentano l’opera intera e altri dei
particolari.Divertitevi a collegare il disegno alla
rispettiva opera. Non sempre sarà facile!
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Le opere adottate
Tre personaggi…
La storia
I personaggi
L’album e il diario
Il progetto “Atelier museo” :
un museo per aula ringrazia il
Museo Archeologico di Verona
per la disponibilità e l’appoggio
nello svolgimento delle attività,
ringrazia la Dott.ssa Margherita
Bolla per la sempre gentile
presenza e cortesia con cui ha
seguito tutte le fasi del progetto,
ringrazia l’archeologa Gilda per
la grande professionalità con cui
ha guidato la classe a scoprire
mondi lontani. La classe III C – le
insegnanti Daniela Baldo e
Manuela Pasquotto.
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Tre personaggi - Liceo Statale C. Montanari