EXPO 2015 PROGETTO GIOVANI “Vestire la tavola” Laboratorio storico del Servizio di Sala “Vestire la tavola” Laboratorio storico del Servizio di Sala La GENTILEZZA è l'atteggiamento cooperativo sociale per far star bene gli altri: segnala rispetto e cura dei loro sentimenti e dei loro desideri. Ci risparmia una delle emozioni sociali più acute e penose: sentirsi in imbarazzo. La cortesia offre rotte sicure di navigazione nei mari sociali. Una persona cortese rispetta e comprende ruoli e desideri altrui; mette la sua posizione a favore del benessere reciproco. Le sue parole avranno sempre la giusta sfumatura di deferenza. La gentilezza/cortesia sa mantenere le distanze: perché non dovremmo tenere cortesemente lontani seccatori che insidiano il nostro diritto alla riservatezza? La cortesia va ben oltre le “buone_maniere”: è intelligenza sociale. La sua radice linguistica rivela un'origine antica: dalla “corte” feudale prima, rinascimentale poi. In quanto supremo principio sociale di comportamento, “gentilezza e cortesia” rappresentano il sentire rinascimentale (nei trattati Cortegiano e Galateo). A buon diritto, la cultura rinascimentale italiana raccoglie il merito di aver intrecciato l'antica cortesia cavalleresca con la bellezza, ideale filosofico di un neoplatonico mondo ideale. Con questo laboratorio storico la 3^Asala GenerazioneWeb, ne ha esplorato le strategie attraverso comunicazione non-verbale del “servizio della tavola”, per la sua vocazione a farsi espressione del comportamento sociale ideale. MEDIOEVO ASPETTI CULTURALI DELL'ALIMENTAZIONE La diffusione del Cristianesimo rinforza i capisaldi dell'alimentazione greco-romana: il pane, l'olio e il vino. Il Clero (oratores) assume perciò nell'alimentazione il principio della “frugalità”, spesso con l'esclusione – o l'astensione periodica (in Quaresima) – del consumo della carne. In questo ambito si scontra con le abitudini della classe dominante, l'aristocrazia guerriera (bellatores). Essa segue il modello alimentare germanico: mangiare grandi quantità di cibo era segno di forza, coraggio e virilità, con predilezione per la carne, fornita dall'allevamento e dalla caccia, unica attività, insieme con la guerra, ritenuta degna di un guerriero. La carne era in genere cotta arrosto, quando era fresca, o lessata, quando si trattava di carne conservata sotto sale. La situazione del terzo dei tre grandi raggruppamenti in cui i teorici medievali (Adalberone) dividevano la società, i laboratores, era ancora diversa. Per il contadino europeo altomedievale, essa non era solo problematica dal punto di vista alimentare, a causa delle carestie, ma lo era anche dal punto di vista della sicurezza. La sua alimentazione comprendeva cereali, verdure e legumi, oltre che alcolici - dissetanti più igienici dell'acqua spesso di dubbia potabilità e integratori di zuccheri – e carne, per lo più conservata, sotto sale o affumicata (al contrario della carne fresca mangiata dagli aristocratici). L'estensione del coltivato , causato dall'incremento demografico, determina la diminuzione delle foreste e della carne sulle mense dei contadini, mentre aumentano gli altri prodotti della terra, come ortaggi e legumi. Per riassumere, i nobili di origine germanica, che costituivano l'élite sociale, prediligevano la carne. Diverse erano le abitudini alimentari del clero che seguiva una dieta di tipo vegetariano, costituita soprattutto dal consumo di zuppe di verdure, accompagnate dal pane. Nei secoli successivi, per i contadini seguirà un trend progressivo di impoverimento della dieta, limitata ai soli vegetali, cereali, frutti domestici e selvatici . The Lutrell psalter, British Library, Londra Sulla tavola nobile i piatti e le stoviglie sono usati in comune e non vi sono forchette, ma solo cucchiai e coltelli; questi ultimi erano usati per tagliare i cibi, che venivano portati alla bocca con le mani. MEDIOEVO: ALLESTIRE LA TAVOLA Quali e quante posate possiamo aspettarci di trovare? Poche o addirittura nessuna, perché si mangiava prevalentemente con le mani. Il cucchiaio (il nome deriva dalla conchiglia), in uso già presso gli Egizi e a Roma, era di due tipi: • il cochleare impiegato per cibarsi di molluschi, uova o assumere medicinali; • la ligula, piatta e a forma di foglia lanceolata, più simile alla forchetta, era impiegata per infilzare i cibi. Le zuppe, invece, venivano mangiate con l’aiuto del pane. • Il coltello fu portato sulle tavole dai barbari, la cui abitudine di usarlo per infilzare i cibi e portarli alla bocca andò declinando, finché nel Rinascimento non si affermò la moda dei coltelli con la punta arrotondata. • Il “trinciante”, abilissimo nell’intagliare, era la figura professionale incaricata di dividere e porzionare carni, pesci, uova e frutta per i commensali. • Le forchette erano conosciute piuttosto come forchettoni per la manipolazione dei cibi in cucina; solo a partire dal Tre-Quattrocento fu utilizzata alla corte angioina di Napoli per mangiare la pasta. • Era uso comune scambiarsi i bicchieri, ma l’etichetta prevedeva di pulirsi la bocca prima di bere da quelli altrui.• La tovaglia era presente anche nelle case più umili (sebbene spesso si trattasse solo di cenci). Si credeva, infatti, che il segno tondeggiante lasciato dalle pentole sulla tavola avrebbe consentito a streghe e iettatori di gettare malefici sul cibo. • I tovaglioli si trovavano sul desco dei nobili, ma se non ce n' erano abbastanza, ci si puliva le dita sulla tovaglia; erano sconosciuti ai poveri, che usavano un’unica salvietta per tutta la famiglia, o addirittura si pulivano la bocca sulle maniche. • Neppure il piatto aveva la funzione che conosciamo: al suo posto si adoperavano taglieri di legno o pezzi di pane nero molto spessi, su cui posare la carne. • Un oggetto che non mancava durante i banchetti era piuttosto la ciotola per lavarsi le mani tra una portata e l’altra, con acqua profumata con essenze esotiche e petali di rose. Un ospite degno di tal nome provvedeva infine bardi, buffoni e altre attrazioni, con cui intrattenere gli ospiti tra una portata e l’altra. Queste pause erano dette “sottigliezze” e potevano implicare l'esibizione di opere d’arte, sculture (non di rado composte da architetture di cibo), sfilate marziali di armi, armature e cavalli. Eventi come il banchetto, in epoca medievale, potevano esibire fino a quindici portate, ed estendersi dalle sei-sette ore a più svariati giorni. Il loro allestimento non era, perciò, un compito di poco conto SUL MODO DI APPARECCHIARE L'apparecchiatura della tavola, come la si intende oggi, si può dire cominci a Roma nella tarda età repubblicana. Il metodo era abbastanza semplice, poiché sul tavolo veniva posizionato il coltello, prima che si diffondesse l'uso di portarsi il proprio da casa. Tutto ciò che riguardava la mise en place, cioè bicchieri, tazze, piatti, coppe, era molto curato e particolare, mentre posate impreziosite ornavano la tavola. Piatti, salsiere e brocche di terracotta smaltata, erano rifiniti con ornamenti d'oro o d'argento. Solo presso le classi popolari e contadine i cibi erano posati su dischi di pane indurito o di pasta di pane non lievitata indurita, chiamati “mensae” ed edibili a fine pasto. L'invitato trovava sulla tovaglia una specie di tovagliolo per pulirsi le dita; al collo ne teneva uno – chiamato sudarium – per pulire la bocca e asciugarsi il sudore. Alla tavola dei sovrani veniva accostata una piccola credenza mobile dove erano custodite erbe e sostanze magiche per saggiare se le vivande destinate al sovrano fossero avvelenate; un dignitario ne custodiva la chiave. Con il tempo, si cessò di esporre il vasellame sulla tavola, ma lo si ripose sulle credenze, dove boccali d'argento, bicchieri di vetro, saliere preziose, candelieri, taglieri, acquamanili (vasi con bacili di metallo per lavare le mani) facevano bella mostra di sé, esaltando il prestigio del padrone di casa. Per ogni commensale sul tavolo c'era una ciotola per mangiare zuppe e creme e il cucchiaio; una coppa da condividere con il proprio vicino, finché venivano serviti dei taglieri per carni e piatti in comune. DIFFUSIONE DEL RINASCIMENTO NELLE CORTI Ad aiutare gli artisti furono i mecenati e e le piccole corti a cui urgeva acquistare reputazione e prestigio. Attorno alla metà del Quattrocento, nelle corti italiane penetra lo stile nuovo del Rinascimento. A Ferrara gli Estensi, a Mantova i Gonzaga, a Rimini i Malatesta chiamarono gli artisti più celebri a corte per la promozione e la legittimazione del proprio potere politico. Questo fu perciò un periodo di splendida fioritura artistica. MILANO NELLA SECONDA METÀ DEL QUATTROCENTO La vicenda artistica si configura come lo sviluppo di aspetti della ricchissima cultura precedente, almeno fino all'arrivo di Bramante (1479) e di Leonardo da Vinci (1482) a Milano. Anche nella vicenda politica, il passaggio dai Visconti agli Sforza non è una cesura, nonostante il tentativo breve e utopistico della Repubblica Ambrosiana. La presa di potere nel 1450 di Francesco Sforza, marito di Biancamaria Visconti, ha quasi sapore di una successione legittima, allineata al gusto sontuoso e ornato e al fasto celebrativo che avevano distinto i Visconti. Con Galeazzo Maria si prolungherà la stagione gotica. Nella sua posizione settentrionale, la Lombardia testimonia, infatti, la persistenza del Gotico Internazionale di gusto aristocratico: (Cappella di Teodolinda o degli ZavattarI , Duomo di Monza, 1444-46) che sviluppa una unica formula piacevole: l'interesse per ciò che la vita ha di più splendido e lieto e il realismo nella rappresentazione del vero. Il Gotico lombardo rivela spirito di osservazione e gusto per le cose belle, grazie all'arte della miniatura. Alla corte di Gian Galeazzo Visconti, l'amore della realtà e il decorativismo si fondono in uno stile dal successo straordinario, conosciuto in tutta Europa come ouvraige de Lombardie.L' ingresso in città di più mature formulazioni rinascimentali è legata, invece, alla committenza fiorentina di Pigello Portinari (S.Ambrogio, Cappella Portinari e affresci di Vincenzo Foppa: la “prospettiva lombarda”). Ma già dal 1451, il soggiorno del fiorentino Antonio Averulino, detto Filarete, è stata la prima significativa presenza rinascimentale a Milano. All'artista, che conquistò la corte sforzesca, vennero affidate importanti commissioni, di cui resta, a Milano, la torre mediana del Castello. MILANO E IL GOTICO INTERNAZIONALE Nella prima metà del XV secolo Milano e la Lombardia furono la regione dove ebbe maggior seguito lo stile Gotico Internazionale, tanto che in Europa l'espressione ouvrage de Lombardie era sinonimo di oggetto di fattura preziosa; come le miniature e le oreficerie, l' ouvrage de Lombardie era espressione di uno squisito gusto cortese, elitario e raffinato. In pittura, la fattura di miglior qualità (ancora nel XV secolo) era su commissione di committenti privati illustri, o istituzioni corporative. Nelle commesse si fissavano contrattualmente: il soggetto del dipinto (in base al disegno); modi e tempi dei pagamenti; quantità e qualità dei materiali di pregio, oro e blu ultramarino (colore ricavato dalla polvere di lapislazzuoli con un procedimento complesso e costoso). L'uso dell'oro sottolinea come nell'arte medievale la natura dei materiali avesse la precedenza sul realismo: le figure sacre sulle pale d'altare non sono incorniciate dai cieli, dalla natura, da drappeggi o architetture, ma da un campo d'oro che non consente profondità e ombreggiature. L'oro, sinonimo di regalità, è profuso dal committente per esaltarne, insieme con la devozione, anche il prestigio. LA CAPPELLA DEGLI ZAVATTARI A MONZA Amore della realtà e decorativismo si fondono negli affreschi della Cappella di Teodolinda, il cosiddetto “ciclo degli Zavattari”, eretta insieme alla fabbrica trecentesca del Duomo di Monza. Gli affreschi furono probabilmente commissionati dal duca di Milano Filippo Maria Visconti a scopo celebrativo, in occasione delle nozze della figlia Bianca Maria Visconti con Francesco Sfrorza, dopo un fidanzamento più che decennale. Con questo matrimonio, lo Sforza pensava di aprirsi la strada verso il potere; la cosa gli riuscì nel 1450, tre anni dopo la morte di Filippo Maria Visconti (4). LA RAPPRESENTAZIONE “CORTESE” De Zavatariis hanc ornavere capellam [Cappella Zavattari, parete destra, accanto a data 1444] La storia che gli Zavattari raccontano ha le sue fonti in Paolo di Warnefrido (Paolo Diacono) e in Bonincontro Morigia, da cui è tratto l'episodio etimologico: a Teodolinda, che riposava sulle rive del Lambro, apparve lo Spirito Santo sotto forma di colomba con un cartiglio ( “Modo”). La regina rispose “Etiam” da cui la città trasse la denominazione Modoetiam (Monza). Nella cappella del Duomo è custodita la Corona Ferrea, costruita attorno ad una anello, il Sacro Chiodo, con sei segmenti d'oro uniti a cerniera, e decorata con smalti e pietre preziose. IL PROGRAMMA ICONOGRAFICO Le scene sono rappresentate in 45 riquadri disposti i su cinque registri e si leggono orizzontalmente da destra a sinistra, dal registro più alto a quello più basso :- La sorella di Childeperto, re dei Franchi, riceve gli ambasciatori di Autari, re dei Longobardi e rifiuta di sposarlo; - ambasciatori si recano in Baviera e chiedono per Autari la mano di Teodolinda, figlia del duca Garibaldo. - Autari si reca in incognito in Baviera per conoscere Teodolinda, che gli porge da bere. - Autari torna in Italia e festeggia le nozze imminenti. - I Franchi attaccano e Teodolinda fugge in Italia; - Autari e Teodolinda si sposano presso Verona; Teodolinda viene dichiarata regina dei Longobardi. - Autari entra vittorioso in Reggio Calabria ma poco dopo muore a Pavia e si svolgono le sue esequie Teodolinda aposa Agilulfo, duca di Torino - Agilulfo riceve il battesimo a Pavia, sposa Teodolinda e viene incoronato re dei Longobardi - Banchetto e caccia attorno a Pavia - Teodolinda sogna il luogo dove edificare la basilica di San Giovanni Battista e il sogno si realizza a Monza; lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, le indica il posto giusto. - Si distruggono idoli pagani per costruire nuovi tesori per la chiesa. - Teodolinda ed i Adaloaldo fanno donativi all'arciprete. - Muore Agilulfo. Arrivano reliquie da Papa Gregorio Magno. - Muore Teodolinda e l'arciprete ne officia i solenni funerali. - Costante II sbarca a Taranto per abbattere i Longobardi, ma viene dissuaso da un eremita. Il regno è protetto da San Giovanni Battista per volontà di Teodolinda e Costante rinuncia alla sua impresa . IDEALIZZAZIONE DELLA VITA CORTESE PROFUSIONE D'ORO L'impressione visiva è profana e si confronta con l'idealizzazione della vita cortese, secondo i canoni culturali del Gotico Internazionale. Merita far attenzione ai dettagli, perché esibiscono analogie con la miniatura o con le carte da gioco (i Tarocchi dei Visconti). L'oro è dovunque: nei cieli, nelle corone, nei gioielli, nei capelli, negli elmi, sulle vesti, negli strumenti musicali, sulle tavole imbandite, nella coppa che i reali fidanzati si scambiano, negli speroni, negli scettri sottili, sui paramenti sacri, nelle croci astili, nei candelabri, sulle candele, nelle bardature dei cavalli (che sembra guardino incuriositi i visitatori ). Oro a rilievo sulle pastiglie di gesso predisposte, oppure punzonato sul fondo, come facevano per le carte da gioco ( i Tarocchi Viscontei di Bonifacio Bembo). Parte della decorazione a secco si è persa attraverso i secoli, a causa di vecchi restauri non appropriati, ma lo stato di conservazione è buono nei riquadri – affollatissimi - i personaggi sbucano da tutte le parti o si accalcano l'uno sull'altro. La principessa riferì arrossendo la cosa alla nutrice Autari, dopo aver bevuto, le sfiorò furtivamente la mano con un dito GALATEO overo de' costumi TRATTATO di MESSER GIOVANNI DELLA CASA V. A tavola: modi dei servitori (…) I nobili servidori, i quali si essercitano nel servigio della tavola, non si deono per alcuna condizione grattare il capo né altrove dinanzi al loro signore quando e' mangia, né porsi le mani in alcuna di quelle parti del corpo che si cuoprono, né pure farne sembiante, sì come alcuni trascurati famigliari fanno, tenendosele in seno, o di dirieto nascoste sotto a' panni; ma le deono tenere in palese e fuori d'ogni sospetto, et averle con ogni diligenza lavate e nette, sanza avervi sù pure un segnuzzo di bruttura in alcuna parte. E quelli che arrecano i piattelli o porgono la coppa, diligentemente si astenghino in quell'ora da sputare, da tossire e, più, da starnutire, percioché in simili atti tanto vale, e così noia i signori, la sospezzione, quanto la certezza; e perciò procurino i famigliari di non dar cagione a' padroni di sospicare, percioché quello che poteva adivenire così noia come se egli fosse avenuto. E se talora averai posto a scaldare pera d'intorno al focolare, o arrostito pane in su la brage, tu non vi dèi soffiare entro (perché egli sia alquanto ceneroso), percioché si dice che mai vento non fu sanza acqua; anzi tu lo dèi leggiermente percuotere nel piattello o con altro argomento scuoterne la cenere. Non offerirai il tuo moccichino comeché egli sia di bucato a persona: percioché quegli a cui tu lo proferi no 'l sa, e potrebbelsi avere a schifo. Quando si favella con alcuno, non se gli dee l'uomo avicinare sì che se gli aliti nel viso, percioché molti troverai che non amano di sentire il fiato altrui, quantunque cattivo odore non ne venisse. Questi modi et altri simili sono spiacevoli e vuolsi schifargli, percioché posson noiare alcuno de' sentimenti di coloro co' quali usiamo. DELLE BUONE MANIERE e Dei comportamenti che spiacciono allo appetito delle più persone quando si fanno Prima di consumare il pasto ci si lavava le mani, utilizzando gli acquamanili; posizionati sulla tavola, gli acquamanili contenevano acqua profumata e di tanto in tanto venivano cambiati dai servitori. A tavola, era segno di mancanza di rispetto appoggiare i gomiti sulla mensa. Si mangiava con grazia e il cibo veniva portato alla bocca in piccoli bocconi, utilizzando tre dita: pollice, indice e medio, rigorosamente con la mano destra. Per salare una pietanza insipida, bisognava intingere nella saliera la punta del coltello: toccare il sale con le dita sarebbe risultata scortesia. Il cavaliere tagliava i bocconi in pezzi piccoli, per infilzarli con la punta del coltello e porgerli alla dama, la quale, per parte sua, offriva all'uomo la propria coppa di vino. Per non bere da persona villana, perciò, bisognava assicurarsi che la bocca fosse completamente libera dal cibo; né si allungavano le mani sul vassoio per accaparrarsi le parti migliori. Il comportamento dei commensali doveva essere decoroso, perchè compostezza e comportamento erano segnale di signorilità. Ora, noi veggiamo talora a guisa di porci col grifo nella broda tutti abbandonati non levar mai alto il viso e mai non rimuover gli occhi, e molto meno le mani, dalle vivande. E con ambedue le gote gonfiate, come se essi sonassero la tromba o soffiassero nel fuoco, non mangiare, ma trangugiare: i quali, imbrattandosi le mani poco meno che fino al gomito, conciano in guisa le tovagliuole che le pezze degli agiamenti sono più nette. Con le quai tovagliuole anco molto spesso non si vergognano di rasciugare il sudore che, per lo affrettarsi e per lo soverchio mangiare, gocciola e cade loro dalla fronte e dal viso e d'intorno al collo, et anco di nettarsi con esse il naso, quando voglia loro ne viene. Veramente questi così fatti non meritarebbono di essere ricevuti, (...) ma doverebbono essere scacciati per tutto là dove costumati uomeni fossero. Dee adunque l'uomo costumato guardarsi di non ugnersi le dita sì che la tovagliuola ne rimanga imbrattata, percioché ella è stomachevole a vedere; et anco il fregarle al pane che egli dee mangiare, non pare polito costume (G. Della Casa, Galateo). IL PERSONALE DI SALA Il banchetto è il momento in cui il personale di Sala mette alla prova le proprie capacità artistiche e professionali, in quanto è direttamente coinvolto in questa complessa macchina conviviale e teatrale, oltre che gastronomica. Dietro, per così dire, le quinte, si svolgeva il lavoro di preparazione e presentazione delle numerose portate, ; il che implicava il concorso di specifiche professionalità. Per descrivere la “squadra”, anzi, il piccolo esercito, necessario per la messa in opera dell'evento, in genere si utilizza come citazione il celeberrimo dipinto di Paolo Veronese, le Nozze di Cana (1562-1563), conservato nel museo parigino del Louvre. Vi compaiono, infatti, le diverse figure che contribuiscono alla riuscita del servizio, entro una cornice scenografica enfatizzata dalla presenza di musici e teatranti. Occorre, però, specificare che il banchetto articolava la successione dei servizi, non da intendersi come singoli piatti, ma come generosi buffet posti sulle tavole simultaneamente, che alternavano buffet freddi e caldi, vale a dire “servizi di credenza” e “servizi di cucina”. Nel Medioevo la consumazione del pasto, specialmente in occasione di un banchetto, seguiva un preciso rituale la cui supervisione era affidata al “maggiordomo” o “maestro di casa”: nell’Alto medioevo si trattava del “cellarius” il dispensiere incaricato dell’approvvigionamento del cibo, ruolo poi passato allo “scalco”, competente del taglio della carne, ricordando come l'arte del trinciare rientri nell'educazione del gentiluomo civile. Nel Rinascimento questa figura assume il titolo di “Maestro di Cerimonia”: è responsabile dell'approvvigionamento, del lavoro dei cuochi, del personale di servizio, dell’aspetto della tavola, della composizione del menù, del tema e tenore degli intrattenimenti. Il Maestro di Casa, durante il Medioevo, o il Maestro di Cerimonia, durante il Rinascimento, ricoprivano il ruolo che oggi spetta al Maitre. Nella corte rinascimentale gli addetti alla preparazione dei cibi in cucina sono distinti da coloro che servono a tavola, chiamati, presso gli Estensi, “ufficiali di bocca” (cfr. Guido Guerzoni ne Le Corti Estensi e la Devoluzione di Ferrara del 1598). Prima del servizio, nella sala - disposta a U e apparecchiata nella parte esterna - entrano in fila processionale i servitori: il “Maestro di Cerimonia” è contraddistinto, oltre che dall’abito, anche dal coltello che porta appeso alla cintura. Attorno al tavolo d'onore, si avvicendano molti domestici, sotto il controllo del “Maestro di Cerimonia” e dei suoi assistenti: il credenziere (a volte è lo stesso dispensiere), addetto alla preparazione della pasticceria e alla credenza (“a vista” dei commensali perché ammirino i preziosi corredi da tavola del signore); il bottigliere, addetto alla cantina. Mescere il vino e l’acqua è fra i compiti del coppiere, incaricato della scelta e dell'accoppiamento del vino con i piatti; il coppiere assaggia i vini, comanda ai valletti di servire le bevande al tavolo e di porgere ai commensali l’acqua profumata per gli “acquamanili”, servendosi di caraffe d’argento. Giovani paggi o scudieri di bell'aspetto, elegantemente abbigliati, si occupano con solerzia e abilità, ma anche con accortezza, del servizio delle bevande. Il taglio della carne è un momento spettacolare e gli “scalchi” ne praticano l'arte, mostrando virtuosismi nel tagliare al volo (in punta di lama), facendone ricadere le fette nel piatto; utilizzando fino a venticinque tipi diversi di coltelli, lo scalco esegue i tagli in modo rituale, ottenendo pezzetti non più grandi di un dito; a volte, o perché la carne non è morbidissima, o perché la maggior parte dei commensali ha i denti in pessime condizioni, la tritura. Oggi la specialità e scomparsa: qualunque addetto al servizio di sala – escluso il sommelier – può occuparsi del taglio della carne. È compito, infine, dello scalco predisporre quotidianamente il menu per il pranzo, ricordare e assecondare il gusto dei convitati, tenere in considerazione le caratteristiche stagionali dei prodotti al momento dell’approvvigionamento, oltre che saper scegliere gli argenti, i cristalli e le porcellane da utilizzare per il servizio (cfr. Antonio Latini, Lo Scalco alla moderna, ovvero l’arte di ben disporre i conviti). Deve, infine, programmare gli spettacoli di intrattenimento che allietano i presenti durante il lungo banchetto, mentre paggi e scudieri introducono in sala le portate disposte su grandi vassoi, mentre i cibi arrivano dalla cucina chiusi in contenitori detti “conserve”. Ballerini, musici, figuranti e recitanti allietano i commensali con spettacoli fra un servizio e l’altro per consentire ai servi di togliere la tovaglia e cambiare i piatti . LA MISE EN PLACE DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO Medioevo La tovaglia La tovaglia nasce a causa di credenze mitologiche e copre il tavolo durante il pasto, ai bordi del tavolo vi sono lunghi pezzi di stoffa( che successivamente diventeranno tovaglioli) utilizzati per pulirsi le mani. Il coltello Il coltello era uno per l’intera tavolata, e usato a turno per tagliare grandi pesci e grandi pezzi di carne. Rinascimento Il coltello Nel 500 il coltello e i cucchiai vengono portati personalmente dal commensale e all’inizio del pasto posati sulla tavola. Così prendono il nome di posate La forchetta Nel 700 viene introdotta la forchetta, utilizzata per prendere i cibi ed evitare di usare le mani. Il bicchiere Viene introdotto il bicchiere, uno per ogni commensale( creato con materiali quali: oro; argento;vetro…) Mise en place L’epocale mise en place verrà poi ricoperta da un tovagliolo che verrà poi rimosso all’inizio del pasto. Qui ha origina l’attuale nome coperto. Il piatto Infine il piatto che poteva avere forma ovale o rettangolare e poteva essere fatto di vetro, legno oro e argento, e utilizzato per ogni commensale come appoggio per i cibi sporzionati e successivamente consumati. LE BUONE MANIERE OGGI Sotto il l titolo di Galateo (dal nome del dedicatario, Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa Aurunca), Monsignor Giovanni Della Casa ha raccolto norme e regole di comportamento dei gentiluomini (anche a tavola). Il Galateo contribuisce alla elaborazione della moderna concezione delle “buone maniere”, precisandosi progressivamente e differenziandosi, a partire dalle origini rinascimentali. Nel XV secolo, con il declino della cultura della corte, l'ideale morale e cortese legato all'antica istituzione della cavalleria - diventa collettivo, e dalla nobiltà si estende progressivamente alla borghesia. Fino alla fine del XVIII secolo, punto di riferimento dell'individuo civilizzato rimane l'uomo cortese; almeno finché l'Illuminismo non sviluppa una visione nuova dei comportamenti ispirati ai criteri dell'uguaglianza e della felicità universali. Col Novecento, l' 'etichetta' si confronta con snobismo e ostentazione, prima di essere, alla fine del secolo, quasi dimenticata. La rivoluzione culturale degli anni Sessanta, richiamandosi agli ideali (illuministici) della naturalezza, ha reso flessibili le regole tradizionali della buona creanza, rafforzando la tendenza all'individualizzazione dei comportamenti. Negli ultimi tempi, segnati dalla diffusione di cattivi costumi e maleducazione, si torna a porre attenzione all'arte delle 'buone maniere' che, sottratta all'esclusività delle classi dominanti, è oggi praticabile da tutti.