IL SACRO MONTE DI OSSUCCIO Cenni storici Il Sacro Monte di Ossuccio, sul lago e in diocesi di Como, si è costituito nel XVII secolo, in pochi decenni, in connessione con il preesistente santuario della Madonna del Soccorso. Il santuario, eretto a partire dal 1537 e già sottoposto alla giurisdizione dei canonici della chiesa plebana di Sant’Eufemia, è cresciuto attorno ad una miracolosa raffigurazione della Madonna col Bambino e Santa Eufemia, affrescata sul supporto murario di un’edicola parzialmente conservata. Al momento costruttivo del 1537 può ben datarsi l’ampliamento dell’affresco votivo, che alla figura della Madonna ha aggiunto Sant’Eufemia e gli altri santi ora scomparsi. Nella cimasa dello scanno dipinto si legge:”QUESTA FIGURE DE LA MADONA SIE QUELA CHE FU DEPINTA QUANDO FU PRINCIPIATO QUESTA GESA PER LA QUAL MOLTI NE HANNO RICEVUTE MOLTE GRATIE” Importanti informazioni sulle vicende costruttive del santuario sono fornite dalla relazione della Visita pastorale del vescovo Feliciano Ninguarda, in data 5 dicembre 1593: “In fine dell’oratorio da man sinistra nell’entrare, ove è l’immagine della Beata Vergine, antico et primo principio di questo oratorio, in un pocho di niccia è fatto un altare (...), non ha ancona, ma in cambio sono nel muro pinte diverse immagini. Cioè nel mezzo quella vecchia della Beata Vergine col figlio in braccio et santa Eufemia e dal lato destro di santo Hieronimo e Sebastiano, e dall’altro di santo Roccho e santo Benedetto con altri ornamenti e figure cioè la Pietà e Nonciata et per quanto si vede scritto nel muro, fu pinta nel muro l’imagine della Beata Vergine l’anno 1501”. Le figure dei santi che nell’affresco fiancheggiavano la Madonna col Bambino e santa Eufemia sono state eliminate quando fu realizzata, su commissione del marchese Giacomo Gallio, la cornice marmorea che sovrasta l’altare. Continua la relazione del vescovo Ninguarda: “All’oriente è una cappella di mezza volta con pitture del mistero dell’Assunzione con li dodeci apostoli a torno et altri ornamenti de fiorami, et in essa un altare (...), senza ancona, ma con una statua di marmo della Beata Vergine di rilievo con il figlio in braccio, parte pinta in color di veste e parte adorata”. Il culto mariano, originariamente raccolto attorno all’immagine dell’affresco, così come provano, oltre che le attestazioni delle Visite pastorali, i numerosi ex voto, ha quindi privilegiato l’immagine devozionale del gruppo statuario della Madonna col Bambino, opera trecentesca di scultore campionese, ora conservata nella cappella. Non si può inoltre non soffermare la nostra attenzione sulla “cappella di mezza volta con pitture del mistero dell’Assunzione con li dodeci apostoli a torno” descritta dal Ninguarda. Importa anche ricordare che sia questa cappella, sul cui altare era la statua della Madonna col Bambino, sia quella dove era l’affresco potevano essere viste dall’esterno attraverso apposite fineste ricavate nel muro. Il Ninguarda trovò irregolare tale opportunità di osservazione, ma ritenne che fosse lecito tollerarla, in quanto che proficua per la devozione dei viandanti e dei pellegrini che salivano al santuario in orario diverso da quello della celebrazione della messa . La cappella dell’Assunzione deve quindi ritenersi all’origine della costituzione del Sacro Monte. Il santuario divenne poi la quindicesima cappella del percorso devozionale, dedicata al quinto Mistero glorioso del Rosario (Maria regina degli angeli e dei santi). Il santuario della Madonna del Soccorso fu consacrato dal vescovo Francesco Bonesana il 1 agosto 1699. Le date di costruzione dell’oratorio (1537) e della consacrazione (1699) sono precisate dall’epigrafe che si legge nel cartiglio posto sopra il portone della controfacciata. Ancora da chiarire sono i tempi, le motivazioni ed i nomi dei protagonisti delle scelte che portarono a dotare la strada che conduce al santuario, salendo dal torrente Perlana e proseguendo per l’alpeggio soprastante, di 14 stazioni di sosta, riservate alla meditazione dei Misteri del Rosario. Diverse cappelle hanno in facciata, sopra la finestra che permette la visione della scena del Nuovo Testamento illustrata all’interno, lo stemma in pietra dei committenti. Oltre che per i lasciti testamentari e le diffuse elemosine raccolte dai fedeli delle comunità del territorio circostante e per il ricavato eccezionale delle questue compiute nei paesi d’Oltralpe dagli eremiti francescani custodi del santuario, l’impegno del cantiere fu completato grazie alla generosità di componenti, ecclesiastici e laici, di ragguardevoli famiglie locali, talvolta coinvolte in consuete vicissitudini di emigrazione in Germania e in Austria (Salice, Cetti, Brentano, Gilardone e Mainoni). Due cappelle (VII, VIII) sono state finanziate dalla famiglia Gilardone di Volesio, e addirittura 3 (IX, X, XII) da Andrea Cetti di Lenno, che concluse la propria vita nella Vienna dell’imperatore Leopoldo d’Asburgo come responsabile della locale zecca (1660-1665). Lo stemma della famiglia Cetti compare anche sulla cassa dell’organo intagliato dalla bottega di Antonio Pino nella chiesa del santuario. Cospicui lasciti erano già stati precedentemente deliberati da Lorenzo Molinari di Sossana di Lezzeno (1644), per la fondazione della IV cappella, e da Giovanni Antonio Trincano, padre di Andrea, di Spurano di Ossuccio (1645). Certamente gli inizi sono stati caratterizzati da grande entusiasmo, ma - proprio per tale ragione - praticati con conduzione finanziaria non avveduta, contraendo prestiti e relativi interessi senza la prevista autorizzazione delle competenti autorità diocesane. Nel 1644, in occasione della terza Visita pastorale, il vescovo Lazzaro Carafino dispose che “li sindaci et agenti di questa chiesa rendino ogni anno i conti delle elemosine, redditi e spese di essa in mano del nostro Vicario foraneo quali li vegga e trovandoli ben curati et registrati li sottoscriva, né senza partecipazione di detto e dell’Arciprete entrino in spesa rilevante per essa chiesa e per le cappelle che intendono fabbricare dei Misteri del Rosario, dei quali dovranno presentare a noi il disegno fatto da periti per esser approvato”. Ancora nel 1659, rammaricandosi di non poter esaminare i registri degli anni compresi fra il 1644 e il 1656 (“per esser trattenuto il libro della fabbrica da uno degli amministratori di quel tempo, sotto pretesto di certa promessa fatta a fratelli Paravicini di Traona creditori”), vietò ulteriori impegni di spesa, fino a quando non fossero stati pagati i debiti, e ordinò che nuove cappelle non fossero “piantate” prima che fosse stata stabilita la strada di collegamento con il santuario, “che si dovrà fare più prima che sia possibile e comoda per visitare le già fatte e quelle che restano da farsi”. La gestione della contabilità fu presto riequilibrata e risolta in positivo dal priore Andrea Trincano, con esiti così soddisfacenti che durante il suo lungo incarico, svolto dal 1656 al 1710, anno in cui morì, furono edificate tutte le cappelle, “a riserva di una che era già fabbricata”. Nell’ottobre del 1670 il vescovo Ambrogio Torriani provvide pertanto a costituire la direzione del santuario, affidandola ad una congregazione di cinque persone, composta dall’arciprete, da due canonici e da due esponenti della comunità, fra i quali occorreva eleggere un tesoriere e un consegnatario dei libri delle entrate e delle spese. Le chiavi delle cappelle dovevano invece essere tenute dall’“eremita” o “sacerdote assistente”. Amministratori del santuario erano allora da molti anni (con libri contabili che datavano dal 15 marzo 1656) Andrea Trincano, Giovanni Pietro Salice e il canonico Giovanni Salice di Isola. Negli impegni contrattuali e nella risoluzione dei pagamenti ad Agostino Silva e ai pittori si manifesta ripetutamente il nome di fra Timoteo Snider, un terziario francescano che è ricordato, con varie testimonianze, fino alla morte avvenuta nel 1682. L’evoluzione dei titoli con i quali è menzionato (nel 1663, nel 1665, nel 1699 come “eremita”, nel 1667 come “custode” e nel 1680 come “sindaco e fabbriciere”) attesta la forza promozionale del suo ruolo e il consolidarsi dell’identità di una fabbriceria ormai costituita. Una sua indignata lettera indirizzata nel 1670 al vescovo Torriani descrive comunque l’abbandono e il cattivo stato di conservazione del Sacro Monte, a causa della mancanza di rispetto riservatogli dall’indisciplinata popolazione che lo frequentava. Nella disputa che nel primo quarto del Settecento contrappose la Fabbriceria della Beata Vergine del Soccorso ai canonici di Sant’Eufemia di Isola, per stabilire se la chiesa del santuario “abbia dipendenza nell’espletamento delle funzioni ecclesiastiche dal parroco o dal capitolo”, si volle contrapporre l’attività promozionale svolta da fra Timoteo Snider, il cui nome compare ripetutamente negli impegni contrattuali e nella risoluzione dei pagamenti ad Agostino Silva e ai vari pittori impiegati nella decorazione ad affresco (con la qualifica di “eremita”, “custode”, “assistente” e “sindaco e fabbriciere”) a quella altrettanto determinante esercitata dal tesoriere Andrea Trincano. L’approfondimento della ricerca storica sempre più conferma l’importante ruolo impersonato da entrambi, nell’espletamento dei diversi incarichi. Non si evidenziano tuttavia manifeste occasioni di contrasto. Chiarisce bene le modalità dell’assiduo e fortunato impegno praticato dallo Snider, con la registrazione di numerosi e vivaci accenni di cronaca quotidiana, la convenzione con la quale, in data 18 dicembre 1675, i fabbricieri si impegnano a garantire al loro “assistente” “vitto, vestito ed abitazione”, “con ché assisti e si adoperi come per lo passato compatibilmente colla di lui salute ed età senile in vantaggio della Fabbrica medesima”. Apprendiamo inoltre che lo Snider fu ricompensato dai committenti (ed il danaro, ovviamente, fu versato alla cassa del santuario) per aver presenziato ai cantieri di edificazione della cappelle finanziate da Andrea Cetti (IX, X, XII), Benedetto Brentano (XI), Giorgio Gilardone (VIII) e Tommaso Gilardone (VII). Acquista quindi maggiore attendibilità l’ipotesi che possa anche aver avuto specifica responsabilità di progettazione architettonica, congettura precedentemente avanzata considerando la tela, esposta in chiesa, che lo ritrae, nel 1678 a 49 anni, con in mano un compasso ed il disegno della pianta di un edificio, riconoscibile come la XII cappella. Gravi danni, ma procurati dall’insufficiente impegno per la sollecita manutenzione delle cappelle, sono evidenziati nei decreti del sopra citato vescovo: “ordiniamo che a quella dell’Assunta si riparino le pioggie che entrano dalla cuppoletta a ruinare le statue e le pitture, e se la Communità di Sala (che non crediamo) ricuserà di consegnare la sua chiave coll’altre, prenderemo espediente di loro poca sodisfatione”. All’epoca del vescovo Torriani erano edificati dodici edifici, “in statuis cretaceis depictis et deauratis preter picturas in parietibus implentes numerarum figurarum eiusdem mysterii, sed non in omnibus, cum aliquae pingendae remaneant”. Le due cappelle che mancavano furono erette dopo che nel 1673 e nel 1674 furono stipulati i contratti per l’acquisizione degli indispensabili terreni. Una (si tratta di un “Mistero doloroso”) era quella dell’Orazione nell’orto del Getzemani, perché in data 21 giugno 1680 Francesco Innocenzo Torriani dichiarava di ricevere pagamenti per la pittura eseguita “dove anderà” la raffigurazione indicata, l’altra potrebbe essere quella della Disputa di Gesù con i dottori del Tempio, nella quale sono le ultime sculture di Agostino Silva (1688). Tutte le cappelle, come si è precedentemente detto, erano pronte e notate dal vescovo Francesco Bonesana il primo agosto 1699. Tutte le cappelle, come detto, erano pronte e notate dal vescovo Francesco Bonesana il primo agosto 1699. Ma già nel secondo decennio del secolo successivo, accanto ai costanti lavori di revisione dei tetti, per vero mai sospesi, sono registrati nella contabilità della Fabbriceria significativi pagamenti per “far mutare il tetto” della cappella della Salita al Calvario (IX) (7 luglio 1713) e per “far la colonnetta alla finesta” e per il “telaio ed invetriata della finestra” della cappella della Crocifissione (X) (17 settembre e 5 novembre 1716). C’è da chiedersi se gli interventi non abbiano riguardato la modificazione della struttura architettonica degli edifici, per migliorarne l’areazione delle volte e per ridurre l’esposizione delle superfici interne decorate e delle raffigurazioni scultoree al diretto contatto con le avversità atmosferiche. Il 20 dicembre 1716 Gaspare Corti è ricompensato per aver “raccomodato” le statue delle (imprecisate) cappelle. L’anno dopo, il 7 settembre e il 28 ottobre 1717, con la stessa motivazione, sono pagati lo stuccatore Domenico Stoppani e il pittore Bernardo Pianarossa. Si inasprì, alla morte del priore Andrea Trincano, il contrasto fra gli interessi dei canonici di Sant'Eufemia e dei responsabili della Fabbriceria. Il risolvimento della controversia, “se la chiesa della Beata Vergine del Soccorso abbia dipendenza nell'espletamento delle funzioni ecclesiastiche dal parroco o dal capitolo” (e se gli stessi possano quindi tenere le chiavi della cassa delle elemosine), fu rinviato al giudizio della romana Sacra Congregazione dei Riti, che, esaminando la copiosissima documentazione, deliberò nel 1714 a favore dei fabbricieri. La sentenza fu ancora riconfermata nel 1720. Le ragioni della Fabbriceria sostenevano la determinante attività intrapresa dal Trincano nel concretizzare la realizzazione delle cappelle e la sistemazione del percorso di accesso al santuario. I canonici, al contrario, oltre a sminuire la partecipazione delle comunità di Ossuccio e di Spurano nei lavori di completamento della chiesa, esaltavano, nell'ambito dell'edificazione del Sacro Monte, la partecipazione delle diverse famiglie e l'apporto del danaro raccolto dai frati custodi ed eremiti durante i viaggi di questua effettuati in Germania. Inevitabilmente si contrapponeva al protagonismo del Trincano l'iniziativa dello Snider. Interessa ancora ricordare che nel febbraio del 1711 erano saliti al santuario alcuni cappuccini incaricati di disegnare la veduta del “Monte della Beata Vergine del Soccorso sopra l’Isola”, al fine di predisporne l’incisione su rame dedicata al marchese Giorgio Clerici, proprietario della non lontana villa di Tremezzo ora celebre come Villa Carlotta. (Al marchese furono donate due stampe “in seta, con il pizzo d’oro a torno”). Si riconoscono agevolmente, nel disegno, le cappelle degli ultimi nove Misteri del Rosario. Scendendo verso il lago, il percorso si perde, le cappelle si moltiplicano e si confondono. A seguito dei Patti Lateranensi, il santuario stesso, con le annesse cappelle, nell’estate 1932 fa dato in consegna al vescovo Alessandro Macchi, titolare della Diocesi di Como (Decreto ministeriale dell’11 luglio 1932, n. 2169). Civilmente riconosciuto nel 1997, l’Ente Ecclesiastico Santuario Beata Vergine del Soccorso è da allora amministrato dai padri cappuccini, presenti in loco già da un decennio. Lapide murata sul fianco della chiesa riportante la dichiarazione dell’UNESCO che dichiara i Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia, tra i quali Ossuccio, patrimonio dell’umanità. Le cappelle, innalzate secondo progetti di maestri non più accertabili, non si impongono all'attenzione per particolari motivi di composizione e di struttura. Alcune (V, VII, VIII, IX) sono dotate di un pronao, che in tre casi (VI, XI, XII) si estende a coprire l'intera larghezza della strada acciottolata, integrando la presenza delle cappelle nel percorso devozionale. L'ottagonale cappella della Crocifissione, situata in un significativo angolo di svolta della salita, è circondata da un porticato. Si segnalano, fra tutte, le cappelle XII e XIII per l'articolato disegno delle pareti interne (e dei volumi, limitatamente alla XIII), di fronte alla semplice regolarità geometrica su cui sono impostate le restanti. Non risulta da alcun documento finora noto (e la constatazione non è irrilevante) che fra Timoteo Snider, ritratto in una tela conservata nel santuario, nel 1778 a 49 anni, tenendo nelle mani il compasso e il disegno in pianta di un edificio, riconoscibile come la XII cappella, abbia avuto consuetudine con l'esercizio dell'architettura e perfino che sia stato il progettista delle cappelle più elaborate. Il suo coinvolgimento è però accertato nella decorazione delle cappelle architettonicamente più notevoli, affollate da numerose statue di Agostino Silva e soprattutto arricchite dai fondali pittorici più sontuosi e coerenti, per cui furono chiamati i migliori pittori comaschi disponibili sul mercato, Giovanni Battista e Giovan Paolo Recchi (X, XII, XIII), Carlo Gaffuri (VIII, X) e Francesco Innocenzo Torriani (VI). Si pone a questo punto il problema dell'individuazione della responsabilità della regia, della composizione scenica delle sacre storie, perché ovviamente non sarà stata una fortunata coincidenza l'assegnazione delle due cappelle di pianta complessa alla bottega dei Recchi, operante con successo in Lombardia e nelle residenze sabaude del Piemonte con specifiche competenze professionali altresì nella resa delle quadrature architettoniche. E' stata colta, con intelligente argomentazione, la derivazione del Sacro Monte di Ossuccio, come prodotto tradotto in forme di “arte minore”, dal modello di poco precedente e più aulico di Varese. Una diretta continuità professionale lega inoltre, nelle due località, il qualificante intervento di Francesco Silva all'identico incarico svolto dal figlio Agostino. La debolezza di Ossuccio rispetto a Varese è riscontrabile soprattutto nell'arredo delle cappelle in cui hanno lavorato scultori diversi, anche in un ambiente di spazio affrescato in economia, dove è accentuato talvolta il desolante vuoto che attornia le statue. Le figure modellate da Agostino non sono tanto inferiori a quelle realizzate dal padre, per livello qualitativo, varietà gestuale ed espressione. Ma a Varese, se compariamo ad esempio le cappelle della Disputa di Gesù con i dottori del Tempio, si coglie una più sicura capacità progettuale, che concentra in unità visiva l'azione dei gruppi statuari, su differenziati piani di appoggio, sapientemente disposti davanti ad un non dispersivo fondale prospettico. La stessa disposizione delle statue addossate alle pareti era già stata proposta, ad Ossuccio, nelle cappelle dell'Ascensione e della Discesa dello Spirito Santo. Qui la rappresentazione si compone tuttavia integrando attori e comparse sospesi fino all'altezza della volta, in corrispondenza di una quadratura che sfrutta l'articolazione più mossa dei piani e dei volumi architettonici. Le cappelle che reggono il confronto con le migliori realizzazione secentesche di ogni altro Sacro Monte sono quelle che sono state maggiormente studiate e sovvenzionate dalla liberalità di Andrea Cetti, quelle approntate negli anni che precedono le commissioni umbre e marchigiane del Silva e in cui fra Timoteo Snider ha svolto con fermezza una determinante iniziativa di coordinamento, fra buoni pittori e uno scultore meno distratto da estranee incombenze. GLI ARTISTI Carlo Gaffuri Pittore comasco, fratello dello scultore in legno Giovanni. Muore fra il 21 e il 22 novembre 1674. A. Rovi, I Gaffuri. Tre generazioni di intagliatori e un pittore. Contributi documentali, in “Periodico della Società Storica Comense”, 1998, pp. 193-222 Giovan Paolo Recchi Pittore comasco, fratello minore di Giovan Battista, documentato dal 1628. Operoso in numerosi cantieri in Lombardia ed in Piemonte, muore il 6 ottobre 1686. G. Virgilio, L’attività artistica di Giovan Battista e Giovan Paolo Recchi e Regesto, in L’architettura dipinta di Giovan Battista Recchi. Tre dipintti per Marco Gallio (“Quaderni della Pinacoteca Civica di Como” n. 2, 1999, a cura di M. L. Casati), Como 1999, pp. 63-88 Salvatore Pozzi Pittore valsoldese appartenente alla nota famiglia che annovera diverse generazioni di artisti. G. Mollisi, Salvatore Pozzi a Bironico. Un seguace di Camillo Procaccini tra Ticino, Piemonte e Lombardia, in “Arte e Storia”, 38, 2008, pp. 70-90 Agostino Silva Nasce a Morbio Inferiore, in Canton Ticino, l’11 novembre 1628. Figlio dello scultore Francesco che ha realizzato l'arredo statuario di numerose cappelle del Sacro Monte di Varese, ha lavorato anche in Umbria (Assisi e Spello) e nelle Marche (Urbino). E’ documentata anche una sua attività come architetto. Muore nel 1706. S. Gavazzi, Silva, famiglia, in Dizionario della Chiesa Ambrosiana, vol. VI, Milano 1993, pp. 3436-3439 Francesco Innocenzo Torriani Figlio del pittore Francesco, nasce a Mendrisio il 18 dicembre. Artista di buon nome, ha inviato dipinti a soggetto religioso anche nella Svizzera interna ed in Germania (Passau). Muore a Como l’11 maggio 1700. Francesco e Innocenzo Torriani. Opere e vicende di due artisti del Seicento, catalogo della mostra a cura di L. Damiani Cabrini e A. Gilardi, Mendrisio 2006