Liceo G.B. Benedetti Venezia LA SCHIAVITU’ NEL MONDO Biadene Bernardo- Mazzoleni Giovanni D’Ambrosi Alberto-Pavanini Giulio a.s. 2008/2009 Indice Schiavitù nei paesi islamici Schiavitù e impero ottomano Schiavitù in Egitto Arabi e schiavi SCHIAVITU’ NEI PAESI ISLAMICI Come è noto, il Corano, al contrario del Vangelo, non soltanto ammette l’esistenza della schiavitù come un fatto permanente di vita, ma addirittura detta le regole per la sua stessa pratica. D’altra parte, l’antica legge islamica riconosce di fatto l’ineguaglianza fondamentale tra gli uomini appartenenti a diverse religioni e, di conseguenza, quella tra padrone e schiavo (Corano, 16:71; 30:28). In pratica, il Corano assicura da secoli ai suoi fedeli il diritto, teorico e sostanziale, di possedere servi (per essere più precisi: di “possedere i loro colli”) sia attraverso la libera contrattazione di mercato, sia come bottino di guerra (58:3). Non a caso, lo stesso Maometto ebbe dozzine di schiavi, sia maschi che femmine, che era solito utilizzare per certe mansioni o vendere. “L’acquisizione dei servi è regolata dalla legge…ed è possibile per il mussulmano uccidere un infedele o metterlo in catene, assicurandosi in questo caso anche la proprietà legale dei suoi discendenti nati in cattività” (trascrizione dall’opera prima del teologo Ibn Timiyya, Vol. 32, p. 89). Al contrario, nessun mussulmano potrà mai detenere schiavi della sua stessa religione, “poiché quella islamica è la più nobile e superiore delle razze” (Ibn Timiyya, Vol. 31, p. 380). Nel corso dei secoli il presupposto di matrice cristiana e occidentale di libertà personale quale condizione naturale e inalienabile dell’essere umano non è mai entrato a fare parte del bagaglio culturale e religioso dell’Islam: dottrina religiosa impermeabile agli influssi pre-illuministici ed illuministici. Nel mondo mussulmano, infatti, il consenso divino alla pratica della schiavitù rappresenta una norma codificata e regolata al suo interno da una serie di specifiche “indicazioni” relative ai rapporti tra proprietario e servo e ai loro diritti e doveri. Anche se a ben vedere, per lo schiavo il diritto corrisponde a soli doveri, assolti i quali per costui è possibile fruire della “compassione” del padrone. La necessità di incrementare la coltivazione della canna da zucchero e di difendere il territorio dalle ingerenze portoghesi, indusse inoltre il Marocco (xv sec.) ad aumentare il numero degli schiavi neri per essere utilizzati nel lavoro e nell’esercito. Nel 1822 la metà settentrionale del territorio che forma l’attuale Sudan, fu posta sotto l’amministrazione egiziana che, per far fronte alle spese pubbliche, si riservò il monopolio dell’avorio. Ben presto però esso risultò una fonte di guadagno insufficiente e per questo fu necessario integrarlo con quello proveniente dagli schiavi. Lo schiavismo metteva a disposizioni dei mercanti un’ampia manodopera adatta all’esportazione; questa fu dirottata su due assi: uno in direzione nord, verso l’Egitto e la Cirenaica, un secondo, molto più consistente, verso i mercati del Mar Rosso e dell’Arabia. I commercianti e i negrieri arabi, inoltrandosi nell’entroterra, svilupparono un’immensa rete di piste carovaniere dove lungo il loro cammino, gli schiavisti, entrarono a contatto con popoli guerrieri barattando le varie merci. Le spedizioni avevano come scopo ufficiale il commercio dell’avorio, utilizzando gli schiavi per la caccia , lo stoccaggio e il trasporto dell’avorio. Quando si parla di tratta degli schiavi dobbiamo conoscere una seconda via dello schiavismo africano: quello attraverso il deserto del Sahara e le regioni dell’Africa orientale, verso il Magreb, l’Egitto, il Medio Oriente o i paesi dell’Oceano Indiano. 600 / 700 L’Arabia, in seguito a trattati amichevoli con l’Abissinia e la Nubia, riceveva un certo numero di schiavi, originari di questi paesi che venivano utilizzati per lo più per lavori domestici e nell’esercito; questi scambi che si svilupparono molto rapidamente facevano confluire gli schiavi specialmente verso l’Arabia e la Mesopotamia. (Bagdad). Durante tutto il 600 gli eserciti arabi continuarono la loro inarrestabile marcia, attraverso il Sahara, verso il Maghreb, per raggiungere l’oceano Atlantico e la Spagna; le popolazioni così sottomesse dovevano pagare un’imposta annuale che era assolta anche con un tributo di schiavi. Nel periodo medioevale gli schiavi maschi assunsero grande importanza per la difesa e l ’espansione dell’Islam, e la loro presenza fu particolarmente significativa in Tunisia ed in Egitto dove, oltre ai molteplici lavori servili, i maschi erano usati come soldati, arruolati negli eserciti per l’espansione dell’Islam e come eunuchi , richiesti perché, essendo stranieri, non avevano legami con i gruppi rivali del padrone e non avendo famiglia non necessitavano di appropriarsi di ricchezze per il loro futuro. La schiavitù ebbe sempre una funzione secondaria nell'economia egiziana. I soldati ricevevano in ricompensa delle loro prestazioni schiavi stranieri e i templi e i possedimenti del faraone si arricchivano di schiavi prelevati tra le popolazioni vinte. Della condizione in cui questi schiavi vivevano sappiano molto poco. Tuttavia abbiamo notizia anche di schiavi sposati con donne libere o padroni di possedimenti e servitù. Accadeva che qualche schiavo tentasse la fuga; in questo caso lo si cercava, ma senza troppa determinazione, e se quello riusciva a varcare il confine la questione veniva archiviata. Esistevano anche dei mercati di schiavi: l'acquisto veniva reso ufficiale attraverso un giuramento prestato davanti a testimoni e ad una registrazione scritta fatta da un funzionario. Gli schiavi, di origine straniera, ricevevano subito un nome egizio e potevano anche venire affrancati. L'incredibile dedizione mostrata dagli schiavi al loro padrone, toccò in Egitto punte clamorose e fu per ricompensare tale straordinaria fedeltà che spesso i faraoni elevarono al rango di favoriti reali degli stranieri di condizione servile. Lo schiavismo di matrice islamica andò avanti per ben 1.400 anni (dal VIII al XX secolo) diventando una dell’attività commerciali più remunerative gestite dai mercanti mussulmani, soprattutto quelli della penisola araba (Gedda fu uno dei mercati più importanti). Si calcola che nell’arco di 14 secoli i mercanti mussulmani abbiano messo in catene oltre 100 milioni di soggetti negroidi. I servi erano, costretti a separarsi dalle famiglie, a vivere in recinti o in tuguri e ad essere sottoposti ad umiliazioni dolorose, come ad esempio l’infibulazione per le ragazze e la castrazione per i maschi. Sebbene la legge islamica richiedesse ai proprietari di trattare umanamente i propri schiavi e a fornirgli cibo e perfino cure, i mercanti e i padroni mussulmani si comportarono quasi sempre con estrema durezza. Per la cultura islamica lo schiavo rappresentava una sorta di bene mobile e da riproduzione da trattare ed utilizzare nei modi più convenienti.