Le ceneri di Gramsci.
Le ceneri di Gramsci è un libro di poesie
nel quale Pasolini raccoglie in un unico volume 11 poemetti
che lo stesso poeta aveva scritto e
pubblicato in varie riviste tra il 1950 e il 1956
revisionati e pubblicati nel1957 nelle edizioni Garzanti.
Gli undici poemetti sono:1) L’Appennino;
2) Il canto popolare; 3) Picasso; 4) Comizio;
5) L’umile Italia; 6) Quadri friulani;
7) Le ceneri di Gramsci; 8) Recit;
9) Il pianto della scavatrice;
10) Una polemica in versi; 11)La Terra di lavoro.
Il poemetto Le ceneri di Gramsci
è il n° 7 e dà il titolo
all’intera raccolta poetica pubblicata
da Pasolini nel 1957.
Il singolo poemetto era stato scritto
da Pasolini nel 1954 e pubblicato la prima volta
nei numeri 17 - 18 della rivista
“Nuovi Argomenti”
nel novembre – febbraio 1956.
I versi del poemetto sono 307 divisi
in 6 lasse molto lunghe.
Le strofe sono formate da terzine di versi
che oscillano intorno all’endecasillabo,
a rima incatenata di origine
pascoliana – dantesca.
Il discorso prende le mosse dalla registrazione
di una sconfitta storica: è passato un decennio
dalla fine della lotta di liberazione e
sono crollate le speranze,
allora vive, di “rifare la vita”, di rinnovare
dalle fondamenta la società italiana.
È un momento di vuoto e di sconforto,
il movimento operaio è in crisi,
trionfa la restaurazione moderata.
Le ceneri di Gramsci (Testo del poemetto).
I
Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buio, o l’abbaglia
con cieche schiarite … questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo
alle curve del Tevere, ai turchini
monti del Lazio… Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,
I (Testo del poemetto)
tra le vecchie muraglie l’autunnale
maggio. In esso c’è il grigiore del mondo;
la fine del decennio in cui appare
tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo…
Tu giovane, in quel maggio in cui l’errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,
I (Testo del poemetto)
quanto meno sventato e impuramente sano
dei nostri padri – non padre, ma umile
fratello – già con la tua magra mano
delineavi l’ideale che illumina
(ma non per noi: tu, morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell’umido
giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato.
III
(Testo del poemetto)
Uno straccetto rosso, come quello
arrotolato al collo ai partigiani
e, presso, l’urna, sul terreno cereo,
diversamente rossi, due gerani.
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei
morti: Le ceneri di Gramsci…Tra speranza
e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato
per caso in questa magra serra, innanzi
III
(Testo del poemetto)
alla tua tomba, al tuo spirito restato
quaggiù tra questi liberi. ( O è qualcosa
di diverso, forse, di più estasiato
e anche di più umile, ebbra simbiosi
d’adolescente di sesso con morte…)
E, da questo paese in cui non ebbe posa
la tua tensione, sento quale torto
qui nella quiete delle tombe – e insieme
quale ragione – nell’inquieta sorte
nostra – tu avessi stilando le supreme
pagine nei giorni del tuo assassinio.
IV (Testo del poemetto)
Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere
con te e contro te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere;
del mio paterno stato traditore
- nel pensiero, in un’ombra di azione –
mi so ad esso attaccato nel calore
degli istinti, dell’estetica passione,
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, è per me religione
IV
(Testo del poemetto)
la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza; è la forza originaria
dell’uomo, che nell’atto s’è perduta,
a darle l’ebbrezza della nostalgia,
una luce poetica; ed altro più
io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia…
VI (Testo del poemetto)
Me ne vado, ti lascio nella sera
che, benché triste, così dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea
che al quartiere in penombra si rapprende.
E lo sommuove. Lo fa diventare, vuoto,
intorno, e, più lontano, lo riaccende
di una vita smaniosa che del roco
rotolìo dei tram, dei gridi umani,
dialettali, fa un concerto fioco
VI
(Testo del poemetto)
e assoluto. E senti come in quei lontani
esseri che, in vita, gridano, ridono,
in quei loro veicoli, in quei grami
caseggiati dove si consuma l’infido
ed espansivo dono dell’esistenza –
quella vita non è che un brivido,
corporea, collettiva presenza;
senti il mancare di ogni religione
vera; non vita, ma sopravvivenza
VI
(Testo del poemetto)
- forse più lieta della vita - come
d’un popolo di animali, nel cui arcano
orgasmo con ci sia altra passione
che per l’operare quotidiano:
umile fervore cui dà un senso di festa
l’umile corruzione. Quanto più è vano
- in questo vuoto della storia, in questa
ronzante pausa in cui la vita tace –
ogni ideale, meglio è manifesta
VI (Testo del poemetto)
la stupenda, adusta sensualità
quasi alessandrina, che tutto minia
e impuramente accende, quando qua
nel mondo, qualcosa crolla, e si trascina
il mondo, nella penombra, rientrando
in vuote piazze, in scorate officine…
VI (testo del poemetto)
È un brusio la vita, e questi persi
in essa la perdono serenamente,
se il cuore ne hanno pieno: a godersi
eccoli, miseri, la sera: e potente
in essi, inermi, per essi, il mito
rinasce… Ma io, con il cuore cosciente
di chi soltanto nella storia ha vita,
potrò mai più con pura passione operare,
se so che la nostra storia è finita?
(Parafrasi) del poemetto Le ceneri di Gramsci.
I
Questa aria fosca non è di una giornata di maggio,
ma è un’aria autunnale che rende il cimitero inglese
ancora più buio, o lo abbaglia
con improvvisi fulmini…questo cielo
di nuvole basse con cerchi di grandi dimensioni
che velano gli attici gialli e le anse del Tevere e
i monti color turchino del Lazio…..
Questo maggio autunnale sparge una mortale noia,
triste come sono i nostri destini,
I
(Parafrasi del poemetto)
tra le vecchie mura della città.
In questo maggio si trova il tedio del mondo,
e tra le macerie si trova la fine
del decennio nel quale noi avevamo riposto
le speranze e lo sforzo di rifare la vita;
si trova il silenzio, bagnato e infecondo…..
Tu, giovane Gramsci, nel tuo maggio
credevi di rinnovare l’Italia, forse eri in errore,
ma almeno aggiungevi forza e passione;
I
(Parafrasi del poemetto)
ardore quanto meno sventato dei nostri padri
- ma tu non eri nostro padre eri semplicemente un nostro umile fratello
che progettavi il nostro ideale per illuminare
il nostro presente (ma non sarà per noi,
morti come te nel cimitero).
Non puoi più guidarci.
Lo vedi? Sei sepolto
in questo cimitero straniero
come fossi ancora confinato.
III (Parafrasi del poemetto)
Sopra la tua tomba c’è uno straccetto rosso,
uguale a quello che i partigiani stringevano al
collo,
e sopra il terreno cenere ci sono due gerani
rossi di due tonalità diverse.
Tu, Gramsci, stai sepolto bandito
e sei elencato fra tombe di patrizi inglesi.
Si legge: Le ceneri di Gramsci.
Io, tra speranza e sfiducia, ti vengo vicino,
capitato per caso in questa serra
e mi fermo dinnanzi
III (Parafrasi del poemetto)
alla tua tomba, davanti al tuo spirito
rimasto quaggiù libero tra questi liberi.
(Oh il mio spirito è diverso dal tuo,
forse, più giovanile e più infervorato
ma anche più semplice del tuo;
giovane sintesi di sesso e di morte).
E dall’Italia dove la tua vita non ebbe pace
capisco quale torto – qui in questa quiete –
e quale ragione - nell’inquieta nostra sorte –
tu avevi quando scrivevi le tue supreme
pagine durante la tua lunga prigionia.
IV (Parafrasi del poemetto)
Lo scandalo del contraddirmi:
di seguire te con la mente e con il cuore
di essere contro te nell’istinto e nell’inconscio;
mi sento traditore della borghesia
- nel pensiero e non nella pratica –
sono attaccato ad essa nel calore
dei miei istinti e per una passione di bellezza;
mentre sono vicino alla vita proletaria
già nata prima di te; la sua vitalità è
IV (Parafrasi del poemetto)
per me la mia religione; la sua millenaria lotta
non mi è vicina, ma la sua natura di popolo;
la sua coscienza non è la mia religione
ma lo è la sua forza originaria,
che si è persa nella storia,
a darle il fervore della nostalgia
e la sua poetica; e di essa non so dirne altro
perché se dicessi altro sarei giusto
ma non sincero, sarebbe un lodare astratto,
ma non sarebbe sincera simpatia.
VI (Parafrasi del poemetto)
Me ne vado, ti lascio nella sera
la quale benché triste scende dolce
tra gli uomini e la sua luce grigia
fa vivo il quartiere in penombra.
E lo risveglia, lo fa più grande e più vuoto
e lo riaccende tutto intorno
di una vita smaniosa la quale,
con il roco brusio dei tram
con la parlata dialettale,
fa un concerto fioco e
VI (Parafrasi del poemetto)
assoluto. E tu, Gramsci, senti
come quegli uomini gridano, ridono
nei loro veicoli, nelle loro case
dove si consuma l’infedele ed
espansivo dono dell’esistenzae senti come la vita non è che un brivido,
senti che la vita è una corporea presenza collettiva;
senti che tra di loro non c’è una vera religione;
che in mezzo a loro non c’è una vera vita,
ma c’è solo sopravvivenza
- forse più lieta della vita –
uguale a quella di un popolo di animali
che nel loro massimo piacere
non hanno altro che la passione
per il loro quotidiano operare:
umile piacere a cui dà un senso di festa
l’umile corruzione.
Quanto più è vano ogni ideale (politico - culturale)
- in questo momento vuoto della storia,
in questa ora di pausa nella quale la vita tace -
VI
(Parafrasi del poemetto)
allora la stupenda e ardente sensualità
del popolo quasi raffinata,
che tutto brucia e accende,
tanto meglio si manifesta,
mentre nel mondo tutto crolla
e tutto trascina nella penombra…
e il popolo rientra in vuote piazze
e in vuote officine.
Ultima parte del poemetto.
La vita è un brusio. E questi giovani persi
nella sera, la trascorrono serenamente
se hanno il cuore gioioso:
eccoli, miseri, nella sera; e potentemente
in essi il mito della gioventù rinasce….
Ma io con la chiara coscienza
di chi sa che la sua vita è nella storia
come potrò vivere con la pura passione
se so che la nostra storia è finita?.
Questa domanda retorica trovò
una risposta effettiva,
nella drammatica morte del poeta, poiché,
presumibilmente, i fascisti lo
uccisero con l’esca del “ragazzo di vita”.
Ma c’è da dire che Pasolini,
dopo vent’anni di lotta, (1955 – 1975)
contro tutti aveva cambiato
di molto le sue idee
sui giovani del sottoproletariato romano;
infatti nell’ultimo suo articolo aveva scritto:
<<L’universo romano è un universo “odioso”…
Infatti i giovani proletari e sottoproletari romani
appartengono totalmente
all’universo piccolo borghese>>.
Ma i fascisti lo ammazzarono
ugualmente, perché volevano eliminare
l’intellettuale Pasolini, cioè colui che
si batteva contro tutte le forme
di neofascismo e di oppressione
omologante. Il messaggio
fondamentale di Pasolini resta la sua vita,
vissuta all’insegna della libertà personale e culturale.
Infatti lui visse libero da tutto e da tutti,
pur amando la vita e gli altri,
come dimostra il messaggio di libertà estetica
e l’amore per l’eros e per la vita,
che proviene e che emana dalla
magnifica bellezza dei suoi film.
e
Il grande poeta Pier Palo Pasolini e il suo modesto
ammiratore, vi ricordano che
“Non lasciamo che uccidano i poeti”
Modica 11 settembre 2006
Carrubba Biagio
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Le ceneri di Gramsci (Testo del poemetto).