L’edificio è situato di fronte al Musée du Louvre, in una ex-stazione ferroviaria (la gare d'Orsay), costruita in stile eclettico alla fine dell'Ottocento. L'edificio fu costruito dall'architetto Victor Laloux a partire dal 1898 dove in precedenza sorgevano una caserma di cavalleria e il vecchio Palazzo d'Orsay; i lavori furono terminati dopo soli due anni, perché la stazione fosse pronta per l'Esposizione Universale del 1900. Nel 1939 le grandi linee ferroviarie furono spostate alla gare d'Austerlitz. Nel 1961 ne fu decisa la demolizione al fine di costruire, sotto il governo di Pompidou, un grande parallelepipedo di cristallo; ma gli sforzi di molti cittadini illustri che si battevano per la sua salvaguardia fecero sì che la stazione venisse risparmiata Nel 1978, sotto la presidenza Giscard d'Estaing fu finalmente decisa la trasformazione in museo. Il restauro venne affidato al gruppo ACT-Architecture, i cui componenti decisero di rispettare il più possibile la struttura e i materiali preesistenti. Al celebre architetto italiano Gae Aulenti venne invece affidata la disposizione degli spazi interni e la progettazione dei percorsi espositivi. Del realismo Gustave Courbet non solo è l’iniziatore, ma è anche l’artista che lo ha portato ai suoi risultati più alti e straordinari. Il critico Castagnary, fedele amico di Courbet, in un suo testo fondamentale, ha scritto: “Nel 1848 era abbastanza comprensibile che un pittore, nato dal popolo, repubblicano di costumi e di educazione, prendesse per oggetto della sua arte i contadini e i borghesi tra i quali aveva trascorso la sua infanzia… Dipingendoli in grandezza naturale e dando ad essi il vigore e il carattere che sino allora erano stati riservati agli dei e agli eroi, Courbet portò a termine una rivoluzione artistica”. La regola fondamentale del realismo era il legame diretto con tutti gli aspetti della vita quotidiana, rifiutando la mitologia, il quadro storico, l’esotismo, la bellezza convenzionale dei canoni classici. Gustave Courbet, Funerale a Ornans, 1849, olio su tela, 315 x 668 cm., Musée d’Orsay, Parigi. L'opera ha uno svolgimento orizzontale di un'estrema semplicità. In aperta campagna un corteo di personaggi sta assistendo a un funerale che, come dice il titolo, si svolge a Ornans: è tutto un paese che qui è rappresentato e ogni personaggio è un ritratto, dal sindaco al parroco, dal sagrestano ai portatori del feretro, dai borghesi a i contadini, dalle donne ai bambini. Ci sono a sinistra gli ecclesiastici e i seppellitori, mentre a destra ci sono i parenti e amici. Fra questi ultimi la critica ha identificato alcuni parenti e amici di Courbet In tutto una cinquantina di personaggi, una comunità intera, raccolta intorno alla fossa, in attesa che vi discenda la bara. E dietro, sul fondo, le crete di Ornans e il cielo cupo, coperto di nuvole. Una luce più viva illumina a sinistra il drappo della bara, le tuniche dei chierichetti, il piviale del prete, e sembra rimbalzare al lato opposto sulle cuffie bianche delle beghine, sul manto del cane in primo piano. E' un quadro di una robusta coralità, di un'intensità contenuta, priva di qualsiasi forzatura espressiva. Ecco dunque chi erano gli "eroi" di Courbet: i buoni borghesi, i contadini, gli artigiani, la gente che egli incontrava nella strada o nei campi. Gustave Courbet, L’atelier del pittore, 1855, olio su tela, 359 x 598 cm., Musée d’Orsay, Parigi. Courbet concepì questa enorme tela quasi come manifesto della propria vita artistica ed esistenziale. Courbet fu uno dei principali protagonisti dei moti parigini del 1848, che determinarono la caduta della Monarchia e l'affermazione della Repubblica. Le sue idee politiche naturalmente si riflettevano sulla pittura a cui egli attribuiva un valore sociale. Courbet impianta la scena nel suo atelier, dal 1849 ospitato all'interno del granaio del padre. Egli si ritrae al centro della composizione, esalando così il ruolo del pittore e dell'arte nella società; a destra sono alcuni suoi amici e compagni di lavoro e a sinistra altri personaggi di fantasia. Tutti comunque assumono valenza simbolica: la donna seduta per terra che allatta il suo piccolo allude alla Miseria; il teschio è deposto sul "Journal des débats" in quanto in quella rivista Proudhon aveva esposto il suo pensiero riguardo alla stampa reazionaria quale cimitero delle idee; il bracconiere con il cane impersona la Caccia, passione di Courbet; particolare disprezzo è rivolto alla chitarra e al cappello piumato posti a terra in quanto, a giudizio dell'artista, sono gli attributi della Poesia Romantica. La tela, firmata e datata in basso a sinistra "55, G. Courbet", fu presentata da Courbet all'Esposizione Internazionale del 1855. A causa del rifiuto da parte della commissione esaminatrice, l'artista allestì una propria mostra, nella quale espose trentanove dipinti, in un padiglione nei pressi del Salon, intitolato appunto “Padiglione del Realismo”. I personaggi presenti sulla destra della composizione, tutti amici di Courbet, sono stati identificati nel 1906 dallo studioso G. Ryat. A ciascuno di loro l'artista affida il compito di alludere all'arte che rappresentano. Ad esempio: Baudelaire, seduto sopra il tavolo, la Poesia... Champfleury, seduto sullo sgabello, la Prosa... Proudhon, in piedi sullo sfondo, la Filosofia Socialista... Bruyas, in piedi in primo piano sullo sfondo, il Mecenatismo… Infine, il bambino intento ad osservare l'artista che dipinge rappresenta il Futuro della pittura: sincera e vera. Accanto a Courbet, la modella nuda è sua sorella Juliette. Il movimento Impressionista nacque a Parigi nel 1870. La loro prima mostra avvenne nel 1874 nello studio del fotografo Nadar. La definizione si fa risalire al commento ironico di un critico su un quadro di Monet intitolato “Impression, soleil levant” ma è stata adottata dagli artisti, quasi per sfida, nelle successive mostre. Con gli Impressionisti il mondo dell’arte cambiò definitivamente. Non avevano un programma preciso, ma si trovarono d’accordo su alcuni punti: L’avversione per l’arte accademica L’orientamento realista Il disinteresse totale per il soggetto e quindi la preferenza per il paesaggio e la natura morta Volevano dipingere ciò che vedevano e non ciò che conoscevano. Gli artisti spostarono la loro attenzione verso una nuova categoria sociale. I soggetti impressionisti furono soprattutto le realtà contemporanee e quegli aspetti di cui gli stessi artisti erano partecipi: Parigi con i suoi caffè e i ristoranti I teatri le persone la campagna l’acqua Gli Impressionisti oltre a decidere cosa dipingere, cambiarono il modo di dipingere. Venne eliminato il disegno al tratto e il chiaroscuro perché, grazie a pennellate piccole e veloci, riuscivano a dare tridimensionalità agli oggetti solo con la luce e le ombre. La grande particolarità apportata dagli artisti, fu il fatto di lavorare non più all’interno di uno studio, ma en plein-air. Anche l’evolversi dei tempi, con l’industrializzazione, quindi con la vita sempre più movimentata, indussero gli artisti a velocizzarsi e a velocizzare la loro tecnica. Gli attrezzi del mestiere subirono dei progressi, infatti: nacquero i colori inorganici con vaste gamme di toni, i tubetti in stagno pratici per la pittura en plein-air, i pennarelli e le spatole furono migliorati, gli acquerelli divennero più pratici da trasportare. La pittura impressionista fu influenzata dalle stampe giapponesi che vennero esposte nel 1867 a Parigi. Queste proponevano scene di vita quotidiana, quindi apparivano realiste. La cosa che però veniva apprezzata di più da quelle stampe fu l’audace modo di scorciare i soggetti e i punti di osservazione originali. L’uso dello scorcio, anche grazie alle foto, fu molto usato in molti altri dipinti. Édouard Manet, Le Déjeuner sur l’herbe, 1862-63, 208 x 264 cm., Musée d’Orsay, Parigi. Rifiutata dalla giuria del Salon del 1863, quest'opera viene esposta con il titolo “Il Bagno” al Salon des Refusés autorizzato quello stesso anno da Napoleone III. L'opera, motivo di dileggio e fonte di scandalo, divenne la principale attrazione di detto evento. Tuttavia, per la Colazione sull'erba, Manet rivendica l'eredità dei maestri del passato e si ispira a due opere del Louvre. Il Concerto campestre di Tiziano, all'epoca attribuito al Giorgione, suggerisce il soggetto, mentre la disposizione del gruppo centrale trae ispirazione da un'incisione ispirata ad un'opera di Raffaello: Il giudizio di Paride. Tuttavia, in Colazione sull'erba, la presenza di una donna nuda in mezzo a uomini vestiti non è giustificata da alcun pretesto mitologico e allegorico. La modernità dei personaggi rende oscena, agli occhi dei suoi contemporanei, questa scena quasi irreale. Tiziano, Concerto campestre, 1510 ca, 118 x 138 cm., Louvre, Parigi. Marcantonio Raimondi (da un affresco di Raffaello), Incisione, 1514-18, 29,8 x 44,2 cm, British Museum, London Lo stile e la fattura scandalizzarono quasi quanto il soggetto. Manet abbandona le consuete sfumature per lasciare spazio ai violenti contrasti tra luce ed ombra. Egli viene anche aspramente criticato per la sua "mania di vedere tramite macchie ". I personaggi della tela non sembrano perfettamente integrati in questo sottobosco che funge da scenario e che, invece di essere dipinto, è più che altro abbozzato e dove la prospettiva viene ignorata e la profondità è assente. Con La colazione sull'erba, Manet non rispetta nessuna delle convenzioni ammesse tuttavia, egli impone una nuova libertà rispetto al soggetto e ai tradizionali modelli di rappresentazione. Édouard Manet, Olympia, 1863, olio su tela, 130x190 cm, Musée d'Orsay, Parigi Con Olympia, Manet reinventa il tema tradizionale del nudo femminile per mezzo di una pittura schietta e scevra da compromessi. Il soggetto, così come il linguaggio pittorico, spiegano lo scandalo che l'opera suscitò al Salon del 1865. Benché Manet accresca il numero dei riferimenti formali ed iconografici: la Venere di Urbino di Tiziano, la Maja desnuda di Goya e il tema, trattato soprattutto da Ingres, dall'odalisca alla schiava nera, l'artista traduce prima di tutto dal punto di vista pittorico la freddezza e la prosaicità di un soggetto molto contemporaneo. Francisco Goya, Maya desnuda, 1799, Olio su tela, 97 x 190 cm, Museo del prado, Madrid Tiziano Vecellio, Venere di Urbino, 1538, Olio su tela, 119 x 165 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze Jean-Auguste-Dominique Ingres, La grande odalisca, 1814, Olio su tela, 91 x 162 cm, Parigi, Museo del Louvre La Venere è diventata una prostituta che, con il suo sguardo, sfida lo spettatore. Di fronte a questa rimessa in causa del nudo idealizzato, fondamento della tradizione accademica, la violenza delle reazioni fu notevole. I critici vilipesero "questa odalisca dal ventre giallo" la cui modernità fu tuttavia difesa da alcuni contemporanei capitanati da Zola. Claude Monet, La colazione sull’erba ,1865, Olio su tela, 248 x 217 cm Parigi, Museo d'Orsay Questo frammento, unitamente ad un secondo anche questo conservato al museo d'Orsay, rappresentano le uniche memorie della monumentale tela Colazione sull'erba di Monet. Cominciata nella primavera del 1865, l'opera misurava più di quattro metri per sei e doveva rappresentare un omaggio, ma anche una sfida, nei confronti di Manet il cui quadro, con il medesimo titolo, era stato oggetto di commenti sarcastici e di aspre critiche da parte del pubblico in occasione della sua esposizione al Salon des Refusés nel 1863. Il progetto fu tuttavia abbandonato nel 1866, poco prima dell'inaugurazione del Salon per il quale l'opera era destinata. Nel 1920, il pittore racconta in prima persona cosa ne era stato del quadro: "Dovevo l'affitto al proprietario di casa e, non potendo fare altrimenti, gli ho dato in pegno la tela che costui ha tenuto avvolta in cantina. Quando finalmente sono riuscito a procurarmi la somma necessaria per riprenderla indietro, capirete bene che la tela aveva avuto tutto il tempo necessario per ammuffire". Monet recupera la tela nel 1884, la taglia e ne conserva solo tre frammenti il terzo dei quali è oggi scomparso. Claude Monet, Papaveri ,1873, Olio su tela, 50 x 65 cm Parigi, Museo d'Orsay Nel 1871, Monet si installa a Argenteuil dove risiederà fino al 1878. Questi sono anni di grande fermento. Sostenuto da Paul Durand-Ruel, il suo mercante d'arte, Monet trova anche, nella regione in cui abita, i paesaggi luminosi che gli permetteranno di esplorare tutte le possibilità offerte da una pittura en plein air. L'artista espone in pubblico i Papaveri durante la prima mostra del gruppo impressionista svoltasi, nel 1874, in quella che un tempo fu la bottega del fotografo Nadar. La tela è diventata oggi uno dei quadri più celebri. L'opera evoca l'atmosfera vibrante di una passeggiata in mezzo ai campi in una giornata estiva. Monet diluisce i contorni e costruisce una ritmica colorata a partire dall'evocazione dei papaveri, attraverso pennellate il cui enorme formato, in primo piano, mostra la rilevanza che l'artista concede all'impressione visiva. In questo modo, viene compiuto un primo passo verso l'astrazione. In questo paesaggio, le due coppie formate da una madre e un figlio, in primo e in secondo piano, rappresentano semplicemente un pretesto per la costruzione di una retta obliqua che struttura il quadro. Due zone distinte dal punto di vista della gamma dei colori vengono così definite, una dominata dal rosso e l'altra da un verde azzurrato. La giovane donna con l'ombrellino e il bambino in primo piano sono sicuramente Camille, moglie dell'artista e il loro figlioletto Jean. Claude Monet, Il ponte di Argenteuil, 1874, olio su tela, 60,5x80 cm, Musée d'Orsay, Parigi Nel corso del 1874, anno della prima mostra del gruppo impressionista, il ponte di Argenteuil fu rappresentato sette volte da Claude Monet. Il che dimostra quanto l'artista, che giocava sugli effetti di contrasto prodotti dal regolare fluire del corso d'acqua con la massa geometricamente costruita del ponte e dei suoi piloni soggetti ai riflessi, fosse legato a questo motivo. Nel quadro qui raffigurato, il primo piano è occupato da barche a vela ormeggiate. Gli effetti di luce sugli alberi delle imbarcazioni ed anche sulle coperture dei tetti delle abitazioni visibili sulla sponda in secondo piano, permettono giochi di colori complementari (arancione e blu) che accentuano la vivacità della luce. Claude Monet, La gazza, d'Orsay, Parigi 1868, olio su tela, 89x130 cm, Musée Monet preferisce al mondo della foresta e della caccia l'immagine appena visibile di una gazza appollaiata sopra una staccionata che ricorda un pentagramma musicale. Sole ed ombra costruiscono il quadro e traducono l'inafferrabile materia semisolida e semiliquida. Il paesaggio impressionista era così nato, cinque anni prima della prima mostra ufficiale e del battesimo del movimento. La raffigurazione di questo angolo di campagna della regione di Etretat, realizzata dal vero, rende possibile la percezione visiva di tonalità chiare e luminose del tutto inconsuete, 2 1 1. 2. 3 3. Claude Monet La Cattedrale di Rouen (sole mattutino) 1892-94, olio su tela, 106,5 x 73 cm, Parigi, Musée d’Orsay Claude Monet La Cattedrale di Rouen (pieno sole) 1892-94, olio su tela, 91 x 63, cm, Parigi, Musée d’Orsay Claude Monet La Cattedrale di Rouen (tempo grigio) 1892-94, olio su tela, 100 x 65 cm, Parigi, Musée d’Orsay La continuità della ricerca di Claude Monet intorno al problema della percezione luminosa e, al suo interno, l’evoluzione fisiologica delle modalità di rappresentazione della luce, trovano un culmine espressivo nella serie dedicata alla “Cattedrale di Rouen”. Una sequenza di venti “Cattedrali” ritratte dall’alba al crepuscolo, registra, nello sfaldarsi armonioso delle forme, i mobili rapporti tra luce ed ombra determinati dal trascorrere del tempo. “Tutto cambia, persino le pietre”, annotava Monet nel 1873. Claude Monet, Ninfee blu, 1916-18, olio su tela, 204x200 cm, Musée d'Orsay, Parigi Monet coltiva questo tipo di piante nel giardino acquatico che ha fatto allestire nel 1893 nella sua tenuta di Giverny. A partire dal primo decennio del XX secolo e fino alla morte del pittore nel 1926, questo giardino e in particolare il bacino in esso contenuto, diventano la sua unica fonte di ispirazione. A tal proposito l'artista confessa: "Ho di nuovo intrapreso cose impossibili da compiere: acqua e piante che oscillano nel fondo. Fatta eccezione per la pittura e il giardinaggio, non sono buono a nulla. Il mio capolavoro meglio riuscito è il mio giardino". Tralasciando l'orizzonte ed il cielo, Monet concentra il punto di vista su una piccola zona dello stagno percepita come una parte di natura quasi in primo piano. La mancanza di un punto di riferimento conferisce al frammento le qualità dell'infinito, dell'illimitato. La casa a Giverny Claude Monet, Lo stagno delle Ninfee, armonia in verde, 1899, olio su tela, 89x92 cm, Musée d'Orsay, Parigi Vi è rappresentato il ponte giapponese che l’artista aveva fatto costruire nel suo giardino. La luce verdastra, schermata dalle morbide chiome dei salici piangenti, genera una sensazione di placida frescura, alla quale si somma quella generata dall’acqua (uno dei temi prediletti di tutti gli Impressionisti) dello stagno, punteggiata qua e la dallo sgargiante affiorare di ninfee in fiore. La realtà non sussiste altro che come pretesto per dare voce e colore allo sconfinato mondo delle sensazioni. Per poter comprendere al meglio il Ciclo delle Ninfee di Monet, bisogna sicuramente prendere in considerazione il periodo in cui l’artista creò il suo giardino-laboratorio a Giverny. Questo era un luogo idilliaco da cui nascono più di trecento opere, e fra queste, una quarantina di grandi dimensioni, come quelle presentate all’Orangerie. Auguste Renoir, Ballo al Moulin de la Galette, 1319x175 cm, Musée d'Orsay, Parigi 1876, olio su tela, Quest'opera è senza dubbio la più importante di quelle realizzate da Renoir intorno alla metà degli anni settanta del XIX secolo e fu esposta alla mostra del gruppo impressionista del 1877. Benché il pittore scelga di raffigurare alcuni suoi amici, egli cerca soprattutto di riprodurre su tela la stessa atmosfera travolgente e gioiosa di questo locale della collina di Montmartre. Lo studio della folla in movimento in una luce sia naturale che artificiale è affrontato facendo ricorso a pennellate decise e vivaci. L'impressione di una sorta di dissolvimento delle forme fu una delle cause delle reazioni negative da parte dei critici dell'epoca. Auguste Renoir, Studio. Torso, effetto di sole, 1876, olio su tela, 81x65 cm, Musée d'Orsay, Parigi Questa opera era per Renoir uno studio per catturare la luce, intrappolandola tra la pelle vellutata di una giovane fanciulla e la superficie delle foglie della vegetazione. Ma il fatto che l'artista abbia deciso di esporla alla seconda mostra degli Impressionisti del 1876 è significativo per capire il valore che l'autore le attribuiva. Nonostante la provocante sensualità, il fascino della ragazza è esaltato dal suo rapporto con la natura, e le sue teneri carni rosee quasi si confondono tra i bagliori e le ombre della vegetazione. La posizione della figura, del resto, non essendo centrale, fa capire che il cespuglio non è un semplice sfondo, anzi le due parti dialogano tra loro: il corpo della giovane donna nuda diventa anche esso espressione della natura. Quando il dipinto fu esposto per la prima volta suscitò reazioni piuttosto violente: il critico Albert Wolff su LE FIGARO parlò con disprezzo di un "corpo in putrefazione". L'aspetto più sorprendente è che malgrado l'apparente improvvisazione niente è lasciato al caso: densi tocchi di blu segnano la zona sinistra vicino ai contorni della fanciulla; il turbinio di colori sembra trovare una breve sosta sul lobo destro dove si appunta un orecchino di corallo; non è improvvisato il miniaturizzarsi della pennellata per accennare il motivo decorativo dell'anello. Eppure il mescolarsi delle luci e colori è talmente in equilibrio che la composizione appare come un insieme di dettagli perfettamente in armonia fra loro. Auguste Renoir, Madame Daudet, 1876, olio su tela, 46x39 cm, Musée d'Orsay, Parigi È un’opera datata e firmata. La giovane donna raffigurata in questo delizioso dipinto è Julie Allard, moglie di Alphonse Daudet. In questo ritratto di grande intensità espressiva, Renoir ha privilegiato la posa a tre quarti, concentrando la sua attenzione sul dolcissimo volto della donna. L'artista è così riuscito a cogliere gli effetti della luce di un momento preciso. La pittura di Pierre Auguste Renoir si distingue per la sua linearità, per la capacità di rendere - con brevi tocchi di colore, steso con pennellate rapide - il fascino dell'atmosfera o, come in questo caso, di un volto. Le opere di Renoir non sono mai violente, anzi in esse traspare un grande amore per la vita. Renoir è naturalista nel vero senso della parola, ha bisogno di sentire fisicamente la presenza reale di ciò che dipinge, di far scaturire un incontro diretto con il vero naturale. Edgar Degas, La classe di danza, 1871, olio su tela, 85x75 cm, Musée d'Orsay, Parigi Degas si recava spesso dell'Opéra di Parigi non soltanto in veste di spettatore ma intrufolandosi anche dietro le quinte, dove era stato introdotto da un suo amico musicista d'orchestra. Si trattava ancora dell'edificio che sorgeva in rue Le Peletier e non del celebre teatro ideato da Garnier e che, di lì a poco, sarà inaugurato. Sin dagli inizi degli anni settanta del XIX secolo e fino alla morte dell'artista, le ballerine raffigurate alla sbarra, alle prove o a riposo diventano il soggetto preferito di Degas, ripreso con un quantità incredibile di varianti nei gesti e nelle posture, in molte sue tele. In questa opera Degas raffigura la conclusione di una lezione: le allieve, del tutto esauste, si riposano: alcune si stiracchiano, altre si piegano per grattarsi la schiena o per sistemarsi l'acconciatura, il costume da ballo, un orecchino, un nastro, prestando poca attenzione all'inflessibile insegnante che, in questo quadro, assume le sembianze di Jules Perrot, un vero maestro di ballo. Degas ha osservato con attenzione i gesti più spontanei, naturali e abituali dei momenti di pausa in cui la concentrazione si allenta ed il corpo si rilassa, dopo lo sforzo di una estenuante lezione condotta con ferrea disciplina. Come di consueto, Degas sceglie un angolo decentrato per inquadrare la scena e il forte scorcio è accentuato dalle linee oblique delle tavole del parquet. Edgar Degas, L’assenzio, 1873, olio su tela, 92x68 cm, Musée d'Orsay, Parigi A differenza degli altri suoi amici impressionisti, Degas è un pittore che ha dipinto prevalentemente scene di vita urbana privilegiando la raffigurazione di ambienti al chiuso, destinati alla proiezione di spettacoli, ai divertimenti ed ai piaceri. In un café, probabilmente Nouvelle Athènes", in place Pigalle, una donna ed un uomo, stanno seduti una a fianco dell'altro, ognuno dei due chiuso in un isolamento silenzioso, lo sguardo vuoto e assente, i lineamenti disfatti, l'aria oppressa. L'opera può essere vista come una denuncia della piaga dell'assenzio, una forte bevanda alcolica che, per la sua pericolosità, sarà in seguito messa al bando. L'inquadratura rende l'idea di un'istantanea scattata dal vivo da un testimone seduto ad un tavolo vicino. Degas ricorre a questo tipo di inquadratura per sottolineare i disagi e i malesseri provocati dall'abuso di alcol. Tuttavia, questa è un'impressione ingannevole in quanto l'effetto del reale è il risultato di una minuziosa elaborazione. Il quadro è un'opera di bottega e non è stato realizzato sul posto.