L’edificio è situato di fronte al Musée du Louvre, in una ex-stazione ferroviaria
(la gare d'Orsay), costruita in stile eclettico alla fine dell'Ottocento.
L'edificio fu costruito
dall'architetto Victor
Laloux a partire dal 1898
dove in precedenza sorgevano
una caserma di cavalleria e il
vecchio Palazzo d'Orsay; i
lavori furono terminati dopo
soli due anni, perché la
stazione fosse pronta per
l'Esposizione Universale
del 1900.
Nel 1939 le grandi linee ferroviarie furono spostate alla gare d'Austerlitz. Nel 1961 ne fu
decisa la demolizione al fine di costruire, sotto il governo di Pompidou, un grande
parallelepipedo di cristallo; ma gli sforzi di molti cittadini illustri che si battevano per la sua
salvaguardia fecero sì che la stazione venisse risparmiata Nel 1978, sotto la presidenza
Giscard d'Estaing fu finalmente decisa la trasformazione in museo.
Il restauro venne affidato al gruppo ACT-Architecture, i cui componenti decisero di
rispettare il più possibile la struttura e i materiali preesistenti. Al celebre
architetto italiano Gae Aulenti venne invece affidata la disposizione degli spazi
interni e la progettazione dei percorsi espositivi.
Del realismo Gustave Courbet non solo è
l’iniziatore, ma è anche l’artista che lo ha portato
ai suoi risultati più alti e straordinari.
Il critico Castagnary, fedele amico di Courbet, in
un suo testo fondamentale, ha scritto: “Nel 1848
era abbastanza comprensibile che un pittore,
nato dal popolo, repubblicano di costumi e di
educazione, prendesse per oggetto della sua
arte i contadini e i borghesi tra i quali aveva
trascorso la sua infanzia…
Dipingendoli in grandezza naturale e dando ad
essi il vigore e il carattere che sino allora erano
stati riservati agli dei e agli eroi, Courbet portò
a termine una rivoluzione artistica”.
La regola fondamentale del realismo era il legame diretto con tutti gli
aspetti della vita quotidiana, rifiutando la mitologia, il quadro storico,
l’esotismo, la bellezza convenzionale dei canoni classici.
Gustave Courbet, Funerale a Ornans, 1849, olio su tela, 315 x 668 cm., Musée
d’Orsay, Parigi.
L'opera ha uno svolgimento orizzontale di un'estrema semplicità.
In aperta campagna un corteo di personaggi sta assistendo a un funerale
che, come dice il titolo, si svolge a Ornans: è tutto un paese che qui è
rappresentato e ogni personaggio è un ritratto, dal sindaco al parroco,
dal sagrestano ai portatori del feretro, dai borghesi a i contadini, dalle
donne ai bambini. Ci sono a sinistra gli ecclesiastici e i seppellitori,
mentre a destra ci sono i parenti e amici. Fra questi ultimi la critica ha
identificato alcuni parenti e amici di Courbet
In tutto una cinquantina di personaggi, una comunità intera, raccolta
intorno alla fossa, in attesa che vi discenda la bara.
E dietro, sul fondo, le crete di Ornans e il cielo cupo, coperto di nuvole.
Una luce più viva illumina a sinistra il drappo della bara, le tuniche dei
chierichetti, il piviale del prete, e sembra rimbalzare al lato opposto sulle
cuffie bianche delle beghine, sul manto del cane in primo piano. E' un
quadro di una robusta coralità, di un'intensità contenuta, priva di
qualsiasi forzatura espressiva.
Ecco dunque chi erano gli "eroi" di Courbet: i buoni borghesi, i contadini,
gli artigiani, la gente che egli incontrava nella strada o nei campi.
Gustave Courbet, L’atelier del pittore, 1855, olio su tela, 359 x 598
cm., Musée d’Orsay, Parigi.
Courbet concepì questa enorme tela quasi come manifesto della propria
vita artistica ed esistenziale.
Courbet fu uno dei principali protagonisti dei moti parigini del 1848, che
determinarono la caduta della Monarchia e l'affermazione della
Repubblica.
Le sue idee politiche naturalmente si riflettevano sulla pittura a cui egli
attribuiva un valore sociale.
Courbet impianta la scena nel suo atelier, dal 1849 ospitato all'interno del
granaio del padre.
Egli si ritrae al centro della composizione, esalando così il ruolo del
pittore e dell'arte nella società; a destra sono alcuni suoi amici e
compagni di lavoro e a sinistra altri personaggi di fantasia.
Tutti comunque assumono valenza simbolica: la donna seduta per terra che
allatta il suo piccolo allude alla Miseria; il teschio è deposto sul "Journal
des débats" in quanto in quella rivista Proudhon aveva esposto il suo
pensiero riguardo alla stampa reazionaria quale cimitero delle idee; il
bracconiere con il cane impersona la Caccia, passione di Courbet;
particolare disprezzo è rivolto alla chitarra e al cappello piumato posti a
terra in quanto, a giudizio dell'artista, sono gli attributi della Poesia
Romantica.
La tela, firmata e datata in basso a sinistra "55, G. Courbet", fu
presentata da Courbet all'Esposizione Internazionale del 1855.
A causa del rifiuto da parte della commissione esaminatrice, l'artista
allestì una propria mostra, nella quale espose trentanove dipinti, in un
padiglione nei pressi del Salon, intitolato appunto “Padiglione del
Realismo”.
I personaggi presenti sulla destra della composizione, tutti amici di
Courbet, sono stati identificati nel 1906 dallo studioso G. Ryat.
A ciascuno di loro l'artista affida il compito di alludere all'arte che
rappresentano. Ad esempio:
Baudelaire, seduto sopra il tavolo, la Poesia...
Champfleury, seduto sullo sgabello, la Prosa...
Proudhon, in piedi sullo sfondo, la Filosofia Socialista...
Bruyas, in piedi in primo piano sullo sfondo, il Mecenatismo…
Infine, il bambino intento ad osservare l'artista che dipinge rappresenta
il Futuro della pittura: sincera e vera.
Accanto a Courbet, la modella nuda è sua sorella Juliette.
Il movimento Impressionista nacque a Parigi nel 1870. La loro prima
mostra avvenne nel 1874 nello studio del fotografo Nadar.
La definizione si fa risalire al commento ironico di un critico su un quadro
di Monet intitolato “Impression, soleil levant” ma è stata adottata dagli
artisti, quasi per sfida, nelle successive mostre.
Con gli Impressionisti il mondo dell’arte cambiò definitivamente. Non
avevano un programma preciso, ma si trovarono d’accordo su alcuni
punti:
L’avversione per l’arte accademica
L’orientamento realista
Il disinteresse totale per il soggetto e quindi la preferenza per il
paesaggio e la natura morta
Volevano dipingere ciò che vedevano e non ciò che conoscevano.
Gli artisti spostarono la loro attenzione verso una nuova categoria
sociale. I soggetti impressionisti furono soprattutto le realtà
contemporanee e quegli aspetti di cui gli stessi artisti erano
partecipi:
Parigi con i suoi caffè e i ristoranti
I teatri
le persone
la campagna
l’acqua
Gli Impressionisti oltre a decidere cosa
dipingere, cambiarono il modo di dipingere.
Venne eliminato il disegno al tratto e il
chiaroscuro perché, grazie a pennellate piccole
e veloci, riuscivano a dare tridimensionalità
agli oggetti solo con la luce e le ombre.
La grande particolarità apportata dagli artisti,
fu il fatto di lavorare non più all’interno di uno
studio, ma en plein-air.
Anche l’evolversi dei tempi, con l’industrializzazione,
quindi con la vita sempre più movimentata, indussero
gli artisti a velocizzarsi e a velocizzare la loro
tecnica.
Gli attrezzi del mestiere subirono dei progressi,
infatti: nacquero i colori inorganici con vaste gamme
di toni, i tubetti in stagno pratici per la pittura en
plein-air, i pennarelli e le spatole furono migliorati,
gli acquerelli divennero più pratici da trasportare.
La pittura impressionista fu
influenzata dalle stampe
giapponesi che vennero
esposte nel 1867 a Parigi.
Queste proponevano scene
di vita quotidiana, quindi
apparivano realiste. La cosa
che però veniva apprezzata
di più da quelle stampe fu
l’audace modo di scorciare i
soggetti e i punti di
osservazione originali. L’uso
dello scorcio, anche grazie
alle foto, fu molto usato in
molti altri dipinti.
Édouard Manet, Le Déjeuner sur l’herbe, 1862-63, 208 x 264 cm.,
Musée d’Orsay, Parigi.
Rifiutata dalla giuria del Salon del
1863, quest'opera viene esposta con
il titolo “Il Bagno” al Salon des
Refusés autorizzato quello stesso
anno da Napoleone III. L'opera,
motivo di dileggio e fonte di scandalo,
divenne la principale attrazione di
detto evento.
Tuttavia, per la Colazione sull'erba, Manet rivendica l'eredità dei
maestri del passato e si ispira a due opere del Louvre. Il Concerto
campestre di Tiziano, all'epoca attribuito al Giorgione, suggerisce il
soggetto, mentre la disposizione del gruppo centrale trae ispirazione
da un'incisione ispirata ad un'opera di Raffaello: Il giudizio di Paride.
Tuttavia, in Colazione sull'erba, la presenza di una donna nuda in
mezzo a uomini vestiti non è giustificata da alcun pretesto mitologico
e allegorico. La modernità dei personaggi rende oscena, agli occhi dei
suoi contemporanei, questa scena quasi irreale.
Tiziano, Concerto campestre, 1510 ca,
118 x 138 cm., Louvre, Parigi.
Marcantonio Raimondi (da un
affresco
di
Raffaello),
Incisione, 1514-18, 29,8 x 44,2
cm, British Museum, London
Lo stile e la fattura scandalizzarono quasi quanto il
soggetto. Manet abbandona le consuete sfumature per
lasciare spazio ai violenti contrasti tra luce ed ombra.
Egli viene anche aspramente criticato per la sua "mania di
vedere tramite macchie ". I personaggi della tela non
sembrano perfettamente integrati in questo sottobosco
che funge da scenario e che, invece di essere dipinto, è
più che altro abbozzato e dove la prospettiva viene
ignorata e la profondità è assente.
Con La colazione sull'erba, Manet non rispetta nessuna
delle convenzioni ammesse tuttavia, egli impone una nuova
libertà rispetto al soggetto e ai tradizionali modelli di
rappresentazione.
Édouard Manet, Olympia, 1863, olio su tela, 130x190 cm, Musée
d'Orsay, Parigi
Con Olympia, Manet reinventa il tema tradizionale
del nudo femminile per mezzo di una pittura
schietta e scevra da compromessi.
Il soggetto, così come il linguaggio pittorico,
spiegano lo scandalo che l'opera suscitò al Salon
del 1865. Benché Manet accresca il numero dei
riferimenti formali ed iconografici: la Venere di
Urbino di Tiziano, la Maja desnuda di Goya e il
tema,
trattato
soprattutto
da
Ingres,
dall'odalisca alla schiava nera, l'artista traduce
prima di tutto dal punto di vista pittorico la
freddezza e la prosaicità di un soggetto molto
contemporaneo.
Francisco Goya, Maya desnuda, 1799,
Olio su tela, 97 x 190 cm, Museo del
prado, Madrid
Tiziano Vecellio, Venere di Urbino,
1538, Olio su tela, 119 x 165 cm,
Galleria degli Uffizi, Firenze
Jean-Auguste-Dominique Ingres,
La grande odalisca, 1814, Olio su
tela, 91 x 162 cm, Parigi, Museo
del Louvre
La Venere è diventata una prostituta che, con il
suo sguardo, sfida lo spettatore.
Di fronte a questa rimessa in causa del nudo
idealizzato,
fondamento
della
tradizione
accademica, la violenza delle reazioni fu notevole.
I critici vilipesero "questa odalisca dal ventre
giallo" la cui modernità fu tuttavia difesa da
alcuni contemporanei capitanati da Zola.
Claude Monet, La colazione
sull’erba ,1865, Olio su tela,
248 x 217 cm Parigi, Museo
d'Orsay
Questo frammento, unitamente ad un secondo anche questo
conservato al museo d'Orsay, rappresentano le uniche memorie della
monumentale tela Colazione sull'erba di Monet.
Cominciata nella primavera del 1865, l'opera misurava più di quattro
metri per sei e doveva rappresentare un omaggio, ma anche una sfida,
nei confronti di Manet il cui quadro, con il medesimo titolo, era stato
oggetto di commenti sarcastici e di aspre critiche da parte del
pubblico in occasione della sua esposizione al Salon des Refusés nel
1863.
Il progetto fu tuttavia abbandonato nel 1866, poco prima
dell'inaugurazione del Salon per il quale l'opera era destinata.
Nel 1920, il pittore racconta in prima persona cosa ne era stato del
quadro: "Dovevo l'affitto al proprietario di casa e, non potendo fare
altrimenti, gli ho dato in pegno la tela che costui ha tenuto avvolta in
cantina. Quando finalmente sono riuscito a procurarmi la somma
necessaria per riprenderla indietro, capirete bene che la tela aveva
avuto tutto il tempo necessario per ammuffire". Monet recupera la
tela nel 1884, la taglia e ne conserva solo tre frammenti il terzo dei
quali è oggi scomparso.
Claude Monet, Papaveri ,1873, Olio su tela, 50 x 65 cm Parigi, Museo d'Orsay
Nel 1871, Monet si installa a Argenteuil
dove risiederà fino al 1878. Questi sono
anni di grande fermento. Sostenuto da
Paul Durand-Ruel, il suo mercante d'arte,
Monet trova anche, nella regione in cui
abita, i paesaggi luminosi che gli
permetteranno di esplorare tutte le
possibilità offerte da una pittura en plein
air.
L'artista espone in pubblico i Papaveri durante la prima
mostra del gruppo impressionista svoltasi, nel 1874, in
quella che un tempo fu la bottega del fotografo Nadar. La
tela è diventata oggi uno dei quadri più celebri. L'opera
evoca l'atmosfera vibrante di una passeggiata in mezzo ai
campi in una giornata estiva.
Monet diluisce i contorni e costruisce una ritmica colorata
a partire dall'evocazione dei papaveri, attraverso
pennellate il cui enorme formato, in primo piano, mostra la
rilevanza che l'artista concede all'impressione visiva. In
questo modo, viene compiuto un primo passo verso
l'astrazione.
In questo paesaggio, le due coppie formate da una madre
e un figlio, in primo e in secondo piano, rappresentano
semplicemente un pretesto per la costruzione di una retta
obliqua che struttura il quadro.
Due zone distinte dal punto di vista della gamma dei colori
vengono così definite, una dominata dal rosso e l'altra da
un verde azzurrato. La giovane donna con l'ombrellino e il
bambino in primo piano sono sicuramente Camille, moglie
dell'artista e il loro figlioletto Jean.
Claude Monet, Il ponte di Argenteuil, 1874, olio su tela, 60,5x80
cm, Musée d'Orsay, Parigi
Nel corso del 1874, anno della prima mostra del gruppo
impressionista, il ponte di Argenteuil fu rappresentato
sette volte da Claude Monet. Il che dimostra quanto
l'artista, che giocava sugli effetti di contrasto prodotti dal
regolare fluire del corso d'acqua con la massa
geometricamente costruita del ponte e dei suoi piloni
soggetti ai riflessi, fosse legato a questo motivo.
Nel quadro qui raffigurato, il primo piano è occupato da
barche a vela ormeggiate. Gli effetti di luce sugli alberi
delle imbarcazioni ed anche sulle coperture dei tetti delle
abitazioni visibili sulla sponda in secondo piano, permettono
giochi di colori complementari (arancione e blu) che
accentuano la vivacità della luce.
Claude Monet, La gazza,
d'Orsay, Parigi
1868, olio su tela, 89x130 cm, Musée
Monet preferisce al mondo della foresta e della caccia
l'immagine appena visibile di una gazza appollaiata
sopra una staccionata che ricorda un pentagramma
musicale.
Sole ed ombra costruiscono il quadro e traducono
l'inafferrabile materia semisolida e semiliquida. Il
paesaggio impressionista era così nato, cinque anni
prima della prima mostra ufficiale e del battesimo del
movimento.
La raffigurazione di questo angolo di campagna della
regione di Etretat, realizzata dal vero, rende possibile
la percezione visiva di tonalità chiare e luminose del
tutto inconsuete,
2
1
1.
2.
3
3.
Claude Monet La Cattedrale di Rouen (sole mattutino) 1892-94, olio
su tela, 106,5 x 73 cm, Parigi, Musée d’Orsay
Claude Monet La Cattedrale di Rouen (pieno sole) 1892-94, olio su
tela, 91 x 63, cm, Parigi, Musée d’Orsay
Claude Monet La Cattedrale di Rouen (tempo grigio) 1892-94, olio
su tela, 100 x 65 cm, Parigi, Musée d’Orsay
La continuità della ricerca di Claude Monet intorno al
problema della percezione luminosa e, al suo interno,
l’evoluzione
fisiologica
delle
modalità
di
rappresentazione della luce, trovano un culmine
espressivo nella serie dedicata alla “Cattedrale di
Rouen”.
Una sequenza di venti “Cattedrali” ritratte dall’alba al
crepuscolo, registra, nello sfaldarsi armonioso delle
forme, i mobili rapporti tra luce ed ombra determinati
dal trascorrere del tempo.
“Tutto cambia, persino le pietre”, annotava Monet nel
1873.
Claude Monet,
Ninfee blu, 1916-18,
olio su tela, 204x200
cm, Musée d'Orsay,
Parigi
Monet coltiva questo tipo di piante nel giardino acquatico
che ha fatto allestire nel 1893 nella sua tenuta di Giverny. A
partire dal primo decennio del XX secolo e fino alla morte
del pittore nel 1926, questo giardino e in particolare il
bacino in esso contenuto, diventano la sua unica fonte di
ispirazione.
A tal proposito l'artista confessa: "Ho di nuovo intrapreso
cose impossibili da compiere: acqua e piante che oscillano nel
fondo. Fatta eccezione per la pittura e il giardinaggio, non
sono buono a nulla. Il mio capolavoro meglio riuscito è il mio
giardino".
Tralasciando l'orizzonte ed il cielo, Monet concentra il
punto di vista su una piccola zona dello stagno percepita
come una parte di natura quasi in primo piano.
La mancanza di un punto di riferimento conferisce al
frammento le qualità dell'infinito, dell'illimitato.
La casa a Giverny
Claude Monet, Lo
stagno delle Ninfee,
armonia in verde,
1899, olio su tela,
89x92 cm, Musée
d'Orsay, Parigi
Vi è rappresentato il ponte giapponese che l’artista
aveva fatto costruire nel suo giardino.
La luce verdastra, schermata dalle morbide chiome
dei salici piangenti, genera una sensazione di placida
frescura, alla quale si somma quella generata
dall’acqua (uno dei temi prediletti di tutti gli
Impressionisti) dello stagno, punteggiata qua e la
dallo sgargiante affiorare di ninfee in fiore.
La realtà non sussiste altro che come pretesto per
dare voce e colore allo sconfinato mondo delle
sensazioni.
Per poter comprendere al meglio il Ciclo delle Ninfee di Monet, bisogna
sicuramente prendere in considerazione il periodo in cui l’artista creò il
suo giardino-laboratorio a Giverny. Questo era un luogo idilliaco da cui
nascono più di trecento opere, e fra queste, una quarantina di grandi
dimensioni, come quelle presentate all’Orangerie.
Auguste Renoir, Ballo al Moulin de la Galette,
1319x175 cm, Musée d'Orsay, Parigi
1876, olio su tela,
Quest'opera è senza dubbio la più
importante di quelle realizzate da
Renoir intorno alla metà degli anni
settanta del XIX secolo e fu
esposta alla mostra del gruppo
impressionista del 1877.
Benché il pittore scelga di raffigurare alcuni suoi amici, egli
cerca soprattutto di riprodurre su tela la stessa atmosfera
travolgente e gioiosa di questo locale della collina di
Montmartre.
Lo studio della folla in movimento in una luce sia naturale che
artificiale è affrontato facendo ricorso a pennellate decise
e vivaci. L'impressione di una sorta di dissolvimento delle
forme fu una delle cause delle reazioni negative da parte dei
critici dell'epoca.
Auguste
Renoir,
Studio.
Torso, effetto di sole, 1876,
olio su tela, 81x65 cm, Musée
d'Orsay, Parigi
Questa opera era per Renoir uno studio per catturare la luce,
intrappolandola tra la pelle vellutata di una giovane fanciulla e la
superficie delle foglie della vegetazione.
Ma il fatto che l'artista abbia deciso di esporla alla seconda
mostra degli Impressionisti del 1876 è significativo per capire il
valore che l'autore le attribuiva.
Nonostante la provocante sensualità, il fascino della ragazza è
esaltato dal suo rapporto con la natura, e le sue teneri carni
rosee quasi si confondono tra i bagliori e le ombre della
vegetazione.
La posizione della figura, del resto, non essendo centrale, fa
capire che il cespuglio non è un semplice sfondo, anzi le due
parti dialogano tra loro: il corpo della giovane donna nuda
diventa anche esso espressione della natura.
Quando il dipinto fu esposto per la prima volta suscitò reazioni
piuttosto violente: il critico Albert Wolff su LE FIGARO parlò
con disprezzo di un "corpo in putrefazione".
L'aspetto più sorprendente è che malgrado l'apparente
improvvisazione niente è lasciato al caso:
densi tocchi di blu segnano la zona sinistra vicino ai
contorni della fanciulla; il turbinio di colori sembra
trovare una breve sosta sul lobo destro dove si appunta
un orecchino di corallo; non è improvvisato il
miniaturizzarsi della pennellata per accennare il motivo
decorativo dell'anello.
Eppure il mescolarsi delle luci e colori è talmente in
equilibrio che la composizione appare come un insieme di
dettagli perfettamente in armonia fra loro.
Auguste
Renoir,
Madame
Daudet, 1876, olio su tela,
46x39 cm, Musée d'Orsay,
Parigi
È un’opera datata e firmata.
La giovane donna raffigurata in questo delizioso dipinto è Julie
Allard, moglie di Alphonse Daudet.
In questo ritratto di grande intensità espressiva, Renoir ha
privilegiato la posa a tre quarti, concentrando la sua attenzione sul
dolcissimo volto della donna.
L'artista è così riuscito a cogliere gli effetti della luce di un
momento preciso.
La pittura di Pierre Auguste Renoir si distingue per la sua
linearità, per la capacità di rendere - con brevi tocchi di colore,
steso con pennellate rapide - il fascino dell'atmosfera o, come in
questo caso, di un volto.
Le opere di Renoir non sono mai violente, anzi in esse traspare un
grande amore per la vita.
Renoir è naturalista nel vero senso della parola, ha bisogno di
sentire fisicamente la presenza reale di ciò che dipinge, di far
scaturire un incontro diretto con il vero naturale.
Edgar
Degas,
La
classe di danza, 1871,
olio su tela, 85x75 cm,
Musée d'Orsay, Parigi
Degas si recava spesso dell'Opéra di
Parigi non soltanto in veste di spettatore
ma intrufolandosi anche dietro le quinte,
dove era stato introdotto da un suo amico
musicista d'orchestra. Si trattava ancora
dell'edificio che sorgeva in rue Le Peletier
e non del celebre teatro ideato da Garnier
e che, di lì a poco, sarà inaugurato.
Sin dagli inizi degli anni settanta del XIX secolo e fino
alla morte dell'artista, le ballerine raffigurate alla
sbarra, alle prove o a riposo diventano il soggetto
preferito di Degas, ripreso con un quantità incredibile di
varianti nei gesti e nelle posture, in molte sue tele.
In questa opera Degas raffigura la conclusione di una
lezione: le allieve, del tutto esauste, si riposano: alcune si
stiracchiano, altre si piegano per grattarsi la schiena o
per sistemarsi l'acconciatura, il costume da ballo, un
orecchino, un nastro, prestando poca attenzione
all'inflessibile insegnante che, in questo quadro, assume
le sembianze di Jules Perrot, un vero maestro di ballo.
Degas ha osservato con attenzione i gesti più spontanei,
naturali e abituali dei momenti di pausa in cui la
concentrazione si allenta ed il corpo si rilassa, dopo lo
sforzo di una estenuante lezione condotta con ferrea
disciplina.
Come di consueto, Degas sceglie un angolo decentrato
per inquadrare la scena e il forte scorcio è accentuato
dalle linee oblique delle tavole del parquet.
Edgar
Degas,
L’assenzio,
1873, olio su tela, 92x68 cm,
Musée d'Orsay, Parigi
A differenza degli altri suoi amici impressionisti, Degas
è un pittore che ha dipinto prevalentemente scene di
vita urbana privilegiando la raffigurazione di ambienti al
chiuso, destinati alla proiezione di spettacoli, ai
divertimenti ed ai piaceri.
In un café, probabilmente Nouvelle Athènes", in place
Pigalle, una donna ed un uomo, stanno seduti una a fianco
dell'altro, ognuno dei due chiuso in un isolamento
silenzioso, lo sguardo vuoto e assente, i lineamenti
disfatti, l'aria oppressa. L'opera può essere vista come
una denuncia della piaga dell'assenzio, una forte bevanda
alcolica che, per la sua pericolosità, sarà in seguito
messa al bando.
L'inquadratura rende l'idea di un'istantanea
scattata dal vivo da un testimone seduto ad un
tavolo vicino. Degas ricorre a questo tipo di
inquadratura per sottolineare i disagi e i
malesseri provocati dall'abuso di alcol.
Tuttavia, questa è un'impressione ingannevole
in quanto l'effetto del reale è il risultato di
una minuziosa elaborazione. Il quadro è
un'opera di bottega e non è stato realizzato
sul posto.
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Museo d`Orsay