Due secoli di migrazioni preunitarie DI MARTINA VERONESI -Quale cronologia e quale geografia? - I protagonisti -Le migrazioni circolari -Italiani senza Italia Quale cronologia e quale geografia? Quand’è iniziata l’emigrazione italiana? L’emigrazione italiana si dispiega su un periodo molto lungo: si può affermare che sia iniziata in età antecedente alla “grande migrazione” di fine Ottocento. Non è facile di conseguenza stabilire una data d’inizio. Per rimediare a tale incertezza cronologica si adottano comunemente scansioni temporali che, pur tenendo conto dei contesti politici ed economici nei quali si sono collocati i fenomeni migratori, le cesure, gli aspetti di continuità e le innovazioni nei confronti della mobilità della popolazione, sono il risultato di processi solo in parte e non sempre direttamente riconducibili alle storie politiche nazionali. Nella storia dell’Italia unita si distinguono normalmente tre momenti di migrazione: - Dall’età liberale fino alla prima guerra mondiale: la grande migrazione; - Quella fra le due guerre mondiali; - Dalla seconda metà del Novecento fino alla metà degli anni settanta, quando il ciclo plurisecolare dell’esodo dalla penisola cedette il passo a una prevalenza degli arrivi sulle partenze. La principale cesura temporale coincide con l’età dei conflitti mondiali, dal 1915 al 1945. Nel trentennio successivo, il paese ha assistito infine all’ultima significativa fase delle partenze per l’estero e all’epocale spostamento di popolazione all’interno del territorio italiano, fino a che, alla metà degli anni settanta, si concluse il periodo più intenso delle partenze dall’Italia ma non la storia delle comunità italiane all’estero. A queste precisazioni sugli ambiti cronologici e sugli aspetti geografici va aggiunto un ulteriore dato di partenza: la secolare presenza, fuori dei confini della penisola, di comunità di lingua italiana, sedimentate talvolta fin dall’Età medievale e dell’espansione artistica rinascimentale. I protagonisti Commercianti, artigiani ed addetti all’edilizia sono state le categorie più rappresentate nelle migrazioni, oltre ai numerosi contingenti di lavoratori agricoli stagionali di ambo i sessi. Nelle campagne i vari sistemi di conduzione della terra presenti determinavano le differenti mobilità dei rurali: nelle aree del latifondo e della grande affittanza, ma anche in quelle a economia pastorale, i braccianti agricoli si allontanavano dagli abitati per le giornate o le settimane di lavoro. A causa delle interdizioni operanti nella nostra società sul matrimonio fra parenti, le giovani donne si trovavano spesso nella condizione di accasarsi fuori dal paese, alimentando un ulteriore forma di mobilità. Le traiettorie, per esercitare il proprio lavoro si estendevano attraverso i confini dei vari stati presenti nella penisola italiana, ma anche in quelli al di là delle Alpi. Gli artigiani immigrati erano riusciti con successo non solo a penetrare nelle corporazioni cittadine, ma anche ad assumerne il controllo. Ancora a inizio Ottocento i gruppi migranti monopolizzavano vasti settori del mercato del lavoro delle città. Roma era al tempo parte di uno dei sette principali sistemi migratori in funzione in Europa: altri tre avevano come luogo centrale di attrazione Londra, Parigi e Madrid. Quali figure di emigranti provenienti dalla penisola italiana si incontravano in giro per l’Europa e per il Nuovo Mondo fra gli ultimi decenni del Settecento e la prima metà dell’Ottocento? Oltre ai molti artigiani e venditori ambulanti, si annoveravano girovaghi, commedianti di strada, suonatori di organo di barberia e di altri strumenti, saltimbanchi, prestigiatori. I più appariscenti erano i suonatori ambulanti di organetto. Le migrazioni circolari I mestieri dell’edilizia richiamavano nelle città poste al di qua e al di là delle Alpi il numero più consistente di immigrati. Gli artigiani provenienti dal Comasco e dal Ticinese avevano contribuito in modo determinante alla composizione della manodopera al lavoro nei cantieri della Firenze rinascimentale, ma anche nella Roma dei papi. Anche nel Seicento a Milano, come a Torino, muratori e capimastri provenivano da quella fascia delle Alpi centrali. A settentrione delle Alpi il mercato per queste professioni e di questi mestieri si apriva, oltre che nelle grandi città, anche in tutti quei luoghi dove committenti facoltosi intendevano abbellire chiese e dimore. Calderai, fabbri, spazzacamini, arrotini e tessitori, ma anche artisti girovaghi e suonatori ambulanti, erano tutti incamminati in itinerari circolari di esodo stagionale prevalentemente maschile. Si può collocare nel XVI secolo la stabilizzazione dell’esodo stagionale e in quello successivo il fenomeno della specializzazione professionale. La crescita dell’emigrazione estiva, in questo periodo, va attribuita a questo. Importanti conseguenze derivano dal dato comune che gli emigranti in partenza dai paesi di montagna delle Alpi erano pressoché esclusivamente di sesso maschile. Le partenze degli uomini avevano come primo effetto una generalizzata femminilizzazione dell’agricoltura ma anche dell’allevamento e di altre attività. Le assenze maschili, inoltre, si riflettevano sia in un’organizzazione sociale in cui le donne assumevano vasti compiti di supplenza, sia sull’andamento demografico della comunità, con particolare riguardo alle variazioni stagionali delle nascite. Un ultimo importante aspetto delle migrazioni circolari, soprattutto degli artigiani, è quello del sistema di alleanze sociali che ne permetteva la loro struttura gerarchica. Italiani senza Italia Nei primi decenni dell’Ottocento, gli italiani apparivano divisi in due categorie. Da un lato un numero crescente di nuovi arrivati, cenciosi e analfabeti, dall’altro la schiera dei professionisti. Le rivoluzioni e le guerre del 1848 provocarono il numero più ingente di esuli e di profughi che posero a vari stati italiani ed europei il problema dell’accoglienza, delineando la figura politica dell’esule. L’esilio fu la conseguenza del coinvolgimento nelle rivolte e nella partecipazione ad associazioni patriottiche che cercavano di promuovere insurrezioni contro governi considerati come occupanti. Ne derivava la circostanza che l’obbiettivo degli esuli era di allontanarsi il meno possibile dal teatro della loro azione politica, che era l’Italia, trovando rifugio prevalentemente in altri stati della stessa penisola. Alcuni dovettero tuttavia intraprendere viaggi più lunghi, per sfuggire a ricerche o condanne già passate in giudicato. L’ondata che dovette rifugiarsi all’estero nel 1821 fu la più numerosa e le destinazioni prevalenti furono la Francia e la Svizzera. La maggior parte degli esuli si spostò negli anni successivi in Belgio e in Inghilterra, che rimasero per tutto l’Ottocento le sedi più accoglienti per i rifugiati politici di tutta l’Europa. Nonostante per qualcuno si aprisse la strada all’integrazione e anche al successo professionale, dalla maggior parte vennero sperimentati i disagi economici, l’isolamento sociale e la difficoltà a mantenere vivo l’impegno politico e le indispensabili connessioni coi i gruppi attivi in Italia. La frequente condizione, degli esuli politici, di intellettuali e liberi professionisti li collocò non solo a contatto con i lavoratori emigranti,che costituivano la loro clientela privilegiata, ma anche l’ideologia politica d’ispirazione democratica che li aveva spinti all’azione determinò il loro interesse per i propri connazionali più svantaggiati. L’esilio indusse molti intellettuali a edificare all’estero quella nazione italiana per cui avevano combattuto in patria.