La crisi di Wall Street
(24 ottobre 1929)
Premessa.
Il mondo del dopoguerra non trovava stabilità
economica: produceva molto, molte imprese
nascevano, ma non c’era un livello di benessere
sufficientemente generalizzato per assorbire questa
ricchezza produttiva.
Durante la guerra, USA e Giappone si erano arricchiti,
mentre tutti i paesi europei avevano perduto risorse.
Nel dopoguerra, gli USA avevano messo i capitali a
disposizione dei paesi europei e in particolare della
Germania per permettere al mercato europeo di
riprendersi.

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Negli anni Venti, pur rimanendo alte la disoccupazione
e l’instabilità economica, vi era stata una certa
ripresa dei mercati, soprattutto americano, che aveva
favorito la crescita del valore dei titoli azionari. Il
valore dei titoli tra il ‘27 e il ‘29 triplicò addirittura.
L’instabilità del mercato si manifestava con improvvisi
rialzi di borsa (che favorivano speculazioni e forti
consumi9 e altrettanto improvvisi ribassi che
determinavano ondate di panico.
Alla base di questa instabilità c’era la mancanza di
pianificazione e razionalizzazione della produzione e
della distribuzione delle merci che, rimanendo
invendute, generavano crisi di sovrapproduzione.
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Nonostante questa diffusa situazione, negli USA
1) la fiducia nella capacità di sviluppo dell’apparato
produttivo e
2) la disponibilità di capitali (anche esteri) da investire,
generarono quella che viene chiamata in gergo bolla
speculativa, cioè una generale euforia e corsa
all’investimento e alle speculazioni.
Il giovedì nero.
Nell’autunno del ‘29 iniziarono i primi segnali di una
crisi di sovrapproduzione, dovuta sia alla
diminuzione delle esportazioni, sia alla minore
circolazione di moneta (dovuta ad un errore della
FRB), sia alla diminuita domanda interna:
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dopo settimane di ribassi e grande nervosismo, il 24
ottobre la Borsa di New York (cioè l’indicatore
dell’economia americana) crollò: cos’era successo?
Il ribasso progressivo dei titoli e delle azioni aveva
causato la corsa alla vendita delle azioni: tutti i
risparmiatori, per arginare le perdite, vendettero i
titoli a qualsiasi prezzo, dimezzando in pochi giorni
l’intero mercato finanziario americano.
Il risparmiatore medio americano perse tutto il denaro
investito  non poté effettuare le spese previste o per
le quali si era indebitato (le banche concedevano
facilmente credito)  non poté fare fronte ai debiti
contratti con le aziende di credito  banche ed
assicurazioni fallirono numerose  scomparsa del
risparmio privato 
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mancanza di capitali da investire in attività produttive
 rallentamento o blocco totale dell’attività
produttiva  riduzione dei salari o licenziamenti 
disoccupazione  abbassamento della domanda
interna  diminuzione ulteriore della domanda
interna  ulteriore disoccupazione.
Fino all’8 luglio 1932 l’economia americana continuò a
franare, estendendo la crisi all’intero sistema
economico mondiale, e in particolare in Europa
(cessazione dei prestiti).
La crisi di Wall Street ha le sue origini in diversi
fattori:
1) lo squilibrio del sistema economico mondiale
(ricchezza degli USA/crisi del resto del mondo);
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2) l’incapacità di generare una domanda che stimolasse
l’espansione produttiva;
3) stagnazione dei processi economici mondiali;
4) la mancanza di un Welfare State, di uno stato sociale
in grado di intervenire nell’economia in caso di crisi a
sostegno dei ceti più deboli;
5) il liberismo selvaggio e privo di controllo.
Quali rimedi?
Per rimettere in piedi l’economia americana (e
mondiale) bisognava rinvigorire la domanda, cioè
fare risalire i livelli di reddito dei lavoratori occupati,
riassorbire manodopera e rimettere in circolazione
denaro e merce. Diverse furono le soluzioni adottate:
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Italia: economia autarchica, “battaglia del grano”,
ruralizzazione dell’economia;
Germania: riarmo;
Gran Bretagna: rapporti economici privilegiati con il
Commonwealth.
In genere, il malcontento sociale che si generò spinse
l’opinione pubblica verso forme politico-economiche
forti e autocratiche, come furono il fascismo e il
nazismo. In Italia e in Germania non c’era
disoccupazione: l’inquadramento e la pianificazione
sembrarono una brillante risposta alla crisi che i
regimi democratici non riuscivano a controllare.
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Il New Deal
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Mentre fascismi e comunismo avevano già avviato
l’intervento statale nell’economia, la macchina
statale degli USA dovette trasformarsi in un soggetto
economico in grado di creare occupazione e
rilanciare gli investimenti. Artefice di questo New
Deal (Nuovo Corso) fu F.D.Roosevelt, democratico,
eletto presidente nel 1932.
Per fare ripartire un’economia ferma, bisognava
stimolare la domanda: per fare ciò, era necessario
creare nuova occupazione, quindi distribuire salari e
permettere al cittadino medio di spendere.
E’ possibile per un governo creare occupazione in due
modi:
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1) finanziando opere pubbliche;
2) stimolando investimenti privati con agevolazioni al
credito.
Per fare ciò, lo stato deve spendere il denaro pubblico
(creando deficit), ma in vista di nuova ricchezza che
permetterà maggiore gettito fiscale.
Inoltre, per difendere il livello dei salari, lo stato deve
ostacolare la concorrenza con misure di intervento a
favore dei soggetti più deboli e imponendo per legge
un salario minimo: in tal modo, le aziende non
possono ridurre i loro costi; dunque, devono essere
sostenute con finanziamenti e con sgravi fiscali.
Tutte queste iniziative generano 
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inflazione, poiché i salari sono mantenuti
(nominalmente), ma di fatto si svalutano, perché i
prezzi salgono, sostenuti dalla rinata domanda. Nel
mercato i soldi circolano più velocemente, perché a
nessuno conviene tenere fermo denaro che si svaluta:
questo favorisce gli investimenti, le speculazioni e le
occasioni di lavoro  l’economia si rimette in moto:
si crea domanda, che stimola l’offerta, che produce
nuova domanda, e così via…
Roosevelt operò in entrambi i settori, quello della spesa
pubblica e dell’intervento nel mercato del lavoro:
- istituzione della Tennessee Valley Authority
(risistemazione delle risorse idriche del Sud: si dava
lavoro a migliaia di operai e si rimetteva in moto
l’economia del Sud);
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- promulgazione della N.I.R.A. (legge per la ripresa
nazionale dell’industria), con cui si assicurava agli
operai un salario minimo e un tetto massimo di ore
di lavoro; le aziende erano tenute al rispetto delle
libertà sindacali e di una serie di vincoli che
impedivano la libera concorrenza e tenevano a freno
i prezzi.
Il New Deal, come si vede, inaugura il programma
della sinistra democratica moderna: salario minimo,
orario massimo, posti di lavoro, garanzie sindacali:
un secolo dopo la totale libertà di mercato, le
istituzioni pubbliche tornavano a regolamentare il
mercato, il lavoro, a difendere gli operai e a limitare
la concorrenza.
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Tutto ciò non avvenne senza contraccolpi di natura
economico-istituzionale:
- il debito pubblico raddoppiò in pochi anni;
- la Corte Suprema giudicò incostituzionale la N.I.R.A.,
che favoriva le aziende che ne applicavano il
contenuto, violando pesantemente la tradizionale
libertà di mercato cui gli USA erano legatissimi.
Roosevelt dovette mettere in campo tutta l’abilità di
leader, con grandi mobilitazioni propagandistiche e
ideologiche: si trattava di difendere i deboli e insieme
la ricchezza nazionale. Al termine della controversia,
la Corte Suprema riconobbe l’ingerenza dello stato
nell’economia, alterando così l’equilibrio
costituzionale americano, con un rafforzamento del
potere del presidente.
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La terza via rooseveltiana tra capitalismo e
comunismo, a differenza che nei regimi fascisti, non
minacciò mai le libertà democratiche: anzi, fu varata
la legge della Social Security, ossia il sistema di
previdenza sociale che negli USA non esisteva ancora

fondazione del Welfare State, uno stato in grado
di proteggere il reddito, l’occupazione, e di
sostenere la domanda in caso di crisi.
Nelle elezioni del ‘36 Roosevelt stravinse e fu
riconfermato presidente.
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L’economia keynesiana
Proprio nel 1936, in Inghilterra comparve un libro che
dava fondamento teorico a quello che Roosevelt
aveva fatto negli USA: Teoria generale
dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, di John
Maynard Keynes.
Il libro dimostrò la necessità di un capitalismo guidato
dallo stato, attraverso le banche centrali, la
pianificazione, la contrattazione tra le parti sociali,
l’investimento del pubblico denaro.
L’economia classica si fondava sulle teorie di A.Smith,
secondo il quale la “mano invisibile” del mercato
regola spontaneamente gli scambi 
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ad esempio, secondo Smith, se una merce è offerta in
grande quantità, il suo prezzo diminuisce: a prezzo
calante, la merce conquista nuovi consumatori, fino a
che la domanda viene esaurita. Oltre questo limite, la
merce resta invenduta: allora, gli investimenti
vengono rivolti altrove.
Lo stesso discorso vale per la moneta: più denaro viene
offerto dal sistema bancario, meno costa (cioè sono
minori gli interessi a cui viene prestato). Quando gli
interessi sono calati ad un punto che il mercato
giudica non più conveniente, gli investimenti
diminuiscono e aumenta il consumo (in parole
semplici: la voglia di spendere prevale su quella di
risparmiare)  i consumi generano domanda, che
viene soddisfatta da nuovi investimenti
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Questo schema, astratto e ottimistico, funzionò per
circa un secolo, finché c’erano risorse materiali e
umane da sfruttare (imperialismo); il crollo di Wall
Street aveva dimostrato che:
1) il salario non può essere compresso al di sotto di
limiti “vitali” per le famiglie e l’ordine pubblico;
2) il livello dei consumi non può alzarsi al di sopra
dell’effettiva capacità di assorbimento del mercato,
ma nemmeno calare al punto da generare sofferenza
sociale;
3) lo Stato deve prendere l’iniziativa di diffondere il
benessere;
4) lo Stato deve scoraggiare il risparmio improduttivo e
favorire investimenti, consumi, esportazioni;
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5) per stimolare il ciclo domanda/offerta è necessario
fare crescere il reddito nazionale (la somma di tutti i
salari), risultato che può raggiungere solo lo stato,
con opere di grande respiro in grado di fornire
lavoro.
Il New Deal da un lato, la teoria di Keynes
dall’altro assestarono il colpo finale ad un
secolo di liberismo selvaggio ed
incontrollato
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