CRISTINA E LA MATEMATICA a cura di Cristina Colombo Io e la matematica abbiamo sempre avuto un rapporto d’amore e d’odio. Amavo l’aritmetica, odiavo la geometria. Fin da piccola mi è sempre piaciuto contare i numeri o meglio contare tutto ciò con cui giocavo, verbalizzando in modo disordinato alcuni numeri. Ricordo che contavo benissimo, in successione, fino al 10, dopo di che passavo direttamente al 20, andando per decine fino al 100. La cosa più bella, è che dopo il numero 100, c’era subito il 1000. Questo numero mi piaceva tantissimo, perché i miei nonni come mancia mi davano le famose 1000 lire. Mi dicevano che con “questo soldino”, avrei potuto comprare tante caramelle e tanti gelati. Quindi per me il 1000 era un numero non solo molto grande, ma anche molto goloso. Considerando che sono nata nel 1974 e il prezzo delle caramelle e dei gelati era inferiore a oggi, i miei nonni avevano proprio ragione! Ma la mia storia con la matematica è stata anche una corsa. All’età di 5 anni ho cominciato a fare atletica ed è stata veramente una “ corsa contro il tempo”. Sì, il tempo del cronometro! Mi piacevano le gare di velocità, perché potevo sfidare i miei compagni di allenamento e gridare così “ Prima!!!” Oltre al gioco c’erano anche i faticosi allenamenti. Interminabili giri della pista d’atletica,non solo per fare riscaldamento, ma anche per “ fare fiato” ( gergo usato dagli atleti per la respirazione). Ricordo che contavo i giri a bassa voce e automaticamente la mia mente mi portava a contare quanti giri mancavano alla fine. Non solo, poi c’erano tutta una serie di esercizi da fare da soli o a coppie e anche lì bisognava contare. I numeri erano un’ossessione o meglio rimbalzavano nella mia mente, quando l’allenatore mi gridava ( in senso buono ), ad ogni giro il tempo e mi esortava ad aumentare il passo. Il numero era anche materialmente su di me: prima di ogni gara mi veniva consegnata una pettorina con un numero e mi veniva assegnata la corsia. L’ansia mi assaliva! Mi ripetevo continuamente che dovevo fare il miglior tempo, come quello negli allenamenti. Nella mia mente scorrevano velocemente dei numeri e cercavo di concentrarmi su quelli che l’allenatore mi faceva vedere sul cronometro digitale, autoincoraggiandomi a migliorare sempre di più. Nello stesso momento, il mio sguardo si dirigeva verso il podio, ma soprattutto verso il numero 1. Sì, proprio quel numero! Egoisticamente era mio. Lo volevo a tutti i costi! Mi piaceva il suono della sua pronuncia: corto e preciso! Durante la scuola dell’infanzia, la maestra (una suora) ci faceva sempre giocare con delle costruzioni di legno colorate. Io e altre mie compagne ci divertivamo a metterle una in fila all’altra e a contarle, dividendole per forma e colore. Ma il gioco che più mi entusiasmava era quello de “ La signora del supermercato”. In ogni angolo della classe sistemavamo dei tavoli e facevamo finta che fossero delle bancarelle. Ogni giorno, veniva eletta, da noi bambine, la commessa del negozio. Le costruzioni erano diventate verdure, i pastelli colorati le caramelle, le scatole la pasta … insomma ogni oggetto della classe era usato per giocare. Ognuno di noi aveva dei soldi, che ricordo benissimo: foglietti di carta colorati con scritti dei numeri a caso. Che bello! Mi piaceva comprare e contare i soldi che dovevo dare alla commessa. Mi sentivo grande! Imitavo gli atteggiamenti di mia mamma, quando con lei andavo a fare la spesa alla Coop e come lei, stavo attenta a scegliere bene i prodotti. Poi a 6 anni, cominciai a frequentare la scuola primaria. La mia maestra ( unica ) era una persona molto brava, professionalmente preparata e disposta a ripetere l’argomento fino a che, ognuno degli alunni, non raggiungeva un buon livello d’apprendimento. Anche a scuola la matematica mi è sempre piaciuta, perché ho imparato ad applicarla alla quotidianità. Ricordo quaderni a quadretti pieni di numeri da trascrivere e tante palline colorate, che bisognava contare per poi scriverne il numero corrispondente. Amavo le tabelline. A casa mi piaceva ripeterle e scriverle; fare la gara con mio papà a chi le diceva tutte giuste. Mi piacevano anche le equivalenze; questa passione me l’ha trasmessa mio papà. L’amore per la matematica cominciò a diminuire in quarta elementare, quando la maestra ci parlò di una parte della matematica, di nome geometria. Rimasi un po’ scossa, perché per me la matematica erano i numeri, le tabelline, le equivalenze, le operazioni, i problemi … insomma nulla a che fare con un groviglio di formule e teoremi. Ho sempre dimostrato poco interesse per la geometria, ritenendola anche “ noiosa “. Eppure riuscivo sempre a prendere dei bei voti, anche perché il mio dovere (come dicevano i miei genitori) era di studiare tutto. Ma a pelle, mi era antipatica! Non sopportavo di dover imparare a memoria le formule del perimetro e dell’area di ogni figura geometrica. Ogni volta, mi dicevo tra me e me: “ Tanto non mi serviranno mai. E’ un lavoro inutile! I numeri sono più importanti! “. Solo dopo alle medie, cominciai a capire l’importanza della geometria. Il mio professore amava la matematica e la sua passione coinvolse tutta la classe. Parlava di numeri, formule, teoremi con molto entusiasmo. Una parte di me si convinse che forse era così bella la geometria, l’altra rimase sempre della sua idea: “Noiosa e antipatica”! Durante questi anni di scuola, maturai un profondo amore per le espressioni e per le frazioni. Ancora oggi, quando devo spiegare alla classe le frazioni o semplici espressioni, mi appassiona talmente tanto, che noto nei miei alunni un forte interesse e una partecipazione attiva alla lezione. Come faceva il mio professore delle medie, anch’io per introdurre l’argomento parto dal concreto, da situazioni tangibili ai bambini: dividere una torta, una pizza, una tortina… Comunque, ritornando ai miei anni da scolara, crescendo, capii quanto fosse importante la matematica (compresa la geometria) nella vita di tutti i giorni. Continuamente siamo bombardati da numeri: a scuola, a casa, al lavoro, in stazione, sul telefonino, sul telecomando… Mi piaceva quando tornavo a casa da scuola, vedere da quanti numeri ero circondata. Poi l’interesse per questa materia scomparì alle superiori. Ero arrivata al punto di odiarla. Ritengo che la colpa sia stata essenzialmente del professore o meglio dei professori. Le loro lezioni erano fredde; era solo un dettato di esercizi,di letture sul manuale, di mini-verifiche, di lavori di gruppo, di numeri da trascrivere sul quaderno. Non mi piaceva! Anche a casa svolgevo i compiti mal volentieri, per dovere, perché da studentessa diligente, sapevo che non potevo presentarmi a scuola senza aver fatto gli esercizi sul quaderno (pena un brutto voto). Ogni anno cambiavamo l’insegnante. Quando riuscivamo a capire il suo metodo di lavoro, la scuola era quasi terminata. Non vedevo l’ora delle vacanze estive! Non sopportavo più la matematica! Questo rapporto conflittuale si attenuò al quinto anno delle superiori, quando arrivò un altro professore (questa volta molto bravo), tanto da trasformare le sue lezioni in un affascinante interesse per tutta la matematica. Mi vennero subito alla mente gli anni trascorsi alle elementari e alle medie, dove amavo questa materia. Seguivo le sue lezioni prendendo continuamente appunti; lo guardavo con attenzione, perché la matematica non la comunicava solo verbalmente, ma anche con il corpo. Girava continuamente tra i banchi, chiedeva opinioni e aiutava tutti senza difficoltà. Non c’era un muro tra noi e lui; non era solo una lezione frontale, nozionistica, cattedratica ma partecipativa e collaborativa. Insomma quel professore aveva “smussato” gli angoli del mio odio per la matematica. Non che da un momento all’altro cominciai subito ad amarla, ma ad ogni lezione riscoprivo quanto era bella ed attraente. C’è un numero che mi ha accompagnato nella mia vita scolastica e che oggi ha un significato importante. Il numero 7! A scuola, dalle elementari alle superiore, nel registro in ordine alfabetico, ero il numero 7. Questo numero è presente nella mia vita, anche al di fuori del contesto scolastico: nella mia data di nascita, nella data di nascita di mia figlia, in quella di mio marito, nel numero delle lettere del mio cognome, nella mia matricola universitaria. E’ un po’ ovunque. A parte questa digressione, dalla mia esperienza ho capito quanto sia importante saper insegnare bene la matematica, ma soprattutto insegnare ad amare questa disciplina. Non ha senso gettare i semi su un terreno secco, arido; i frutti non nasceranno. E’ solamente trasmettendo passione, enfasi, entusiasmo che si potranno avere frutti maturi e corposi. E così vale per la matematica. Questa disciplina non è solo un insieme di numeri, formule, teoremi … ma può essere anche divertente e soprattutto fonte di apprendimento.