• Il Commonwealth of Australia Constitution Act dedica il III capitolo al potere giudiziario, l’Art. 71 così si esprime: “Il potere giudiziario (judicature) della Confederazione risiederà in una Corte federale suprema, che sarà chiamata Alta Corte d’Australia (High Court of Australia), ed in quelle altre Corti federali che il Parlamento istituirà ed in quelle che il medesimo investirà di poteri giurisdizionali. L’Alta Corte sarà costituita di un Primo Presidente (Chief Justice) e d’un numero di giudici che sarà stabilito dal Parlamento e non sarà inferiore a due”. Fonte: Attilio Brunialti, Costituzioni esotiche, Unione tipografico-editrice torinese, Torino, 1912, vol. 10 pg. 17. Controllo costituzionale e la High Court • • • Il sistema di controllo costituzionale è diffuso, ad ogni singolo giudice è affidato il giudizio di costituzionalità. La Corte Suprema (High Court of Australia) è il principale organo giudiziario composto da un presidente e da 6 giudici ordinari. I giudici sono nominati dal Governatore Generale che può rimuoverli su richiesta delle camere in caso di provato comportamento disdicevole o incapacità e durano in carica fino al compimento del settantesimo anno di età. Nel pronunciarsi sugli appelli provenienti dalle Supreme Courts degli stati membri, questo collegio garantisce l’uniformità della Common Law e dell’interpretazione legislativa sull’intero territorio nazionale. La Corte dirime le controversie tra gli organi dello Stato e si occupa delle questioni di particolare rilievo costituzionale. Infine, sempre alla Corte Suprema, è affidato il controllo ultimo di costituzionalità sugli atti normativi statali e federali. Competenti ad adire la Corte in caso di mancato rispetto del riparto delle competenze degli atti normativi sono il Procuratore Generale dello Stato, nel caso in cui leggi federali invadano la competenza legislativa centrale, o il Procuratore Generale del Commonwealth, quando le leggi statali riguardino materie di competenza federale. La dichiarazione di incostituzionalità può essere totale o parziale, la decisione è presa a maggioranza e vengono rese pubbliche le opinioni contrarie. Fonti: G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Reposo, M. Volpi, Diritto Pubblico Comparato, Giappichelli Editore, 2009, pg. 205-206. P. Carrozza, A.di Giovine, G.F. Ferroni, Diritto Pubblico Comparato, Editori Laterza, 2009, pg. 110-111. La questione del “Bill of Rights” • Ad oggi (2011) il caso dell’Australia rappresenta un’anomalia nell’ambito dei paesi “occidentali”. Essa è infatti l’unica nazione democratica al mondo ad essere priva di un sistema giuridico generale di protezione dei diritti umani inteso come carta dei diritti fondamentali (Bill of Rights). • La maggior parte dei paesi nel mondo hanno già adottato una carta dei diritti fondamentali, ispirati agli strumenti internazionali più importanti per garantire la tutela dei diritti umani, quali la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966. Nonostante Sidney abbia da tempo ratificato questi documenti, non li ha tuttora resi completamente parte del proprio sistema giuridico. • Negli ultimi anni (2011) si sono verificati allarmanti fenomeni che hanno spesso messo in pericolo l’uguaglianza, la tolleranza e la dignità di numerosi individui, sottolineando così il bisogno urgente di rafforzare la tutela giuridica di questi diritti. Fonte: http://www.freeaustralia.org/component/content/article/1-latest/149-bill-of-rights-for-australia.html • Caso dei rifugiati minorenni che arrivano sulle coste dell’Australia per chiedere asilo: seppure non abbiano raggiunto la maggiore età, vengono trattenuti in centri di identificazione e detenzione, contravvenendo così alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo. • In Australia alcune leggi regolano il trattamento dei rifugiati minorenni: Children Protection Act 1999, Children and Young People Act 1999, Migration Amendment (Duration of Detention) Act 2003, ma il fatto che questi diritti non siano tutelati a livello costituzionale lascia molti punti oscuri. Nel 2004, sotto le pressioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), l’Australian Human Rights and Equal Opportunity Commission ha avviato un’inchiesta intitolata Last Resort per far luce sulla questione. • L’inchiesta, che ha evidenziato i numerosi “limiti” in materia di protezione dei diritti dei rifugiati, ha tratto tre principali conclusioni: 1. Le leggi australiane in materia di immigrazione sono sostanzialmente non corrispondenti alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo. 2. I minori nei centri di accoglienza rischiano pesanti conseguenze psicologiche. Il Commonwealth of Australia non ha rispettato le raccomandazioni degli esperti in materia di psicologia infantile. 3. Ai minori trattenuti nei centri di accoglienza tra il 1999 e il 2002 non sono stati garantiti i seguenti diritti: il diritto di essere protetto da qualsiasi forma di violenza fisica e mentale (CDF Art.19), il diritto per i minori affetti da disabilità di vivere in condizioni che assicurino un adeguato livello di dignità, possibilità di affermazione personale e inserimento nella società (CDF Art.23), il diritto ad un appropriata educazione sulla base di uguali opportunità (CDF Art.28), il diritto per i minori non accompagnati di ricevere speciale protezione e assistenza in modo da garantire la completa tutela dei diritti presenti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo (CDF Art.20). Fonte: A last resort: National Inquiry into Children in Immigration Detention. http://www.unhcr.org/refworld/category,LEGAL,UNICEF,,,3e770b531,0.html Per quanto riguarda la tutela della libertà personale, l’introduzione di nuove leggi sul crimine di sovversione dello Stato, approvate nell’ambito della legislazione antiterrorismo, ha fortemente limitato alcuni diritti fondamentali dei cittadini, contravvenendo al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966. l’AntiTerrorism Act 2005 modifica le leggi relative agli atti terroristici; i principali contenuti dell’atto riguardano: • L’estensione della definizione di organizzazione terroristica per permettere l’iscrizione e l’identificazione di queste. La possibilità di “Control orders” che permettano lo stretto monitoraggio dei sospettati di terrorismo che rappresentano un rischio per la comunità. Un nuovo regime di custodia cautelare che consenta la detenzione per un massimo di 48 ore qualora sia ragionevolmente necessario per prevenire un atto terroristico. Un nuovo regime di poteri di fermo, ricerca e detenzione che potranno essere esercitati negli aeroporti e in altri luoghi del Commonwealth per prevenire o rispondere al terrorismo. Modifiche per consentire alle forze dell’ordine e alle agenzie di intelligence l’accesso alle informazioni riguardanti i passeggeri aerei. La creazione di una base giuridica per l’utilizzo della videosorveglianza nei principali aeroporti australiani. Fonte: Anti-Terrorism Act 2005. http://www.ag.gov.au/Pages/default.aspx • Nel luglio del 2010, una coalizione di ONG provenienti da tutta l’Australia ha preparato una presentazione congiunta (Joint NGO’s Submission) per l’Universal Periodic Review of Australia. La presentazione è stata preparata sotto la guida di un gruppo di lavoro formato dalle varie ONG ed è stata approvata, del tutto o in parte, da 68 organizzazioni. Nel documento si afferma che: • “Pur avendo ratificato sette dei trattati fondamentali in materia di diritti umani, l’Australia non ha integrato questi trattati nel suo diritto nazionale e ha omesso di adottare un quadro giuridico globale per la protezione dei diritti umani. Ci sono notevoli lacune nella protezione dei diritti umani e molti individui non sono in grado di accedere a mezzi di ricorso efficaci.” • Sempre secondo il testo la Commissione australiana dei diritti umani (Australian Human Rights Commission), istituita il 10 dicembre 1986 (Giornata internazionale dei diritti umani) come garante della difesa dei diritti umani, non è in grado di svolgere in maniera soddisfacente il proprio compito a causa dei suoi limitati poteri. Diviene necessario quindi che l’Australia rispetti gli obblighi assunti a livello internazionale e introduca una legge dal valore giuridico federale. Fonte: Joint NGO’s Submission. http://www.hrlrc.org.au/ • La libertà di parola e di espressione non è prevista dalla costituzione Australiana. Nel 1992, tuttavia, la High Court of Australia ha dichiarato, nel caso Australian Capital Television Pty Ltd v Commonwealth , che il diritto alla libertà di espressione, nella misura in cui riguarda il dibattito pubblico e politico, è un requisito essenziale in uno stato democratico e quindi, contenuto implicitamente nella Costituzione australiana. Ciò significa però solo che gli australiani sono liberi di parlare di politica, ma questo è tutto; non essendoci un “Bill of Rights” al quale appellarsi, teoricamente il Parlamento è in grado di bloccare la pubblicazione di vario materiale e di limitare fortemente l’accesso ad internet. • A partire dal 2010, il regime di censura è in gran parte di competenza del Classification Board, organo statutario istituito dal Classification Act 1995, che opera in modo indipendente dal governo federale. Il mancato ottenimento della classificazione è un divieto implicito (ad eccezione di film, giochi e pubblicazioni il cui contenuto non è sufficiente a giustificare restrizioni agli adulti). Tutti i film, video, riviste e giochi videoludici che contengono contenuti inadatti ai minori devono essere, per il rilascio delle autorizzazioni commerciali, sottoposti a questo organismo composto da "rappresentanti della comunità" e nominato dal governo per tre o quattro anni. • Accanto al Classification Board troviamo la Australian Communications and Media Authority (ACMA) le cui principali funzioni sono di disciplinare la trasmissione radiotelevisiva e regolare gli standard per i contenuti internet. Essa rappresenta inoltre gli interessi australiani in materia di comunicazione a livello internazionale. Fonti: http://www.hrcr.org/ http://www.classification.gov.au/Pages/Home.aspx http://www.acma.gov.au/WEB/HOMEPAGE/PC=HOME Per quanto riguarda il servizio sanitario, l’Australia si è dotata di una Carta dei diritti all’assistenza sanitaria. La Carta descrive i diritti dei pazienti e di altre persone che fanno uso del sistema sanitario australiano ed è basata su 3 principi guida fondamentali: 1. Ognuno ha diritto di accedere ad assistenza sanitaria, questo diritto è essenziale affinché la Carta abbia senso. 2. Il Governo australiano è impegnato nell’osservanza degli accordi internazionali riguardanti i diritti umani che riconoscono il diritto di ciascuno, per quanto possibile, di usufruire dei più alti standard in materia di salute fisica e mentale. 3. L’Australia è una società composta di persone con culture e stili di vita differenti, la Carta riconosce e rispetta queste differenze. Esiste anche una Commissione (Australian Commission on safety and quality in health care) che ha il compito di condurre e coordinare il miglioramento della sicurezza e della qualità dell’assistenza sanitaria in Australia individuando le questioni fondamentali e le priorità di intervento. La Commissione fornisce una consulenza fondamentale al Ministero della sanità per il miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria stessa. Anche la questione del diritto alla vita è un tema che ha interessato e interessa l’Australia. Nel 2009 l’Alta Corte australiana, con una sentenza che ha lasciato sorpresi molti esperti di diritto, ha concesso al signor Christian Rossiter, un uomo di quarantanove anni che ha trascorso gli ultimi venti in uno stato di paralisi totale, di porre fine alla sua vita. Peter O’Meara, presidente dell’Associazione australiana per il diritto alla vita (Australian federation of Right to Life associations), ha definito la decisione del giudice un “pericoloso precedente”. Fonti: Australian Charter of Healthcare Rights, http://www.health.gov.au http://www.safetyandquality.gov.au http://www.righttolife.asn.au La difesa delle minoranze, gli Aborigeni australiani e il caso Mabo vs Queensland • La popolazione aborigena è stata decimata dalla colonizzazione iniziata nel 1788. Una combinazione di malattie, perdita delle terre e omicidi hanno ridotto la popolazione aborigena drasticamente tra il XIX secolo ed il XX secolo. A questo si aggiunsero una serie di massacri, di cui l’ultimo fu a Coniston, Northern Territory, nel 1928. • Eddie Mabo era un indigeno delle isole Mur nello stretto di Torres, meglio conosciute come Murray Islands. Di fronte alle rivendicazioni native su quelle terre il governo del Queensland reagì con il Queensland Coast Islands Declaratory Act 1985 che affermava che i diritti di proprietà indigeni sullo stretto di Torres si erano estinti nel 1879, quando le isole passarono sotto il controllo del governo del Queensland. La mossa si rivelò inutile e nel 1989 il Queensland Coast Islands Declaratory Act fu annullato perché in contrasto con il Racial Discrimination Act 1975. Il caso giunse così alla High Court dove il popolo Meriam sostenne con forza lo stretto legame con quelle terre nonostante queste fossero state dichiarate possesso della colonia del Nuovo Galles del Sud nel 1797 e poi annessi al Queensland nel 1879. Il governo del Queensland da parte sua affermò di aver salvato gli indigeni delle isole Murray dallo stato “barbaro” nel quale essi versavano e di possedere pieni diritti su quelle terre. Il 3 giugno 1992 sei dei sette giudici della High Court stabilirono che: “il popolo Meriam ha diritto, contro il mondo intero, al possesso, occupazione e uso delle terre delle Isole Murray”. • In questo modo viene dichiarato invalido il concetto di terra nullius, contro il quale erano state fino ad allora fondate le rivendicazioni territoriali degli aborigeni e viene contestualmente sancito un pieno diritto di proprietà territoriale che riconosce gli aborigeni e gli isolani dello stretto di Torres come i “proprietari” originari. Questo significa che quando gli inglesi hanno presso possesso delle isole Murray potevano esercitare il potere politico su queste, ma non hanno mai avuto la proprietà assoluta della terra e, cosa ancora più importante, il diritto di proprietà degli indigeni su quelle terre non si è estinto quando la colonia del Nuovo Galles del Sud è stata costituita. Il principio della terra nullius quindi non era mai esistito legalmente ed era stato introdotto illecitamente in Australia; il popolo Meriam, invece, poteva provare una lunga e continua tradizione e poteva quindi reclamare il possesso di quelle terre. • Il significativo sforzo di bilanciamento operato dai giudici nella sentenza Mabo emerge dalla volontà di non contestare né mettere in discussione i diritti di proprietà legalmente acquisiti da cittadini non aborigeni. Infatti, solo i territori vacanti, i parchi nazionali e forse alcuni terreni dati in locazione, in cui il contratto di locazione è soggetto al diritto aborigeno di accesso alla terra, può essere oggetto di rivendicazioni da parte dei proprietari aborigeni. Nessuna rivendicazione dei nativi è automaticamente riconosciuta dalla legge, essi devono dimostrare davanti ad una corte di aver mantenuto un tradizionale legame con la terra che viene rivendicata, in caso contrario ogni volta che vi sia un conflitto tra titoli di possesso della Corona e titoli dei nativi saranno questi ultimi a soccombere. • Quindi nonostante l’indiscutibile forza innovativa della sentenza Mabo, che ha segnato un importante punto a favore del ruolo sociale delle comunità aborigene, la traduzione dei diritti riconosciuti formalmente si è dimostrata tutt’altro che agevole tanto che ancora oggi, nella realtà dei fatti, la questione dei diritti territoriali pare tutt’altro che risolta. Fonte: Barbara ann Hocking, Unfinished constitutional businesses, Rethinking aboriginal self-determination, Canberra, Aboriginal Studies Press, 2005 pg. 11-13, 261-262, 277-278. Nel 2007 di fronte alle evidenze contenute in un rapporto del Senato (Social Justice Report), che denunciava la crisi del processo di dialogo e riconciliazione con le comunità aborigene, addebitandola a scelte sbagliate intraprese dal governo federale con riguardo al riconoscimento dei diritti economici, sociali e culturali, l’allora Primo Ministro John Howard ha riconosciuto pubblicamente il fallimento delle politiche di assistenza sociale destinate agli indigeni. Dal rapporto si rilevava che l’aspettativa di vita per le donne aborigene fosse inferiore mediamente di vent’anni rispetto agli altri australiani e che, d’altra parte, gli aborigeni avessero una probabilità di essere arrestati quindici volte superiore rispetto agli altri australiani. Nel giugno 2007, Howard ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale e ha disposto la tempestiva attuazione di misure straordinarie volte a intervenire sulle situazioni di abuso sui minori riscontrate nelle comunità aborigene del Northern Territory (NT). Tale drastico provvedimento è stato preso alla luce delle evidenze contenute in un rapporto della Commissione di inchiesta per il Northern Territory (NT Board of Inquiry), significativamente intitolato “Little Children are Sacred” nel quale si denuncia la violazione sistematica dei diritti dei bambini aborigeni da parte dei familiari e dei membri della comunità. Dal dossier emerge una situazione consolidata di grave degrado in cui l’abuso di alcol, droghe e soprusi ai danni di minori costituiscono parte integrante della vita quotidiana nelle riserve del Territorio del Nord, dove vive la gran parte dei 470.000 aborigeni che ancora abitano la grande isola australe. Fonti: Social Justice Report 2007 (Chapter 2), http://www.hreoc.gov.au Northern Territory Commission of Inquiry, (Little Children are sacred), http://www.dcm.nt.gov.au Il piano emergenziale, definito Northern Territory Emergency Response (NTER), messo a punto nel 2007 dal Primo Ministro australiano, John Howard, insieme con il ministero per la famiglia, i servizi sociali e gli affari aborigeni (Minister for Families, Community Services and Indigenous Affairs), prevedeva una lunga serie di misure eccezionali: l’introduzione di severe restrizioni alla vendita e all’uso di alcol nelle terre aborigene del Northern Territory; l’attuazione di riforme che intervenissero per bloccare il flusso di denaro impiegato nell’acquisto di sostanze stupefacenti; disposizione di fondi da utilizzare solo ed esclusivamente per la promozione del welfare minorile rafforzare e rendere effettivo l’obbligo di frequenza scolastica; imposizione dell’obbligo di sottoporsi a controlli sanitari regolari per tutti i bambini indigeni, prevista al fine di individuare per tempo ogni problema di salute o eventuali abusi. I leader nativi non hanno negato la grave entità dei problemi emersi dal dossier della Commissione di inchiesta ma hanno contestato il tipo di approccio del governo che ha imposto il proprio intervento dall’alto, senza concedere ne il tempo né la possibilità di instaurare un dialogo con gli aborigeni per giungere a soluzioni concertate che potessero rivelarsi più utili per la lotta alla povertà e al degrado sociale rispetto a misure punitive e unilateralmente definite a livello federale. In una lettera aperta rivolta al premier e sottoscritta da componenti delle comunità autoctone e da sostenitori della causa indigena, si chiedeva di supportare le comunità indigene per migliorare le loro condizioni, potenziando i servizi pubblici e il sistema di istruzione creando percorsi che facilitino l’accesso al lavoro e l’integrazione sociale. Fonti: Northern Territory National Emergency Response and other Measures Bill 2007. http://www.aph.gov.au Carla Bassu, I diritti dei bambini aborigeni nel Commonwealth of Australia. Un caso di federalismo paternalista, 2007. http://www.dirittoestoria.it Giustizia costituzionale in Nuova Zelanda Il sistema giudiziario è indipendente dall’autorità governativa, comprende dodici High Courts e deve la sua origine alla consuetudine giuridica britannica. I giudici di pace locali esaminano i casi di minore importanza, mentre le varie corti distrettuali formano il livello successivo più elevato dal sistema legale; le cause più serie sono invece compito di una Corte Suprema (Supreme Court) le cui decisioni possono essere impugnate presso la Corte d’Appello (Court of Appeal). Fonte: P. Carrozza, A.di Giovine, G.F. Ferroni, Diritto Pubblico Comparato, Editori Laterza, 2009, pg.122-123. La Corte Suprema è giudice di ultima istanza per le questioni costituzionali. Ad ogni singolo giudice è riconosciuto il diritto di sindacare la legittimità delle leggi anche con riferimento ai testi aventi valore costituzionale. La corte suprema è stata introdotta con il Supreme Court Act 2003, che ha interrotto la possibilità di appellare le decisioni della locale Court of Appeal davanti al Judical Committe of the Privy Council del Regno Unito, ed è composta da cinque giudici designati dal Governo e scelti in base ai meriti professionali. Alla Corte Suprema è inoltre attribuita la giurisdizione sulle istanze legate all’interpretazione del Treaty of Waitangi, che regola dal 1840 i rapporti tra i maori, gli indigeni originari dell’isola, e gli ex coloni britannici stabilitisi sul territorio. Il trattato prevede in sostanza un accordo sulla cessione della sovranità da parte dei maori alla Corona britannica in cambio delle garanzie sui loro possedimenti e sulle loro libertà. La Corte di Appello (Court of Appeal) si occupa di sentenze civili e penali già valutate dalla Corte Suprema e dei procedimenti penali sanzionabili nei tribunali distrettuali. Allo stesso modo, le questioni appellate alla Corte Suprema dalle corti distrettuali possono essere prese in considerazione dalla Corte d’Appello se sono considerati di importanza sufficiente per giustificare un secondo ricorso. La Corte esamina i ricorsi sulle questioni di diritto dalla Employment Court e Environment Court. Inoltre si occupa dei ricorsi che giungono dalla Corte di Appello Maori (Māori Appellate Court) che a loro volta provengono dalla Māori Land Court. La Maori Land Court (Te Kooti Whenua Maori) e la Maori Appellate Court (Te Kooti Pira Maori) sono state istituite con il Te Ture Whenua Maori Act 1993. Fonti: http://www.legislation.govt.nz Maori Land Court (Te Kooti Whenua Maori) and Maori Appellate Court (Te Kooti Pira Maori), http://www.justice.govt.nz I diritti fondamentali: un Bill of Rights dal 1990 A differenza dell’Australia, la Nuova Zelanda si è dotata di un Bill of Rights nel 1990, la sua promulgazione può essere definita la maggiore conquista costituzionale del Paese. Sebbene la Carta non abbia valore strettamente costituzionale, i diritti e le libertà contenutevi sono essenziali per qualsiasi democrazia. In Nuova Zelanda tali diritti e libertà sono stati tradizionalmente parte del tessuto della Common law e degli usi costituzionali. L’assenza di una costituzione scritta ha portato ad una preminenza dell’esecutivo tipica di tutti gli ordinamenti di Common law, anche se il sistema proporzionale adattato nel corso degli anni ’90 lo ha parzialmente circoscritto. Si rendeva quindi necessaria una qualche forma di garanzia che tutelasse i diritti fondamentali. Il Bill of Rights della Nuova Zelanda ha avuto origine con il governo Laburista del 1984-90 che comprendeva una nuova generazione di parlamentari volti alla promozione delle libertà politiche ed economiche, in larga parte come reazione all’autoritarismo economico del precedente governo Nazionale di Robert Muldoon. Le vecchie democrazie basate sul modello Westminster non hanno solitamente una Carta dei diritti fondamentali, questa tendenza fu rotta dal Canada nel 1960 con il suo Bill of Rights ispirato alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e alla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici; inoltre, per i paesi di Common law il Bill of Rights degli Stati Uniti ha avuto grande influenza. Diversamente dal Bill of Rights degli Stati Uniti, però, la versione canadese non ha derogato alla legislazione precedente ma è stato piuttosto un supporto all’interpretazione della legislazione in vigore. Questo aspetto è cambiato nel 1982 quando il Bill of Rights canadese è stato sostituito dal Canadian Charter of Rights and Freedoms, le corti canadesi ora hanno il potere di dichiarare invalida qualsiasi legge in contrasto con la Carta. L’esperienza canadese è stata presa a modello dai legislatori neo-zelandesi che, guidati da Geoffrey Palmer, nel 1985 hanno proposto un Bill of Rights per la Nuova Zelanda. La proposta iniziale era di un Bill of Rights che includesse una larga parte dedicata ai diritti politici ed economici, esso doveva garantire inoltre i diritti della popolazione Maori presenti nel Treaty of Waitangi e doveva essere, come quello canadese, una fonte superiore alla legislazione ordinaria. Tuttavia la proposta fu considerata inaccettabile per due ragioni: 1. in primo luogo alcuni parlamentari del Partito Nazionale ritenevano che concedere alle Corti il potere di annullare le leggi sarebbe stato contro le prerogative del Parlamento e questo rappresentava un infrangimento della sovranità popolare, vi era inoltre il timore che le Corti, avendo un tale potere sarebbero diventate politicizzate; 2. in secondo luogo, in un incontro con i capi maori nel 1986, questi avevano manifestato le loro perplessità riguardo al fatto che l’incorporazione del Treaty of Waitangi nel Bill of Rights ne avrebbe diminuito il valore costituzionale e avrebbe consentito al Parlamento di emendare il Trattato stesso. Come conseguenza di tutto ciò, il governo modificò il suo approccio e propose un nuovo Bill of Rights più limitato rispetto al precedente; esso si limita alla difesa dei diritti politici generalmente accettai nelle democrazie moderne. La protezione della proprietà privata è esclusa, poiché si riteneva che tale tutela non rientrasse in un documento votato alla difesa dei diritti civili e politici, ma rientrasse piuttosto nella sfera dei diritti economici.3 In questo caso, però, il diritto alla proprietà privata sembra essere più assimilabile ai diritti politici che a quelli economici; vale ricordare, a questo proposito, che l’Art.17 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani prevede che: “Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà”. Fonti: Hon Geoffrey Palmer, Hansard, 1990. http://www.parliament.nz Art. 17 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. http://www.un.org Struttura del Bill of Rights I principali diritti protetti dal Bill of Rights si suddividono in quattro categorie: 1. 2. 3. 4. vita e sicurezza personale; diritti democratici e civili; diritto di non discriminazione; protezione contro l’uso arbitrario dei poteri di polizia (ricerca, arresto e detenzione). La parte inerente alla vita e alla sicurezza personale include diritti come quello di non essere privato della vita, di non essere soggetto a tortura o trattamento crudele, di non essere soggetto a esperimenti medici e di rifiuto delle cure mediche. I diritti democratici e civili includono il diritto ad eleggere e essere eletto come membro del governo e le libertà di pensiero, espressione, coscienza, religione, credo, culto, riunione pacifica e associazione. Storicamente la Nuova Zelanda è molto sensibile al problema della discriminazione, il Bill of Rights tutela il diritto di non discriminazione in base al colore, razza, etnia, sesso, credenze religiose ed etiche. Le minoranze hanno diritto alla loro cultura, lingua e religione. L’ultima categoria di diritti include il diritto alla sicurezza contro la ricerca e l’arresto immotivati, il diritto alla protezione legale e ad un giusto processo di fronte ad una corte debitamente costituita. Il Bill of Rights si applica a tutti i poteri e gli organi dello Stato e a qualsiasi persona fisica e giuridica presente sul territorio neo zelandese. In difesa del principio della sovranità parlamentare il Bill of Rights afferma, alla sezione 4, che la Carta può essere derogata dalle leggi che sono esplicitamente contro il Bill of Rights stesso. In ogni caso, quando possibile, la legge deve essere interpretata in armonia con i diritti e le libertà garantite dalla Carta. Il Bill of Rights è stato uno degli ultimi atti promulgati dal governo laburista del 1987-90. L’opposizione ritenne che esso avesse aggiunto poco alla democrazia neo zelandese. Paul East, al tempo Procuratore Generale, affermò che i diritti inclusi nella Carta erano già presenti nella Common law ed erano inerenti al rispetto dei valori democratici osservati dai legislatori neo zelandosi. Il Primo Ministro, al contrario, riteneva che, seppur limitato, il Bill of Rights emanato costituisse un primo valido passo lungo la strada delle Carte dei Diritti complete come quella canadese, che ha lo status di legge fondamentale, superiore alla legge ordinaria. Fonte: Wayne Mapp, New Zealand’s Bill of Rights: A Provisional Assessment, ANU E Press (Australian National University), 1997, Volume 1 pg. 81-85. La difesa delle minoranze: i Maori Il 6 febbraio 1840 il Trattato di Waitangi pose fine della sovranità dei Maori sull’isola. Tale documento, pose le basi per la totale colonizzazione giuridica e culturale della popolazione autoctona. Il Trattato era composto da tre principi fondamentali: 1) I capi maori riconoscevano la sovranità inglese. 2) I Maori avrebbero goduto degli stessi diritti dei cittadini britannici. 3) Si garantiva il totale possesso terriero ai Maori (regolarmente disatteso), ma con diritto di prelazione, in caso di vendita, per la Corona inglese; per i Maori non era invece previsto alcun diritto di prelazione. Quando gli inglesi assunsero il controllo formale della Nuova Zelanda, i gruppi Maori si resero subito conto che il Trattato non era effettivamente un accordo paritario tra le parti. Dal 1845 al 1847 alcuni capotribù guidarono delle azioni di rappresaglia finché le forze coloniali, sotto il comando del governatore Sir George Grey, misero fine alle rivolte; s’instaurò così un periodo di pace forzata che durò fino al 1860. Fonte: http://www.hrc.co.nz Il Trattato di Waitangi era stato oggetto di una duplice interpretazione, l’una da parte dei Maori, l’altra da parte inglese; per gli inglesi il Trattato assicurava il controllo totale sulle terre, mentre per i Maori esso comportava un continuo e reciproco impegno allo scambio secondo le tradizioni indigene del dare-ricevere-restituire. Presso le società cosiddette tradizionali, il concetto di proprietà non contempla il controllo privato sulle risorse. Il più delle volte infatti, si parla di possesso, di diritto di sfruttamento, ma non di proprietà individuale: la terra appartiene agli antenati e quindi non è possibile detenere alcun diritto di cessione o vendita. Essendo una società basata sulla caccia e la raccolta i Maori osservano il principio di spartizione: il cacciatore ha il dovere di dividere il frutto della sua caccia con gli altri membri del suo gruppo sociale, l’unico onore che gli è attribuito è quello della priorità della scelta, ma non il possesso esclusivo della preda o del raccolto. Di conseguenza le aspettative maori riguardo l’idea dello scambio continuo e reciproco erano in contrasto con l’ottica tipicamente europea di profitto: per i Maori non erano culturalmente né giuridicamente stipulabili scambi che prevedessero il guadagno a favore di una sola delle parti. Il Trattato di Waitangi è stato l’emblema del colonialismo giuridico-culturale subito dai Maori: esso fu un contratto o patto reciproco tra due parti, la Corona inglese e i Maori, interpretato in modo totalmente diverso, a totale sfavore della cultura autoctona. Fonte: M. Gluckman, Potere, diritto e rituale nelle società tribali, Boringhieri, 1977. pg. 42-45. Nel secolo che seguì al Trattato di Waitangi del 1840, la protesta silenziosa dei Maori si levò con dignità e fermezza e portò ad ottenere un consistente “risarcimento” finanziario per le terre ingiustamente confiscate; la questione delle terre maori è una questione molto spinosa per il governo neo-zelandese. Negli anni ’90 cominciarono una serie di rivendicazioni maori contro la Corona che sfociarono nell’emanazione del Waikato Raupatu Claims Settlement Act 1995 e del Ngai Tahu Claims Settlement Act 1998. Nel 1989 la Corona cominciò una strategia per riportare le questioni del Trattato rimaste aperte, che erano ormai costantemente sotto la giurisdizione del Tribunale di Waitangi (istituito nel 1976 con il compito di esaminare tutte le rivendicazioni autoctone riguardanti il mancato rispetto dei diritti dei Maori previsti dal Trattato di Waitangi), nell’arena politica con l’emanazione da parte del governo laburista del Principles for Crown Action on the Treaty of Waitangi. Con questo documento il governo si impegnò a risolvere tutte le rivendicazioni riguardo al Trattato nell’arco di dieci anni con un budget di un miliardo di dollari neo-zelandesi; tuttavia, questo obiettivo poteva essere raggiunto solo tramite una duratura e piena collaborazione con le tribù maori. La tribù Waikato fu la prima a raggiungere un’intesa con la Corona, il Waikato Act fu probabilmente il più significativo accordo nella storia della Nuova Zelanda, fu infatti il primo ad essere firmato personalmente dal Monarca, la Regina Elisabetta II. L’accordo, firmato il 22 maggio 1995, riguardava più di 480.000 ettari di terra tanui confiscati con il New Zealand Settlement Act 1863 e garantiva il trasferimento di 15.000 ettari alla tribù con un indennizzo di 170 milioni di dollari neo-zelandesi. L’Ngai Tahu Act fu raggiunto su basi diverse rispetto al Wikato Tanui, non vi era infatti un problema di terre confiscate ma di sfruttamento e in seguito di espropriazione delle zone di pesca Ngai Thau e del Mahinga Kai, il nome con il quale venivano identificati i luoghi dai quali venivano tratte le risorse di cibo e altri beni per la tribù. Tuttavia la prima preoccupazione degli Ngai Thau era la promessa non mantenuta da parte della Corona di riservare alla tribù 3 milioni di ettari di terra acquistata. L’accordo fu raggiunto il 21 novembre 1997 e riguardava il trasferimento di 1.380.000 ettari di terra della Corona e anche qui un indennizzo di 170 milioni di dollari. I due accordi, oltre al loro fondamentale significato politico, hanno il merito di aver contribuito al processo democratico della Nuova Zelanda. Essi sono stati il risultato di lunghe negoziazioni a livello politico tra le tribù e la Corona, ma attraverso il passaggio nella legislazione ordinaria anche il Parlamento ha potuto esprimersi sugli accordi coinvolgendo così la rappresentanza popolare. Fonte: Barbara ann Hocking, Unfinished constitutional businesses, Rethinking aboriginal self-determination, Canberra, Aboriginal Studies Press, 2005, pg.118-127. Facoltà di Scienze Politiche Un lavoro di: Pierfrancesco Miccio Tratto dalla Tesi di Laurea Triennale: La tutela dei Diritti Fondamentali in Australia e Nuova Zelanda Relatore: Prof. Salvatore Bonfiglio Laureando: Pierfrancesco Miccio a.a. 2010/2011