RADIOTELEVISIONE
2° PARTE
10 L’ANNULLAMENTO PARZIALE DELLA DISCIPLINA ANTITRUST
DELLA CORTE COSTITUZIONALE E LA RISPOSTA DEL LEGISLATORE
Si è detto che la legge n. 223 del 1990 introduce una disciplina antitrust,
segnando il passaggio da una situazione di “anarchia” ad una definizione delle
soglie massime di concentrazione.
Tuttavia, già nei primi commenti a questa legge, si diceva che la legge finiva per
fotografare l’assetto allora esistente, cioè il duopolio RAI-Fininvest, soprattutto là
dove la legge fissava a tre il numero massimo di concessioni radiotelevisive di
livello nazionale di cui uno stesso soggetto poteva essere titolare.
Così, nel 1994 la Corte, con sentenza n. 420, interveniva nuovamente dichiarando
l’illegittimità costituz. di questa parte di legge, ma consentiva tuttavia che i
soggetti titolari del numero di concessioni dichiarate illegittime continuassero ad
operare sulla base di concessioni ritenute transitorie.
Da questa sentenza ad oggi, nulla è cambiato, se non per ciò che al riguardo è
previsto dalla Legge 249 del 1997.
Questa legge, la n. 249 del 1997, nel dettare nuove regole antitrust, stabilisce che
ad uno stesso soggetto non possano essere rilasciate concessioni o autorizzazioni
che consentano di irradiare più del 20% delle reti televisive o radiofoniche
analogiche e digitali in ambito nazionale, ma che i soggetti che superano questa
soglia possano transitoriamente proseguire l’esercizio delle reti eccedenti, purchè
diffuse contemporaneamente su frequenze terrestri , via satellite, via cavo etc..
Il regime transitorio della legge non è ancora finito, perché la legge non ha fissato
un termine al regime transitorio, anche se con una delibera del 2001 il Garante ha
fissato il termine del 31.12.2003 per il passaggio definitivo di una rete Mediaset
sul satellite, e per la trasformazione di una rete RAI in una rete senza pubblicità..
La Corte è intervenuta nuovamente, con l’importante sentenza 466 del 2002, ed
ha dichiarato incostituzionale la legge 249 del 1997 (nella parte in cui non fissa
un termine ultimo per il regime transitorio), ed ha indicato nel termine finale ed
improrogabile del 31.12.2003 (stabilito dal Garante) la fine del regime transitorio.
In questa stessa sentenza la Corte allude anche al digitale terrestre, dichiarandosi
molto diffidente verso la tecnica trasmissiva che consentirebbe, solo in teoria, di
moltiplicare i canali disponibili e di risolvere in questo modo il problema della
scarsità di frequenze, e dunque del pluralismo.
11 LA DISCIPLINA DELLA PUBBLICITA’ RADIO-TV E DEGLI SPONSOR
Si è già detto che la legge 223 del 1990 non distingueva tra pubblicità e sponsor,
come richiesto dalla direttiva comunitaria del 1989. Pertanto, il legislatore
è tornato sul campo con la legge n.650 del 1996.
La legge modifica l’indice di affollamento della pubblicità:
a)
Per la concessionaria pubblica: 12% di ogni ora di programmazione;
b)
Per le emittenti private: 18% di ogni ora di programmazione (20% per chi
opera a livello locale);
I limiti del 18% sono elevabili sino al 20% se tra le pubblicità vengono inserite le
televendite.
Un miglior recepimento delle regole comunitarie è poi avvenuto con la legge n.
122 del 1998, che ha introdotto:
1) il divieto di interruzioni pubblicitarie nelle funzioni religiose o telegiornali,
2) l’intervallo minimo di 20 minuti tra un’interruzione pubblic e l’altra,
3) le forme di pubblicità da inserire solo “tra” e non “nel corso” delle
trasmissioni.
Per quanto riguarda invece la MATERIA delle SPONSORIZZAZIONI, nel
1992 (legge 483) si introduce il divieto di promozione diretta,
sottraendo le sponsorizzazioni dal dal calcolo degli indici di
affollamento.
Dunque, per sponsorizzazione (pubblicità che non entra negli indici di
affollamento) deve intendersi solo il comparire del marchio senza
promozione diretta né televendita;
12 ORGANI DI GOVERNO DELLA CONCESSIONARIA PUBBLICA
Abbiamo visto che la nomina del Consiglio di Amministrazione RAI e
del Presidente spettava al Parlamento, mentre la nomina del
Direttore generale spettava al Governo (socio di maggioranza IRI).
Con legge 206 del 1993, legge transitoria ma tutt’ora vigente, si riduce il
C.d.A. RAI da 16 a 5 componenti, i quali sono nominati d’intesa
dai Presidenti delle due Camere, tra persone di riconosciuto
prestigio professionale e indipendenza, che si siano distinte in
economia, scienza, cultura, giurisprudenza. Il Direttore viene
nominato dal C.d.A., di fronte al quale egli risponde per i profili
aziendali di Sua competenza, ovvero i più significativi.
La norma del 1993 mirava ad attuare maggiore autonomia ed
indipendenza dalla politica del C.d.A. e del Presidente RAI
Nella realtà, non si sono ridotte le interferenze politiche
nell’amministrazione della Concessionaria pubblica.
13 RADIOTELEVISIONE VIA CAVO E VIA SATELLITE
1)
Il D.Lgs. 73 del 1991 distingue tra: a) attività di installazione e gestione
reti e impianti di diffusione, attività riservata allo Stato che la può
esercitare anche attraverso soggetti privati (autorizzazioni o licenze); b)
attività diretta a distribuire programmi e contenuti (esercitabile da
chiunque in possesso di apposita autorizzazione).
2)
Quanto all’attività radio tv via satellite, la legge 249 del 1997 sancisce che
sia soggetta anch’essa ad apposita autorizzazione, rilasciata
dall’Autorità, a soggetti che non possono comunque raccogliere più del
30% dei proventi pubblicitari totali del settore satellitare. Si estende al
satellite la disciplina riferita alle soglie massime di concentrazione, con
particolare riferimento agli incroci radio tv-stampa.
Altro interessante aspetto toccato dalla legge del 1997 è la c.d. PIATTAFORMA
DIGITALE, cioè l’infrastruttura (complesso di apparati) necessaria a
trasformare i segnali televisivi analogici in segnali digitali compressi ed
all’invio dei medesimi ad una rete via cavo o via satellite (soluzione che
consente una trasmissione di dati molto più consistente dal punto di vista
quantitativo).
Dunque, una infrastruttura, quella della piattaforma digitale, che consente di
fornire al pubblico servizi radio-tv via satellite e via cavo attraverso un
unico decoder.
La legge 249 del 1997 deroga anche alle norme antitrust, al fine di favorire la
costituzione di un’unica società a capitale italiano in questo nuovo settore
del mercato della comunicazione, prevedendo però la possibilità per la
concessionaria del servizio pubblico di partecipare a questa piattaforma
unica, che vede insieme satellite e cavo.
14 LA COMUNICAZIONE POLITICA
Una delle lacune più evidenti della legge 223 del 1990 era quella di non
disciplinare la comunicazione politica: a colmare la lacuna interviene la
legge 28 del 2000, che disciplina non solo la comunicazione politica,
specie quella televisiva, ma anche le condizioni di accesso ai mezzi in
periodi di particolare “attenzione democratica”.
La norma si ispira ai principi di PARITA’ DI TRATTAMENTO e di
IMPARZIALITA’ (nel gergo giornalistico PAR-CONDICIO): dunque si
distingue tra comunicazione politica e messaggio autogestito.
Per comunicazione politica si intendono quei programmi nel corso dei quali si
mettono a confronto in forma dialettica le varie opinioni (dibattito a più
voci); per messaggi autogestiti s’intendono le comunicazioni volte ad
illustrare una singola opinione politica (una sorta di propaganda).
La DISCIPLINA GENERALE (per i periodi non elettorali) prevede
l’obbligatorietà dei programmi di comunicazione politica per le emittenti
nazionali (pubbliche e private), e che i messaggi autogestiti vengano
diffusi obbligatoriamente solo dalla concessionaria pubblica, e
facoltativamente dalle altre emittenti.
La norma stabilisce anche che i messaggi autogestiti debbano avere una durata
minima da 1 a 3 minuti in tv e da 30 a 90 secondi in radio, che debbano
essere contenuti in appositi contenitori (programmi) facilmente
riconoscibili, che non possano superare gli spazi dedicati alla
comunicazione politica, che debbano essere attribuiti, a condizioni di
parità, gratuitamente dalle emittenti che trasmettono a livello nazionale.
La DISCIPLINA SPECIALE per le campagne elettorali ricalca la disciplina
generale, ma la specifica anche per quanto riguarda l’individuazione
puntuale dei soggetti politici tra cui ripartire i relativi spazi, la definizione
dei periodi in cui presentare le candidature e in cui chiudere la campagna
elettorale, la definizione delle regole da applicare in caso di consultazione
referendaria (tempi uguali per contrari e favorevoli).
Ancora, la disciplina speciale regolamenta i programmi tv diversi da quelli di
comunicazione politica, ponendo ad essi limiti e doveri:<<I registi e
conduttori sono tenuti ad un comportamento corretto ed imparziale nella
gestione del programma, così da non esercitare, anche in forma surrettizia,
influenza sulle libere scelte degli elettori>>.
Poi, limiti e obblighi per la comunicazione politica a mezzo stampa, la cui
tipologia viene rigidamente predeterminata in: dibattiti, tavole rotonde,
presentazione dei programmi e dei candidati, confronto tra i candidati.
Infine, la legge disciplina anche le materie de:
1)
I sondaggi, la cui diffusione è consentita sino a 15 giorni prima della
consultazione elettorale, previa comunicazione dei criteri e delle modalità
con cui sono stati predisposti i sondaggi;
2)
le c.d. comunicazioni istituzionali delle P.A., mediante le quali le
pubbliche amministrazioni informano i cittadini (giornali comunali, siti
internet etc), comunicazioni vietate in periodo elettorale, salvo quelle del
tutto imparziali ed indispensabili per l’assolvimento delle funzioni
istituzionali.
15 ATTIVITA’ RADIOTELEVISIVA IN TECNICA DIGITALE SU FREQUENZE
TERRESTRI
Con legge 66 del 2001 si avvia la sperimentazione del digitale, non un
mezzo diverso dalle radiofrequenze, ma una tecnica di trasmissione
dati più potente dal punto di vista quantitativo e che,
potenzialmente, avrebbe potuto risolvere il problema centrale del
sistema radio-tv, ossia la scarsità del mezzo tecnico.
Punto di partenza della legge è l’approvazione da parte dell’Autorità di
un piano di assegnazione delle frequenze digitali, sulla base del
quale il Ministro delle Comunicazioni rilascia un’apposita
abilitazione alla sperimentazione, soprattutto verso i soggetti
diversi dalle emittenti operanti,
Si sono poi imposte due figure distinte, uno l’operatore di rete, l’altro
il fornitore di contenuti o servizi, facendo gravare solo sul
fornitore di contenuti gli obblighi e le responsabilità inerenti al
contenuto dei programmi trasmessi (tutela minori, obbligo di
rettifica, limiti pubblicitari, etc..)
I fornitori di contenuto operano sulla base di un AUTORIZZAZIONE di durata
di 12 anni, rilasciata dal Ministero delle Comunicazioni. Ad essi vengono
imposti una serie di obblighi e limiti tra cui:
a)
Divieto di irradiare più del 20% dei programmi radiovisivi numerici;
b)
Divieto di dare un autorizzazione per il livello locale ad un fornitore di
contenuti che operi su livello nazionale (eccezion fatta per la
concessionaria pubblica);
c)
Obbligo di contabilità separate per ogni autorizzazione;
Gli operatori di rete operano sulla base di una LICENZA della durata di 12 anni,
rilasciata dal Ministero. Essi si vedono rispettare altri obblighi:
a)
parità di trattamento tra fornitori di contenuti (molto spesso controllati o
collegati dall’operatore di rete);
b)
separazione strutturale e contabile tra operatori di rete e fornitori di servizi
(molto spesso dello stesso gruppo);
c)
Non discriminazione negli aspetti tecnici di qualità trasmissiva ed accesso
alla rete;
d)
Riservatezza sulle informazioni acquisite dai fornitori di contenuti.
Si tratta dunque di una disciplina che si presenta largamente ricalcata sul
modello della disciplina delle telecomunicazioni, in cui il fornitore di servizi
ha un diritto di accesso alla rete in condizioni di parità e trasparenza.
Oggi più che mai, a quasi 7 anni dalla prima legge sul digitale, è lecito chiedersi
se quanto a suo tempo detto di miracolistico sulle potenzialità del digitale
terrestre, si sia rivelato vero ed abbia apportato un alcunché di pluralistico al
sistema televisivo italiano.
16 “SERVIZIO PUBBLICO” TRA DIRITTO INTERNO E COMUNITARIO
Come visto, sino a pochi anni fa il servizio pubblico radiotelevisivo era
oggetto di una riserva allo Stato, poi abbiamo assistito al venir meno di
tale riserva e all’avvio di un sistema misto (pubblico-privato), sempre
riferito a principi costituzionali.
Oggi non è più così, oggi il diritto comunitario ha investito direttamente
l’aspetto radiotelevisivo del servizio pubblico (si pensi alla disciplina
della pubblicità), dandone una vera e propria “legittimazione
comunitaria”, data la sensibilità e la grande portata della materia,
soprattutto in termini di democraticità.
Questa tendenza espansiva è stata giustificata dall’art. 86 del Trattato CE,
in base al quale le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse
economico generale sono sottoposte alle regole del Trattato, in particolare
a quelle sulla libera concorrenza.
Sulla base di questo articolo, il “potere comunitario” in materia ha
sottratto potere alle decisioni dei singoli stati.
Naturalmente resistenze molto forti a questo potere della U.E. sono venute da
tutti gli Stati membri, che, per la particolare materia della radio-tv, hanno
approvato un apposito Protocollo sul sistema di radiodiffusione pubblica
negli Stati membri, protocollo annesso al già citato Trattato di Amsterdam:
1)
Il Protocollo riconosce e giustifica l’esistenza di servizi pubblici
radiotelevisivi;
2)
Però, il Protocollo sottolinea che gli Stati membri possono continuare a
dare aiuti di Stato al settore, sottratto dunque da generale divieto
comunitario degli aiuti di Stato;
In conclusione, si può dire che il sistema servizio pubblico nazionale radio-tv, dei
vari Stati, appare oggi più condizionato che in passato dal diritto
comunitario, che pare garantire meglio gli aspetti più importanti (esigenze
democratiche, sociali, culturali).
Ci attende dunque un nuova disciplina dell’emittenza pubblica, capace di
rispondere ai principi posti dal Protocollo di Amsterdam, capace di
coniugare in modo equilibrato le esigenze del servizio pubblico e quelle
del libero mercato concorrenziale.
Per comprendere il significato reale di Servizio pubblico è intervenuta ancora una
volta la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 284 del 2002, ha
affermato che “il venire meno del monopolio pubblico non ha fatto venir
meno l’esigenza del servizio pubblico radiotelevisivo, chiamato ad
ampliare la partecipazione dei cittadini allo sviluppo sociale e culturale
del Paese”.. e dunque un “servizio esercitato da un apposito
concessionario rientrante per modo di struttura nella sfera pubblicistica”.
Una sentenza che non consente l’affidamento del servizio pubblico al
mercato privato, e che invita il legislatore ad operare una reale
differenziazione dei contenuti della programmazione di Servizio pubblico,
rispetto ai contenuti delle televisioni commerciali; insomma ad una
sottrazione del servizio pubblico dalla logica concorrenziale del
mercato.
Nella realtà italiana, come in altre nazioni europee, la sopravvivenza del servizio
pubblico sembra tutt’ora legata al fatto che il sistema politico non può più
rinunciarvi per motivi legati alla propria sopravvivenza, ma che nulla
hanno a che fare con le nobili indicazioni della Corte Cost. e della CE,
infatti, appare sempre più difficile distinguere tra RAI (servizio pubblico=
contenuti con finalità collettive, culturali, politiche, ) e Mediaset.
17 LA TERZA LEGGE <<DI SISTEMA>>
I numerosi problemi precedentemente richiamati, dallo sviluppo del diritto
comunitario ai moniti della Corte Cost., ed anche uno speciale messaggio
inviato dal Capo dello Stato alle Camere, il 23 luglio 2002, (tutto
incentrato ad invitare il Parlamentoe il Governo a rafforzare il pluralismo,
l’imparzialità e la completezza dell’informazione) hanno portato ad un
nuovo intervento legislativo, la c.d. Legge “Gasparri” n. 112 del 2004.
La legge sia articola in cinque capi:
•
Il primo dedicato ai principi generali del sistema radio-tv;
•
Il secondo dedicato alla normativa antitrust;
•
Il terzo dedicato ai criteri di adozione, da parte del Governo, del testo
unico della radiotelevisione;
•
Il quarto dedicato al servizio pubblico radiotelevisivo;
•
Il quinto dedicato alla disciplina transitoria del passaggio dall’analogico al
digitale.
1) PRINCIPI GENERALI. Il lungo elenco di principi (art. da 1 a 13, oggi abrogati e
trasfusi nel testo unico della radiotelevisione) si apre con la dichiarazione di
tutela degli utenti ad avere accesso ad un’ampia varietà di informazioni,
sia sul piano dei contenuti che sul piano dell’organizzazione complessiva di
sistema.
In un primo gruppo di principi si ricordano: (frequenze terrestri, cavo, satellite), il
divieto di posizioni dominanti, il diritto dei fornitori di contenuti ad accedere
alle reti senza discriminazioni e a condizioni di parità di trattamento, la
distinzione tra operatore di rete e fornitore di contenuto tv-radio-interattivo.
In un secondo gruppo di principi troviamo l’informazione radio-tv come servizio
di interesse generale, e quindi imparziale e completo, indipendentemente
dalla natura del soggetto che lo esercita (e con particolari obblighi alla
concessionaria del servizio pubblico tra cui “favorire l’istruzione, la crescita
civile, il progresso, la lingua e la cultura italiana, l’identità nazionale e di
assicurare prestazioni di utilità sociale…”).
Un terzo gruppo di principi è riservato all’emittenza locale e regionale, nel
quadro della tutela delle culture locali, politiche, culturali linguistiche.
Dunque, in primis, la riserva a questa emittenza di un terzo della capacità
trasmissiva sulle frequenze terrestri, il limite di tre concessioni in ciascun
bacino di utenza (o più di sei per bacini regionali), un alleggerimento dei limiti
della pubblicità (anche in deroga al diritto comunitario), la riserva alle emittenti
locali del 15% delle somme destinate alla comunicazione istituzionale da parte
delle P.A., l’innalzamento del tetto pubblicitario orario al 20-25%.
2) LA NORMATIVA ANTITRUST. L’intento dichiarato è quello di
razionalizzare la disciplina antitrust, orientandola nelle direzione della
convergenza tecnologica. La razionalizzazione si traduce, essenzialmente,
nella previsione di un unico limite ex ante (ossia un limite posto prima),
con verifica ex post (ossia con verifica del limite dopo l’esercizio
dell’attività), rappresentato dalla quota del 20% del totale dei proventi
ricavabili dal c.d. sistema integrato della comunicazione (SIC), nel
quale confluiscono tutte le attività di comunicazione (internet, stampa,
radio-tv, etc..). Il compito di garantire il rispetto del 20% è affidato
all’Autorità. Oltre a questo limite, un altro per ciò che attiene al numero
di programmi radio-tv: quello di diffondere più del 20% dei programmi
irradiadiabili su frequenze terrestri.
Sempre in ambito di trust, la Gasparri elimina i limiti previsti (ex L. 223/1990)
relativi all’ingresso delle imprese della stampa nel settore radio-tv,
conferma invece il divieto per le imprese radio-tv di entrare nel settore
della stampa, anche tramite società controllate o collegate.
3) RIFORMA DEL SERVIZIO PUBBLICO RADIO-TV. La legge introduce
l’obbligo di assicurare sull’intero territorio nazionale una programmazione
dedicata all’educazione, all’informazione, alla promozione culturale,
dedicando ad essa un numero adeguato di ore, anche nella fasce orarie di
maggior ascolto.
Quanto al finanziamento, la correlazione tra servizio pubblico e finanziamento
pubblico, spiega la previsione di un bilancio con contabilità separata per i
ricavi del canone tv e e le spese sostenute nell’anno precedente per la
fornitura delle trasmissioni di servizio pubblico: è su questa base che il
Ministero determina l’importo annuale del canone.
Per quanto riguarda la progressiva privatizzazione della concessionaria, la legge
introduce una disciplina transitoria (ma destinata a durare a lungo) che
prevede la fusione dell’attuale RAI-Radiotelevisione nella RAI HoldingSpa e la nascita di una unica società. La RAI-Radiotelevisione italiane Spa
a cui viene confermata la concessione del servizio pubblico per 12 anni. Si
stabilisce che entro il 31.1.2004 sia avvia la dismissione della
partecipazione azionaria dello Stato.
4) L’AVVIO DELLA RADIOTELEVISIONE IN
TECNICA DIGITALE.
Il capo V della legge contiene una serie di disposizioni
che integrano la legge 66 del 2001, e stabilisce che
tutti i soggetti che operano a livello nazionale
possano richiedere le licenze e le autorizzazioni per
le trasmissioni in digitale, che la licenza di
operatore di rete si possa rilasciare ai soggetti che si
impegnano a livello locale a raggiungere una
copertura di almeno il 50% del territorio. Molto
importanti sono anche gli obblighi che incombono
sulla concessionaria, che si impegna a raggiungere
con i propri programmi almeno il 50% della
popolazione entro il1.1.2004 ed almeno il 70%
entro il 1.1.2005.
5) IL TESTO UNICO DELLA RADIOTELEVISIONE. La legge si impegna
poi a dare delega al Governo per l’emanazione di apposito testo unico,
mediante il quale coordinare le norme vigenti, integrandole laddove
carenti. Il T.U. oggi D.Lgl. 177 del 2005 funge anche da legge cornice per
i legislatori regionali competenti in materia di “ordinamento della
comunicazione” (art. 117 Cost.)
Inoltre, emerge un nuovo ruolo delle regioni in materia: partecipazione alla
redazione del testo Unico, partecipazione al contratto di servizio pubblico
nazionale, partecipazione attraverso i Corecom alle attività dell’Autorità
per le comunicazioni (vigilanza e controllo da svolgersi a livello
regionale).
6) PROBLEMI E DUBBI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE. La
norma presenta problemi di coerenza con le normative comunitarie, poiché
non riconduce ad un unico quadro normativo le telecomunicazioni e la
radiotelevisione, come voluto dalle direttive comunitarie, con la
sostanziale conferma del duopolio rai-mediaset.
Quanto poi alla effettiva tutela del pluralismo, si hanno forti dubbi sulla grande
ampiezza del mercato di riferimento, il SIC, che pare consentire una
ulteriore maggior crescita degli operatori duopolisti.
Il legislatore scommette sul digitale terrestre e sul fatto che le possibilità di
accesso al mezzo radio-tv si moltiplicheranno, tanto è vero che si
preoccupa di accelerarne l’avvio entro il 31.12.2003, termine ultimo posto
dall’Autorità per la concreta applicazione dei limiti posti dalle disposizioni
della L. 249 del 1997, e che ora sono abrogate.
7) IL RINVIO DEL CAPO DELLO STATO. Alcuni aspetti di dubbia
legittimità costituz di questa legge (disegno di legge) hanno convinto il
Capo dello Stato, in sede di promulgazione, a rinviare la legge al
Parlamento per un nuovo esame.
I punti toccati nel messaggio di trasmissione del Presidente della Repubblica:
a)
Il mancato affidamento all’Autorità (Garante) di adeguati poteri
d’intervento, da attivare nel caso di violazioni dei limiti;
b)
L’eccessiva ampiezza del SIC, tale da consentire il presumibile
formarsi di posizioni dominanti ancora superiori a quelle detenute dalle
attuali duopoliste;
c)
L’eccessiva concentrazione della risorsa pubblicitaria nella
comunicazione radio tv, a scapito di altri mezzi di comunicazione, in
particolare della stampa periodica.
Nel frattempo, visto il rifiuto di promulgare la legge, nell’approssimarsi del
31.12.2003 termine ultimo (ex. L. 249/1997) per il passaggio di una rete
Mediaset sul satellitare e di una rete RAI priva di programmi pubblicitari,
il Governo ha adottato un Decreto Legge (352 del 2003) con cui si
consente a Mediaset ed a RAI di continuare ad operare nelle situazioni
attuali, ma anche si precisano meglio i poteri dell’Autorità, che è chiamata
a verificare l’effettivo allargamento di offerta dei programmi.
Nonostante questo gesto in extremis della politica italiana, poco elegante e mal
formulato,il Presidente della Repubblica ha deciso di controfirmare il
decreto, con la speranza di una pronta soluzione parlamentare della
vicenda, sulle indicazioni che Lui stesso ha fornito nel messaggio
accompagnatorio al rinvio alle Camere della legge.
18 CONCLUSIONI
Tutto quanto appena visto, dimostra che la fase odierna vada letta come una
ulteriore fase di transizione: proprio l’evoluzione tecnologica ha
accentuato un fenomeno di “internazionalizzazione” dei problemi, con
conseguenti interventi legislativi di carattere comunitario, cioè le
legislazioni europee di “terza generazione” (dal monopolio pubblico al
sistema misto pubbl-priv).
Oggi, l’accelerazione tecnologica sta portando ad una rapida obsolescenza
anche questa legge di terza generazione, ma tuttavia alcuni principi
portanti sono dei punti fermi:
1)
Il ruolo dello Stato, che da soggetto gestore in prima persona, oggi
esercita prevalentemente una funzione regolatrice e di controllo di un
attività esercitata da privati.
2)
L’affermarsi di un modello in cui alla legge si affianca l’attività
normativa dell’Autorità di garanzia, con compiti di controllo,
vigilanza, e giudizio (ma con residui ed importanti compiti anche al
Ministero ed al Giudice amministrativo).
3)
L’introduzione di norme antitrust dirette a contenere fenomeni di
eccessiva concentrazione.
Tutti questi elementi ci danno la misura del processo storico che ha portato alla
riduzione della distanza tra modello “pubblico” e modello “privato”
nella disciplina radio-tv, distanza che, fino alla fine degli anni 70, aveva
profondamente differenziato il modello europeo da quello americano
Ciò che tutt’ora differenzia ancora i due modelli è comunque il ruolo
rilevante (sebbene molto più contenuto che in passato) che in Europa
mantiene l’emittenza pubblica.
Compiti attuali dell’emittenza pubblica sono:
1)
garantire il pluralismo interno dell’informazione (difficilmente imponibile
agli operatori privati)
2)
garantire l’ACCESSO ALLE NUOVE TECNOLOGIE del pubblico,
evitando il formarsi di emarginazioni sociali. Questa è l’impostazione che
si trova con maggiore frequenza in tutti i documenti ufficiali della U.E..
Si tratta dunque di una prospettiva che ci riconduce al nesso che lega l’esistenza
del servizio pubblico radiovisivo all’impegno che grava sullo Stato (art. 3
comma 2 Cost) di rimuovere tutti gli ostacoli che limitano di fatto la piena
partecipazione dei cittadini.
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