Caro catechista, chi sei? Uomo e donna della memoria… …Il catechista è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri. tratto dal testo Incontriamo Gesù n.74 Scelto con discernimento… Viene così sottolineata la delicatezza della scelta delle persone per questo ruolo.Del resto, anche se ogni «cristiano è, per sua natura, un catechista» (DB, n. 183),l’esercizio del servizio catechistico è una vocazione cui non ci si può mai sentire del tutto adeguati;si tratta, piuttosto, di un dono che richiede di essere coltivato con responsabilità spirituale e pastorale.Un discernimento in ordine a tale chiamata e al tipo di servizio all’evangelizzazione,è pertanto indispensabile… tratto dal testo Incontriamo Gesù n.77 Chiamato al discernimento …Il catechista è colui e colei che aiuta la persona a discernere e ad accogliere la propria vocazione come progetto di vita. tratto dal testo Incontriamo Gesù n.74 Testo biblico sul discernimento: At. 15 Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l'uso di Mosè, non potete esser salvi». Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro. Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinar loro di osservare la legge di Mosè. Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema. Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse: «Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede. E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede.Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro». Tutta l'assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro. Il testo è ampio, ma ha una struttura ben definita che ci consente di padroneggiarlo.C’è una Chiesa vivace, in essa confluiscono esperienze,problemi posti da tali esperienze,discussioni per risolvere i problemi, comunicazioni dei risultati e delle determinazioni. E’ un quadro di vita molto denso. Il problema nasce ad Antiochia. Qui, per l’opera di alcuni discepoli, anche un buon numero di pagani era diventato cristiano e c’è una comunità mista. Ad un certo punto “alcuni dalla Giudea…”. Il problema è: a quali condizioni i pagani possono essere accolti nella Chiesa? Secondo questi, provenienti dalla Giudea, c’è una condizione indispensabile: appartenere ad Israele. A questa condizione si oppongono con forza Paolo e Barnaba: dissentivano e discutevano animatamente. Il dibattito si sposta a Gerusalemme, la Chiesa madre: lì deve essere decisa la questione. A Gerusalemme la questione si complica: i cristiani della setta dei farisei non solo esigono la circoncisione, ma anche la Torah. Il problema si pone in tutta la sua chiarezza: la tradizione di Israele è indispensabile per vivere la fede in Cristo? Non si discute sul carattere salvifico della fede in Cristo, ma ci si domanda se esistano delle condizioni previe. A Gerusalemme si riunisce un’assemblea per risolvere il problema… Dunque,cosa insegnano le prime comunità cristiane? In che cosa consiste il discernimento? Discernimento è prendersi cura della vita, davanti a Dio e con Dio. Non è un paspar-tout che risolve tutti i problemi, né una tecnica che si impara in breve. Neanche Dio risolve tutti i problemi della vita. Il discernimento è quel modo di cui disponiamo per avvantaggiarci della disponibilità di Dio così da stare positivamente davanti ai problemi che si risolvono,che hanno soluzioni parziali, che non hanno soluzione… La comunità ideale non è quella che risolve tutti i problemi, ma quella che riesce a trarre vantaggio dalle situazioni anche difficili, a valorizzare ed incrementare le sue risorse mettendole in gioco ed affinandole nel discernimento. Il discernimento non si impara una volta per sempre, ma lo si apprende esercitandolo. Che alla fine di un processo di discernimento non tutti siano soddisfatti – nel senso che non tutto è chiarito - è normale. Si impara pian piano: l’ascolto della Parola non avviene in un momento; non siamo sempre ugualmente disponibili; la nostra capacità di essere pacati, obiettivi di fronte ad una questione varia nel tempo. Certo, esercitarci ci aiuta. Immaginarci che la nostra soddisfazione sia legata alla soluzione dei problemi è, quindi, fuorviante. La nostra consolazione è che ci accorgiamo che, affrontando i problemi in questo modo, noi miglioriamo noi stessi. Anche a Gesù è capitato di dialogare, fare, pazientare ed accorgersi che l’interlocutore non si faceva coinvolgere, non cambiava posizione; eppure Gesù ha continuato a cercare, a discernere il modo, fino a morire. In questo modo, attraverso questa esperienza, ha potuto sperimentare nella sua umanità di diventare continuamente figlio di Dio, di essere quindi salvato e, tramite la sua resurrezione, di salvare gli uomini. Il racconto degli Atti non nasconde la fatica del discernimento. E con questa fatica,da oggi,siamo chiamati a confrontarci… Il discernimento e l’Iniziazione Cristiana Un cammino di reale Iniziazione Cristiana ha nella questione del discernimento uno dei capisaldi fondamentali e assolutamente innovativi: essa risulta decisiva per un itinerario davvero attento a sostenere il cammino di fede di un ragazzo, poiché è la questione che segna il passaggio da un percorso comunque e solo razionale (e quindi fatalmente prevalentemente scolastico) a uno veramente “spirituale” ed esistenziale. Cos’è dunque “discernimento”? Di sicuro, in negativo, questo termine non identifica assolutamente una sorta di esame o scrutinio di tipo scolastico, né una pratica burocratica per un’ammissione a qualcosa che – di colpo e inaspettatamente – viene ad essere messo in discussione. In positivo, invece, si potrebbe sinteticamente dire che il discernimento è 1) un procedimento per condurre tutti i soggetti interessati (équipe dei catechisti, ragazzi e genitori) all’ascolto della volontà del Signore: per comprendere la volontà di Dio nel “qui ed ora” della storia concreta di una persona, anzi, proprio attraverso questo “qui e ora”. 2) Un procedimento per aiutare i soggetti della catechesi,ciascuno al proprio livello di maturità e sostenuto dalla sua famiglia, dagli educatori e dalla Comunità cristiana – a decidere di sé rispetto alla chiamata del Signore e a riconoscere i passi concreti da compiere per dare seguito reale alla propria decisione. Ogni credente infatti non vive l’esperienza del discernimento da solo: c’è una Comunità che lo accompagna, lo sostiene, lo aiuta…e c’è soprattutto una famiglia che (con tutte le grazie e le fatiche che la segnano) è chiamata a sostenere e ad accompagnare… Il discernimento è solo un aspetto di una più complessiva attenzione al cammino del singolo che deve essere guadagnata nella nostra prassi pastorale. Per questo è necessario passare da un’attenzione fondamentalmente rivolta al gruppo, ad uno sguardo rivolto ai singoli ragazzi e alle loro famiglie: il catechista è chiamato a diventare sempre più, “compagno di viaggio”, attento alla storia di ognuno e all’opera di Dio nella vita di ogni ragazzo a lui affidato. Guardare al reale cammino dei singoli e dei gruppi, potrebbe significare, per esempio, che non tutti i ragazzi giungano contemporaneamente alla celebrazione dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana. Così come potrebbe capitare che qualche ragazzo, sperabilmente d’intesa con la famiglia, scelga di sospendere il cammino o addirittura di abbandonarlo. Possiamo, da subito, ipotizzare che, progressivamente, l’età dei ragazzi che celebreranno i sacramenti e le date di queste celebrazioni saranno abbastanza articolate. Come iniziare? Dobbiamo spaventarci? No…perché non ci è chiesto di fare tutto e subito. È necessario però iniziare a mettersi, con decisione, in questa prospettiva, ponendo particolare attenzione alla relazione educativa che si instaura con ogni ragazzo. Si tratta di chiedersi che cosa sia possibile fare, in ogni fase del cammino, con le forze e le competenze che si hanno a disposizione… Discernere …all’interno del cammino dell’Iniziazione Cristiana…vuol dire VERIFICARE I PASSAGGI E LE TAPPE DEL CAMMINO con la conseguenza che bisogna «liberarsi dall’idea di scadenze fisse, uguali per tutti, e dei passaggi automatici». Si potrebbe obiettare: «Non stiamo andando verso una Chiesa elitaria, una Chiesa fatta solo di santi o di presunti tali? Non stiamo cancellando uno degli aspetti più belli della Chiesa di Cristo, che è il suo carattere “popolare”, nel senso che è veramente aperta e accessibile a tutti, anche a quelli che fanno fatica a credere e a vivere cristianamente? Certamente la Chiesa di Cristo è aperta a tutti, anche ai peccatori e ai cristiani tiepidi, tuttavia l’ideale che essa propone a tutti non è quello della mediocrità ma quello della santità, sulla base dell’appello di Dio: “Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19, 2). Inoltre bisogna tener conto che qui siamo di fronte a persone che stanno ancora facendo l’apprendistato della vita cristiana ed hanno il diritto di poter gustare progressivamente il meglio della fede in Gesù. Per questo il cammino di iniziazione si articola in un processo a tappe, attraverso le quali il fanciullo avanzando passa, per così dire, di porta in porta o di gradino in gradino per giungere alla piena partecipazione della morte e risurrezione di Gesù e alla integrazione piena nella Chiesa. Si comprende allora che il calendario delle tappe non può essere fissato a priori, in modo uguale per tutti, e che i passaggi non possono essere automatici in base semplicemente all’età. Ciascuna tappa deve corrispondere realmente al progresso nella fede del fanciullo e del gruppo, progresso che dipende dall’iniziativa divina, ma anche dalla libera risposta dei ragazzi. Se quest’ultima è mancata in modo alquanto evidente,non è opportuno passare alla tappa successiva ma è necessario aiutare il ragazzo o il gruppo a riprendere il cammino dalla fase precedente. Il rifiuto dei passaggi automatici non ha perciò un senso punitivo ma corrisponde piuttosto al rispetto della originalità delle persone. «È un errore, infatti, partire dal presupposto che i ragazzi maturino tutti nello stesso tempo e che abbiano gli stessi ritmi di crescita e di comprensione». Perciò «l’IC deve tenere conto della graduale maturazione del ragazzo più che del calendario o dell’età» Quando, chi e con quali criteri? A questo punto si apre un triplice problema: quando operare il discernimento, a chi spetta tale operazione e con quali criteri? Circa il primo problema è ovvio che il discernimento sul cammino di IC debba essere costante. Tuttavia esso diventa particolarmente importante in occasione della ammissione ai Sacramenti della Confessione,Confermazione ed Eucarestia. Chi? L’esercizio pastorale del discernimento deve essere frutto della collaborazione di tutta la comunità e soprattutto del gruppo direttamente responsabile del cammino di IC, ciascuno nel suo ordine:i catechisti, i genitori, i padrini, gli accompagnatori e, possibilmente, anche i ragazzi stessi .E’ ovvio che il giudice della fede e della santità è soltanto Dio ma la fede ha anche i suoi aspetti visibili e verificabili. Quali? Diventa importante non limitarsi al criterio dell’età o della frequenza all’incontro catechistico. E’ importante verificare il tipo di presenza, la disponibilità alla preghiera e all’ascolto della Parola di Dio, la libera partecipazione all’appuntamento domenicale col Signore, l’attiva appartenenza alla vita ecclesiale, specialmente nei tempi forti di Avvento e Quaresima, il comportamento e la crescita nei piccoli gesti di carità, la conoscenza e la serena testimonianza della fede... E dopo? …preoccuparsi di accompagnare questi ragazzi anche dopo che avranno terminato il cammino di IC. L’IC, infatti, ha una durata limitata nel tempo, in quanto il cristiano diventa “iniziato” con la celebrazione del Battesimo, Cresima ed Eucaristia, che si completa con il tempo della mistagogia. “Per questo la cura materna della Chiesa, attuata con sollecitudine lungo il processo iniziatico, deve proseguire e rafforzarsi con rinnovato affetto e premura [anche] dopo l’iniziazione… al fine di stimolare una partecipazione sempre più viva alla vita della parrocchia e la possibilità concreta di aderire ad esperienze di catechesi e di formazione cristiana permanente”. In molte parrocchie si fa notare che in questi ultimi anni è proprio la capacità generativa delle nostre comunità a fare problema. Quando muore un anziano, spesso il suo posto in chiesa rimane vuoto; e la maggioranza degli adolescenti che hanno ricevuto i sacramenti dell’IC progressivamente abbandonano la vita della comunità cristiana. «Stiamo attraversando – scriveva il cardinale W. Kasper già nel 1987 – una profonda crisi che ha investito il processo della trasmissione della fede cristiana. Naturalmente anche qui le eccezioni confermano la regola. Nonostante la buona volontà e i considerevoli sforzi, oggi non riusciamo più ad assolvere correttamente il compito affidatoci da Gesù: comunicare la fede» (Teologia e Chiesa, Brescia 1989, p. 121). Questo stato di cose ha fatto venire in mente a qualcuno la situazione descritta nel capitolo 18 della Genesi, dove si dice che Abramo e Sara, tristi, erano ormai rassegnati ad invecchiare senza avere figli, senza futuro, perché «Abramo era vecchio e a Sara era cessato ciò che avviene regolarmente alle donne». Eppure proprio quella situazione disperata diventò il luogo della “bella notizia”, della visita di Dio, che, ospitato, annuncia ad Abramo: «Sara, tua moglie avrà un figlio». L’intuizione liberante, che sta dietro a queste riflessioni, è proprio questa: nella difficoltà attuale delle comunità cristiane a generare nuovi figli non si tratta di colpevolizzare qualcuno ma, prendendo atto che è cambiata la storia, la società, la “cultura”, si tratta di far diventare questo cambiamento il luogo della visita di Dio, del suo appello a fidarci ancora della potenza generatrice del suo “Vangelo”. La condizione, quindi, dicono concordemente in questi ultimi decenni i papi e i vescovi, è di intraprendere la “nuova evangelizzazione”, poiché, oggi come ieri, «la fede dipende dalla predicazione» del Vangelo (Rm 10, 17); non esiste altra via per generare nuovi credenti. Ricordando che in una cultura, segnata per molti aspetti da un “neopaganesimo” di ritorno, la priorità va data alla evangelizzazione degli adulti, e in particolare della famiglia, facendo diventare la stessa richiesta dei sacramenti per i figli una occasione di grazia per un cammino di fede anche per i genitori. Forse qualcuno, con un sorriso triste, dirà: «Non cambierà niente». Anche Sara la pensava così, ma Dio disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso? […] C’è forse qualche cosa di impossibile a Dio?».