Dai modelli locali di sviluppo alla nuova concezione di Sviluppo Locale Corso di laurea SVIC Lezione di Cristina Brasili A.A. 2014-2015 1 Giacomo Becattini, Sergio Vaccà Sistemi locali, trans-locali e transnazionali Lectiones Magistrales per il conferimento della Laurea Honoris Causa Facoltà di Economia, Università di Urbino “Carlo Bo” Lezione di Giacomo Becattini… 14. Ho fatto un sogno Nel 1790, Pietro Leopoldo di Asburgo Lorena lascia la Toscana, che ha governato per un quarto di secolo, per Vienna, lasciandosi dietro un immenso patrimonio di coraggiose riforme (es. abolizione della pena di morte) e un documento veramente straordinario: le Relazioni sul governo di Toscana, in cui descrive minuziosamente “ con la maggior sincerità, verità e ingenuità – così dice – tutte le parti del governo, sue aziende e amministrazioni e tutte le province di Toscana”. Ebbene, io sogno una relazione annuale sulla situazione del Paese di tipo leopaldesco, in cui, oltre ai valori del PIL , che consentono – ma più in apparenza che in realtà – confronti nel tempo e nello spazio, ci si fornisca, con tutta una batteria di indicatori, un’idea di come si vive nei luoghi, nonché sul “morale” delle popolazioni ed in cui si descriva minuziosamente, magari modellizzandola, per ogni luogo del Paese, la struttura del processo produttivo del benessere. Il progresso vero non sta, per me, ripeto, nell’incremento medio (una media trilussiana) di un punto percentuale del PIL, ma nella bonifica dei luoghi inquinati, nel salvataggio di Venezia dalle maree, nella costruzione dei cittadini della fiducia nell’azione pubblica, nella possibilità di passeggiare nelle città senza avvelenarsi con lo smog o il timore di scippi, e via continuando. Il progresso di un Paese io lo vedo insomma, nel miglioramento dei luoghi e nella prograssiva trasformazione dei non luoghi in luoghi……….. Modelli locali di sviluppo Come avviene lo “sviluppo locale” quali sono I fattori che lo promuovono? Modelli interpretativi dello sviluppo economico regionale e territoriale •Modello Neoclassico (dualismo) •Modello di sviluppo “circolare e cumulativo” •Modello del “filtro” •Modello della “valorizzazione periferica” (Crivellini e Pettenati, Modelli locali di sviluppo in Becattini 1989) Modelli locali di sviluppo Modello di sviluppo endogeno I modelli di sviluppo endogeno nascono dalla constatazione del “fallimento“ dei modelli di sviluppo esogeno (Modello neoclassico di Solow) nello spiegare il persistere delle differenze tra i sentieri di sviluppo delle diverse economie Modelli locali di sviluppo Modello di sviluppo endogeno Diffusione maggiore nei primi anni Ottanta e negli anni Novanta; si rimuove l’ipotesi dei rendimenti di scala costanti. •Romer (1986) propone l’utilizzo dei rendimenti di scala crescenti. Un aumento della conoscenza provoca un aumento del prodotto complessivo • Lucas (1988) introduce un modello di “learning by doing” per due beni riprendendo il celebre lavoro di Arrow (1962) per spiegare il permanere di prolungate differenze nei tassi di crescita. La “nuova” concezione dello sviluppo locale nel nuovo millennio 6 “Sviluppo locale come processo di cooperazione e cambiamento guidato da attori locali, che ha come scopo principale quello di produrre beni collettivi per la comunità.” (Ciapetti, 2010) 7 L’idea di sviluppo che adottiamo vuole evitare l’errore concettuale della teoria economica degli anni cinquanta. quando si pensava che solo per lo studio delle economie arretrate si dovesse tener conto delle relazioni e delle trasformazioni sociali, politiche e istituzionali e quindi si potesse parlare di “sviluppo”, mentre le economie più avanzate si riteneva si potesse parlare solo di “crescita economica”. 8 L’idea di sviluppo che adottiamo vuole evitare l’errore concettuale della teoria economica degli anni cinquanta. quando si pensava che solo per lo studio delle economie arretrate si dovesse tener conto delle relazioni e delle trasformazioni sociali, politiche e istituzionali e quindi si potesse parlare di “sviluppo”, mentre le economie più avanzate si riteneva si potesse parlare solo di “crescita economica”. 9 Molti studiosi hanno contribuito a superare quel limite della teoria economica e primo fra tutti quello di Amartya Sen (1984, 2000). L’economista propose fin dagli anni settanta una concezione alternativa dello sviluppo facendo riferimento ai concetti di “capacità”, la possibilità di fare, e quello di “attribuzioni”, l’insieme dei panieri alternativi ai quali una persona può avere accesso usando l’insieme dei diritti e delle opportunità della società in cui vive. 10 Se questa è la visione condivisa di SL vediamo quali sono gli elementi che favoriscono la possibilità di innescare il processo: 1. La presenza e la costruzione di un mix di reti di relazioni per appartenenza e sperimentazione e un’azione politica che miri alla costruzione di legami fiduciari e beni collettivi. 2. Adottare chiare strategie per far sì che i sistemi produttivi locali possano adattarsi alle sfide del mercato e della globalizzazione con la creazione di beni collettivi locali, con il miglioramento della struttura economica e con la creazione di imprese ad alta tecnologia (diventa limitativo il discorso se riferito solo ai DI). 11 Se questa è la visione condivisa di SL vediamo quali sono gli elementi che favoriscono la possibilità di innescare il processo: 3. Non arroccarsi su posizioni di difesa dalle pressioni della globalizzazione (sulle comunità locali e sulle imprese) consapevoli del fatto che lo sviluppo non può essere “confinato” nel locale. 4. La produzione di beni collettivi locali considerati intermedi tra “beni pubblici puri” e “beni privati puri”, e quindi definibili come “beni pubblici impuri”: presentano infatti una qualche forma di escludibilità nella fruizione legata al fatto che sono utilizzabili dai cittadini di uno specifico territorio. Potremmo definirli alla Crouch et altri (2001) “beni collettivi locali per la 12 competitività”. Se questa è la visione condivisa di SL vediamo quali sono gli elementi che favoriscono la possibilità di innescare il processo: 5. Far diventare metodo di governo sperimentazione e innovazione e non limitarsi ad attrarre risorse per obiettivi specifici. Non pensare, quindi, ai soli mezzi e strumenti ma sperimentazione e innovazione come cultura dell’amministrazione di un territorio. 6. Evitare di assumere che il livello ottimale di decisione sia sempre quello “locale”: bisogna mantenere la consapevolezza che lo SL ha bisogno di un governo del territorio in termini di decisioni politiche e di governance ovvero di processi condivisi che nascono da forme di cooperazione tra attori privati e pubblici a 13 livello locale (principio di sussidiarietà). Se questa è la visione condivisa di SL vediamo quali sono gli elementi che favoriscono la possibilità di innescare il processo: 7. Lo SL deve occuparsi attivamente del “capitale territoriale”, così come definito nel documento “Territorial Outlook” dell’OECD nel 2001, e che vedremo in seguito più specificatamente per le città, e cioè quel insieme di caratteristiche quali la localizzazione geografica e i sistemi produttivi, il clima, le tradizioni culturali e sociali, la qualità della vita. 8. Questi elementi congiuntamente dosati rappresentano la capacità di auto-organizzazione locale. 14 Il ruolo del Capitale Territoriale “Ogni regione possiede uno specifico capitale territoriale distinto da quello delle altre aree, che genera un più elevato ritorno per specifiche tipologie di investimento, che sono meglio adatte per questa area e che più efficacemente utilizzano i suoi asset e le sue potenzialità. Le politiche di sviluppo territoriale devono innanzitutto e soprattutto aiutare le singole regioni a costruire il loro capitale territoriale”[Commissione Europea, 2005] 15 Ogni territorio cerca una sua “specificità” puntando sull’accesso al mercato, sulla propria immagine, sul potere di attrarre menti creative e imprese (vedi anche la Sesta relazione intermedia sulla coesione economica e sociale CE 2009 che a tale proposito propone gli “indici di creatività”), la capacità di rinnovare la governance, ecc. 16 L’OECD ha stilato una lunga lista, di fattori che determinano il capitale territoriale e che vanno dai tradizionali asset materiali a quelli più recentemente sviluppati a carattere immateriale: queste nuove tipologie di beni includono la localizzazione geografica dell’area, la sua dimensione, disponibilità di fattori produttivi, clima, tradizione, risorse naturali, qualità della vita o economie di agglomerazione prodotte dalle sue città, ma possono anche includere i suoi incubatori, i suoi distretti industriali o altre reti di impresa che permettono di ridurre i costi di transazione. 17 Altri fattori possono essere le interdipendenze “non di mercato” come le convenzioni, le tradizioni, e regole informali che permettono agli attori locali di lavorare insieme, o le reti di solidarietà, di associazionismo e di collaborazione nello sviluppo e nel supporto di nuove idee che si possono trasformare in cluster di piccole e medie imprese che operano nello stesso settore. 18 Sixth Progress Report On Economic and Social Cohesion (2009) Sixth Progress Report On Economic and Social Cohesion (2009) 19 Sixth Progress Report On Economic and Social Cohesion (2009) 20 Da studiare -Ciapetti L., Lo Sviluppo locale, Il Mulino, 2010. Da pag. 7 a pag.33 e da pag. 113 a pag. 131 -Bertini, Brasili “Città e sviluppo locale” Cap 12 pp. 219-236 nel Volume a cura di Walter Vitali “Un’Agenda per le città”, Il Mulino 2014 Da leggere COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITY (2009) SIXTH PROGRESS REPORT ON ECONOMIC AND SOCIAL COHESION 21