LE CAPACITÀ MOTORIE Fonte: IEI – CONI, “Corpo Movimento Prestazione” Fonte: IEI – CONI, “Corpo Movimento Prestazione” LA RESISTENZA • GENERALE - SPECIFICA (rispetto all’attività svolta) • AEROBICA - ANAEROBICA (rispetto al metabolismo interessato coinvolto) • DI CORTA – MEDIA - LUNGA DURATA (in funzione della durata dello sforzo) LA RESISTENZA La resistenza è la capacità di resistere all’affaticamento in esercizi fisici di vario tipo. Perlopiù tali esercizi sono caratterizzati da movimenti ciclici che presentano la capacità di ripetere molte volte delle tensioni muscolari a intensità medio-bassa e di durata relativamente lunga. L’affaticamento a livello fisico è caratterizzato dall’accumulo di acido lattico nel sangue e nei muscoli dovuto ad un lavoro intenso con insufficiente apporto di ossigeno. L’incremento della capacità di resistenza dipende strettamente dal miglioramento delle funzioni adibite alla produzione di energia, al trasporto e alla utilizzazione del sangue, alla neutralizzazione della fatica e all’efficienza dell’apparato respiratorio. Un lavoro di resistenza va ad agire, migliorandola, sulla capacità di utilizzo dell’ossigeno, sulla capillarizzazione e sulla rimozione dei cataboliti. FATTORI E PRESUPPOSTI DELLA RESISTENZA FATTORI FISIOLOGICI: - integrità e funzionalità dell’apparato cardio-circolatorio - disponibilità metabolica, energetica, enzimatica - qualità del tessuto muscolare (% di fibre bianche e rosse) - efficienza della capacità di invio, trasporto e assorbimento di ossigeno ai tessuti FATTORI TECNICI: - buona estensibilità muscolare - economia e fluidità dei movimenti: la corretta esecuzione dei gesti comporta riduzione di energie FATTORI PSICOLOGICI: - la volitività, l’interesse, la motivazione fanno sopportare il malessere che accompagna la fatica LA RESISTENZA GENERALE La resistenza generale, non ha limitazioni né di sesso, né di età: essa sfrutta principalmente, la LIPOLISI come combustibile (predilige i grassi come substrato energetico) e l’ossigeno come comburente (METABOLISMO AEROBICO). L’intensità del lavoro è relativamente bassa (140\160 battiti cardiaci al minuto); le scorie come CO2 (anidride carbonica) e H2O (acqua) sono facilmente eliminabili con la respirazione e la sudorazione. I principali effetti sono: -L’aumento della capillarizzazione periferica; -L’aumento della gittata sistolica cardiaca con conseguente miglioramento di ogni singola contrazione e riduzione della frequenza cardiaca; -Aumento della cavità del miocardio (cuore); -Miglior trasporto e utilizzo dell’O2 a livello periferico. LA RESISTENZA SPECIFICA La resistenza specifica sfrutta i metabolismi energetici sia AEROBICI che ANAEROBICI (cioè in presenza di O2 e senza O2). Secondo Harre si possono distinguere almeno 5 forme di resistenza: RESISTENZA ALLA VELOCITA’ (durata massima 30-45 secondi) Sostiene un carico di intensità massimale e sub massimale con impiego del meccanismo ANAEROBICO. RESISTENZA ALLA FORZA Prestazione di forza prolungata nel tempo con elevate esigenze di resistenza alla fatica locale; il tempo di resistenza dipende dal carico utilizzato. RESISTENZA DI BREVE DURATA Richiede impegni tra i 45 secondi e i 2 minuti e coinvilge il meccanismo ANAEROBICO. RESISTENZA DI MEDIA DURATA Richiede impegni tra i 2 e gli 8 minuti e coinvolge i meccanismi AEROBICI e ANAEROBICI. RESISTENZA DI LUNGA DURATA Richiede impegni oltre gli 8-10 minuti. l’impegno è prevalentemente AEROBICO e coinvolge il grande sistema CARDIO-CIRCOLATORIO e RESPIRATORIO. METODICHE DI ALLENAMENTO DELLA RESISTENZA Per la resistenza generale esclusivamente aerobica, si ricorre a lavori: PROLUNGATI (corsa lenta), INTERVALLATI per 10\15 minuti, RIPETUTE 4-5 minuti, per 3 o 4 volte (solo nel momento in cui la coordinazione motoria permette movimenti fluidi ed economici). Più accettata dai bambini è la metodologia ludica, ossia circuiti, staffette, giochi di squadra e giochi sportivi che esaltano l’aspetto motivazionale permettendo, nello stesso tempo, di rafforzare la capacità prefissata. In età puberale, si possono utilizzare le stesse metodiche aumentando la durata (fino a 30 minuti) e cercando stimoli più completi tipo VARIAZIONI DI RITMO, FARTLEK, INTERVALLATI. Mentre in età pre-puberale si effettuano prevalentemente lavori atti ad allenare la resistenza generale di base, in età puberale si possono introdurre programmi di allenamento più specifico che vanno a modificare il volume del cuore (es. INTERVAL TRAINING). La frequenza degli allenamenti non dovrebbe essere inferiore alle 2-3 sedute settimanali. METODICHE DI ALLENAMENTO DELLA RESISTENZA TIPO di RESISTENZA METODO CONSIGLIATO FREQUENZA CARDIACA 120-160 bpm LUNGO CONTINUO MEDIO INTERVALLATO 160-180 bpm BREVE INTERVALLATO SOPRA 180 bpm VOLUME MINIMO VOLUME MASSIMO TEMPI di RECUPERO 10’ 45’ //////////////// 2 X 2’ 4 X 5’ 6’ – 10’ 3 x 45” 2 x 90” 8 x 45” 4 x 90” 2’ – 5’ I METODI PRINCIPALI PER L’ALLENAMENTO DELLA RESISTENZA SONO 3: 1) CONTINUATO 2) INTERVALLATO 3) LUDICO METODO CONTINUATO: • CORSA CONTINUA A VELOCITA’ UNIFORME • VARIAZIONI DI RITMO: cambiando velocità in alcuni tratti si contrae un debito di O2 da compensare nel tratto successivo che sarà percorso a velocità inferiore • FARTLEK: variazioni di terreno. Il metodo continuato si basa su un lavoro lungo e ininterrotto a velocità costante o variabile. È un lavoro di tipo AEROBICO: si basa sul massimo consumo di O2 (vo2 MAX) e sulla capillarizzazione. Le pulsazioni devono restare tra i 120-140 battiti al minuto, perché ci deve essere un equilibrio tra l’O2 assunto e l’O2 consumato senza quindi accumulo di acido lattico (= steady state). INTERVALLI BREVI ANAEROBICO-LATTACIDO (migliora la capacità di resistenza a un grosso debito di O2) DURATA 15” – 30” INTENSITA’ 70-90% (170-190 pulsazioni) PAUSA 45”-90” (sufficiente per riportare le pulsazioni a 120-130 battiti) Il RECUPERO è il vero momento allenante in cui si ha un incremento della gittata sistolica del cuore e quindi del suo volume. INTERVALLI LUNGHI POTENZA AEROBICA (migliora la qualità massima di O2 di cui un uomo ha bisogno in un minuto). DURATA 1’ – 3’ INTENSITA’ 80% PAUSA (sufficiente a riportare le pulsazioni a 110- 120 battiti). METODO LUDICO CIRCUITI GIOCHI DI SQUADRA GIOCHI IN SPAZI DEFINITI STAFFETTE PROPOSTE OPERATIVE - corsa in fila con inversione del senso di marcia - corsa con cambio di fila - corsa sulle righe della palestra - corsa con passaggi obbligati - corsa con trasporto e passaggio di piccoli attrezzi - corsa a inseguimento - circuito in ambiente naturale. Es. di metodo intervallato: - corsa sul lato corto della pista (15”) - camminare sul lato lungo (recupero) - tutto ripetuto 5 volte. Es. di metodo intervallato: - skip sul lato corto (15”) - corsa lenta sul lato lungo (recupero) - tutto ripetuto 3 volte. Quanto maggiore è il tempo del lavoro o dello stimolo tanto maggiore sarà l’influenza della componente aerobica nella resistenza COMPONENTE AEROBICA TEMPO Fonte: IEI – CONI, “Corpo Movimento Prestazione” EVOLUZIONE DELLA RESISTENZA IN ETA’ GIOVANILE Il bambino piccolo, presenta scarsa attitudine a resistere a lavori prolungati e ciclici, soprattutto per la scarsa coordinazione motoria che causa una notevole dispersione di energie provocando l’affaticamento precoce. In particolare, Dai 6 ai 10/11 anni non è necessario alcun tipo di esercitazione specifica per la resistenza, i giochi ludico-motori tendono già a sviluppare e a migliorare questa capacità. L’allenamento più funzionale prevede l’uso di metodi indiretti. Vi è quasi un totale accordo nel collocare verso i 9\10 anni un lavoro semisistematico di sviluppo della resistenza, in particolare attraverso la corsa uniforme e lenta ed inserendo qualche variazione di ritmo. Secondo ricerche recenti, però si tende ad anticipare l’utilizzo delle metodiche per la resistenza attraverso corse di bassa intensità di durata progressivamente crescente a ritmo costante. Nei ragazzi/e di 12/13 anni si possono introdurre le prime esercitazioni per la resistenza, in modo da dare un approccio diverso all’allenamento. In generale le capacità di resistenza iniziano a essere misurate con prove di 300m. Dai 14 anni in poi è possibile sottoporre all’atleta lavori di crescente volume per lo sviluppo della resistenza. A 15\16 anni sono previste delle prove differenziate: i 600m per le femmine e gli 800m per i maschi. Altra prova utilizzata è la corsa di 15 minuti misurando il percorso svolto. LE DIVERSE COMPONENTI DELLO STIMOLO MOTORIO •DURATA DELLO STIMOLO: è la durata dell’azione di un singolo stimolo motorio, o di una serie di stimoli; •VOLUME DELLO STIMOLO: è la durata temporale e il numero degli stimoli nella seduta di allenamento •INTENSITÀ DELLO STIMOLO: è la forza espressa in ogni singolo stimolo motorio •DENSITÀ DELLO STIMOLO: è il rapporto tra stimoli motori (esercizi) e tempi di recupero, espresso in valori di tempo o in valori percentuali rispetto all’intera durata della seduta di allenamento Molto spesso queste componenti dello stimolo vengono riunite: DURATA DELLO STIMOLO + VOLUME DELLO STIMOLO = VOLUME DEL CARICO INTENSITÀ DELLO STIMOLO + DENSITÀ DELLO STIMOLO = INTENSITÀ DEL CARICO IL CARICO FISICO Il carico fisico si realizza attraverso azioni motorie volontarie e finalizzate. Queste azioni sono costituite dagli esercizi e, più esattamente, da un sistema di esercizi tratti dai vari sport e dai loro metodi ed esercizi. L’esecuzione di quegli esercizi, o di quelle azioni motorie, che hanno un grado di sollecitazione funzionale al di sopra di quello normale prodotto dai movimenti della vita quotidiana, rappresenta un ‘carico’ per l’organismo e per i suoi vari sistemi e apparati di organi. Differenza tra Carico esterno Carico interno Carico esterno Sono tutte le esercitazioni, le proposte, le ore e le sedute di allenamento, Carico interno È il carico fisico che viene percepito dall’atleta in pratica tutto ciò che viene proposto dall’esterno nella programmazione delle attività e realizzato operativamente Spesso carico esterno e carico interno non coincidono in quanto la somma degli stimoli può far percepire un maggior carico interno (fatica fisica e psichica) Effetti del carico Incremento della prestazione fisica MOBILITA’ ARTICOLARE E FLESSIBILITA’ • La MOBILITA’ ARTICOLARE si può definire come il presupposto per eseguire dei movimenti del corpo o dei singoli segmenti corporei con la massima ampiezza di escursione consentita dalle strutture anatomiche delle articolazioni interessate. • La mobilità articolare rappresenta, quindi, la capacità e la qualità che permette a un atleta di eseguire movimenti di grande ampiezza di una o più articolazioni, sia volontariamente sia in presenza di forze esterne. Il fattore principale di limitazione della mobilità articolare è costituito dalla struttura dell’articolazione stessa, cioè dal rapporto di incontro e di contatto dei segmenti ossei. Questo rapporto ha scarsa possibilità di essere modificato e vi è molta differenza tra i vari sistemi articolari che mostrano grande variabilità nel grado di libertà. Tale variabilità rappresenta una difesa funzionale del sistema scheletrico. Tentando estensioni superiori a quelle consentite dalla struttura anatomica spesso entrano in funzione altre articolazioni o spostamenti ossei che consentono un maggior grado di ampiezza (grado di libertà). Facciamo riferimento al complesso scapolo-omerale: Questa è certamente l’articolazione più mobile del nostro apparato articolare e mostra grandi possibilità di adattamento e di elasticità per la possibilità di scorrimento della scapola sullo scheletro che consente al movimento una ampiezza superiore a quella determinata dal semplice corpo articolare. Nell’apparato tipo. scheletrico vi sono molte articolazioni di questo L’interazione di diversi complessi articolari consente le articolabilità estreme che in molti sport sono indispensabili per i risultati. LEGAMENTI E CAPSULA FIBROSA • I legamenti sono elementi fondamentali dell’articolazione, deputati al controllo della mobilità e all’arresto dei segmenti ossei nel movimento. • Essi sono dei fasci di tessuto connettivo di grande resistenza che rendono solidali due estremità ossee e non permettono che i segmenti ossei si spostino oltre i limiti consentiti. In connessione con l’apparato legamentoso, l’articolazione è avvolta da una struttura connettivo-fibrosa, la capsula, che pur avendo una elasticità maggiore è dotata di una notevole resistenza poiché è deputata a proteggere la membrana e il liquido sinoviale. L’attività di allenamento influenza solo in parte il sistema fibro-legamentoso e osseo perché questi sono dipendenti dallo sviluppo scheletrico che è legato all’ereditarietà. L’analisi dell’apparato passivo dell’articolazione rende evidente che la struttura più ricettiva per aumentare il grado di elasticità e di estensibilità risiede nel sistema muscolotendineo. In questo sistema, con notevoli differenze tra i vari gruppi muscolari, risiede la possibilità di intervenire efficacemente sulla mobilità articolare. MUSCOLI E TENDINI • La massa muscolare è composta per lo 85% di fibre muscolari per il restante 15% di tessuti connettivi che contengono fibre collagene di tipo elastico e resistente: i tendini. • L’elasticità del muscolo dipende dalla sua capacità di riassumere rapidamente la lunghezza originaria dopo aver subito un’alterazione per allungamento. • Il valore reale dell’elasticità sta nella velocità del muscolo di ritornare al suo stato di lunghezza iniziale. L’estensibilità è invece la proprietà dei muscoli, dei tendini e in parte anche dei legamenti, pur con possibilità diverse, di potere essere estesi ed allungati se sottoposti a trazione. In questo caso il valore di valutazione non è più la velocità di ritorno, ma solo la quantità dell’allungamento. Nell’estensibilità non esiste alcun riferimento alla velocità di ripristino. È dunque su queste due caratteristiche che di solito si interviene con diversi sistemi per migliorare la capacità di allungamento e quindi la mobilità articolare. Fattori di limitazione dell’ampiezza dell’articolabilità dipendono dalla resistenza sia tendineo-legamentosa che dei gruppi muscolari all’allungamento. Questa resistenza è tanto più forte quanto più è trofico e potente il muscolo da estendere. L’esercizio di allungamento del muscolo deve procedere in sintonia con gli esercizi deputati alla sua costruzione. Altro fattore di limitazione all’escursione articolare può essere un eccessivo accumulo adiposo, che meccanicamente impedisce la flessibilità, oltre al terreno eredo-familiare che influisce sulla costituzione fisica, non solo sulla struttura scheletrica ma anche sulla natura plastica del muscolo. LE METODICHE DI SVILUPPO DELLA MOBILITA’ • La mancanza di flessibilità, oltre che influenzare negativamente la prestazione sportiva, predispone alle lesioni muscolo-tendinee da eccessivo stiramento. Alcune attività sportive in particolare, come la ginnastica, la lotta, la danza, il karate, il nuoto nel dorso e nel delfino richiedono la iperestensibilità di determinate articolazioni. • In linea generale, per l’atleta è vantaggiosa una buona flessibilità di tutte le articolazioni del corpo. Lo sviluppo di questa capacità è possibile attraverso un dosaggio ottimale dei vari tipi di flessibilità (attiva, passiva e mista) in un rapporto razionale con l’allenamento della forza. In una prima classificazione della flessibilità è opportuno distinguere i due seguenti tipi di tecnica: 1. TECNICHE BALISTICHE 2. TECNICHE DI STRETCHING STATICO TECNICHE BALISTICHE movimenti semplici di flessione e spinta movimenti con tempi di molleggio movimenti di slancio Consistono in contrazioni dinamiche ripetute dei muscoli agonisti rivolte allo scopo di ottenere un rapido stiramento dei muscoli antagonisti. Sono state progressivamente integrate e ridotte a causa della loro potenziale pericolosità, poiché lo stiramento repentino dei muscoli può portare a lesioni di una certa serietà. STRETCHING (ALLUNGAMENTO MUSCOLARE PROLUNGATO) All’interno del tessuto muscolare ,oltre ad altri, esistono due differenti tipi di recettori sensoriali: • i fusi neuro-muscolari, le cui fibre sono disposte in senso longitudinale parallelamente alle fibre muscolari • gli organi tendinei del Golgi, con fibre disposte in senso trasversale alle fibre muscolari che si trovano alla congiunzione tra tendini e muscoli. Quando i FUSI MUSCOLARI, sono stimolati dall’allungamento trasmettono al sistema nervoso centrale informazioni immediate non solo sull’allungamento del muscolo ma soprattutto sulla velocità con la quale avviene la modificazione di estensione. Quando la variazione risulta eccessiva, sia relativamente all’incremento che soprattutto alla velocità dell’allungamento, parte una risposta riflessa detta riflesso miotatico o riflesso da stiramento che provoca nel muscolo una immediata contrazione. Gli ORGANI TENDINEI DEL GOLGI sono invece inseriti nel tratto muscolo-tendineo e hanno come compito il rilevamento e la trasmissione di informazioni al sistema nervoso centrale sull’entità di tensione delle fibre muscolari. In presenza di eccessi di tensione della fibra muscolare, essi hanno una funzione di protezione scaricando la tensione del muscolo sulle fibre tendinee. Così facendo consentono al muscolo di rilassarsi. Questo fenomeno si chiama riflesso inverso da stiramento. Gli organi tendinei del Golgi non hanno una risposta rapida ed hanno bisogno di circa 8 secondi per provocare il rilassamento muscolare. Le tecniche dello stretching si fondano su questa caratteristica fisiologica. L’allungamento prolungato, al di sopra dei tempi di stimolazione fisiologica, oltre i 10 secondi, annulla la risposta riflessa da stiramento e provoca il riflesso inverso. Questo consente una forma controllata di stiramento che permette di raggiungere e conservare valori considerevolmente alti di estensibilità senza provocare lesioni a livello dei muscoli, dei tendini e dei legamenti. TECNICHE STRETCHING • 1. 2. 3. Le tecniche di allungamento muscolare e tendineo che consentono un incremento della mobilità articolare sono fondamentalmente tre: tecnica statico passiva tecnica contrastata propriocettiva (FNP) tecnica attiva A queste tecniche fanno capo diverse forme derivate. Lo stretching statico passivo è una tecnica basata sull’intervento sul muscolo o gruppo muscolare con una posizione di massima flessione, estensione o torsione raggiunta in forma lenta e progressiva in modo da non stimolare il riflesso da stiramento, che va mantenuta per un tempo non inferiore ai 10 secondi. Di solito vengono impiegati oltre i 20 secondi. Questa tecnica viene chiamata passiva poiché il raggiungimento della massima articolabilità viene ottenuto o attraverso l’azione della forza di gravità o con una costrizione meccanica che non permetta il ritorno o con un lavoro a coppie. Vanno evitati sia i movimenti molleggiati e rimbalzanti i quali , pur se utili per altri scopi, sono incentivanti il riflesso da stiramento, sia il superamento della SOGLIA DEL DOLORE la cui comparsa provoca contrazione. Alla fine del tempo di stiramento si ritorna con lentezza alla posizione originaria di riposo che va mantenuta per un tempo almeno doppio. Già dopo la prima prova l’articolazione mostra maggiore disponibilità all’allungamento e si può esercitare sul gruppo muscolare interessato una trazione appena superiore. Lo stretching contrastato propriocettivo, è una tecnica ideata dall’americano Holt come Propioceptive Neuromuscolar Facilitation (PNF) e consiste nel dividere l’azione di stiramento in due fasi intramezzate da una fase di opposizione. La prima fase è la stessa della tecnica precedente: Raggiungere con lentezza la posizione di massimo allungamento e mantenerla per un breve tempo (10 sec. circa), da questa posizione quindi effettuare un’opposizione contraendo il muscolo interessato per contrastare l’azione di stiramento. L’azione di contrasto deve essere molto forte senza però provocare alcun movimento (contrazione Isometrica), cioè senza variazioni della lunghezza delle fibre muscolari e dovrà avere la durata di 10 sec. circa (di solito la metà del tempo di ipertensione successiva). Rilasciare senza scatti la contrazione e operare, dalla stessa posizione di massima ampiezza, l’altra fase di stiramento con una durata doppia a quella della contrazioni (20 sec. circa). Anche in questo caso la seconda azione di stiramento mostrerà una maggiore disponibilità alla estensibilità. Tale disponibilità andrà assecondata solo in assenza di dolore. Dopo un recupero di durata doppia a quella del lavoro ripetere l’esercizio. Su individui molto giovani o anziani questa tecnica non sempre risulta utile e va applicata con parsimonia. Queste tecniche di stretching hanno in gran parte sostituito quelle basate sugli esercizi di tipo dinamico precedentemente in uso (Slanci, molleggi,ecc), tuttora valide come metodi di esercitazione utili a sollecitare l’apparato articolare e osteo-legamentoso. Lo stretching attivo è legato allo stiramento del muscolo antagonista attraverso la forza del muscolo agonista opposto. In effetti non è diverso dalla tecnica passiva se non per il fatto che lo stiramento passivo viene prodotto dalla contrazione del muscolo oppositore agonista, che deve essere di potenza tale da vincere la resistenza dell’antagonista. Questa tecnica è opportuna per atleti provetti che posseggano un elevato coefficiente di estensibilità ed un buon controllo muscolare. Lo stretching attivo ha particolare importanza in alcune specialità sportive come la ginnastica artistica, la ritmica, gli sport acrobatici, la danza ed alcune specialità di arti marziali come il karate, tae kwon do ed altre. APPLICABILITA’ ATTIVITA’ DI STRETCHING • • • • • L’attività di stretching per la mobilità articolare è consigliabile a tutte le età. Quando si parla di tecnica di stiramento muscolare si tende a considerare l’uomo atleta che deve produrre prestazioni. L’elasticità e la mobilità articolare sono condizioni essenziali per conquistare e conservare uno stato ottimale di funzionalità motoria. Nell’infanzia sono da evitare contrazioni intense e prolungate, specie se di tipo isometrico: è preferibile evitare lo stretching contrastato ai bambini. Solo nell’età prepuberale e puberale lo stretching contrastato potrà avere un funzionale impiego, senza trascurare la differenza tra i sessi. Tra i due sessi certamente non cambia il modo di usare le tecniche di stiramento ma cambia molto l’atteggiamento che essi hanno verso il movimento. Nel periodo prepuberale e più marcatamente in quello puberale, nei maschi l’aumento di alcune qualità a scapito di altre rende più impegnativo il lavoro di flessibilità mentre nelle ragazze, in forte anticipo sui coetanei maschi, si evidenzia un diverso abito morfologico che predispone più naturalmente all’impiego della mobilità articolare. ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI • Il lavoro sulla mobilità articolare dell’atleta rappresenta una componente integrante di ogni seduta di allenamento che ha un ruolo di prevenzione, soprattutto nella parte iniziale dell’allenamento dedicata al riscaldamento o nella preparazione che precede immediatamente l’entrata in gara • Gli esercizi di allungamento, intesi come esercizi di compensazione, svolgono un ruolo importante nei casi in cui gli accorciamenti della muscolatura determinati dall’allenamento producono limitazioni nella meccanica delle articolazioni e, quindi, a lungo termine conducono ad alterazioni degenerative per quanto riguarda l’apparato locomotorio attivo e passivo. • L’allenamento della mobilità articolare, pertanto, deve essere sempre preso in considerazione collegandolo a un allenamento finalizzato della forza: quanto più aumenta la forza di un gruppo muscolare, tanto più necessario sarà sviluppare la sua capacità di allungamento. Per l’atleta è logico che vengano applicati esercizi di allungamento passivo (seppur limitatamente), statico (stretching), come anche metodi attivi di sviluppo della mobilità articolare. Ciò è particolarmente vero nell’allenamento infantile e giovanile (metodi attivi). Nel processo di allenamento a lungo termine per ottenere una capacità ottimale di allungamento si devono preferire le tecniche di stretching. Nella preparazione immediata alla gara, al contrario, si dovrebbero prediligere metodi dinamici da applicare a una distanza di tempo sufficiente dalle prestazioni di forza rapida o di velocità. Gli esercizi di mobilità articolare, infine, hanno un ruolo nell’ambito delle misure di rigenerazione dell’atleta, in quanto abbassano il tono muscolare e servono così ad accelerare il recupero dopo l’allenamento e dopo le gare. Prof. ROMANO MEZZETTI Diplomato presso l’Isef Statale di Roma, ha conseguito la Laurea in Scienze Motorie (IUSM - Roma), la Laurea in Psicologia – indirizzo Sviluppo ed Educazione (La Sapienza - Roma), e la Laurea in Scienze della Formazione Primaria (LUMSA - Roma). Componente del Comitato Scientifico della Scuola dello Sport – CONI Lazio Insegnante di ruolo nella Scuola dell’Infanzia Statale Presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica CCF BALDUINA Corporeità, Cultura, Formazione tel. 0635450600 e-mail: [email protected] GRAZIE A TUTTI PER L’ATTENZIONE Prof. ROMANO MEZZETTI Diplomato presso l’Isef Statale di Roma, ha conseguito la Laurea in Scienze Motorie (IUSM - Roma), la Laurea in Psicologia – indirizzo Sviluppo ed Educazione (La Sapienza - Roma), e la Laurea in Scienze della Formazione Primaria (LUMSA - Roma). Componente del Comitato Scientifico della Scuola dello Sport – CONI Lazio Insegnante di ruolo nella Scuola dell’Infanzia Statale Presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica CCF BALDUINA Corporeità, Cultura, Formazione tel. 0635450600 e-mail: [email protected]