3. Il processo camerale ibrido
Lezioni anno accademico 2013/2014
Secondo semestre
L’opzione della riforma
E’ già stato possibile evidenziare che la riforma
ha abbandonato il modello monitorio
processo sommario-eventuale processo
ordinario di opposizione, per optare verso le
forme camerali-sommarie, che già avevano
contraddistinto in parte il diritto fallimentare
nel regime previgente.
Scelta non unilaterale
In realtà la scelta non è univoca, poiché in
alcuni casi:
- Processo per la dichiarazione di fallimento;
- Processo di accertamento dei crediti e dei
diritti reali;
- Processo di impugnativa degli atti degli organi
giurisdizionali del fallimento;
il legislatore ha adottato un modello camerale
ibrido.
Il camerale ibrido
Per camerale ibrido deve intendersi un richiamo alle
forme camerali solo formale e nominalistico essendosi
nella realtà adottato un modello assimilabile ad un
processo di cognizione piena con rito speciale. Ne sono
indicative le prescrizioni in ordine alla domanda
(analogia all’art. 163 c.p.c.), in ordine all’atto difensivo
del convenuto (analogia all’art. 167 c.p.c.); in ordine
alla introduzione di un sistema di preclusioni all’attività
difensiva delle parti; la disciplina di un’attività
istruttoria in cui ha svolgimento il diritto alla prova
della parte con attenuazione dei poteri istruttori
dell’ufficio, la frequentazione di misure anticipatorie.
La diversificazione dei camerali ibridi
Tuttavia il legislatore non adotta un unico
processo camerale ibrido che nasconde un
processo a cognizione piena di diritto speciale,
ma vari modelli diversificati, con riti speciali
differenti l’uno all’altro, distinguendosi:
- Il rito per la dichiarazione di fallimento;
- Il rito per l’accertamento del passivo;
- Il rito per la impugnativa degli atti degli organi
giurisdizionali
Il modello camerale puro
Viene tuttavia adottato in alcune ipotesi (le
impugnative degli atti degli organi
amministrativi del fallimento; i procedimenti
di ripartizione del ricavato, di chiusura del
fallimento, di rendiconto, di esdebitazione,
ecc.) il c.d. camerale puro, ovvero il richiamo
agli artt. 737 e ss. c.p.c. senza alcuna variante,
con una disciplina non univoca anche in
questo caso.
I processi sommari fallimentari
Oltre ad un processo camerale ibrido e puro,
con connotati di evidente specialità del diritto
processuale fallimentare, il nuovo sistema
riformato conosce alcuni episodi di tutele
sommarie di natura cautelare e/o
anticipatoria, che pure essi dovranno essere
oggetto di studio particolare per la loro
specialità.
La specialità del diritto processuale
fallimentare
E’ necessario dunque studiare la specialità del
diritto processuale fallimentare muovendo
prima dal processo camerale ibrido per poi
esaminare in un secondo capitolo il processo
camerale puro ed infine in un ultimo capitolo
la cognizione i processi cautelari sommari e
non nel diritto fallimentare.
Il processo per la dichiarazione di
fallimento
Funzione dichiarativa e sostitutiva
Già si è detto che il processo per la
dichiarazione di fallimento che assume i
caratteri del rito camerale ibrido ha la
funzione di accertare la fattispecie
dell’imprenditore commerciale insolvente,
aprendo, come effetto costitutivo,
l’applicazione del regime del diritto
concorsuale ed in specie dedicato al fallimento
in senso stretto.
La giurisdizione
Il tema della giurisdizione deve tener conto
della sempre maggiore integrazione
internazionale delle imprese, con sedi in varie
nazioni e i principi della concorsualità che
implicano il coinvolgimento dell’universalità
dei beni, dal lato attivo, e della universalità dei
creditori, dal lato passivo.
Il problema
Dunque non si tratta solo di identificare un
giudice, ma quello di coordinare le eventuali
procedure concorsuali promosse nei vari
ordinamenti.
Stati Extraeuropei-stati europei
Mentre per la comunità europea è stato
adottato un regolamento (n. 1346 del 29
maggio 2000), le imprese multinazionali con
sedi in stati extra europei, sono ancora
assoggettate all’art. 9.
Regime previgente
Il vecchio tenore dell’art. 9 sanciva, in
aderenza al principio autarchico che ispirava il
ventennio (autosufficienza dell’economia
dell’ordinamento italiano), ammetteva la
giurisdizione del giudice italiano anche se
l’impresa aveva sede principale all’estero.
La norma non si poneva alcun problema di
coordinamento tra i diversi procedimenti
Correttivo interpretativo
All’interprete non restava che applicare l’art.
7, legge n. 218/1995, laddove in caso di
litispendenza internazionale imponeva il
criterio della prevenzione come soluzione al
conflitto.
Disciplina attuale
L’attuale tenore prevede la dichiarazione di
fallimento in Italia anche se l’impresa ha sede
principale all’estero, sottintendendo che
l’impresa debba avere almeno in Italia una
sede secondaria.
La riprova è nell’ultimo comma dell’art. 9 che
fa salva la giurisdizione italiana anche in caso
di trasferimento all’estero nell’anno della
sede.
Imprenditori con beni in Italia
Qualora l’imprenditore non abbia sede in
Italia, neppure secondaria, non potrà aversi
dichiarazione di fallimento.
Per i beni di cui è proprietario in Italia
varranno le regole di diritto internazionale
privato processuale sull’efficacia dei
provvedimenti giurisdizionali stranieri in Italia.
Salvezza del regime convenzionale
Resta salva una diversa determinazione delle
convenzioni internazionali e della normativa
comunitaria (attualmente solo San Marino del
1939, mentre la convenzioni con Francia e
Austria sono assorbite nel regolamento).
Il regolamento CE
Con il regolamento n. 1346 si è risolto sia il
profilo della giurisdizione, che il profilo del
coordinamento tra le plurime concorsuali.
La giurisdizione
Il regolamento contempla la giurisdizione del
paese ove l’impresa ha la sede principale e la
giurisdizione dei paesi ove l’impresa ha sede
secondaria, distinguendo un fallimento
principale da un fallimento secondario.
Sede principale
La nozione comunitaria corrisponde alla
nozione interna di centro degli interessi
dell’imprenditore (art. 9, 1° comma), ovvero il
luogo ove vengono assunte le decisioni
fondamentali dell’impresa, normalmente il
luogo dell’amministrazione, non
esclusivamente il luogo della produzione o
dello scambio di merci o servizi.
Coordinamento sotto il profilo
dell’azione
- Il curatore del fallimento principale può assumere
iniziativa cautelare e conservativa, prima che sia
dichiarato il fallimento secondario
nell’ordinamento corrispondente;
- Il curatore del fallimento principale può
promuovere una procedura secondaria in altro
ordinamento;
- Il curatore del fallimento principale può insinuare
al passivo del fallimento secondario tutti i
creditori già ammessi al suo passivo.
Coordinamento sotto il profilo della
litispendenza
- La procedura secondaria può aver luogo anche quando
non è promossa o non può aver luogo quella
principale;
- il curatore di uno qualunque dei fallimenti deve
informare tutti i creditori, indicando le forme dell’atto
di insinuazione, che possono insinuarsi nel suo
fallimento;
- il fallimento secondario può esser sospeso in attesa
degli esiti di quello principale se capace di chiudere il
fallimento e il residuo attivo di quello secondario deve
essere trasferito a quello principale.
Coordinamento sotto il profilo dei
provvedimenti
La sentenza che dichiara il fallimento in uno
Stato è efficace anche nell’altro, salvo la
violazione di regole di ordine pubblico e
l’efficacia riguarda anche tutte le misure
conservative, pure aventi forma diversa dalla
sentenza e pure i provvedimenti di cause
connesse, come l’azione revocatoria
fallimentare.
Competenza per materia e per
territorio
E’ per materia competente il tribunale sul
procedimento per la dichiarazione di
fallimento del luogo ove ha sede principale
l’impresa (competenza territoriale
inderogabile ex art. 38 c.p.c. essendo dettata
per un procedimento in camera di consiglio).
Ratio
La delicatezza della materia e gli interessi pubblici
implicati, rappresentati dall’intervento necessario
del P.M., rendono necessaria la competenza per
materia del tribunale. Sul piano territoriale il
riferimento è al centro direttivo degli interessi
dell’imprenditore dove sono più facilmente
reperibili i dati contabili necessari (per questo
non ha rilievo il luogo dell’attività produttiva o
dell’atto tipico dell’imprenditore, ma il centro
della direzione e amministrazione dell’impresa).
Sede formale e sede sostanziale
Il riferimento è normalmente alla sede
indicata nel registro delle imprese, ma sino
alla prova contraria, poiché in tal caso prevale
la sede sostanziale o di fatto.
Perpetuatio iurisdictionis
Onde evitare frodi alla ricerca del giudice più
favorevole, non hanno rilievo i trasferimenti
della sede entro l’anno dal deposito della
domanda per la dichiarazione di fallimento
(art. 9, 2° comma).
La pronuncia sulla competenza: regime
previgente
In difetto dell’attuale ampia disciplina, la Corte
di cassazione aveva ammesso un regolamento
di competenza nel caso di conflitti positivi o
negativi di competenza nell’ambito
fallimentare, forzando l’istituto:
1. ammettendo un regolamento fuori termine
(art. 47 c.p.c.);
2. Non estendendo la disciplina sulla traslatio
iudicii (art. 50 c.p.c.)
segue
In caso di conflitto positivo, il giudice di
legittimità applicava il criterio della
prevenzione (art. 39, 1° comma c.p.c.).
In caso di conflitto negativo era dato al
secondo giudice lo strumento del regolamento
d’ufficio ex art. 45 c.p.c.
segue
In caso di pronuncia di fallimento, il profilo
sulla sola competenza doveva essere fatto
valere con il regolamento necessario;
un’impugnativa mista, con l’opposizione.
In caso di rigetto del fallimento per
incompetenza, era inevitabile il reclamo ex art.
22 e all’esito l’eventuale regolamento
necessario di competenza.
il problema della inapplicabilità
dell’art. 50 c.p.c.
Nel caso di pronuncia sulla competenza non era
chiaro se il giudice dovesse limitarsi a revocare il
fallimento o indicare il giudice competente e
trasferire d’ufficio gli atti al medesimo (stante
l’originaria promuovibilità d’ufficio del
fallimento).
La lettura prevalente era nel senso della
trasmissibilità degli atti al giudice indicato come
competente, salvo regolamento d’ufficio da parte
di quest’ultimo.
La riforma
La riforma interviene con un’articolata
disciplina, sul conflitto positivo di competenza
e sul conflitto negativo, in modo da risolvere
tutti i problemi del recente passato, che erano
stati costretti a forzare la disciplina.
Conflitto positivo: art. 9 ter
In caso di duplice dichiarazione di fallimento, il
conflitto è risolto con il criterio della
prevenzione (1° comma), salvo che il secondo
giudice non ritenga opportuno sollevare
regolamento d’ufficio ex art. 45 c.p.c.
Se il secondo giudice non ritiene di sollevare
regolamento d’ufficio, trasmette gli atti al
primo giudice e restano salvi gli effetti degli
atti compiuti (per richiamo all’art. 9 bis).
Conflitto negativo: art. 9 bis
Il giudice che si dichiara incompetente dispone
la trasmissione degli atti a quello competente
e il giudice indicato come competente se non
solleva regolamento d’ufficio della
competenza, dispone dinanzi a sé la
prosecuzione del fallimento, nominando
giudice delegato il curatore.
Restano salvi gli atti compiuti nel primo
fallimento.
La soluzione dei conflitti
Pertanto anche dopo la riforma è la Corte di
cassazione, adita in sede di regolamento d’ufficio, a
risolvere i conflitti positivi o negativi di competenza.
Avverso le sentenze che dichiarano il fallimento e
sottintendono la competenza del giudice adito, è
consentito in caso di impugnativa mista il reclamo ex
art. 18, in caso di impugnativa solo per la competenza,
il regolamento.
Avverso i decreti di rigetto, previo reclamo ex art. 22, è
consentito contro il decreto che decide il reclamo, il
regolamento di competenza.
La legittimazione: art. 6
L’art. 6 dopo la riforma esclude un impulso
officioso per la dichiarazione di fallimento,
escludendo che il giudice possa d’ufficio
provvedere ancorché siano implicati nel
procedimento interessi generali e non
particolari, rispetto ai quali è legittimato il p.m
Pertanto la legittimazione spetta al creditore,
al p.m. e allo stesso imprenditore/debitore.
La vera legittimazione: il creditore
Non si deve dimenticare che ex art. 118, n.1, la
mancata proposizione di una domanda di
insinuazione al passivo importa la chiusura del
fallimento, ovvero l’impossibilità di proseguire
nell’amministrazione e liquidazione fallimentare.
Ciò implica l’assoluta centralità dell’iniziativa del
creditore (è da constatare poi che in caso di
provvedimento di rigetto legittimato al reclamo è
il solo creditore (ex art. 22, 2° comma).
La legittimazione del P.M.
Il P.M. non ha legittimazione generalizzata, ma
solo nei casi indicati nell’art. 7:
- quando l’insolvenza risulti in procedimento penale
e da fatti esteriori che integrino insolvenza, noti
al P.M. (fuga, chiusura locali, trafugamento
sostituzione e diminuzione dell’attivo);
- quando l’insolvenza è segnalata dal giudice civile.
La ratio della legittimazione del p.m. è nella
esercizio dell’azione penale per reprimere i reati
fallimentari.
L’iniziativa del debitore
Il debitore ha un diritto di chiedere il proprio fallimento
per beneficiare degli effetti della procedura, come
l’esdebitazione.
Il debitore ha un obbligo a chiedere il suo fallimento,
per non aggravare il suo dissesto (l’omissione con
aggravio di dissesto integra il diritto di bancarotta
semplice).
L’inquadramento del fallimento come beneficio, non
spiega la ragione per cui l’imprenditore non abbia
azione di reclamo contro il diniego del suo fallimento,
ciò che pone problemi di costituzionalità
Il procedimento: l’audizione facoltativa
La legge del 1942 prevedeva come eventuale
l’audizione dell’imprenditore dopo la
formulazione della domanda per la
dichiarazione del suo fallimento (art. 15).
Corte cost. n. 141 del 1970, che ha aperto il
fallimento alla processualità e al
contraddittorio, ha dichiarato
l’incostituzionalità della norma, per cui
l’audizione è diventata obbligatoria
Art. 15: forma e termini di
convocazione dell’imprenditore
La pronuncia della Corte cost. lasciava tuttavia
impregiudicato il profilo delle forme con le
quali il contraddittorio doveva essere
assicurato e del termine a difesa necessario
per l’imprenditore.
L’art. 15, 3° comma; assicura invece forme e
termini:
- termine a difesa di 15 giorni;
- forma della notifica.
Abbreviazione dei termini,
deformalizzazione della convocazione
Particolare ragione d’urgenza, ad esempio
l’imminenza della scadenza dei termini di cui
agli artt. 10 e 11, rende ragione di una
abbreviazione discrezionale dei termini,
introdotta con la novella del 2007, da parte
del giudice e di modalità di convocazione “con
ogni mezzo idoneo” capace di portare a
conoscenza dell’imprenditore la pendenza del
procedimento (art. 15, 5° comma).
Convocazione non necessaria
Se il fallito ha formulato egli stesso la
domanda per la dichiarazione del suo
fallimento, non ha senso la sua convocazione
per contraddire.
Più dubitativamente la giurisprudenza esclude
l’obbligo di convocazione quando vi sia una
reiterazione dei creditori tutti riuniti nello
stesso procedimento: se egli ha contraddetto
su una non deve contraddire sulle altre.
I termini di costituzione
Il convenuto (art. 15, 4° comma) deve
costituirsi 7 giorni prima dell’udienza con
memoria, deposito documenti e relazione
tecnica (in relazione alla fallibilità), ma tale
termine non è previsto a pena di decadenza,
essendo il procedimento – come vedremo –
aperto ad una sostanziale illimitata iniziativa
d’ufficio nella ricerca della prova.
Poteri istruttori d’ufficio
Il giudice, infatti, gode di poteri istruttori
accentuati:
- Potendo imporre all’imprenditore il deposito dei
bilanci degli ultimi tre esercizi ed una situazione
patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata,
nonché altre informazioni urgenti (art. 15, 4°
comma);
- Disporre, per il tramite del giudice delegato
l’audizione delle parti, l’ammissione e
l’espletamento di qualsiasi mezzo istruttorio.
Divieto di istruttoria segreta
Nell’esercizio dei poteri istruttori il giudice
deve consentire che la prova sia raccolta con il
contraddittorio delle parti o che le parti
possano interloquire sulle prove precostituite,
sotto pena di nullità degli atti e della sentenza
che dichiara il fallimento.
Il diritto alla prova delle parti
Il procedimento sancisce un pieno diritto alla
prova delle parti:
- Mediante documenti e relazioni tecniche in
allegato agli atti introduttivi (art. 15, 4° comma) ;
- mediante istanza per l’espletamento di qualsiasi
mezzo istruttorio, non necessariamente solo
documentale (art. 15, 6° comma);
- Mediante l’ausilio di consulenti tecnici (art. 15, 7°
comma).
Onere della prova
In ordine all’art. 2697 c.c.:
- il proponente deve allegare e provare la sua
legittimazione (esistenza del credito anche non
esigibile; esistenza di fatti di rilievo penale emersi
in un dibattimento o di segnalazione del giudice
civile sull’insolvenza); la qualità di imprenditore
commerciale del debitore, l’insolvenza e il
superamento della soglia di cui all’art 15 u.c.;
- il convenuto deve provare il non superamento
della propria impresa delle soglie quantitative per
la non fallibilità (art. 1, 2° comma)
Misure cautelari
In pendenza del procedimento, a tutela del
patrimonio, il tribunale può emettere misure
cautelari ad istanza di parte (e quindi non
d’ufficio): misure assimilabili al sequestro
giudiziario, aventi la durata del procedimento
sino al provvedimento finale (poiché i loro
effetti sono prodotti anche dalla sentenza che
dichiara il fallimento, v. spossessamento
dell’imprenditore)
il conservativo diventa anticipatorio
Attraverso la nomina del custode nel
sequestro giudiziario che assume il possesso
dell’attivo fallimentare, il tribunale produce
effetti anticipatori ovvero affida funzioni
gestorie già proprie del curatore al custode.
Camerale ibrido
La previsione di un termine a difesa, le formalità di
costituzione del convenuto e il termine fissato ad
esso, l’ampio svolgimento di una istruttoria ed
infine la previsione di provvedimenti interinali di
natura cautelare costituiscono tutti elementi per
assimilare il procedimento per la dichiarazione di
fallimento ad un procedimento camerale ibrido,
ovvero ad un processo a cognizione piena di rito
speciale.
Decreto di rigetto
In caso di rigetto della domanda, in coerenza
con il rito camerale il provvedimento assume
la forma del decreto motivato, suscettibile di
reclamo entro 30 giorni dalla comunicazione
(art. 22).
La sentenza dichiaratrice di fallimento
In caso di accoglimento per la maggiore
complessità degli elementi, che danno ragione
di una motivazione più ampia, la forma del
provvedimento è quella della sentenza,
suscettibile di reclamo entro 30 giorni dalla
comunicazione (art.18).
Il reclamo avverso il decreto negativo
Legittimato al reclamo sono il creditore ricorrente e il
Pubblico Ministero. La norma non legittima al reclamo
l’imprenditore-debitore, ciò che appare di dubbia
costituzionalità:
- perché l’imprenditore- debitore ha un suo diritto di
fallire per acquisirne i benefici;
- perché solo in sede di reclamo possono esser e fatti
valere i motivi di gravame avverso il capo relativo alle
spese e la condanna ai danni per responsabilità
processuale aggravata (Corte cost. n. 328/99, aveva già
ritenuto incompatibile la vecchia previsione che
escludeva il debitore dalla legittimazione).
Camerale puro
Sotto il profilo processuale la norma recita
(art. 22, 2° comma): “La Corte di
appello…sentite le parti, provvede in camera
di consiglio con decreto motivato”.
Nessuna altra norma sul procedimento, ciò
che fa deporre per l’adozione di un rito
camerale puro in sede di reclamo.
il parallelismo
Tuttavia la identità delle forme e dei contenuti
fa pensare oggi ad un’assimilazione dei
reclami, entrambi dunque camerali ibridi
ovvero appelli speciali, soggetti alle stesse
regole, il che fa pensare che il decreto come la
sentenza siano destinati a passare in
giudicato, in difetto di appello nei termini.
Accoglimento del reclamo
Art. 22, 4° comma, la Corte di appello,
nell’accoglimento del reclamo non pronuncia il
fallimento, ma rimette le parti innanzi al
Tribunale per la relativa pronuncia.
Il tribunale pronuncia di conseguenza il
fallimento, salvo che per fatti sopravvenuti siano
venuti meno i presupposti: insolvenza risolta o
perdita della qualità di imprenditore commerciale
fallibile (naturalmente il tribunale potrà
riesaminare i profili rimasti assorbiti da una
precedente pronuncia in rito poi riformata).
Revocabilità e modificabilità del
decreto di rigetto
Il decreto di rigetto non impedisce la
riproposizione della domanda per la
dichiarazione di fallimento a fronte di nuove
circostanze ex art. 742 c.p.c.
Ma l’assimiliazione dei reclami, fa pensare che
anche il decreto possa passare in giudicato.
La sentenza che dichiara il fallimento
-
Oltre ai contenuti previsti nell’art. 132 ed in particolare
l’esposizione in motivazione delle ragioni di fatto e di
diritto della decisione, l’art. 16 detta contenuti speciali
alla sentenza:
nomina del giudice delegato;
nomina del curatore;
ordine di deposito del bilancio e delle scritture fiscali
obbligatorie all’imprenditore entro 3 giorni;
luogo, giorno e ora dell’adunanza per l’esame dello
stato passivo e il termine anteriore per il deposito delle
relative domande di accertamento dei crediti e dei
diritti reali e personali su cose.
La diversa efficacia della sentenza
La sentenza ha diversi effetti per il debitore o
per i terzi:
- per il primo dalla pubblicazione, ovvero dal
deposito;
- per i secondi dalla iscrizione nel registro delle
imprese;
Art. 16, 2° comma
Il giudicato
La sentenza è idonea al giudicato in difetto di
gravame nelle forme del reclamo ex art. 18
(istituto che verrà esaminato in sede di studio
dei mezzi di impugnazione consentiti nel
diritto fallimentare).
Effetti della sentenza e pubblicità
Gli effetti della sentenza che dichiara il
fallimento, assimilabili a quelli di un sequestro
conservativo e/o di un pignoramento che
tuttavia, in virtù delle regole del concorso,
colpisce unitariamente tutti i beni del
patrimonio, rende necessario un’idonea
pubblicità.
Vecchio regime
A tale fine non è sufficiente la disciplina
previgente che prevedeva la comunicazione
per estratto in sintesi della sentenza al
debitore, l’affissione alla porta esterna del
tribunale e l’iscrizione nel registro delle
imprese.
Il nuovo regime di pubblicità
Più correttamente l’attuale disciplina prevede formale
notifica al debitore, il quale è così consapevole del dies
a quo necessario per impugnarla e segue la successiva
formalità di una annotazione (più esattamente
iscrizione) nel registro delle imprese (cfr. art. 17, 1° e 2°
comma).
Per assicurare la pubblicità verso terzi, l’art. 17, 3°
comma, impone al cancelliere il giorno successivo dal
deposito della sentenza di trasmettere, anche per via
telematica, la sentenza al registro delle imprese.
2. L’accertamento del passivo
La necessità dell’accertamento dei
crediti
Differentemente dall’esecuzione individuale, dove
l’accertamento dei crediti è eventuale (art. 512
c.p.c.: contestazione in sede di riparto) e dove il
creditore, con il suo intervento, deve
semplicemente indicare il proprio credito, il titolo
che lo costituisce e di essere munito di titolo
esecutivo (se manca del titolo esecutivo, il credito
deve essere accertato in sede esecutiva), in sede
concorsuale i crediti per ragioni di concorso
devono necessariamente essere accertati in un
apposito procedimento.
L’accertamento dei diritti reali e
personali di godimento
Similmente all’opposizione del terzo alla
esecuzione ex art. 619 c.p.c., è prevista anche
nel diritto fallimentare un’azione con la quale
il terzo titolare di un diritto reale o un diritto
personale di godimento su di un bene (mobile
o immobile) che appartiene all’attivo
fallimentare, chiede che il medesimo sia
sottratto alla liquidazione concorsuale e gli sia
restituito.
Le attività preliminari: l’avviso
Le esigenze del concorso impongono la massima pubblicità al ceto
creditorio della pendenza del procedimento fallimentare:
- la pubblicità che deriva ex art. 17 dall’iscrizione nel registro delle
imprese, di una sentenza che contiene l’indicazione del termine per
la presentazione delle domande e dell’adunanza;
- l’avviso, in forma raccomandata, diretto ai singoli creditori e ai
titolari di diritti reali (art. 92) previa ricostruzione dell’elenco dei
creditori e dei titolari di diritti reali (art. 89);
- I particolari contenuti dell’avviso: termine per la presentazione delle
domande, forma per la presentazione delle domande, udienza
fissata per l’esame dello stato passivo, ogni ulteriore informazione
utile (indicazione della Pec della curatela).
L’avviso nell’esecuzione singolare
Nell’esecuzione singolare, l’avviso ha tutt’altra
funzione: quella di permettere ai creditori
muniti di prelazione risultante dai pubblici
registri (498 c.p.c.) di intervenire, onde
tutelarsi dall’effetto “purgativo” della vendita
forzata (art. 586 c.p.c.) .
Le conseguenze del mancato avviso
Le conseguenze del mancato avviso sono
anch’esse diverse, non l’impedimento alla
vendita, ma la facoltà del creditore o titolare
del diritto reale di presentare domanda
tardiva (art. 101, u.c.) e di prelevare dai riparti
successivi quanto gli sarebbe spettato se
insinuato tempestivo (art. 112).
L’avviso comunitario
Le notizie contenute nell’avviso sono ancora
più accentuate nel regolamento comunitario,
in quanto esso è accompagnato da un fac
simile dell’atto di insinuazione (art. 40) ed è
contemplata la facoltà di un curatore di un
fallimento di insinuare tutti i crediti del
proprio fallimento in quelli di un altro
fallimento.
La domanda
La domanda ha la forma del ricorso nel quale
deve essere indicato il titolo del credito e
fornita la relativa prova del fatto costitutivo (il
diritto reale autoindividuato, se potrebbe in
astratto non rendere necessaria l’allegazione
del fatto, per la celerità del procedimento e
per la difficoltà di un recupero in sede di
adunanza, necessita dell’allegazione del fatto
e della sua prova).
forma elettronica
Il ricorso può essere presentato solo in forma
elettronica (art.93, 3° comma):
- mediante trasformazione del ricorso formato con
un qualunque programma di scrittura stampato e
sottoscritto e convertito in formato pdfimmagine;
- oppure mediante pdf-scrittura sottoscritto con
firma digitale.
All’indirizzo pec indicato dal curatore nell’avviso e
attraverso indirizzo pec
La prova
La prova privilegiata è certamente quella
documentale (art. 93, 6° comma), ma non è da
escludere la possibilità di utilizzare prove
costituende (art. 95, 3° comma).
La prova documentale non necessariamente deve
essere allegata alla domanda, potendo essere
prodotta all’udienza (art. 95, 2° comma) o
addirittura anche dopo l’adunanza (in relazione
all’ammissione con riserva di cui all’art. 96, 2°
comma, n. 2).
la prova in formato elettronico
La prova documentale deve essere
trasformata in pdf elettronico e trasmessa
nella pec, in allegato con il ricorso.
Solo i titoli di credito prodotti in originale.
Domanda cautelare
Alla domanda di rivendica e/o restituzione, a
tutela di un diritto reale o personale di
godimento, può essere in analogia all’art. 624
c.p.c., unita una domanda cautelare di
sospensione della liquidazione del bene
oggetto della domanda (93, 7° comma).
Effetti della domanda (art.94)
-
-
Alla domanda sono offerti gli stessi effetti di
una domanda del processo comune:
interruzione e sospensione della prescrizione;
impedimento della decadenza;
impedimento della rinnovazione dei contratti
di durata;
trasformazione della buona fede in mala fede,
nella tutela possessoria;
Termine (art. 93, 1° co.)
Il termine perentorio nel quale la domanda
deve essere presentata è di 30 giorni anteriori
all’adunanza; in difetto, il creditore o il titolare
del diritto sulla cosa possono presentare solo
domanda tardiva (la perentorietà è sancita
dall’art. 16, n. 5).
Sanzioni alla domanda
In difetto di un elemento formale della domanda
non integra semplicemente nullità ex art. 164
c.p.c, ma vero e proprio caso di inammissibilità
(insanabile) e ciò per il caso di mancata
indicazione della procedura e delle parti;
dell’ammontare del credito e/o del bene oggetto
del diritto reale, infine della mancata forma e
trasmissione elettronica; la inammissibilità non
preclude la riproponibilità della domanda nelle
forme della insinuazione tardiva (artt. 93, 4
comma e 96, 1° comma).
L’atto difensivo del curatore (art. 95/2)
Il curatore non deve essere inquadrato come
ausiliario del giudice, ma come vera e propria
parte.
La formazione preliminare dello stato passivo,
effettuata senza l’ausilio del giudice, costituisce il
suo atto difensivo, che deve essere perfezionato
15 giorni prima dell’adunanza, per ovvie esigenze
di contraddittorio degli insinuanti e trasmesso via
pec.
Le difese del curatore (95/1)
All’interno del progetto il curatore deve
formulare le eccezioni e/o l’inefficacia del
titolo a fondamento del diritto, qualora sia
passibile di revocatoria.
Il curatore avrà agio altresì di indicare i
documenti a sostegno delle eccezioni
sollevate.
Il contraddittorio
Senza essere avvisati i creditori titolari dei
diritti sui beni possono esaminare il progetto e
presentare osservazioni scritte e documenti
integrativi all’udienza, esercitando in tal modo
il contraddittorio (95/2), entro 5 gg. mediante
trasmissione di memoria via pec.
Il rito
Anche l’accertamento del passivo si
contraddistingue per il carattere di un rito
camerale ibrido (non più scomposto in una
fase sommaria succeduta da una fase
ordinaria, in via eventuale, come il regime
previgente), in quanto il legislatore si dilunga
in una descrizione degli elementi di formacontenuto della domanda, introduce un
sistema di decadenze, regolamenta una fase
istruttoria in funzione di una cognizione piena.
Le formalità della domanda
Il legislatore, come già si è visto, offre indicazioni
di forma e contenuto della domanda (art. 93, 3°
comma), assimilabili a quelli della citazione ex art.
163 c.p.c., sanzionando la lacuna in maniera più
grave, con la inammissibilità e non con la nullità
sanabile (la specialità e la necessità di esaurire
tutto in un’unica udienza, spiega la severità del
regime).
Le decadenze
-
-
La introduzione di vere e proprie decadenze è incompatibile con un procedimento
sommario:
agli insinuanti 30 giorni dall’adunanza, come termine perentorio per la
formulazione della domanda;
al curatore, 15 giorni prima dell’adunanza, non indicato come perentorio, ma
all’udienza il giudice decide nei limiti delle conclusioni ed eccezioni formulate dal
curatore (art. 95, 3° comma), il quale deve far valere pure i profili di inefficacia del
titolo (revocatorie);
l’esercizio di un contraddittorio degli insinuanti e del curatore sino al massimo
all’adunanza, art. 95, 2° comma c.p.c.;
la possibilità di un rilievo ufficioso in udienza (art. 95, 3° comma) pone il problema
del contraddittorio delle parti, che rende inevitabile l’applicazione dell’art. 101, 2°
comma c.p.c.
è prevista una rimessione in termini per il caso di mancata produzione
documentale nel termine fissato per l’ammissione con riserva (art. 96, 3° comma,
n. 2) o dopo il giudicato come espresso motivo di revocazione (art. 98, 4° comma).
Istruttoria
Come espressione di un pieno esercizio del
diritto alla prova, questa non si compie sulla
base di un solo esame documentale ma è
contemplato ex art. 95, 3° comma, che il
giudice delegato compia veri e propri atti di
istruzione con assunzione di prove
costituende.
L’adunanza
All’adunanza partecipano le parti, ma il carattere
ufficioso del procedimento rende irrilevante la
loro assenza (art. 95, 3° comma); può intervenire
il fallito, ma nella veste di informatore (art. 95, 4°
comma c.p.c.) e non di parte.
Se all’adunanza non si esauriscono tutte le
operazioni (art. 96, 4° comma) il giudice differisce
per non oltre 8 giorni, come anche differisce per
consentire l’esercizio del diritto di contraddire a
rilievo ufficiosi o per raccogliere la prova (art. 95,
3° comma)
I provvedimenti
Il provvedimento viene assunto in forma di
decreto (maggior coerenza con il rito
camerale, rispetto al procedimento per la
dichiarazione di fallimento), con formalità di
succinta motivazione (meno gravosa della
motivazione necessaria nella sentenza per la
dichiarazione di fallimento), art. 96/1.
Contenuti dei provvedimenti
-
-
I provvedimenti possono essere:
di accoglimento (anche parziale sull’entità e
sul collocamento del creditore se prelazionato
o meno);
di rigetto;
di inammissibilità (senza preclusioni di una
riproponibilità in sede tardiva, 96/1);
con riserva (art. 96/2).
Ammissione con riserva (art. 96, 2°
comma)
L’ammissione con riserva può aversi:
- per i crediti condizionati sospensivamente;
- per i crediti per i quali manca la prova
documentale (in tal caso il giudice fissa un termine
perentorio al creditore per la produzione);
- per i crediti già accertati con sentenza non ancora
passata in giudicato per i quali esiste onere di
impugnazione in via ordinaria da parte del
curatore.
I crediti accertati con sentenza non
passata in giudicato
E’ da sottolineare che l’ipotesi sancisce
eccezionalmente un accertamento del credito
o del diritto sulla cosa, fuori dalla regole del
concorso, secondo le regole ordinarie essendo
imposto al curatore l’onere di impugnare la
sentenza che accerta il credito, ma che è
ancora impugnabile in via ordinaria.
Effetti dell’ammissione con riserva
Il legislatore della riforma ha escluso
l’assimilazione dell’ammissione con riserva ad un
rigetto, non rendendo più necessaria
l’impugnazione del provvedimento da parte del
creditore ammesso con riserva. Semplicemente
ex art. 113 bis, al verificarsi dell’evento riservato
(condizione sospensiva; deposito del documento;
esito del giudizio di impugnazione della sentenza
passata in giudicato), la parte interessata potrà
chiedere le opportune variazioni allo stato
passivo.
Ulteriori effetti della riserva
Ulteriori effetti sono costituiti:
- il diritto di partecipare al voto nella proposta
concordataria (art. 127, 1° comma);
- il diritto all’accantonamento delle somme
ricavate nei riparti parziali e al loro deposito in
quello finale (artt. 113, 1° comma e 117)
Giudicato endofallimentare
Non partecipando il debitore come parte
formale del procedimento di accertamento, il
giudicato vincolerà solo il curatore e
l’insinuante, perciò avrà efficacia
esclusivamente endofallimentare, lasciando
impregiudicata l’azione dell’imprenditore
ritornato in bonis (art. 96, u.c.)
Regime di pubblicità del decreto
Il decreto viene comunicato all’insinuante dal
curatore mediante pec con espressa
manifestazione della possibilità del creditore
di impugnare il provvedimento, nelle forme
dell’opposizione allo stato passivo (art. 97).
Le vie giurisdizionali alternative
Sono previste forme alternative ad abbreviate:
- le forme di rivendica dei beni, nella fase di inventario del
curatore, mediante istanza che consente l’immediata
consegna del bene mobili con decreto del giudice delegato
e parere del curatore del comitato dei creditori (art. 87 bis),
con il presupposto della “chiara riconoscibilità”;
- la previsione di insufficiente realizzo, con decreto motivato
del tribunale, che impedisce la trattazione delle domande,
su istanza del curatore, quando l’attivo non consente di
soddisfare oltre i crediti prededucibili e le spese di
procedura (art.102). Ciò sia prima che dopo l’adunanza. A
tale provvedimento possono reagire gli interessati con
reclamo alla Corte di appello, che instaura un rito camerale
puro.
Considerazioni sistematiche
Il carattere di procedimento camerale ibrido comporta
che la prima fase di accertamento del passivo
esaurisca un grado di giudizio e che i successivi rimedi:
- la opposizione dell’insinuante;
- l’impugnazione dei creditori concorrenti e del curatore;
- la revocazione
abbiano tutti i caratteri della impugnazione: i primi due
dell’appello; l’ultimo, come vedremo, sia della
revocazione che della opposizione di terzo.
Le incongruenze
Lo stesso legislatore, tuttavia, non sempre è coerente con
questa impostazione, come quando:
1. Sembra ammettere un impulso istruttorio d’ufficio solo
nella fase di gravame (incomprensibile) per la tutela di
situazioni di carattere privatistico come i crediti e i diritti
sulle cose (dizione poco chiara dell’art. 99, 9° comma);
2. Sembra ammettere nuove eccezioni e nuovi documenti e
nuovi mezzi di prova, senza tener conto delle decadenze
che possono essere maturate, per quanto detto, nella fase
di primo grado (art. 99,7° comma), che rende incoerente la
disciplina con l’omologo di diritto comune costituito
dall’art. 345 c.p.c. sul divieto di nova in appello.
La domanda tardiva
La domanda tardiva è consentita quando è
formulata fuori dal termine di 30 giorni
dall’adunanza, ma non è consentita a tempo
indeterminato, poiché non più possibile oltre 12
mesi dal deposito del provvedimento che da
esecutività allo stato passivo (art. 101, 1°
comma).
Tuttavia se la tardività non è colpevole, è
ammessa la domanda anche fuori da
quest’ultimo termine, purché residui dell’attivo
da distribuire (art. 101, u.c.).
Il rito della domanda tardiva
Il procedimento si svolge nelle stesse forme della
domanda tempestiva, con un procedimento unitario
che viene trattato ogni 4 mesi, raccogliendo le
domande sino a quel punto presentate (art. 101, 2°
comma).
E’ venuta meno la possibilità di un esaurimento del
procedimento di accertamento tardivo con una misura
anticipatoria che può assumere i caratteri della
definizione del procedimento (ammissione con
decreto, quando non vi è la contestazione del
curatore). E riconosciuta solo al titolare di diritti sulla
cosa una misura di sospensione della liquidazione sul
bene che ne è oggetto (art. 101, 3° comma).
La tutela del titolare di diritto sul bene
Si è detto che nelle forme dell’accertamento del
passivo è accertato anche il diritto reale o il
diritto personale di godimento su cosa mobile o
immobile (quest’ultima novità della riforma,
essendo originariamente la rivendica di bene
immobile regolata dalle norme di diritto
comune), nella diversa graduazione dell’azione di
rivendicazione (tutela di diritto reale) e azione di
restituzione (quando il fallito ha un mero titolo di
detenzione qualificata del bene).
Segue: l’onere della prova (art. 103)
Nell’azione di rivendicazione il titolare di diritto
reale deve provare il fatto costitutivo del suo
diritto con titolo avente data certa anteriore al
fallimento (ex art. 2704 c.c. o trascritto prima del
fallimento), ma deve anche dare prova del titolo di
detenzione del fallito (con l’avvertenza che è
espressamente richiamato il divieto dell’art. 621
c.p.c. alla prova testimoniale).
In relazione alla domanda di restituzione, invece,
basta la prova del titolo di detenzione e la sua
durata.
La conversione della domanda (103/1)
La domanda a tutela di un diritto reale può
essere convertita in domanda a tutela di un
credito:
1. nel caso in cui il bene non sia rinvenuto
nell’attivo fallimentare;
2. se il possesso del bene viene perduto dal
curatore dopo averlo acquisito;
3. se il diritto ha ad oggetto beni fungibili.
Azioni residue
Nel caso in cui la tardività non consenta al terzo di
evitare la vendita del bene (anche perché non sospesa
la liquidazione) secondo le regole ordinarie l’insinuante
potrà agire solo sulle somme ricavate, in via analogica
all’art. 620 c.p.c.
Se neppure vi è somma da ripartire la tutela è
consentita solo nei limiti della fattispecie di malafede
del curatore (art. 2920 c.c.), come azione di danni. E’
fatta salva l’azione ex art. 1706 c.p.c., ovvero la speciale
azione del mandante per il recupero dei beni presso il
mandatario senza rappresentanza, azione che non
viene quindi assoggettata al concorso.
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