3. Il processo camerale ibrido Lezioni anno accademico 2013/2014 Secondo semestre L’opzione della riforma E’ già stato possibile evidenziare che la riforma ha abbandonato il modello monitorio processo sommario-eventuale processo ordinario di opposizione, per optare verso le forme camerali-sommarie, che già avevano contraddistinto in parte il diritto fallimentare nel regime previgente. Scelta non unilaterale In realtà la scelta non è univoca, poiché in alcuni casi: - Processo per la dichiarazione di fallimento; - Processo di accertamento dei crediti e dei diritti reali; - Processo di impugnativa degli atti degli organi giurisdizionali del fallimento; il legislatore ha adottato un modello camerale ibrido. Il camerale ibrido Per camerale ibrido deve intendersi un richiamo alle forme camerali solo formale e nominalistico essendosi nella realtà adottato un modello assimilabile ad un processo di cognizione piena con rito speciale. Ne sono indicative le prescrizioni in ordine alla domanda (analogia all’art. 163 c.p.c.), in ordine all’atto difensivo del convenuto (analogia all’art. 167 c.p.c.); in ordine alla introduzione di un sistema di preclusioni all’attività difensiva delle parti; la disciplina di un’attività istruttoria in cui ha svolgimento il diritto alla prova della parte con attenuazione dei poteri istruttori dell’ufficio, la frequentazione di misure anticipatorie. La diversificazione dei camerali ibridi Tuttavia il legislatore non adotta un unico processo camerale ibrido che nasconde un processo a cognizione piena di diritto speciale, ma vari modelli diversificati, con riti speciali differenti l’uno all’altro, distinguendosi: - Il rito per la dichiarazione di fallimento; - Il rito per l’accertamento del passivo; - Il rito per la impugnativa degli atti degli organi giurisdizionali Il modello camerale puro Viene tuttavia adottato in alcune ipotesi (le impugnative degli atti degli organi amministrativi del fallimento; i procedimenti di ripartizione del ricavato, di chiusura del fallimento, di rendiconto, di esdebitazione, ecc.) il c.d. camerale puro, ovvero il richiamo agli artt. 737 e ss. c.p.c. senza alcuna variante, con una disciplina non univoca anche in questo caso. I processi sommari fallimentari Oltre ad un processo camerale ibrido e puro, con connotati di evidente specialità del diritto processuale fallimentare, il nuovo sistema riformato conosce alcuni episodi di tutele sommarie di natura cautelare e/o anticipatoria, che pure essi dovranno essere oggetto di studio particolare per la loro specialità. La specialità del diritto processuale fallimentare E’ necessario dunque studiare la specialità del diritto processuale fallimentare muovendo prima dal processo camerale ibrido per poi esaminare in un secondo capitolo il processo camerale puro ed infine in un ultimo capitolo la cognizione i processi cautelari sommari e non nel diritto fallimentare. Il processo per la dichiarazione di fallimento Funzione dichiarativa e sostitutiva Già si è detto che il processo per la dichiarazione di fallimento che assume i caratteri del rito camerale ibrido ha la funzione di accertare la fattispecie dell’imprenditore commerciale insolvente, aprendo, come effetto costitutivo, l’applicazione del regime del diritto concorsuale ed in specie dedicato al fallimento in senso stretto. La giurisdizione Il tema della giurisdizione deve tener conto della sempre maggiore integrazione internazionale delle imprese, con sedi in varie nazioni e i principi della concorsualità che implicano il coinvolgimento dell’universalità dei beni, dal lato attivo, e della universalità dei creditori, dal lato passivo. Il problema Dunque non si tratta solo di identificare un giudice, ma quello di coordinare le eventuali procedure concorsuali promosse nei vari ordinamenti. Stati Extraeuropei-stati europei Mentre per la comunità europea è stato adottato un regolamento (n. 1346 del 29 maggio 2000), le imprese multinazionali con sedi in stati extra europei, sono ancora assoggettate all’art. 9. Regime previgente Il vecchio tenore dell’art. 9 sanciva, in aderenza al principio autarchico che ispirava il ventennio (autosufficienza dell’economia dell’ordinamento italiano), ammetteva la giurisdizione del giudice italiano anche se l’impresa aveva sede principale all’estero. La norma non si poneva alcun problema di coordinamento tra i diversi procedimenti Correttivo interpretativo All’interprete non restava che applicare l’art. 7, legge n. 218/1995, laddove in caso di litispendenza internazionale imponeva il criterio della prevenzione come soluzione al conflitto. Disciplina attuale L’attuale tenore prevede la dichiarazione di fallimento in Italia anche se l’impresa ha sede principale all’estero, sottintendendo che l’impresa debba avere almeno in Italia una sede secondaria. La riprova è nell’ultimo comma dell’art. 9 che fa salva la giurisdizione italiana anche in caso di trasferimento all’estero nell’anno della sede. Imprenditori con beni in Italia Qualora l’imprenditore non abbia sede in Italia, neppure secondaria, non potrà aversi dichiarazione di fallimento. Per i beni di cui è proprietario in Italia varranno le regole di diritto internazionale privato processuale sull’efficacia dei provvedimenti giurisdizionali stranieri in Italia. Salvezza del regime convenzionale Resta salva una diversa determinazione delle convenzioni internazionali e della normativa comunitaria (attualmente solo San Marino del 1939, mentre la convenzioni con Francia e Austria sono assorbite nel regolamento). Il regolamento CE Con il regolamento n. 1346 si è risolto sia il profilo della giurisdizione, che il profilo del coordinamento tra le plurime concorsuali. La giurisdizione Il regolamento contempla la giurisdizione del paese ove l’impresa ha la sede principale e la giurisdizione dei paesi ove l’impresa ha sede secondaria, distinguendo un fallimento principale da un fallimento secondario. Sede principale La nozione comunitaria corrisponde alla nozione interna di centro degli interessi dell’imprenditore (art. 9, 1° comma), ovvero il luogo ove vengono assunte le decisioni fondamentali dell’impresa, normalmente il luogo dell’amministrazione, non esclusivamente il luogo della produzione o dello scambio di merci o servizi. Coordinamento sotto il profilo dell’azione - Il curatore del fallimento principale può assumere iniziativa cautelare e conservativa, prima che sia dichiarato il fallimento secondario nell’ordinamento corrispondente; - Il curatore del fallimento principale può promuovere una procedura secondaria in altro ordinamento; - Il curatore del fallimento principale può insinuare al passivo del fallimento secondario tutti i creditori già ammessi al suo passivo. Coordinamento sotto il profilo della litispendenza - La procedura secondaria può aver luogo anche quando non è promossa o non può aver luogo quella principale; - il curatore di uno qualunque dei fallimenti deve informare tutti i creditori, indicando le forme dell’atto di insinuazione, che possono insinuarsi nel suo fallimento; - il fallimento secondario può esser sospeso in attesa degli esiti di quello principale se capace di chiudere il fallimento e il residuo attivo di quello secondario deve essere trasferito a quello principale. Coordinamento sotto il profilo dei provvedimenti La sentenza che dichiara il fallimento in uno Stato è efficace anche nell’altro, salvo la violazione di regole di ordine pubblico e l’efficacia riguarda anche tutte le misure conservative, pure aventi forma diversa dalla sentenza e pure i provvedimenti di cause connesse, come l’azione revocatoria fallimentare. Competenza per materia e per territorio E’ per materia competente il tribunale sul procedimento per la dichiarazione di fallimento del luogo ove ha sede principale l’impresa (competenza territoriale inderogabile ex art. 38 c.p.c. essendo dettata per un procedimento in camera di consiglio). Ratio La delicatezza della materia e gli interessi pubblici implicati, rappresentati dall’intervento necessario del P.M., rendono necessaria la competenza per materia del tribunale. Sul piano territoriale il riferimento è al centro direttivo degli interessi dell’imprenditore dove sono più facilmente reperibili i dati contabili necessari (per questo non ha rilievo il luogo dell’attività produttiva o dell’atto tipico dell’imprenditore, ma il centro della direzione e amministrazione dell’impresa). Sede formale e sede sostanziale Il riferimento è normalmente alla sede indicata nel registro delle imprese, ma sino alla prova contraria, poiché in tal caso prevale la sede sostanziale o di fatto. Perpetuatio iurisdictionis Onde evitare frodi alla ricerca del giudice più favorevole, non hanno rilievo i trasferimenti della sede entro l’anno dal deposito della domanda per la dichiarazione di fallimento (art. 9, 2° comma). La pronuncia sulla competenza: regime previgente In difetto dell’attuale ampia disciplina, la Corte di cassazione aveva ammesso un regolamento di competenza nel caso di conflitti positivi o negativi di competenza nell’ambito fallimentare, forzando l’istituto: 1. ammettendo un regolamento fuori termine (art. 47 c.p.c.); 2. Non estendendo la disciplina sulla traslatio iudicii (art. 50 c.p.c.) segue In caso di conflitto positivo, il giudice di legittimità applicava il criterio della prevenzione (art. 39, 1° comma c.p.c.). In caso di conflitto negativo era dato al secondo giudice lo strumento del regolamento d’ufficio ex art. 45 c.p.c. segue In caso di pronuncia di fallimento, il profilo sulla sola competenza doveva essere fatto valere con il regolamento necessario; un’impugnativa mista, con l’opposizione. In caso di rigetto del fallimento per incompetenza, era inevitabile il reclamo ex art. 22 e all’esito l’eventuale regolamento necessario di competenza. il problema della inapplicabilità dell’art. 50 c.p.c. Nel caso di pronuncia sulla competenza non era chiaro se il giudice dovesse limitarsi a revocare il fallimento o indicare il giudice competente e trasferire d’ufficio gli atti al medesimo (stante l’originaria promuovibilità d’ufficio del fallimento). La lettura prevalente era nel senso della trasmissibilità degli atti al giudice indicato come competente, salvo regolamento d’ufficio da parte di quest’ultimo. La riforma La riforma interviene con un’articolata disciplina, sul conflitto positivo di competenza e sul conflitto negativo, in modo da risolvere tutti i problemi del recente passato, che erano stati costretti a forzare la disciplina. Conflitto positivo: art. 9 ter In caso di duplice dichiarazione di fallimento, il conflitto è risolto con il criterio della prevenzione (1° comma), salvo che il secondo giudice non ritenga opportuno sollevare regolamento d’ufficio ex art. 45 c.p.c. Se il secondo giudice non ritiene di sollevare regolamento d’ufficio, trasmette gli atti al primo giudice e restano salvi gli effetti degli atti compiuti (per richiamo all’art. 9 bis). Conflitto negativo: art. 9 bis Il giudice che si dichiara incompetente dispone la trasmissione degli atti a quello competente e il giudice indicato come competente se non solleva regolamento d’ufficio della competenza, dispone dinanzi a sé la prosecuzione del fallimento, nominando giudice delegato il curatore. Restano salvi gli atti compiuti nel primo fallimento. La soluzione dei conflitti Pertanto anche dopo la riforma è la Corte di cassazione, adita in sede di regolamento d’ufficio, a risolvere i conflitti positivi o negativi di competenza. Avverso le sentenze che dichiarano il fallimento e sottintendono la competenza del giudice adito, è consentito in caso di impugnativa mista il reclamo ex art. 18, in caso di impugnativa solo per la competenza, il regolamento. Avverso i decreti di rigetto, previo reclamo ex art. 22, è consentito contro il decreto che decide il reclamo, il regolamento di competenza. La legittimazione: art. 6 L’art. 6 dopo la riforma esclude un impulso officioso per la dichiarazione di fallimento, escludendo che il giudice possa d’ufficio provvedere ancorché siano implicati nel procedimento interessi generali e non particolari, rispetto ai quali è legittimato il p.m Pertanto la legittimazione spetta al creditore, al p.m. e allo stesso imprenditore/debitore. La vera legittimazione: il creditore Non si deve dimenticare che ex art. 118, n.1, la mancata proposizione di una domanda di insinuazione al passivo importa la chiusura del fallimento, ovvero l’impossibilità di proseguire nell’amministrazione e liquidazione fallimentare. Ciò implica l’assoluta centralità dell’iniziativa del creditore (è da constatare poi che in caso di provvedimento di rigetto legittimato al reclamo è il solo creditore (ex art. 22, 2° comma). La legittimazione del P.M. Il P.M. non ha legittimazione generalizzata, ma solo nei casi indicati nell’art. 7: - quando l’insolvenza risulti in procedimento penale e da fatti esteriori che integrino insolvenza, noti al P.M. (fuga, chiusura locali, trafugamento sostituzione e diminuzione dell’attivo); - quando l’insolvenza è segnalata dal giudice civile. La ratio della legittimazione del p.m. è nella esercizio dell’azione penale per reprimere i reati fallimentari. L’iniziativa del debitore Il debitore ha un diritto di chiedere il proprio fallimento per beneficiare degli effetti della procedura, come l’esdebitazione. Il debitore ha un obbligo a chiedere il suo fallimento, per non aggravare il suo dissesto (l’omissione con aggravio di dissesto integra il diritto di bancarotta semplice). L’inquadramento del fallimento come beneficio, non spiega la ragione per cui l’imprenditore non abbia azione di reclamo contro il diniego del suo fallimento, ciò che pone problemi di costituzionalità Il procedimento: l’audizione facoltativa La legge del 1942 prevedeva come eventuale l’audizione dell’imprenditore dopo la formulazione della domanda per la dichiarazione del suo fallimento (art. 15). Corte cost. n. 141 del 1970, che ha aperto il fallimento alla processualità e al contraddittorio, ha dichiarato l’incostituzionalità della norma, per cui l’audizione è diventata obbligatoria Art. 15: forma e termini di convocazione dell’imprenditore La pronuncia della Corte cost. lasciava tuttavia impregiudicato il profilo delle forme con le quali il contraddittorio doveva essere assicurato e del termine a difesa necessario per l’imprenditore. L’art. 15, 3° comma; assicura invece forme e termini: - termine a difesa di 15 giorni; - forma della notifica. Abbreviazione dei termini, deformalizzazione della convocazione Particolare ragione d’urgenza, ad esempio l’imminenza della scadenza dei termini di cui agli artt. 10 e 11, rende ragione di una abbreviazione discrezionale dei termini, introdotta con la novella del 2007, da parte del giudice e di modalità di convocazione “con ogni mezzo idoneo” capace di portare a conoscenza dell’imprenditore la pendenza del procedimento (art. 15, 5° comma). Convocazione non necessaria Se il fallito ha formulato egli stesso la domanda per la dichiarazione del suo fallimento, non ha senso la sua convocazione per contraddire. Più dubitativamente la giurisprudenza esclude l’obbligo di convocazione quando vi sia una reiterazione dei creditori tutti riuniti nello stesso procedimento: se egli ha contraddetto su una non deve contraddire sulle altre. I termini di costituzione Il convenuto (art. 15, 4° comma) deve costituirsi 7 giorni prima dell’udienza con memoria, deposito documenti e relazione tecnica (in relazione alla fallibilità), ma tale termine non è previsto a pena di decadenza, essendo il procedimento – come vedremo – aperto ad una sostanziale illimitata iniziativa d’ufficio nella ricerca della prova. Poteri istruttori d’ufficio Il giudice, infatti, gode di poteri istruttori accentuati: - Potendo imporre all’imprenditore il deposito dei bilanci degli ultimi tre esercizi ed una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata, nonché altre informazioni urgenti (art. 15, 4° comma); - Disporre, per il tramite del giudice delegato l’audizione delle parti, l’ammissione e l’espletamento di qualsiasi mezzo istruttorio. Divieto di istruttoria segreta Nell’esercizio dei poteri istruttori il giudice deve consentire che la prova sia raccolta con il contraddittorio delle parti o che le parti possano interloquire sulle prove precostituite, sotto pena di nullità degli atti e della sentenza che dichiara il fallimento. Il diritto alla prova delle parti Il procedimento sancisce un pieno diritto alla prova delle parti: - Mediante documenti e relazioni tecniche in allegato agli atti introduttivi (art. 15, 4° comma) ; - mediante istanza per l’espletamento di qualsiasi mezzo istruttorio, non necessariamente solo documentale (art. 15, 6° comma); - Mediante l’ausilio di consulenti tecnici (art. 15, 7° comma). Onere della prova In ordine all’art. 2697 c.c.: - il proponente deve allegare e provare la sua legittimazione (esistenza del credito anche non esigibile; esistenza di fatti di rilievo penale emersi in un dibattimento o di segnalazione del giudice civile sull’insolvenza); la qualità di imprenditore commerciale del debitore, l’insolvenza e il superamento della soglia di cui all’art 15 u.c.; - il convenuto deve provare il non superamento della propria impresa delle soglie quantitative per la non fallibilità (art. 1, 2° comma) Misure cautelari In pendenza del procedimento, a tutela del patrimonio, il tribunale può emettere misure cautelari ad istanza di parte (e quindi non d’ufficio): misure assimilabili al sequestro giudiziario, aventi la durata del procedimento sino al provvedimento finale (poiché i loro effetti sono prodotti anche dalla sentenza che dichiara il fallimento, v. spossessamento dell’imprenditore) il conservativo diventa anticipatorio Attraverso la nomina del custode nel sequestro giudiziario che assume il possesso dell’attivo fallimentare, il tribunale produce effetti anticipatori ovvero affida funzioni gestorie già proprie del curatore al custode. Camerale ibrido La previsione di un termine a difesa, le formalità di costituzione del convenuto e il termine fissato ad esso, l’ampio svolgimento di una istruttoria ed infine la previsione di provvedimenti interinali di natura cautelare costituiscono tutti elementi per assimilare il procedimento per la dichiarazione di fallimento ad un procedimento camerale ibrido, ovvero ad un processo a cognizione piena di rito speciale. Decreto di rigetto In caso di rigetto della domanda, in coerenza con il rito camerale il provvedimento assume la forma del decreto motivato, suscettibile di reclamo entro 30 giorni dalla comunicazione (art. 22). La sentenza dichiaratrice di fallimento In caso di accoglimento per la maggiore complessità degli elementi, che danno ragione di una motivazione più ampia, la forma del provvedimento è quella della sentenza, suscettibile di reclamo entro 30 giorni dalla comunicazione (art.18). Il reclamo avverso il decreto negativo Legittimato al reclamo sono il creditore ricorrente e il Pubblico Ministero. La norma non legittima al reclamo l’imprenditore-debitore, ciò che appare di dubbia costituzionalità: - perché l’imprenditore- debitore ha un suo diritto di fallire per acquisirne i benefici; - perché solo in sede di reclamo possono esser e fatti valere i motivi di gravame avverso il capo relativo alle spese e la condanna ai danni per responsabilità processuale aggravata (Corte cost. n. 328/99, aveva già ritenuto incompatibile la vecchia previsione che escludeva il debitore dalla legittimazione). Camerale puro Sotto il profilo processuale la norma recita (art. 22, 2° comma): “La Corte di appello…sentite le parti, provvede in camera di consiglio con decreto motivato”. Nessuna altra norma sul procedimento, ciò che fa deporre per l’adozione di un rito camerale puro in sede di reclamo. il parallelismo Tuttavia la identità delle forme e dei contenuti fa pensare oggi ad un’assimilazione dei reclami, entrambi dunque camerali ibridi ovvero appelli speciali, soggetti alle stesse regole, il che fa pensare che il decreto come la sentenza siano destinati a passare in giudicato, in difetto di appello nei termini. Accoglimento del reclamo Art. 22, 4° comma, la Corte di appello, nell’accoglimento del reclamo non pronuncia il fallimento, ma rimette le parti innanzi al Tribunale per la relativa pronuncia. Il tribunale pronuncia di conseguenza il fallimento, salvo che per fatti sopravvenuti siano venuti meno i presupposti: insolvenza risolta o perdita della qualità di imprenditore commerciale fallibile (naturalmente il tribunale potrà riesaminare i profili rimasti assorbiti da una precedente pronuncia in rito poi riformata). Revocabilità e modificabilità del decreto di rigetto Il decreto di rigetto non impedisce la riproposizione della domanda per la dichiarazione di fallimento a fronte di nuove circostanze ex art. 742 c.p.c. Ma l’assimiliazione dei reclami, fa pensare che anche il decreto possa passare in giudicato. La sentenza che dichiara il fallimento - Oltre ai contenuti previsti nell’art. 132 ed in particolare l’esposizione in motivazione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, l’art. 16 detta contenuti speciali alla sentenza: nomina del giudice delegato; nomina del curatore; ordine di deposito del bilancio e delle scritture fiscali obbligatorie all’imprenditore entro 3 giorni; luogo, giorno e ora dell’adunanza per l’esame dello stato passivo e il termine anteriore per il deposito delle relative domande di accertamento dei crediti e dei diritti reali e personali su cose. La diversa efficacia della sentenza La sentenza ha diversi effetti per il debitore o per i terzi: - per il primo dalla pubblicazione, ovvero dal deposito; - per i secondi dalla iscrizione nel registro delle imprese; Art. 16, 2° comma Il giudicato La sentenza è idonea al giudicato in difetto di gravame nelle forme del reclamo ex art. 18 (istituto che verrà esaminato in sede di studio dei mezzi di impugnazione consentiti nel diritto fallimentare). Effetti della sentenza e pubblicità Gli effetti della sentenza che dichiara il fallimento, assimilabili a quelli di un sequestro conservativo e/o di un pignoramento che tuttavia, in virtù delle regole del concorso, colpisce unitariamente tutti i beni del patrimonio, rende necessario un’idonea pubblicità. Vecchio regime A tale fine non è sufficiente la disciplina previgente che prevedeva la comunicazione per estratto in sintesi della sentenza al debitore, l’affissione alla porta esterna del tribunale e l’iscrizione nel registro delle imprese. Il nuovo regime di pubblicità Più correttamente l’attuale disciplina prevede formale notifica al debitore, il quale è così consapevole del dies a quo necessario per impugnarla e segue la successiva formalità di una annotazione (più esattamente iscrizione) nel registro delle imprese (cfr. art. 17, 1° e 2° comma). Per assicurare la pubblicità verso terzi, l’art. 17, 3° comma, impone al cancelliere il giorno successivo dal deposito della sentenza di trasmettere, anche per via telematica, la sentenza al registro delle imprese. 2. L’accertamento del passivo La necessità dell’accertamento dei crediti Differentemente dall’esecuzione individuale, dove l’accertamento dei crediti è eventuale (art. 512 c.p.c.: contestazione in sede di riparto) e dove il creditore, con il suo intervento, deve semplicemente indicare il proprio credito, il titolo che lo costituisce e di essere munito di titolo esecutivo (se manca del titolo esecutivo, il credito deve essere accertato in sede esecutiva), in sede concorsuale i crediti per ragioni di concorso devono necessariamente essere accertati in un apposito procedimento. L’accertamento dei diritti reali e personali di godimento Similmente all’opposizione del terzo alla esecuzione ex art. 619 c.p.c., è prevista anche nel diritto fallimentare un’azione con la quale il terzo titolare di un diritto reale o un diritto personale di godimento su di un bene (mobile o immobile) che appartiene all’attivo fallimentare, chiede che il medesimo sia sottratto alla liquidazione concorsuale e gli sia restituito. Le attività preliminari: l’avviso Le esigenze del concorso impongono la massima pubblicità al ceto creditorio della pendenza del procedimento fallimentare: - la pubblicità che deriva ex art. 17 dall’iscrizione nel registro delle imprese, di una sentenza che contiene l’indicazione del termine per la presentazione delle domande e dell’adunanza; - l’avviso, in forma raccomandata, diretto ai singoli creditori e ai titolari di diritti reali (art. 92) previa ricostruzione dell’elenco dei creditori e dei titolari di diritti reali (art. 89); - I particolari contenuti dell’avviso: termine per la presentazione delle domande, forma per la presentazione delle domande, udienza fissata per l’esame dello stato passivo, ogni ulteriore informazione utile (indicazione della Pec della curatela). L’avviso nell’esecuzione singolare Nell’esecuzione singolare, l’avviso ha tutt’altra funzione: quella di permettere ai creditori muniti di prelazione risultante dai pubblici registri (498 c.p.c.) di intervenire, onde tutelarsi dall’effetto “purgativo” della vendita forzata (art. 586 c.p.c.) . Le conseguenze del mancato avviso Le conseguenze del mancato avviso sono anch’esse diverse, non l’impedimento alla vendita, ma la facoltà del creditore o titolare del diritto reale di presentare domanda tardiva (art. 101, u.c.) e di prelevare dai riparti successivi quanto gli sarebbe spettato se insinuato tempestivo (art. 112). L’avviso comunitario Le notizie contenute nell’avviso sono ancora più accentuate nel regolamento comunitario, in quanto esso è accompagnato da un fac simile dell’atto di insinuazione (art. 40) ed è contemplata la facoltà di un curatore di un fallimento di insinuare tutti i crediti del proprio fallimento in quelli di un altro fallimento. La domanda La domanda ha la forma del ricorso nel quale deve essere indicato il titolo del credito e fornita la relativa prova del fatto costitutivo (il diritto reale autoindividuato, se potrebbe in astratto non rendere necessaria l’allegazione del fatto, per la celerità del procedimento e per la difficoltà di un recupero in sede di adunanza, necessita dell’allegazione del fatto e della sua prova). forma elettronica Il ricorso può essere presentato solo in forma elettronica (art.93, 3° comma): - mediante trasformazione del ricorso formato con un qualunque programma di scrittura stampato e sottoscritto e convertito in formato pdfimmagine; - oppure mediante pdf-scrittura sottoscritto con firma digitale. All’indirizzo pec indicato dal curatore nell’avviso e attraverso indirizzo pec La prova La prova privilegiata è certamente quella documentale (art. 93, 6° comma), ma non è da escludere la possibilità di utilizzare prove costituende (art. 95, 3° comma). La prova documentale non necessariamente deve essere allegata alla domanda, potendo essere prodotta all’udienza (art. 95, 2° comma) o addirittura anche dopo l’adunanza (in relazione all’ammissione con riserva di cui all’art. 96, 2° comma, n. 2). la prova in formato elettronico La prova documentale deve essere trasformata in pdf elettronico e trasmessa nella pec, in allegato con il ricorso. Solo i titoli di credito prodotti in originale. Domanda cautelare Alla domanda di rivendica e/o restituzione, a tutela di un diritto reale o personale di godimento, può essere in analogia all’art. 624 c.p.c., unita una domanda cautelare di sospensione della liquidazione del bene oggetto della domanda (93, 7° comma). Effetti della domanda (art.94) - - Alla domanda sono offerti gli stessi effetti di una domanda del processo comune: interruzione e sospensione della prescrizione; impedimento della decadenza; impedimento della rinnovazione dei contratti di durata; trasformazione della buona fede in mala fede, nella tutela possessoria; Termine (art. 93, 1° co.) Il termine perentorio nel quale la domanda deve essere presentata è di 30 giorni anteriori all’adunanza; in difetto, il creditore o il titolare del diritto sulla cosa possono presentare solo domanda tardiva (la perentorietà è sancita dall’art. 16, n. 5). Sanzioni alla domanda In difetto di un elemento formale della domanda non integra semplicemente nullità ex art. 164 c.p.c, ma vero e proprio caso di inammissibilità (insanabile) e ciò per il caso di mancata indicazione della procedura e delle parti; dell’ammontare del credito e/o del bene oggetto del diritto reale, infine della mancata forma e trasmissione elettronica; la inammissibilità non preclude la riproponibilità della domanda nelle forme della insinuazione tardiva (artt. 93, 4 comma e 96, 1° comma). L’atto difensivo del curatore (art. 95/2) Il curatore non deve essere inquadrato come ausiliario del giudice, ma come vera e propria parte. La formazione preliminare dello stato passivo, effettuata senza l’ausilio del giudice, costituisce il suo atto difensivo, che deve essere perfezionato 15 giorni prima dell’adunanza, per ovvie esigenze di contraddittorio degli insinuanti e trasmesso via pec. Le difese del curatore (95/1) All’interno del progetto il curatore deve formulare le eccezioni e/o l’inefficacia del titolo a fondamento del diritto, qualora sia passibile di revocatoria. Il curatore avrà agio altresì di indicare i documenti a sostegno delle eccezioni sollevate. Il contraddittorio Senza essere avvisati i creditori titolari dei diritti sui beni possono esaminare il progetto e presentare osservazioni scritte e documenti integrativi all’udienza, esercitando in tal modo il contraddittorio (95/2), entro 5 gg. mediante trasmissione di memoria via pec. Il rito Anche l’accertamento del passivo si contraddistingue per il carattere di un rito camerale ibrido (non più scomposto in una fase sommaria succeduta da una fase ordinaria, in via eventuale, come il regime previgente), in quanto il legislatore si dilunga in una descrizione degli elementi di formacontenuto della domanda, introduce un sistema di decadenze, regolamenta una fase istruttoria in funzione di una cognizione piena. Le formalità della domanda Il legislatore, come già si è visto, offre indicazioni di forma e contenuto della domanda (art. 93, 3° comma), assimilabili a quelli della citazione ex art. 163 c.p.c., sanzionando la lacuna in maniera più grave, con la inammissibilità e non con la nullità sanabile (la specialità e la necessità di esaurire tutto in un’unica udienza, spiega la severità del regime). Le decadenze - - La introduzione di vere e proprie decadenze è incompatibile con un procedimento sommario: agli insinuanti 30 giorni dall’adunanza, come termine perentorio per la formulazione della domanda; al curatore, 15 giorni prima dell’adunanza, non indicato come perentorio, ma all’udienza il giudice decide nei limiti delle conclusioni ed eccezioni formulate dal curatore (art. 95, 3° comma), il quale deve far valere pure i profili di inefficacia del titolo (revocatorie); l’esercizio di un contraddittorio degli insinuanti e del curatore sino al massimo all’adunanza, art. 95, 2° comma c.p.c.; la possibilità di un rilievo ufficioso in udienza (art. 95, 3° comma) pone il problema del contraddittorio delle parti, che rende inevitabile l’applicazione dell’art. 101, 2° comma c.p.c. è prevista una rimessione in termini per il caso di mancata produzione documentale nel termine fissato per l’ammissione con riserva (art. 96, 3° comma, n. 2) o dopo il giudicato come espresso motivo di revocazione (art. 98, 4° comma). Istruttoria Come espressione di un pieno esercizio del diritto alla prova, questa non si compie sulla base di un solo esame documentale ma è contemplato ex art. 95, 3° comma, che il giudice delegato compia veri e propri atti di istruzione con assunzione di prove costituende. L’adunanza All’adunanza partecipano le parti, ma il carattere ufficioso del procedimento rende irrilevante la loro assenza (art. 95, 3° comma); può intervenire il fallito, ma nella veste di informatore (art. 95, 4° comma c.p.c.) e non di parte. Se all’adunanza non si esauriscono tutte le operazioni (art. 96, 4° comma) il giudice differisce per non oltre 8 giorni, come anche differisce per consentire l’esercizio del diritto di contraddire a rilievo ufficiosi o per raccogliere la prova (art. 95, 3° comma) I provvedimenti Il provvedimento viene assunto in forma di decreto (maggior coerenza con il rito camerale, rispetto al procedimento per la dichiarazione di fallimento), con formalità di succinta motivazione (meno gravosa della motivazione necessaria nella sentenza per la dichiarazione di fallimento), art. 96/1. Contenuti dei provvedimenti - - I provvedimenti possono essere: di accoglimento (anche parziale sull’entità e sul collocamento del creditore se prelazionato o meno); di rigetto; di inammissibilità (senza preclusioni di una riproponibilità in sede tardiva, 96/1); con riserva (art. 96/2). Ammissione con riserva (art. 96, 2° comma) L’ammissione con riserva può aversi: - per i crediti condizionati sospensivamente; - per i crediti per i quali manca la prova documentale (in tal caso il giudice fissa un termine perentorio al creditore per la produzione); - per i crediti già accertati con sentenza non ancora passata in giudicato per i quali esiste onere di impugnazione in via ordinaria da parte del curatore. I crediti accertati con sentenza non passata in giudicato E’ da sottolineare che l’ipotesi sancisce eccezionalmente un accertamento del credito o del diritto sulla cosa, fuori dalla regole del concorso, secondo le regole ordinarie essendo imposto al curatore l’onere di impugnare la sentenza che accerta il credito, ma che è ancora impugnabile in via ordinaria. Effetti dell’ammissione con riserva Il legislatore della riforma ha escluso l’assimilazione dell’ammissione con riserva ad un rigetto, non rendendo più necessaria l’impugnazione del provvedimento da parte del creditore ammesso con riserva. Semplicemente ex art. 113 bis, al verificarsi dell’evento riservato (condizione sospensiva; deposito del documento; esito del giudizio di impugnazione della sentenza passata in giudicato), la parte interessata potrà chiedere le opportune variazioni allo stato passivo. Ulteriori effetti della riserva Ulteriori effetti sono costituiti: - il diritto di partecipare al voto nella proposta concordataria (art. 127, 1° comma); - il diritto all’accantonamento delle somme ricavate nei riparti parziali e al loro deposito in quello finale (artt. 113, 1° comma e 117) Giudicato endofallimentare Non partecipando il debitore come parte formale del procedimento di accertamento, il giudicato vincolerà solo il curatore e l’insinuante, perciò avrà efficacia esclusivamente endofallimentare, lasciando impregiudicata l’azione dell’imprenditore ritornato in bonis (art. 96, u.c.) Regime di pubblicità del decreto Il decreto viene comunicato all’insinuante dal curatore mediante pec con espressa manifestazione della possibilità del creditore di impugnare il provvedimento, nelle forme dell’opposizione allo stato passivo (art. 97). Le vie giurisdizionali alternative Sono previste forme alternative ad abbreviate: - le forme di rivendica dei beni, nella fase di inventario del curatore, mediante istanza che consente l’immediata consegna del bene mobili con decreto del giudice delegato e parere del curatore del comitato dei creditori (art. 87 bis), con il presupposto della “chiara riconoscibilità”; - la previsione di insufficiente realizzo, con decreto motivato del tribunale, che impedisce la trattazione delle domande, su istanza del curatore, quando l’attivo non consente di soddisfare oltre i crediti prededucibili e le spese di procedura (art.102). Ciò sia prima che dopo l’adunanza. A tale provvedimento possono reagire gli interessati con reclamo alla Corte di appello, che instaura un rito camerale puro. Considerazioni sistematiche Il carattere di procedimento camerale ibrido comporta che la prima fase di accertamento del passivo esaurisca un grado di giudizio e che i successivi rimedi: - la opposizione dell’insinuante; - l’impugnazione dei creditori concorrenti e del curatore; - la revocazione abbiano tutti i caratteri della impugnazione: i primi due dell’appello; l’ultimo, come vedremo, sia della revocazione che della opposizione di terzo. Le incongruenze Lo stesso legislatore, tuttavia, non sempre è coerente con questa impostazione, come quando: 1. Sembra ammettere un impulso istruttorio d’ufficio solo nella fase di gravame (incomprensibile) per la tutela di situazioni di carattere privatistico come i crediti e i diritti sulle cose (dizione poco chiara dell’art. 99, 9° comma); 2. Sembra ammettere nuove eccezioni e nuovi documenti e nuovi mezzi di prova, senza tener conto delle decadenze che possono essere maturate, per quanto detto, nella fase di primo grado (art. 99,7° comma), che rende incoerente la disciplina con l’omologo di diritto comune costituito dall’art. 345 c.p.c. sul divieto di nova in appello. La domanda tardiva La domanda tardiva è consentita quando è formulata fuori dal termine di 30 giorni dall’adunanza, ma non è consentita a tempo indeterminato, poiché non più possibile oltre 12 mesi dal deposito del provvedimento che da esecutività allo stato passivo (art. 101, 1° comma). Tuttavia se la tardività non è colpevole, è ammessa la domanda anche fuori da quest’ultimo termine, purché residui dell’attivo da distribuire (art. 101, u.c.). Il rito della domanda tardiva Il procedimento si svolge nelle stesse forme della domanda tempestiva, con un procedimento unitario che viene trattato ogni 4 mesi, raccogliendo le domande sino a quel punto presentate (art. 101, 2° comma). E’ venuta meno la possibilità di un esaurimento del procedimento di accertamento tardivo con una misura anticipatoria che può assumere i caratteri della definizione del procedimento (ammissione con decreto, quando non vi è la contestazione del curatore). E riconosciuta solo al titolare di diritti sulla cosa una misura di sospensione della liquidazione sul bene che ne è oggetto (art. 101, 3° comma). La tutela del titolare di diritto sul bene Si è detto che nelle forme dell’accertamento del passivo è accertato anche il diritto reale o il diritto personale di godimento su cosa mobile o immobile (quest’ultima novità della riforma, essendo originariamente la rivendica di bene immobile regolata dalle norme di diritto comune), nella diversa graduazione dell’azione di rivendicazione (tutela di diritto reale) e azione di restituzione (quando il fallito ha un mero titolo di detenzione qualificata del bene). Segue: l’onere della prova (art. 103) Nell’azione di rivendicazione il titolare di diritto reale deve provare il fatto costitutivo del suo diritto con titolo avente data certa anteriore al fallimento (ex art. 2704 c.c. o trascritto prima del fallimento), ma deve anche dare prova del titolo di detenzione del fallito (con l’avvertenza che è espressamente richiamato il divieto dell’art. 621 c.p.c. alla prova testimoniale). In relazione alla domanda di restituzione, invece, basta la prova del titolo di detenzione e la sua durata. La conversione della domanda (103/1) La domanda a tutela di un diritto reale può essere convertita in domanda a tutela di un credito: 1. nel caso in cui il bene non sia rinvenuto nell’attivo fallimentare; 2. se il possesso del bene viene perduto dal curatore dopo averlo acquisito; 3. se il diritto ha ad oggetto beni fungibili. Azioni residue Nel caso in cui la tardività non consenta al terzo di evitare la vendita del bene (anche perché non sospesa la liquidazione) secondo le regole ordinarie l’insinuante potrà agire solo sulle somme ricavate, in via analogica all’art. 620 c.p.c. Se neppure vi è somma da ripartire la tutela è consentita solo nei limiti della fattispecie di malafede del curatore (art. 2920 c.c.), come azione di danni. E’ fatta salva l’azione ex art. 1706 c.p.c., ovvero la speciale azione del mandante per il recupero dei beni presso il mandatario senza rappresentanza, azione che non viene quindi assoggettata al concorso.