Libia, ambasciatore ucciso: Washington manda due navi da guerra Segnali trascurati, Scorta nel Caos il Giallo della trappola di Bengasi Una rete sgretolata e senza leader: così Al Qaeda ha perso il suo primato a Bengasi l’opera di “cani sciolti” Rabbia e morte nelle ambasciate all’ombra della bandiera nera Scontri e assalti alle ambasciate: esplode l’ira contro l’America Il Cairo, la rabbia contro l’America assedio all’ambasciata: centinaia di feriti La promessa di Obama: “l’America manterrà la leadership nel mondo “ Il terzo incomodo è il Partito X sulla “democrazia perfetta” cala l’incubo del pareggio Ultimi sondaggi Testa a testa per la Casa Bianca Mitt gioca l’ultima carta tra i neri vittime di Sandy Il meglio per l’America deve ancora venire. • Cartina la repubblica 14 sett. L'attacco al consolato Usa di Bengasi, nel corso del quale è stato ucciso l'ambasciatore degli Stati Uniti in Libia, Chris Stevens, sembrerebbe pianificato da Al Qaeda. Il Pentagono intanto muove due navi da guerra verso le coste libiche che trasportano missili Tomahawk e con un equipaggio di 300 persone, ma la missione viene qualificata a scopo «preventivo». Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha dichiarato che il governo egiziano non è né alleato né amico degli Stati Uniti ma afferma anche che il Cairo non sarà in grado di proteggere l'ambasciata americana nella capitale egiziana. Inoltre è stato evacuato tutto il personale diplomatico americano e l'ambasciata di Tripoli resterà solo una unità di emergenza. Il presidente del Congresso generale Nazionale Mohamed al-Megaryef in una conferenza stampa ha presentato le scuse agli Usa, al popolo americano e al mondo intero. Oltre a Stevens, 52 anni, sono morte altre tre persone, tra i quali due uomini della sicurezza (due marines), che accompagnavano Stevens da Tripoli. Un quarto morto è un impiegato del consolato. All'origine degli scontri, un film ritenuto offensivo nei confronti dell'Islam. Si tratta di «Innocence of Muslim» (L'innocenza dei musulmani) ed è stato realizzato da un israeloamericano, Sam Bacile, che dopo i disordini al Cairo ha dichiarato: «L'islam è un cancro». La morte dell'ambasciatore Usa è già stata rivendicata da Ayman al Zawahiri, numero due di Al Qaeda: «Una reazione della milizia Ansar Al-Sharia alla conferma della morte di Abu al-Libi». Intanto il Congresso nazionale libico ha eletto il nuovo primo ministro, Mustafa Abu Shagur. Sull’assalto all’ambasciata USA di Bengasi e sulla morte di Stevens ci sono ancora molti punti interrogativi. Verso le 21, un gruppo di manifestanti, che col passare del tempo è salito a un numero di persone compreso tra 70 e 100, ha iniziato la rivolta contro gli USA in seguito al film che dipingeva Maometto omossessuale. Un quarto d’ora dopo, il gruppo ha attaccato l’ambasciata, che disponeva soltanto di 30 guardie libiche, delle quali si sospetta che avessero avuto dei rapporti di parentela con i manifestanti e che quindi alcune di esse avrebbero fatto doppio gioco. Inoltre esisteva già precedentemente un allarme su un possibile attacco, che però non era stato comunicato all’ambasciata. Così tra una granata e un colpo di RPG, è scoppiato il caos più totale: il responsabile della sicurezza ha perso di vista Stevenson, mentre altri membri si sono rifugiati in un edificio dichiarato sicuro. Così Tripoli ha inviato un commando di militari per gestire la situazione, alle 2 di notte la battaglia si è conclusa. Fatto sta che la “safe house2 è stata centrata da proiettili con precisione, anche se l’ubicazione doveva essere segreta. Che cosa è Al Quaeda? Questa è la costante delle guerre sanguinarie e confuse alle quali abbiamo assistito dall’attentato dell’11 settembre 2001. Quello che sappiamo è che non è un’unica organizzazione criminale, ma è composta da numerosi e disparati elementi, i quali si trasformano con eccezionale rapidità. L’unica cosa in cui possiamo sperare è un avvenimento che ci aiuti a spiegare il motivo degli assalti come quelli accaduti a Bengasi. Attualmente è in corso la quarta ed ultima fase di Al Quaeda. La prima fu quella nella quale, nel 1988, Osama Bin Laden ed un gruppo di attivisti fondarono il gruppo in Pakistan con lo scopo di combattere i sovietici e le loro milizie ausiliarie in Afghanistan. La seconda fase è durata, quasi certamente, dal 1998 al 2005. In quel periodo Al Quaeda, come organizzazione terroristica, ha raggiunto l’apice della sua forza. Bin Laden infatti è riuscito a portare distruzione in luoghi come New York (11 settembre 2001) con il fine di dare vita al sostegno di massa musulmano. La terza fase è durata dal 2005 fino a tempi relativamente recenti. Durante questi anni qualsiasi supporto popolare nei confronti dell’organizzazione è venuto a mancare sempre di più negli stati (Iraq, Giordania, Arabia Saudita, Turchia ed Indonesia). Come scritto prima, ci troviamo oggi nella quarta fase, la quale potrebbe essere definita come la fase post Al Quaeda. Il nucleo del gruppo è a stento capace di difendersi e le autorità britanniche descrivono la loro leadership come “svuotata”. Corriere della Sera, sabato 15 settembre 2012 Il Cairo Dopo l’attacco all’ ambasciata americana di Bengasi, fatto per protestare contro il video ritenuto offensivo per la religione musulmana, è partita una serie di eventi violenti in Medio Oriente e in Africa. In Libano, a Tripoli, viene incendiato un fast food americano (almeno un morto). Al Cairo si manifesta nelle piazze contro Barack Obama: ci sono sia i poveri, che credono nell’ illusione religiosa di Allah, sia gruppi organizzati armati di bastoni e coltelli, sia integralisti sostenitori di Osama Bin Laden. I gruppi salafiti (estremisti islamici) avevano programmato una marcia di protesta di un milione di uomini sulla capitale egiziana, evitata grazie all’ intervento calmante di Mohamed Morsi, leader del movimento Fratelli Musulmani; c’è comunque un attacco contro una base ONU, nel Sinai. A Khartoum, in Sudan, sono avvenuti numerosi attacchi con più morti, non solo contro l’ ambasciata americana, ma anche contro quella tedesca per la mancata censura di Berlino alle vignette anti-islamiche e anche contro quella inglese. Scontri contro gli Americani si sono verificati anche a Tunisi, con morti e feriti e in Yemen, fortunatamente senza vittime. In tutta l’Africa settentrionale ed in alcuni stati asiatici è esplosa l’ira contro il film, che offende il Profeta, e il Paese dove è stato prodotto: l’America.Dopo l’assalto al consolato USA di Bengasi, si sono temuti altri attacchi in diversi stati, tra i quali lo Yemen e l’Egitto. A Sanaa, alleata degli stati uniti nella guerra contro Al Quaeda, centinaia di persone hanno sfondato i cancelli dell’ambasciata americana gridando: “Oh, messaggero di Dio siamo pronti al sacrificio!”.In Egitto, per il terzo giorno davanti all’ambasciata Usa del Cairo, si sono viste scene di guerriglia, con centinaia di manifestanti. Il presidente Mohammed Morsi (in volo per l’Italia, in quei giorni) ha ammesso che l’instabilità del più importante Paese arabo, se confermata, porrebbe “Un problema davvero serio”.L’amministrazione di Obama ha preso le distanze dal video diffuso su You Tube, così come il segretario di Stato Hilary Clinton che lo ha definito “disgustoso e deplorevole”.Ma tutto ciò non è bastato e perfino nella Striscia di Gaza i manifestanti sono scesi in piazza davanti agli uffici Onu, dato che in quella zona non ci sono sedi diplomatiche USA. Obama ha rafforzato le sedi USA inviando due caccia-torpedinieri con missili, nonché marines, droni… L' allerta è massima anche in Europa: a Berlino il consolato americano è stato evacuato dopo il ritrovamento di una busta sospetta, per fortuna un falso allarme. La nuova ondata di violenze antiamericane nel mondo islamico va infatti ben oltre il motivo che in apparenza l' ha scatenata, quell' assurdo quanto ancora misterioso filmato: il sentimento popolare che vede negli Stati Uniti un nemico soprattutto per l' appoggio a Israele si sta unendo con l' emergere delle frange islamiche più estremiste. E questo preoccupa non solo Washington, ma il mondo intero, compresi i milioni di cittadini dei Paesi arabi convinti o fiduciosi, solo un anno fa, che la caduta dei loro dominatori fosse l' inizio di una vita normale. La repubblica, venerdì 14 settembre 2012 Dopo l’ assalto all’ ambasciata, altri manifestanti salafiti hanno marciato di nuovo sulle strade vicino all’ ambasciata americana con lo scopo di raggiungerla, passando attraverso la via Tawfik Diab. Questa volta il governo egiziano è riuscito ad evitare disastri e scontri potenzialmente pericolosi, anche se il compound era già stato sgomberato, il tutto si è concluso con “soli” 224 feriti e fortunatamente nessun morto. In seguito a questo avvenimento, il governo egiziano ha annunciato che è disposto a tagliare i ponti con gli USA e a ristabilire le comunicazioni solo quando lo stato si sarà formalmente scusato. Da questo si può dedurre che il capo egiziano Morsi abbia un attaccamento molto forte alla religione islamica e che voglia difendere ad oltranza il proprio paese, anche se esso dipende in parte dalla tranche dei finanziamenti degli USA. Corriere della Sera, sabato 15 settembre 2012 New York Nell’ apertura del suo discorso al dipartimento di stato, dopo l’ attacco all’ ambasciata americana a Bengasi, Obama ha ribadito orgogliosamente che gli Stati Uniti non rinunceranno alla loro leadership nel mondo. Ha poi ricordato una ad una le quattro vittime: l’ ambasciatore, due titolati della marina e un diplomatico. Prima di Obama ha parlato il segretario di stato: Hillary Clinton, commossa, sottolineando le difficoltà di tutte le transizioni da regimi dittatoriali a ordinamenti democratici; riconoscendo che i tempi di questo passaggio non potranno essere brevi. Come azione immediata, il governo americano farà di tutto per catturare i responsabili degli atti di violenza e rafforzerà la sicurezza nella aree più calde. Mitt Romney, in corsa alla presidenza degli Stati Uniti, sta sfruttando la delicata situazione in Medio Oriente per screditare la politica estera del presidente in carica Obama, ma questa sua posizione viene criticata perfino da alcuni opinionisti favorevoli al suo partito. Gli Stati Uniti d’America sono una repubblica federale, che riserva al governo centrale la difesa, la moneta, la politica estera, la giustizia, e riconosce agli stati della federazione un’ampia autonomia legislativa sulle altre questioni. Sono composti da cinquanta stati più un distretto federale, in cui sorge la capitale di Washington (District of Columbia). Il presidente, titolare del potere esecutivo, viene eletto ogni quattro anni ed è rieleggibile una sola volta. Gli usa possiedono anche diversi territori esterni( le isole Vergini Americane, i gruppi insulari di Guam, Midway, Marianne settentrionali e Samoa americane). Gli Stati Uniti sono oggi, come è stato per tutto il XX secolo, la maggiore potenza economica del pianeta. Sono infatti primi nella classifica di molte produzioni agricole e industriali, ma detengono il primato anche nelle attività del terziario avanzato e delle finanze. Da soli detengono un quarto di tutta la ricchezza creata annualmente, e il loro Pil supera i 14 mila miliardi di dollari. Per spiegare questo successo bisogna partire da due fattori: l’enorme disponibilità di spazi e la grande ricchezza di risorse naturali. Le innovazioni tecnologiche e le scoperte scientifiche sono anche oggi un fattore fondamentale per il progresso del paese, che destina alla ricerca una cifra molto elevata. Inoltre le industrie high-tech (elettronica, informatica, robotica, telematica, spaziale, aeronautica, delle biotecnologie e dei nuovi materiali) sono i campi in cui il paese eccelle e verso i quali si indirizza l’industria. Particolarmente rilievo hanno poi le attività bancarie e finanziarie, che fanno degli Stati Uniti il cuore dei flussi di denaro che percorrono il pianeta. (Fonti pag.124-125-126 manuale) A un giorno dalle elezioni il problema più grande che l’America si pone è l’eventualità della vittoria del partito X, ovvero il possibile pareggio tra i candidati Romney e Obama. Per essere eletto Presidente degli Stati Uniti è necessario ricevere almeno 270 dei complessivi 538 voti dei Grandi Elettori. Questo è lo strumento che impedisce ai cittadini di avere una democrazia diretta poiché i voti dei Grandi Elettori valgono di più della restante popolazione. Ciascuno stato ha un numero di Grandi Elettori pari alla somma dei suoi deputati e senatori che spesso ricevono un mandato, ovvero assicurano il loro voto al proprio candidato il quale ottenendo più voti rispetto all’altro in uno stato si aggiudica tutti i Grandi Elettori di quello stato. Purtroppo la paura di un pareggio persiste sebbene i sondaggi reputino che Obama superi all’80% la soglia dei 270 Elettori aggiudicandolo come favorito, perché se accadesse il così detto “Effetto Bradley” (che porta il nome del Sindaco afroamericano di Los Angeles che nel 1982 concorse alle elezioni per il Governatorato della California sicuro dei sondaggi che lo davano stabilmente al 3% sopra l’avversario si ritrovò a perdere poiché una quota di elettori lo tradirono) allora sarebbe un problema. Nel corso della storia sono già avvenuti due casi di parità nel 1801 e nel 1825, quando la Camera dei Rappresentanti elesse i due Presidenti ( rispettivamente Jefferson e Adams ) mentre il Senato decretò il vicepresidente. Al giorno d’oggi si prevede che nel caso di parità la Camera, in quanto organo fermamente repubblicano, eleggerebbe Romney, quanto invece al Senato resterebbe democratico eleggendo come vicepresidente Biden, ottenendo così al potere due partiti opposti. A quasi 24 ore dalle elezioni tutto è ignoto e dai sondaggi non si conosce ancora chi possa essere il favorito poiché entrambi i candidati sono giudicati a pari merito. Le elezioni di quest’anno dipenderanno da voti degli stati indecisi e dello stato chiave: l’Ohio. Infatti sia Obama che Romney hanno la garanzia di paesi democratici e conservatori a loro supporto, ma le ultime indagini affermano che negli “stati indecisi” (si parla di Pennsylvania, Virginia e Colorado) i due candidati hanno o un leggero vantaggio sull’avversario, oppure sono pari. Da non dimenticare è l’Ohio, uno stato importante non solo perché ha 18 Grandi Elettori, ma anche dal punto di vista scaramantico dato che nella storia degli Stati Uniti non vi è mai stata una persona eletta Presidente senza avere ottenuto i voti e il consenso dello stato in questione. La strategia elettorale del repubblicano durante le ultime 48 ore prima del voto sembra premeditata. Mitt si reca in “territorio nemico” cioè negli stati che hanno garantito appoggio al suo avversario nel tentativo di strappare qualche voto a suo favore con gli ultimi discorsi. Le accuse di Romney a Obama sono sempre le stesse: egli punta a evidenziare il suo mancato operato economico poiché ha aumentato il debito e di fronte alle persone colpite di recente dall’uragano Sandy accenna la scarsa gestione da parte del rivale durante l’avvento della calamità. Obama ha un lieve margine di vantaggio nei confronti di Romney, assicurato soprattutto dal voto delle donne, tuttavia non si può permettere di lasciare campo libero all’avversario ed è per questo che invia la moglie del vicepresidente Biden, Jill, a sostenere gli ultimi comizi in suo favore e “mettere in cassaforte” il vantaggio, sebbene esiguo, negli stati affacciati sull’Atlantico. LA STAMPA, giovedì 8 novembre 2012 Dopo la vittoria, Barack Obama apre il suo discorso sottolineando come gli Stati Uniti siano un unico popolo, anzi una sola famiglia americana, per la quale il meglio deve ancora arrivare. Poi si congratula con Mitt Romney, sottolineando quanto l’ amore per il paese li unisca. Successivamente esprime i suoi sentimenti personali , cioè l’ amore verso la moglie e le figlie, di cui è molto orgoglioso. Ringrazia anche tutta la squadra che ha seguito la campagna elettorale, lavorando duramente. Pensando al futuro degli Stati Uniti, Obama vuole le scuole migliori con gli insegnanti migliori, buoni posti di lavoro, più uguaglianza, più attenzione all’ ambiente; per raggiungere tutto ciò, è necessario lavorare insieme a chi ha perso, perché il bene del paese deve essere il vero obiettivo comune. È proprio l’ obiettivo comune che rende grande l’ America, insieme a valori fondamentali, quali l’ amore, la carità, il dovere e il patriottismo. Barack Obama è il 45esimo presidente degli Stati Uniti e primo afroamericano a ricoprire questa carica. La sua elezione rappresenta una tappa storica per un paese che solo nel 1968 abolì del tutto la segregazione razziale. Tutta la prima campagna elettorale di Obama è avvenuta all’insegna del motto “Change. We can” che simboleggia la volontà dell’America ad intraprendere una strada nuova. Tra i punti essenziali del piano di Obama: l’uscita dalla guerra in Iraq; il sostegno all’economia basata sulle energie sostenibili; la riforma per assicurare le cure mediche a tutti i cittadini. Lo slogan della sua seconda campagna elettorale è “forward!” (avanti). Uno stralcio di uno dei più celebri discorsi: “ Questo è il nostro tempo, di rimettere la gente al lavoro, di aprire le porte a possibilità per i nostri figli, di far tornare prosperità e portare avanti la causa della pace; di ribadire il sogno americano [...]. E dove ci scontriamo con cinismo e dubbi, a coloro che ci dicono che non ce la possiamo fare noi rispondiamo loro con quella fede senza fine che crea lo spirito di una nazione: yes, we can!” (Fonti pag. 118 manuale) 1. http://www.intopic.it/estero/libia/ 2. http://america24.com/ 3. http://www.ultimenotizie.wenews.com/politi ca/estera Turconi, Riva, Matrascia, Viviani, Denova