Chi era, ma soprattutto cosa ha fatto… Pitagora (Samo, c. 570 a.C. – Metaponto, c. 495 a.C.) è stato un matematico, legislatore, filosofo, astronomo, scienziato e politico greco antico secondo quanto tramandato dalla tradizione. Pitagora viene ricordato ancor oggi per essere stato il fondatore storico della scuola a lui intitolata nel cui ambito si svilupparono le conoscenze matematiche e le sue applicazioni come il noto teorema di Pitagora. « Quanto Pitagora comunicava ai discepoli più stretti, nessuno è in grado di riportare con sicurezza: in effetti presso di loro, il silenzio era osservato con grande cura. » La figura storica di Pitagora, messa in discussione da diversi studiosi, si mescola alla leggenda narrata nelle numerose Vite di Pitagora, composte nel periodo del tardo neoplatonismo e del neopitagorismo dove il filosofo viene presentato come figlio del dio Apollo. Secondo la leggenda, il nome stesso di Pitagora risalirebbe etimologicamente ad una parola che trova il suo significato in "annunciatore del Pizio", e cioè di Apollo. Si riteneva infatti che egli, autore di miracoli e profeta, guaritore e mago, fosse figlio del dio stesso. È quasi impossibile distinguere, nell'insieme di dottrine e frammenti a noi pervenuti, non solo ciò che sicuramente appartiene al pensiero di Pitagora ma neppure, nonostante i tentativi di John Burnet[3], di separare il pensiero del primo da quello successivo. pitagorismo Anche Aristotele, che possiamo considerare il primo storico della filosofia, nella difficoltà evidente di identificare la dottrina del maestro, parla genericamente de «i cosiddetti pitagorici» [4] La vita di Pitagora è avvolta nel mistero. Di lui sappiamo pochissimo e la maggior parte delle testimonianze che lo riguardano sono di epoca più tarda. Alcuni autori antichi o suoi contemporanei come Senofane, Eraclito ed Erodoto ci danno testimonianze tali da far pensare alla effettiva esistenza storica di Pitagora pur se inserita nella tradizione leggendaria[6]. Secondo queste fonti Pitagora nacque nell'isola di Samo nella prima metà del VI secolo a.C. dove fu scolaro di Ferecide e Anassimandro subendone l'influenza nel suo pensiero. Da Samo Pitagora si trasferì nella Magna Grecia dove fondò a Crotone, all'incirca nel 530 a.C., la sua scuola. Dei suoi presunti viaggi in Egitto e a Babilonia, narrati dalla tradizione dossografica, non vi sono fonti certe e sono ritenuti, almeno in parte, leggendari. Sulla sua morte i resoconti dei biografi non coincidono: essendo scoppiata una rivolta dei democratici contro il partito aristocratico pitagorico, la casa dove si erano riuniti gli esponenti più importanti della setta fu incendiata. Si salvarono solo Archippo e Liside che si rifugiò a Tebe. L'astensione dalle fave Una versione della morte di Pitagora è collegata alla nota idiosincrasia del filosofo e della sua Scuola per le fave: non solo si guardavano bene dal mangiarne, ma evitavano accuratamente ogni tipo di contatto con questa pianta. Secondo la leggenda, Pitagora stesso, in fuga dagli scherani di Cilone di Crotone, preferì farsi raggiungere ed uccidere piuttosto che mettersi in salvo attraverso un campo di fave.[9] A proposito di questo divieto pitagorico di cibarsi di fave, Giovanni Sole nel libro Pitagora e il tabù delle fave (Rubettino editore) ne dà un'interpretazione fisica e una spirituale. La prima è collegata al favismo che secondo studi medici era diffuso proprio nella zona del crotonese[10], mentre la seconda fa riferimento a credenze antiche, messe in luce da Levi Strauss, secondo cui le fave erano considerate connesse al mondo dei morti, della decomposizione e dell'impurità (op. cit., pp. 142 e sgg.) dalle quali il filosofo si deve tenere lontano. Il vegetarismo Pitagora è tradizionalmente considerato l'iniziatore del vegetarismo in Occidente grazie ad alcuni versi delle Metamorfosi di Ovidio, che lo descrivono come il primo degli antichi a scagliarsi contro l'abitudine di cibarsi di animali, reputata dal filosofo un'inutile causa di stragi, dato che già la terra offre piante e frutti sufficienti a nutrirsi senza spargimenti di sangue; Ovidio lega inoltre il vegetarismo di Pitagora alla credenza nella metempsicosi, secondo cui negli animali non vi è un'anima diversa da quella degli esseri umani.[11] Quello che modernamente conosciamo come teorema di Pitagora viene solitamente attribuito al filosofo e matematico Pitagora. In realtà il suo enunciato (ma non la sua dimostrazione) era già noto[1] ai babilonesi, ed era conosciuto anche in Cina e forse in India. La dimostrazione del teorema è invece con ogni probabilità successiva a Pitagora. . la somma dei quadrati costruiti sui cateti è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa. La dimostrazione classica del teorema di Pitagora completa il primo libro degli Elementi di Euclide, e ne costituisce il filo conduttore. Dato che richiede il postulato delle parallele, esso non vale nelle geoetrie noneuclidee e nella geometria neutrale. Nel testo di Euclide la dimostrazione del teorema è immediatamente preceduta dalla dimostrazione della costruibilità dei quadrati. L'esistenza stessa dei quadrati dipende infatti dal postulato delle parallele e viene meno nelle geometrie non euclidee. Questo aspetto del problema è in genere trascurato nella didattica contemporanea, che tende spesso ad assumere come ovvia l'esistenza dei quadrati. La dimostrazione del teorema di Pitagora consiste nel riempire uno stesso quadrato di lato uguale alla somma dei cateti prima con quattro copie del triangolo rettangolo più il quadrato costruito sull'ipotenusa e poi con quattro copie del triangolo rettangolo più i quadrati costruiti sui cateti, come in figura. Essendo il teorema uno dei più noti della storia della matematica, ne esistono moltissime dimostrazioni, in totale alcune centinaia, opera di matematici, astronomi, agenti di cambio, per esempio un presidente americano James A. Garfield e Leonardo da Vinci. Questo numero così alto accomuna il teorema di Pitagora a quello della reciprocità quadratica[senza fonte], per questo teorema sono state classificate dallo scienziato americano Elisha Scott Loomis 371 differenti dimostrazioni, che sono state pubblicate nel 1927 nel suo libro The Pythagorean Proposition. Esiste anche una dimostrazione in forma poetica, dell'astronomo Sir George Airy, in inglese: "I am, as you can see, a² + b² - ab When two triangles on me stand, Square of hypothenuse is plann'd But if I stand on them instead The squares of both sides are read." di cui una traduzione letterale è "Come potete vedere, sono a² + b² - ab Quando ci sono due triangoli sopra di me È rappresentato il quadrato dell'ipotenusa Ma se invece sto io sopra di loro Si leggono i quadrati dei due lati" I versi si riferiscono alla parte bianca: i primi due triangoli sono quelli rossi, i secondi quelli blu. Sia quella di Perigal che quest'ultima sono interessanti, in quanto sono puramente geometriche, ossia non richiedono alcuna definizione di operazioni aritmetiche, ma solo congruenze di aree e di segmenti. La dimostrazione attribuita al matematico e astronomo persiano Abu'lWafa verso la fine del X secolo d.C.[2][3] e riscoperta dall'agente di cambio Henry Perigal (trovata nel 1835-1840[4], pubblicata nel 1872 e successivamente nel 1891[5]) si basa sulla scomposizione del quadrato costruito sul cateto maggiore, in giallo nell'immagine: tagliandolo infatti con due rette passanti per il suo centro, una perpendicolare ed una parallela all'ipotenusa, si può ricomporre in maniera da incorporare l'altro quadrato, e formando il quadrato sull'ipotenusa, come nella figura. Questo procedimento è legato al problema della trisezione del quadrato. La scuola pitagorica, appartenente al periodo presocratico, fu fondata da Pitagora a Crotone intorno al 530 a.C., sull'esempio delle comunità orfiche e delle sette religiose d'Egitto e di Babilonia, terre che, secondo la tradizione, egli avrebbe conosciuto in occasione dei suoi precedenti viaggi di studio. La scuola di Crotone ereditò dal suo fondatore la dimensione misterica ma anche l'interesse per la matematica, l'astronomia, la musica e la filosofia. Simbolo utilizzato dai pitagorici, come “riconoscimento”. Astieniti dalle fave Non raccogliere ciò che è caduto Non toccare un gallo bianco Non spezzare il pane Non scavalcare le travi Non attizzare il fuoco con il ferro Non addentare una pagnotta intera Non strappare le ghirlande Non sederti su di un boccale Non mangiare il cuore Non camminare sulle strade maestre Non permettere alle rondini di dividersi il tuo tetto Quando togli dal fuoco la pignatta non lasciare la sua traccia nelle ceneri, ma rimescolale Non guardare in uno specchio accanto ad un lume Quando ti sfili dalle coperte, arrotolale e spiana l'impronta del corpo. («Si noti come la regola 4 non possa logicamente coesistere con la 7.» La scuola, che poteva essere frequentata anche dalle donne[2], offriva due tipi di lezione: una pubblica e una privata. Durante quella pubblica, seguita dalla gente comune, il maestro spiegava nel modo più semplice possibile, così che fosse comprensibile a tutti, la base della sua filosofia basata sui numeri. Quella privata era invece di più alto livello e veniva seguita prevalentemente da eletti iniziati agli studi matematici. Pitagora infatti aveva diviso i suoi discepoli, in due gruppi: I matematici (mathematikoi), ovvero la cerchia più stretta dei seguaci, i quali vivevano all'interno della scuola, si erano spogliati di ogni bene materiale e non mangiavano carne ed erano obbligati al celibato. I "matematici" erano gli unici ammessi direttamente alle lezioni di Pitagora con cui potevano interloquire. A loro era imposto l'obbligo del segreto, in modo che gli insegnamenti impartiti all'interno della scuola non diventassero di pubblico dominio; Gli acusmatici (akusmatikoi), ovvero la cerchia più esterna dei seguaci,ai quali non era richiesto di vivere in comune, o La chiarificazione della natura dei numeri si pose come domanda imprescindibile a Pitagora e ai suoi seguaci. Essi si interrogarono sulle proprietà dei numeri pari e dispari, dei numeri triangolari e dei numeri perfetti e lasciarono un'eredità duratura a coloro che si sarebbero occupati di matematica. Secondo il mito, ai pitagorici si devono le seguenti scoperte: che la somma degli angoli interni di un triangolo è pari a due angoli retti. Più in generale, nel caso di un poligono di n lati la somma degli angoli interni è uguale a 2n-4 angoli retti; che in un triangolo rettangolo, il quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti, ossia l'enunciato (ma non la dimostrazione) del teorema noto come teorema di Pitagora[13][14]; la soluzione geometrica di alcune equazioni algebriche; la scoperta dei numeri irrazionali; la costruzione dei solidi regolari. 10 coppie di opposti, conosciuti come opposti pitagorici: bene e male limite ed illimite dispari e pari rettangolo e quadrangolo retta e curva luce e tenebre maschio e femmina uno e molteplice movimento e stasi destra e sinistra L'avanzata astronomia pitagorica è stata attribuita a Filolao di Crotone e Iceta di Siracusa i quali pensavano che al centro dell'universo vi fosse un immenso fuoco, chiamato Hestia: chiara la similitudine con il sole che i pitagorici si raffiguravano come una enorme lente che rifletteva il fuoco e dava calore a tutti gli altri pianeti che giravano attorno ad esso. Il primo dei pianeti ruotanti è l'Anti-Terra, poi la Terra, che non è immobile al centro dell'universo ma è un semplice pianeta, poi il Sole, la Luna, cinque pianeti e infine il cielo delle stelle fisse. L'idea del'esistenza dell'Anti-Terra probabilmente nasceva con la necessità di spiegare le eclissi ed anche, come sostiene Aristotele [15], per far arrivare a dieci, il numero sacro, segno della tetrakis, dell'armonia universale, i pianeti ruotanti intorno al fuoco centrale. Keplero per il suo eliocentrismo si rifece, e ne diede testimonianza, alla teoria cosmologica pitagorica che per primo concepì l'universo come un cosmo[16] un insieme razionalmente ordinato che rispondeva anche ad esigenze mistiche religiose. I pianeti compiono movimenti armonici secondo precisi rapporti matematici e dunque generano un suono sublime e raffinato. L'uomo sente queste armonie celestiali ma non riesce a percepirle chiaramente, in quanto immerso in esse fin dalla nascita. Secondo Alcmeone anche l'anima umana è immortale, poiché della stessa natura del Sole, della Luna e degli astri e, come questi si genera dall'armonia musicale di quegli elementi opposti di cui parlerà Simmia, il discepolo di Filolao, nel Fedone platonico. Il divino è l'anima del mondo e l'etica nasce dall'armonia che è nella giustizia rappresentata da un quadrato che risulta dal prodotto dell'uguale con l'uguale. L'anima immortale dell'uomo, attraverso successive reincarnazioni, si ricongiungerà all'anima del mondo, alla divinità ma per questo fine il pitagorico dovrà esercitarsi alla contemplazione misterica, derivata dall'orfismo, basata sulla sublime armonia del numero. La vita contemplativa (bìos theoretikòs) per la prima volta assumeva nel mondo greco un'importanza primaria. La scoperta, tenuta segreta, delle grandezze incommensurabili, come ad esempio l'incommensurabilità della diagonale con il lato del quadrato, causò la crisi di tutte quelle credenze basate sull'aritmogeometria, sulla convinzione che la geometria trattasse di grandezze discontinue come l'aritmetica. La leggenda narra che Ippaso di Metaponto avesse rivelato questa segreta difficoltà, confermata dal fatto che l'aritmogeometria non riusciva a risolvere i paradossi del continuo e dell'infinito che per es. erano alla base delle argomentazioni di Zenone di Elea. L'aritmetica e la geometria si divisero e divennero autonome. La crisi della scuola si originava anche da motivi politici: i pitagorici sostenitori dei regimi aristocratici che governavano in numerose città della Magna Grecia furono travolti dalla rivoluzione democratica del 450 a.C. e furono costretti a cercare rifugio in Grecia dove fondarono la comunità pitagorica di Fleio o si stabilirono a Taranto dove con Archita rimasero fino alla metà del IV secolo a.C. A Siracusa operarono Ecfanto e Iceta, a Tebe Filolao, Simmia e Cebete, a Locri Timeo.[