LA MADRE DELLA MADRE. GENEALOGIA DELLE CURE MATERNE MASSIMILIANO STRAMAGLIA UNA MADRE IN PIÙ. LA NONNA M AT E R N A , L’ E D U C A Z I O N E E L A C U R A DEI NIPOTI, FRANCO ANGELI, MILANO, 2013 UNA MADRE IN PIÙ Il clima domestico, per il figlio, è un prolungamento della vita intrauterina, o del racconto della nascita: l’atmosfera che si respira presso la propria abitazione si colora delle tonalità affettive che restituiscono, amplificandola, la qualità del contenimento e dell’attaccamento materni. La madre e la nonna possono qualificarsi come figure di rilievo, come “matrici” di storie da scrivere o da riscrivere, non solo, o non soltanto, in attinenza alla figlia e alla nipote, ma anche al figlio o al nipote, i quali concepiscono le loro identità a partire dall’amore parentale e dall’incontro con i nonni e con le nonne, lungo un asse ascrivibile non tanto ai generi, quanto alle generazioni. In linea teorica, tutti i nonni possono dirsi “materni”, ognuno a proprio modo, e il nipote adulto può preservare un ricordo significativo anche del nonno materno, e dei nonni paterni. Spesso, sposare ideologicamente la convenzione della “nonna 24 ore al giorno” è la risultante di dinamiche societarie più ampie, che comportano la sovrapposizione del ruolo di “nonna” al ruolo di “madre additiva”, piuttosto che di madre “al cubo”, laddove la funzione educativa della nonna amplifica, moltiplica, sviluppa il maternage, ma non per questo – salvo i casi di nonne-madri chiamate a sostituirsi alle figlie defunte, o con gravi forme di disabilità – può rimpiazzare la funzione della madre reale. PERCHÉ LA NONNA MATERNA? Tilde Giani Gallino espone i risultati di un’indagine che ha coinvolto, dapprima, gli studenti della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Torino (quasi tutti di genere femminile), e, in una fase successiva (a conferma di quanto rilevato), un pari numero di studenti di genere maschile del Politecnico di Torino, omogeneo, rispetto al primo campione, per età (Giani Gallino, 2004). I dati confermano che, in soggetti di età compresa fra 21 e 24 anni, la memoria autobiografica relativa ai ricordi infantili si focalizza, per lo più, sulla “casa della nonna” (materna) e sui “nonni materni”. Ai “nonni paterni” appaiono legati affettivamente solo “pochi” fra i “soggetti” investigati (Idem, 2008). Un’ulteriore ricerca, documentata da Mario Gecchele e Giovanni Danza, ha coinvolto la popolazione anziana delle province di Verona, Vicenza e Rovigo, che ha risposto a un questionario somministrato fra il settembre 1990 e il febbraio 1991 (Danza, 1993). Uno dei rilievi più interessanti, fra quelli emersi, concerne l’immagine che la nonna ha del suo ruolo nei riguardi del nipote: un compito che “assomiglia più a quello di madre di quanto quello di nonno si avvicini a quello di padre” (Idem), non solo perché i padri diventano nonni quando hanno maggiore tempo a disposizione per i compiti di cura rispetto ai tempi propri della paternità, ma soprattutto perché “il ruolo di nonna viene vissuto dalla donna come prosecuzione della funzione materna” (ibidem), a testimonianza che, di maternage in maternage, la nonna (la nonna materna, dunque) si percepisce realmente come una madre in più. LA DIMENSIONE EPISTEMOLOGICA DELL’INTEGRAZIONE La dimensione che si è inteso privilegiare è quella dell’integrazione. Se i nonni, infatti, sono presenti nello scenario di vita del bambino, rappresentano una possibilità di arricchimento delle competenze affettive e relazionali del nipotino, il quale, spettatore di relazioni orizzontali e verticali (famiglia allargata), può così tessere precocemente una fitta trama di scambi appaganti, moltiplicando, in siffatta maniera, le dimensioni della sua “base sicura”. Agli albori della vita, di fatto, vi è un corpo di madre; il luogo delle origini, per il figlio, si dà nel nascere da un corpo materno; la nonna materna, di conseguenza, è l’origine delle origini, il “tutto”, la famiglia riunita dentro di sé, poiché incrementa, moltiplicando il maternage, il senso di “appartenenza” (Gecchele, 1995); una madre in più, allora, è colei che partecipa, assieme alla figlia e più degli altri nonni, del processo d’integrazione dei nipoti. La madre aiuta il figlio a tenere “i piedi ben piantati per terra”, il padre gli fornisce “la spina dorsale”, e i nonni gli offrono la sensazione di avere “le spalle coperte” (si rifletta, a titolo d’esempio, sulle strategie di alleanza con i nonni elaborate, di volta in volta, dal nipotino, per convincere i genitori ad assecondare i suoi desideri). GENEALOGIA DELLE CURE MATERNE È ovvio che una figlia, alle prese con un’esperienza complessa come quella del parto, avverta il bisogno di stringersi intimamente a quante sente più prossime a sé in termini di calore, vissuti, vicinanza emotiva e familiarità: alle donne, in sintesi, che compongono, verticalmente e collateralmente, il “clan materno”; in prima linea, alla propria madre, la nonna materna (cfr. Zattoni, Gillini, 2003). La rilevanza della nonna materna quale figura di mediazione al centro dell’esperienza della nascita si attesta anche sul piano evolutivo: pare, infatti, che prendere in braccio il figlio della propria figlia, come a voler emulare l’allattamento al seno, produca la diffusione, nel “sistema circolatorio” della nonna materna, dell’“ossitocina, l’ormone dell’amore” (Kitzinger); quando il cucciolo d’uomo compie sei mesi, preferisce, inoltre, ai “volti estranei”, quello della propria madre e di coloro che somigliano a quest’ultima, con tutti gli “orpelli percettivi” che il neonato ha imparato ad amare (il suono della voce, l’odore della pelle, la mimica e le espressioni facciali), e che ritrova con maggiore facilità nella “madre della madre” (cfr. Farnetani, 2009); a diciotto mesi, il bambino comunica esultanza all’apparire di tutti i nonni, quelli paterni compresi (ibidem). A circa tre anni d’età, con lo sviluppo della coscienza, il bambino getta le basi per un progressivo riconoscimento della differenza fra il ruolo di madre e quello di nonna, pure se con difficoltà. Occorre, infatti, attendere i quattrocinque anni d’età perché i piccoli siano in grado di esplorare e verbalizzare, con convincente approssimazione, i vincoli di parentela. Durante l’età scolastica, i nonni divengono importanti referenti affettivi per i nipotini: essi consentono la sperimentazione di un tempo-spazio a cavallo fra passato e presente, intessuto di ricordi, ove il bambino può compiere salti in avanti e indietro rispetto alla prima infanzia e sentirsi accolto, vezzeggiato, nonostante gli impegni legati alla crescita. Con l’ingresso nell’età preadolescenziale, la relazione fra nonni e nipoti è solitamente soggetta a un graduale processo di distanziamento, sino a separatezze incombenti nella fase adolescenziale e post-adolescenziale. Invero, molto dipende dalla qualità del rapporto che i nonni hanno saputo (o potuto) instaurare con i propri nipoti a partire da anni zero. LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA La memoria autobiografica è “un sistema di memoria finalizzato a una rappresentazione semplificata e in parte convenzionale, di ridisegno o di narrazione, con cui il soggetto cerca di condensare, per se stesso e per gli altri, il senso della propria vita” (Leone, 2002). Nel margine dell’ipotesi avanzata in codesto ambito riflessivo, emerge il rilievo delle direzioni di senso: queste rispondono a criteri sottaciuti di selezione del reale, e comportano la presa in carico di vissuti, di relazioni e di affetti, i quali si integrano dinamicamente e reciprocamente, sino a produrre la cifra, più spesso non dicibile, dell’intera esistenza, che si muove fra le intenzionalità personali e il mistero. È quando il dolore diviene ingestibile che la persona tocca con mano la direzione di senso: essa, infatti, è avvertita laddove l’essere si ritrae. Ne possiamo conoscere solo la versione negativa, perché, nell’esserci fine a se stesso, non si dà senso. Ma la “direzione”, in sé, è indicibile: ognuno la chiama a proprio modo, eppure essa si sottrae a qualsiasi intento definitorio, perché inafferrabile; essa s’invera, comunque, alla luce della speranza, e il suo luogo recondito, nondimeno, è la memoria autobiografica: ognuno, infatti, interpreta il reale a partire dal proprio, peculiare, sguardo sulla realtà. LA MEMORIA EPISODICA Non si deve tuttavia confondere la memoria autobiografica con la memoria “episodica”: la seconda, infatti, attualizza singoli episodi, pure significativi, esperiti nel corso della propria esistenza (un ricordo legato all’infanzia, una giornata particolare, un gesto specifico compiuto da un familiare), i quali, ricorrendo alla metafora della tessitura, rappresentano gli snodi, gli intrecci, la dimensione connettiva, del tessuto complessivo della biografia personale. A differenza della memoria episodica, ancorata a circostanze, situazioni e momenti passati, la memoria autobiografica si sviluppa nella triplice dimensione che comprende “quello che siamo stati nel passato, quel che siamo nel presente e quel che saremo nel futuro” (Mammarella, Di Domenico, 2011): è per tale ragione che nella memoria autobiografica si eclissano, per poi riaffiorare, le direzioni di senso. Nella ricostruzione autobiografica di marca materna, la nonna “dice” al nipote delle origini, e il nipote riscopre alcune possibilità di senso, in una circolarità che restituisce senso, ovvero direzione, al dispiegarsi del “materno”, per divenire, in ultimo, senso condiviso. NONNI MEMORI Gli assi temporali implicati nella memoria autobiografica sono tre: il primo concerne la persona, il secondo la famiglia, il terzo la società. Il “tempo della vita personale” si concentra sulle linee rette, le curve e i tornanti che hanno caratterizzato la propria esistenza; il “tempo della vita familiare” include le memorie plurigenerazionali; infine, il “tempo della vita sociale” accomuna i vissuti di quanti hanno attraversato epoche analoghe (Leone, 2002). I nonni integrano, con la loro stessa presenza, la memoria autobiografica del nipote. Non a caso, “la cosa più importante che i nonni possono fare è conservare e trasmettere la memoria collettiva, familiare e personale” (Vegetti Finzi, 2010): in sintesi, la memoria autobiografica. Alla necessità, specifica dei nonni, di permanenza dell’integrità del sé, può riconnettersi il bisogno di integrazione avvertito dal/dalla nipote, dove gli uni rinforzano le memorie (e l’identità) dell’altro/a. La memoria autobiografica non procede in maniera lineare, scandendo una cronologia esatta o una strutturazione puntillistica del tempo (come nel caso, citato, della memoria episodica), ma si configura diacronicamente mediante un andamento “a spirale”, quasi come un apparato sovrastrutturale e metacognitivo che restituisce sensatezza, continuità, stabilità e permanenza al nucleo centrale, identitario, del sé. La sua funzione si esplica in un “girare” che, talora, ritorna su se stesso (come il filo di cotone, di uso comune, che è avvolto intorno a un rocchetto). La memoria autobiografica, dunque, non è l’insieme organico delle “memorie di sé”, ma un sistema di interpretazioni del reale che elaboriamo in vista del mantenimento del sé, e, per tale ragione, si sviluppa intorno al singolo nucleo identitario per dargli senso, pure senza coincidere con esso. LE FUNZIONI EDUCATIVE DEI NONNI La prima funzione educativa dei nonni, in termini genealogici, consiste nel “mettere a disposizione la propria esperienza per aiutare i figli ‘neofiti’ nel loro ruolo di padri e madri, favorendo così l’interiorizzazione della nuova condizione, nonché l’acquisizione di adeguate modalità genitoriali” (Lo Sapio, 2010). La seconda funzione educativa dei nonni si dà in un “fare memoria” (Cima, 2010) che, da una parte, rinforza l’identità personale e il senso di permanenza del sé a fronte dell’età che avanza (Oliverio, 2010), e, dall’altra parte, fornisce ai nipoti “una matrice di senso in cui identificarsi, per elaborare in modo distinto ma non disincarnato i tratti del proprio sé nel presente e nel futuro, in costante riferimento al passato” (Amadini, 2007). Il farsi presenza del nipote è, per i nonni anziani, memoria del futuro, atto del rievocare che non si limita alla nostalgia melanconica per i tempi andati (cfr. Buzzatti, Generali, Giacobbe, Valle, 1992), e oltrepassa il passato – che è da intendersi, in sé, perfectum o “compiuto” (Crapanzano, 2008) – per farsi, a sua volta, presente. La memoria del futuro si pone quale momento “poetico” della memoria autobiografica, o come movimento “che non fa coincidere l’esistere con l’attuale (neanche con quello emerso nel ricordo), ma lo inserisce in un processo sovvertitore in cui il presente si intreccia, con modalità e in quadri imprevedibili e variabili, col passato e col futuro”; una sfumatura espressiva, propria del riportare alla mente sensazioni, pensieri e vissuti, che si esercita tanto più consapevolmente quanto più si è avanti con l’età (Bertin, 1987; Orti, 2008). Nel dipanare matasse e riannodare fili d’infanzie scordate, dunque, i nonni si rivelano coloro che sono più inclini, nei riguardi delle nuove generazioni, a riconnettere ad arte la “fecondità dell’origine […] con l’esporsi sul futuro” (Lizzola, 2009). La terza funzione educativa dei nonni si dà nel custodire l’essenza (il divenire) dei “figli dei figli”, accompagnandone la crescita. I nonni degli adolescenti sanno mediare “con saggezza le esigenze dei figligenitori e dei nipoti” (Caporale, 1990), confermandosi discreti confidenti (cfr. Ferland, 2009; Martinie, 2005; Vegetti Finzi, 2010) per i giovanissimi “in cerca d’autore”.