TRAME FAMILIARI E NUOVE DINAMICHE TRANSGENERAZIONALI MASSIMILIANO STRAMAGLIA UNA MADRE IN PIÙ. LA NONNA M AT E R N A , L’ E D U C A Z I O N E E L A C U R A DEI NIPOTI, FRANCO ANGELI, MILANO, 2013 AVERE CURA DELLA «CASA NATALE» L’essere è inafferrabile: lo si immagini, a titolo d’esempio, come un foulard in satin, che avvolge con delicatezza, ma scivola fra le mani. Afferrandolo, lo si sgualcisce. Occorre sfiorarlo, senza avere la pretesa di agguantarlo: il raso è delicato come la pelle di un bambino. Quando si scuce, laddove era la sutura, rimangono dei segni: si tratta delle ferite che l’essere trascina in sé e con sé, e che si cerca di riparare con l’ago e il filo dell’esserci. I nipoti che oggi sono adulti e che hanno conosciuto i loro nonni decenni addietro, ma anche i nipotini collocati all’interno di famiglie “a una sola carriera”, e i nipoti tutti che hanno abitato, o abitano, accanto ai nonni, possono ricevere un segnale di amore incondizionato anche da parte di nonni che si limitano a essere tali, senza fare alcunché di veramente indispensabile per il nuovo nucleo familiare formato dalla figlia o dal figlio: una nonna che, saltuariamente, prepara un dolce per i nipoti, o che li ospita occasionalmente con affezione, alla stregua di una nonna moderna che accompagna i nipoti a visitare musei o ad assistere a mostre; oppure un nonno che prepara prelibatezze per i più piccoli e che li porta a spasso, di tanto in tanto, per farli divertire, sono altrettanto importanti dei nonni che assolvono funzioni specificamente educative. Il loro aver cura prescinde, certo, da intenti educanti, ma non si vive di sola educazione: la cura, pure se non del tutto informata da criteri pedagogici, collima con l’esistenza stessa. In ultima analisi, sapere che ci sono dei nonni e avere con questi un buon rapporto, basta, di per sé, al nipote per crescere. Il resto è importante, ma – anche nel caso specifico della nonna materna – è in più. ABITARE GLI AFFETTI La casa dalla quale si proviene e quella in cui si abita – se percepita, quest’ultima, quale immagine di sé – sono una dilatazione del grembo di madre che si trascina nel tempo, l’immobilità atemporale che permane nonostante il divenire della storia e degli affetti, la base sulla quale costruire le proprie certezze esistenziali, una proiezione spaziale di ciò che è stato, ciò che è, e ciò che potrebbe essere. La “casa natale”, dunque, è il luogo dell’infanzia: la casa dei propri genitori, quella dei nonni, quella in cui ci si è sentiti accolti (grembo), quella che è stata, e che non è più (impossibilità della reinfetazione). Quella in cui si è nati, anche solo formalmente, e di cui si conserva memoria. Fare visita ai nonni è una modalità privilegiata di incontro con i tempi andati: nella casa dei nonni, il nipotino o la nipotina incrociano un contesto affettivo caratterizzato “da ritmi di vita più lenti” di quelli esperiti nella quotidianità familiare, “e da spazi in cui sono presenti oggetti (fotografie, suppellettili, utensili) che spesso appartengono al passato e che destano curiosità ed interesse” (Gecchele, 1993). La casa della nonna materna riveste un particolare significato emotivo per i bambini, perché legata a trame e a tessiture che riportano alla mente l’infanzia della madre, ovvero l’infanzia, dal momento che le prime stagioni della vita sono sempre nel segno della madre. La “casa natale” rappresenta l’“impossibilità per l’uomo di pacificarsi con se stesso” (Vegetti Finzi, 1992): serena o conflittuale che sia stata, l’infanzia è l’età alla quale si vorrebbe ritornare per riviverla o per riscriverla a proprio piacimento. Ognuno di noi la interpreta come inizio della propria esistenza, e, se quest’ultima è appagante, il ritorno alle origini costituisce l’apice emozionale della gratificazione; allo stesso modo, se il proprio esistere si colora di sfumature grigie, tornare col pensiero e con le azioni a modalità infantili consente l’illusione di riparazione, o l’idea che tutto non sia perduto. Ma nessuno può realmente tornare nella “casa natale”: questa permane dentro sé, e non si realizza nel presente. Essa non è la “casa interiore”: è qualcosa in più, è espressione del tempo immobile che permane nonostante il divenire, è la spiegazione della propria nascita (identità concezionale), è la possibilità di dare un senso alla propria esistenza. La “casa natale” è ferma, stanziale, e, una volta chiuse le sue porte, queste non si riaprono più. Solo per mezzo delle memorie, degli oggetti, dei racconti di casa (gli aneddoti che si narrano in famiglia, sempre identici a se stessi), la “casa natale” rimane in noi. Essa crolla del tutto con la perdita dei genitori, ma inizia a vacillare con la morte dei nonni e, forse, una volta in più con la scomparsa della nonna materna. FENOMENOLOGIA DELLA NATALITÀ I vissuti legati alla casa sono importantissimi, perché restano impressi nella coscienza a prescindere dal significato, o dalla valenza, che essi hanno avuto: si è affezionati alla casa natale, come alla propria madre, per la vita. La casa, infatti, ha la stessa funzione contenitiva che ha avuto – e che ha – la madre per il neonato: da qui è possibile guardare al futuro, presagirlo e progettarlo, senza il rischio di sentirsi “fuori luogo”. La casa dei nonni (e, in specie, della nonna materna, se è lei la più presente nello scenario di vita del bambino) acquisisce ben presto, alla stregua della casa materna, un valore simbolico importantissimo, anzi: un valore in più. Essa, infatti, diviene il posto ove i bambini “trascorrono la maggior parte del tempo, diviene” quasi “la loro casa: il luogo dei rituali quotidiani, dove si mangia, si dorme, si va sul vasino, si guardano la tv dei ragazzi e i dvd preferiti” (Vegetti Finzi, 2010). “La casa dei nonni diventa non di rado uno spazio in cui è possibile anche qualche piccola e liberatoria esagerazione o trasgressione che non sarebbe tollerata nella casa dei genitori” (Cesari Lusso, 2010): i nonni, solitamente, sono più accondiscendenti verso i piccoli rispetto ai genitori, anche quando svolgono una funzione parentale. I nipotini, dunque, si ritrovano ad avere, per mezzo dei nonni, una casa in più, un vero e proprio ambito di integrazione. A “casa dei nonni”, la natalità domestica si potenzia di quell’amore in più che permane nei ricordi a testimonianza di una verticalità aperta, feconda e generativa, ove il piccolo o la piccola possono toccare con mano le origini, il provenire, anche in fasce d’età in cui questi ultimi sono impensati.