Valtellina e
Valchiavenna sotto
le Signorie di
Visconti e Sforza
• L’età viscontea
• L’età sforzesca
• L’economia della provincia
• La diffusione dell’umanesimo
• Autori
Nel 1335 Azzone Visconti, signore di Milano, si proclama signore del vescovado di
Como e di conseguenza riceve anche le terre di Valtellina e Valchiavenna. I soldati
viscontei risalgono il lario e la Valle dell’Adda, ma sono obbligati a fermarsi a
Bormio. Infatti il paese si dichiara indipendente dal resto della provincia e si
appoggia al vescovo di Coira per eventuali aiuti. Seguono quindici anni di vicinato
con i Visconti, ma nel 1350 i bormiesi commettono l’errore di chiedere aiuto alle
truppe viscontee per fermare l’avvocato di Matsch che con i suoi uomini
scendeva dal passo di S. Maria. Così inizio la signoria viscontea anche su Bormio.
Anche il contado di Chiavenna, da sempre dotato di autonomie, è riconosciuto
dipendente dai Visconti. Nel 1370 però la popolazione insorge e Poschiavo,
Bormio e Chiavenna cercano di riconquistare l’indipendenza.
Stemma della
famiglia viscontea.
Quest’ultima si mette sotto la protezione del papa Gregorio IX per sei anni
dopo di che torna a fare parte del territorio visconteo.
Per riconquistare Bormio e Poschiavo, invece, è necessaria una apposita
spedizione e soprattutto per la prima delle due gli scontri tra popolo e
esercito sono devastanti, tanto che numerosi edifici, in particolare il Castello
di San Pietro, vengono distrutti.
Un’altra minaccia al potere visconteo in Valtellina viene dall’esterno, a causa
delle mire espansionistiche di Venezia. L’ Aprica diventa la linea di confine
tra stato milanese e veneziano e proprio da lì i mercenari di Venezia entrano
nel nostro territorio.
I milanesi reagiscono inviando a loro volta un forte contingente mercenario.
La battaglia decisiva avviene a Delebio e dura due giorni, il 18 e 19 novembre
1432. Le sorti dello scontro sono risolte dalle milizie valtellinesi che
intervengono di sorpresa e respingono i veneziani verso i monti.
Catello di San Pietro,
Bormio.
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Ai Visconti subentrano nel 1477 gli Sforza. Durante il loro dominio, che dura fino al 1499, il pericolo
maggiore sono le continue scorribande nei nostri territori delle Tre Leghe Grigie, che abitano i corsi alpini
del Reno e dell’Inn spingendosi anche in Engadina, a nostro stretto contatto.
Nell’estate del 1486 e nel febbraio-marzo 1487 i Grigioni fanno due incursioni in Valchiavenna, nel
Bormiese e nella Valtellina superiore.
Ludovico Maria Sforza, signore di Milano, elabora un forte sistema di fortificazioni per la nostra provincia:
cinge la città di Chiavenna con delle mura, rinforza il castello di Piattamala, sbarra con mura la Valtellina
nel punto più stretto a Serravalle e fortifica anche Tirano, costruendo un nuovo castello.
Nel 1499 i francesi controllano il ducato di Milano e di conseguenza qnche la nostra provincia.
Il regno sforzesco dura soltanto 22 anni, ma caso vuole che proprio sotto questa famiglia avvenga uno dei
più importanti avvenimenti della storia della nostra valle, ossia l’apparizione della vergine Maria a
Gallivaggio il 10 ottobre 1492.
Il castello di
Piattamala a
Tirano.
Le mura di Chiavenna
La grande opera di difesa fu iniziata nel 1488 per volere di Ludovico Maria Sforza
e venne terminata nel 1497. Le mura circondavano il borgo: dipartendosi dalla
rocca e dal Ponte di Sopra, si attestavano sul lato sinistro della Mera fino
all’altezza della chiesa di S. Maria, risalivano alla collegiata di San Lorenzo (che
comprendevano facendo una deviazione) e si ricongiungevano infine alle
fortificazioni della rocca. Tre le porte principali: una presso la Chiesa di Santa
Maria, una presso il ponte che dava accesso al rione di Oltremera e l’ultima
presso il Ponte di Sopra. Le mura racchiudevano buona parte del caseggiato, ma
anche vasti spazi coltivati, orti e vigne, e tutto il settore artigianale, in fregio al
fiume Mera e percorso dai canali artificiali. Gran parte dell’attività edilizia dei
secoli successivi si svilupperà entro le mura, che verranno intaccate radicalmente
soltanto alla fine dell’Ottocento. Alla realizzazione, oltre ad alcuni mastri già
presenti nell’erezione delle fortificazioni di Domodossola e di Piattamala, vi
collaborarono Ambrogio Ferrari e l’ingegnere ducale, Giovanni Antonio Amadeo.
Il progetto fu finanziato in parte dalla Camera ducale e in parte dai Comuni del
contado. Attualmente ne rimangono pochi resti, circa 1/3 (m. 600) dello sviluppo
complessivo e 8 dei 14 torrioni, originariamente inseriti nella cinta muraria.
Uno di essi è all’interno del Parco Paradiso ed è visitabile: ospita la sezione
naturalistica del museo della Valchiavenna. Un altro è visibile, quasi integro,
passando per il vicolo del Saliceto, dove sono peraltro ancora visibili le mura, ma
non è visitabile dal momento che si trova all’interno di proprietà privata, come
del resto buona parte delle mura che corrono in questa zona.
Il portone di Santa Maria
a Chiavenna.
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Nel ‘300 e ‘400 la vita economica delle nostre valli non subisce grandi mutamenti o svolte improvvise,
ma grazie all’ordine politico ed amministrativo che il governo milanese riesce ad imporre c’è
sicuramente un effetto favorevole sullo sviluppo dell’economia.
Nell’agricoltura il fatto più significativo è la diffusione del vigneto, vengono coltivati anche grano,
zucche e legumi, che servivano al sostentamento familiare.
Anche la pastorizia è ovviamente molto diffusa e gli alpeggi di Valtellina e Valchiavenna sono sempre
molto affollati d’estate, mentre d’inverno il fondovalle ospita tutti gli animali.
Tuttavia le nostre valli non erano autosufficienti dal punto di vista alimentare. Lo erano le famiglie
contadine e pastorali, ma la produzione nel suo insieme non bastava alla valle e già nel ‘400 a più
riprese viene chiesta l’importazione dei grani dalla Lombardia.
Lo sfruttamento dei boschi è molto elevato e la legna interessa ai duchi di Milano tanto quanto il ferro
della Val Venina, della Val d’Ambria e in Valchiavenna di Novate e Verceia, che è utilizzato per
fabbricare le armi dei soldati o è prodotto da esportazione.
Un vigneto nei pressi
di Sondrio.
Si sviluppano le vie commerciali in particolare quelle dello Spluga, del Settimo, del Maloggia, del
Foscagno, del Gavia, dello Stelvio e del Muretto. Su queste strade passano prodotti locali della
pianura e prodotti d’oltralpe: Cavalli e bestiame dei Grigioni, dei paesi tedeschi e della
Lombardia, pecore della bergamasca, ma anche ferro, tessuti e vino della Valtellina e delle
contee.
L’intensità degli scambi commerciali si riflette nel numero e nella importanza delle fiere. Oltre a
quella di Olonio, nel 1436 si tiene una fiera a Chiavenna, nel 1447 è già attivo il mercato
settimanale del sabato a Morbegno.
Alla fine del ‘400 anche Tirano e Sondrio ottengono la possibilità di avere una propria fiera e in
particolare la prima delle due ha come settore importante il mercato del bestiame che si svolge
in una grande radura nei pressi del Santuario.
Particolare del
Passo dello Stelvio.
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Nel corso del ‘400 tra le famiglie della mercatura e della nobiltà valtellinese, bormiese e
chiavennasca, comincia a diffondersi per influsso della corte milanese, un nuovo modo di guardare
alla natura e all’uomo, alla convivenza civile, al passato ed al mondo classico, che si riassume sotto il
nome di umanesimo.
Esso non interessa tutti gli abitanti della valle e dei contadi, ma negli ambienti in cui si diffonde è un
fenomeno significativo.
L’umanesimo che la corte milanese irraggia non era carico di domande filosofiche, di impegno
politico, di valori civili e morali come quello di Firenze:
esso era più che altro letterario, estetico e classicheggiante e contrasta quindi la cultura della valle e
delle contee, fatta di tenacia, inventiva e priva di riferimenti all’età classica, ma ricca di senso
dell’appartenenza e di religiosità.
Una importante testimonianza di questa età è data dal letterato Matteo Bandello ai bagni di Masino
e del viaggio in Valtellina e Valchiavenna di Leonardo da Vinci intorno al 1490, all’epoca in cui vive a
Milano alla corte di Ludovico Il Moro.
Matteo
Bandello
Il Rinascimento trova nei palazzi Besta di Teglio e Vertemate di Piuro, per l’architettura civile, e
nelle chiese della Assunta e di S. Antonio di Morbegno per quella religiosa, le sue massime
espressioni locali.
Sia palazzo Besta che Vertemate sono arricchiti da cicli di affreschi di notevole livello realizzati
grazie ai rapporti mantenuti dalle famiglie nobiliari fuori dalla realtà locale.
Il santuario della Madonna di Tirano è invece il simbolo dell’immenso attaccamento della
popolazione alla religione cattolica.
Quest’opera, iniziata nel 1505 e consacrata nel 1528, è sicuramente il più importante monumento
storico e artistico delle nostre valli.
Tra i molti artisti che contribuiscono alla stagione della rinascenza valtellinese e valchiavennasca
ricordiamo l’architetto Giovan Antonio Amedeo, Marcello Venusti, i De Donati, Sigismondo ed
Andrea De Magistris, Bernardino Luini, Gaudenzio Ferrari e Fermo Stella da Caravaggio.
Il santuario della
Madonna di Tirano.
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Presentazione svolta da:
• Gianluca Pighetti
• Mattia Morelli
• Matteo de Giambattista
• Cristiano Guidi
• Simone Allievi
Fonti:
«Storia di Valtellina e Valchiavenna» di D.
Benetti e M. Guidetti.
FINE
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Valtellina e Valchiavenna - IIS Leonardo Da Vinci – Chiavenna