Capitolo I: Storia, Fatti ed Istituzioni Economia Europa Università di Parma Valentina Cattivelli [email protected] Due guerre mondiali e due dopoguerra La gestione economica e finanziaria della prima guerra mondiale aveva rappresentato una novità che aveva colto pressoché del tutto impreparati stati e operatori economici. Altrettanto era stato per il difficile dopoguerra e la gestione di una fase di drammatica instabilità economica, sociale e politica che aveva interessato tutta l’Europa. L’esperienza compiuta nella prima guerra e nel dopoguerra sono largamente utilizzate nella seconda e nel suo dopoguerra per evitare gli errori che avevano favorito (1) l’instabilità valutaria e (2) la drastica riduzione dei rapporti economici e finanziari internazionali durante la grande crisi e la depressione degli anni Trenta. Il secondo dopoguerra Le difficoltà della ricostruzione; Non autosufficienza alimentare; Instabilità politica. Il confronto morti/PIL L’eredità della guerra Per molti stati la guerra produce un netto peggioramento della bilancia dei pagamenti; alcuni sono appesantiti da un consistente debito estero (per es. UK: £ 16 mld). Praticamente in tutti i paesi coinvolti la guerra lascia una pesante eredità in termini di spinte inflazioniste. O perché la spesa pubblica ha incrementato enormemente la liquidità dei sistemi economici o perché i saldi attivi delle bilance dei pagamenti hanno avuto conseguenze simili, anche se di portata più contenuta. L’inflazione può avere un forte impatto sulle società; può risultarne una forte disorganizzazione economica, per esempio cancellando la capacità di finanziare nuovi investimenti (dopo una fase iniziale in cui, invece, può favorirli). L’eredità della guerra Vi sono gravi carenze di approvvigionamenti alimentari, aggravate da cattivi raccolti. La produzione agricola europea nel 1945 è 50% del 1938; quella industriale del 33%. La carenza di merci aggrava le spinte inflazioniste. La ripresa commerciale è gravemente ostacolata dal Dollar gap (valuta USA molto forte). Le prime questioni da risolvere Il controllo della Germania; Capitalismo vs comunismo? Nazionalismo da combattere; Il problema della guerra fredda; Primi desideri di integrazione. Nuovi obiettivi e strumenti di politica economica. Viene anche attentamente valutata l’esperienza del ristagno economico sofferto già negli anni 1920 da alcuni paesi (UK e Italia in particolare) in relazione a politiche di cambio errate; e soprattutto quella della gravissima recessione degli anni 30 e delle soluzioni che avevano consentito in alcuni sistemi economici di limitare i guasti. Le lezioni tratte dagli anni 30 portano a elaborare nuovi indirizzi di politica economica. Vengono diffusamente applicate da amministrazioni statali ormai investite di ampie responsabilità in campo economico misure di stabilizzazione congiunturale mediante (1) politiche monetarie (ed eventualmente fiscali) e (2) politiche di investimento per favorire la ricostruzione e l’occupazione. C’è però crescita… chi registra una I paesi produttori di materie prime e i paesi coinvolti come retrovie del conflitto in Asia, Australia e Medio Oriente ricevono un forte impulso alla crescita perché favoriti dalle spese degli alleati. Il reddito monetario insolitamente alto creato da esportazioni verso i belligeranti e/o dalla spesa di truppe stanziate sul loro territorio fornisce abbondanti risorse valutarie. Raramente possono essere spese immediatamente. Soprattutto i conti in £ (i più consistenti) sono bloccati dalle disposizioni valutarie britanniche. 10 Gli anni ’50 e 60’: tra ricostruzione e ripresa Convergenza dell'economia italiana verso quella europea e di promozione del suo nuovo reinserimento nel contesto internazionale; La produzione era orientata non solo verso il mercato interno, ma anche verso l’esportazione nei mercati più progrediti; Rallentamenti culturali e forme di dualismo (Industrie leggere vs industrie pesanti; Piccola vs grande impresa; città vs campagna). Ricostruzione e riqualificazione economica Forte esigenza di industrializzazione per garantire un livello di reddito più elevato (1) nei paesi già industrializzati (ma preoccupati di combattere la disoccupazione che minaccia la stabilità sociale) e (2) in quelli non industrializzati. Si vuole rimediare alle distruzioni e riqualificare sistemi produttivi rimasti separati dal flusso di rinnovamento tecnologico; La spinta all’industrializzazione é collegata alla formazione di stati indipendenti partendo da paesi che erano stati per lunghi periodi colonie o comunque subordinati, politicamente ed economicamente, a potenze europee (UK, Olanda, Belgio e Francia). Il ruolo dello Stato Durante il conflitto i compiti economici dello stato nella produzione e distribuzione si dilatano. Comportano un aumento della spesa pubblica che solo in parte può essere affrontato, in economie di mercato, con incrementi del prelievo fiscale. Cresce l’indebitamento e cresce la creazione di liquidità attraverso emissioni di moneta fiduciaria che crea pressioni inflazionistiche (eventualmente nascoste da disposizioni restrittive su prezzi e distribuzione delle merci e dei servizi che sono adottate durante la guerra e possono durare nel dopoguerra). Il ruolo dello Stato Pressioni per il ridimensionamento del ruolo dello Stato, Le politiche di sviluppo economico-territoriale degli anni ‘50 poggiavano sulla convinzione che la mobilità dei fattori fosse l'elemento che, da solo, fosse in grado di determinare il riequilibrio tra le aree più sviluppate e quelle meno sviluppate; Il modello di matrice neoclassica assume che la produttività marginale del lavoro e del capitale siano proporzionali alle rispettive remunerazioni e quindi i fattori della produzione tendono a spostarsi dove sono maggiormente remunerati perché più scarsi determinando cosi un riequilibrio generale, sia nelle produttività che nelle remunerazioni. ma necessità di ricostruzione... 14 Gli orientamenti prevalenti Rosenstain Rodan: sviluppo equilibrato di tutti i settori; Hirschman: fiducia al mercato e infrastrutture. Poi, anni 50’: Revisione ruolo dello Stato in economia. ruolo L’ispirazione keynesiana nelle politiche economiche Le proposte avanzate da John Maynard Keynes si erano affermate nel mondo accademico anglosassone. L’affermazione fu agevolata dal ruolo inedito che gli economisti svolsero come consulenti dei governi di UK, Canada e USA durante la guerra. Inoltre vi contribuì il grande prestigio che lo stesso Keynes aveva acquisito grazie al suo ruolo nel dibattito politico e culturale fra le due guerre; come consigliere del primo ministro e della Treasury britannica dal 1939; come principale negoziatore internazionale per il governo britannico. Progressivamente, ma lentamente e in maniera non omogenea, esse ispirarono i responsabili della politica economica anche degli stati europei continentali. La scuola keynesiana La General theory proponeva ricette innovative per la politica economica in condizioni di parziale impiego delle risorse disponibili (disoccupazione diffusa e sottoutilizzo della capacità produttiva degli impianti) e presupponeva un approccio non ortodosso all’esigenza di stimolare l’economia. Sostenere la domanda tramite l’aumento della spesa pubblica. 17 Punti di forza dell’orientamento prevalente Irrilevanza del vincolo di bilancio; Lo Stato sicura sede di equità; Ricostruzione ed attrazione degli investimenti fondamentale. 18 Punti di debolezza Scarsa mobilità del capitale; Sviluppo settoriale e regionale e non diffuso; Sviluppo polarizzato; Inefficienza delle politiche nazionali a sostegno dello sviluppo; Non tutta la ricchezza prodotta rimane nell’area di origine. Favorita permanenza di una economia di sussistenza. Gli USA Necessità di accelerare la ricostruzione dei paesi europei; Stabilità monetaria (Bretton Woods, 1944); Impegno per la costituzione di organismi internazionali (Banca Mondiale, FMI). I primi passi per l’integrazione: OEEC ed EPU Piano Marshall; Costituzione OEEC (Organization for European Economic Cooperation) nel 1948; Aiuti finanziari a 15 paesi europei; Imposti tentativi di unificazione (riduzione delle barriere doganali intraeuropei e costituzione del sistema unico dei pagamenti EPU). I primi passi per l’integrazione: OEEC ed EPU Nel 1949 gli USA rimproverarono i paesi membri per una maggiore integrazione, soprattutto per quanto atteneva la liberalizzazione degli scambi commerciali; I paesi europei utilizzarono le risorse finanziarie del piano Marshall per finanziare il proprio debito pubblico e anche interno all’EPU. Il piano Marshall Gli aiuti sono dati come grants (doni) per il 90% e loans (prestiti, gestiti attraverso la Export-Import Bank) per il 10%. Sono finanziati dal bilancio federale USA. Permettono di comperare merci e servizi (trasporto) prevalentemente da produttori americani per cederle ai governi membri dell’ERP. Questi ricevono gli aiuti in natura e possono venderli agli operatori economici e agli enti che ne fanno richiesta contro pagamenti nelle diverse monete nazionali. L’ERP assicura circa ¼ delle importazioni europee fra 1947 e 1950. Il piano Marshall Gli importi pagati affluiscono ai “conti di contropartita” a favore delle rispettive amministrazioni statali, integrandone il bilancio. Sono utilizzati in diverso modo: dal finanziamento di lavori pubblici (senza accendere prestiti o appesantire il prelievo fiscale) all’accumulazione di riserve. Gli effetti in termini di stimolazione dell’economia e dell’occupazione sono diversi. L’ECA (European Cooperation Agency) nel 1949 criticherà i governi troppo cauti nell’utilizzare i fondi di contropartita per finanziare investimenti. Il piano Marshall Nei primi 15 mesi arrivano in Europa soprattutto cereali, carbone e materie prime per l’industria. Successivamente vengono forniti soprattutto macchinari impianti. Questo è il contributo diretto all’ammodernamento dei processi di produzione e alla riduzione del divario tecnologico rispetto agli Stati Uniti. Le erogazioni del piano Fonte: Oecd, 2009 Le erogazioni del piano Fonte: Oecd, 2009 Altri fattori di crescita… Negli anni 1950 la divaricazione tra il Pil pro capite di USA e Europa è alta; c’è spazio per un rapido aumento di produttività tramite il recupero del ritardo accumulato. La liberalizzazione degli scambi commerciali e degli investimenti permette di superare i limiti dei mercati nazionali. C’è disponibilità illimitata di mano d’opera per diversi anni. L’automazione agevola l’uso di addetti non qualificati. Il prezzo dell’energia e di molte materie prime resta relativamente basso per diversi anni, salvo impennate di durata relativamente breve (per es. guerra di Corea). Le ragioni di scambio sono favorevoli ai manufatti piuttosto che ai prodotti grezzi. Diverse condizioni istituzionali agevolano il processo di sviluppo. I primi passi per l’integrazione: OEEC ed EPU I paesi europei cominciarono a ridurre le restrizioni quantitative alle importazioni private. La liberalizzazione importò una crescita dei commerci e dei redditi, oltre che del PIL; Diffusione della convinzione che la liberalizzazione dei traffici fosse misura utile per la crescita dell’economia. Rapporto crescita ed esportazioni La via per una più profonda integrazione Idea per una integrazione più profonda e generalizzata dell’OEEC; Problema Germania e Guerra Fredda; Federalismo e intergovernamentalismo Dubbi sulla capacità dei sistemi democratici circa la prevenzione di guerre (esempio Hitler); Volontà di costituire una realtà istituzionale sovra nazionale e una struttura federale; In opposizione, alcuni stati (sop. GB) credeva che la cooperazione interstatale fosse la soluzione migliore. Federalismo e intergovernamentalismo Del primo gruppo Francia, Austria; Del Italia, Germania, secondo GB, Norvegia, Danimarca. Spagna e Portogallo sotto dittatura fino agli anni ’70. Preferenza per l’intergovernamentalismo Nel dopoguerra l’unico paese con una struttura di governo solida era la GB; L’OEEC si ispira a questo principio; Sono costituiti il Consiglio di Europa (1949) e la Corte dei diritti umani (1950) tuttora attivi. L’idea di Schuman Porre sotto controllo la produzione di acciaio di Germania e di Francia. A questi si unirono Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo; Nasce così la CECA. Crescita economica ed integrazione Problemi… Rafforzamento asse Germania-Francia; Necessità di estendere ad altri settori e paesi; Integrazione politica passa per quella economica. Il trattato di Roma 1957 Costituzione CEE ed EURATOM; Maggiore integrazione economica; Rimozione dazi per le transazioni intereuropee e tariffazione comune per quelle extra; Promessa per la libera circolazione dei capitali e del lavoro; Costituzione degli organi (Parlamento, Corte di Giustizia e Commissione Europea). La CEE Eliminò tutte le barriere al commercio intraeuropeo; Le importazioni da paesi non membri non furono interessate; Reazione: EFTA. CEE vs EFTA CEE vs EFTA All’interno delle due istituzioni niente dazi doganali; Tra i due sistemi, condizioni agevolate; Il mercato e il GDP della CEE era il doppio di quelli dell’EFTA. Se l’obiettivo era l’integrazione, la costituzione di questi due organismi spingeva verso la non integrazione. I primi problemi… La bilancia dei pagamenti USA si modifica: il dollar gap scompare e la liquidità internazionale cresce nettamente preparando una situazione nuova che emerge entro l’inizio degli anni 1960. La massa di $ in circolazione nel mondo è nettamente > a qualunque possibilità di conversione se qualche stato decidesse di chiederla. L’incremento degli scambi internazionali ha fatto consistenti progressi. Vengono trovate soluzioni specifiche per mantenere rapporti di > vantaggio con i paesi tropicali ex coloniali rispettivamente di Francia e UK. I primi problemi… Particolari problemi emergono nella formulazione e gestione di politiche agricole per i paesi europei a partire dal 1964: bisogna conciliare (1) la garanzia di prezzi agricoli remunerativi per le agricolture nazionali con (2) l’esigenza di limitare rincari di beni salario e con (3) quella di offrire sbocchi alle produzioni agricole di paesi ex coloniali. I primi problemi… Il ruolo internazionale della £ e del mercato finanziario londinese viene confermato in misura ridimensionata e nuova. Londra diventa la prima piazza per trattare eurodollari, cioè $ che possono essere ottenuti da banche che non operano negli USA, consentendo di disporre della principale valuta mondiale, suscettibile di ampia circolazione, senza doversi adattare ai vincoli e alle prescrizioni delle autorità monetarie USA. I primi problemi… La crescita della domanda di materie prime e il progressivo avvicinamento al limite del pieno impiego delle risorse disponibili (in particolare manodopera e materie prime) favorisce l’incremento dei prezzi. L’elevata liquidità internazionale facilita questo esito. L’incremento dei prezzi è diverso fra paesi, in funzione (1) delle rispettive strutture economiche, (2) delle rispettive istituzioni finanziarie e monetarie, e (3) delle diverse capacità di realizzare avanzamenti di produttività che permettano di mitigare l’aumento dei prezzi. I primi problemi… Benché le monete dei paesi occidentali siano quasi tutte legate da cambi fissi, alcune tendono ad apprezzarsi e altre a svalutarsi. Nel corso degli anni 1960 si verifica un indebolimento del potere di acquisto del $ che si traduce in fragilità del cambio. Le banche centrali sviluppano un’intensa e sofisticata attività di intervento sul mercato dei cambi e di collaborazione. Pool dell’oro, doppio prezzo dell’oro, swaps, obbligazioni Roosa e finalmente Diritti speciali di prelievo sono strumenti utilizzati per consentire di mantenere il sistema di parità fisse. I primi problemi… Si sviluppa però un’offensiva teorica in favore dei cambi flessibili, considerati più efficaci per frenare le spinte inflazionistiche. L’inflazione deve essere combattuta anche riducendo la spesa pubblica, tanto più che essa è considerata, quasi ontologicamente, fonte di spreco e inefficienza, mentre il mercato ha la capacità di autoregolarsi. I primi problemi… Per i fautori della teoria monetarista che va aumentando la sua influenza negli anni 1960-70 l’inflazione è il frutto di una crescita eccessiva della liquidità. Per evitarla bisognerebbe: regolare abilmente l’incremento di offerta di liquidità; Controllare la spesa pubblica. I primi problemi… Per gli economisti influenzati da J.M.Keynes l’inflazione è il risultato di uno squilibrio fra offerta e domanda; cioè una domanda da parte di imprese e famiglie superiore alla disponibilità di risorse. Va corretta con misure che modifichino il livello dei redditi e quello dell’offerta (sul breve periodo, per es., importando di più; su tempi più lunghi aumentando la produzione e il reddito). Le rigidezze nella ripartizione del reddito fra detentori del capitale e lavoratori dipendenti possono alimentare l’inflazione. I primi problemi… Inflazione deriva anche da tendenza all’aumento dei costi di produzione associati all’aumento dei prezzi dei prodotti di base e dall’appesantimento degli oneri salariali e sociali sulle imprese. La dimensione e il carattere delle imprese influisce sulla loro capacità di controllare lo scarto fra costi e prezzi. Il primo allargamento La GB volle entrare nel 61 per: Affermare il proprio dominio nei cieli; Eccesso di discriminazione commerciale (la CEE non era l’EFTA…); Spinta per altri paesi verso l’adesione (Danimarca, Irlanda e Norvegia). Opposizione iniziale francese all’ingresso; Norvegia negò per un referendum; Ancora squilibri commerciali tra paesi CEE e EFTA. Cambiamenti strutturali tra gli anni ‘60 e ‘70 Il commercio internazionale è aumentato più velocemente della produzione mondiale. Cambia la composizione merceologica. Cambia di conseguenza anche la ripartizione geografica dei flussi commerciali. Chi ha ampi saldi attivi teme di importare inflazione. I produttori di combustibili (specie petrolio) concentrano dal 1974 abbondanti disponibilità di valuta, da usare per impieghi finanziari. Cambiamenti strutturali tra gli anni ‘60 e ‘70 I cambi sono instabili (abbandono sistema dei cambi fissi). Lo sviluppo del commercio, l’espansione delle imprese multinazionali e le maggiori opportunità di comunicazione agevolano la speculazione e ostacolano controlli efficaci sui movimenti di capitali. Cambiamenti strutturali tra gli anni ‘60 e ‘70 General programme del 1969 fallisce il tentativo di rimuovere barriere al commercio tramite regolazione di ogni singolo bene/mercato. A causa della maggioranza richiesta (unanimità), fallì. Stagflazione. La svolta degli anni ‘70 Il lungo periodo di alti tassi d’investimento (nei paesi industrializzati e in quelli in via d’industrializzazione) spinge in alto i prezzi di prodotti energetici e materie prime. L’aumento è sostenuto dal carattere non omogeneo dei processi di crescita. Si verificano disfunzioni fra settori che hanno differenti capacità di sviluppo; ne derivano tensioni dei prezzi, oltre che minore produttività. Per es., tra 1950 e primi anni 1970 l’arretratezza del sistema commerciale di distribuzione provocò aumenti dei prezzi al consumo superiori a quelli dei prezzi all’ingrosso, rafforzando la richiesta di incrementi salariali. La svolta degli anni ‘70 I salari, con il procedere della lunga congiuntura di espansione, tendono a crescere per il progressivo avvicinarsi a condizioni di pieno impiego, anche se operano a lungo specifiche condizioni che permettono di attenuare le tensioni salariali: (1) flussi migratori da nuovi bacini di lavoro sottoutilizzato; (2) aumento della produttività favorito dall’accumulo degli investimenti pubblici (infrastrutturali ) e privati. L’aumento di produttività consente anche il recupero più o meno integrale degli incrementi di retribuzione e compensa la riduzione del numero di ore di lavoro. La svolta degli anni ‘70 Crescono le tensioni nelle relazioni industriali e nei salari. Rinnovo generazionale e sociale degli occupati, effetti della concentrazione urbana, irrigidimento dei processi di produzione e tendenza all’uso intensivo di soluzioni tayloriste. 58 Gli anni ’70: tra riforme strutturali e maturità del sistema economico. Stabilizzazione dei risultati degli anni Sessanta o Difesa per limitare gli effetti sulle principali variabili interne degli eventi internazionali? 59 Gli anni ’70: tra riforme strutturali e maturità del sistema economico Il passaggio da “cittadinanza industriale a cittadinanza sociale” è in atto e muove dall’assunzione dei diritti universali a diritti individuali e soggettivi. La regolazione del controllo diventa “socializzazione allargata” in un sistema dinamico in cui si assiste al superamento della massificazione della produzione, all’affermazione della differenziazione produttiva e di domanda, ad un aumento dei salari nominali, alla nascita di forme di protezione sociale fino alla costruzione del consenso attraverso il pieno coinvolgimento della “società”. 60 Es. Principali riforme degli anni ‘70 in Italia 1969: Nuovo sistema previdenziale 1970: Statuto dei lavoratori 1970-1975: regioni e decentramento delle politiche sociali 1970 Legge sul divorzio 1971 Legge sugli asili nido pubblici 1974 Decreti delegati per la scuola 1975 Legge sulla scala mobile 1975 Legge sul diritto di famiglia 1975 Legge sulle tossicodipendenze 1975 Istituzione dei consultori famigliari 1976 Legge sulla partecipazione 1977 Abolizione classi differenziali 1978 Servizio Sanitario Nazionale 1978 Chiusura dei manicomi 1978 Legge sull’aborto 61 Gli effetti del riformismo Gli effetti sono valutabili anche in campo economico dove, al welfare compassionevole attuato unicamente mediante politiche d’assistenza a soluzione di situazioni di disagio sociale, si sostituisce dapprima un welfare cosiddetto occupazionale che eroga più consistenti incentivi, attraverso meccanismi assicurativi, a più ampie categorie sociali (prevalentemente lavoratori) e, in seguito, un welfare universalistico che, disponendo di maggiori risorse derivanti dalla fiscalità generale, prevede l'implementazione di un sistema generalizzato d’interventi di promozione sociale, estesi alla quasi totalità della popolazione. Gli effetti del riformismo La conseguente inclusione di persone che, per reddito, n’erano escluse, o l'aumento e la qualificazione dei servizi offerti, l'affermazione dell'importanza delle pari opportunità, ma soprattutto il coinvolgimento di nuovi soggetti nell’erogazione dei servizi relativi, sono i principali motivi del successo dell'attuazione di una politica “fortemente sociale”. 63 Gli effetti del riformismo Maggiore presenza sistema economico: dello Stato nel Burocrazia; Spese sociali; Spese militari; Ristrutturazione settori produttivi. Non sempre le entrate tributarie riescono a coprire l’aumento delle spese. Indebitamento pubblico. Gli effetti economico 64 sul sistema La maturità delle produzioni e le diseconomie da urbanizzazione, le conseguenze di shock interni su salari ed esterni sul prezzo delle materie prime impongono una generale revisione del modo di fare impresa e delle politiche di bilancio. I settori che avevano conosciuto un costante sviluppo nel decennio precedente sono entrati nella fase della maturità, se non nella fase di declino produttivo, tanto da indurre il management strategico ad attuare politiche di forte riduzione dei costi. Gli effetti economico 65 sul sistema La città diventa più costosa ed impone un’evidente delocalizzazione produttiva, dapprima in aree suburbane (decentramento a corto raggio) in aree meridionali o in paesi vicini per cultura imprenditoriale e struttura produttiva, e, in seguito, in aree marginali (decentramento a lungo raggio) dove la presenza di forme di dumping sociale, fiscale ed infrastrutturale, è motivo di forte contrazione dei costi o richieste d’interventi statali locali a pieno soddisfacimento degli interessi esteri. I tassi di cambio Abbandono dei cambi fissi da parte negli Usa nel ‘71; Abbandono dell’oro come strumento di pagamento; Nel marzo 1972 i membri della CEE danno vita al “serpente monetario”, cui aderiscono anche UK, Irlanda e Danimarca, che stanno per entrare nella CEE. Prevede fluttuazione di ± 1,25%. Il serpente, organizzato attorno al DM, fallisce perché i tassi di crescita delle diverse economie sono molto diversi, così come il livello dei loro prezzi; le politiche monetarie e finanziarie che ciascuna conduce indeboliscono il serpente perché non riescono ad essere conciliate, date le differenze strutturali fra economie. Monete e speculazione Il $ è debole ed è soggetto a pressioni speculative che ne accentuano la svalutazione. La svalutazione del $ determina una forte reazione da parte dei paesi aderenti all’OPEC nel 1973 che contrattano nei primi anni ’70 migliori condizioni; nel 1973 riescono a intendersi sulla riduzione dell’offerta di petrolio e un netto aumento del prezzo. Allora controllano il 54% della produzione, il 70% delle riserve, l’81% delle esportazioni mondiali di greggio. Nel periodo 1971-1973 l’OPEC ottiene un aumento dei prezzi ufficiali dalle compagnie petrolifere considerevole. Tra 1970 e 1973 diversi stati (Libia, Algeria, Iraq, Iran) nazionalizzano le risorse petrolifere La crisi petrolifera Dopo la guerra del Kippur l’Arab Organization of Arab Exporting Countries decide l’embargo sulle consegne di petrolio a Olanda, USA, Giappone, considerati sostenitori di Israele, e decide l’aumento unilaterale del prezzo del greggio ceduto alle compagnie petrolifere. Il 16 ottobre 1973 i prezzi vengono aumentati del 70%. La crisi petrolifera La fine del basso prezzo del petrolio causa una severa recessione e impone una profonda riorganizzazione dell’economia mondiale. I paesi OPEC controllano ormai grandi disponibilità finanziarie che sono usate solo in misura limitata per aumentare le importazioni. Soprattutto gli stati del Golfo Persico e l’Arabia Saudita, con popolazione molto limitata e enormi surplus di bilancia dei pagamenti, realizzano investimenti di portafoglio e alcuni consistenti investimenti diretti nelle economie industrializzate. Contribuiscono così anche ad aumentare la liquidità dei sistemi bancari e dei mercati finanziari delle principali economie industrializzate. Forte indebitamento delle altre economie ex coloniali. La bilancia dei pagamenti corrente dei paesi importatori di petrolio, in mld $, 1973-81 71 Gli anni ’80: tra riflessioni circa il consolidamento dei risultati socioeconomici del decennio precedente ed orientamento alla innovazione Crisi dello Stato; Maggiore autonomia del mercato; I valori sostenuti dai movimenti sociali perdono di intensità; Elevato tasso di disoccupazione; Stabilità nel sistema dei cambi; Alti tassi di inflazione e di interesse; Negli anni ‘80 Dal 1983 l’inflazione nei paesi OCSE rallenta grazie a politiche di contrasto; La riduzione del tasso d’inflazione è agevolata dalla caduta del prezzo del petrolio. L’OPEC è più debole a causa delle guerre in Medioriente. La crescita economica è timida, ma c’è. Negli anni ‘80 Timori per un eccessivo indebitamento di imprese e famiglie; Timori per la contrazione del credito bancario dettata dal timore di insolvenze. Contrazione della produzione, licenziamenti provocando un’ulteriore riduzione dei redditi e il calo dei consumi e degli investimenti. Sovvenzioni statali alle industrie ed agricoltura. Si teme il ritorno del protezionismo: le tariffe doganali sono scese fra i membri GATT a 4%, ma crescono le restrizioni non tariffarie e le compensazioni bilaterali [countertrade] entro la fine degli anni 1980. La riorganizzazione produttiva Il rincaro delle materie prime e soprattutto dei prodotti energetici insieme con la maggior rigidezza del mercato del lavoro sollecitano la riorganizzazione produttiva dei paesi industrializzati. La produzione è diversamente organizzata: Maggiore coordinamento delle fasi di processo; Decentramento delle produzioni e ricerca di economie di specializzazione; Regolazione rapporti con i clienti fornitori, Diffusione dei distretti= impresa a rete o rete di imprese? La crescita finanziario del mercato Nuovi strumenti finanziari; Ricorso massiccio all’indebitamento da parte degli Stati; Perdita di incisività dei controlli sui movimenti di capitale; Carenza di norme internazionali sulle riserve obbligatorie rispetto alle passività internazionali o di vincoli sul rapporto tra risorse proprie d quantità di prestiti erogati; Dilatazione delle esigenze di finanziamento da parte di paesi non industrializzati che tentano di svilupparsi. Il debito dei paesi emergenti sale da $70 mld nel 1970 a 264 nel 1977. Il debito dei paesi emergenti 82-85 La prima crisi finanziaria successiva alle “crisi petrolifere” è quella dei paesi debitori. Le debolezze strutturali delle economie debitrici portano nel 1981-82 a insolvenze (impossibilità di pagare le rate di ammortamento e gli interessi sui debiti), quando la seconda crisi petrolifera del 1979 modifica ancora il quadro economico e finanziario introducendo rincari superiori a quelli del ’73. I pagamenti erano più difficili se i debitori dovevano svalutare per rimediare a difficoltà di bilance dei pagamenti passive, o se i tassi di interesse aumentavano. La crisi colpisce in modo particolare Messico, Argentina, Filippine, Polonia. Di riflesso, vengono messe in difficoltà le banche internazionali esposte verso tali economie. Le difficoltà sono proporzionali all’esposizione di ciascuna banca verso debitori poco affidabili. L’aiuto a questi paesi Intervento massiccio FMI; Aumento delle quote e dei prestiti al FMI da parte dei paesi sviluppati; Rinegoziazione del debito. Il passaggio dal serpente allo SME Nel marzo 1979 la CEE sostituisce il serpente con un Sistema monetario europeo per aumentare l’indipendenza dal $ e dalla sua volatilità, rendendo monetariamente stabile l’Europa occidentale. Come il vecchio sistema, si basa su parità reciproche delle diverse monete; utilizza come riferimento una Unità di conto europea, impiegata sul mercato delle obbligazioni e dei titoli pubblici. Il valore è definito in base al paniere di 9 monete della CE che aderiscono al sistema. Il passaggio dal serpente allo SME Le diverse monete possono oscillare rispetto alla parità centrale (tasso base) ±2,25%. All’Italia è concesso il 6%, data la fragilità dei suoi conti con l’estero. Nei primi 4 anni si procede a 1 riallineamento ogni 8 mesi; poi fino al gennaio 1987 I riallineamenti si riducono a 1 l’anno. Vengono allentati i controlli sui movimenti di capitali nell’area europea. A differenza del “serpente” lo Sme prevede che gli interventi correttivi di eventuali squilibri non spettino solo ai paesi a valuta debole, ma anche a quelli con valuta forte. Ai 9 membri iniziali si aggiungeranno la Spagna nel giugno 1989; UK nell’ottobre 1990 (per euroscetticismo); il Portogallo nell’aprile 1992. tutti godono dell’oscillazione al 6%. The single Market Programme Nel 1985, le imprese UE si impegnarono nel creare un mercato libero per le imprese dei paesi aderenti. Permanevano però dei limiti: Controlli sui capitali Preferential public procurement Formalità transfrontaliere Regolazioni tecniche ed amministrative diverse Differenze fiscali Il principio della libera circolazione fissato con il Trattato di Roma non è soddisfatto The single Market Programme Questo accordo fu firmato per rafforzare le 4 libertà (di movimento dei beni, di servizi, di persone e di capitali) attraverso revisione: Liberalizzazione del commercio di beni Eliminazione delle formalità burocratiche Armonizzazione dell’IVA Liberalizzazione del government procurement Armonizzazione degli standard nella produzione, nel confezionamento, del marketing Rimozione dei controlli sui capitali Integrazione nel mercato dei capitali The single Market Programme Questo accordo fu sottoscritto con maggioranza qualificata (non maggioranza) Attuazione graduale (assestamento definitivo con Maastricht) Controllo sui capitali importa controllo sui tassi= i paesi sono pronti ad abbandonarli?? Il single market e l’EFTA I paesi EFTA si sentono discriminati. Accordo con Delors per estensione accordi nel 1989 Vantaggi paesi EFTA= adesione a mercato senza dover adeguare la propria legislazione. Produzione e esportazioni mondiali, 1953-1982: valori correnti, mld $, e indici (1963=100) 1953 Esportazioni mondiali, valore totale Id. prodotti primari agricoli Id. prodotti minerari Manufatti Esport. mond., valore unitario, tot. Id. prodotti primari agricoli Id. prodotti minerari Manufatti Esportazioni mond., volume, totale Id. prodotti primari agricoli Id. prodotti minerari Manufatti Produzione mondiale, volume, totale Id. prodotti primari agricoli Id. prodotti minerari Manufatti 78 42 1958 1963 1968 1973 1977 1980 1982 105 50 154 45 240 54 574 121 1.125 288 1.990 299 1.845 272 55 100 103 26 82 100 100 41 140 105 100 96 347 161 185 266 648 271 255 567 1.095 423 330 493 1.049 403 292 98 70 74 100 100 100 100 111 104 149 121 192 152 231 147 550 232 269 166 1.200 337 305 203 1.254 314 300 209 44 66 100 100 144 166 195 280 188 344 185 400 153 410 60 77 74 88 100 100 133 115 180 128 205 139 224 146 223 154 69 100 100 129 141 171 197 191 227 196 253 183 249 36 100 107 94 52 60 54 Fonte: H. van der wee, Prosperity and upheaval, cit. Le cifre relative ai prodotti agricoli si riferiscono anche ai minerali nel 1953-58 Composizione merceologica delle esportazioni mondiali (% del totale), 1950-1980 86 L’economia degli anni ’90 Perdita di competitività da parte delle economie tradizionali; • Analisi del modello di specializzazione produttiva: 1. Industry specific (caratteristiche strutturali di settori); 2. Firm specific (dimensione, governance impresa famigliare); 3. Contry specific (politiche, finanza) • L’economia degli anni ’90 Mantenimento di specializzazioni aventi vantaggio comparato rispetto a paesi concorrenti; Nuova formulazione di distretto: i cluster. La spesa di R&S: tra rallentamenti e incentivi; Nuove forme di partecipazione statale: le imprese regolate; 88 L’economia anni '90 Gli orientamenti comunitari nella politica regionale territoriale; Nuova formulazione degli aiuti di stato; Politica dei redditi e nuove forme di assistenzialismo 89 La nuova accezione di welfare E' imposta una revisione nelle nozioni di sussidiarietà, solidarietà, attivazione; Moralizzazione della dipendenza: il sistema meritocratico è ottimo; Paradigma contributivo vs redistributivo Paradigma contributivo: selezione, classificazione, accertamento dello stato di bisogno; Paradigma redistributivo: aiuti a pioggia. La crisi dello SME Dal settembre 1979 al settembre 1992 vengono realizzate 4 svalutazioni del Ff; 6 rivalutazioni del DM. L’assetto valutario europeo richiede frequenti aggiustamenti di segno diverso nei diversi paesi Nel settembre 1992 precipita una drammatica crisi dei cambi in Europa in seguito a massicci attacchi al ribasso. Lo SME pare fragile per mancanza di coordinamento effettivo fra le politiche dei diversi membri e per la fragilità dei conti esteri di alcuni di loro. Peseta e lira vengono svalutate rispettivamente del 5 e 7%. La lira e la £ escono dal sistema. Il Trattato di Maastricht Il successo del Single Market spinge Delors a promuovere un’ulteriore forma di integrazione, quella monetaria. Ciò si realizza con la firma del Trattato di Maastricht, noto anche come Trattato sull’Unione Europea. Il Trattato di Maastricht Con questo trattato, i paesi membri decidono di trasferire la loro sovranità nazionale circa la componente monetaria ad un organismo sovranazionale (la Banca centrale) ed di abbandonare le loro monete nazionali Hanno poi creato la «cittadinanza europea» includendo il diritto di muoversi e vivere in qualsiasi paese UE (il trattato di Roma garantiva solo il diritto al lavoro) e votare nelle elezioni locali in ogni paese della UE Il Trattato di Maastricht Assicura la libera circolazione dei capitali Rafforza la cooperazione tra paesi europei anche nelle aree non economiche Introduce il principio di sussidiarietà Rafforza le competenze del Parlamento europeo Introduce il «capitolo sociale» sulle garanzie sociali Problemi di ratificazione!!!!! The Europe Agreement Stabilisce scambi bilaterali tra i paesi della Ue ed ogni paese della CEEC (i paesi dell’Europa centrale e dell’EST). Ha stabilito di ridurre le tariffe e le restrizioni quantitative agli scambi di prodotti industriali entro il 1994. Le restrizioni rimanevano per un sensibile gruppo di beni, come i tessili e tutti i prodotti agricoli. L’adozione di norme sulla liberalizzazione, sulla concorrenza aiutarono a rafforzare il mercato unico. Ritardo nell’applicazione. L’accordo di Copenhagen Fissa i criteri per l’ammissione nella UE (tuttora attivi): Stabilità politica delle istituzioni che garantisce democrazia, il rispetto della legge, i diritti umani e la protezione delle minoranze; Il funzionamento del mercato economico capace di sopportare la pressione del mercato della UE; Accettazione dell’Unione laquis. Aumento dei prezzi al consumo nei maggiori paesi OCSE, 1967-1992: tassi medi annui e tassi massimi e minimi La crescita dell’integrazione economica internazionale. % delle esportazioni sul Pil [prezzi 1990], 1950-1992 1950 1973 1992 Francia 7,7 15,4 22,9 Germania 6,2 23,8 32,6 Olanda 12,5 41,7 55,3 UK 11,4 14,0 21,4 Totale Europa occidentale 9,4 20,9 29,7 Spagna 1,6 5,0 13,4 URSS/Russia 1,3 3,8 5,1 Australia 9,1 11,2 16,9 13,0 19,9 27,2 3 5,0 8,2 Totale America Latina 6,2 4,6 6,2 Cina 1,9 1,1 2,3 India 2,6 2,0 1,7 Indonesia 3,3 5,0 7,4 Giappone 2,3 7,9 12,4 Corea 1,0 8,2 17,8 Taiwan 2,5 10,2 34,4 Tailandia 7,0 4,5 11,4 Totale Asia 2,3 4,4 7,2 Mondo 7,0 11,2 13,5 Canada USA Valori delle esportazioni di 56 paesi a prezzi correnti, in $, 1870-1992 1870 1913 1929 1950 1973 1992 2.841 9.352 13.186 19.439 243.830 1.549.810 Paesi extraeuropei di recente insediamento 571 3.295 7.149 15.484 109.996 634.586 Paesi europei del sud 154 338 910 1.027 11.944 127.472 Paesi dell'Europa orientale 259 1.025 1.944 4.113 47.066 98.704 Paesi dell'America latina 218 1.236 2.328 4.866 19.926 109.690 Paesi dell'Asia 439 1.802 3.929 4.823 61.631 679.543 86 560 993 2.824 14.921 52.512 Totale 4.568 17.608 30.439 52.576 509.314 3.252.317 Indice 100 385 666 1.151 11.150 71.198 56.247 236.330 334.408 375.765 1.797.199 3.785.619 100 420 595 668 3.195 6.730 Valori assoluti Paesi europei industrializzati Paesi dell'Africa Valore di esp. mondiali in mln. $ 1990 Indice id. Fonte: A. Maddison, L'économie mondiale 1820-1992. Analyse et Statistiques, OCDE, Paris, 1995, pp.152252,257. Ripartizione percentuale delle esportazioni di 56 paesi a prezzi correnti, in $, 1870-1992 1870 1913 1929 1950 1973 1992 Paesi europei industrializzati 62,19 53,11 43,32 36,97 47,87 47,65 Paesi extraeuropei di recente insediamento 12,50 18,71 23,49 29,45 21,60 19,51 Paesi europei del sud 3,37 1,92 2,99 1,95 2,35 3,92 Paesi dell'Europa orientale 5,67 5,82 6,39 7,82 9,24 3,03 Paesi dell'America latina 4,77 7,02 7,65 9,26 3,91 3,37 Paesi dell'Asia 9,61 10,23 12,91 9,17 12,10 20,89 Paesi dell'Africa 1,88 3,18 3,26 5,37 2,93 1,61 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 Totale Fonte: A. Maddison, L'économie mondiale 1820-1992. Analyse et Statistiques, OCDE, Paris, 1995, pp.152252, 257. Distribuzione per zone del commercio mondiale (esportazioni), 1950, 1970, 1980 1950 1970 1980 CEE 23,3 28,4 33,3 EFTA 14,5 13,1 5,8 Resto di Europa occ. 2,5 2,9 1,6 Giappone 3,2 6,2 6,5 Canada 4,3 5,4 3,2 16,0 13,7 10,2 3,1 2,6 2,0 Economie a pianificazione centrale 11,8 10,6 8,9 Paesi in sviluppo 21,3 17,1 27,9 USA Australia, Nuova Zel., Unione Sud Afr. Fonte: H. van der Wee, Prosperity and upheaval, Harmondsworth, 1986, p. 263. Problemi della UE Il processo decisionale è molto complesso per il numero dei paesi e per la maggioranza richiesta (unanimità) I cambiamenti della politica estera UE è condizionata da eventi esterni (Fine della Guerra fredda ed ex Jugoslavia) Il Trattato di Amsterdam Nel 1997, si voleva attuare tutte le riforme necessarie per allargare la UE. Rafforzamento della UE nelle politiche sociali. Timido rafforzamento poteri del Parlamento. Introduzione del concetto di «closer cooperation» Revisione del trattato nel 2000. Il Trattato di Nizza La revisione del Trattato di Amsterdam portò alla firma del trattato di Nizza. Il risultato non fu un pieno successo. Le critiche al trattato di Amsterdam come la composizione della Commissione o la revisione delle procedure di voto del Consiglio non furono considerate. Problemi con la ratificazione: l’Irlanda per esempio al secondo tentativo referendario A Nizza però « Declaration on the future of the Union» Non «sistema l’Europa» prima dell’allargamento. Evince la necessità di effettuare una più precisa separazione di poteri tra gli stati membri e l’istituzione. Ipotizzare la redazione di una carta dei diritti. Rendere i trattati più semplici da capire. Definire meglio il ruolo del parlamento. La dichiarazione di Laeken Questa dichiarazione è nota con il nome di dichiarazione di Laeken. Conteneva 56 questioni raggruppate nei 4 temi in precedenza indicati. Contiene anche due novità: La conferma che il trattato di Nizza era insufficiente a favorire l’integrazione Mentre il trattato di Nizza non la reca, questa dichiarazione parla per la prima volta di Costituzione Europea La dichiarazione di Laeken Non dà però il via alla redazione della Costituzione Europea …. Ma si pone il problema di cosa questa costituzione dovrebbe sancire… The European Convention 2002-2003 Voluta dalla Presidenza francese per definire gli obiettivi di medio lungo periodo, finì per diventare organismo deputato alla scrittura di una costituzione europea. Tutti i paesi lamentarono scarsa democraticità e rappresentatività della popolazione europea. The European Convention 2002-2003 I tentativi di trasformare la convenzione che ne uscì in Trattato fallirono. I disaccordi sulle procedure di voto e sul potere decisionale da attribuirsi a ciascun paese rallentarono l’adozione. Il passaggio con i paesi membri: Alcuni di loro che avevano sempre optato per la ratifica parlamentare per l’approvazione dei trattati europei ora passano all’opzione referendaria (Fr, NL, UK, ES, Lux) No di Francia ed Olanda alla ratifica La Pausa di riflessione Dopo queste vicissitudini i leader europei decisero di abbandonare per un periodo di riflessione il processo di ratificazione. Il Trattato di Lisbona Il processo fu ripreso nel 2007 su iniziativa della Germania (che aveva la presidenza di turno) I leader europei decisero che il trattato costituzionale era morto e che gli accordi di base ed i suoi elementi fondamentali dovessero essere ripresi dentro il Trattato di Lisbona Il Trattato di Lisbona La parola costituzione fu bannata Cosi come quella «federalismo» L’unica novità è l’abbandono di «Comunità Europea» per «Unione Europea». Per superare le difficoltà circa l’approvazione, i leader europei decisero di farlo ratificare dai parlamenti nazionali. Eccezione: Irlanda=referendum vinsero i no L’Irlanda ed il Trattato di Lisbona Per tornare alle urne, gli irlandesi chiesero (ed ottennero) che: La loro neutralità non fosse messa in discussione; Si potesse mantenere un commissario e che il divieto di aborto non fosse messo in discussione dal trattato. Nel 2009 anche gli irlandesi dissero di si. 113 Obiettivo del consiglio Europeo di Lisbona Rendere l’Europa la regione più competitiva e dinamica del mondo entro il 2010, anche mediate l’attuazione di politiche volte a sostenere la competitività e la inclusione sociale. 114 Le strategie forti del Consiglio Europeo di Lisbona L’affermazione della società mediante dell’utilizzo della il delle informazione rafforzamento tecnologie; E-europe: è una iniziativa politica intesa a garantire che la UE approfitti dei cambiamenti indotti dalla società della informazione; Obiettivi di E-europe Generalità e coesione sociale. Le strategie forti del Consiglio Europeo di Lisbona Ridurre il numero delle persone che non accedono a studi superiori; Favorire la libera circolazione dei ricercatori e l’integrazione della ricerca europea; La creazione di posti di lavoro in settori knowledge-based deve contare almeno il 50% del totale dei nuovi posti di lavoro creati nel 2010. Le strategie forti del Consiglio Europeo di Lisbona: la competitività Occorre creare un clima favorevole alle attività di impresa; Occorre ridurre i costi di transazione nel funzionamento dei mercati; Occorre ridurre i costi dei servizi pubblici gestiti in regime di monopolio; Occorre potenziare il mercato unico interno; Occorre integrare i mercati finanziari. La UE oggi… un po’ di statistiche 118 119 UE 25 In rosso le regioni con PIL pro capite inferiore al 75% della media UE al gennaio 2005 Fonte Commissione europea DG Regio 120 Il Debito pubblico La popolazione 125 Education Employment 129 Circa 24 milioni di posti di lavoro addizionali devono essere creati entro il 2010, di questi, almeno il 30% in 30 regioni in Poland, Spain, Romania and southern Italy Agricoltura R&D Un altro modo di leggere lo sviluppo… (Fonte, JRC, 2013) Ancora il JRC competitiveness index