La battaglia di Alesia – 52 a.C. L'avventura di Giulio Cesare nella Gallia (gran parte dell'odierna Francia) era iniziata nel marzo del 58 a.C. Sei anni dopo il proconsole romano era dovuto tornare nella regione per soffocare il tentativo di insurrezione dei popoli galli guidati dal re degli arverni Vercingetorige. Questi rappresentava la possibilità dell'unità nazionale di quei popoli contro l'invasore romano. Alesia era una città fortificata, corrispondente all'odierno centro francese di Alise-Sainte-Reine, e Vercingetorige ci finì dentro con tutti i suoi uomini dopo aver subito una sconfitta, da parte dei romani, nei pressi di Digione. Immediatamente Cesare e i suoi legionari posero l'assedio alla città, mentre i galli cominciarono a scavare fossati ed erigere muri appena fuori la cinta muraria, mettendo così, a protezione della città, un primo ostacolo agli attaccanti romani. Nel frattempo Vercingetorige invia dei messaggeri per esortare tutti i capi galli a formare un grosso esercito per poi attaccare Cesare alle spalle, mentre è intento ad assediare la città. La battaglia di Alesia, nel complesso, durerà tre giorni. Il giorno dopo Vercingetorige tenta ancora una sortita dalla città ma, nonostante l'espediente di un finto attacco in un altro punto del fronte, il capo gallo è costretto dalle legioni guidate da MarcAntonio e Gaio Trebonio, per la seconda volta, a rifugiarsi nuovamente dentro la città di Alesia. Anche Commio deve ripiegare, dopo aver subito gravi perdite, nei suoi accampamenti. Intanto, dentro le mura cominciano i primi problemi per i galli: i viveri cominciano a scarseggiare e si comincia a soffrire la fame. Per prendere tempo, i galli spediscono fuori la città gli abitanti che non sono in grado di combattere ma Cesare li rimanda al mittente. Frattanto l'esercito di soccorso gallo, guidato da Commio, giunge in vista di Alesia e si prepara alla battaglia accampandosi a poca distanza dai romani. Il giorno dopo Commio dà l'ordine dell'attacco ma il suo schieramento è alquanto confusionario: mette davanti a tutti la cavalleria, mescolata però con la fanteria leggera e gli arcieri, mentre dietro avanza il grosso dell'esercito, formato dalla fanteria pesante. Giulio Cesare non si scompone: contro Commio manda solamente la cavalleria per aggirarlo alle ali, mentre piazza la fanteria a ridosso del muro, costruito dai galli davanti ad Alesia, per evitare che Vercingetorige si congiungesse con Commio. La mossa di Cesare è astuta e vincente. Infatti, mentre i galli che escono dalla città vengono respinti dai legionari, la cavalleria romana costringe alla fuga l'esercito di Commio. In questo modo si conclude, a favore dei romani, il primo giorno di battaglia. Nella notte che precede il terzo giorno di battaglia, complice il buio, un esercito di cinquantamila galli, al comando di Vercassivellauno, esce dalla città e riesce a posizionarsi sopra le alture a nord di Alesia con la possibilità così di attaccare dall'alto il presidio formato da due legioni romane comandate da Gaio Antistio Regino e Gaio Caninio Rebilo. A mezzogiorno i galli sferrano l'attacco e costringono Cesare, che si era accorto dello sbandamento delle sue truppe, provocato dalla sorpresa, a prendere in mano il comando delle operazioni. Nel frattempo Vercingetorige esce ancora da Alesia per tentare di congiungersi con Vercassivellauno. Contro quest'ultimo Cesare manda sei coorti agli ordini di Labieno, mentre contro Vercingetorige scatena le legioni di Bruto e Gaio Fabio. La cavalleria pesante romana protegge l'attacco della fanteria, mentre la cavalleria leggera attua un accerchiamento delle truppe nemiche. I galli cadono a migliaia ed altrettanti fuggono in preda al terrore. Vercassivellauno viene fatto prigioniero, mentre Vercingetorige, per evitare anche lui di essere catturato, si rifugia per la terza volta dentro la città di Alesia. Il giorno dopo, il capo gallo capisce che che non è più in grado di dare battaglia e, gettando le armi ai piedi di Cesare, si arrende. Egli verrà portato prigioniero a Roma e rinchiuso nel carcere Mamertino dove, dopo sei anni di reclusione, verrà assassinato da uno schiavo su ordine di Cesare. Ecco come Gaio Giulio Cesare descrive il momento finale della battaglia: "All'arrivo di Cesare, che si congetturò dal colore del suo mantello (insegna che egli soleva portare nelle battaglie), e alla vista delle torme e delle coorti che egli aveva comandato di seguirlo, poiché si discernavano dalle alture la china del colle e tutta la valle, i nemici muovono alla battaglia. Alzatosi un grido dall'una e dall'altra parte, un altro ne risponde alla palizzata e da tutte le trincee. I nostri, abbandonati i giavellotti, vengono alle spade; ma ecco, si vede alle spalle del nemico la nostra cavalleria e poi nuove coorti che sopraggiungono. I nemici volgono le spalle, ma vengono a trovarsi a faccia a faccia coi cavalieri. Avviene una strage. Sedulio, duce e principe dei lemovici, cade ucciso; Vercassivellauno, viene preso prigioniero mentre si prepara a fuggire, si portano a Cesare settantaquattro bandiere galliche. Ben pochi dei nemici, da un numero così grande, riescono a salvarsi dentro gli accampamenti. Gli assediati, allora, vedendo la strage e la fuga dei commilitoni, perduta ogni speranza di salvarsi, fanno ritirare dalle fortificazioni i difensori. A questa notizia, succede una fuga generale ed improvvisa nel campo dei galli. Che se i legionari non si fossero trovati sfiniti dal continuo accorrere qua e là in aiuto, e dalla fatica di tutta quella giornata, si sarebbe potuto annientare del tutto il nemico". Difendere un villaggio o un accampamento militare dall'assalto dei nemici è stato un problema comune a tutte le civiltà del passato. Uno dei più semplici schemi di difesa è sezionato qui sotto: Una palizzata, a sinistra, si erge a difesa del villaggio. All'esterno fossati e terrapieni cercano di impedire o ritardare l'avanzata del nemico, ostacolato anche da due file di pali appuntiti. In quest'altra sezione è ricostruito uno schema di difesa in uso ai tempi di Cesare, con un muro in pietra preceduto da varie fosse in cui sono piantati alberi aguzzi, in maniera da ostacolare la marcia. Dal primo fossetto spuntano gli stimuli. Si trattava di chiodi aguzzi in ferro, fissati su assi di legno e semi-nascosti nel terreno, in modo da perforare i piedi dell'incauto aggressore che avesse tentato una sorpresa notturna. Questo schema difensivo, leggermente modificato, fu adottato da Cesare nella battaglia di Alesia del 52 aC, dove sconfisse definitivamente i Galli. In quell'occasione i Romani costruirono due linee fortificate, una per l'assedio alla città occupata dal capo dei galli Vercingetorige, e una alle proprie spalle per sostenere il contrattacco dell'altro esercito gallo che veniva in soccorso degli assediati. In questa ricostruzione vediamo un tratto del recinto di difesa fatto costruire da Cesare, protetto da fossati e terrapieni e sorvegliato da torri in legname, da cui i difensori potevano scagliare lance e frecce. Davanti al terrapieno due fossati cercavano di impedire l'avvicinamento al recinto di macchine da assedio. Più avanti, a destra (non visibili) quattro o cinque file di alberi tagliati e appuntiti. La linea di difesa resisté a tre attacchi dei galli, e Vercingetorige fu costretto ad arrendersi.