Dott. Massimiliano Marzocca
Psicologo
[email protected]
www.massimilianomarzocca.it
Cell 347.0747411
Il videogioco come abitudine poco
salutare: aspetti fisici
L’uso eccessivo dei videogiochi ha spesso destato
preoccupazioni in campo medico.
Weinstein (2010) coniò, già negli anni Ottanta,
espressioni come quelle di “Gomito di Pac-man”,
“Nintendinite”, “Vendetta di Space Invaders”, usandole
per indicare problemi articolari, dermatologici o
muscolari legati a un utilizzo smodato dei videogame.
1) Di più recente comparsa sono le espressioni “Pollice
da Playstation” o “Wiite”, che indicano un
ispessimento dello strato epiteliale del pollice, seguito
dalla comparsa di vistose escrescenze e da dolorosi
versamenti sottocutanei.
2) Un altro problema rilevante in
campo
medico
concerne
l’insorgenza di crisi epilettiche,
specialmente
nei
bambini
e
adolescenti
particolarmente
sensibili a flash e stimolazioni
luminose intense.
E’ celebre in letteratura il caso di una
ragazza di
17
anni
colpita
dall’epilessia di Dark Warrior.
Durante la sua seconda partita,
immediatamente
dopo
una
sequenza ininterrotta di flash
luminosi, la ragazza era caduta a
terra, colpita da una crisi epilettica e
da convulsioni.
3) La relazione fra videogiochi e obesità ha assunto un
ruolo di primaria importanza nella letteratura di
settore.
I dati recentemente presentati (2012) dalla Società
Italiana di Pediatria parlano chiaro: mentre il 60% dei
ragazzi di terza media trascorre ogni giorno tra le 10 e
le 11 ore seduto, il 40% non pratica un’attività sportiva
per più di 2 ore alla settimana.
Computer e videogiochi di certo non aiutano.
Il 68% degli interpellati ha il computer nella propria
camera da letto e il 61% ha la tv.
Il 17% ammette di dedicare ad entrambi più di 3 ore al
giorno.
L’obesità è stata ripetutamente correlata al tempo
trascorso davanti a televisione e videogiochi (Marshall
et al., 2004)
La relazione tra televisione e videogiochi può essere
spiegata sulla base di due ipotesi fondamentali:
a) la variabile discriminante diventa l’induzione da
parte di videogame e televisione di un comportamento
da couch potato (“patata da divano”), alludendo alla
sostanziale sedentarietà che accompagna tanto la
fruizione televisiva, quanto quella videoludica, benchè
tali attività siano state spesso considerate identiche.
Studi recenti hanno messo in luce che, la fruizione di
un videogioco è estremamente diversa da quella di un
programma televisivo.
L’uso dei videogiochi comporta un incremento del
consumo di ossigeno, del battito cardiaco e della
pressione sanguigna.
La variazione di parametri fisiologici e metabolici non
deve però essere confusa o sovrapposta ai dati che
riguardano l’esercizio fisico.
b) alla base della relazione fra videogame e obesità
esiste l’insorgenza di una pulsione legata al consumo
smodato di cibo, senza che ve ne sia effettivo bisogno
fisiologico.
Il fenomeno del “mangiare senza avere fame”.
Secondo i ricercatori ciò potrebbe verificarsi sia per
un’inibizione
dei
segnali
che
indicano
il
raggiungimento della sazietà fisiologica, che per
l’attivazione di un sistema di ricompense indotto dalla
condizione di stress cui il videogame sottopone la
mente.
a) Nel primo caso, l’attività videoludica andrebbe ad
anestetizzare il funzionamento di alcuni dei
meccanismi che consentono un buon allinemento tra il
bisogno fisiologico di cibo e la pulsione psicologica alla
fame.
b) Nel secondo caso, sarebbe invece possibile associare
alla pratica videoludica un carico di lavoro mentale che
porta l’organismo a esigere una qualche forma di
gratificazione.
Entrambe le ipotesi devono essere ancora approfondite.
I videogiochi come fonte di distrazione: dal
rendimento scolastico all’adhd disorder
L’uso eccessivo, l’abuso e la dipendenza da videogame sono
spesso associati anche a un calo del rendimento scolastico.
I ragazzi che dedicano più tempo ai videogiochi o che
spendono di più per il loro acquisto sono anche quelli con il
curriculum scolastico peggiore.
 Una prima spiegazione è data dal fatto che, dedicando
la maggior parte del proprio tempo libero ai
videogame, il soggetto possa impegnarsi solo in
minima parte ad attività più proficue dal punto di vista
didattico, come i compiti, la lettura e lo studio.
 Un’altra ipotesi è che, la correlazione potrebbe essere
spiegata sulla base del contenuto dei videogiochi.
Effettuivamente, un’esposizione prolungata a violenza,
sesso e comportamenti ad alto rischio, fruiti sia
attraverso la televisione che attraverso i videogiochi, è
stata spesso correlata non solo a voti negativi, ma
anche a discussioni e litigi con insegnanti e professori.
 Un’ultima interpretazione lega l’abuso e la dipendenza
da videogame a problemi d’attenzione.
Venendo ripetutamente esposti a programmi televisivi
dal forte impatto cognitivo ed emotivo, i bambini
hanno maggiori difficoltà a concentrarsi su compiti
che, per loro stessa natura, risultano generalmente
meno entusiasmanti e interessanti.
Il calo di attenzione è dovuto ai continui shift attentivi
richiesti dai nuovi media.
L’uso di videogiochi può incidere negativamente
sull’attenzione al punto tale da diventare uno dei fattori
presenti dell’Adhd Disorder .
(Chan e Rabinowitz, 2006)
DDAI: Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, tipico
della fase evolutiva.
Secondo il DSM-IV, il Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali, il disturbo, caratterizzato da una sostanziale
incapacità di autoregolazione, può riguardare in maniera
esclusiva l’attenzione, l’iperattività o entrambe le aree.
Da una parte il disturbo implica così una significativa
difficoltà nel mantenimento dell’attenzione, nella
messa a fuoco dei dettagli, nell’organizzazione del
lavoro o nella concentrazione in attività prolungate,
accompagnate
da
costanti
dimenticanze
e
disattenzioni.
Dall’altra, esso sottende una costante irrequietezza,
movimenti continui e un’incapacità nel rimanere
seduti, a cui si aggiungono comportamenti impulsivi,
quali l’invadenza e la difficoltà ad aspettare il proprio
turno.
Questi aspetti diventano davvero patologici nel
momento in cui rimangono costanti nel tempo
(almeno 6 mesi), si dimostrano trasversali
all’esperienza quotidiana e possono nuocere
significativamente allo sviluppo dell’individuo,
creando conseguenze molto gravi dal punto di vista
scolastico, familiare e sociale.
La diatriba sui videogiochi violenti
Il “videogioco violento” è una delle problematiche
videoludiche più note anche alle orecchie dei nongiocatori.
Negli Stati Uniti alcuni opinionisti televisivi si sono fatti un
nome trattando soltanto i rischi connessi alla violenza nei
videogiochi.
Dall’altra parte della barricata, invece, le aziende
produttrici di videogiochi e i consumatori si sono mossi
spesso a favore della libertà di creazione e fruizione.
La serie Grand Theft Auto annovera senz’ altro alcuni tra i
più violenti e allo stesso tempo diffusi videogiochi che ci
siano: il protagonista è inserito in un’ambientazione
sostanzialmente realistica, e sviluppa una carriera nel
mondo della criminalità portando a termine diversi atti
illegali.
Nell’estrema libertà concessa da questo free-roaming, egli
può anche aggredire e uccidere i passanti per puro
divertimento.
Minininjas porta invece il giocatore a identificarsi in un
gruppetto di buffi omini cartoon vestiti da ninja, nel
contesto di un’ ambientazione fantastica di matrice
orientalista.
Il gioco non presenta nulla di macabro e non viene versata
una sola goccia di sangue: tuttavia, i piccoli ninja devono
senz’altro usare le loro armi e le loro abilità per sconfiggere
le orde di mostricciattoli che si frappongono tra loro e
l’obiettivo della storia.
La classificazione PEGI che identifica i contenuti
violenti sulla copertina di un videogioco (nello
specifico, l’immagine stilizzata di un pugno rivolto
verso l’alto) è probabilmente la più diffusa: appare in
effetti su un numero altissimo di prodotti, dai
videogiochi realistici e consigliati a un pubblico
maturo (per esempio quelli a tema criminale come
GTA), passando per i giochi di ruolo fantasy fino ai
platform cartoon adatti ai fruitori di tutte le età.
Bandura (1965) spiegò per primo in modo sintetico la
capacità di apprendere un comportamento attraverso
l’osservazione del medesimo come messo in atto da un
altro (modello) nello specifico, il comportamento
appreso negli esperimenti di Bandura riguardava
proprio condotte aggressive (i bambini soggetti
dell’esperimento picchiavano un pupazzo dopo aver
visto un adulto fare lo stesso).
Craig Anderson sostiene che i media possono generare
aggressività in tre modi:
1) attraverso i comportamenti diretti
2) attraverso il pensiero
3) attraverso le emozioni
1) Nel primo caso, il contenuto violento è ritenuto in
grado di causare direttamente l’imitazione del fruitore,
in assenza di un riferimento alla mediazione cognitiva,
come accadeva nella Social Learning Theory classica di
Bandura.
2) Nel secondo caso, il media violento è ritenuto
capace di generare pensieri aggressivi, i quali in un
secondo momento potrebbero a loro volta generare i
comportamenti
attraverso
rappresentazioni
intrinsecamente aggressive della realtà.
3) L’influenza di matrice emotiva da parte de
videogiochi violenti si riferisce invece agli studi che
fanno uso di misurazioni psicofisiologiche rilevando
che l’utilizzo di videogiochi violenti produce nei
fruitori innalzamenti significativi della pressione
sanguigna e della conduttanza cutanea (legata alla
sudorazione); tali attivazioni emotive possono
persistere nell’individuo, portandolo a sentirsi
aggressivo anche al di fuori dell’esperienza di gioco e a
trasferire l’eccitazione negativa su stimoli differenti da
quelli presentati nel mondo virtuale.
Secondo Anderson:

il videogioco è un processo attivo dove il fruitore
non è solo spettatore

nei
videogiochi
a
contenuto
violento,
l’identificazione del giocatore è quasi sempre nel
personaggio violento, che produce i comportamenti

i videogiochi violenti, di solito, premiano il
comportamento
violento,
garantendo
quindi
l’instaurarsi di meccanismi di apprendimento
intrinsecamente condizionanti
Effetti positivi dei videogiochi violenti:
un’interessante scoperta riguarda la particolare
capacità che tali giochi hanno mostrato nel potenziare
la cognizione spaziale, intesa come l’insieme dei
processi che permettono di focalizzare, analizzare,
processare e modificare mentalmente infomazioni
visive.
Ciò può imputarsi alle azioni rapidissime e complesse
che sono spesso richieste in questo tipo di giochi.
Un numero non esiguo di ricerche ha sostenuto un effetto
opposto dei videogiochi violenti, asserendo come essi
tenderebbero a ridurre l’aggressività nella vita reale.
La possibilità di sperimentare azioni violente nel virtuale
consente di sfogare eventuali istinti aggressivi (funzione
catartica).
Differenza tra una relazione di causa ed effetto e
una correlazione
Potremmo ipotizzare che i comportamenti violenti
siano causati dalla «prolungata esposizione» ai
videogiochi.
Ma chi dice che non si vera la tesi opposta?
Potremmo infatti affermare che gli individui più
violenti siano anche videogiocatori più accaniti
perché, avvertendo impulsi aggressivi che non sempre
nella vita reale possono essere appagati, si trovino più
spesso di altri a soddisfarli attraverso i mondi virtuali
offerti dai videogame.
La dipendenza dai videogiochi
Nel 2007 l’American Psychiatric Association ha
discusso della possibilità di inserire il disturbo da
dipendenza dai videogiochi nella nuova edizione del
DSM.
Il concetto di dipendenza non riguarda più soltanto le
sostanze ma anche alcuni precisi comportamenti e
attività.
Le prime pratiche ad essere riconosciute in grado di
generare dipendenza, in modo analogo alle sostanze
psicotiche, sono state il sesso e il gioco d’azzardo.
Iniziando a parlare di dipendenza
dai videogiochi alcuni studiosi
hanno cercato di riferirsi a
quest’ultimo comportamento per
individuarne le caratteristiche,
traslando i criteri per la diagnosi
del disturbo da dipendenza da
gioco d’azzardo nell’ambito dei
videogiochi.
Queste classificazione vengono però fortemente
criticate: alcuni criteri che permettono di discriminare
la dipendenza da gioco d’azzardo sembrano riferirsi,
nel caso dei videogiochi, soltanto a situazioni di alto
coinvolgimento non patologico.
Per esempio, l’aver “litigato con i propri familiari
riguardo al tempo speso a giocare” piuttosto che il
“pensare spesso ai videogiochi anche quando non si sta
giocando” risultano essere esperienze comuni a tutti
gli hard gamer, senza che possa parlarsi di uno stato
patologico.
Inoltre, l’esperienza del gioco d’azzardo prevede
l’elemento del denaro vinto e perso, per cui il paziente
matura una rappresentazione distorta della realtà in
cui gli scarsi successi sono percepiti come una
motivazione sufficiente a continuare a giocare,
nonostante le perdite.
Nel caso del giocatore compulsivo il gioco costituisce
anche un tentativo disperato di ristabilire l’ordine della
sua vita, spesso caratterizzata dai forti debiti contratti
a livello economico.
Wood (2008) riporta alcuni suoi casi clinici
evidenziando il rischio di errore diagnostico, che egli
ritiene ancora molto comune in questo campo.
Martin, un bambino di undici anni, viene condotto al
terapeuta dai genitori, preoccupati per il suo gioco
compulsivo.
Il bambino si rifiuta sempre più spesso di andare a scuola, i
suoi voti sono considerevolmente calati ed egli passa la
maggior parte del suo tempo a giocare a World of Warcraft
sul computer.
I genitori si spaventano per la sua reazione di rabbia e
depressione quando minacciano di togliergli il gioco e si
rivolgono al terapeuta paventando un caso di dipendenza
dai videogame.
Bruce, un uomo di quarantadue anni, si reca
personalmente dal terapeuta preoccupato dal fatto che
spende molto tempo a giocare a Everquest, dopo aver
sentito parlare, anch’egli dai media, della dipendenza
da videogiochi.
Questa attività gli crea anche problemi nel rapporto
con la moglie, tanto che ha deciso di troncare
totalmente le attività di gioco, pur essendone
sinceramente dispiaciuto.
Dai colloqui con il bambino emerge il fatto che egli
non ha molti amici a scuola ed è oggetto di atti di
bullismo.
Il malessere di Bruce viene risolto attraverso un
potenziamento della comunicazione con la moglie e
tramite la creazione congiunta di un programma che
regola il tempo di gioco in casa.
Molto spesso il videogioco costituisce una risorsa
importante per persone che vivono differenti forme di
malessere.
Griffiths (2005)
L’utilizzo dei videogiochi può essere caratterizzato da
Salienza
L’ attività diventa dominante nei pensieri e nella
vita quotidiana della persona
Modificazione dell’umore
L’ attività genera nel fruitore stati emotivi vari e
specifici
Tolleranza
La persona è in grado di tollerare tempi dell’attività
intollerabili da soggetti non-dipendenti
Sintomi di astinenza
Il paziente soffre della mancanza dell’attività, fino
a esperire vissuti fisiologici di malessere
Conflitto
Il paziente esperisce conflitti interiori riguardo il
suo oggetto di dipendenza: esso causa inoltre
contrasti relazionali con le persone per lui
significative, sul posto di lavoro/scuola e nel
contesto di altre attività ricreative
Ricaduta
Il soggetto cerca o ha cercato di interrompere
l’abuso dell’attività, ma non ci riesce o ci è presto
ricaduto
MMORPG Addiction
E’ un tipo particolare di videogioco che presenta rischi legati a
condotte di abuso.
Sono piattaforme di gioco caratterizzate dalla possibilità di vivere
online le proprie avventure fantastiche, conoscendo altre persone
attraverso i loro avatar, alleandosi e/o confrontandosi con loro.
(anche nei casi citati da Wood i fruitori utilizzavano programmi
MMORPGs)
Esistono importanti differenze tra i giochi single player
e i videogame, che permettono di costruire da zero un
personaggio allo scopo di relazionarsi con altri in un
mondo condiviso è da dire che tali giochi, fin dai
MUDs loro antenati sono caratterizzati da una
tecnologia immersiva che rende meno evidente il
contesto ludico, facilitando l’identificazione tra
personaggio e avatar.
Il giocatore ha sempre a
disposizione nuove possibilità
ed esperienze, e pertanto la
fine del gioco può essere
stabilita soltanto da lui stesso.
Altri
aspetti
importanti
riguardano la complessità
motivazionale che sottosta agli
MMORPG e le risorse che essi
mettono a disposizione per
l’intrattenimento.
Nick Yee, ricercatore a Palo Alto in California,
individua come elementi che determinano un
importante attaccamento nei confronti di questi giochi
in:
Ciclo di ricompense
Il sistema con cui gli MMORPG ricompensano il giocatore
dei suoi sforzi riflette le modalità di emissione dei premi
studiate nella psicologia classica dai comportamenti.
Ricompense immediate e frequenti nelle prime fasi del
gioco, per poi vedere i medesimi premi diradarsi nel tempo
e richiedere sempre maggiore impegno.
Tale meccanismo, anche senza fare riferimento a
mediazioni cognitive, è riconosciuto in grado di
condizionare fortemente il comportamento a proseguire
nell’attività intrapresa.
Network di relazioni
Fornisce la possibilità di sviluppare relazioni
significative e di esperire, in seguito, obblighi e doveri
in esse similmente ai rapporti del mondo reale.
Inoltre, per poter giocare insieme gli avatar devono
essere di livello identico o simile; ciò spinge i giocatori
a “tenere il passo” con i propri compagni di gioco.
Qualità immersive
Yee chiama fattori legati essenzialmente all’affezione e
all’interesse sincero per il gioco.
Guidando il proprio personaggio attraverso diverse
avventure e assistendo al suo sviluppo, il giocatore
matura facilmente affezione per esso, è felice delle sue
conquiste e sinceramente preoccupato dagli eventi
negativi che gli accadono.
Secondo Yee, l’uso patologico (e dunque la
dipendenza) emergono nel momento in cui i fattori di
attrazione si combinano con specifiche caratteristiche
di personalità e stile di vita, e nello specifico con
necessità preesistenti, la cui soddisfazione l’utente
individua nel gioco di ruolo online.
Si tratta di fattori motivazionali, ovvero pressioni e
problemi della vita reale che trovano un importante
“farmaco” nei fattori di attrazione.
Una persona con un basso livello di autostima nella
vita reale trova nel MMORPG la possibilità di ottenere
successo e approvazione altrui in attività riconosciute
socialmente;
allo stesso modo, l’immagine
impoverita del Sé che sovente si accompagna a tali
situazioni, trova sollievo nella possibilità di crearsi da
zero un’identità/personalità fittizia secondo i propri
desideri.
Altre caratteristiche sono la sensazione di controllo
del proprio destino e delle proprie azioni e la
sensazione di essere utili che vengono sperimentate
in questi giochi.
Ove il soggetto sia caratterizzato da ridotte capacità
relazionali, e non si senta soddisfatto dei rapporti che
vive quotidianamente, il gioco di ruolo online fornisce
ancora un’efficace risorsa.
Infine, il rigoroso sistema di ricompense fornito dal
gioco, e la soddisfazione garantita da meccanismi
strutturali e di contenuto, costituiscono una
controparte a vissuti di frustrazione e stress.
Nella tabella adattata da Yee sono esposti i fattori
motivazionali, la risposta che trovano nel MMORPG e il
corrispondente fattore di attrazione.
Fattore motivazionale
Risposta trovata nel
MMORPG
Fattore di attrazione
Bassa autostima
Sentirsi
competenti/potenti
Ciclo di ricompense
Immagine di Sé
impoverita
Essere belli/attraenti
Qualità immersive
Mancanza di controllo
sulla propria vita
Controllo sulla vita
vituale/poter fare la
differenza
Ciclo di
ricompense/network di
relazioni
Sentirsi inutili
Sentirsi utili/necessari
Network di relazioni
Necessità di creare e
mantenere relazioni
Comunicazione
semplicata
Network di relazioni
Stress e frustrazione
Ricompense, evasione
Ciclo di ricompense
Yee riconduce l’emergere della dipendenza a necessità
di vita che esulano dal videogioco; la particolare
sensibilità del MMORPG a tali motivazioni è dunque
unicamente da ricondursi alle sue caratteristiche, che
incidentalmente forniscono sollievo di fronte a
situazioni di malessere tristemente diffuse.
Il risultato di una strategia distorta volta a risolvere
problemi reali, come l’attaccamento a una sostanza o
un’attività che, perlomeno inizialmente, garantisce alla
persona la sensazione di potenziare sé stessa e di
rendere migliore la propria vita.
Oltre a difficoltà psicologiche, anche la presenza di
condizioni psichiatriche (come disturbi di personalità
e fobia sociale) costituisce un importante fattore di
rischio (Cantelmi, 2000).
Nel caso di una persona che sceglie di dedicare gran
parte del suo tempo all’esperienza di un mondo
alternativo ove i suoi bisogni primari possono trovare
soddisfazione, sarà possibile parlare con certezza di
dipendenza da videogiochi qualora si dimostrasse che
questa scelta gli impedisse effettivamente di vivere nel
mondo reale, e costituisse una limitazione della sua
libertà.
Il videogioco come fuga dalla realtà:
derive psicotiche
I videogiochi:
 presentano sfide e opportunità per la nostra conoscenza di
noi stessi
 catalizzano le nostre emozioni e la nostra attività cognitiva
 ci propongono veri e propri mondi alternativi dove persino
la relazione sociale è implementata, presentando
straordinarie somiglianze con quella epseribile nella vita
reale e quotidiana
Il coinvolgimento, nei termini del “senso di presenza” e
del flow, non costituisce una funzione della capacità
tecnica del prodotto: anche il più semplice giochetto
da console portatile o da cellulare può creare in noi un
totale senso di concentrazione, e presentare alla nostra
coscienza la sensazione di essere e agire altrove
rispetto al luogo dove effettivamente ci troviamo.
Alcuni anni fa fatti di cronaca raccontano la storia di
Alessandro, un ragazzo torinese, che avrebbe giocato
per giorni interi a Street Fighter per cadere poi in un
complesso delirio in cui si convinceva di essere alcuni
personaggi del gioco, in particolare lo studente di arti
marziali Ken Masutazu.
In particolare la stampa identificò come fattori
problematici due elementi:
 la violenza del gioco
 l’enorme quantità di tempo spesa dal ragazzo nel gioco
initerrotto.
La violenza
Il videogioco violento può costituire una pericolosa
fonte di apprendimento e di influenza sociale.
Nessuno studio ha individuato una relazione tra la
violenza di un prodotto videoludico e l’insorgere di
veri e propri deliri.
Non vi è motivo per ritenere che esso debba
presentarsi necessariamente in relazione a un gioco
violento o non violento.
La percezione del tempo
La percezione del tempo è
senz’altro
influenzata,
anche
negativamente,
da
attività
coinvolgenti come i videogiochi.
Esperimenti sulla capacità di
quantificare il tempo speso a
giocare sono stati realizzati anche
al di fuori degli studi del flow, che
hanno
messo
in
luce
esplicitamente questa caratteristica
dell’esperienza.
Anche in questo caso non esistono evidenze di una
relazione diretta tra impiego/dispercezione del tempo
e fenomeni patologici gravi come il delirio.
Per quanto un gioco ininterrrotto di interi giorni sia
senz’altro un’attività poco salutare da numerosi punti
di vista, non vi è motivo di ritenere che possa causare
direttamente una compromissione dell’esame di realtà.
Spence (1993) riporta il caso di una giovane donna
che, nel contesto di un quadro psicologico assimilabile
al disturbo schizofrenico, asseriva di avere
allucinazioni uditive il cui contenuto consisteva nella
colonna sonora di un gioco Nintendo.
In questo caso il disturbo è comunque associabile ai
videogame soltanto per un fattore limitato e minimo.
Rachel Forsyth (2001) e i suoi colleghi riportano il
loro caso: un uomo viene arrestato in seguito a un furto
d’auto, con l’accusa ulteriore di rapina a mano armata.
Interrogandolo, gli agenti si rendono presto conto che
egli è in preda a un delirio; ha rubato l’auto per iniziare
a “fare punti” e ha guidato in modo spericolato a
motivo del fatto che aveva acquistato “carburante
infinito”; ha in seguito rubato veicoli sempre più
potenti”, minacciando i proprietari con un’arma,
sempre per aumentare il suo punteggio, e dichiara che,
sebbene non abbia ucciso nessuno, non si sarebbe
pentito di eventuali gesti aggressivi, in quanto anche
questi avrebbero contribuito al suo avanzamento nel
gioco.
La successiva diagnosi psichiatrica ha individuato una
schizofrenia paranoide preesistente, caratterizzata dal
delirio da videogame in seguito all’attività di gioco.
Il paziente asseriva di sentire “il gioco parlargli
attraverso le cuffie”.
Il paziente ha messo in atto anche comportamenti
aggressivi e criminali connessi alla sua deriva psicotica.
L’elemento più importante per la disamina di questo
caso risiede nella diagnosi preesistente.
Restaurare il videogioco:
le tecnologie positive
Non esiste una “psicopatologia dei videogiochi”, non più di
quanto esiste una psicopatologia del cinema piuttosto che
dello sport.
Il fatto che il videogioco possa concorrere anche allo
sviluppo di realtà negative e pericolose risulta essere alla
fine, in primo luogo, una conferma delle sue potenzialità e
delle sue infinite sfaccettature.
Esso ci garantisce esperienze pregnanti e stimola la nostra
persona a diversi livelli, intervenendo sulla nostra mente e
sul nostro comportamento con risultati che possono
andare dall’esperienza piacevole e benefica alla
degenerazione.
Spesso si è portati a pensare che i videogiochi abbiano
la capacità di influenzare i comportamenti dei
giocatori in modo negativo.
Trova che tali fenomeni siano realmente preoccupanti?
Tonino Cantelmi
“No, è una visione davvero ingenua. In realtà il videogioco
implica tre fenomeni che combinati tra loro generano una
influenza sui comportamenti.
Il primo fenomeno è dato dall’incremento dell’ambiguità e
della instabilità della soglia di differenziazione tra reale e
virtuale.
Il secondo fenomeno è un abbassamento della percezione
diretta delle conseguenze dell’agire reale (la percezione della
responsabilità e delle conseguenze delle proprie azioni).
Infine, per l’effetto Proteus, l’avatar si è mostrato in grado di
influenzare il giocatore, cioè di introdurre percezioni di se
stessi avatar-dipendenti”.
Siamo davvero sicuri che i
videogiochi non influenzino
i comportamenti dei
giocatori in modo negativo?
...e che non modifichino,
magari in peggio, le abitudini
correlate al sonno?
Dr.Marzocca
Siamo davvero sicuri che i
videogiochi non influenzino
i comportamenti dei
giocatori in modo negativo?
...e che non modifichino,
magari in peggio, le abitudini
correlate al sonno?
Grazie per
l’attenzione!!!
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Cyberpsicologia 05.Psicopatologia del videogioco