Dott. Massimiliano Marzocca Psicologo [email protected] www.massimilianomarzocca.it Cell 347.0747411 Il videogioco come abitudine poco salutare: aspetti fisici L’uso eccessivo dei videogiochi ha spesso destato preoccupazioni in campo medico. Weinstein (2010) coniò, già negli anni Ottanta, espressioni come quelle di “Gomito di Pac-man”, “Nintendinite”, “Vendetta di Space Invaders”, usandole per indicare problemi articolari, dermatologici o muscolari legati a un utilizzo smodato dei videogame. 1) Di più recente comparsa sono le espressioni “Pollice da Playstation” o “Wiite”, che indicano un ispessimento dello strato epiteliale del pollice, seguito dalla comparsa di vistose escrescenze e da dolorosi versamenti sottocutanei. 2) Un altro problema rilevante in campo medico concerne l’insorgenza di crisi epilettiche, specialmente nei bambini e adolescenti particolarmente sensibili a flash e stimolazioni luminose intense. E’ celebre in letteratura il caso di una ragazza di 17 anni colpita dall’epilessia di Dark Warrior. Durante la sua seconda partita, immediatamente dopo una sequenza ininterrotta di flash luminosi, la ragazza era caduta a terra, colpita da una crisi epilettica e da convulsioni. 3) La relazione fra videogiochi e obesità ha assunto un ruolo di primaria importanza nella letteratura di settore. I dati recentemente presentati (2012) dalla Società Italiana di Pediatria parlano chiaro: mentre il 60% dei ragazzi di terza media trascorre ogni giorno tra le 10 e le 11 ore seduto, il 40% non pratica un’attività sportiva per più di 2 ore alla settimana. Computer e videogiochi di certo non aiutano. Il 68% degli interpellati ha il computer nella propria camera da letto e il 61% ha la tv. Il 17% ammette di dedicare ad entrambi più di 3 ore al giorno. L’obesità è stata ripetutamente correlata al tempo trascorso davanti a televisione e videogiochi (Marshall et al., 2004) La relazione tra televisione e videogiochi può essere spiegata sulla base di due ipotesi fondamentali: a) la variabile discriminante diventa l’induzione da parte di videogame e televisione di un comportamento da couch potato (“patata da divano”), alludendo alla sostanziale sedentarietà che accompagna tanto la fruizione televisiva, quanto quella videoludica, benchè tali attività siano state spesso considerate identiche. Studi recenti hanno messo in luce che, la fruizione di un videogioco è estremamente diversa da quella di un programma televisivo. L’uso dei videogiochi comporta un incremento del consumo di ossigeno, del battito cardiaco e della pressione sanguigna. La variazione di parametri fisiologici e metabolici non deve però essere confusa o sovrapposta ai dati che riguardano l’esercizio fisico. b) alla base della relazione fra videogame e obesità esiste l’insorgenza di una pulsione legata al consumo smodato di cibo, senza che ve ne sia effettivo bisogno fisiologico. Il fenomeno del “mangiare senza avere fame”. Secondo i ricercatori ciò potrebbe verificarsi sia per un’inibizione dei segnali che indicano il raggiungimento della sazietà fisiologica, che per l’attivazione di un sistema di ricompense indotto dalla condizione di stress cui il videogame sottopone la mente. a) Nel primo caso, l’attività videoludica andrebbe ad anestetizzare il funzionamento di alcuni dei meccanismi che consentono un buon allinemento tra il bisogno fisiologico di cibo e la pulsione psicologica alla fame. b) Nel secondo caso, sarebbe invece possibile associare alla pratica videoludica un carico di lavoro mentale che porta l’organismo a esigere una qualche forma di gratificazione. Entrambe le ipotesi devono essere ancora approfondite. I videogiochi come fonte di distrazione: dal rendimento scolastico all’adhd disorder L’uso eccessivo, l’abuso e la dipendenza da videogame sono spesso associati anche a un calo del rendimento scolastico. I ragazzi che dedicano più tempo ai videogiochi o che spendono di più per il loro acquisto sono anche quelli con il curriculum scolastico peggiore. Una prima spiegazione è data dal fatto che, dedicando la maggior parte del proprio tempo libero ai videogame, il soggetto possa impegnarsi solo in minima parte ad attività più proficue dal punto di vista didattico, come i compiti, la lettura e lo studio. Un’altra ipotesi è che, la correlazione potrebbe essere spiegata sulla base del contenuto dei videogiochi. Effettuivamente, un’esposizione prolungata a violenza, sesso e comportamenti ad alto rischio, fruiti sia attraverso la televisione che attraverso i videogiochi, è stata spesso correlata non solo a voti negativi, ma anche a discussioni e litigi con insegnanti e professori. Un’ultima interpretazione lega l’abuso e la dipendenza da videogame a problemi d’attenzione. Venendo ripetutamente esposti a programmi televisivi dal forte impatto cognitivo ed emotivo, i bambini hanno maggiori difficoltà a concentrarsi su compiti che, per loro stessa natura, risultano generalmente meno entusiasmanti e interessanti. Il calo di attenzione è dovuto ai continui shift attentivi richiesti dai nuovi media. L’uso di videogiochi può incidere negativamente sull’attenzione al punto tale da diventare uno dei fattori presenti dell’Adhd Disorder . (Chan e Rabinowitz, 2006) DDAI: Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, tipico della fase evolutiva. Secondo il DSM-IV, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, il disturbo, caratterizzato da una sostanziale incapacità di autoregolazione, può riguardare in maniera esclusiva l’attenzione, l’iperattività o entrambe le aree. Da una parte il disturbo implica così una significativa difficoltà nel mantenimento dell’attenzione, nella messa a fuoco dei dettagli, nell’organizzazione del lavoro o nella concentrazione in attività prolungate, accompagnate da costanti dimenticanze e disattenzioni. Dall’altra, esso sottende una costante irrequietezza, movimenti continui e un’incapacità nel rimanere seduti, a cui si aggiungono comportamenti impulsivi, quali l’invadenza e la difficoltà ad aspettare il proprio turno. Questi aspetti diventano davvero patologici nel momento in cui rimangono costanti nel tempo (almeno 6 mesi), si dimostrano trasversali all’esperienza quotidiana e possono nuocere significativamente allo sviluppo dell’individuo, creando conseguenze molto gravi dal punto di vista scolastico, familiare e sociale. La diatriba sui videogiochi violenti Il “videogioco violento” è una delle problematiche videoludiche più note anche alle orecchie dei nongiocatori. Negli Stati Uniti alcuni opinionisti televisivi si sono fatti un nome trattando soltanto i rischi connessi alla violenza nei videogiochi. Dall’altra parte della barricata, invece, le aziende produttrici di videogiochi e i consumatori si sono mossi spesso a favore della libertà di creazione e fruizione. La serie Grand Theft Auto annovera senz’ altro alcuni tra i più violenti e allo stesso tempo diffusi videogiochi che ci siano: il protagonista è inserito in un’ambientazione sostanzialmente realistica, e sviluppa una carriera nel mondo della criminalità portando a termine diversi atti illegali. Nell’estrema libertà concessa da questo free-roaming, egli può anche aggredire e uccidere i passanti per puro divertimento. Minininjas porta invece il giocatore a identificarsi in un gruppetto di buffi omini cartoon vestiti da ninja, nel contesto di un’ ambientazione fantastica di matrice orientalista. Il gioco non presenta nulla di macabro e non viene versata una sola goccia di sangue: tuttavia, i piccoli ninja devono senz’altro usare le loro armi e le loro abilità per sconfiggere le orde di mostricciattoli che si frappongono tra loro e l’obiettivo della storia. La classificazione PEGI che identifica i contenuti violenti sulla copertina di un videogioco (nello specifico, l’immagine stilizzata di un pugno rivolto verso l’alto) è probabilmente la più diffusa: appare in effetti su un numero altissimo di prodotti, dai videogiochi realistici e consigliati a un pubblico maturo (per esempio quelli a tema criminale come GTA), passando per i giochi di ruolo fantasy fino ai platform cartoon adatti ai fruitori di tutte le età. Bandura (1965) spiegò per primo in modo sintetico la capacità di apprendere un comportamento attraverso l’osservazione del medesimo come messo in atto da un altro (modello) nello specifico, il comportamento appreso negli esperimenti di Bandura riguardava proprio condotte aggressive (i bambini soggetti dell’esperimento picchiavano un pupazzo dopo aver visto un adulto fare lo stesso). Craig Anderson sostiene che i media possono generare aggressività in tre modi: 1) attraverso i comportamenti diretti 2) attraverso il pensiero 3) attraverso le emozioni 1) Nel primo caso, il contenuto violento è ritenuto in grado di causare direttamente l’imitazione del fruitore, in assenza di un riferimento alla mediazione cognitiva, come accadeva nella Social Learning Theory classica di Bandura. 2) Nel secondo caso, il media violento è ritenuto capace di generare pensieri aggressivi, i quali in un secondo momento potrebbero a loro volta generare i comportamenti attraverso rappresentazioni intrinsecamente aggressive della realtà. 3) L’influenza di matrice emotiva da parte de videogiochi violenti si riferisce invece agli studi che fanno uso di misurazioni psicofisiologiche rilevando che l’utilizzo di videogiochi violenti produce nei fruitori innalzamenti significativi della pressione sanguigna e della conduttanza cutanea (legata alla sudorazione); tali attivazioni emotive possono persistere nell’individuo, portandolo a sentirsi aggressivo anche al di fuori dell’esperienza di gioco e a trasferire l’eccitazione negativa su stimoli differenti da quelli presentati nel mondo virtuale. Secondo Anderson: il videogioco è un processo attivo dove il fruitore non è solo spettatore nei videogiochi a contenuto violento, l’identificazione del giocatore è quasi sempre nel personaggio violento, che produce i comportamenti i videogiochi violenti, di solito, premiano il comportamento violento, garantendo quindi l’instaurarsi di meccanismi di apprendimento intrinsecamente condizionanti Effetti positivi dei videogiochi violenti: un’interessante scoperta riguarda la particolare capacità che tali giochi hanno mostrato nel potenziare la cognizione spaziale, intesa come l’insieme dei processi che permettono di focalizzare, analizzare, processare e modificare mentalmente infomazioni visive. Ciò può imputarsi alle azioni rapidissime e complesse che sono spesso richieste in questo tipo di giochi. Un numero non esiguo di ricerche ha sostenuto un effetto opposto dei videogiochi violenti, asserendo come essi tenderebbero a ridurre l’aggressività nella vita reale. La possibilità di sperimentare azioni violente nel virtuale consente di sfogare eventuali istinti aggressivi (funzione catartica). Differenza tra una relazione di causa ed effetto e una correlazione Potremmo ipotizzare che i comportamenti violenti siano causati dalla «prolungata esposizione» ai videogiochi. Ma chi dice che non si vera la tesi opposta? Potremmo infatti affermare che gli individui più violenti siano anche videogiocatori più accaniti perché, avvertendo impulsi aggressivi che non sempre nella vita reale possono essere appagati, si trovino più spesso di altri a soddisfarli attraverso i mondi virtuali offerti dai videogame. La dipendenza dai videogiochi Nel 2007 l’American Psychiatric Association ha discusso della possibilità di inserire il disturbo da dipendenza dai videogiochi nella nuova edizione del DSM. Il concetto di dipendenza non riguarda più soltanto le sostanze ma anche alcuni precisi comportamenti e attività. Le prime pratiche ad essere riconosciute in grado di generare dipendenza, in modo analogo alle sostanze psicotiche, sono state il sesso e il gioco d’azzardo. Iniziando a parlare di dipendenza dai videogiochi alcuni studiosi hanno cercato di riferirsi a quest’ultimo comportamento per individuarne le caratteristiche, traslando i criteri per la diagnosi del disturbo da dipendenza da gioco d’azzardo nell’ambito dei videogiochi. Queste classificazione vengono però fortemente criticate: alcuni criteri che permettono di discriminare la dipendenza da gioco d’azzardo sembrano riferirsi, nel caso dei videogiochi, soltanto a situazioni di alto coinvolgimento non patologico. Per esempio, l’aver “litigato con i propri familiari riguardo al tempo speso a giocare” piuttosto che il “pensare spesso ai videogiochi anche quando non si sta giocando” risultano essere esperienze comuni a tutti gli hard gamer, senza che possa parlarsi di uno stato patologico. Inoltre, l’esperienza del gioco d’azzardo prevede l’elemento del denaro vinto e perso, per cui il paziente matura una rappresentazione distorta della realtà in cui gli scarsi successi sono percepiti come una motivazione sufficiente a continuare a giocare, nonostante le perdite. Nel caso del giocatore compulsivo il gioco costituisce anche un tentativo disperato di ristabilire l’ordine della sua vita, spesso caratterizzata dai forti debiti contratti a livello economico. Wood (2008) riporta alcuni suoi casi clinici evidenziando il rischio di errore diagnostico, che egli ritiene ancora molto comune in questo campo. Martin, un bambino di undici anni, viene condotto al terapeuta dai genitori, preoccupati per il suo gioco compulsivo. Il bambino si rifiuta sempre più spesso di andare a scuola, i suoi voti sono considerevolmente calati ed egli passa la maggior parte del suo tempo a giocare a World of Warcraft sul computer. I genitori si spaventano per la sua reazione di rabbia e depressione quando minacciano di togliergli il gioco e si rivolgono al terapeuta paventando un caso di dipendenza dai videogame. Bruce, un uomo di quarantadue anni, si reca personalmente dal terapeuta preoccupato dal fatto che spende molto tempo a giocare a Everquest, dopo aver sentito parlare, anch’egli dai media, della dipendenza da videogiochi. Questa attività gli crea anche problemi nel rapporto con la moglie, tanto che ha deciso di troncare totalmente le attività di gioco, pur essendone sinceramente dispiaciuto. Dai colloqui con il bambino emerge il fatto che egli non ha molti amici a scuola ed è oggetto di atti di bullismo. Il malessere di Bruce viene risolto attraverso un potenziamento della comunicazione con la moglie e tramite la creazione congiunta di un programma che regola il tempo di gioco in casa. Molto spesso il videogioco costituisce una risorsa importante per persone che vivono differenti forme di malessere. Griffiths (2005) L’utilizzo dei videogiochi può essere caratterizzato da Salienza L’ attività diventa dominante nei pensieri e nella vita quotidiana della persona Modificazione dell’umore L’ attività genera nel fruitore stati emotivi vari e specifici Tolleranza La persona è in grado di tollerare tempi dell’attività intollerabili da soggetti non-dipendenti Sintomi di astinenza Il paziente soffre della mancanza dell’attività, fino a esperire vissuti fisiologici di malessere Conflitto Il paziente esperisce conflitti interiori riguardo il suo oggetto di dipendenza: esso causa inoltre contrasti relazionali con le persone per lui significative, sul posto di lavoro/scuola e nel contesto di altre attività ricreative Ricaduta Il soggetto cerca o ha cercato di interrompere l’abuso dell’attività, ma non ci riesce o ci è presto ricaduto MMORPG Addiction E’ un tipo particolare di videogioco che presenta rischi legati a condotte di abuso. Sono piattaforme di gioco caratterizzate dalla possibilità di vivere online le proprie avventure fantastiche, conoscendo altre persone attraverso i loro avatar, alleandosi e/o confrontandosi con loro. (anche nei casi citati da Wood i fruitori utilizzavano programmi MMORPGs) Esistono importanti differenze tra i giochi single player e i videogame, che permettono di costruire da zero un personaggio allo scopo di relazionarsi con altri in un mondo condiviso è da dire che tali giochi, fin dai MUDs loro antenati sono caratterizzati da una tecnologia immersiva che rende meno evidente il contesto ludico, facilitando l’identificazione tra personaggio e avatar. Il giocatore ha sempre a disposizione nuove possibilità ed esperienze, e pertanto la fine del gioco può essere stabilita soltanto da lui stesso. Altri aspetti importanti riguardano la complessità motivazionale che sottosta agli MMORPG e le risorse che essi mettono a disposizione per l’intrattenimento. Nick Yee, ricercatore a Palo Alto in California, individua come elementi che determinano un importante attaccamento nei confronti di questi giochi in: Ciclo di ricompense Il sistema con cui gli MMORPG ricompensano il giocatore dei suoi sforzi riflette le modalità di emissione dei premi studiate nella psicologia classica dai comportamenti. Ricompense immediate e frequenti nelle prime fasi del gioco, per poi vedere i medesimi premi diradarsi nel tempo e richiedere sempre maggiore impegno. Tale meccanismo, anche senza fare riferimento a mediazioni cognitive, è riconosciuto in grado di condizionare fortemente il comportamento a proseguire nell’attività intrapresa. Network di relazioni Fornisce la possibilità di sviluppare relazioni significative e di esperire, in seguito, obblighi e doveri in esse similmente ai rapporti del mondo reale. Inoltre, per poter giocare insieme gli avatar devono essere di livello identico o simile; ciò spinge i giocatori a “tenere il passo” con i propri compagni di gioco. Qualità immersive Yee chiama fattori legati essenzialmente all’affezione e all’interesse sincero per il gioco. Guidando il proprio personaggio attraverso diverse avventure e assistendo al suo sviluppo, il giocatore matura facilmente affezione per esso, è felice delle sue conquiste e sinceramente preoccupato dagli eventi negativi che gli accadono. Secondo Yee, l’uso patologico (e dunque la dipendenza) emergono nel momento in cui i fattori di attrazione si combinano con specifiche caratteristiche di personalità e stile di vita, e nello specifico con necessità preesistenti, la cui soddisfazione l’utente individua nel gioco di ruolo online. Si tratta di fattori motivazionali, ovvero pressioni e problemi della vita reale che trovano un importante “farmaco” nei fattori di attrazione. Una persona con un basso livello di autostima nella vita reale trova nel MMORPG la possibilità di ottenere successo e approvazione altrui in attività riconosciute socialmente; allo stesso modo, l’immagine impoverita del Sé che sovente si accompagna a tali situazioni, trova sollievo nella possibilità di crearsi da zero un’identità/personalità fittizia secondo i propri desideri. Altre caratteristiche sono la sensazione di controllo del proprio destino e delle proprie azioni e la sensazione di essere utili che vengono sperimentate in questi giochi. Ove il soggetto sia caratterizzato da ridotte capacità relazionali, e non si senta soddisfatto dei rapporti che vive quotidianamente, il gioco di ruolo online fornisce ancora un’efficace risorsa. Infine, il rigoroso sistema di ricompense fornito dal gioco, e la soddisfazione garantita da meccanismi strutturali e di contenuto, costituiscono una controparte a vissuti di frustrazione e stress. Nella tabella adattata da Yee sono esposti i fattori motivazionali, la risposta che trovano nel MMORPG e il corrispondente fattore di attrazione. Fattore motivazionale Risposta trovata nel MMORPG Fattore di attrazione Bassa autostima Sentirsi competenti/potenti Ciclo di ricompense Immagine di Sé impoverita Essere belli/attraenti Qualità immersive Mancanza di controllo sulla propria vita Controllo sulla vita vituale/poter fare la differenza Ciclo di ricompense/network di relazioni Sentirsi inutili Sentirsi utili/necessari Network di relazioni Necessità di creare e mantenere relazioni Comunicazione semplicata Network di relazioni Stress e frustrazione Ricompense, evasione Ciclo di ricompense Yee riconduce l’emergere della dipendenza a necessità di vita che esulano dal videogioco; la particolare sensibilità del MMORPG a tali motivazioni è dunque unicamente da ricondursi alle sue caratteristiche, che incidentalmente forniscono sollievo di fronte a situazioni di malessere tristemente diffuse. Il risultato di una strategia distorta volta a risolvere problemi reali, come l’attaccamento a una sostanza o un’attività che, perlomeno inizialmente, garantisce alla persona la sensazione di potenziare sé stessa e di rendere migliore la propria vita. Oltre a difficoltà psicologiche, anche la presenza di condizioni psichiatriche (come disturbi di personalità e fobia sociale) costituisce un importante fattore di rischio (Cantelmi, 2000). Nel caso di una persona che sceglie di dedicare gran parte del suo tempo all’esperienza di un mondo alternativo ove i suoi bisogni primari possono trovare soddisfazione, sarà possibile parlare con certezza di dipendenza da videogiochi qualora si dimostrasse che questa scelta gli impedisse effettivamente di vivere nel mondo reale, e costituisse una limitazione della sua libertà. Il videogioco come fuga dalla realtà: derive psicotiche I videogiochi: presentano sfide e opportunità per la nostra conoscenza di noi stessi catalizzano le nostre emozioni e la nostra attività cognitiva ci propongono veri e propri mondi alternativi dove persino la relazione sociale è implementata, presentando straordinarie somiglianze con quella epseribile nella vita reale e quotidiana Il coinvolgimento, nei termini del “senso di presenza” e del flow, non costituisce una funzione della capacità tecnica del prodotto: anche il più semplice giochetto da console portatile o da cellulare può creare in noi un totale senso di concentrazione, e presentare alla nostra coscienza la sensazione di essere e agire altrove rispetto al luogo dove effettivamente ci troviamo. Alcuni anni fa fatti di cronaca raccontano la storia di Alessandro, un ragazzo torinese, che avrebbe giocato per giorni interi a Street Fighter per cadere poi in un complesso delirio in cui si convinceva di essere alcuni personaggi del gioco, in particolare lo studente di arti marziali Ken Masutazu. In particolare la stampa identificò come fattori problematici due elementi: la violenza del gioco l’enorme quantità di tempo spesa dal ragazzo nel gioco initerrotto. La violenza Il videogioco violento può costituire una pericolosa fonte di apprendimento e di influenza sociale. Nessuno studio ha individuato una relazione tra la violenza di un prodotto videoludico e l’insorgere di veri e propri deliri. Non vi è motivo per ritenere che esso debba presentarsi necessariamente in relazione a un gioco violento o non violento. La percezione del tempo La percezione del tempo è senz’altro influenzata, anche negativamente, da attività coinvolgenti come i videogiochi. Esperimenti sulla capacità di quantificare il tempo speso a giocare sono stati realizzati anche al di fuori degli studi del flow, che hanno messo in luce esplicitamente questa caratteristica dell’esperienza. Anche in questo caso non esistono evidenze di una relazione diretta tra impiego/dispercezione del tempo e fenomeni patologici gravi come il delirio. Per quanto un gioco ininterrrotto di interi giorni sia senz’altro un’attività poco salutare da numerosi punti di vista, non vi è motivo di ritenere che possa causare direttamente una compromissione dell’esame di realtà. Spence (1993) riporta il caso di una giovane donna che, nel contesto di un quadro psicologico assimilabile al disturbo schizofrenico, asseriva di avere allucinazioni uditive il cui contenuto consisteva nella colonna sonora di un gioco Nintendo. In questo caso il disturbo è comunque associabile ai videogame soltanto per un fattore limitato e minimo. Rachel Forsyth (2001) e i suoi colleghi riportano il loro caso: un uomo viene arrestato in seguito a un furto d’auto, con l’accusa ulteriore di rapina a mano armata. Interrogandolo, gli agenti si rendono presto conto che egli è in preda a un delirio; ha rubato l’auto per iniziare a “fare punti” e ha guidato in modo spericolato a motivo del fatto che aveva acquistato “carburante infinito”; ha in seguito rubato veicoli sempre più potenti”, minacciando i proprietari con un’arma, sempre per aumentare il suo punteggio, e dichiara che, sebbene non abbia ucciso nessuno, non si sarebbe pentito di eventuali gesti aggressivi, in quanto anche questi avrebbero contribuito al suo avanzamento nel gioco. La successiva diagnosi psichiatrica ha individuato una schizofrenia paranoide preesistente, caratterizzata dal delirio da videogame in seguito all’attività di gioco. Il paziente asseriva di sentire “il gioco parlargli attraverso le cuffie”. Il paziente ha messo in atto anche comportamenti aggressivi e criminali connessi alla sua deriva psicotica. L’elemento più importante per la disamina di questo caso risiede nella diagnosi preesistente. Restaurare il videogioco: le tecnologie positive Non esiste una “psicopatologia dei videogiochi”, non più di quanto esiste una psicopatologia del cinema piuttosto che dello sport. Il fatto che il videogioco possa concorrere anche allo sviluppo di realtà negative e pericolose risulta essere alla fine, in primo luogo, una conferma delle sue potenzialità e delle sue infinite sfaccettature. Esso ci garantisce esperienze pregnanti e stimola la nostra persona a diversi livelli, intervenendo sulla nostra mente e sul nostro comportamento con risultati che possono andare dall’esperienza piacevole e benefica alla degenerazione. Spesso si è portati a pensare che i videogiochi abbiano la capacità di influenzare i comportamenti dei giocatori in modo negativo. Trova che tali fenomeni siano realmente preoccupanti? Tonino Cantelmi “No, è una visione davvero ingenua. In realtà il videogioco implica tre fenomeni che combinati tra loro generano una influenza sui comportamenti. Il primo fenomeno è dato dall’incremento dell’ambiguità e della instabilità della soglia di differenziazione tra reale e virtuale. Il secondo fenomeno è un abbassamento della percezione diretta delle conseguenze dell’agire reale (la percezione della responsabilità e delle conseguenze delle proprie azioni). Infine, per l’effetto Proteus, l’avatar si è mostrato in grado di influenzare il giocatore, cioè di introdurre percezioni di se stessi avatar-dipendenti”. Siamo davvero sicuri che i videogiochi non influenzino i comportamenti dei giocatori in modo negativo? ...e che non modifichino, magari in peggio, le abitudini correlate al sonno? Dr.Marzocca Siamo davvero sicuri che i videogiochi non influenzino i comportamenti dei giocatori in modo negativo? ...e che non modifichino, magari in peggio, le abitudini correlate al sonno? Grazie per l’attenzione!!!