DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO IL CORPUS IURIS CIVILIS BILL OF RIGHT LE LEGGI DELLE XII TAVOLE LE TRE ETA’ DEI DIRITTI LE PRIME “DICHIARAZIONI” I DIRITTI FEUDALI L’EDITTO DI ROTARI IL CODICE TEODOSIANO LA LENTA AFFERMAZION E DEI DIRITTI UMANI L'UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI LE PRIME LEGGI SCRITTE I DIRITTI DI UN MONDO GLOBALE: UNA CONQUISTA RECENTE. PER TUTTI? LA MAGNA CHARTA LIBERTATUM IL CODICE DI HAMMURABI LE CARATTERISTICHE DEI DIRITTI IL BILL OF RIGHTS DELLA COSTITUZIONE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA LE PRIME LEGGI SCRITTE Le più antiche raccolte di leggi scritte giunte sino a noi risalgono al secondo millennio a.C. e provengono dalla Mesopotamia dalla Siria e dall'Anatolia. Non sono invece giunte sino a noi raccolte di leggi egizie, ma da altre fonti abbiamo testimonianze della loro esistenza già dall'Antico Regno. La raccolta delle norme e delle leggi, ordinate cronologicamente, è detta codificazione. Il codice indica perciò una raccolta organica di norme giuridiche che, su una determinata materia, sostituisce definitivamente tutte le normative precedenti. Nel mondo antico le leggi venivano tramandate a voce, ma spesso accadeva che i giudici le interpretavano a vantaggio della propria classe sociale. Fu pertanto un grande passo avanti nella civilizzazione quello compiuto dal re babilonese Hammurabi che ordinò di mettere per iscritto le leggi, raccogliendole nel primo codice della storia. Il codice di Hammurabi, che affronta in modo sistematico le principali elaborazioni giuridiche dell'epoca, è la raccolta di leggi più nota e organica di tutte quelle realizzate nel Vicino Oriente antico. Il codice considera sia gli aspetti del diritto civile che quello del diritto penale. Nell'ambito del diritto civile, vengono raccolte e fissate numerose disposizioni sulle più comuni regole di comportamento in ambito famigliare, lavorativo e commerciale, indicando inoltre reati e pene corrispondenti. Nell'ambito del diritto penale la norma più famosa è la cosiddetta legge del taglione basata sul principio che ogni colpa debba essere punita con una pena equivalente. Oggi leggi costituiscono la base dell'ordinamento giuridico di qualsiasi paese, e naturalmente sono redatte in forma scritta. Gli stati moderni fondano la loro autorità sulla Costituzione, la carta che fissa i principi cardine ai quali tutte le altre leggi. Sono stati soprattutto gli antichi Romani a influenzare la formazione del diritto, organizzandolo in modo scientifico, cioè distinguendo al suo interno due rami: il diritto penale = che prende il nome dalla pena che il giudice applica a chi non rispetta la legge; il diritto civile = costituito dall'insieme di tutte le altre leggi. Roma sviluppò soprattutto il diritto civile, in una serie di codici il primo dei quali è noto come legge delle XII Tavole. Grazie ai loro codici i Romani poterono governare efficacemente un territorio immenso, dove convincevano popolazioni con abitudini e tradizioni molto differenti, e che rispettavano leggi diverse, spesso non scritte. Tutta la produzione del diritto romano fu poi radunato nel codice di Giustiniano, un imperatore che regnò nel VI secolo d. C . Il suo Corpus Iuris Civilis (Raccolta del diritto civile) è ancora oggi alla base del nostro diritto, perché i giuristi ( studiosi del diritto) di quel tempo furono capaci di costruire un edificio così solido che i concetti espressi allora sono tutt'ora validi. Nella società medievale (dal V al XV secolo) e poi nella monarchia assoluta (dal XVI al XVIII secolo) le leggi coincidevano con l'interesse dei sovrani, perché spettava a loro emanarle e farle applicare. LE CARATTERISTICHE DEI DIRITTI Il diritto è l’insieme di norme giuridiche vigenti in uno Stato (diritto oggettivo); si definiscono, invece, “diritti soggettivi” le libertà riconosciute ai cittadini dalle leggi di uno stato. I diritti soggettivi vengono comunemente definiti “diritti fondamentali” o “diritti umani”, che non tocca a noi acquisire, guadagnare o ereditare; infatti essi sono: •inalienabili, cioè per nessuna ragione possono esserci sottratti; fondamentali, perché rispondono ai bisogni essenziali dell'individuo; •universali, perché appartengono a ogni essere umano, senza nessuna conclusione; •inviolabili, perché nessuno può esserne privato; •indisponibili, perché nessuno può rinunciarvi. LA LENTA AFFERMAZIONE DEI DIRITTI UMANI I diritti umani si sono affermati con un lungo e faticoso percorso, che è sfociato nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948, ma era iniziato già con gli antichi Greci e Romani. Tuttavia ne godevano soltanto le categorie privilegiate ed erano comunque esclusi, donne, bambini, stranieri e schiavi (cioè la stragrande maggioranza della popolazione). Un contributo importante all'affermazione dei diritti umani è stato fornito dal Cristianesimo che, diffondendo l'idea di libertà e uguaglianza, rispondeva a un'aspirazione fondamentale dell'uomo. Tuttavia nel medioevo cristiano il potere si fondava ancora sulle disuguaglianze sociali, e in particolare sulla presenza dei servi della gleba, non soltanto privi di qualsiasi diritto, ma addirittura esposti al pericolo di essere venduti o scambiati. Il primo documento che affermava una serie di diritti (il diritto alla proprietà privata, alla libertà, al non essere condannati senza motivo, etc) fu la Magna Charta Libertatum, emanata nel 1215 dal Re di Inghilterra. Questi diritti non venivano però riconosciuti a tutti i sudditi, ma soltanto ai privilegiati: Arcivescovi, Abati, Conti, Baroni. Nel seicento si compì n passo fondamentale sulla strada del riconoscimento dei diritti, quando il filosofo inglese John Locke elaborò una teoria, detta giusnaturalismo, secondo cui gli uomini sono per natura liberi ed uguali. Ma si doveva arrivare al fine '700 perché i diritti fondamentali fossero “dichiarati” in modo definitivo. Un movimento di pensiero, l'Illuminismo, invitava gli esseri umani ad usare la forza della ragione per contrastare l'assolutismo dei sovrani europei che governavano senza tenere il minimo conto di principi di libertà e di uguaglianza. LE PRIME “DICHIARAZIONI” Le riflessioni maturate degli illuministi portarono all'approvazione dei due documenti più importanti nella storia dei diritti umani: in America, la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, in Francia, la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e dei cittadini. La Dichiarazione Americana nasceva dalla proclamazione di indipendenza delle colonie di Inghilterra. Confermato dalla successiva costituzione degli Stati Uniti d'America, questo documento riconosce il diritto alla vita e alla libertà personale, insieme con il diritto alla libertà di parola, di stampa, di religione e di riunione. La Dichiarazione Americana rivendica il diritto all'eguaglianza e addirittura alla ricerca della felicità. Secondo la costituzione, i cittadini possono legittimamente opporsi allo Stato se esso non riconosce loro il pieno godimento di questi beni. Quanto alla dichiarazione francese, fu all'origine della rivoluzione del 1789. insistendo sul concetto di “cittadino” sanciva diritti fondamentali come l'uguaglianza, la libertà di stampa, di pensiero e di religione, nonché il diritto alla proprietà privata e quello alla resistenza all'oppressione. IL CODICE DI HAMMURABI La raccolta di 282 leggi del re Hammurabi di Babilonia fu scolpita su di una stele in diorite, roccia molto resistente, rinvenuta verso la fine dell'Ottocento nella città di Susa; attualmente si trova a Parigi, nel Museo del Louvre. Il monumento ha la forma di un cilindro conico, che raggiunge l’altezza di 2,25 metri. In alto in rilievo, è incisa una scena che raffigura il re in piedi di fronte a Shamash, dio della giustizia, seduto in trono. La superficie del blocco di diorite è coperta di caratteri cuneiformi disposti a colonne; il testo si compone di circa 3.600 righe. Come in uso a quei tempi, sono presenti un prologo e un epilogo; al prologo, nel quale Hammurabi si vanta di essere stato chiamato dagli dei “a distruggere le forze del male, affinché il potente non opprimesse il debole”, fa seguito l’elenco delle leggi. Alle norme vere e proprie segue un epilogo in cui il sovrano si vanta di avere rispettato in pieno il volere della divinità, incidendo il codice su una stele visibile a tutti i sudditi e collocata nel tempio cittadino più importante. La stele si conclude dunque con un nuovo elogio del re a se stesso, in quanto prescelto dagli dei, per questo importante compito. La raccolta si conclude con le benedizioni per tutti e terribili maledizioni per chi non rispetterà le leggi o per chi danneggerà la stele. Il corpus legale è suddiviso in capitoli che riguardano varie categorie sociali e di reati; i 282 articoli senza ordine sistematico, riguardano il diritto penale, civile, commerciale e non contengono norme sulla religione. Dalla stele, inoltre, si ricava che la società babilonese era divisa in tre classi, gli awilum, o uomini liberi (i nobili), i mushkenum (i dipendenti del palazzo e i subordinati in genere) e i wardu (gli schiavi). Le leggi sono dettagliate, ma l'importanza del codice risiede nel fatto che si tratta di una delle prime raccolte organiche di leggi a noi pervenuta, ma soprattutto nel suo essere pubblico, ossia il cittadino babilonese aveva la possibilità di verificare la propria condotta secondo le leggi del sovrano. Il codice condannava facilmente a morte e indicava anche il tipo di morte nel quale si incorreva: si poteva infatti essere bruciati, annegati, impalati a seconda del delitto commesso, anche indipendentemente dalle intenzioni che avevano portato il colpevole alla trasgressione. Il diritto penale, ai tempi di Hammurabi, prevedeva la legge del taglione e non applicava il principio della responsabilità personale. Le norme penali erano diverse a seconda che a commettere un crimine fosse uno schiavo o un uomo libero, erano diversificate a seconda della classe sociale di appartenenza. Non era un codice equo, in quanto la gravità della colpa e della pena inflitta dipendeva dalla classe sociale a cui appartenevano il colpevole e la vittima: lo schiavo aveva minor valore del nobile ed era soggetto a pene più dure per i medesimi reati. Non bisogna pensare, però, che il codice di Hammurabi sia stato scritto solo per infliggere pene ai colpevoli, perché analizzando l’insieme delle sue leggi c’è molto di più. Si tratta di oltre 200 articoli che possono essere confrontati con molti problemi giuridici del nostro vivere quotidiano. Le prime leggi riguardano la disciplina del processo, cui seguono le leggi sul diritto di proprietà, sui prestiti, sui depositi, sulle obbligazioni, sulla proprietà domestica, sul diritto di famiglia. I paragrafi che vanno dall’88 al 108 trattano delle operazioni di credito, degli scambi, dei commercianti e degli agenti. Questo corpo di leggi è di fondamentale importanza per la storia della vita dell’uomo. Ha influenzato ebrei, greci, romani, ed è il monumento legislativo più importante dell’antica Mesopotamia. La sua conoscenza è indispensabile perché non ci fornisce solo notizie sugli usi e costumi dell’epoca, ma questa giurisdizione, ha costituito la base del diritto che tuttora accompagna la nostra vita, anche economica. LE LEGGI DELLE XII TAVOLE Le XII Tavole sono il più antico codice di diritto romano. Compilato nel 451-450 a.C., raccoglieva per iscritto il diritto romano, sino ad allora conosciuto e trasmesso solo oralmente. Le norme, inscritte su dodici tavolette di bronzo o legno ed esposte nel Foro romano, disciplinavano ogni ambito del diritto e, pur con numerose modifiche, rimasero in vigore per quasi mille anni. Le tavolette furono distrutte dai Galli durante il sacco di Roma nel 390 a.C., ma una parte del loro contenuto ci è pervenuta grazie ai riferimenti e alle citazioni nella letteratura latina successiva. Trattandosi di una società primitiva, che vive di agricoltura e allevamento, sono stabiliti i principali delitti: il furto, il danneggiamento del raccolto, la falsa testimonianza, ecc. La legge delle XII tavole è la prima lex rogata, ossia “legge votata”, dai comizi centuriati. Una parte consistente di quanto ci è pervenuto è dedicata al diritto processuale (tavole 1-3); nel diritto privato prevalgono disposizioni in materia di negozi giuridici (tavola 6), rapporti di vicinato (tavola 7), famiglia (tavola 4) ed eredità (tavola 5). Le tavole 8 e 9 riguardano il diritto criminale, mentre la 10 attiene a fattispecie di ius sacrum. IL CODICE TEODOSIANO Emanato da Teodosio II in Oriente, il codice consta di 16 libri suddivisi in titoli, ed è la prima raccolta ufficiale di costituzioni imperiali. Pubblicato nel 438, entra in vigore nel 439 in Oriente, dove sarà sostituito dal Codice giustinianeo nel 529. La raccolta è ordinata per materia e quindi cronologicamente. Non ci è giunto integro, ma attraverso manoscritti incompleti; una parte congrua è attinta dalla lex Romana Wisigothorum. Deriva da un originario più ampio progetto di Teodosio che aveva programmato due compilazioni: una mirante a una raccolta completa di costituzioni e un’altra diretta a rappresentare il diritto vigente, integrata, ove necessario, da iura, attribuendone il compito ad una commissione. Vista l’irrealizzabilità del progetto, nomina una nuova commissione per la redazione di un codice che servisse alla pratica e alla scienza, con facoltà dei commissari di intervenire sui testi originari, anche attraverso sintesi e riduzioni, per eliminarne ogni ambiguità. Il I libro delle fonti del diritto e degli officia dei funzionari; i libri II-V e parte del libro VIII riguardano il diritto privato; il libro VI ha ad oggetto le gerarchie burocratiche e i privilegi dei funzionari; il VII il diritto criminale; il X e XI il diritto finanziario; il XIII, XIV e XV le corporazioni, il XVI il diritto ecclesiastico. IL CORPUS IURIS CIVILIS Il corpus iuris civilis o Corpus iuris Iustinianeum è la raccolta di materiale normativo e materiale giurisprudenziale di diritto romano, voluta dall’imperatore bizantino Giustiniano per riordinare l’ormai caotico sistema giuridico dell’impero. Tale raccolta è la base del diritto di molti Stati moderni. Di esso furono redatte due edizioni: la prima, il Codex Iustinianus primus o vetus del 529, è andata perduta, mentre la seconda, il Codex Iustinianus repetitae praelectionis del 534, ci è pervenuta integralmente. Il Codex Iustinianus primus o vetus non ci è pervenuto, ma esso fu verosimilmente un ampliamento del Codice Teodosiano. Giustiniano credeva che il suo codice fosse completo, immutabile ed eterno. In realtà, dopo l'entrata in vigore del Digesto e delle Istituzioni, l'opera risultava già obsoleta, in quanto conteneva norme ormai superate e non conteneva importanti disposizioni emanate nel frattempo, come le Quinquaginta decisiones. Giustiniano diede l'incarico di aggiornare il codice ad una nuova commissione, presieduta da Triboniano e composta da cinque commissari. Il Codex Iustinianus repetitae praelectionis è l'unica edizione del Codex ad essere pervenuta fino a noi. L'opera è divisa in 12 libri, contenenti ognuno numerosi titoli. Le costituzioni in ogni titolo sono in ordine cronologico. Complessivamente si contano oltre 1600 costituzioni, di cui oltre 1200 appartengono all'imperatore Diocleziano. L'opera è divisa per argomenti: libro I: diritto ecclesiastico libri II-VIII: diritto privato libro IX: diritto penale libri X-XII: diritto amministrativo e finanziario Delle leges raccolte, alcune sono in lingua greca, mentre la maggior parte è in latino. L’opera giustinianea comprende: il Codex; il Digesto o Pandette; le Institutiones; le Novellae constitutiones. L’EDITTO DI ROTARI L’editto di Rotari rappresenta la prima diretta testimonianza della cultura longobarda. L’editto fu la prima legge scritta del regno longobardo, ma fu anche il primo documento in cui i costumi della gente germanica, basati sulla tradizione orale, si fusero con la cultura romana. Segno evidente di tale unione, fu la lingua utilizzata nella stesura: un idioma privo di eleganza e ricco di termini longobardi. L’editto conteneva, inizialmente, 368 capitoli, ai quali ne furono aggiunti altri 20. È diviso in tre sezioni: la prima (dal capitolo 1 al 152) riguarda i reati contro la persona, compresa quella del re, la cui incolumità era difesa con la pena capitale; la seconda (dal capitolo 153 al 226) è dedicata al diritto privato (diritto matrimoniale, donazioni, successioni); la terza (dal capitolo 227 a 388) disciplina il diritto patrimoniale. Il testo giuridico segna l’integrazione fra concezioni e consuetudini germaniche e principi giuridici romani. A conferma di tale considerazione, la sostituzione della faida con il quadrigildo, cioè della vendetta privata con una pena pecuniaria: chi aveva provocato un torto doveva risarcirlo con del denaro. All’editto di Rotari seguirono altre leggi, tutte con il nome del re che le aveva emanate; esse furono rivolte a completare, interpretare o modificare le norme dell’editto. Queste leggi longobarde, formulate in Italia, non furono esenti dall’influenza esercitata dal diritto giustinianeo. Fra tutte le leggi germaniche, quelle longobarde furono certamente le più importanti, non solo perché i Longobardi dominarono in Italia, diversi secoli, ma anche e principalmente perché rappresentarono i canali attraverso i quali i principi del diritto germanico furono veicolati nella nostra normativa. Inoltre esse sono un punto di riferimento unico per lo studio del diritto germanico e feudale, in quanto del primo sono la testimonianza più completa e del secondo la fonte più importante. I DIRITTI FEUDALI I diritti o i privilegi di origine feudale sono termini che indicano quegli istituti o quelle consuetudini caratteristiche della società feudale rimasti in vita anche molto oltre la fine dell'età feudale in senso stretto. Fra i diritti feudali o signorili ricordiamo: la bannalità: che obbligavano il contadino a servirsi del mulino o del frantoio di proprietà del signore; le diverse forme di imposte: in genere di natura, dovute al signore titolare di un antico feudo; l'obbligo, in alcune zone, di fornire prestazioni di lavoro gratuite (corvées); i diritti di caccia di cui godeva il signore sui terreni dei contadini; le decime, cioè le quote di raccolto (in origine un decimo) dovute per lo più alla chiesa. Tra i vincoli feudali, che limitavano la divisione e la libera compravendita della terra, ricordiamo in particolare la manomorta (beni immobili che appartenevano a enti perpetui, per lo più ecclesiastici, ed erano inalienabili, come “stretti nella mano di un morto”) e il fidecommesso, che imponeva agli eredi delle proprietà aristocratiche di mantenere il patrimonio indiviso e di consegnarlo intatto agli eredi successivi. LA MAGNA CHARTA LIBERTATUM La storia della Magna Charta Libertatum è fondamentale non solo per la storia dell'Inghilterra ma anche per quella dell'Europa intera. È infatti a questo antico documento che si possono far risalire l’origine di alcuni importanti principi del diritto costituzionale e la nascita dei parlamenti degli stati moderni. La Magna Carta (Magna Charta Libertatum) è un documento, scritto in latino, che il re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra fu costretto a concedere ai baroni del Regno, propri feudatari diretti, presso Runnymede, il 15 giugno 1215. Venne chiamata magna per tenerla distinta da un provvedimento minore, una charta rilasciata proprio in quegli anni per regolamentare i diritti di caccia. La Magna Charta Libertatum è stata interpretata a posteriori come il primo documento fondamentale per il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini, sebbene essa vada inscritta nel quadro di una giurisprudenza feudale in cui, durante il XII e XIII secolo, la concessione di privilegi (libertates) da parte di sovrani a comunità o sudditi. Tradotto letteralmente, il titolo del documento vuol dire «grande “carta” delle libertà». Il termine “grande” indica semplicemente che il documento è un lungo elenco di articoli. Quando nel 1215 essa fu concessa, non aveva il significato che oggi le si potrebbe attribuire: il re Giovanni, soprannominato “Senzaterra”, fu infatti costretto dai nobili di Inghilterra, per mantenere il trono, a sottoscriverla come un lungo elenco di concessioni e privilegi. Il primo articolo precisa infatti che le concessioni fatte dal sovrano spettano agli uomini liberi del regno. Nonostante valga solo per l'alto clero, i nobili e i funzionari di stato, la Magna Charta contiene importanti affermazioni che con il passare del tempo diventeranno dei fondamentali principi del diritto negli stati moderni. L'articolo 20 afferma un importantissimo principio giuridico: la pena deve essere proporzionata al delitto. Non solo, ma con le ultime parole dello stesso articolo è riaffermato un principio, già praticato nella civiltà antica della Grecia e di Roma, ma che si era smarrito nei tempi delle invasioni barbariche: le accuse devono essere confermate da testimoni attendibili, ascoltati in un regolare processo . L'articolo 39 pone un freno all'arbitrio di chi detiene il potere e dei giudici, e afferma implicitamente il diritto di ciascuno ad essere considerato innocente finché non sia stato giudicato da un tribunale. Sulla base di questa norma si è definito il principio detto habeas corpus , espressione che vuol dire “abbi la disposizione della tua persona”. Si tratta di un principio sancito dal documento Habeas corpus ad subiciendum del XII secolo, che viene assunto dall’articolo 39 della Magna Charta e al quale si richiamarono i membri del Parlamento inglese nel 1628 quando sottoposero al re Carlo I la Petition of Right. Divenne legge definitiva del regno nel 1679 con la promulgazione dell' Habeas corpus Act, che stabiliva che nessuno uomo potesse essere privato della libertà personale se non in forza di un mandato e sulla base di indizi oggettivi della sua colpevolezza. Alla base di diversi articoli della Magna Charta, quelli che concedono delle esenzioni fiscali e indirettamente fissano dei limiti alle pretese del sovrano di imporre le tasse, vi è poi un principio molto importante per la nascita e la storia dei Parlamenti moderni. Si tratta di un principio che gli storici del diritto condensano nella sigla “Q.O.T.”, le iniziali di una proposizione che era presente nei codici del tardo diritto romano e recitava «Quod Omnes Tangit ab omnibus approbatur», ossia «ciò che tocca a tutti, da tutti deve essere approvato». Benché la Magna Charta nel corso dei secoli sia stata ripetutamente modificata da leggi ordinarie emanate dal parlamento, conserva tuttora lo status di Carta fondamentale della monarchia britannica. Una copia ben conservata si trova nella cattedrale di Salisbury. BILL OF RIGHT Il Bill of Right insieme alla Petition of right e alla Magna Charta costituiscono il fondamento costituzionale inglese e un simbolo di svolta nella mentalità giuridica occidentale. Si fa risalire proprio al Bill of Rights il parziale superamento della concezione del principe come “legibus solutus”(sciolto, cioè non vincolato, dalla legge). Il Bill of Rights evidenzia forti cambiamenti nell’ambito del diritto, sono i Lords e rappresentanti dei Comuni a stabilire che Guglielmo d’Orange e Maria siano dichiarati re e regina d’Inghilterra. Storicamente, il Bill of Right è infatti connesso all’incoronazione di Re Guglielmo e di sua moglie, la Regina Maria, che si tenne l’11 aprile 1689 a Westminster Abbey. Durante la cerimonia, ai nuovi re venne chiesto di giurare obbedienza alle leggi del Parlamento e venne letta loro la presente Bill of Rights. Accettando il re consacrò il primato del Parlamento. Formalmente, il Bill of Rights passò al vaglio parlamentare dopo l’incoronazione; il re e la regina dettero l’approvazione regale il 16 dicembre 1689, sancendo la fine della legittimazione divina del diritto di regnare. Si consumò così la cosidetta “bloodless revolution” or the “glorious revolution” (rivoluzione senza sangue o gloriosa). Alcuni punti del documento si ritrovano nelle costituzioni di tutti gli stati che compongono la federazione americana. IL BILL OF RIGHTS DELLA COSTITUZIONE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA Nel XVIII secolo si sviluppa in modo decisivo il costituzionalismo, ovvero quell’insieme di principi che sono alla base di una democrazia costituzionale, detta anche parlamentare, in quanto la sovranità appartiene al popolo che delega i propri rappresentanti in Parlamento. L’emanazione di una Costituzione procede di pari passo con l’enunciazione dei diritti e delle libertà del cittadino. Nel Medioevo il primo esempio di costituzionalismo fu la Magna Charta, emanata nel 1215. Nel 1628, il Parlamento impose al re d’ Inghilterra Carlo I la Petizione dei diritti, in base alla quale il sovrano non poteva prendere alcuna decisione senza il consenso del Parlamento. Inoltre tutelava alcune garanzie individuali; infatti, nessun uomo poteva essere giustiziato senza un giusto processo. Nel 1689 il Parlamento inglese emanò il Bill of rights, che richiamava i principi su cui erano stati fondati i due documenti precedenti, stabilendo la nascita della monarchia parlamentare e costituzionale. Quando nel 1776 le colonie inglesi d’America si costituirono come Repubblica federale, sancendo la nascita degli Stati Uniti, fu redatto un testo costituzionale, i cui primi otto emendamenti costituivano il Bill of Rights, ratificato il 15 dicembre 1791. La dichiarazione dei diritti stabiliva il libero esercizio di una religione, la libertà di parola e di stampa, così come la possibilità per il popolo di riunirsi e presentare al governo proposte per porre rimedio alle ingiustizie (Emendamento I). Inoltre, in base all’Emendamento II, ogni uomo aveva il diritto di possedere armi anche in tempo di pace per garantire la sicurezza dello Stato; mentre secondo l’Emendamento III, nessun soldato poteva essere ospitato in una casa senza il consenso del proprietario. Ogni persona aveva il diritto di possedere dei beni che non potevano essere sequestrati ingiustificatamente e, di conseguenza, le perquisizioni erano ammesse solo in circostanze chiare e precise (Emendamento IV). L’Emendamento V stabiliva che nessun uomo poteva ricevere una grave accusa o denuncia se non da un Grand Jury; nessun uomo poteva essere privato della vita, della libertà e della proprietà senza che intervenisse la legge. Un cittadino, qualora fosse stato accusato penalmente, aveva diritto ad un processo pubblico e imparziale, in cui fossero presenti testimoni ed un avvocato in sua difesa (Emendamento VI). L’Emendamento VII prevedeva che, in base alle norme del diritto consuetudinario, quando l’oggetto della controversia superava la somma di venti dollari, era fatto salvo il diritto al giudizio da parte di una giuria. L’Emendamento VIII, infine, stabiliva che non si potevano imporre tasse eccessive o infliggere punizioni crudeli. Tutti gli altri articoli della Costituzione, quindi, non dovevano essere in contrasto con tali emendamenti, che tutelavano i diritti dell’uomo e del cittadino all’interno dello Stato. Nella prima parte Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America vi sono alcuni riferimenti ai principi illuministici e giusnaturalismi tra cui il riferimento alla “legge naturale e divina” e al principio dell'uguaglianza: “Tutti gli uomini sono stati creati uguali”, e subito dopo il riferimento ai “diritti inalienabili”. Si fa inoltre riferimento al diritto del popolo di ribellarsi all'autorità costituita teorizzato da Locke: “è diritto del popolo modificarlo o distruggerlo”. L'originale della dichiarazione, ormai quasi illeggibile, è esposto nei National Archives di Washington, il museo che custodisce molti documenti, ufficiali e non, dei fatti che hanno segnato la storia degli Stati Uniti. La dichiarazione di indipendenza è custodita ed esposta al pubblico insieme alla Costituzione degli Stati Uniti e al United States Bill of Rights. DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 (Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen) è un testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione francese, contenente una solenne elencazione di diritti fondamentali dell'individuo e del cittadino. È stata emanata il 26 agosto del 1789, basandosi sulla Dichiarazione d'indipendenza americana. Tale documento ha ispirato numerose carte costituzionali e il suo contenuto ha rappresentato uno dei più alti riconoscimenti della libertà e dignità umana. La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino si compone di un preambolo e di 17 articoli, che contengono le norme fondamentali che regolano la vita dei cittadini tra di loro e con le istituzioni. Innanzitutto viene dichiarato solennemente il principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani (art. 1); segue l'elencazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo cui deve essere improntata l'azione delle associazioni politiche (art. 2), che vengono individuati in: libertà della persona, proprietà (diritto “inviolabile e sacro” secondo l'art. 17), sicurezza, resistenza all'oppressione e sovranità democratica. Un altro pilastro dalla Dichiarazione è il principio di sovranità democratica (art. 3), che prevede che “il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione”. Questa enunciazione non era all'epoca per nulla ovvia, in quanto i sovrani, secondo il legittimismo dell' Ancien Regime regnavano per diritto divino. Gli articoli 4 e 5 si premurano invece di delineare i limiti dei diritti appena elencati, sancendo che l'esercizio di un diritto non può nuocere ad un diritto altrui e che la legge può limitare questi diritti solo nel caso in cui nocciano alla società. La parte centrale della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino affronta invece il settore cruciale dei rapporti tra cittadino e stato e recepisce numerosi principi fondamentali del moderno diritto penale. E’ stabilito l'altrettanto fondamentale principio della presunzione di innocenza dell'imputato (art. 9). Gli articoli 10 e 11 si occupano delle libertà: in primo luogo quelle di opinione e di espressione, e poi l'altrettanto fondamentale libertà di culto (seppur con l'importante limitazione dell'ordine pubblico). La Dichiarazione non contiene nemmeno un esplicito riconoscimento della parità fra uomo e donna, che a rigore sarebbe implicito nel principio di uguaglianza proclamato dall'articolo 1. Tuttavia all'epoca la parità dei sessi era un concetto sconosciuto e perciò la dizione dell'articolo 1 (“gli uomini”) venne interpretata in senso sfavorevole alle donne (escludendole, ad esempio, dal diritto di voto). La Dichiarazione venne poi modificata e ampliata: nel 1793 e poi nel 1795. Queste modifiche riflettono i cambiamenti di rotta dell'Assemblea legislativa. .La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino d'altro canto non fu un episodio casuale e gran parte del contenuto della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino è confluito a sua volta nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1948. Nel 2003 l'UNESCO ha inserito la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino nell'Elenco delle Memorie del mondo. L'UNIVERSALITÀ' DEI DIRITTI Sulla base delle due dichiarazioni settecentesche, nell'ottocento e nel novecento si avviò la lotta per il riconoscimento dei diritti fondamentali, cui si aggiunsero quello del voto, al lavoro, all'assistenza a altri ancora. Ciascuna delle nuove nazioni che si andava formando emanava la propria Costituzione, che sanciva gli stessi diritti affermati nella Dichiarazione americana e quella francese. Tuttavia, non si poteva parlare di diritti riconosciuti a tutti gli esseri umani, cioè di universalità dei diritti. Questo nuovo importantissimo passo fu compiuto dall'ONU, l'Organizzazione delle Nazioni Unite fondata alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Con questa associazione di Stati fu possibile finalmente prendere decisioni in materia di diritti umani che non valessero per un solo Paese: infatti, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, emanata nel 1948, si riferisce ai cittadini di tutto il mondo. Se il significato morale di questa Dichiarazione è elevato, il suo peso giuridico è però scarso. Proclamare un diritto non significa assicurarne il rispetto e l'applicazione anche se gli Stati membri delle Nazioni Unite, nel momento in cui promulgano leggi valide sul territorio nazionale, sono obbligati a osservare i principi stabiliti dall'ONU. A partire da quel 1948, l'ONU ha poi emanato altri documenti importanti per promuovere e difendere i diritti umani, prendendo in esame particolari categorie: donne, bambini, rifugiati ecc. LE TRE ETA’ DEI DIRITTI È possibile individuare tre fasi nell’evoluzione storica dei diritti fondamentali: ♦ La fase dell’affermazione dei diritti di libertà e dei diritti civili (l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge) ♦ Quella dei diritti politici (diritto di votare e di essere eletti, di associarsi in partiti e sindacati) ♦ Quella, infine, dei diritti sociali (all’istruzione, alla salute, alla sussistenza, ecc.). I DIRITTI DI UN MONDO GLOBALE: UNA CONQUISTA RECENTE. PER TUTTI? L’affermazione dei diritti dell’uomo è forse la più importante eredità delle rivoluzioni americana e francese. Che ciascun individuo abbia dei diritti, che esistano dei diritti dell’uomo in quanto tale e che lo Stato debba rispettarli e tutelarli è un’idea oggi così universalmente condivisa, almeno nei nostri sistemi democratici, da risultare quasi ovvia. Tutti noi sappiamo, e quasi sentiamo, di avere diritto, per esempio, alla libera espressione del pensiero, al voto, all’associazione, all’istruzione; siamo infine disposti a riconoscere che tali diritti valgano per noi come per tutti gli altri: che siano cioè universali. È però importante comprendere che questa concezione dei diritti, anzi l’esistenza stessa dei diritti, è molto recente. In secondo luogo, bisogna sottolineare che la tutela dei diritti dell’uomo è una conquista ancora oggi tutt’altro che compiuta. Ancora oggi non possiamo considerare realizzati ovunque neppure i diritti di libertà e i diritti politici, date le violazioni che essi subiscono quotidianamente in ogni parte del mondo. IL NOSTRO LAVORO