"L’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente, quanto nelle relazioni sociali" (Daniel Goleman) In particolare, secondo Daniel Goleman esistono due modalità della conoscenza: la mente razionale, quella che pensa, e la mente emotiva, quella che sente (Goleman, 1995). E l’interazione tra queste due modalità costruisce la nostra vita mentale. La prima si è sviluppata nel corso dell’evoluzione ed è propria degli esseri umani, è la parte di noi deputata alla logica, al controllo, al ragionamento, alla riflessione. A livello anatomico la si può localizzare nella corteccia cerebrale o neocorteccia La seconda è la parte più “preistorica” di noi, è la parte prevalentemente istintiva, con funzioni legate alla sopravvivenza e alle reazioni immediate in caso di “emergenza”: lotta, fuga o paralisi. A livello cerebrale la si può localizzare nell’amigdala, una piccola ghiandola posta al di sotto del talamo nella parte inferiore del sistema limbico. Per questo suo ruolo chiave nella vita emotiva degli individui tale struttura è definita anche come la “sentinella delle emozioni”. Goleman parla di “Sequestro Emotivo” intendendo quei momenti in cui la “mente emozionale” prende il sopravvento e ci fa agire prima di aver attivato la parte razionale che, nella maggior parte dei casi, ci avrebbe fatto agire diversamente. In questo senso l’amigdala funziona come il luogo della memoria emozionale: “nell’amigdala possono esserci ricordi e repertori di risposte che vengono messi in atto senza che ci si renda conto assolutamente del perchè si agisca in quel modo (...) Questo aggiramento sembra consentire all’amigdala di assumere il ruolo di archivio di impressioni e ricordi emozionali dei quali non abbiamo una conoscenza consapevole” (Le Doux, 1986). Che cosa significa dunque in quest’ottica sviluppare “Intelligenza Emotiva”? Secondo Goleman si tratta di “armonizzare emozione e pensiero” (Goleman, 2005). Quanto più un individuo sarà in grado di “armonizzare” (o integrare) la sua parte emotiva con quella razionale tanto più sarà in grado di trovare un maggiore equilibrio con sè stesso e con gli altri. - "Gli autoconsapevoli". Consapevoli dei propri stati d'animo nel momento stesso in cui essi si presentano, queste persone sono comprensibilmente alquanto sofisticate riguardo alla propria vita emotiva. La loro chiara visione delle proprie emozioni può rafforzare altri aspetti della personalità: si tratta di individui autonomi e sicuri dei propri limiti, che godono di una buona salute psicologica e tendono a vedere la vita da una prospettiva positiva. Quando sono di cattivo umore, costoro non continuano a rimuginare e a ossessionarsi, e riescono a liberarsi dello stato d'animo negativo prima degli altri. In breve, il loro essere attenti alla propria vita interiore li aiuta a controllare le emozioni. - "I sopraffatti". Si tratta di persone spesso sommerse dalle proprie emozioni e incapaci di sfuggir loro, come se nella loro mente esse avessero preso il sopravvento. Essendo dei tipi volubili e non pienamente consapevoli dei propri sentimenti, questi individui si perdono in essi invece di considerarli con un minimo di distacco. Di conseguenza, rendendosi conto di non avere alcun controllo sulla propria vita emotiva, costoro fanno ben poco per sfuggire agli stati d'animo negativi. Spesso si sentono sopraffatti e incapaci di controllare le proprie emozioni. "I rassegnati". Sebbene queste persone abbiano spesso idee chiare sui propri sentimenti, anch'esse tendono tuttavia ad accettarli senza cercare di modificarli. Sembra che in questa categoria rientrino due tipi di soggetti: in primo luogo quelli che solitamente hanno stati d'animo positivi e perciò sono scarsamente motivati a modificarli; e in secondo luogo coloro che, nonostante siano chiaramente consapevoli dei propri stati d'animo, e siano suscettibili a sentimenti negativi, tuttavia li accettano assumendo un atteggiamento da "laissez-faire, senza cercare di modificarli nonostante la sofferenza che essi comportano L’intelligenza emotiva è l’abilità di indentificare le emozioni, di accedervi e utilizzarle in modo da assistere il pensiero, comprendere le emozioni e la pratica emotiva e gestire riflessivamente le emozioni così da promuovere la crescita emotiva e intellettuale.” (Mayer e Salovey, 1997) 1.AUTOCONSAPEVOLEZZA: ovvero la conoscenza delle proprie emozioni, nel momento stesso in cui si manifestano. 2.CONTROLLO DELLE PROPRIE EMOZIONI: conoscere le emozioni significa essere maggiormente in grado di non lasciarsi “travolgere” da esse laddove la situazione e il contesto non siano appropriati e in generale essere più capaci di reagire ai traumi e agli stress emotivi della vita. 3.AUTOMOTIVAZIONE: consapevolezza e controllo permettono di incanalare le emozioni verso il raggiungimento dei propri obiettivi migliorando significativamente l’efficacia delle proprie prestazioni 4.RICONOSCIMENTO DELLE EMOZIONI ALTRUI: in altre parole l’EMPATIA. I 3 aspetti sopra elencati sono imprescindibilmente collegati a questo aspetto delle capacità interpersonali. 5.GESTIONE DELLE RELAZIONI: non solo consapevolezza delle proprie emozioni e riconoscimento/comprensione/identificazione nelle emozioni dell’altro, questo quinto aspetto si riferisce alla capacità di saper utilizzare le emozioni degli altri in modo “intelligente” per guidare le relazioni verso gli scopi che si vogliono ottenere. Questa capacità di tipo “avanzato” fondamentale soprattutto nel nostro lavoro di EDUCATORI Noi dobbiamo essere in grado di cogliere l’emozione che sta provando l’altro quanto più aperti siamo verso le nostre emozioni tanto più abili saremo anche nel leggere i sentimenti altrui L’educatore è “naturalmente” abitato da fantasmi, cioè da possibili e discutibili concezioni del proprio ruolo, ED APPARE DUNQUE IMPORTANTE CHE SAPPIA GESTIRE LE EMOZIONI A RIGUARDO - Il formatore: colui che vuole dare una buona forma L’educando è percepito come persona che ha una forma considerata inadeguata o imperfetta. L’educatore ha il compito di dare una forma buona, ideale, di plasmare secondo un modello prestabilito. Il rischio è quello di tendere alla produzione di “soggetti in serie” e di non tener conto del patrimonio individuale. Il terapeuta: colui che vuole guarire e restaurare Operare per riportare il soggetto a un presunto originario stato di salute compromesso dall’aggressione di agenti esterni all’individuo. La volontà di guarire o restaurare l’altro può rivelarsi un’illusione, poiché si limita a valutare il soggetto in termini di “scarto” da una condizione “normale”. - Il maieuta: colui che vuole far emergere L’educando è una persona “naturalmente” buona e dotata, ricca - di potenzialità che l’educatore deve far emergere. Il rischio è rappresentato dal ritenere che tutto si risolva stabilendo un clima relazionale favorevole e un ascolto comprensivo. L’interpretante: colui che vuol far prendere coscienza Interpretare a ogni costo, assegnare un significato univoco a ogni situazione e a ogni comportamento; “spiegare” tutto ciò che accade, considerarsi depositari del sapere che permette di definire gli altri, non essere minimamente sfiorati dal benefico e salutare dubbio. Il riparatore: È colui che si fa “carico” dei problemi altrui, si muove attraverso una logica del (proprio) sacrificio. I fantasmi non sono considerabili di per sé elementi procuratori di patologie nella relazione educativa, in dosi omeopatiche rappresentano il necessario corredo dell’educatore. Il vero problema è rappresentato dalla mancata consapevolezza e dalla riduzione della varietà delle sfumature dei fantasmi a una sola di esse Beati gli educatori “poveri in spirito”. Quelli che, per educare alla fede i ragazzi, tirano fuori e spendono tutto ciò che Dio ha dato loro: tempo, capacità, energie, fantasia, tenacia… … Beati gli educatori “afflitti”. Quelli che nonostante i rospi da ingoiare e le difficoltà da superare, non si danno mai per vinti. Beati Quelli che evitano la tentazione delle scorciatoie, delle minacce, dei ricatti, e camminano sulle strade del convincere, spiegare, rispiegare, dialogare, pazientare, testimoniare. Beati gli educatori “affamati e assetati di giustizia”. Quelli che non accettano passivamente la proposta di una catechesi che non esiste più per una società che non esiste più, ma lottano per un’educazione alla fede adeguata ai ragazzi di oggi Beati gli educatori “misericordiosi”. Quelli che, capendo le difficoltà dei bambini e dei ragazzi, nonché delle loro famiglie, non sbraitano, non sentenziano, non condannano, ma ricercano soluzioni serene ed equilibrate Beati gli educatori “perseguitati per causa della catechesi”. Perseguitati dal tempo che non basta mai; dai tanti impegni nel lavoro e in famiglia; dai locali non adeguati; dai mezzi tecnici inesistenti; da quei bambini che se non ci fossero…e invece ci son sempre e non fanno combinare niente; dai colleghi che non si pongono tanti problemi e si accontentano del solito tran tran; dalla tentazione di lasciare…ma che ricominciano sempre. BEATI GLI EDUCATORI COSI’! Avranno un posto bellissimo in cielo.