4. Le impugnazioni
Lezioni di diritto fallimentare
Anno accademico 2013/2014
1. Considerazioni generali
Il regime previgente
Quando prevaleva il modello giudizio sommario necessario
– giudizio di merito introdotto con opposizione, alla fase
sommaria seguiva una fase ordinaria con le caratteristiche
del procedimento di primo grado.
Ne seguiva la piena applicazione delle regole proprie dei
giudizi di primo grado innanzi al tribunale, secondo il rito
collegiale (art. 50 – bis, n. 2 c.p.c.).
Ne seguiva altresì l’appellabilità della sentenza che
concludeva il giudizio di opposizione (appello della
sentenza che decide il giudizio di opposizione al fallimento
e appello della sentenza che decide il giudizio di
opposizione al decreto di ammissione al passivo).
Segue. Il regime della prova
Il regime della prova nei giudizi di opposizione,
come nel procedimento monitorio, perdeva le
prerogative della fase sommaria, per seguire
le regole proprie della prova nel procedimento
ordinario: tipicità, regole di ammissibilità,
prevalente iniziativa di parte, regole di
assunzione.
Segue. Il regime delle preclusioni
Con la legge n. 353 del 1990 che ha introdotto le
preclusioni, qualche problema interpretativo si
poneva per i giudizi di opposizione introdotti con
ricorso (nulla quaestio per i giudizi introdotti con
citazione, come l’opposizione a fallimento).
Era infatti incerta la natura dell’udienza fissata dal
giudice in calce al ricorso: si trattava della udienza
di trattazione in vista della quale maturano i
termini preclusivi coincidenti con gli atti
introduttivi?
Segue
La mancanza di un avviso al convenuto su
modello dell’art. 163, n. 7 c.p.c. e la mancanza di
indicazioni a cui il giudice fosse assoggettato per
consentire il rispetto degli ulteriori termini di cui
agli artt. 163 bis, 166 e 167 c.p.c., rendevano
impossibile concepire quell’udienza come di
trattazione e perciò essa veniva ricondotta ad
un’udienza in cui era fissata eventuale successiva
udienza con termine per le parti per la
integrazione degli atti, nel rispetto delle
preclusioni iniziali, e solo la seconda udienza
aveva i caratteri della vera e propria trattazione.
Segue. Il problema dei termini
La disciplina previgente fissava il termine
dell’opposizione nei 15 giorni, con un dies a quo
che maturava dall’affissione della sentenza di
fallimento o dal deposito in cancelleria dello stato
passivo. In difetto di conoscenza effettiva dei
provvedimenti da impugnare, la Corte cost. è
intervenuta con le sentenze nn. 151/1980,
102/1986 e 211/2001, facendo maturare il
termine dalla comunicazione con foglio di
cancelleria della sentenza di fallimento o dalla
ricezione della raccomandata contenente il
decreto di ammissione al passivo.
Segue. Il problema dell’incompatibilità
del giudice
Altro profilo problematico, quello della possibilità che il
giudice della fase sommaria potesse essere il giudice della
fase ordinaria dell’opposizione.
La mancata inclusione nei casi di ricusazione (art. 51, n. 4
c.p.c. che fa riferimento ai diversi gradi di giudizio) avrebbe
reso necessaria una declaratoria di incostituzionalità,
probabile per la nota sensibilità del giudice costituzionale
delle leggi in materia penale.
Tuttavia la Corte non ha ritenuto incostituzionale l’ipotesi,
ammettendo solo, in occasione di una pronuncia
interpretativa di rigetto riferita al procedimento di
repressione della condotta antisindacale, che se la fase
sommaria è idonea al giudicato il giudice di essa non può
essere giudice del successivo merito (corte cost. n. 387/99).
Segue. Il problema dell’efficacia immediata
del provvedimento sommario
La sentenza dichiaratrice di fallimento è
immediatamente efficace ed egualmente è
immediatamente esecutivo il decreto di
ammissione la passivo (nonostante la loro
natura costitutiva, artt. 16, u.c. e 96, 4° comma),
cionondimeno il giudizio di opposizione non era
in grado di incidere su tale esecutività se non
con il passaggio in giudicato della sentenza che
lo concludeva, con una deroga assai intensa al
principio della prevalenza della cognizione piena
sulla cognizione sommaria.
La riforma
-
-
La riforma modifica radicalmente tale assetto ed interviene
superando le lacune del regime previgente:
ponendo il rapporto tra prima fase e seconda fase in termini di
diversi gradi di giudizio;
assimilando le opposizioni a veri e propri giudizi di impugnazione di
secondo grado, con la disciplina conseguente;
stabilendo l’incompatibilità del giudice a partecipare ai diversi gradi;
introducendo misure di intervento sull’efficacia immediata del
provvedimento della prima fase;
adottando il modello del camerale spurio che supera le difficoltà di
compatibilità dell’originaria opposizione con ia cognizione piena di
rito ordinario.
2. Il reclamo contro la sentenza che dichiara il
fallimento
Reclamo contro la sentenza di
fallimento.
La denominazione del rimedio-reclamo, coerente
con la natura formale del procedimento (camera
di consiglio) non esclude l’assimilabilità ad un
vero e proprio appello (come era denominato
nella prima riforma del 2006), introduttivo di un
giudizio di secondo grado innanzi alla Corte di
appello. Esso pertanto costituisce la conferma del
carattere ibrido del rito camerale, introduttivo di
un vero e proprio processo a cognizione piena,
nella specie di secondo grado.
Il termine
Il reclamo, art. 18, 1° comma, si introduce
entro 30 giorni (art. 18, 4° comma):
- per il fallito dalla notifica;
- per gli altri legittimati (“qualunque
interessato”) dalla pubblicazione nel registro
delle imprese;
- nel termine semestrale dal deposito della
sentenza, in difetto del perfezionarsi del dies a
quo del termine breve.
Ricorso introduttivo
L’atto introduttivo è un ricorso che deve
contenere oltre ai riferimenti all’autorità e alle
parti:
“l’esposizione dei fatti e degli elementi di
diritto su cui si basa l’impugnazione”
da assimilare ai motivi di appello ex art. 342
c.p.c., con la necessità dunque della
specificazione del motivo a critica libera.
nuovo art. 342 c.p.c.
E’ inapplicabile, in difetto di espresso
richiamo, l’onere di specificazione dell’art. 342
c.p.c. nuova edizione dovuta alla legge n. 134
del 2012, il reclamo fallimentare fonda un
regime di appello speciale, ove il motivo ha il
rilievo dei limiti al solo effetto devolutivo.
La costituzione del convenuto
Il convenuto si costituisce con memoria
contenente le sue difese e la indicazione dei
mezzi di prova e gode di un termine a difesa di
30 giorni dalla notifica del ricorso (art. 18/7),
dovendo costituirsi 10 giorni prima
dell’udienza (art. 18/7).
Termini e preclusioni
I contenuti difensivi del ricorso e della memoria,
pur assoggettati a termini, non prevedono
espressamente la sanzione della decadenza, ciò
che si spiega per il rilievo di interessi generali
nello svolgimento del procedimento che lasciano
spazio ai poteri del giudice nella rilevazione
dell’eccezione e nella rilevazione dei mezzi di
prova (art. 18, 10° comma). In tale direzione non
sembra applicabile il regime del divieto dei nova
ex art. 345 c.p.c.
Intervento volontario
Essendovi legittimazione diffusa
all’impugnazione, possono intervenire gli
interessati ma con il rispetto delle formalità di
costituzione della parte convenuta (non oltre 10
giorni dall’udienza).
Detto intervento sarà adesivo dipendente, se
sono già decorsi i termini per reclamare da parte
dell’interveniente o altrimenti litisconsortile.
Tutela cautelare
Per riempire la lacuna di una mancata interferenza della
impugnazione con gli effetti immediati della sentenza dichiaratrice,
il legislatore della riforma ammette all’art. 19 – su richiesta di parte
o del curatore – che la liquidazione dell’attivo sia sospesa per gravi
motivi.
Il provvedimento costituisce un corretto equilibrio tra le esigenze
d’urgenza del fallimento (interesse generale alla eliminazione
dell’impresa) e la tutela dell’imprenditore a non essere
pregiudicato. Perciò non è contemplata una sospensione in toto
degli effetti della sentenza, restando salve le attività di gestione e
amministrazione del patrimonio.
Il rilievo di gravi motivi deve intendersi come fondatezza sommaria
dell’impugnazione, più che periculum, che è in re ipsa.
istruttoria e decisione
Alla udienza la Corte sente le parti e assume le
prove, nel contraddittorio delle parti;
eventualmente con iniziativa officiosa, in
mancanza di iniziativa delle parti.
La decisione in coerenza con la forma del
giudizio in primo grado è presa con sentenza.
Ulteriori impugnazioni
Contro la sentenza, che in caso di
accoglimento è notificata al curatore, al
creditore che ha chiesto il fallimento e al
debitore e in caso di rigetto al solo reclamante
(art. 18/12 e 13), è ammesso ricorso per
Cassazione con termini ridotti di 30 giorni (art.
18/14).
La domanda di risarcimento danni
Il giudizio di impugnazione non si occupa solo
dei presupposti della fallibilità, ma anche del
risarcimento dei danni subiti dall’imprenditore
ingiustificatamente dichiarato fallito,
domanda da introdurre nello stesso giudizio e
non in altro separato (per analogia art. 22, 2°
comma e 96 c.p.c.).
Tale domanda non è regolata dall’art. 96, ma
dall’art. 147, d.lgs. n.115/2002.
La responsabilità processuale
fallimentare.
A differenza dell’art. 96 .p.c. che inquadra la
responsabilità processuale aggravata
nell’ambito della responsabilità civile, con il
rilievo degli elementi del dolo e della colpa
grave, l’art. 146 da rilievo anche alla colpa
lieve, mentre manca del riferimento ad una
liquidazione officiosa del danno prevista
nell’art. 96, salvo la liquidazione minima ex
lege coincidente con le spese di procedura e
con il compenso del curatore.
Il problema delle spese
In caso di accoglimento del reclamo, l’imprenditore
fallito deve esser esonerato dalle spese della procedura
(sotto il regime previgente, Corte cost. n. 46/1975
aveva dichiarato incostituzionale l’art. 21 laddove
poneva a carico del fallito le spese del procedimento).
Dovrà essere seguito il criterio della soccombenza
quanto alle spese del procedimento in senso stretto
per la dichiarazione di fallimento, quanto alle spese
della procedura fallimentare l’art. 18 u.c. fissa le
modalità di liquidazione ma non i criteri, secondo l’art.
146 dovranno essere poste a carico dell’erario.
Effetti della revoca
(art. 18 penultimo comma)
Salva la sospensione della liquidazione, se
ottenuta in via cautelare, solo il passaggio in
giudicato della sentenza di revoca del fallimento
produce effetti, travolgendo gli atti fallimentari,
salvo:
“gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli
organi del fallimento”.
Presupposto della salvezza:
“la legalità dell’atto, ovvero compiuto in rigorosa
conformità alla legge”.
Problemi applicativi
Ma gli effetti della sentenza che dichiara il fallimento?
Non vi è dubbio che il fallito rientri nella piena
disponibilità materiale e giuridica dei beni e i creditori
recuperano le azioni esecutive ed individuali verso il
fallito e gli atti di disposizione compiuti dal fallito
producono effetti, ancorché inficiati da azione
revocatoria fallimentare o da inefficacia conseguente al
fallimento.
Problemi pongono gli effetti sui rapporti contrattuali
pendenti, poiché se vi è stato scioglimento non vi è
dubbio che esso permanga per la tutela
dell’affidamento del terzo.
3. Le impugnazioni avverso il decreto di
accertamento del passivo
La riforma
Anche per l’accertamento del passivo la
riforma modifica il passaggio tra giudizio
sommario e giudizio di merito verso un
inquadramento di un giudizio di primo grado
della prima fase e di un giudizio di
impugnazione della seconda fase, ancorché
quel giudizio di impugnazione venga per
tradizione del passato denominata
“opposizione”.
La unificazione delle impugnazioni
La riprova che l’opposizione a decreto passivo
sia vera e propria impugnazione è che esso
viene regolato unitariamente, quanto al
procedimento, alle ipotesi inequivocabilmente
di impugnazione costituite dall’impugnazione
del creditore concorrente o del curatore e
dalla revocazione (artt. 98 e 99).
Il ricorso per Cassazione
Il giudizio di opposizione/impugnazione, per
quanto si svolga innanzi al tribunale, proprio
perché esaurisce un secondo grado di giudizio
e costituisce un’impugnazione ed è, a sua
volta, impugnabile esclusivamente innanzi alla
Corte di cassazione (art. 99 u.c.)
Le impugnazioni avverso lo stato
passivo
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-
All’art. 98 sono individuati tre rimedi avverso lo stato passivo:
l’opposizione che costituisce un appello proposto dal creditore o dal
titolare del diritto sui beni che si è visto respingere la domanda tempestiva
(art. 98, 2° comma);
l’impugnazione del creditore concorrente o del terzo titolare di un diritto
incompatibile o del curatore, con il contraddittorio del creditore ammesso
o del titolare del diritto sul bene accertato, in analogia ad un’opposizione
di terzo o appello a seconda che sia un terzo o il curatore ad impugnare
(art. 98, 3° comma);
la revocazione, come mezzo di impugnazione straordinaria a termini
ordinari decorsi, cui è legittimato il curatore o il creditore o titolare dei
diritti su bene concorrente o lo stesso creditore e/o titolare di diritti
insinuato, sulla base di presupposti che ricordano i motivi di revocazione
(falsità, dolo, errore di fatto, sopravvenienze di documenti) o
dell’opposizione di terzo revocatoria (dolo), art. 98, 4° comma).
L’opposizione dei creditori e/o titolari
di diritti su beni non ammessi
E’ mezzo con legittimazione ristretta a chi non
si è visto in parte o totalmente ammettere il
diritto in sede di insinuazione tempestiva.
Non è legittimato quindi chi non ha
presentato domanda tempestiva, i creditori
ammessi con riserva (art. 113 bis).
E’ legittimato anche chi si sia visto negato una
parte o il rango del proprio credito, come
privilegiato.
Divieto dei nova: la domanda
Il corretto inquadramento in termini di impugnazione
esclude che l’oggetto dell’opposizione possa essere
diverso dall’oggetto della prima fase, non potendo il
creditore dedurre fatti costitutivi diversi rispetto a
quelli già dedotti o modificare le domande chiedendo
che il credito venga riconosciuto con un rango diverso
dalla domanda introduttiva.
Ugualmente non è consentito al curatore, che non ha
sollevato il profilo, l’introduzione in via riconvenzionale
nel giudizio di impugnazione di una revocatoria
fallimentare, termine ultimo che il curatore aveva nei
15 giorni anteriori all’adunanza ex art. 95/1.
L’eccezione e le prove
In difetto di richiamo invece dell’art. 345
c.p.c., non sembra ipotizzabile un divieto o un
limite alla formulazione di eccezioni e prove,
ancora nel solo della specialità degli appelli
con rito camerale.
L’intervento dei creditori o titolari dei
diritti concorrenti
In analogia con l’intervento di terzi in appello
ex art. 344 c.p.c. è ammesso l’intervento
volontario, del creditore o titolare del diritto
concorrente con conseguente allargamento
dell’oggetto del giudizio, in tal caso
all’impugnante deve essere data possibilità di
contraddire nella pienezza dei poteri difensivi
(cd. impugnazione incidentale). Tale
intervento è consentito sino al termine per la
costituzione del convenuto (art. 99/7)
legittimazione passiva
La legittimazione passiva è del curatore,
l’unica parte destinata ad interloquire con il
richiedente ab initio.
L’impugnazione dei creditori ammessi
Similmente all’istituto dell’art. 512 c.p.c.,
quanto ai creditori, e dell’art. 619 c.p.c., per i
terzi titolari di diritti incompatibili, l’art. 98, 3°
comma, legittima l’impugnazione del decreto i
creditori concorrenti e i titolari di diritti
incompatibili.
Legittimazione ed interesse
La legittimazione coincide con soggetti già
ammessi o se non ammessi aventi già presentato
opposizione o infine i creditori che hanno già
presentato domanda di ammissione in via tardiva.
Il fallito non ha alcuna legittimazione. Mentre la
riforma consente la legittimazione del curatore.
L’interesse ad agire è dato dall’effettivo vantaggio
del rigetto della domanda di ammissione per il
collocamento che ha il creditore concorrente.
L’oggetto
Potrà essere contestata l’esistenza del diritto,
la sua dimensione e la collocazione del credito
(se in prededuzione, privilegiato o
chirografario); non potrà invece l’impugnante
lamentare la revocabilità del titolo che ha
costituito il diritto ammesso, trattandosi di
questione a cui è legittimato solo il curatore.
legittimazione passiva
E’ legittimato passivamente il creditore
ammesso o il titolare del diritto reale
ammessi, oltre al curatore se non è
impugnante.
La revocazione
L’istituto evoca analogie sia con la revocazione
in senso stretto e sia con l’opposizione di terzo
revocatoria, anche se rigorosamente
nell’ambito delle impugnazioni di carattere
straordinario.
Ne sono legittimate sia le parti del giudizio di
accertamento del passivo, sia terzi estranei (i
titolari di diritto dipendente). Non è
legittimato il fallito.
Originalità dei motivi
-
I motivi sono regolati in modo del tutto
coincidente con i rimedi ordinari:
la falsità della prova non deve essere accertata da
altro giudice penale o civile potendo essere
accertata anche dal giudice della revocazione;
ha rilievo il documento rinvenuto non prodotto
per causa non imputabile;
l’errore revocatorio coincide esattamente con il
motivo ordinario ex art. 395, n. 4 c.p.c.;
per quanto richiamato il solo dolo come species
deve intendersi ricompresa anche la collusione.
Mezzo straordinario
E’ impugnabile solo il decreto irrevocabile, per
inutile decorso dei termini di opposizione o di
impugnazione, quindi già passato in giudicato.
Il processo
La regolamentazione del processo è identica
(art. 99) per le tre ipotesi di impugnazione, in
tal modo razionalizzando il sistema
processuale e consentendo di ricostruire una
natura impugnatoria anche della opposizione.
Termini
L’impugnazione, in qualunque forma, deve
essere proposta entro 30 giorni dalla
comunicazione per raccomandata a.r. dello
stato passivo e per la revocazione, dalla
scoperta del vizio (art. 99/1, 1° comma).
L’incompatibilità
L’art. 99, 9° comma, stabilisce che: “il giudice
delegato al fallimento non può far parte del
collegio”
La domanda
La domanda, con la forma del ricorso, deve contenere l’indicazione
dell’autorità (il tribunale) e delle parti e: “l’esposizione dei fatti e
degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione e le relative
conclusioni”, ancora nella direzione di una struttura tipicamente
impugnatoria.
Il difetto o il vizio di contenuto, differente dal motivo, in difetto di
diversa previsione, è sanzionato con il regime delle nullità ex art.
164 c.p.c.
La mancanza del motivo, integra inammissibilità dell’impugnazione,
come anche l’eventuale mancato rispetto del termine.
Non si applica il nuovo art. 342 c.p.c.
Il ricorso deve contenere a pena di decadenza eccezioni processuali
di merito non rilevabili d’ufficio nonché la specifica indicazione di
mezzi di prova. Non si applica il 345 c.p.c., cfr. art. 99, 4° comma
Il termine a difesa e costituzione del
convenuto
Il convenuto deve godere di un termine a
difesa di 30 giorni tra notifica del ricorso e
udienza e costituirsi entro 10 giorni, mediante
memoria contenente a pena di decadenza,
eccezioni riservate e indicazione dei mezzi di
prova (art. 99, 7° comma).
Le decadenze
La previsione di decadenze esplicite è
contemplata solo e in modo espresso negli atti
introduttivi del giudizio di impugnazione, il
che fa pensare ad una riapertura dei termini in
tale sede rispetto ai termini già maturati nel
giudizio di primo grado.
Il decreto finale (art. 99, 10 comma)
La pronuncia finale avviene con decreto in
coerenza con il rito camerale entro 60 giorni
dall’udienza o dal termine per lo scambio di
memorie finali.
Contro il decreto è dato soltanto ricorso per
cassazione con termini abbreviati per 30
giorni.
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